UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTA’ DI ECONOMIA
CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E MANAGEMENT
PROVA FINALE
“LA POLIZZA DIRECTORS AND OFFICERS QUALE STRUMENTO DI PROTEZIONE DAL RISCHIO DI GESTIONE”
RELATORE: CH.MO PROF. SAPIENZA ELENA
LAUREANDO/A: MARTINELLO ALBERTO MATRICOLA N. 608794
ANNO ACCADEMICO 2011 – 2012
INDICE
1. Introduzione
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2. Il rischio di gestione
pag. 5
2.a. Management e profili di rischio 2.b. Governance e organi amministrativi delle banche di minori dimensioni
3. La responsabilità civile degli amministratori
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4. La polizza
pag. 12
4.a. La storia della polizza 4.b. Il contratto della polizza
5. I vantaggi della tutela D&O
pag. 18
6. Alcuni aspetti negativi
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7. Un caso di applicazione
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8. Riferimenti bibliografici
pag. 26
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1. INTRODUZIONE
Durante l’esercizio della propria attività, ogni azienda è costretta a fronteggiare danni di natura patrimoniale o finanziaria a causa di sinistri dovuti al caso o all’azione umana che riducono la redditività e, nei casi più gravi, possono perfino mettere a repentaglio la possibilità stessa di proseguire la produzione, rendendo in tal modo inevitabile la fine dell’esistenza dell’ente. Basti pensare alla rottura di un macchinario, all’incendio di un fabbricato destinato alla produzione, a un incidente occorso a un dipendente all’interno degli ambienti di lavoro, al furto, alla distruzione o al danneggiamento delle proprietà aziendali o dei beni prodotti, alla fuoriuscita non controllabile di sostanze inquinanti o pericolose e ai molteplici altri eventi dannosi che possono verificarsi nell’ambito della normale gestione. Per difendersi dall’insorgenza di simili rischi, le aziende si dotano di numerose coperture assicurative a garanzia degli stessi. Questo discorso è valido naturalmente anche per gli Istituti di Credito: oltre alle tipologie di assicurazioni che sono in comune con le aziende appartenenti ad altri settori dell’economia, quali tutti i vari tipi di responsabilità civile, le polizze incendio e furto sui fabbricati o quelle per la lealtà dei dipendenti, ne hanno anche di peculiari rispetto alla loro attività, ad esempio la polizze che tutelano dalle rapine agli sportelli automatici e alle filiali o che garantiscono la correttezza e la validità delle operazioni effettuate presso i mercati finanziari oppure che risarciscono le richieste di rimborso in caso di malfunzionamento dei servizi elettronici e telematici offerti alla clientela, come i software dell’home banking. La questione poi si rivela di ancor maggiore importanza per le banche di piccole dimensioni, in quanto questi eventi possono minare anche severamente la solidità patrimoniale, che frequentemente è piuttosto limitata. A tal proposito, a partire dall’anno 2008, la Banca di Credito Cooperativo di Cartura ha intrapreso una completa revisione della propria posizione assicurativa, in modo da adeguare le proprie coperture agli standard della concorrenza, cercando di ottimizzare le spese a fronte delle garanzie, nell’ottica dell’essenziale eliminazione degli sprechi che la crisi finanziaria di questi anni ha imposto a qualsiasi azienda. Al fine di mantenere la competitività, è stata conferita grande importanza e nuovo risalto anche a certi aspetti della gestione che in precedenza venivano dati ingiustamente per scontati. Le misure adottate per conseguire questi obiettivi hanno condotto all’assunzione di personale che avesse esperienza nel settore avvalendosi congiuntamente dell’ausilio di professionisti esterni, ricorrendo a dei broker per le ricerche di mercato, a sondaggi e a contatti preliminari con le compagnie fino alla vera e propria stipula delle polizze. I risultati ottenuti al termine di questa ristrutturazione sono stati sicuramente rilevanti: a fronte di un 3
risparmio dell’80% nella spesa per i premi versati annualmente alle Società di Assicurazione, non solo le coperture preesistenti sono rimaste inalterate ma ne sono state persino aggiunte di nuove volte a colmare le carenze lasciate nei periodi precedenti. All’interno di questo progetto è stata inserita anche la parte finale del mio percorso di stage. Dopo aver lavorato per la prima metà del tirocinio nel Settore Crediti presso l’Ufficio Operativo Crediti, sono stato trasferito nel Settore Supporti Operativi, Ufficio Finanza e Assicurazioni. Costantemente affiancato dal responsabile dell’ufficio, ho dapprima seguito i rapporti tra l’ufficio e la clientela della Banca, principalmente per le assicurazioni sottoscritte con l’erogazione dei mutui per la casa. Successivamente ho partecipato alla prosecuzione dell’analisi della posizione assicurativa propria della BCC, verificando e studiando i contratti sottoscritti prima del 2008 e durante il procedimento sopra descritto. Tra di essi, era spiccata una delibera assembleare risalente a marzo 2005 in cui era stata discussa la mancanza di una forma assicurativa che tutelasse la responsabilità civile professionale degli amministratori e di conseguenza ne era stata autorizzata la sottoscrizione. Tuttavia non si era ancora provveduto ad attuare tale disposizione. Perciò tre anni fa venne stipulata per la prima volta, e di lì in poi sempre rinnovata, una Polizza Directors and Officers (di seguito Polizza D&O): si tratta uno strumento ancora poco diffuso nel nostro Paese, ma che invece ha riscosso grande successo nel mondo anglosassone rivelandosi una risorsa assai utile non solo per il management delle società che se ne sono dotate, ma anche per diverse categorie di stakeholders delle stesse, che vedono i propri interessi meglio tutelati nella maniera che verrà in seguito illustrata.
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2. IL RISCHIO DI GESTIONE
2.a MANAGEMENT E PROFILI DI RISCHIO
Primariamente appare necessario cercare di figurare quali possano essere le ragioni che diano origine in una società all’esigenza di sottoscrivere una polizza a copertura della responsabilità civile professionale di amministratori e dirigenti. Nell’ultimo decennio gli organi legislativi italiani hanno profondamente modificato il diritto societario tramite la “riforma Vietti”, attuata dal decreto legislativo1 17 gennaio 2003, n.6. Questo intervento del Legislatore è stato mosso dalla necessità di adeguare le norme italiane alla grande trasformazione dello scenario economico: la sempre maggiore integrazione tra i mercati europei ha reso essenziale facilitare la nascita, la crescita e la competitività delle aziende. Si è tentato perciò di valorizzare il carattere imprenditoriale delle società e, tra le varie misure adottate ai fini del perseguimento di tale criterio, è stata effettuata una ridefinizione chiara e innovativa dei compiti e delle responsabilità degli organi sociali di direzione. Le mansioni e i poteri spettanti agli amministratori sono stati decisamente ampliati: a titolo esemplificativo si può citare l’articolo 2381 del c.c., comma IV2, che impedisce di delegare a terzi l’emissione di obbligazioni convertibili e la redazione del progetto di fusione o di scissione. La legge poi assegna loro diversi altri doveri: la convocazione dell’assemblea in caso di perdite ex art 2446 e 2447, lo scioglimento della società per riduzione del capitale al di sotto del limite legale e la redazione del bilancio con chiarezza affinchè sia rappresentata in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio. Inoltre, i compiti riservati gli amministratori (Lendrowski, H. e Mair, W.C., 2009) comprendono la selezione, il controllo e il calcolo dei compensi dei dirigenti, l’organizzazione e la pianificazione aziendale, il monitoraggio della performance, la supervisone della strategia e del rischio, l’approvazione delle politiche di gruppo, la valorizzazione del marchio, le decisioni in merito alle spese di capitale e alle operazioni di carattere straordinario, il rispetto di leggi e regolamenti e la conformità della gestione agli stessi. Di conseguenza visto il notevole innalzamento della tecnicità e della difficoltà di questo incarico, le possibilità di incorrere in qualche errore durante la gestione è considerevolmente cresciuta; aggiungendo a ciò un inasprimento delle norme in materia di azione di 1
In seguito a legge delega 3 ottobre 2001, n.366 “Non possono essere delegate le attribuzioni indicate negli articoli 2420-ter, 2423, 2443, 2446, 2447, 2501-ter e 2506bis”
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responsabilità, a tutela dei soci di minoranza, si è ottenuto un notevole incremento della rischiosità del lavoro del manager. In più hanno condotto al medesimo risultato le nuove norme in materia di trasparenza, che estendono la quantità di informazioni sulla gestione societaria che devono obbligatoriamente essere comunicate al pubblico, disposizioni che facilitano notevolmente la verifica della bontà dell’operato del management, che deve garantirne la pubblicazione e la veridicità. Nell’espletare le proprie funzioni, secondo Abriani (2008) e Assofondi (2011), gli amministratori e i dirigenti di società sono tenuti all’obbedienza a tre criteri: diligenza, lealtà e osservanza. Per quanto riguarda il primo criterio, la riforma Vietti ha introdotto un nuovo concetto di diligenza, molto più stringente: mentre l’articolo previgente prescriveva la generica diligenza del mandatario, adesso “gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”3. Essi perciò devono agire con un grado di attenzione che una persona ragionevolmente prudente in una posizione paragonabile adotterebbe nelle medesime circostanze. Naturalmente è valevole anche il concetto di buona fede, inteso come agire sempre nel migliore interesse della proprietà. Sono in aggiunta esplicitamente tenuti a operare sempre in maniera informata, accertandosi prima di assumere una decisione operativa di aver reperito ragionevolmente tutte le informazioni ad essa collegate delle quali possono entrare in possesso. Infine sono obbligati ad allestire programmi tali da favorire una condotta societaria appropriata e individuare eventuali comportamenti non conformi, nonostante non sia in capo a loro la responsabilità dell’integrità dell’operato dei dipendenti. Il secondo criterio impone l’astensione dal dedicarsi ad attività personali che possano cagionare danni alla società e lo sfruttamento della loro posizione di fiducia e riservatezza per il perseguimento di interessi personali. Inoltre, devono dichiarare ogni operazione in cui siano coinvolti anche i propri interessi personali, non solo quelle in cui quest’ultimi siano in conflitto con quelli della società come disponeva la formulazione precedente dell’articolo 2391 del c.c.. Il terzo criterio stabilisce che gli amministratori e i dirigenti, dovendo sempre rispettare leggi, regolamenti e statuto societario nell’assolvimento dei loro incarichi, possano essere ritenuti colpevoli se autorizzino o compiano azioni non conformi a essi. Parallelamente la scrupolosità delle analisi di gestione ha subito un deciso impulso in seguito alla crisi economica sorta nel 2007: si è instaurata una nuova consapevolezza riguardo il fatto che i dirigenti non siano semplicemente responsabili nei confronti dei detentori della maggioranza capitale di rischio dell’azienda e quindi la loro linea d’azione debba essere determinata 3
Articolo 2392 del c.c., comma I.
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esclusivamente dagli interessi degli azionisti di controllo. Meritano infatti altrettanta attenzione e tutela tutta un'altra serie di soggetti, chiamati stakeholders, come le minoranze, specie nelle società ad azionariato diffuso, i dipendenti, lo Stato, gli organi Comunitari, i fornitori, i clienti, la comunità che vive nei pressi degli impianti. Lendrowski, H. e Mair, W.C., 2009 asseriscono che la gestione societaria influenza anche loro, perciò il management è ugualmente responsabile nei loro confronti. Infine, si osserva che nelle aziende di maggiore dimensione, quotate nei mercati regolamentati, nemmeno la proprietà esprime interessi univoci: le azioni sono possedute anche da fondi pensione, fondi di investimento, banche, che molto spesso hanno preferenze molto diverse sulla strategia che deve seguire l’azienda, sui rischi che deve assumersi e sulla politica di remunerazione del capitale: giungere a un compromesso che soddisfi ogni soggetto può risultare assai problematico. Infatti si è registrato tra il 2003 e il 2009 un aumento dei sinistri denunciati alle società di assicurazione per le polizze D&O, con una crescita del 30.9% tra il 2008 e il 20094, a fronte di un non così ampio incremento di coperture stipulate, a ulteriore controprova dell’aumento della rischiosità di questo ruolo. Cause che presentano dei costi spesso ingenti, sia per le richieste di risarcimento che possono avere importi molto elevati, sia per le spese legali, soprattutto in un Paese come il nostro, in cui i tempi processuali sono purtroppo molto lunghi. Sono molti altri i fattori che hanno contribuito ad incrementare la rischiosità del ruolo di manager di un’impresa: in primis si può citare l’incessante sviluppo e rinnovamento della normativa italiana spinta anche dalle Direttive comunitarie oltre che dai progressi del mercato. Nelle aziende che si rivolgono ai mercati esteri per l’approvvigionamento di risorse o per vendere i propri prodotti viene sottovalutata la necessità che hanno gli amministratori di conoscere approfonditamente anche le leggi dei Paesi in cui si va a operare, che frequentemente sono più rigide rispetto al nostro codice, in quanto possono essere intentate cause anche da soggetti stranieri. Inoltre il calo di competitività italiana in diversi settori e la concorrenza sempre più spietata può spingere i dirigenti ad adottare delle strategie più aggressive e perciò rischiose allo scopo di cercare di ottenere un vantaggio sui competitors. Un altro fenomeno a cui si sta assistendo negli ultimi anni in Italia nel mondo dell’imprenditoria è quello del ricambio generazionale ai vertici delle piccole/medie imprese (Morelli, 2004): in moltissime società nate a seguito del boom economico (si cita a titolo esemplificativo il miracolo del nord-est), per l’imprenditore fondatore giunge necessariamente il momento di lasciare il comando ai figli, se possibile. Ad essi sono spesso affiancate persone di fiducia del padre che seguono i primi passi del successore guidandolo nei difficili inizi del management, individui che lavorano da anni in azienda o nel settore e che assumono in un simile contesto ruoli dirigenziali. 4
dati tratti dai materiali del Seminario organizzato da Assofondipensione sulla responsabilità civile degli amministratori dei Fondi Pensione Negoziali, Roma 31/01/2011
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Essendo vere e proprie figure professionali, sono molto propensi a indurre la società a sottoscrivere delle polizze che li tutelino a favore della propria responsabilità civile, essendo nella complicata posizione di dover dirigere al meglio un organismo che non appartiene loro. Un ultima casistica da esaminare, comunque collegata all’evoluzione dello scenario aziendale italiano, è quello dei gruppi di impresa (Abriani, 2008): per fronteggiare i pericoli e le complessità e cercare di sfruttare le potenzialità di un mercaato globale, le aziende più dinamiche hanno iniziato un processo di assorbimento di altre società appartenenti al medesimo settore o ad altri collegati per risolvere il problema cronico di sottodimensionamento che esiste nel nostro Paese, in cui la stragrande maggioranza delle società sono PMI. Dalle operazioni infragruppo, non sempre cristalline a onor del vero, possono sorgere molte violazioni dei principi delle normative tali da danneggiare il patrimonio delle controllate, scaturendo così presupposti per azioni di responsabilità.
2.b GOVERNANCE E ORGANI AMMINISTRATIVI DELLE BANCHE DI MINORI DIMENSIONI Tutte le considerazioni espresse nel paragrafo precedente sono generalmente valide per ogni tipo di impresa, a prescindere dalle dimensioni, dal settore di appartenenza e dalla struttura interna. Esaminando invece specificatamente le banche di piccole dimensioni, e le BCC in particolare, emergono numerose particolarità che le differenziano da qualsiasi altro ente e introducono nuove problematiche in merito al rischio di gestione. La struttura gerarchica di una banca, anche quelle di minore dimensione, è solitamente abbastanza articolata e segue una logica funzionale, secondo la teoria di Favotto (2007). Le varie unità (tipicamente la divisione filiali, la divisione operativa e la divisione amministrativa) dipendono direttamente dagli organi amministrativi (consiglio d’amministrazione e direttore generale). All’interno di ogni divisione poi vi sono diversi livelli gerarchici (responsabili, capi-ufficio, direttori di filiale, responsabili di filiale). La ratio che soggiace a questa struttura piramidale è la procedura di affidamento determinata dal regolamento interno: essendo l’esercizio del credito il core business di questa categoria di intermediari finanziari, il maggior sforzo organizzativo e pianificativo si esplica proprio in questa funzione e l’intera struttura della banca è incentrato in essa. Una gerarchia di questo genere conduce ad un accentramento decisionale: la maggioranza delle delibere dei fidi, e in particolare tutte quelle di importo rilevante o in favore di soggetti importanti, vengono ratificate dai massimi livelli, cioè dal direttore generale e dai consiglieri, che quindi ne sopportano quasi interamente il rischio. 8
Il grafico sovrastante mostra l’organigramma della BCC di Cartura: si può notare la struttura di tipo funzionale con diversi livelli gerarchici, a dimostrazione di come sia marcato l’accentramento decisionale.
Ciò premesso, limitare le sorgenti dei rischi di gestione al solo assetto organizzativo e all’accountability delle decisioni in tema di procedure di affidamento non è corretto ai fini della completezza dell’analisi delle motivazioni che spingono sia l’Istituto sia i membri degli organi dirigenziali a ricercare forme di tutela dalle responsabilità che ne seguono. Infatti, le regole di governance delle Società cooperative hanno alcune caratteristiche proprie che le differenziano in maniera sostanziale rispetto a qualsiasi altra forma giuridica e che hanno un impatto consistente sulla rischiosità dell’operato del management (vedesi gli studi di Dell’Atti, 2007). Nello specifico vi sono tre principi che devono essere citati: 1. Nelle votazioni dell’assemblea di una società cooperativa vige la regola del “voto capitario”, in ottemperanza alla disciplina dettata dall’art.2538 del c.c.. Al contrario di quanto accade nelle società di capitali, il numero di azioni o il valore della quota di capitale 9
posseduta dal socio è ininfluente, perché ogni socio ha diritto a un solo voto. La ragione di questa particolare forma di governo sta nella nozione di democraticità che il Legislatore ha perseguito nella formulazione della normativa di questo tipo di Società. 2. In base all’articolo 2525 del c.c., nessun socio può avere quote superiori a 100000 Euro, o, nelle Società con più di 500 soci5, più del 2% del capitale sociale. Si tratta di una vera e propria limitazione alla partecipazione, sempre per assicurare il concetto di parità ed equilibrio all’interno della compagine sociale. 3. Secondo gli articoli 2545 quater e seg. del c.c., gli eventuali utili vanno destinati almeno per il 30% a riserva legale e un ulteriore quota va corrisposta a fondi mutualistici per lo sviluppo della cooperazione (lo statuto sociale della BCC di Cartura impone il 70% a riserva legale). Solo la parte restante può venire distribuita, a condizione che il rapporto tra patrimonio netto e indebitamento sia superiore a un quarto. La BCC di Cartura è ancora più precisa, e meno generosa con i propri soci, dato che lo statuto impone di distribuire al socio utili pari al tasso di interesse dei buoni postali fruttiferi maggiorato di due punti e mezzo sul capitale versato. Queste tre norme hanno lo scopo di mitigare l’interesse dei soci a esercitare forme di controllo della gestione, cosicchè il management gode di una libertà d’azione decisamente maggiore rispetto a Enti di dimensioni simile ma con differenti forme giuridiche. In più, gli amministratori e il direttore generale hanno un altro potere non trascurabile, che dà loro ancora più forza e autonomia rispetto alla proprietà: possono esprimere il proprio gradimento sull’ampliamento della compagine sociale, consigliare su individui da accogliere in essa e il codice civile (articoli 2528, 2532 e 2533) prescrive che siano i membri del CdA a deliberare in materia di ammissione, esclusione e recesso del socio. Neppure certi sistemi di autoregolazione del mercato come gli hostile takeovers sono efficaci nel caso delle BCC: praticamente nessuna di esse (e neanche la BCC di Cartura) ha le proprie azioni quotate presso mercati regolamentati, fatto comunque irrilevante dato che in assemblea il voto è capitario e vi sono limiti alla partecipazione. In ogni caso le BCC non sembrano risentire di questi problemi di equilibri di potere tra proprietà e management, riuscendo a fornire, anche in questo difficile periodo di crisi, performance almeno in linea con le banche commerciali se non addirittura superiori: gli impieghi a giugno 2010 sono cresciuti su base annua del 9,4% (rispetto al 4,8% dell’intero sistema bancario) nonostante un rapporto sofferenze lorde/impieghi migliore (4,6% contro 5,5%)6. Ad ulteriore esempio, nel 2011 il conto economico della BCC di Cartura è rimasto in attivo nonostante la situazione economica, 5 6
La BCC di Cartura ha più di 2400 soci e rientra perciò in questo gruppo Dati reperiti da Paolini R. 2010, Repubblica.it Archivio
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registrando un utile a fine anno di 809.000 euro e riuscendo persino a incrementare i margini di intermediazione e di interesse. In proposito la struttura e le regole di governance delle banche cooperative presentano anche diversi punti di forza rispetto agli altri istituti di credito: la territorialità e la mutualità prevalente. L’obbligo di operare principalmente nei comuni dove è presente una filiale e in quelli contigui restringe considerevolmente la clientela e innesca il meccanismo del peer monitoring: cioè si tratta di un automatismo di controllo fondato sull’appartenere al medesimo gruppo sociale, dato che molto spesso i dirigenti e i clienti sono concittadini o si conoscono anche nella vita privata, così il rischio di comportamenti dettati da moral hazard7 è nettamente minore. Favorisce il controllo sull’operato del management anche l’obbligo di mutualità prevalente: dal momento che i soci sono anche i beneficiari dell’erogazione del credito8, la gestione dovrà essere in grado di rispondere in modo efficace alle esigenze delle imprese gestite dai soci e quindi il benessere e lo sviluppo del territorio di competenza diventa un indicatore della bontà della gestione. Tutto ciò però non è sufficiente a prevenire sempre i fenomeni di mala gestione: basti pensare al caso del Credito Cooperativo Fiorentino, che in tre anni ha creato un buco di 70 milioni di euro ed è stato portato al fallimento9. Se infatti una BCC cresce di dimensioni e supera i confini territoriali all’interno dei quali è nata, oppure la sua compagine sociale diventa troppo grande e diversificata, i meccanismi sopra descritti perdono la loro efficacia. Da qui nasce un’esigenza di tutela per la proprietà.
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Con moral hazard si intende un “fallimento del mercato dovuto al fatto che la parte meno informata non è in grado di controllare i comportamenti della parte più informata”, secondo la definizione di Rosen e Gayer (2010), Scienza delle finanze, pag 161. 8 la maggior parte delle richieste di ammissione a socio sono fatte dagli imprenditori per ottenere tassi migliori sui fidi e i consigli dei direttori sulle stesse sono fatte per rientrare nei parametri della mutualità 9 Dati reperiti dal Corriere Fiorentino, 25 marzo 2012, Marzio Fatucchi, Simone Innocenti
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3. LA RESPONSABILITA’ CIVILE DEGLI AMMINISTRATORI
Finora sono stati esaminati i possibili scenari dai quali possono derivare errori nella gestione o comportamenti che possono recare danno alla società. Rimane da affrontare il tema di come la legge italiana risponda a queste fattispecie: la fonte del diritto è ancora una volta il codice civile, che con gli articoli 2392 (responsabilità verso la società), 2393 (azione sociale di responsabilità), 2393 bis (azione sociale di responsabilità esercitata dai soci), 2394 (responsabilità verso i creditori sociali), 2394 bis (azione sociale di responsabilità nelle procedure concorsuali), 2395 (azione individuale del socio e del terzo) e 2396 (direttori generali) disciplina la responsabilità civile degli amministratori delle società per azioni. Gli studi di Abriani (2008) e Turelli (2008) spiegano che la normativa per le società a responsabilità limitata è molto simile a quella delle s.p.a., anche per la responsabilità verso i creditori sociali, che pur non essendo esplicitata dal codice è da ritenersi comunque valida; le differenze sono situate principalmente nell’azione sociale di responsabilità che può essere intrapresa da ciascun socio, al contrario delle s.p.a. dove il procedimento è soggetto a delibera assembleare o del collegio sindacale oppure promosso da soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale ex art. 2393 bis. Nelle s.p.a. inoltre la società ha la possibilità di rinunciare all’azione di responsabilità con espressa votazione assembleare a meno che non vi sia il voto contrario di una minoranza che rappresenti almeno un quinto del capitale sociale. Da ricordare che l’azione sociale implica anche la revoca dall’ufficio degli amministratori se viene deliberata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. Nei confronti dei soci e della società, gli amministratori devono rispondere a titolo di responsabilità contrattuale per inadempimento (responsabilità che non può essere invocata se gli atti cagionanti il danno siano dovuti all’attuazione di delibere dell’assemblea dei soci), verso i creditori per mancata conservazione del patrimonio che diventa insufficiente a soddisfare le obbligazioni assunte, e verso il singolo socio o terzi se l’amministratore ha compiuto un atto illecito, colposo o doloso che arrechi loro un danno diretto e in questo caso si tratta di responsabilità di natura extracontrattuale. Gli amministratori sono solidalmente responsabili per i danni che arrecano non adempiendo ai loro doveri, come prescritto dall’articolo 2391, tuttavia coloro che non avessero preso parte ai fatti che li hanno causati sono esentati dall’obbligo di risarcimento, sempre che abbiano cercato di impedire il compimento degli stessi, altrimenti la responsabilità graverà anche su di loro per violazione dell’obbligo di vigilanza. Si ha invece sussidiarietà per la responsabilità ex art. 2394 e 2394 bis qualora il patrimonio della società non fosse sufficiente a soddisfare le richieste del danneggiato. 12
Un’altra forma di responsabilità a carico degli amministratori scaturisce quando, in seguito al verificarsi di una causa di scioglimento, proseguano la gestione senza limitarsi alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, come ordina l’articolo 2486 comma I del c.c.: gli eventuali danni a Società e creditori derivanti dalla violazione di questa norma dovranno essere risarciti. Medesimo obbligo di risarcimento nasce in caso di violazione dei principi ex art. 2423 in materia di redazione di bilancio oppure di inadempimento degli obblighi previdenziali e fiscali sempre che l’inosservanza abbia causato danni patrimoniali alla società o a terzi. Un’ultima casistica da osservare è la normativa sul conflitto di interessi, in base alla nuova formulazione dell’articolo 2391 del c.c.: “l’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società.”. Se non provvedesse ad adempiere all’obbligo e il suo voto fosse decisivo per l’approvazione in fase di delibera dell’operazione, dovrà rispondere dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione. Per quanto riguarda il ruolo di direttore generale, se nominato dall’assemblea o previsto dallo statuto, trovano applicazione tutte le norme che disciplinano la responsabilità civile dell’amministratore, in relazione ai compiti a lui affidati, equiparando così a questa figura le necessità di tutela in capo agli amministratori.
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4. LA POLIZZA
In precedenza si è analizzato come la gestione di impresa sia un attività ricca di rischi, sia per chi la esercita sia per l’ente stesso, tale da creare la necessità di uno strumento che ne salvaguardi i patrimoni. La risposta del mercato assicurativo a questa esigenza è la polizza D&O (Directors and Officers). Si tratta di un’assicurazione che copre la responsabilità civile degli amministratori, dei sindaci e dei dirigenti di una Società per errori, negligenze e omissioni commessi nell’esercizio della loro attività causanti danno a terzi o alla Società stessa. Essa viene contratta per tutelare gli amministratori e le Società non solo dalle richieste risarcitorie dei terzi e dai conseguenti effetti patrimoniali, ma anche dall’organizzazione di azioni di tipo amministrativo, penale o regolatorio rivolte contro il management.
4.a LA STORIA DELLA POLIZZA La prima forma di copertura assicurativa a favore degli amministratori risale ai tempi della Grande Depressione negli Stati Uniti d’America (Ross, Dixon & Bell Attorneys, 2002, e Gische e Werner, 2000): in seguito all’US Securities Act del 1933, che imponeva obblighi di disclosure per le aziende che si quotavano in borsa e responsabilità civile per la non correttezza delle informazioni pubblicate10, la Società Lloyd’s di Londra introdusse la “Personal Finance Protection Insurance, visto anche che negli USA non era permesso alle imprese di indennizzare i dirigenti. Questo prodotto tuttavia non riscosse un grande successo, perché ai tempi non c’era ancora una corretta e consapevole percezione dei rischi connaturati alla gestione d’impresa. Il mercato americano ristagnò per circa vent’anni, fino al secondo dopoguerra: le leggi che furono promulgate negli anni Quaranta e Cinquanta, in piena ripresa economica, resero possibile l’indennizzo da parte delle compagnie a favore degli amministratori, rendendo in tal modo il loro patrimonio aggredibile dai terzi che facevano pervenire richieste di risarcimento da azioni di responsabilità contro il management. Questo nuovo rischio diede un impulso decisivo alla domanda di polizze di protezione del patrimonio personale, che furono protagoniste verso la fine degli anni Sessanta di un vero e proprio boom presso il mercato statunitense con numerose altre compagnie che si aggiunsero ai Lloyd’s nel proporre al mercato questo tipo di polizze. Si calcola che, mentre 10
Sarkar, D., 2008
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nel 1965 circa il 10% delle maggiori aziende ne avesse sottoscritta una, entro la fine del 1971 se ne fossero dotate almeno il 70%11. Dagli anni Settanta fino alla prima metà degli anni Novanta lo schema contrattuale delle polizze D&O rimase pressochè inalterato: la copertura era suddivisa in due rami, chiamati “Side A” e “Side B”. Il “Side A” tutelava in maniera diretta il management per le perdite, incluse le spese legali, che la Società non poteva risarcire, come nelle azioni sociali di responsabilità e per le infrazioni del dovere di lealtà, o se per contratto non era tenuta a indennizzare o se si trovava in stato di insolvenza, perciò materialmente impossibilitata a farlo. Il “Side B” invece, da inserire nel contratto di polizza tramite apposita clausola, rimborsava la Società delle spese di indennizzo sostenute a favore degli amministratori. Il mercato americano di questo prodotto assicurativo continuò a svilupparsi, aggiungendo sempre nuove e più raffinate forme di copertura, fino agli anni Ottanta, periodo in cui versò in una profonda crisi (Romano, 1989): i costi delle spese legali e delle richieste di risarcimento crebbero esponenzialmente, rispettivamente del 35% e del 50%, abbattendo la redditività del settore12.
Anno
media spese di risarcimento
media spese legali
1980
$877.361
$318.255
1984
$1.306.000
$461.000
1986
$1.988.200
$592.000
Sicuramente il crollo della Borsa del 1987 e il fallimento nello stesso periodo di banche e imprese petrolifere contribuì al crollo di questo settore: lasciarono il mercato la maggioranza delle maggiori compagnie assicurative (restarono solo i Lloyd’s, AIG e Chubb), e di conseguenza i costi dei premi lievitarono, registrando aumenti addirittura del 200%13, mentre le clausole delle polizze si fecero sempre più restrittive. Finalmente la situazione migliorò a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, grazie alla ripresa economica e al Private Securities Litigation Reform Act del 1995, che diminuì in maniera sostanziale il numero di cause intentate nei confronti delle Società: numerose compagnie assicurative rientrarono nel mercato D&O, aumentando così la concorrenza e la qualità del prodotto offerto e nel contempo i prezzi dei premi calarono nettamente, dimezzandosi tra il 1996 e il 2001.
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Dati del Wholesale Trading Co-Op Insurance Services LLC I dati sia sull’aumento dei costi sia della tabella sono stati presi da Wyatt Survey 1987 13 Dati Wyatt Survey 1987 12
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In questo periodo la polizza D&O iniziò a diffondersi anche nel resto del mondo occidentale, così nacque l’esigenza di adeguare le clausole alle diverse normative vigenti nei vari Paesi: essendo le leggi americane in materia finanziaria molto diverse rispetto al resto del mondo, venne creato il “Side C”, che copriva le Società contraenti solo dalle cause intentate per atti illeciti riguardo i titoli emessi in mercati regolamentati USA, mentre le assicurazioni vendute nel resto del mondo non coprivano, e tuttora non coprono, per le cause d’oltre oceano. In seguito alla recente crisi finanziaria, le società assicuratrici operanti in America si sono viste costrette a pagare milioni di dollari di risarcimento: essendo nel solo settore finanziario fallite più di 250 banche, sono state numerosissime le richieste di risarcimento pervenute dai depositanti e dai creditori. In seguito a ciò le compagnie hanno diminuito l’offerta di polizze D&O con un conseguente aumento del prezzo dei premi anche superiore al 400%. Tuttavia il mercato sta mostrando segnali di ripresa, dato che la situazione economica statunitense sta lentamente iniziando a stabilizzarsi. Tornando all’interno dei confini del nostro Paese, il mercato di polizze D&O non è ancora molto sviluppato, probabilmente anche a causa dell’assenza di tali prodotti emessi da compagnie assicurative italiane14. Tuttavia si calcola che più del 90% delle aziende Large Cap (le Blue Chips) quotate presso Borsa Italiana se ne sia dotato e che si stia diffondendo sempre più anche nelle altre aziende di una certa dimensione, soprattutto nei settori più attenti a questo tipo di strumenti, in primis in quello bancario, mentre, secondo un’indagine condotta da AON Italia nel 2004, solo la metà delle aziende che avevano le loro azioni negoziate nei mercati regolamentati avevano sottoscritto la polizza. A partire dall’inizio del Duemila si è assistito ad un aumento dei prezzi dei premi, a seguito dei casi di responsabilità Enron, Ericcson e Parmalat: la media europea è stata del 24,7%, mentre quella italiana si è attestata intorno al 15-20%, essendo un mercato meno sviluppato15. Tuttavia a partire dal 2004 la richiesta di polizze è cresciuta considerevolmente, anche del 30% all’anno16, e una progressiva stabilizzazione del numero di sinistri denunciati17 (nonostante l’aumento di prodotti venduti) ha abbassato i prezzi del 7%.
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Per precisione Intesa Sanpaolo a partire dal 2011 la propone, pur in collaborazione con la Arch Insurance Company, come da nota stampa marzo 2011 di Intesa SanPaolo 15 dati tratti dai materiali del Seminario organizzato da Assofondipensione sulla responsabilità civile degli amministratori dei Fondi Pensione Negoziali, Roma 31/01/2011 16 dati AON Italia tratti dall’articolo di Puato, A. (2004) 17 dati tratti dai materiali del Seminario organizzato da Assofondipensione sulla responsabilità civile degli amministratori dei Fondi Pensione Negoziali, Roma 31/01/2011
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asasa
Il grafico, tratto dal seminario tenuto da Assofondi il 31/01/2011, mostra il numero dei sinistri denunciati dal 2003 al 2011 in Italia su un campione del 50% del portafoglio italiano. La recente crisi economica ha colpito anche il mercato D&O italiano, analogamente al resto dell’europa: il crescente numero dei sinistri e l’aumento delle spese legali e degli importi delle richieste di risarcimento ha incrementato il prezzo dei premi delle polizze, soprattutto di quelle contratte da imprese operanti nel settore finanziario.
4.b IL CONTRATTO DELLA POLIZZA Analizzando le caratteristiche tecniche di questo tipo di polizza, la procedura di assicurazione prevede che sia l’ente o l’azienda a stipulare il contratto con la società di assicurazioni, mentre gli assicurati sono i membri passati (a meno che la decadenza dal loro ufficio non sia dovuta a interdizione), presenti e futuri degli organi di direzione definiti dagli articoli 2380 bis e s.s., 2409 octies e s.s. e 2409 sexiesdecies e s.s. del c.c., quali Consiglio di Amministrazione, Collegio Sindacale, Comitato Esecutivo, Consiglio di Gestione, Consiglio di Sorveglianza, Comitato di 17
Controllo di Gestione e dirigenti. Rientrano nella categoria di soggetti assicurati anche i dipendenti, lo “shadow director” (azionista di maggioranza della società che, pur non rientrando nel quadro direttivo, di fatto detta le linee guida della gestione aziendale), e i coniugi, gli eredi e i legali rappresentanti degli amministratori, dirigenti e sindaci per gli atti illeciti di questi ultimi. Oggetto dell’assicurazione sono tutte le perdite derivanti da una richiesta di risarcimento notificata da terzi per la prima volta nei confronti degli assicurati durante il periodo di assicurazione per un atto illecito, anche relativo a rapporti di lavoro, commesso dopo la data di retroattività stabilita tra le parti. Punto essenziale è la formula “notificata per la prima volta” in quanto in fase di stipula viene prospettato al contraente un questionario in cui deve dichiarare ogni richiesta di risarcimento avanzata nei confronti della società e anche eventuali fatti di cui sia a conoscenza che possano dare adito a simili richieste in futuro, che ovviamente non verranno coperte. Per di più l’assicuratore si impegna a rifondere alla Società e agli assicurati tutte le spese di rappresentanza legale in riferimento a un’indagine per la quale è richiesta la presenza di un assicurato e/o che la Società è giuridicamente obbligata o autorizzata a pagare agli assicurati. Questo ulteriore rimborso non viene normalmente compreso nel massimale della polizza, poiché le spese in eccesso allo stesso, come d’altro canto prescritto dall’articolo 1917 comma III del c.c., che determina nel 25% il limite massimo di spese che l’assicuratore è tenuto a liquidare in eccedenza. E’ altresì importante la data di retroattività: per tutelarsi in maniera completa viene spesso scelta la data di iscrizione presso il Registro delle Imprese. Inoltre, a parziale deroga all’articolo 1900 comma 1 del c.c., che dichiara che: “L’assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo o da colpa grave del contraente, dell’assicurato o del beneficiario, salvo patto contrario per i casi di colpa grave”, la copertura assicurativa viene effettivamente estesa alla colpa grave degli assicurati. Merita ugualmente un breve approfondimento il periodo di assicurazione in quanto la polizza D&O è di tipo “claims made”: di ideazione anglosassone, con questa formula vengono accolte le richieste di risarcimento inoltrate durante il periodo di validità contrattuale, a prescindere dal momento in cui sia venuto a sussistere il fatto che l’abbia cagionate, salvo che l’assicurato non ne fosse a conoscenza al momento della stipula. Questa clausola si discosta dall’articolo 1917 I comma del c.c. che prevede che “Nell’assicurazione della responsabilità civile, l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto. […]” e neppure la giurisprudenza ha dato una risposta univoca: mentre la Corte di Cassazione l’ha considerato un contratto atipico meritevole di tutela18, il Tribunale di Milano l’ha considerata 18
1: Cassazione Civile, sentenza 15 marzo 2005 n. 5624.
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clausola vessatoria19 rendendo necessaria la doppia approvazione di cui all’articolo 1341 del c.c. per validarla. Riassumendo il claim made in uno schema:
PERIODO DI EFFICACIA DELLA COPERTURA
RETROATTIVITA’ (se prevista)
PERIODO DI ASSICURAZIONE
EXTENDED REPORTING PERIOD (se previsto)
PERIODO UTILE PER LA DENUNCIA DEI SINISTRI
L’extended reporting period, altrimenti detto discovery period, consiste in un ulteriore clausola inseribile nel contratto che garantisce l’assicurato anche per le richieste pervenute in un certo periodo di tempo successivo alla scadenza della polizza, usualmente compreso tra i trenta e i sessanta giorni. Intendendo gli atti illeciti come qualsiasi violazione reale o presunta di un dovere fiduciario, errore, omissione, errata e/o falsa dichiarazione, negligenza o violazione di doveri da parte di un assicurato mentre agisce in qualità di amministratore, dirigente o dipendente della società o di una società partecipata, la gamma di soggetti terzi tutelata è molto vasta: in primis la società stessa in caso di azione sociale di responsabilità ai sensi dell’articolo 2393, 2393 bis, 2409 decies e 2476 del c.c. per l’inadempimento degli obblighi imposti ad amministratori e dirigenti dalla legge o dall’atto costitutivo e i soci nell’eventualità di un’azione sociale (art. 2393 bis del c.c.) o individuale (art. 2395) di responsabilità, qualora siano stati direttamente danneggiati dall’operato degli assicurati. Sono inoltre garantiti i creditori sociali, per l’inadempimento degli obblighi riguardanti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale conformemente all’articolo 2394 del c.c., i concorrenti per concorrenza sleale e violazione della normativa Antitrust e i curatori fallimentari, commissari liquidatori, commissari straordinari per fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria ai sensi dell’articolo 2394 bis del c.c.. Infine sono garantite anche le richieste di risarcimento per qualunque altro procedimento civile, arbitrale, penale, amministrativo o 19
2: Tribunale di Milano, giudice Spera, sentenza 18 marzo 2010 n. 3527.
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di un’autorità di vigilanza intrapreso nei confronti dell’assicurato per uno specifico atto illecito e possono essere comprese anche le richieste dovute a danni ambientali o inquinamento, se previste da apposita clausola contrattuale. Un’estensione molto importante e presente nella maggior parte delle polizze D&O è la cosiddetta “Employment Practice Liability”, che va a coprire anche il rischio derivante dalle azioni legali intraprese da dipendenti, ex dipendenti e amministratori contro gli assicurati a seguito di controversie sorte durante il rapporto di lavoro, aspetto fondamentale data la crescente coscienza riguardo questo tipo di problematiche e quindi il moltiplicarsi di cause di questo genere. Di conseguenza l’ente assicuratore pagherà anche in caso di licenziamento illecito o illegittimo, dimissioni rassegnate per fatto o colpa del datore di lavoro o impugnate per vizi della volontà, violazione scritta o verbale del contratto di lavoro, falsa rappresentazione della posizione di lavoro, discriminazione, molestia, ingiusto diniego di assunzione o promozione, ingiusta privazione di opportunità di carriera, ingiusta forma di disciplina, errore nel determinare una posizione o valutazione negligente, errore nel fornire accurate referenze, invasione della privacy, ritorsione (intesa come atto illecito susseguente o alla divulgazione o intenzione di divulgare un qualunque atto compiuto dall’assicurato supposto in violazione di legge o a un reale o tentato esercizio da parte del prestatore di lavoro di un diritto in capo allo stesso per legge) e ogni altra violazione di doveri commessa da o per conto dell’assicurato in relazione ad un rapporto di lavoro con la Società di qualsiasi prestatore di lavoro passato, presente o potenziale. Naturalmente all’interno del contratto sono contemplati casi di esclusione, cioè fattispecie in cui l’assicuratore non è tenuto a pagare alcunchè per le perdite degli assicurati: se questi ultimi hanno commesso azioni o omissioni dolose o fraudolente o ottenuto vantaggi o utilità personali di cui non avevano diritto, se i fatti sono avvenuti prima della data di retroattività o se la Società o l’assicurato erano a conoscenza o avrebbero dovuto ragionevolmente conoscere il fatto che ha causato la richiesta di risarcimento prima della data di decorrenza del periodo di assicurazione. I fattori che concorrono alla determinazione del premio annuale possono essere suddivisi in tre gruppi: I.
Clausole contrattuali: il premio cresce con l’aumento della copertura offerta all’assicurato, ad esempio viene influenzato dal massimale di copertura perdite, dalla presenza dell’employment practice liability e di ogni altra clausola che estende le garanzie previste dal contratto standard, dell’extended reporting period o dal limite stabilito per il rimborso delle spese legali.
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II. Variabili esogene rispetto all’azienda: entrano in gioco elementi dovuti al mercato, come la sua rischiosità, quantificabile tramite numero di sinistri denunciati, la domanda di polizze e il livello della concorrenza fra le Imprese assicuratrici. III. Variabili endogene rispetto all’azienda: il premio è condizionato dalle dimensioni dell’azienda, dalla presenza di società partecipate o controllate, dalla rischiosità passata dell’azienda (ad esempio se i revisori contabili hanno sollevato rilievi sui bilanci), dal settore in cui opera l’azienda, dalla complessità e tecnicità dell’operatività e gestione quotidiana e straordinaria del management (anche dal punto di vista del rispetto della normativa vigente nel settore), se vi sono precedenti azioni legali intraprese nei confronti degli assicurati.
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5. I VANTAGGI DELLA TUTELA OFFERTA DALLA POLIZZA D&O
Dopo aver discusso i problemi e le incognite che affronta il management nella gestione di un’impresa, e più specificatamente di una banca, e aver studiato i termini, le clausole e le questioni tecniche del contratto tipo di una polizza D&O, l’analisi qui presentata si dirige verso una tematica assai importante nel processo che porta alla decisione di sottoscrivere questa copertura assicurativa: quali sono i benefici effettivi che un’assicurazione di questo tipo reca ai soggetti che se ne dotano, anche al di là dei rischi diretti che vengono trasferiti all’assicuratore. Le utilità che se ne traggono sono numerose e relative a vari sfere economiche: infatti si passa dai vantaggi ricavabili dalla tassazione, di ambito prettamente tributario, a vantaggi pertinenti ai settori finanziari e assicurativi, che spaziano dalla fiducia dei mercati al miglioramento della concorrenza. In sostanza da questo elenco traspare che questo strumento va ad influire positivamente non semplicemente nella vita della sola società contraente o dei dipendenti assicurati, ma ne traggono giovamento, a volte alquanto inaspettatamente, un buon numero di soggetti. Parrebbe già sufficiente a giustificare la bontà della decisione di sostenere la spesa per il premio annuale la totale copertura per errori e negligenze commessi nella gestione dovuti persino a colpa grave. La riforma Vietti citata nei paragrafi precedenti ha sicuramente aggravato di responsabilità il ruolo di amministratore di società, rendendolo più complesso dal punto di vista tecnico e giuridico: aggiungendosi ad esso l’incremento della litigiosità, appare necessario dotarsi di uno strumento che tuteli il patrimonio, rimborsando anche le spese legali. I dati sono chiari: nel mercato americano le aziende di maggiori dimensioni hanno il 63% di possibilità di incorrere in cause di responsabilità verso i dirigenti20, mentre allargando leggermente la cerchia dei soggetti considerati si arriva a una media di 1.64 cause per azienda, e il numero sale ulteriormente se si guarda al settore finanziario, dove il numero medio di cause per ente sale a 6,69. Rientra nell’interesse della società disporre di uno strumento che tuteli il proprio management, che deve disporre di una certa tranquillità nell’operare nel mercato odierno, così complesso e mutevole e quindi richiedente operazioni rischiose per ottenere il successo, e che però allo stesso tempo garantisca il risarcimento se, in seguito a illeciti, l’azione di responsabilità ai sensi dell’articolo 2392 del c.c. va a buon fine. Non bisogna dimenticare inoltre che le Società possono trovarsi nella situazione di dover concorrere con gli amministratori nel rimborsare coloro che facciano pervenire delle richieste di risarcimento. A tal proposito si può citare come esempio la sentenza n. 25946 della Corte di Cassazione - Sezione I civile - del 21 settembre - 5 dicembre 2011: il verdetto infatti ha obbligato la società, la Banca 20
Wyatt Report 1997 ricavati da Gische e Fishman, pag 3.
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Popolare dell’Irpinia, in solido con gli amministratori a risarcire il danno causato dall’atto illecito di quest’ultimi subito da un’azionista (i suoi titoli durante una fusione erano stati trasferiti senza un preventivo accordo), che aveva intrapreso un’azione di responsabilità, in virtù del rapporto di lavoro che intercorre tra i soggetti, se l’atto compiuto rientra nell’attività d’impresa coerentemente ai fini istituzionali che essa si è posta. Anche la normativa dei gruppi societari prevede alcune situazioni in cui la società è chiamata a rispondere patrimonialmente dei danni causati dal management. Si immagini che la holding sia gestita direttamente dagli amministratori (per esempio se la proprietà è molto frazionata, senza azionisti di maggioranza) e che questi procurino danni durante la gestione al patrimonio di una controllata. A seguito di ciò si creano i presupposti per un’azione di responsabilità ex articolo 2497 del c.c. che sanziona il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione dei soci. Con l’articolo 90 del d.lgs. 8 luglio 1999, n.270 il legislatore ha introdotto responsabilità solidale tra la società e chiunque altro abbia preso parte al fatto lesivo, quindi gli amministratori e anche dei sindaci se non hanno vigilato adeguatamente sulle operazioni compiute in violazione dei diritti dei soci delle controllate. Così la capogruppo potrà rivalersi sui loro patrimoni personali e necessita di uno strumento che garantisca un semplice recupero delle somme a lei spettanti. Bisogna anche considerare che questa formulazione del decreto legislativo può far concorrere alla responsabilità solidale della capogruppo anche gli amministratori della società controllata: essi hanno il dovere di vigilare sull’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento della holding e venendo meno a questo ufficio non possono essere considerati esenti da colpe. Anche in questo caso torna in aiuto la polizza D&O che estende la copertura anche agli amministratori della controllata se non si aumenta l’attivo patrimoniale della capogruppo oltre il limite di acquisizione fissato nel contratto. Senza dimenticare che vi è una garanzia ulteriore, impegnandosi l’Assicuratore a rimborsare tutte le spese che la Società è obbligata, o consentita, ad pagare agli assicurati come anticipo o rimborso dovute alle richieste di risarcimento pervenute loro dopo atti illeciti, comprese le spese di rappresentanza legale. La sottoscrizione di una polizza D&O diventa ancora più conveniente se ci appoggia a un’agenzia che presta servizi di brokeraggio assicurativo. Riconoscendole una provvigione, calcolata di solito come percentuale del premio imponibile, essa si preoccuperà dell’intera gestione del contratto stipulato. In questo modo una buona parte delle responsabilità del rapporto tra Assicuratore e assicurato graveranno sul broker, che dovrà garantirne il buon fine: risponderà dell’autenticità delle firme, si occuperà dell’iter burocratico della denuncia dei sinistri, dei pagamenti, dovrà risarcire l’Assicuratore in caso di mancato perfezionamento, alleggerendo di molto la posizione dell’impresa, che così non dovrà assumere personale che segua attentamente questo percorso, o sottrarre ore di lavoro ai dipendenti già presenti per dedicarsi a essa, e soprattutto non dovrà 23
preoccuparsi in nessuna maniera della gestione operativa di questa polizza, che in quanto prodotto poco conosciuto e complesso non è sempre facilmente gestibile da personale non specializzato. Un’obiezione che può essere posta alla sottoscrizione è che il pagamento del premio è comunque un costo da addebitare all’esercizio. In questo periodo di crisi, in cui le aziende cercano di tagliare le spese per fronteggiare il calo della redditività, alcune imprese, soprattutto quelle più piccole o in difficoltà,
possono
essere
restie
ad
affrontare
una
spesa
per
un
rischio
aleatorio.
Quest’argomentazione ha innegabilmente una sua validità e per controbatterla si invoca il trattamento contabile e fiscale delle spese per assicurazione, senza dubbio favorevole, come ci portano ad affermare Cerbioni, Cinquini e Sòstero (2006), Vasapolli e Vasapolli (2010) e Antonelli e D’Alessio (2006) . I principi contabili nazionali 2011 indicano che le spese dei premi assicurativi rientrano tra i costi della produzione (B), e in particolare sono costi per servizi, categoria b7 del conto economico, cioè sono oneri certi “derivanti dall’acquisizione di servizi nell’esercizio dell’attività ordinaria dell’impresa21”. Per quanto riguarda l’IVA, il decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 nell’articolo 10 specifica che le operazioni di assicurazione, riassicurazione e vitalizio ne sono esenti, aspetto importantissimo, dato che non sorgeranno crediti o debiti IVA né al momento del pagamento del premio né soprattutto in caso di indennizzo risarcitorio. Perciò, volendo fare un esempio, le scritture contabili che deve tenere l’impresa Emme a seguito del pagamento del premio annuale di 1000 Euro, liquidato tramite in contanti in data 2 gennaio sono le seguenti: Data
Conto
Dare/Avere Dare
02/01/….
Premi assicurativi
D
02/01/…
Debiti verso fornitori
A
02/01/…
Debiti verso fornitori
D
02/01/…
Cassa
A
Avere
1000 1000 1000 1000
Il mastrino “premi assicurativi” verrà poi inserito nella categoria b7 sopra citata.
Il punto su cui bisogna focalizzare l’attenzione è il trattamento fiscale che deriva da una simile classificazione. Facendo parte dei costi della produzione, il premio pagato alla società assicurativa sarà interamente deducibile sia ai fini del calcolo IRES sia ai fini del calcolo IRAP, per questa ragione il costo effettivo sopportato dall’azienda sarà il premio pagato all’assicuratore meno il 21
Principi contabili nazionali 2011, il testo completo dei nuovi documenti OIC e dei principi contabili rivisti, Gruppo 24 ore, Milano
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risparmio d’imposta, quantificabile nell’importo del premio moltiplicato per l’aliquota IRES più la stessa cifra moltiplicata per l’aliquota IRES. Sfruttando i numeri dell’esempio precedente, il costo effettivamente sopportato dall’impresa Emme sarà: Premio annuale - [(premio annuale * aliquota IRES) + (premio annuale * aliquota IRAP)] 1000 – [(1000 * 27.5%) + (1000 * 3,90%)] = 686 € (risparmio 314 €) Bisogna inoltre tener conto che per le banche ed altri enti e società finanziari è prevista una maggiorazione di aliquota ai sensi dell’art. 6 del Decreto Legislativo n. 446 del 15 dicembre 1997 (in Veneto l’aumento è dello 0.92% per un’aliquota complessiva del 5,57%)22 che rende il risparmio d’imposta ancora più consistente. Altro aspetto molto interessante per le imprese dal punto di vista sella tassazione è il trattamento dei rimborsi ricevuti dall’Assicuratore a seguito dei sinistri verificatisi. Essi sono esenti da IVA, come specificato in precedenza, e rientrano nella base imponibile IRES: invece sono totalmente ininfluenti ai fini del calcolo IRAP, perciò si tratta di entrate non tassate. L’articolo 88 del T.U.I.R. stabilisce che le “indennità conseguite titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, di danni diversi da quelli considerati alla lettera f) del comma 1 dell'articolo 85 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 86”23 sono da considerarsi sopravvenienze attive (le eccezioni avocate dal testo sono i risarcimenti dovuti alla perdita o danneggiamento di beni). La spiegazione della norma sta nel fatto che i costi a cui sono collegate sono gli accantonamenti a fondo per contenzioso civilistico, che non contribuiscono a formare la base imponibile IRAP, e di conseguenza nemmeno i risarcimenti ne faranno parte. Se si considerano invece le norme sulla tassazione del reddito da lavoro dipendente, si riscontra che anche esse sono favorevoli agli amministratori che beneficiano della copertura della polizza D&O. Infatti nel caso in cui l’assicurazione sia stata stipulata successivamente ad una delibera dell’assemblea (come è avvenuto nella BCC di Cartura), l’Agenzia delle Entrate, secondo la risoluzione n. 178/E del 9 settembre 2003, non ritiene il premio un compenso in natura a favore dell’amministratore e per tal motivo esso non concorre nel calcolo dei redditi. Questo accade perché la sottoscrizione non dipende dalla volontà dei dirigenti ma da un obbligo sorto dalla deliberazione, con la precisa intenzione societaria di proteggere se stessa e il management da eventuali azioni di responsabilità civile e perché gli eventuali risarcimenti versati dalla compagnia di assicurazione all’assicurato sono indennizzi a fronte del danno patrimoniale dovuti alle azioni di responsabilità. Terminata l’analisi degli aspetti positivi dei profili contabili e fiscali della polizza D&O, si procede ora con un ulteriore contributo che una maggiore diffusione di questo prodotto assicurativo 22 23
Aliquote tratte dal sito www.regione.veneto.it Articolo 88 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, DPR n. 917 del 22 dicembre 1986
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potrebbe dare all’azienda che l’adotta, forse il più importante in assoluto, perché potrebbe avere effetti anche di dimensione macroeconomica. Il mondo economico e finanziario ha vissuto dei momenti davvero bui negli ultimi quindici anni, a livello mondiale e nazionale, che hanno messo in grave difficoltà gli investitori italiani, che hanno visto sfumare i loro risparmi: la bancarotta fraudolenta di Parmalat, il caso delle obbligazioni Cirio, il default dell’Argentina. Infine a partire dal 2007 dopo il crac dei mutui subprime americani e il fallimento Lehman nel 2008 (proprio in questi mesi si stanno restituendo delle somme a coloro che avevano impiegato il proprio denaro nei titoli di questa società grazie alla procedura del Chapter 11 del codice fallimentare statunitense, nell’ordine del 6-7%24 del capitale iniziale, cifre davvero irrisorie), è iniziata la più profonda crisi della storia, paragonabile forse solo alla Grande Depressione del 1929, nell’economia reale e soprattutto nei mercati finanziari. Contrazione del credito, crolli delle quotazioni dei titoli, periodi di elevata volatilità in Borsa; le criticità si sono diffuse in tutto il mondo. In Europa poi nel 2011 è cominciata la crisi del debito sovrano: in primis la Grecia, che è stata ed è tuttora sull’orlo del fallimento, con il successivo contagio di Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia (e, molto lievemente, anche la Francia soprattutto per l’esposizione delle banche verso gli Stati più colpiti). Nella nostra Nazione si è assistito a grossissimi incrementi dei rendimenti dei titoli di Stato, con grande sofferenza delle banche che detenevano i titoli di quei Paesi (il loro attivo è stato svalutato), con il nuovo governo Monti costretto a effettuare manovre correttive consistenti in tagli alla spesa pubblica e aumenti delle tasse per evitare conseguenze ben peggiori. Tutti questi avvenimenti hanno condotto al seguente risultato: un clamoroso calo della fiducia delle persone nei confronti delle istituzioni del mercato finanziario. Fiducia che va necessariamente recuperata, specialmente data l’importanza dello sviluppo di questo settore dell’economia: il calo delle pensioni con l’invito a sottoscrivere forme complementari, la necessità di trovare nuovi capitali esteri per investire nelle aziende (vi era stata una grande occasione con l’allargamento UE), il crollo del valore delle azioni delle banche quotate costrette poi a ricapitalizzare (come Unicredit e Montepaschi) collegato all’impellente bisogno di raccogliere risparmio per le banche italiane per adempiere agli obblighi di Basilea. Come si inserisce la polizza D&O in questo contesto? Potrebbe essere uno strumento assai immediato da introdurre per coaudiuvare e velocizzare il processo di recupero della fiducia. L’idea di fondo che ha trainato le nuove regolamentazioni di ambito finanziario è stata la ricerca di tutela delle minoranze e del piccolo investitore: ad esempio nel nuovo codice del consumo25 è stata disciplinata l’azione collettiva sul modello della class action americana. Tuttavia, come in tutti i
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Vedi la sentenza della United States Banckruptcy Court Southern District of New York dell’11 aprile 2012 Vedi art. 49 della legge 23 luglio 2009 n. 99
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procedimenti legali, non è assolutamente certo l’esito positivo per colui che intraprende la causa né, una volta vinta, ottenere le cifre stabilite per il risarcimento. Un risultato che pare assolutamente insoddisfacente, anche alla luce della lunghezza dei tempi processuali che contraddistingue procedure di questo genere e dei costi spesso molto elevati che devono sostenere le parti (si pensi ad esempio alle perizie degli esperti che devono analizzare i conti e le operazioni). Pure nel caso della vittoria della difesa i problemi non scompaiono di certo, perché il patrimonio degli amministratori e dell’azienda è stato inficiato dalle spese legali. Perciò occorre uno strumento che dia ai terzi o agli amministratori la sicurezza del rimborso, quale si propone di essere la polizza D&O. Il passaggio decisivo potrebbe essere un intervento del legislatore, volto magari a favorire o persino a rendere obbligatoria la sottoscrizione di questa assicurazione per le Società che emettono titoli nei mercati regolamentati e per coloro che operano negli stessi (aggiungendo magari l’estensione Errors and Omissions che cautela le società che svolgono attività di servizi finanziari per quanto riguarda le fasi di negoziazione e consulenza alla clientela per gli errori e le omissioni, colpe che spesso vengono contestate da coloro che fanno investimenti sbagliati): in questo modo ogni singola operazione che coinvolga Enti finanziari in Italia sarebbe garantita da una copertura pressochè totale a favore degli investitori. Sarebbe un enorme passo avanti: colui che si approcia a acquisire strumenti finanziari dovrebbe preoccuparsi solo dei rischi propri del mercato e del business dell’azienda e non più di quello di mala gestio dei management delle imprese nelle quali investe, in quanto esso verrebbe ripartito tra l’intero numero di soggetti presenti sul mercato. Non sarebbe nemmeno un percorso troppo difficile da intraprendere, perché il costo del premio è molto contenuto e non graverebbe sui bilanci delle società e ci sono già alcune compagnie che offrono polizze D&O alle aziende italiane, come Lloyd’s e ACE. In aggiunta ne potrebbe trarre benefici di riflesso anche il settore assicurativo: una grande diffusione di quest’assicurazione porterebbe presumibilmente anche le compagnie italiane a proporla alla clientela, aumentando così la concorrenza (che farebbe calare il prezzo dei premi migliorando contemporaneamente la qualità dei pacchetti), creando nuovi posti di lavoro e magari, in caso di successo, contribuirebbe a migliorarne la reputazione, dato che è un settore che non gode di ottima fama presso i consumatori, dati gli scandali in materia di polizze RC auto.
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6. ALCUNI ASPETTI NEGATIVI
Ai fini della completezza dell’argomentazione sin qui proposta, si vogliono ora passare in rassegna alcuni elementi di criticità congeniti alla polizza D&O o che derivano dall’adozione sistematica di questo strumento. La parola usata in precedenza, “congeniti”, aiuta a comprendere che i problemi che affliggono il settore delle assicurazioni in generale non risparmiano questa polizza: la poca concorrenza nel settore accresce il potere delle compagnie che possono praticare prezzi più elevati rispetto a Paesi dove la copertura D&O è più diffusa. Inoltre, neppure la presenza di diverse società assicurative garantisce l’equità dei premi, dato che possono accordarsi per formare un cartello, come il caso delle assicurazioni RC auto dimostra: l’effetto di quest’accordo illecito si è palesato in un costante aumento dei prezzi nonostante il calo dei sinistri e della mortalità sulle strade. La medesima situazione potrebbe verificarsi nel mercato D&O se le Autorità di settore non saranno attente nella loro opera di vigilanza. Inoltre le compagnie assicurative non sempre sono così celeri e disponibili a rimborsare i sinistri denunciati, probabilmente anche per i comportamenti non sempre corretti della parte lesa. Difatti accade frequentemente che le richieste di risarcimento abbiano importi decisamente più elevati dell’effettivo danno patrimoniale subito, richieste avvalorate non di rado da perizie infondate, condotta ancor più grave: questo fenomeno potrebbe essere ancora più rilevante nel mondo finanziario, dato che talvolta le operazioni possono svolgersi in ambienti non sempre trasparenti, dove talvolta risultano poco chiari persino i soggetti che l’abbiano eseguita. Per quanto riguarda la determinazione del premio, si sono fatti grandi passi avanti con gli obblighi di disclosure introdotti dalla riforma Vietti e dalla normativa europea di Basilea, cosicchè è diventato molto più facile per le compagnie assicurative l’accesso alle informazioni sulla situazione economica e patrimoniale e sulla gestione delle imprese potenziali clienti, aiutando l’identificazione della rischiosità. Tuttavia per le società di minori dimensioni rimane ancora una certa opacità che rende difficile l’accertamento della reale situazione aziendale e fondamentali le risposte del questionario che viene proposto in fase pre contrattuale, confidando nella veridicità delle affermazioni. Le complicazioni non riguardano solamente il rapporto tra assicurato e assicuratore, poiché la sottoscrizione di una polizza D&O potrebbe influenzare anche l’operato del management. Se è stato in precedenza evidenziato come la garanzia sul patrimonio personale permetta agli amministratori di dedicarsi con maggiore serenità alla gestione, fattore fondamentale per assumere le ardue e complesse decisioni che si prospettano nei momenti di crisi, oppure in segmenti dell’economia 28
particolarmente dinamici, come quello tecnologico o quello finanziario, è anche vero che esiste un rovescio della medaglia. Il fatto che i propri beni possano essere aggrediti dai terzi danneggiati dalle decisioni che si dimostrano errate era un innegabile freno ai comportamenti rischiosi, mentre la tutela D&O potrebbe sollevare dei problemi di moral hazard, secondo la teoria di Berk e DeMarzo (2008): non è da escludere la possibilità che vengano intraprese delle operazioni sproporzionate e non in linea con le strategie aziendali, oppure troppo rischiose, per accrescere il prestigio e la visibilità dei dirigenti, magari motivate dalla visione ottimistica che hanno sul proprio operato, operazioni incoraggiate proprio dalla garanzia che offre la polizza.
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7. UN CASO DI APPLICAZIONE
Per concludere l’argomentazione si ritiene utile portare un esempio concreto dell’utilizzo della polizza D&O. Purtroppo, ma sarebbe meglio dire fortunatamente, non sono pervenute agli amministratori e ai dirigenti della BCC di Cartura richieste di risarcimento da quando l’assicurazione è stata sottoscritta, perciò ci si servirà di fatti accaduti a un altro ente: a tal scopo si è scelto di prendere in esame alcuni fatti correlati al fallimento della Lehman Brothers Holdings Incorporation, illustrati dall’articolo di LaCroix (2011). Sono note a tutti le tristi vicende in merito al tracollo finanziario che ha travolto nel 2008 la quarta più grande banca d’investimento degli Stati Uniti, costretta a ricorrere al capitolo 11 del codice fallimentare U.S.A. (simile a un concordato preventivo), in seguito alle grosse perdite provocate dalla crisi dei mutui subprime e dal successivo credit crunch che afflissero il mercato finanziario americano nel 2007, dando vita al più grosso fallimento della storia, superiore come numeri anche al caso Enron, Gli investirori americani che hanno visto sfumare i propri risparmi hanno intentato cause civili contro i membri del consiglio di amministrazione e l’ex presidente e CEO (Chief Executive Officer) Richard S. Fuld Junior, sotto forma di class actions, atte a ottenere dei rimborsi dai dirigenti per le irregolarità riscontrate durante la gestione del colosso finanziario. In particolare nell’agosto 2011, durante un processo svoltosi alla Federal Bankruptcy Court di Manhattan, gli amministratori Lehman hanno richiesto al giudice di patteggiare un pagamento di 90 milioni di dollari a titolo di risarcimento: la causa era stata intentata da un gruppo di investitori che aveva acquistato titoli azionari Lehman. L’accusa mossa ai membri del CdA era di aver emesso al pubblico comunicazioni false e fuorvianti e averne omesse altre nei mesi precedenti al dissesto, ingannando gli azionisti sull’integrità del patrimonio della banca e sull’andamento della gestione, nonché di aver violato l’US Securities Act del 1933 sempre in materia di informazioni pubblicate su titoli negoziati. Contemporaneamente è stata fatta la medesima richiesta per un’altra causa, avanzata questa volta dalla Divisione Investimenti del Dipartimento del Tesoro dello Stato del New Jersey, per una cifra di 8,25 milioni di dollari. La spiegazione di una simile istanza da parte degli accusati risiede nel fatto che la Lehman Brothers aveva sottoscritto delle polizze D&O. Infatti per il periodo tra maggio 2007 e maggio 2008 era stata stipulata una polizza con la compagnia assicurativa XL Specialty Insurance Company, il cui massimale era pari a 20 milioni di dollari a cui si aggiungevano clausole estensive (16 in tutto il cui 30
valore era circa di 15 milioni l’una) che portavano il massimale onnicomprensivo a copertura della responsabilità civile degli amministratori all’incirca a 250 milioni di dollari. Questo capitale era già stato eroso in gran parte dalle spese legali: i pool di avvocati erano già costati più di 70 milioni di dollari a ottobre 2010, assunti per difendersi dalle numerose cause intentate da ogni genere di stakeholder: in primis quelle degli azionisti, poi quelle connesse all’investimento nei mercati dei titoli subprime e infine quelle per i titoli di ogni altro genere emessi da Lehman, senza contare le azioni di ispezione comandate dalla SEC e dagli altri organismi statali. Nonostante tutte queste spese però, la parte lesa per il momento non aveva ragione di temere, perchè l’intero ammontare dei risarcimenti, cioè 98,25 milioni di dollari verrà pagato dalle società di assicurazione, se la richiesta verrà accolta dalla corte. Infatti i fatti contestati rientrano all’interno delle categorie di illeciti che la polizza tutela e il massimale di copertura è ancora sufficientemente ampio. D’altro canto i managers inquisiti vedranno il proprio patrimonio personale lasciato intatto, al pari della Lehman che non dovrà indennizzarli, tanto più che provare la loro colpevolezza per il reato di falso in bilancio sembra alquanto difficile, e in aggiunta, siccome il processo non proseguirà, non dovranno nemmeno giustificare le loro azioni. Forse considerare che i protagonisti del più grande fallimento della storia americana, che ha rovinato migliaia di persone, e ha contribuito a scatenare la crisi più profonda che il mondo non vivesse da decenni, siano esonerati dal pagamento dei danni non è così corretto dal punto di vista etico. L’opinione pubblica, ancora giustamente molto indignata, avrebbe sicuramente gradito vedere i dirigenti pagare di propria tasca per gli errori commessi. Tuttavia questo sentimento non può condannare in maniera assoluto la scelta fatta, perchè una soluzione di questo genere non favorisce solo i colpevoli, ma anche la parte lesa: lo scopo di un’azione civile è compensare coloro che hanno subito un danno, e, dato che recuperare ingenti somme di denaro dal patrimonio personale di un individuo è spesso molto complesso, se non impossibile, è perciò ipotizzabile che gli avvocati che hanno proposto la class action abbiano optato per il patteggiamento per assicurare una soddisfazione ai propri clienti almeno dal punto di vista economico. Quest’ipotesi sembrerebbe confermata dal timing di quest’accordo, giunto proprio quando il capitale assicurato aveva margini ancora sufficientemente ampi nonostante le numerose altre cause in atto, con le relative spese legali in rapidissima crescita, soprattutto data la minaccia che anche la SEC potesse intraprendere vere e proprie azioni penali, da cui potranno pervenire le vere e proprie pene che colpiranno direttamente gli amministratori Lehman.
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