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La crisi che ci ha colpito di recente ha puntato i riflettori su un tema che va molto al di là dell’attualità. Certo è importante comprendere come si è potuto verificare questo effetto domino che ha sconvolto il pianeta, quali sono le precise responsabilità del mondo finanziario e politico, quali siano le migliori strategie per venirne fuori. Ma con quali strumenti di comprensione? Con il solito gergo dei tecnici? Qual è il vero protagonista di questo terremoto globale? La risposta è il denaro, nonché l’uso che se ne fa. Dunque è importante capire che cos’è la moneta, sul piano pratico e concettuale, e spogliare questo tema dell’aura respingente di un tecnicismo incomprensibile e imperante. È bene, per un cittadino consapevole, sapere qual è il legittimo proprietario della moneta, chi la emette e decide quanta emetterne, chi sono i veri beneficiari di antichi e moderni signoraggi su questo singolare oggetto sociale. Da tempo immemorabile il potere dei soldi dialoga con l’autorità pubblica, anche se pare che la classe politica attuale assuma il denaro come un dato di fatto indiscutibile e sappia ben poco di come viene creato e distribuito, distrutto e moltiplicato. Il denaro è strumento di direzione dei popoli oltre che mezzo indispensabile nella vita quotidiana di chiunque. Per questo è lecito domandarsi se siano i politici o i banchieri a governarlo, e come facciano gli istituti bancari e le banche centrali ad amministrarlo. La moneta è un’invenzione geniale con effetti importanti e persistenti, paragonabili a quelli della ruota. Come nel caso di quest’ultima forma di velocità, lo strumento è stato assoggettato nella storia a
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una serie di perfezionamenti che lo hanno reso via via più scorrevole ed efficace. Sono successe molte cose da quando ci si scambiava i capi di bestiame – pecus pecunia – fino al momento in cui la moneta è diventata virtuale e trasferibile in tempo reale. Il fiume del denaro si divide oggi in mille rivoli che sono altrettanti succedanei della moneta. Abbiamo il contante, che è liquidità allo stato puro, i depositi bancari, strumenti finanziari tradizionali come azioni e obbligazioni, innumerevoli prodotti finanziari derivati. Sono state forse queste innovazioni a provocare crisi sempre più ravvicinate e devastanti? Era più affidabile la finanza di un tempo, legata a doppio filo all’oro e ad altri metalli preziosi, o è più solido l’edificio finanziario attuale basato soltanto sui biglietti di banca e sulla moneta elettronica? Chi perde e chi guadagna tra tutti coloro che si muovono sul complicato scacchiere dei mercati finanziari internazionali? Si guadagna per vivere, si cerca di guadagnare di più per vivere meglio. Per il denaro si combatte e si soffre, ma non sempre – al di là della percezione diffusa della sua importanza – si sa veramente di che cosa si tratti. Non c’è chi ignori l’esistenza e l’influenza delle banche, dell’industria della finanza e del credito e delle norme che ne regolano il funzionamento. Ben pochi però hanno una conoscenza precisa di ciò che le istituzioni finanziarie sono, rappresentano e fanno, delle loro finalità sostanziali, di quelle dichiarate e di quelle reali. Tutti parlano di valore, denaro, prezzi, ma spesso li confondono. Tutti parlano di economia credendo che i soldi ne siano lo specchio più fedele, anche se le cose non stanno così. Il valore ha un significato, un senso difficile da riassumere in un numero, oggettivo per definizione, e più facile invece da ricollegare con una persona e una sensibilità personale, per sua natura soggettiva. Motivo per il quale quella dell’economia è una Geistwissenschaft, cioè una scienza dello spirito. Ciò nonostante non c’è giorno in cui ciascuno di noi non si trovi ad avere a che fare con una materia così poco spirituale come il denaro. E questo da tempo immemorabile. Esiste un antico sodalizio tra politica e denaro. È noto come Filippo, padre di Alessandro Magno, avesse provveduto a coniare splendide monete d’oro e d’argento con il metallo estratto dalle miniere del Pangeo, e come fosse riuscito a fare del denaro macedone una valuta internazionale. Alla morte del padre, Alessandro vuole la sua effigie sulle nuove monete e soddisfa il suo disperato bisogno d’oro con il ricorso alle armi, saccheggiando e depredando i popoli sconfitti. Giulio Cesare non è da meno. Giovane e ambizioso, si indebita
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fino al collo per finanziare la sua carriera politica. L’alleanza con Crasso gli serve per sfruttarne le immense ricchezze. Una volta conquistato il potere – non appena, ormai solo al comando, diventa l’uomo più potente di Roma e di tutto il mondo conosciuto –, Cesare vuole che tutte le monete in circolazione riportino sempre il suo volto su uno dei due lati. Il denaro è potere. Lo è stato nel passato remoto ed è così anche nel passato recente. Lo testimoniano gli accordi di Bretton Woods che – stipulati all’indomani della seconda guerra mondiale – sanciscono il dominio planetario del dollaro, ormai legato sempre più debolmente all’oro. Lo attesta anche la dichiarazione di Nixon dell’agosto 1971 con la quale il dollaro si affranca definitivamente da qualunque riferimento metallico e diventa un pezzo di carta il cui senso – il cui valore – sta tutto nella potenza economico-militare statunitense. Economia e guerra, come sempre. Ma che cosa succede in epoca più recente? Possibile che anche J.M. Keynes – il più grande filosofo dell’economia dopo Adam Smith e Karl Marx – abbia clamorosamente sbagliato prevedendo l’avvento di un sistema economico capace di appagare i bisogni di tutti gli abitanti della terra entro i primi decenni del XXI secolo? La verità è che il denaro, così potente, teme l’inflazione come un nemico imbattibile. È la stabilità dei prezzi che orienta le decisioni dei ministri del Tesoro e dei grandi banchieri. Keynes, troppo fiducioso nei suoi suggerimenti di politica economica, non ha dato sufficiente rilievo al fatto che l’aumento della spesa pubblica destinato a rilanciare la domanda globale avrebbe alimentato l’inflazione, vero e proprio cancro della moneta, come tale curato e combattuto da tutte le banche centrali. Ed è accaduto che – dopo la dichiarazione d’inconvertibilità del dollaro in oro da parte di Nixon e dopo la grande inflazione degli anni Settanta del secolo scorso – autorità monetarie e responsabili delle finanze di tutte le nazioni siano diventati molto restii a battere moneta, mentre i banchieri si sono ingegnati in ogni modo per lanciare sul mercato nuovi e lucrosi prodotti finanziari. Certo tutti questi personaggi hanno maturato la consapevolezza di essere seduti su una bomba, un oggetto da maneggiare con cura, un ordigno che in caso di esplosione distruggerebbe tutto. Fatalmente anche se stesso. Avventurarsi nella selva del denaro significa cercare di capire che cos’è la moneta e risalirne il corso fino alle sorgenti. Significa cogliere con esattezza qual è la forza della fiducia su cui il denaro si regge e quale arcana facoltà consente alle banche di moltiplicarlo in un modo
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che, senza l’intervento delle banche centrali, risulterebbe teoricamente illimitato. Significa anche scoprire il vero motivo per cui un’idea di per sé commendevole come quella di offrire anche agli americani più poveri l’opportunità di comprare una casa si è trasformata nel disastro dei mutui sub-prime e nel terremoto finanziario del 2008. Se non si rispettano certe regole, il miracolo dei soldi diventa una maledizione. D’altra parte, sembra proprio che sia destino degli uomini infrangere queste norme e, ciò che è peggio, farlo in una maniera che prima o poi sarà irrimediabile. Non tutti hanno compreso che la recente e violentissima crisi finanziaria è stata più pericolosa di quella del 1929. E che, per il futuro, non si può escludere un crescendo verso la catastrofe. Del denaro non esiste un’etica ma solo una tecnica. Il denaro è una forma di velocità, nulla di più. È il caso di prendere coscienza del fatto che non è possibile violare i suoi limiti naturali, pena il disastro. Cercare di varcarli, come hanno fatto di recente le banche di Wall Street, significa moltiplicare temerariamente i trasferimenti del rischio, sempre attuabili, ma talora molto azzardati. Chi sarebbe disposto ad assumersi il rischio di un domatore nell’esercizio delle sue funzioni? Non si può pretendere di far entrare nella gabbia dei leoni gli spettatori del circo e illudersi che possano mantenere la stessa compostezza di chi ha il compito di ammaestrarli. Così come non si può essere tanto ingenui da cercare di andare sulla luna sfruttando al parossismo la forma di velocità della ruota, che è un mezzo chiaramente inadatto allo scopo. Dobbiamo allora piegarci alla necessità di rallentare l’intero sistema, rassegnarci a crescere più lentamente, o addirittura a “decrescere”? Può darsi che sia così. E però tutto il mondo ama la velocità, preme per spendere e consumare, vuole tutto e lo vuole subito perché tutti hanno una sola vita a disposizione. Keynes lo sapeva perfettamente, ma può essere che, scommettendo sui benefici della spesa pubblica, avesse puntato sul cavallo sbagliato. Forse la sua utopia – il sogno di un pianeta finalmente ospitale che avrebbe consentito a chiunque, nessuno escluso, di vivere con il conforto di un minimo di agiatezza – sarà in futuro realizzabile, purché la soluzione non sia più affidata alla moneta. Negli ultimi anni, la finanza ha accreditato innovazioni fasulle, spesso ingannevoli e nocive. Ma l’ultima vera innovazione applicabile alla realtà del denaro sarebbe quella di un’unificazione monetaria mondiale, che renderebbe più veloce e meno costoso tutto il sistema. (Detto di passaggio, anche i cinesi sollecitano questa eventua-
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lità, dato che non si fidano più del dollaro.) Poi, però, basta. Oltre non si andrebbe. Possibile? Possibile che esista una barriera invalicabile? È un’idea difficile da accettare. È strano che, in un’epoca come la nostra nella quale tutto è ritenuto perfettibile e ogni risultato tecnico o scientifico considerato una meta provvisoria, non ci sia economista che non veda il denaro come uno strumento perfetto e indiscutibile. Ma è davvero così? La verità è che una buona utopia – come quella del superamento del denaro – non è mai solo quel che sembra, e che ha già in sé il germe della sua futura realizzazione. Una via d’uscita esiste sempre, e la si troverà anche in questo campo. Dopo l’unificazione monetaria mondiale, meta a portata di mano, rimarrà da capire che il benessere deriva non dal denaro bensì dal lavoro, cioè dai gesti che siamo tutti in grado di compiere. Di questo si vive, cioè di un pensiero – molto più veloce del denaro – capace di tradursi in azione. Perché in economia il pensiero è azione. E il pensiero degli uomini non si arrende davanti ai limiti di uno strumento. Accadrà allora che anche la scienza economica – così come tutte le altre scienze che, per progredire, sono state disposte a mettere in discussione alcuni dei loro fondamenti – arrivi a sfatare l’intangibilità e la sacralità del denaro, l’idea della sua centralità accanto a quella della sua insostituibilità. E il denaro, incorporato nella moneta, apparirà finalmente come una velocità superabile. Purché gli uomini trovino il coraggio di passare dalla fiducia artificiale incorporata nei soldi ad altri rapporti fiduciari, più evoluti e naturali. Purché gli uomini abbiano più fiducia in se stessi.