UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E AZIENDALI “M.FANNO”
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA E DIREZIONE AZIENDALE TESI DI LAUREA
“TRAVEL RETAIL: IL BUSINESS MODEL DEI LUOGHI DI TRANSITO”
RELATORE: CH.MO PROF. BELUSSI FIORENZA
CORRELATORE: C.MO PROF. SAVARESE MARIA FRANCESCA
LAUREANDO: FALZONE SANDRO ENEA MATRICOLA N. 1061714
ANNO ACCADEMICO 2013 – 2014
Sommario INTRODUZIONE ............................................................................................................................. - 1 -
CAPITOLO 1 – BUSINESS MODEL OVERVIEW...................................................................... - 4 1.1 La necessità di un linguaggio condiviso: la definizione di business model .............................. - 4 1.2 Come è fatto: gli elementi che contribuiscono alla creazione del business model .................... - 6 1.3 A cosa serve: le funzioni di base del business model .............................................................. - 11 1.4 Come si crea: i diversi approcci al business model ................................................................. - 17 1.5 Il rapporto con la Strategia ...................................................................................................... - 22 -
CAPITOLO 2: IL TRAVEL RETAIL .......................................................................................... - 25 2.1 Il concetto di travel retail ........................................................................................................ - 25 2.2 Il travel retail: unicità del modello di business ed evoluzione degli spazi.............................. - 31 2.3 I prodotti del travel retail: differenze con gli altri luoghi d’acquisto...................................... - 45 -
CAPITOLO 3: IL BUSINESS MODEL DEL TRAVEL RETAIL: CLIENTI E MOTIVAZIONI 52 3.1 Identificare il cliente nel travel retail ...................................................................................... - 53 3.2 Le motivazioni d’acquisto negli ambienti del travel retail ..................................................... - 64 3.3 Il comportamento d’acquisto dei consumatori ........................................................................ - 69 3.3.1 Studiare il cliente: limiti e opportunità ............................................................................. - 72 -
CAPITOLO 4: IL BUSINESS MODEL DEL TRAVEL RETAIL: ENGAGEMENT, TRASFERIMENTO DEL VALORE E MONETIZZAZIONE .................................................. - 76 4.1 Customer Engagement ............................................................................................................ - 76 4.1.1 Economia dell’attenzione: fidelizzare attraverso la tecnologia ........................................ - 81 4.2 Value delivery and linkages .................................................................................................... - 83 4.2.1 Il meccanismo dei mercati bilaterali ................................................................................ - 90 4.3 Monetization ........................................................................................................................... - 93 -
CONCLUSIONI ............................................................................................................................ - 101 -
BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................... - 103 -
INTRODUZIONE
Dal primo gennaio 1914 - il giorno del primo volo commerciale - al primo gennaio 2014, lo stesso giorno cento anni dopo, 65 miliardi di persone hanno viaggiato in aereo in tutto il mondo. Si stima che i prossimi 65 miliardi verranno raggiunti prima del 2030 (IATA 2013). Quel primo gennaio del 1914 solo un uomo aveva partecipato al viaggio. Lo stesso giorno 100 anni dopo, i passeggeri aerei sono stati 8,6 milioni (ATAG 2014). Nel corso degli anni i mezzi di trasporto sono diventati sempre più veloci ed accessibili: le distanze sono diminuite, le occasioni di viaggio si sono moltiplicate e le infrastrutture della mobilità hanno reso più facile e piacevole spostarsi da un luogo ad un altro. Aeroporti e stazioni ferroviarie sono luoghi di transito attraversati ogni giorno da milioni di persone: rientrano in quelli che l’antropologo francese Marc Augé ha definito “non-luoghi” (Augé 2009), cioè “spazi della provvisorietà e del passaggio, spazi attraverso cui non si possono decifrare né relazioni sociali, né storie condivise, né segni di appartenenza collettiva (Augé 2010). La persona, in questi luoghi, si spoglia della propria identità, sia essa personale o di gruppo, per diventare un passeggero, un numero su un biglietto. L’intuizione di Augé è affascinante e sarebbe sicuramente esatta, se ci si limitasse a considerare gli aeroporti e le stazioni ferroviarie come semplici scali adibiti al trasporto delle persone. D’altra parte, lo stesso Augé dirà successivamente che “alcune forme di legami sociali possono nascere ovunque, poiché non esistono luoghi e non-luoghi in senso assoluto (Augé 2010)”. Anche questi ambienti, infatti, si sono evoluti, e con essi le persone che ogni giorno li attraversano. Aeroporti e stazioni sono ancora luoghi della circolazione, ma sono anche luoghi del consumo e della comunicazione: luoghi con un’identità e un ruolo sociale forte (Sacerdote 2009). Il segmento del travel retail, cioè delle attività commerciali che fanno parte di questi luoghi di transito vale a livello mondiale circa 60 miliardi di dollari generati per la maggior parte dalla vendita presso gli aeroporti (Bello e Panteleeva 2014). Oggi questi luoghi sono infatti assolutamente presenti nella selezione dei canali d’accesso alle marche (Sacerdote 2009) e l’evoluzione delle città ha reso questi spazi molto più importanti rispetto al passato. I nuovi luoghi di transito sono veri e propri microsistemi di città specializzate che racchiudono al loro interno tutto ciò che può soddisfare le esigenze dei loro utenti (Iosa Ghini 2009).
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Obiettivo di questo lavoro è presentare il business model del travel retail: mostrare dunque come funziona il sistema che governa il settore commerciale di aeroporti e stazioni ferroviarie, a chi si rivolge principalmente e come crea valore. Verranno ricercati degli elementi di unicità, tali da distinguere il business model di questi luoghi di transito da quello di altri luoghi di consumo, come i centri commerciali o i punti vendita di un centro città. Per procedere con l’analisi del business model sarà prima di tutto necessario definire esattamente cosa si intende per “business model”: verrà dunque prodotta una ricerca generale che consideri gli esponenti principali della letteratura e verrà infine seguito lo schema redatto da Baden-Fuller e Haefliger (2013) per la descrizione accurata del modello dei suddetti luoghi di transito. Un altro obiettivo perseguito, dopo aver mostrato quale modello di business ci sia alla base delle aziende che operano in questi ambienti, è quello di analizzare quanto siano importanti le strategie commerciali e le relazioni coi clienti che queste aziende mettono in pratica nel corso della loro attività. Verranno infine considerate le opportunità strategico-organizzative che il settore del travel retail potrebbe sviluppare con un approccio diverso, senza dimenticare che la componente
dell’acquisto
rimane
secondaria
all’interno
degli
ambienti
osservati.
Si è scelto di concentrare l’analisi sugli ambienti che richiedono un’attesa “forzata” del passeggero, che ha quindi del tempo libero da dedicare allo shopping. Per questo, nel corso del lavoro, verranno analizzati gli ambienti aeroportuale e ferroviario e non sarà invece presente il settore degli Autogrill. L’argomento trattato risulta essere molto attuale, sia perché la mobilità è in forte aumento – si stima che il traffico aereo raggiungerà i 6,63 miliardi di passeggeri nel 2032 (ATAG 2014) – sia perché il commercio dei luoghi di transito sembra godere oggi di migliori possibilità rispetto a quello tradizionalmente localizzato in aeree urbane ed extra-urbane: i principali retailer si stanno orientando verso strategie multi-localizzate e lo sviluppo di attività commerciali in aree di transito va in questa direzione (Iosa Ghini 2009). Va dunque attestata l’esistenza di un gruppo trasversale di potenziali acquirenti con caratteristiche proprie, accumunati da uno stile di vita in movimento, abituali frequentatori di aeroporti e stazioni, per i quali questi luoghi non solo non sono per nulla anonimi, ma al contrario rappresentano una continuità precisa e necessaria (Iosa Ghini 2009). Lo schema degli argomenti trattati - dopo il primo capitolo dedicato alla già descritta panoramica sul concetto di business model – procederà in questo modo: nel secondo capitolo verrà descritto il canale del travel retail, da una definizione del concetto ad un’analisi dei prodotti maggiormente venduti. Scopo del capitolo è mostrare gli elementi di unicità che il business model trattato presenta rispetto a quello di altri luoghi d’acquisto e analizzare l’evoluzione che gli spazi del travel retail hanno subìto nel corso degli anni. I capitoli 3 e 4 -2-
mireranno invece ad una descrizione più esatta possibile del business model di aeroporti e stazioni, seguendo lo schema descritto da Baden-Fuller e Haefliger (2013): il capitolo 3 identificherà i clienti del travel retail, studiando le loro motivazioni e i comportamenti d’acquisto. In conclusione si esporranno i limiti e le opportunità che quasi tutti gli aeroporti italiani presentano e che potrebbero essere affrontati utilizzando un approccio più strategico da parte dei manager aeroportuali. Il capitolo 4 presenterà invece gli altri tre elementi ritenuti interessanti da Baden-Fuller e Haefliger (2013): l’engagement del cliente, il trasferimento del valore e la monetizzazione. Due parentesi decisamente interessanti verranno aperte in questo capitolo, poiché si affronterà un possibile approccio di fidelizzazione basato sul commercio online e si procederà ad una analisi degli aeroporti come piattaforme di un mercato bilaterale in relazione con aerolinee e passeggeri - e in grado di produrre del valore dalla gestione di importanti relazioni con entrambi i business. All’interno della trattazione saranno spesso protagoniste le considerazioni di Andrea Arrighi, Head of Human Resources & Organization presso Airest Group, una azienda italiana operante nei settori F&B e travel retail con oltre 200 punti vendita in 10 nazioni. Oltre ad analizzare e descrivere attraverso esempi pratici i quattro elementi del business model citati da Baden-Fuller e Haefliger, attraverso l’intervista si indagherà l’approccio pratico della strategia commerciale presso l’aeroporto di Venezia. Le considerazioni riguarderanno anche le prospettive future e i limiti del settore della ristorazione e del travel retail presso gli aeroporti e le stazioni ferroviarie. Una discussione approfondita che descriva in modo esauriente il travel retail e le strategie commerciali dei luoghi di transito che ogni giorno milioni di persone continuano ad attraversare è ancora lontana dall’essere completata, soprattutto perché la letteratura ha prodotto molti studi riguardanti gli aeroporti, trascurando il settore ferroviario e anche perché – come verrà dimostrato attraverso questo lavoro – il travel retail ha subìto negli anni numerose trasformazioni, ed ancora oggi non ha raggiunto una dimensione “fissa” della propria offerta commerciale. Il seguente lavoro non ha la pretesa di esaurire l’argomento, bensì quella di mettere in ordine dei concetti che all’inizio apparivano confusi e di descrivere in maniera più chiara lo sviluppo della domanda di beni e servizi del people on the move.
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CAPITOLO 1 – BUSINESS MODEL OVERVIEW
1.1 La necessità di un linguaggio condiviso: la definizione di business model Il punto di partenza per una discussione su qualsiasi argomento riguardante una disciplina scientifica come quella della teoria economica deve essere necessariamente un linguaggio comune e condiviso, per non cedere ad incomprensioni di base su argomenti che nel corso degli anni hanno visto modificarsi il significato ad essi attribuito dagli studiosi e per procedere con ordine scientifico partendo da delle basi solide - o almeno selezionate dopo un’attenta e completa analisi della letteratura. Il concetto di business model ha subìto negli anni una serie di trasformazioni ed è stato utilizzato per numerose argomentazioni di carattere scientifico. L’ idea ha una radice comune in quasi tutte le definizioni, ma possiede anche una sfumatura diversa a seconda dell’autore che ha trattato l’argomento e degli elementi che ha utilizzato per descriverlo. Baden-Fuller e Morgan (2010) affermano che “uno dei ruoli del business model è quello di fornire un insieme di descrizioni di livello generale su come una azienda organizza se stessa per creare e distribuire valore in maniera profittevole”; alla domanda “Cos’è un business model?” numerosi autori hanno risposto in maniera diversa nel corso degli anni, ma nessuna di queste definizioni è stata pienamente accettata dalla Business Community, forse anche per il fatto che il concetto è stato definito secondo differenti prospettive (ad esempio: e-business, strategia, tecnologia, innovazione). Ci sono comunque degli elementi in comune che quasi tutte le definizioni contengono, come il chiaro riferimento alla “creazione di valore” e l’accostamento al concetto di strategia:
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Teece (2010): “Il modo in cui un’azienda offre valore ai clienti e converte il pagamento in profitti”
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Gambardella – McGahan (2010): “Un meccanismo per convertire le idee in ricavi e costi ragionevoli”
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Casadeus Masanell – Ricard (2010): “La logica di un’impresa, il modo in cui opera e come crea valore per gli stakeholders”
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Demil – Lecoq (2010): “Il modo in cui le attività e le risorse sono usate per assicurare sostenibilità e crescita”
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Sabatier – Rousselle – Mangematin (2010): “Incroci di competenze ed esigenze dei consumatori”
Molti autori hanno cercato di definire il concetto di business model riferendosi a determinati livelli del pensiero economico: seguendo la logica del profitto, dunque, Stewart e Zhao (2000) definiscono il modello come “il resoconto di come un’azienda crei profitto e sostenga questo flusso nel corso del tempo”. Al livello operativo, il modello rappresenta una configurazione architettonica. Il focus è nei processi interni e nel modo in cui le infrastrutture vengono organizzate per rendere l’impresa capace di creare valore. Mayo e Brown (1999) si riferiscono al “design di sistemi chiave interdipendenti che rendono un business competitivo”. Le definizioni al livello strategico enfatizzano, invece, il posizionamento dell’impresa, l’interazione attraverso i confini organizzativi e le opportunità di crescita. Gli elementi di decisione includono l’identificazione degli stakeholders, la creazione di valore, la differenziazione, la vision, i valori, il network e le alleanze. Slywotsky (1996) si riferisce infatti alla “totalità di come l’impresa seleziona i suoi clienti, definisce e differenzia la sua offerta, definisce le attività che compirà al suo interno e quelle che affiderà all’esterno, configura le risorse, entra nel mercato, crea valore per i clienti e cattura i profitti”. Il business model è correlato ad una serie di concetti manageriali, come il Business Plan; ma quest’ultimo considera una serie di giudizi che non sono presenti nel modello; inoltre, sebbene non sia una strategia, include comunque una serie di elementi della stessa; Michael Morris, Minet Schindehutte e Jeffrey Allen (2005) definiscono quindi il business model come “una concisa rappresentazione di come un insieme di variabili decisionali interconnesse nelle aree strategiche, architettoniche ed economiche vengano indirizzate per creare un vantaggio competitivo sostenibile in mercati definiti”. Anche Casadeus-Masanell e Ricart (2010) hanno cercato di interpretare il concetto di business model dopo una sintesi dell’origine del termine: dopo aver mostrato la definizione di Magretta (2002), che descrive i business model come “Storie che spiegano come l’impresa lavora”, - i due autori riassumono il concetto collegandosi alle già citate definizioni di Baden-Fuller e Morgan (2010) e di Demil e Lecocq (2010), affermando che “Il business model è collegato alla logica dell’impresa, al modo in cui opera e al modo in cui crea valore per i suoi stakeholders”.
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1.2 Come è fatto: gli elementi che contribuiscono alla creazione del business model Attraverso questa serie di citazioni è apparso chiaro come il concetto di business model non abbia una univoca definizione accettata dalla comunità economica, e neanche una base comune per decifrare gli elementi che lo compongono. Il concetto, infatti, si riferisce a diverse categorie economiche o a diversi elementi strategici o organizzativi all’interno dell’impresa: Pyzdek (2003) ha creato un diagramma con le categorie dei componenti del business model che sono state citate più volte dagli autori. Il risultato mostra quattro principali categorie a cui i business model sono collegati (Shafer et al. 2005):
1. Scelte strategiche 2. Creazione di valore 3. Cattura del valore 4. Network del valore
Se nel 2005 Shafer et al. (2005) identificavano le precedenti quattro categorie collegate al concetto di business model, qualche anno dopo, Christoph Zott, Raphael Amit e Lorenzo Massa (2011) notavano che la maggior parte degli studiosi utilizzava il concetto per spiegare tre fenomeni: 1. L’e-business e l’uso dell’information technology nell’organizzazione. 2. L’argomento strategico, come la creazione di valore, il vantaggio competitivo e i risultati aziendali. 3. L’innovazione e la tecnologia del management.
Gli autori Demil e Lecocq (2010), partendo dalla definizione di business model di Penrose (1959) - che vede l’impresa come un pacchetto di risorse la cui crescita è basata sull’interazione dei diversi componenti principali (core components) – hanno sviluppato un framework denominato “RCOV” che pone l’attenzione sulla dinamica creata dall’interconnessione tra i componenti per arrivare a descrivere l’evoluzione dei business model; questa interconnessione è vista come un buon processo che coinvolge cambi volontari ed emergenti in e tra componenti core permanentemente collegati. Secondo Demil e Lecocq (2010) la sostenibilità dell’impresa dipende dalla capacità di anticipare e reagire in seguito a questi cambiamenti volontari ed
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emergenti: gli studiosi chiamano questa capacità dell’impresa di costruire e sostenere le proprie performance mentre il suo business model cambia, “consistenza dinamica”. Un business model può quindi essere descritto da tre elementi principali:
1. Risorse e competenze 2. Struttura organizzativa 3. Proposte per l’offerta di valore Considerando il business model come il modo in cui un’organizzazione opera per assicurare la propria sostenibilità, l’analisi di questi elementi principali compiuta ex-ante ci dà il vantaggio di considerare che i cambi in questi elementi possono essere misurati costantemente tra le imprese, ma anche lo svantaggio di assumere che tutti gli elementi siano ugualmente centrali in ogni impresa considerata. La relazione tra questi tre principali componenti, comunque, sta alla base del framework RCOV ideato da Demil e Lecocq (2010): questo costituisce un approccio dinamico al business model, poiché imprenditori e manager devono analizzare in sede di definizione di una strategia sia le risorse accumulate e combinate, sia l’organizzazione nel suo insieme e sia il valore che possono offrire al mercato.
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Risorse e competenze: provenienti da mercati esteri o sviluppate internamente; Le competenze sono abilità e conoscenze che i manager sviluppano, individualmente o collettivamente, per sviluppare o cambiare i servizi che le loro risorse possono offrire.
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Struttura organizzativa: include le attività della catena del valore e il value network, cioè la relazione che l’impresa crea con gli stakeholders esterni.
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Value proposition: riflette il contenuto della transazione coi clienti e la distribuzione idiosincratica delle risorse che ogni organizzazione gestisce per generare le proprie offerte.
L’interrelazione tra queste componenti permette all’impresa di dare vita a dei veri e propri circoli virtuosi; la proposta di valore fornisce il volume e la struttura dei ricavi, mentre l’organizzazione interna ed esterna fornisce il volume e la struttura dei costi, spiegando conseguentemente i margini aziendali (Casadesus-Masanell e Ricart 2010). L’ambiente ha dunque un ruolo potenzialmente fondamentale per influenzare ognuno dei tre componenti del business model: interessando i costi, attraverso il valore o la disponibilità di risorse e competenze; cambiando le caratteristiche del value network o della catena del valore; e anche modificando il valore percepito dei prodotti e dei servizi proposti. -7-
Sebbene vengano utilizzate differenti definizioni per descrivere il concetto di business model, tutte queste ruotano attorno all’ idea di “valore”: della sua creazione o della sua cattura, come anche del network che un’impresa è in grado di creare per rendere sostenibile il proprio vantaggio competitivo. La creazione di valore è centrale anche per David J. Teece (2010), poiché schematizzando gli elementi del business model, l’autore non tralascia di specificare che il fine di tutto è quello di “creare valore per il cliente, ricavarne dei pagamenti e tradurli in profitto”. Gli elementi chiave, per Teece (2010), sono:
1. La selezione di tecnologie e caratteristiche da incorporare nel prodotto/servizio 2. La determinazione dei benefit per i clienti derivanti dal consumo del prodotto/servizio 3. L’identificazione dei gruppi di clienti da segmentare 4. La conferma di un flusso di ricavi disponibili 5. Un meccanismo di progettazione per acquisire valore
Teece (2010) descrive anche la finalità che un business model deve perseguire, che è quella di articolare la logica e fornire dei dati che dimostrino come un business venga creato e come il valore venga trasferito ai clienti. Sottolinea inoltre la struttura dei ricavi, dei costi e dei profitti associati all’impresa che fornisce questo valore. Un pensiero simile riguardo alle componenti di un business model è stato sviluppato da Ramon Casadesus-Masanell e Joan Enric Ricart (2010) che si concentrano più su considerazioni strategiche che su quelle basate sul valore. Per gli autori, infatti, i business model sono composti da due differenti insiemi di elementi: 1. Le scelte concrete compiute dal management riguardanti il modo in cui l’organizzazione deve operare 2. Le conseguenze di queste scelte Il primo punto include le pratiche di compensazione, i contratti di appalto, l’ubicazione degli impianti, le risorse impiegate, l’estensione dell’integrazione verticale e le iniziative di vendita e di marketing. Ogni scelta ha delle conseguenze: per esempio, offrendo incentivi di alto livello (scelta) si hanno implicazioni per quanto riguarda la volontà dei lavoratori di esercitare uno sforzo o di collaborare con i colleghi (conseguenze). Analogamente, politiche di prezzo (scelte) hanno implicazioni evidenti per quanto riguarda i volumi di vendita, che a loro volta, influiscono sulle -8-
economie di scala e sul potere contrattuale di cui gode l'impresa (conseguenze). Gli autori distinguono tre tipi di scelte: 1. Politiche: riguardano il corso d’azione che l’impresa adotta in tutti i suoi aspetti operativi. 2. Delle attività: si riferiscono alle decisioni riguardanti le risorse tangibili. 3. Di governance: si riferisce alla struttura di accordi contrattuali che conferisce poteri decisionali riguardanti la politica e le attività.
Le economie dei costi di transazione suggeriscono che apparentemente lievi differenze nella governance delle politiche e delle attività possono avere drammatici effetti sulla creazione e sul trasferimento del valore (Casadesus-Masanell e Ricart 2010).
Per rappresentare il business model, quindi, molti autori si servono del valore e delle scelte strategiche compiute dal management per chiarire questo concetto astratto ancorandolo ad elementi che hanno un collegamento più diretto con la realtà. Le scelte strategiche e il valore sono i due elementi centrali per rappresentare le componenti del business model (tabella 1) anche secondo i già citati Shafer et al. (2005): “Il business model è una rappresentazione di una logica principale sottostante a un’impresa e di scelte strategiche fatte per creare e catturare valore all’interno di un Value Network”. Tabella 1: Componenti di un business model
Componenti di un business model Strategic Choices Customer Value Proposition Capabilities/Competencies Revenue/Pricing Competitors
Output Strategy Branding Differentiation Mission
Value Network Suppliers Customer Information Customer relationship Information Flows Product/Service Flows
Create Value
Capture Value
Resoures/Assets Processes/Activities
Cost Financial Aspects Profit
Fonte: Shafer et. al. (2005)
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Il termine “logica principale”, suggerisce che un modello costruito correttamente può aiutare ad articolare e rendere esplicite le assunzioni chiave riguardo alle relazioni causa-effetto e alla consistenza interna delle scelte strategiche. Il secondo termine da analizzare è proprio “scelte strategiche”, poiché non bisogna dimenticare che il business model riflette le decisioni compiute dal management. “Creare e catturare valore” rimanda a due funzioni fondamentali che tutte le organizzazioni devono eseguire per rimanere in vita nel tempo. Infine, come anche Hamel (2001) argomenta, occorre avere un value network - che include fornitori, partner, canali distributivi e coalizioni - che accresca ed estenda le risorse a disposizione dell’impresa. L’impresa deve essere in grado di creare delle relazioni uniche con ognuno di questi partner e persino con i consumatori finali. Il ruolo che un’impresa decide di giocare con il proprio value network è un elemento fondamentale del business model.
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1.3 A cosa serve: le funzioni di base del business model Una volta chiariti gli elementi principali sottostanti il concetto di business model, la meta da raggiungere diventa quella di avere una idea chiara del motivo per cui le imprese abbiano bisogno di sviluppare un modello di business, o del perché in un modo o nell’altro in tutte le imprese è possibile isolare abbastanza chiaramente un determinato business model. Si ricerca quindi una spiegazione delle possibili funzioni che il business model esercita, secondo il pensiero degli autori più importanti che hanno dibattuto a riguardo. Cahrles Baden-Fuller e Mary S. Morgan (2010), in “Business Models as Models” analizzano il concetto di business model come modelli, utili nello svolgimento di tre funzioni determinate:
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Fornire i mezzi per descrivere e classificare i business
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Operare come base per avviare una ricerca scientifica
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Fornire una ricetta ai manager creativi
La prima funzione affiancata al concetto di business model è quella di fornire i mezzi per descrivere e classificare i business: le imprese, infatti, non sono tutte uguali, ma neanche così diverse da poter affermare che abbiano tutte dei business model differenti. È possibile quindi creare delle categorie, utilizzate dagli studiosi per classificare le singole imprese studiate. Il ruolo dei business model come mezzo per la descrizione delle imprese permette quindi ai ricercatori di distinguere e ordinare le imprese in base ai loro comportamenti. Attraverso lo studio dei business model è quindi possibile classificare le imprese e i gruppi di imprese in numerosi modi differenti: Baden-Fuller e Morgan (2010) accennano a una classificazione derivante dalla storia economica, descrivendo l’evoluzione dei business model dal sistema medievale delle corporazioni, al sistema delle fabbriche tessili del diciottesimo secolo, per poi proseguire con la descrizione del sistema fordiano delle fabbriche americane fino ad arrivare alle reti d’imprese e al low cost cinese. Effettuare una tassonomia delle classi di business model non è sicuramente un compito facile e lineare, e non è neanche un sotto-processo di classificazione delle imprese in gruppi di business model; è un meccanismo molto più complesso, che si mostra tuttavia utile per la possibilità che offre non solo di definire, ma anche di esplorare le caratteristiche simili, le differenze e le relazioni tra le classi oltre che di sviluppare una comprensione, una predizione e un intervento all’interno delle imprese. Max Weber (si veda M. S. Morgan, 2006) sviluppa il concetto di “idealtipi” partendo proprio da quello di tassonomia – definita come una classificazione derivante dall’osservazione e dal lavoro pratico. - 11 -
Legando la tassonomia al concetto di “tipologia”, cioè la classificazione derivante dai concetti e dalle teorie degli studiosi, si arriva a delineare quelli che Weber definisce idealtipi, che rappresentano una commistione di entrambi e un modo nuovo per descrivere il concetto di business model: gli idealtipi sono modelli derivanti da misure statistiche e analisi delle caratteristiche dell’impresa, e sono anche modelli derivanti da casi esemplari e dalla loro analisi. Il celebre sociologo afferma: “Il concetto di idealtipi ci aiuterà a sviluppare le nostre abilità nella ricerca: non sono delle ipotesi, ma offrono una guida alla costruzione delle ipotesi. Non sono una descrizione della realtà ma mirano a dare un mezzo inequivocabile di espressione di tale descrizione (Weber 1904)”. I business modell hanno le caratteristiche e adempiono al ruolo di idealtipi: essi sono basate sia sull’osservazione che sulla teoria. La seconda funzione connessa al business model è quella di base per la ricerca scientifica: prendendo in prestito concetti derivanti dalla biologia, Baden-Fuller e Morgan (2010) presentano alcuni singoli casi di studio come rappresentativi di una classe di imprese e di un determinato business model. Così un business model, partendo da un caso aziendale, spiega il comportamento di una classe di business aziendali e la loro profittabilità. Scegliendo come punto di partenza un McDonalds di una high street, gli autori descrivono quel business come rappresentativo della compagnia McDonalds, fornendo quindi uno standard di riferimento per la descrizione del business model. A sua volta la compagnia è rappresentativa del modello di business “franchising”, un format utilizzato da una serie di imprese differenti e con sfumature tecniche diverse, ma di cui McDonald rimarrà sempre la base per un benchmarking di riferimento quando verrà analizzato quel determinato business model: è quindi il modello per il format di business “franchising”. L’ultima funzione che Baden-Fuller e Morgan (2010) collegano al concetto di business model come modello è quella di “ricetta” utile ai manager creativi: il business model viene descritto come uno strumento utile a dimostrare una tecnologia, e a dare consigli utili ai manager su come fare qualcosa così che i risultati voluti vengano fuori. Il concetto di business model viene descritto come un insieme di risorse, capacità, prodotti, clienti, tecnologie e mercati, che devono essere organizzati e integrati da manager creativi e responsabili per sviluppare gli elementi più importanti dell’attività dell’impresa. I business model sono capaci di dare delle regole che, se seguite, ci si attende producano un certo risultato. L’idea di integrazione tra gli elementi ci aiuta quindi a descrivere i business model come utili strumenti per definire le caratteristiche di un business e le sue attività in maniera concisa, in altre parole, a trovare un punto d’incontro tra il livello generico che definisce un tipo di comportamento aziendale e la specifica storia di un’impresa. Descrive inoltre il management come elemento essenziale per il successo di un business, poiché le risorse e gli strumenti citati - 12 -
necessitano della visione strategica di un manager capace dicombinarli nel modo giusto e creare valore. Le tre funzioni dei business model come modelli trovano quindi un punto d’incontro nell’analisi del business aziendale, dalla sua generalità alla specificità di una singola impresa: i business model non sono solo ricette, modelli scientifici o idealtipi utili alla classificazione dei business. Essi giocano ognuno di questi ruoli, spesso tutti allo stesso tempo (Baden-Fuller e Morgan 2010).
Una visione leggermente diversa viene sviluppata da Zott, Amit e Massa (2011) per spiegare le funzioni che un business model può svolgere all’interno della realtà aziendale. Gli autori utilizzano il concetto nell’ambito della ricerca, come elemento utile ad indagare in profondità alcuni elementi che caratterizzano l’impresa. Il business model è visto infatti:
1. Come una nuova unità di analisi. 2. Come uno strumento per spiegare come le imprese “fanno business” secondo un approccio olistico. 3. Secondo la prospettiva delle attività di impresa, che giocano un ruolo fondamentale nelle varie concettualizzazioni di business model proposte. 4. Come strumento utile a spiegare non solo come il valore viene catturato, ma anche come viene creato.
Questi temi sono profondamente interconnessi e si rafforzano a vicenda. Il ruolo del business model, per gli autori, è propedeutico in alcune determinate tipologie di impresa o in alcune aree della stessa. La funzione principale diventa quindi quella di “mezzo utile” ad indagare, secondo diverse prospettive, la realtà aziendale e determinate sue parti (Zott, Amit e Massa 2011):
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L’e-business e l’uso dell’IT nelle organizzazioni
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L’ambito strategico, come creazione di valore, vantaggio competitivo e performance aziendali
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Il management dell’innovazione e della tecnologia
Questo approccio ha aperto nuovi orizzonti per lo sviluppo di nuovi business model che rendano capaci le aziende di cambiare dal profondo il modo in cui sono organizzate e di rispondere ai cambiamenti ambientali, sia grazie all’apporto di internet sia attraverso a nuovi metodi di - 13 -
relazione organizzativa tra imprese che operano nello stesso ambiente o con caratteristiche simili. Secondo Markides e Charitou (2004), infatti, il business model rappresenta una potenziale fonte di vantaggio competitivo: nuovi modelli possono risultare superiori ad altri nella creazione di valore e possono venire replicati per prendere il posto dei vecchi metodi, fino a divenire degli standard. Il business model diventa quindi il “soggetto dell’innovazione” (Mitchell e Coles, 2003) nel panorama delle open innovation: un mondo in cui le imprese piuttosto che basarsi su idee interne per sviluppare un business, guardano fuori dai loro confini per mischiare le fonti di idee interne ed esterne e dare vita a qualcosa di completamente nuovo e innovativo; si sviluppa quindi il concetto di “collaborative entrepreneurship”: la creazione di qualcosa di valore economico basato su nuove idee generate insieme, che emergono dalla condivisione di informazioni e conoscenze e dallo sviluppo di nuove tecnologie. Un’altra connessione interessante tra il business model e l’innovazione tecnologica viene portata avanti da Baden-Fuller e Hoefliger (2013) in “Long Range Planning: business model and technological Innovation”; in questo lavoro la funzione del business model è quella di rispondere alla identificazione di quattro dimensioni, per capire chi sono i clienti e poter offrire una risposta ai loro bisogni, monetizzando il valore. Il rapporto con la tecnologia viene analizzato nella sua interattività, poiché sviluppi tecnologici possono facilitare la creazione di nuovi business model. Le quattro dimensioni scelte dagli studiosi (Baden-Fuller e Hoefliger 2013) sono:
1. Clienti: è essenziale che il business model identifichi gli utilizzatori e i clienti e indichi se gli utilizzatori pagano per quello che usano o se effettivamente paga un altro tipo di clienti. Con lo sviluppo della tecnologia e soprattutto con internet, si è venuta a creare la possibilità che gli utilizzatori non paghino per i servizi che ricevono, attraverso lo schema della comunicazione pubblicitaria.
2. Engagement del cliente: viene analizzato il rapporto con i clienti secondo due diverse prospettive di offerta; la “project-based offering” viene riservata a clienti specifici, e serve a risolvere specifici problemi o esigenze. E’ un’offerta fatta su misura, per niente standardizzata ma più legata all’adattamento per rispondere alle necessità di un singolo cliente alla volta (lo schema è quello del taxi per lo spostamento di un singolo soggetto); mentre la “Pre-designed based offering” è un’offerta standardizzata riservata al mercato di massa. Presenta sicuramente meno costi per l’impresa e si rivolge a un volume
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maggiore di clienti (segue lo schema del bus per lo spostamento di un gruppo numeroso di persone). 3. Value delivery and linkages: viene analizzata in modo approfondito l’architettura dei flussi informativi e dei sistemi di governance. È il punto di incontro tra la segmentazione e lo studio dei bisogni della clientela e la monetizzazione derivante dalla vendita di un prodotto o servizio.
4. La monetizzazione: cioè la cattura del valore. È connessa al prezzo e alla tempistica in cui il valore viene trasferito al cliente e avviene il pagamento (prima, durante o dopo la vendita).
La scelta del business model determina la natura della complementarietà tra il business model e la tecnologia e il percorso della monetizzazione. Una scelta scadente può portare a bassi profitti, mentre una buona scelta a profitti superiori. Sviluppare la giusta tecnologia non è però facile all’interno di un’azienda, poiché un business model non è solo il risultato di una serie di scelte economiche, ma presenta anche un intervento cognitivo. È dunque ruolo del management interagire con la giusta tecnologia e sviluppare una connessione tra l’innovazione e gli elementi del business model. I manager devono utilizzare la propria creatività per avere un approccio diverso ai problemi, sperimentando o seguendo delle ricette fissate precedentemente: sono comunque loro che devono decidere come un business dovrebbe evolversi, dove il controllo dovrebbe essere esercitato e dove l’organizzazione può essere guidata attraverso una delega di potere. La tecnologia può contribuire allo sviluppo di un business model innovativo e rivoluzionario nel panorama economico generale, può apportare un aiuto nei diversi elementi del business model che sono stati precedentemente analizzati, ma è poi la sensibilità del management e la sua creatività che deve servirsi della giusta tecnologia per guidare lo sviluppo dell’azienda e la crescita delle sue performance. Nonostante i manager prendano decisioni razionali per iniziare i cambiamenti, deve essere sottolineata l’importanza della dimensione emergente nel percorso di evoluzione di un determinato business model (Demil e Lecocq 2010). Come affermano Casadeus-Masanell e Ricart (2010), infatti, “un business model dovrebbe avere un insieme di relazioni e determinare un circolo virtuoso in cui a determinate variabili seguano delle conseguenze, e il management dovrebbe avere il fine strategico di sviluppare questi circoli virtuosi in modo da far evolvere il business model secondo la strategia prefissata”. - 15 -
Si è quindi quasi sempre in uno stato di disequilibrio transitorio, in cui molte parti del business model possono essere decise dal management mentre altre non possono essere facilmente stabilizzate nel breve termine; il ruolo del management diventa quindi quello di considerare la dinamica dei business model seguendo tre occupazioni principali:
1. Monitoraggio dei rischi e delle incertezze 2. Anticipo delle potenziali conseguenze 3. Promozione della consistenza dinamica tra le componenti del business model con il fine di preservare e anche aumentare le performance aziendali La consistenza dinamica è la capacità di bilanciare il trade-off tra l’essenza del business model e la realtà, la capacità quindi di anticipare i cambiamenti e apportare un cambio incrementale o radicale al business model affinché le performance aziendali vengano mantenute o ravvivate (Morris, Schindehutte e Allen 2005). La “consistenza” è un elemento fondamentale anche per assicurare sostenibilità al modello: è un adattamento delle attività aziendali, sia all’interno che all’esterno dell’ambiente considerato. L’adattamento interno considera l’integrità e il rafforzamento di tutti i componenti del business model all’interno dell’azienda: fattori relativi all’offerta, al mercato, alla capacità interna, alla competizione strategica, fattori economici e riguardanti il personale. L’adattamento esterno, invece, si riferisce alla capacità dell’azienda di fare le scelte interne giuste considerando i cambiamenti e le condizioni dell’ambiente esterno; quando le condizioni ambientali cambiano, infatti, anche il modello richiede degli adattamenti e dei cambi radicali (Morris, Schindehutte e Allen 2005).
Anche Johnson, Christensen e Kagermann (2008) hanno cercato di spiegare la funzione del business model, dopo aver descritto il concetto come un insieme di quattro elementi (una proposta di valore per il cliente, una formula per i ricavi, delle risorse chiave e dei processi chiave). Basandoci sulla definizione che questi autori hanno prodotto possiamo sintetizzare le funzioni del business model con una serie di attività utili allo sviluppo dell’impresa: “articolare la proposta di valore, identificare un segmento di mercato, definire la struttura della catena del valore, stimare la struttura dei costi e il potenziale dei profitti, descrivere la posizione dell’impresa con il Value Network e formulare la strategia competitiva” (Johnson, Christensen e Kagermann 2008).
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1.4 Come si crea: i diversi approcci al business model Quando i business model assurgono alle discussioni economiche, questi vengono spesso accostati ai nomi delle imprese che li hanno inizialmente utilizzati, e arrivano a simbolizzare un determinato tipo di comportamento aziendale: gli esempi principali sono il “business model di McDonalds” o il “business model di South West Airlines”; in altri casi invece si preferisce presentare il business model con una piccola descrizione: “Il modello di franchising” o “Il modello dei voli low cost”. Questa differenza di presentazione del concetto di business model è fortemente connessa a due idee differenti di modelli, che vengono presentati come “modelli in scala” e “modelli di ruolo” (Baden-Fuller e Morgan 2010).
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Modello in scala: offre una veloce rappresentazione di ciò che è nel mondo. E’ una riproduzione in scala del mondo reale che cattura solo alcuni dettagli dello stile o dei meccanismi. Sono modelli piccoli e semplificati, che descrivono solo alcuni aspetti della realtà. Non è semplicemente una riproduzione in scala, ma una scelta di quali sono gli elementi più importanti, capaci di rappresentare l’essenza di una realtà aziendale.
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Modello di ruolo: Offre un caso ideale da ammirare. Non è una versione in scala o una generica descrizione: i casi aziendali vengono descritti nella loro totalità e giocano solamente il ruolo di esempi, sono quindi modelli da copiare.
Queste due tipologie di modelli rappresentano due modi diversi di guardare al business model come modello utile a sviluppare una strategia competitiva sostenibile. Un altro tipo di distinzione che è possibile fare analizzando i business model riguarda l’approccio statico e trasformazionale (Demil e Lecocq 2010); il primo assomiglia al concetto di “ricetta” sviluppato anche da Baden-Fuller e Morgan (2010), sintetizza un modo di creare valore in un business, aiuta a descrivere come un’organizzazione funziona e genera ricavi: assiste i manager a concettualizzare le diverse attività create nella propria impresa per generare valore e ad analizzare il meccanismo necessario a creare il valore. L’approccio trasformazionale, invece, utilizza il concetto di business model come strumento utile ad apportare cambiamento e innovazione all’interno dell’organizzazione o del modello stesso: il business model non è quindi una serie di informazioni che vengono rivelate in un attimo, ma un set di routine interdipendenti che vengono scoperte, aggiustate e perfezionate strada facendo. I diversi approcci al business model legano due dimensioni che nell’analisi economica devono essere fortemente interconnesse se si vuole creare una offerta di valore sostenibile: la teoria - 17 -
economica e l’intervento strategico. Come è già stato detto, il business model potrebbe essere descritto come l’incontro tra l’osservazione della realtà e la teoria economica (Baden-Fuller e Morgan 2010). Creare dal nulla un nuovo business model non è impresa facile; richiede creatività, intuito e una buona conoscenza di clienti, concorrenti e fornitori, oltre che una significativa componente tacita (Teece 2010); un imprenditore potrebbe essere in grado di intuire un nuovo modello ma non essere capace di razionalizzarlo e articolarlo pienamente. I cambiamenti tecnologici spesso forniscono l’impulso per modi nuovi e migliori di rispondere alle esigenze dei clienti. Il cavallo, poi le ferrovie, infine le auto e gli aeroplani sono state soluzioni tecnologiche alla base del bisogno di movimento da parte della gente, successivamente integrate e disposte tra loro in modo da formare le basi per un modello di business competitivo per spostare le persone da un posto all’altro. L’impresa, quando progetta un modello di business che vuole essere sostenibile deve quindi distillare le verità fondamentali circa i desideri dei clienti, le loro valutazioni, la natura e il probabile andamento dei costi futuri e le capacità dei concorrenti. Questi elementi vanno analizzati in profondità, poiché un business model innovativo può originarsi da molte potenziali risorse. Quello che un business model pioneristico spesso possiede – o sviluppa – è la comprensione di una “profonda verità” riguardante i bisogni fondamentali dei consumatori, la capacità o meno dei competitors di rispondere in maniera soddisfacente a questi bisogni e le possibilità tecnologiche o organizzative dell’impresa. Quasi in tutti i casi, comunque, un nuovo business model riesce ad innovare con successo solo dopo una serie considerevole di prove ed errori (Teece 2010). Costruire un business model richiede un’attenta valutazione degli elementi che lo generano. Definendo le componenti di base è possibile creare uno schema di domande da porsi per assicurarsi di aver preso in considerazione tutte le sfaccettature che la costruzione di un business model richiede. Esistono degli elementi da tenere in considerazione necessariamente quando ci si accinge a costruire un business model sostenibile. Selezionare la giusta architettura e il modello dei prezzi per un business, richiede non solo l’aver capito quali scelte sono a disposizione dell’imprenditore o dei manager, ma anche la capacità di analizzare in profondità il mercato e l’ambiente circostante, per sviluppare un’idea il più possibile aderente alla realtà riguardo ai clienti, ai concorrenti, ai costi, ai fornitori e a tutti gli stakeholders. Bisogna avere una consapevolezza informata anche riguardo alle possibili scelte future dei consumatori e dei concorrenti, nonché dell’andamento dei costi principali. Una delle fondamentali capacità dell’imprenditore per rendere un business model di successo resta comunque l’abilità di cambiare e di adattarsi alle circostanze, implementando una strategia emergente in grado di rispondere alle novità e alle innovazioni provenienti dall’esterno (Teece 2010). Costruire un - 18 -
business model significa quindi porsi le domande giuste e non avere paura di cambiare idea sulle strategie da attuare in corso d’opera; le categorie da analizzare per sviluppare un buon business model rappresentano gli elementi considerati anche in sede di definizione del concetto e di approfondimento dello stesso: il valore, il cliente, il prodotto, l’impresa, i costi del business e infine l’ambiente competitivo. Definire le componenti di base ha permesso ad alcuni autori di stilare una serie di domande da sviluppare nel livello di fondazione dell’impresa e di creazione del suo business model (Morris, Schindehutte e Allen 2005): 1. Come l’impresa creerà valore? Le decisioni in questo caso indirizzeranno la natura del prodotto/servizio, il ruolo dell’impresa nella produzione o nella prestazione del servizio e il modo in cui l’offerta di valore sarà resa disponibile per i clienti. 2. Per chi l’impresa creerà valore? L’analisi del tipo di clienti, della dispersione geografica e della loro richiesta di interazione hanno un impatto significativo su come un’organizzazione verrà configurata, sulla sua richiesta di risorse e su quello che venderà. 3. Qual è la fonte di vantaggio interna all’impresa? Ci si affida al termine “competenze chiave” per considerare quello che Hamel (2001) descrive come un set di competenze o di capacità che portano l’impresa a svolgere un compito meglio degli altri. 4. Come l’impresa si posiziona nel mercato? Le competenze chiave interne creano le basi per il posizionamento esterno. Il modello deve essere strutturato nel modo in cui l’imprenditore intende farlo per raggiungere il vantaggio sui propri concorrenti. La sfida è identificare punti salienti di differenziazione che possono essere mantenuti nel tempo. 5. Come l’impresa produce un utile? Ci si può approcciare a questa domanda secondo quattro diverse sotto-categorie: la prima è la leva operativa, o il grado in cui la struttura dei costi è dominata da costi fissi o variabili; la seconda l’enfasi dell’azienda su volumi maggiori o minori in termini sia di opportunità di mercato sia di capacità interna; la terza categoria è l’abilità dell’impresa di raggiungere margini relativamente maggiori o minori; e infine l’ultima - 19 -
sotto-categoria è il modello dei ricavi dell’impresa, inclusa la flessibilità delle fonti di reddito e dei prezzi. 6. Quali sono le dimensioni delle ambizioni dell’imprenditore? Gli imprenditori creano differenti tipi di imprese, che possono rimanere piccole o trasformarsi attraverso una crescita molto rapida. Le differenze rispetto al tipo di impresa hanno implicazioni importanti riguardo alla strategia competitiva, alla struttura dell’impresa, alle risorse manageriali, alla creazione di competenze interne e al risultato economico. La sostenibilità di un business model, in ultima analisi, dipende dalla capacità dell’imprenditore di applicare un approccio unico ad una o più di queste componenti iniziali. Le possibilità di costruire un buon business model diventano maggiori quando gli imprenditori e i manager hanno una profonda conoscenza dei bisogni dei consumatori, tengono in considerazione alternative multiple, analizzano la catena del valore mirando a fornire una risposta per i desideri dei clienti mediante una snella struttura dei costi e adottano una prospettiva neutrale e che mira all’efficienza, quando analizzano le decisioni di esternalizzazione. Avranno più successo inoltre, coloro che saranno capaci di imparare velocemente ed ascoltare le esigenze degli altri (Teece 2010). La selezione/creazione di un business model è una dimostrazione chiave delle capacità dinamiche dell’impresa – di ascoltare, misurare e riconfigurare le attività che l’impresa richiede per rimanere in competizione nonostante i cambiamenti del mercato, permettendo non solo di sopravvivere ma di adattarsi in modo da rispondere in maniera adeguata ai cambiamenti dell’ambiente esterno. La visione di un business model completo può aiutare l’impresa ad analizzare se stessa per trovare degli elementi che hanno necessità di cambiare in modo da rispondere alle ultime innovazioni; ci sono due metodi per approcciarsi al business model secondo questa ottica (Casadesus-Masanell e Ricart 2010):
Aggregazione: si può pensare a una visione del business model da una certa distanza, in modo da raggruppare insieme le scelte dettagliate e le conseguenze in una costruzione più grande. Un analista, approcciandosi allo studio di un business model spesso incontra notevoli difficoltà perché è incapace di procedere ad un’analisi generale per via della elevata complessità del modello se studiato dettagliatamente; andando troppo in profondità si perde la visione d’insieme su come il modello funziona. Bisogna comunque analizzare il business model alla giusta distanza, poiché una visione troppo - 20 -
generica implica la perdita di interessanti ed importanti dettagli: bisogna selezionare le scelte chiave e osservare le maggiori conseguenze che derivano da quelle scelte. Dopo aver sviluppato questo quadro d’insieme, si procede con la connessione della teoria economica alle conseguenze osservate. La mappa risultante (dell’insieme di scelte chiave e delle loro principali conseguenze, connesse alla teoria) definisce la rappresentazione del business model.
Scomposizione: molti business model sono scomponibili, nel senso che gruppi diversi di scelte e conseguenze non interagiscono con altre e quindi possono essere analizzate singolarmente. Considerando la necessità per la quale si sta analizzando un determinato business model, rappresentare solo una parte di esso all’interno dell’organizzazione può risultare più appropriato rispetto all’analisi generale di un intero modello.
Questi due tipi di analisi di un business model richiamano una logica di business che mira a raggiungere un profitto e a definire il modo in cui l’impresa entra nel mercato. Può risultare complicato, in alcuni casi, distinguere la sottile ma importante differenza che sussiste tra il concetto di business model e quello di strategia. Vi è la necessità di sottolineare questa distinzione poiché sviluppare soltanto uno dei due elementi porterebbe l’impresa a non aver chiaro il quadro d’insieme o a non sapere come muoversi in determinate circostanze.
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1.5 Il rapporto con la Strategia Anche il concetto di “strategia”, come quello di business model, non ha trovato una definizione univoca e assoluta. Henry Mintzberg (1994) nota che la strategia può essere analizzata in modi differenti: può essere vista come uno schema di scelte fatte nel corso del tempo, adottando una visione retrospettiva; più frequentemente, viene considerata un piano, una visione che mette in relazione le scelte fatte nel passato o in corso d’opera, per tracciare una direzione futura. Michael Porter (2000) giudica la strategia come un posizionamento: una visione che pone in relazione le scelte riguardanti il prodotto o il servizio offerto e il mercato in cui si opera attraverso qualità differenti dai concorrenti. Infine si può guardare alla strategia come una prospettiva che rappresenta le decisioni da prendere sul modo in cui il business verrà concettualizzato e messo in piedi. Anche se questi punti di vista differiscono secondo molti aspetti, tutti hanno in comune il fatto che per ogni concetto è alla base l’azione di compiere delle scelte (Shafer et al. 2005). Il business model riflette queste scelte e le loro implicazioni operative, rendendo più facile l’analisi, la prova e la validità delle relazioni causa ed effetto che derivano dalle scelte strategiche che sono state fatte. Porter (1996) definisce la strategia il compiere un’attività diversa rispetto ai concorrenti o compiere la stessa attività ma in modo differente. Il business model contiene degli elementi sia correlati all’efficacia strategiche che a quella operativa, e incoraggia l’imprenditore (Morris, Schindehutte E Allen 2005):
A concepire l’impresa come un insieme interrelato di scelte strategiche
A cercare un rapporto di complementarietà tra gli elementi attraverso una combinazione unica
A sviluppare un insieme di attività attorno a un quadro logico
A garantire consistenza tra gli elementi della strategia, dell’organizzazione, dell’economia, della crescita e delle intenzioni di uscita.
Le scelte strategiche che caratterizzano un’impresa sono compiute sia intenzionalmente che per impostazione predefinita. Il business model rende esplicite queste scelte; è quindi più generico di una strategia. Accoppiare l’analisi strategica all’analisi del business model è necessario per proteggere qualsiasi vantaggio competitivo che risulta dalla creazione e implementazione di un nuovo modello di business (Teece 2010). Anche se un business model facilita l’analisi, la prova, e la validità di una scelta strategica dell’impresa, risulta chiaro come non possa quindi essere considerato “solamente” strategia. Un altro elemento di distinzione nel già citato confronto tra
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business model e strategia deve ora essere introdotto: il concetto di “tattica”. Mentre infatti il business model si riferisce alla logica dell’impresa, al modo in cui opera e al modo in cui questa crea valore per i suoi stakeholders e la strategia si riferisce alla scelta del modello di business attraverso il quale l’impresa competerà sul mercato; la tattica viene descritta come “la scelta residuale a disposizione di un’impresa in virtù del modello di business che sceglie di impiegare (Casadesus-Masanell e Ricart 2010)”. Per integrare questi tre concetti viene introdotto uno schema di un processo competitivo a due fasi (figura 1). Figura 1: Generica struttura di un processo competitivo a due fasi
Fase 1 - Strategica
Fase 2 - Tattica
L'impresa sceglie il Modello di Business attraverso il quale intende competere
In base al Modello di Business scelto nella prima fase, le imprese compiono le scelte tattiche
Fonte: Casadeus-Masanell e Ricart (2010)
Nella prima fase l’impresa sceglie la logica di creazione e cattura del valore e quindi il proprio business model, e nella seconda fase, compie delle scelte tattiche guidate dai propri obiettivi. Confrontando business model e strategia, Casadesus-Masanell e Ricart (2010) mostrano come il primo sia quindi un riflesso della strategia realizzata di un’impresa: la strategia è qualcosa di più della semplice selezione di un business model; è un piano condizionato sul modo in cui un business model dovrebbe essere configurato a seconda delle contingenze che potrebbero verificarsi. Una seconda differenza tra business model e strategia sta nel fatto che mentre ogni organizzazione ha alcuni business model (poiché ogni organizzazione compie delle scelte che hanno delle conseguenze), non tutte le organizzazioni hanno una strategia, definita come piano d’azione per differenti contingenze che possono presentarsi. Quest’ultima definizione potrebbe richiedere un ulteriore chiarimento riguardo alla distinzione tra strategia e tattica: un elemento essenziale della strategia è l’insieme di scelte impegnative (riguardanti la politica organizzativa, le attività e la struttura di governance) compiute dal management in fase di creazione del business model, le quali spesso risultano difficilmente reversibili (non significa che non possano essere modificate, ma che il loro cambiamento implica degli ingenti costi). Le scelte tattiche – come i prezzi, l’intensità della pubblicità o della ricerca e sviluppo – invece, sono relativamente più facili da modificare. - 23 -
Una strategia è quindi un piano d’azione condizionato a come si vuole usare un business model. Le azioni a disposizione dell’impresa per la strategia sono “scelte” che costituiscono la materia prima del business model (Casadesus-Masanell e Ricart 2010). Figura 2: Strategie, business model e tattiche
Fonte: Casadeus-Masanell e Ricart (2010)
La strategia, quindi, prevede la progettazione di business model per consentire all’organizzazione di raggiungere i propri obiettivi. I business model sono riflessi della strategia realizzata. Allo stesso modo, (ma in scala più dettagliata) anche le tattiche sono piani di azione, che si svolgono entro i limiti disegnati dal business model dell’impresa (figura 2).
Come si è visto, il concetto di business model contiene innumerevoli punti di vista ed è connesso a molte delle attività economiche poste in essere da un’impresa. Avere un’idea chiara di quello che si cerca quando si affronta l’analisi del business model di un determinato settore è il primo passo per comprendere a fondo come un’impresa crei valore. A questo capitolo seguirà una trattazione abbastanza lineare che avrà lo scopo di indagare fino in fondo il business model sottostante il mondo del travel retail. Lo scopo della trattazione è quello di dimostrare se il settore analizzato presenti degli elementi di unicità tali da considerare il suo business model differente da quello che caratterizza altri luoghi d’acquisto. Il primo passo da compiere è però quello di comprendere cosa si intende per “travel retail” e quali sono le caratteristiche di questo modello di business.
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CAPITOLO 2: IL TRAVEL RETAIL
2.1 Il concetto di travel retail Come per il business model, anche il concetto di “travel retail” può essere accostato ad una numerosa serie di definizioni, a causa della versatilità di entrambi i termini che formano l’idea e della loro generalità linguistica: il viaggio può essere inteso in termini temporali (di lunga, breve durata, quotidiano, etc.) oppure analizzato in base alle motivazioni per cui ci si muove (business, leisure, o altro). Il termine “retail” invece deriva dal francese “retailler” che significa ritagliare in piccoli pezzi e indica la vendita di prodotti al dettaglio al consumatore finale.1 Il pensiero di viaggio sviluppato in questo contesto è quindi in stretta relazione con l’idea generale di movimento, con il trasferimento di un soggetto da un posto all’altro; quello di travel retail invece compie un passo in avanti, prendendo in considerazione l’interrelazione tra turismo e shopping, e guardando ai luoghi di transito non più come stazioni di trasporto di passeggeri ma come un’attrazione per il tempo libero e una destinazione primaria a sé stante (Geuens et al. 2004).
Questa una delle definizioni di travel retail: “Attività commerciale al dettaglio rivolta a occasioni di consumo in loco e/o occasioni di acquisto in luoghi o snodi di movimento e spostamento rivolte a consumatori in viaggio, prevalentemente stranieri” (Sacerdote 2009).
La definizione può essere ulteriormente scomposta, per analizzare meglio alcuni elementi che la caratterizzano: il “commercio al dettaglio” è il commercio indirizzato al consumatore finale in vari format di vendita; le “occasioni di consumo in loco” indicano principalmente la ristorazione e la caffetteria, due elementi caratterizzanti il travel retail che rappresentano una elevata percentuale degli acquisti da parte delle “persone in movimento”; le “occasioni d’acquisto” invece rappresentano tutti quei prodotti che sono disponibili nei luoghi di transito e che possono essere acquistati dai clienti; i “luoghi e snodi di movimento e spostamento” rappresentano quelle location site in aree atte a consumare e ad acquistare durante lo spostamento e l’attesa (Sacerdote 2009). Il target principale del travel retail è prevalentemente 1
http://www.treccani.it/vocabolario/retail/
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composto da stranieri, poiché si presume che uno straniero abbia maggior propensione al consumo e all’acquisto. Ad ogni modo l’analisi del target di consumatori non si riduce alla classe degli “stranieri”, come avremo modo di approfondire in seguito, ma si rivolge a tutti quei passeggeri che possono diventare una risorsa di guadagno per aeroporti e stazioni grazie al tempo trascorso in attesa prima della partenza (Rowley e Slack 1999). I luoghi del travel retail sono quindi tutti i luoghi di transito in cui per varie ragioni si viene a creare un’audience prigioniera in attesa di un volo o di un treno. Aeroporti e stazioni rappresentano infatti il primo punto di contatto tra i viaggiatori e la loro destinazione (MartinCejas 2006). L’elemento chiave nell’analisi del travel retail è quindi la presenza di un consumatore-viaggiatore; diventano così importanti a fini strategici la sua provenienza, la destinazione, la residenza e la distanza da coprire (Sacerdote 2009). Stazioni e aeroporti sono i principali luoghi di transito in cui il travel retail nel corso degli anni e anche a seguito di riforme strutturali e legislative ha avuto la possibilità di svilupparsi e di divenire importante in termini economici per la sostenibilità dei business rispettivamente aeroportuale e ferroviario. Come vedremo, a seguito dell’abolizione del sistema di vendita dutyfree per i passeggeri che si muovono all’interno dell’Unione Europea, le autorità aeroportuali hanno dovuto escogitare dei metodi alternativi per generare un flusso di ricavi che rispondesse al calo delle entrate che precedentemente venivano generate (Freathy O’Connell 2000). Nel corso del tempo sia gli aeroporti che le stazioni hanno subìto numerosi cambiamenti sia organizzativi che strategici, e di conseguenza anche il travel retail ha visto modificare la propria posizione all’interno del sistema economico dei luoghi di transito. Nel 1947 l’imprenditore irlandese Brendan O’Regan ebbe una grande intuizione: che gli aeroporti non fossero delle mere stazioni per il trasporto delle persone, ma che potessero diventare dei grandi luoghi di incontro per persone di tutte le nazionalità (Moodie Report 2005). O’Reagan riuscì a sviluppare la sua idea: ottenere un’eccezione al regime fiscale/doganale sostenendo l’extraterritorialità della zona di transito aeroportuale (Belardini 2009). Attraverso il Custom Free Act (The Moodie Report 2005), nello stesso anno, diede così vita al primo dutyfree shop: approfittò della scalo a Shannon, in Irlanda - che gli aeroplani americani utilizzavano nel secondo dopoguerra per fare carburante – per offrire dei servizi di base (hotel), delle occasioni di consumo (ristorazione) e di acquisto (regalo) ai passeggeri che scendevano dall’aereo e avevano tempo libero e denaro a disposizione (Sacerdote 2009); l'idea di O'Regan, che ebbe da subito un grande successo, conobbe uno sviluppo internazionale solo con l'approvazione, nel 1954, della New York Convention on International Travel, che cominciò a mettere ordine nello spinoso tema delle imposizioni fiscali (Crivelli 2012). La base legale per l’indennità del duty/tax free fu la direttiva 69/169/EEC del 1969 nella quale si attestava che i - 26 -
passeggeri potessero importare quantità limitate di prodotti senza pagare VAT2 e accise mentre viaggiavano (Freathy e O’Connell 2000). L’industria del retail aeroportuale ha continuato a crescere nel corso degli anni, dimostrando una forte capacità di sviluppo anche a seguito di fattori esogeni negativi - primo fra tutti l’abolizione del regime duty-free nel Giugno del 1999, ma anche gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, l’apertura del conflitto militare in Afghanistan e Iraq e il fenomeno dell’influenza aviaria che ha avuto un effetto pesante sui traffici da e per l’estremo oriente – fino a raggiungere nel 2006 un fatturato pari a 24 miliardi di dollari (Verdict Research 2007). Il momento di maggior cambiamento, comunque, per l’industria aeroportuale non può che registrarsi nell’estate del 1999, quando venne abolito il duty-free per le vendite riservate ai passeggeri che si muovevano entro i confini dell’Unione Europea. Le conseguenze di questa decisione furono diverse e si estesero al di là di un calo generale delle vendite, verso una rivalutazione più profonda dell’intera struttura dei costi dell’industria aeroportuale (Freathy e O’Connell 2000). Da quel momento infatti, le aziende aeroportuali si resero conto di quanto importanti fossero le attività commerciali all’intero del sistema aeroporto e di come fosse necessario saper rispondere ai cambiamenti provenienti dall’esterno per cercare di mantenere e sviluppare questa area di business (Freathy 2004). L’abolizione del duty-free aveva comunque un pensiero razionale al suo interno e delle finalità nel lungo termine che hanno ad ogni modo incentivato lo sviluppo del travel retail in ogni sua forma: il desiderio sottostante la legge era infatti quello di creare un singolo mercato europeo che incoraggiasse il movimento di beni e servizi tra i membri di tutte le nazionalità, e che sviluppasse quindi un territorio senza frontiere o controlli per l’immigrazione tra i viaggiatori della comunità e senza barriere tra i compratori e i venditori di paesi diversi (Freathy E O’connell 2000). Mentre si stabiliva quindi un singolo mercato europeo, l’affermazione di queste proposte creava comunque una serie di difficoltà all’industria aeroportuale, mettendo a dura prova la capacità degli operatori di raggiungere la massima efficienza nei servizi e nel cercare nuove risorse di reddito. Le principali difficoltà furono strutturali: nacque l’esigenza di dividere i terminal tra “area Schengen” e “area non-Schengen” e dividere di conseguenza anche i passeggeri tra i due percorsi (Freathy e O’Connell 2000). L’aumento dei costi operativi derivanti dalla duplicazione dei terminal richiese cospicui investimenti all’interno delle strutture aeroportuali. Nell’aeroporto di Schiphol, ad Amsterdam, l’impatto di queste disposizioni dell’area Schengen portò a diminuzioni del 40% in molte categorie merceologiche
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Value Added Tax – Imposta a Valore aggiunto (IVA)
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(Freathy e O’Connell 2000). Gli altri cambiamenti principali che hanno contribuito a sviluppare delle strategie commerciali da parte dei singoli aeroporti e delle autorità aeroportuali sono stati:
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Diminuzione dei ricavi aeroportuali: a seguito dell’elevata competizione tra le compagnie aeree, gli aeroporti videro i ricavi derivanti dalle attività aviation diminuire. Come conseguenza di ciò, la percentuale delle attività commerciali rispetto alle entrate totali aumentò in molti aeroporti. Questo cambiamento di influenza delle risorse commerciali all’interno dei ricavi ha portato, nel corso degli anni, a una riconfigurazione delle relazioni di potere nella gerarchia manageriale di molte autorità aeroportuali (Freathy 2004).
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Diminuzione del controllo dello Stato: tradizionalmente gli aeroporti sono stati amministrati e controllati dai governi centrali o locali o da un corpo nominato dallo Stato. Nel corso degli anni si è assistito a un progressivo innalzamento del livello di qualità dell’ambiente aeroportuale favorito dal processo di privatizzazione che ha interessato il settore (Sacerdote 2009).
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Preoccupazioni riguardanti minacce terroristiche o alla salute: queste possono mettere duramente in crisi il traffico aereo nel breve-medio periodo. Eventi come gli attentati dell’11 Settembre 2001, o l’infezione virale della SARS, che nel 2003 mise a dura prova il concetto stesso di globalizzazione - poiché fu soprattutto il traffico aereo a determinare la diffusione dell’epidemia e a far capire come, in un mondo globalizzato e interconnesso da mezzi di trasporto veloci, un’infezione comparsa in un’area remota, una volta raggiunto un importante scalo internazionale, possa facilmente e rapidamente comparire in aree estremamente distanti rispetto al focolaio iniziale (Rezza 2013): in Cina 136.000 visite da parte di turisti stranieri vennero cancellate, mentre ad Hong Kong il flusso dei turisti diminuì del 50% poiché le compagnie aeree internazionali annullarono oltre il 30% dei voli (Freathy 2004).
Lo sviluppo del travel retail sia nel settore aeroportuale sia in quello ferroviario, è comunque da associare a una trasformazione sociale ed economica che si è venuta a creare in diversi paesi del mondo, che potremmo denominare “democratizzazione del viaggio”: la nascita delle compagnie low cost e soprattutto l’avvento di Internet e quindi la possibilità di interfacciarsi direttamente con le aziende di trasporto – senza dover per forza consultare degli intermediari – ha abbassato decisamente il prezzo dei biglietti necessari allo spostamento e ha quindi dato vita a forme di viaggio prima inesplorate. La domanda di mobilità è un indicatore della libertà delle persone e dei popoli (Gentili 2008): la domanda di beni e servizi a supporto del people on the - 28 -
move cresce attraverso l’incremento dei flussi dei viaggiatori, prodotto appunto dagli operatori low cost che hanno incoraggiato nuovi gruppi di persone ad utilizzare il trasporto aereo (Freathy 2004), ma anche in relazione alle infrastrutture della mobilità (Sacerdote 2009). La democratizzazione del viaggio ha portato nel 2011 circa 2,8 miliardi di viaggiatori nel trasporto aereo, con una crescita di circa il 5% rispetto all’anno precedente. Si stima che nel 2016 i passeggeri aerei annui possano essere 3,6 miliardi (IATA 2012) e anche le previsioni del trasporto ferroviario appaiono positive, soprattutto grazie allo sviluppo delle linee di alta velocità in tutta Europa e dell’alta propensione dei giovani ad utilizzare il treno per gli spostamenti a corto-medio raggio a discapito dell’automobile (Nielsel 2014). Lo sviluppo del travel retail è stato guidato fondamentalmente dal settore aeroportuale, grazie allo speciale regime di duty-free, ma anche la crescita delle strutture della mobilità come reti ferroviarie e autostradali, hanno creato un senso di apertura, incoraggiando la comunicazione e quindi lo sviluppo delle attività commerciali (Lloyd 2003). Altri fattori che hanno contribuito allo sviluppo delle vendite all’interno degli aeroporti sono:
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La crescita di lungo periodo del traffico aereo (Belardini 2009)
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L’evoluzione del settore aeroportuale da pubblico a commerciale e in molti casi privatizzato, che ha dato maggiori libertà agli aeroporti, ma anche una maggiore motivazione nello sfruttare le opportunità commerciali esistenti (Graham 2009).
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L’importanza della presenza in aeroporto delle maggiori aziende della moda e del lusso, che vedono il luogo di transito come una preziosissima vetrina per i prodotti venduti nel proprio mercato domestico (Freathy e O’Connell 2000).
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La
globalizzazione
dei
consumi,
che
ha
contribuito
al
fenomeno
della
“omogeneizzazione” dei gusti tali da rendere sempre meno rilevanti i profili “demografici” del consumatore e sempre più rilevanti i profili dello stile di vita (Belardini 2009) -
Lo sviluppo dei mercati asiatici, i quali per la prima volta nel 2011 hanno superato l’Europa in termini di vendite totali nel settore duty-free e che sono capaci di offrire delle strutture aeroportuali che rappresentano il massimo per la shopping experience (Travel Retail 2012).
Si è venuto quindi a creare, con il tempo, un cambio di prospettiva all’interno dell’industria aeronautica e si è assistito a una divisione in due settori del mercato aereo: la parte “aviation”, riguardante il trasporto aereo e la gestione delle linee aeree, e la parte “non-aviation” che comprende diversi servizi (Jarach 2002): - 29 -
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Commerciali
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Turistici
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Congressuali
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Distributivi e di property management
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Consulenziali
Le rivoluzioni e le opportunità nel settore aeroportuale hanno permesso a molte società di sviluppare un percorso strategico e un modello di business in grado di sostenere una competizione a livello internazionale: i ricavi derivanti dal travel retail hanno raggiunto una posizione di primo livello per le finanze degli operatori, e quello “non-aviation” è il settore con più ampi margini di crescita anche in relazione alle prospettive future (Morrison 2009). E’ ormai accettata l’importanza delle attività commerciali nel contribuire alla sostenibilità finanziaria di molti aeroporti (Ching- Chyuan e Pagliagi 2004). Non è solo il settore aeroportuale, tuttavia, quello che ha subìto dei cambiamenti importanti nel corso degli anni, poiché anche il mondo ferroviario italiano ha visto svilupparsi, dal 2000 in poi, un progetto ambizioso, che conta di attestare la presenza delle attività commerciali negli snodi principali del nostro paese, passaggio obbligato per un altissimo numero di viaggiatori. “Grandi Stazioni ha iniziato un progetto di riqualificazione delle principali stazioni ferroviarie, iniziato da Roma Termini, per il Giubileo del 2000 e continuato con successo a Milano Centrale, Torino Porta Nuova e Napoli Centrale. L’operazione ha trasformato le grandi stazioni italiane in altrettante vetrine prestigiose esposte allo sguardo di milioni di viaggiatori” afferma Stefano Mereu3 (2013). Il travel retail cresce dunque anche nel settore ferroviario, e la ricerca condotta da Nielsel (2014) per Confimprese lascia presagire ulteriori miglioramenti possibili, sia a livello strutturale sia nello studio dei target di clientela e nelle proposte rivolte al pubblico, soprattutto quello più giovane: la ricerca mostra un aumento dell’utilizzo del trasporto su rotaia, a discapito dell’auto – a causa dei prezzi del carburante e dei pedaggi autostradali – che ha fatto registrare una crescita dell’alta velocità del 56%, per un totale di 25 milioni di passeggeri annui. L’innovazione tecnologica e la possibilità di essere sempre connessi ha creato dei consumatori esigenti e informati: è soprattutto il pubblico più giovane, cioè quello più connesso, ad averne tratto maggiori benefici. Così come sta accadendo in altri settori dei consumi, anche per quanto riguarda le scelte di viaggio è in corso un processo evolutivo, che sarà influenzato non solo dal potere d’acquisto degli italiani, ma anche dal cambiamento che l’offerta sarà in grado di mettere in atto, verso una domanda sempre più
3
Sales and Media Director Grandi Stazioni S.p.a.
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esigente in termini di qualità-prezzo. Proprio nelle grandi stazioni, nel corso dell’ultimo anno il fatturato retail è cresciuto del 44% e quello food del 32% (Nielsen 2014) attestando in questo modo lo sviluppo del travel retail anche nel settore ferroviario. L’efficienza dell’intero sistema di mobilità, dunque, è un fattore determinante per la modernizzazione del Paese e per il suo sviluppo economico e sociale. Aeroporti e stazioni sono i luoghi principali del travel retail, e stanno progressivamente aumentando la loro importanza nel sistema finanziario delle imprese che gestiscono i luoghi di transito più importanti del nostro paese.
2.2 Il travel retail: unicità del modello di business ed evoluzione degli spazi La crescita delle occasioni di viaggio a favore di una platea più vasta di individui ha prodotto lo sviluppo di una serie di offerte commerciali che hanno profondamente trasformato gli ambienti aeroportuale e ferroviario. Per indagare al meglio le strategie sottostanti lo sviluppo del travel retail in questi ambienti è necessario comprendere quali siano gli elementi caratterizzanti questo tipo di offerta commerciale e quali differenze possono registrarsi rispetto ad altri luoghi di consumo come gli shopping center. Il primo elemento da tenere in considerazione è che, almeno per ora, il consumo nei luoghi di transito è un elemento secondario rispetto alla causa principale che porta un consumatore in aeroporto o in stazione; tuttavia la componente dell’acquisto non diventa meno importante solo perché secondaria nelle priorità del consumatore-viaggiatore, ma rimane una variabile capace di definire la qualità di una vacanza o di un viaggio di lavoro. L’infrastruttura aeroportuale, infatti (così come la stazione ferroviaria) rappresenta il primo punto di contatto per i turisti in partenza per le proprie vacanze (Martin-Cejas 2006); l’esperienza del viaggiatore deve quindi essere considerata importantissima sin dal primo momento e tutte le attività devono essere processate nella maniera più efficiente possibile, così da minimizzare il tempo del viaggio e di attesa e sfruttare il tempo libero attraverso occasioni d’acquisto presso l’area commerciale (Martin-Cejas 2006). Il fattore principale da tenere in considerazione nel fissare i confini per una migliore definizione del travel retail è la presenza di un consumatore-viaggiatore in attesa per una destinazione diversa da quella di partenza; poiché il cliente è un passeggero in procinto di prendere un volo, vi è un limite nella disponibilità di beni che possono essere distribuiti essendo esclusa la possibilità di vendere oggetti voluminosi e pesanti (Belardini 2009). Il fattore psicologico gioca inoltre un ruolo principale nelle decisioni d’acquisto e nel comportamento del consumatore: se le motivazioni generali che spingono all’acquisto sono simili in ogni contesto commerciale, il viaggio e l’aeroporto provocano delle motivazioni speciali dipendenti dall’ offerta commerciale dell’ambiente aeroportuale e dalla cultura commerciale locale (Chung - 31 -
et al. 2013). Percezioni e motivazioni sono quindi alla base del comportamento del consumatore e delle sue decisioni d’acquisto, e queste sono fortemente dipendenti dall’esperienza vissuta e dalla qualità dei servizi offerti (Martin-Cejas 2006). Tutte le variabili di percezione relative allo shopping in aeroporto influenzano positivamente sia gli acquisti pianificati che quelli ad impulso; gli elementi principali in questo senso sono: l’ambiente, il fatto che gli acquisti siano di valore e che appartengano a brand famosi (Lu 2014); la presenza “forzata” dei passeggeri in attesa rende l’esperienza dell’acquisto diversa da quella in altri luoghi di consumo, e può spiegare l’alta incidenza dell’acquisto a impulso che si sviluppa negli aeroporti, stimato al 70% delle vendite (Crawford e Melewar 2006.); l’ambiente rappresenta un fattore importante anche concepito come spazio fisico in cui si sviluppa l’offerta commerciale, poiché l’infrastruttura aeroportuale soffre di una limitatezza di spazi che comporta da una parte l’esigenza di creare dei formati di dimensioni ridotte, e dall’altra degli alti costi per la sub-concessione degli spazi da parte dei retailers (Belardini 2009). È infatti importante ottimizzare tempi e spazi: in genere i negozi non presentano camerini all’interno e sono molto più piccoli rispetto agli analoghi punti vendita dello stesso marchio nei mall o su strada (Bello 2012). Un altro fattore importante per la percezione del consumatore e quindi per il suo comportamento d’acquisto è il servizio prestato alla clientela: questo suggerisce che gli operatori aeroportuali dovrebbero offrire dei prodotti di valore, a prezzi competitivi e con una elevata varietà in un ambiente confortevole e rilassato, per creare numerose occasioni d’acquisti a impulso (Lu 2014): se sono ormai numerosi gli input che ogni giorno raggiungono una larga parte dei consumatori per spingerli all’acquisto, non si può negare che i viaggiatori-consumatori abbiano una peculiarità che li contraddistingue dal resto dei normali consumatori: rappresentano un “audiece prigioniera”, con del tempo libero a disposizione e con l’esigenza (in molti casi) di smaltire lo stress provocato da un ambiente diverso e possibilmente sconosciuto, dalla pressione provocata dai controlli di sicurezza e dalle numerose code d’attesa (Lin e Chen 2013). Il retailing aeroportuale si trova generalmente in un ambiente di shopping chiuso, e i passeggeri in partenza sperimentano diverse fasi prima di raggiungerlo: parcheggio, sala partenze, zona biglietti, area controllo passaporti, controllo di sicurezza e imbarco (Perng et al. 2010). Una buona parte del tempo trascorso in aeroporto è impiegata in attività noiose, ripetitive e obbligatorie; nessun altro tipo di viaggio e nessun altro luogo dettano regole così rigide (Sacerdote 2009). Scholvinck (2000) ha sviluppato la cosiddetta “travel stress curve” per i passeggeri internazionali e ha presentato il fattore dell’acquisto non pianificato come uno dei più importanti per l’offerta commerciale dei retailer. Gli aeroporti sono infatti ambienti “commerciali” con caratteristiche uniche, rispetto ad altri luoghi di consumo, poiché l’esperienza dei viaggiatori provoca un sentimento di ansia, stress - 32 -
ed eccitazione che porta i consumatori a reagire e a comportarsi in modo inusuale, molto spesso cedendo alla tentazione dell’impulso di comprare un prodotto che prima della visita non intendevano acquistare (Cobb e Hoyer 1986). In confronto con altri settori dell’economia, pertanto, gli aeroporti godono di opportunità uniche per il conseguimento di extra-profitti dalle attività commerciali, grazie al transito di consumatori con disponibilità di spesa e, come abbiamo visto, una maggiore propensione all’acquisto rispetto ad altre soluzioni di trasporto, e anche grazie all’alto grado di controllo strategico della domanda nella forma di una “customer ownership” fisica, a causa della permanenza forzata nella struttura aeroportuale (Jarach 2002). Non va dimenticato che questa audience prigioniera, oltre ad occupare del tempo libero, ha anche la necessità - in molti casi – di esorcizzare la paura del volo e di smaltire lo stress accumulato. Da quando gli aeroporti sono diventati più grandi, la distanza tra il check-in e l’imbarco ha continuato a crescere e a richiedere del tempo di attesa e di attraversamento; questo ha fatto aumentare il livello di ansia dei viaggiatori, il quale scopo primario è arrivare il prima possibile al gate di partenza (Crawford e Melewar 2006). Lo studio della “travel stress curve” (figura 3) ha permesso di analizzare in maniera più approfondita il comportamento dell’acquisto a impulso negli aeroporti, arrivando ad evidenziare due cambiamenti emotivi che influenzano le abitudini d’acquisto dei consumatori in procinto di partire: Figura 3: Travel Stress Curve
Fonte: Scholvinck (2000)
Il primo è l’aumento del livello di stress prodotto dall’esperienza vissuta dai consumatori, che si trovano disorientati da una situazione che non rientra nella loro routine quotidiana; il secondo fattore emotivo è rappresentato dalla volontà di anticipare gli eventi e dall’eccitazione in vista del viaggio (Thomas 1997): la paura di perdere il volo - non riuscendo a compiere tutte le attività di controllo e imbarco obbligatorie per ogni viaggiatore, porta molti individui ad arrivare molte - 33 -
ore prima in aeroporto, incrementando quello che viene definito “tempo di sosta”, il tempo trascorso all’interno del terminal prima della partenza; questo lasso di tempo a disposizione del viaggiatore, da altri definito “Happy Hour” (Lin e Chen 2013), rappresenta il momento più adatto per lo shopping in aeroporto. E’ infatti dimostrato che dopo aver ricevuto la propria carta d’imbarco e aver superato i controlli, il livello di stress dei passeggeri diminuisce considerevolmente, mentre l’eccitazione rimane alta (Thomas 1997). Inoltre gli aeroporti forniscono un ambiente che può stuzzicare la curiosità dei passeggeri, rendendo la pressione temporale e l’acquisto ad impulso due caratteristiche imprescindibili nella descrizione del travel retail in generale e dell’ambiente aeroportuale in particolare (Omar e Kent 2001). L’esclusività del travel retail non è comunque confinata solo all’interno degli aeroporti: sebbene le stazioni aeroportuali abbiano dei fattori di eccezionalità, dati dai controlli e dal passaggio da un’area che è riservata solamente a chi si trova in possesso di un biglietto per il viaggio, anche le stazioni ferroviarie presentano un’offerta d’acquisto che non è completamente assimilabile a quella di altri luoghi di consumo, e si interfacciano con un utente con esigenze diverse dai regolari clienti degli shopping center. L’ambiente ferroviario è sicuramente meno caratteristico, rispetto a quello aeroportuale, ma ci sono dei fattori che vale la pena di sottolineare quando si presenta questa tipologia di travel retail: innanzi tutto il cliente è in attesa, anche in questo caso, di una partenza più o meno imminente, e ha quindi a disposizione del tempo da dedicare allo shopping e allo showrooming; si viene dunque a creare, anche in questo frangente, un’ audience prigioniera, recettiva alle offerte e alle promozioni e incuriosita da un ambiente diverso dal solito. L’elemento che accomuna il travel retail aeroportuale con quello ferroviario, dunque è la “time pressure” vissuta dai consumatori in questi luoghi di transito. Le stazioni, negli anni, hanno comunque avuto la possibilità di modificare il proprio impianto strutturale e di presentarsi al pubblico con una nuova veste, che in Italia si è riuscita a sviluppare attraverso i progetto “Grandi Stazioni” e ha condotto a un’offerta commerciale presentata come un mix tra negozi travel retail e punti vendita cittadini. Le stazioni sono aree di passaggio quindi duty-free tradizionali, ma nel centro delle città, dunque non necessariamente vincolate al concetto di viaggio (Bello 2012). Le gallerie commerciali delle grandi stazioni ferroviarie vengono quindi considerate delle nuove piazze urbane, capaci di consolidare una consumer community viva e vitale (Pintacuda 2013). Il fatto che ci sia sempre meno tempo per passeggiare per il centro città è un motivo che rende propensi molti consumatori a dare spazio alle idee di shopping nei tempi in attesa, quindi in aeroporto e stazione - prima della partenza – una volta superati tutti i controlli o dopo aver visto il numero del binario da cui partirà il proprio treno (Bello 2012). - 34 -
Si è già mostrato come l’esperienza vissuta dal viaggiatore è fortemente connessa alla voglia di acquistare e di provare prodotti nuovi o linee esclusive. L’evoluzione degli spazi che ha riguardato aeroporti e stazioni, quindi, non poteva non tenere fortemente in considerazione l’aspetto non-aviation (nel caso degli aeroporti) o commerciale (nelle stazioni ferroviarie) all’interno del progetto strategico sviluppato. E’ vero anche, però, che l’importanza dei ricavi commerciali varia per regioni globali: nel 2006 le attività commerciali rappresentavano in media il 53% dei ricavi totali negli aeroporti del Nord America, Africa e Medio Oriente, rispetto al 48% degli aeroporti europei e il 46% di quelli in Asia/Regione del Pacifico (tabella 2) (Graham 2009).
Tabella 2: Ricavi commerciali aeroportuali per Paese
Regione
Ricavi commerciali ($ miliardi)
Ricavi commerciali / Ricavi totali (%)
Ricavi commerciali per passeggero ($)
Africa / Medio Oriente
1.80
52.9
8.00
Asia /Pacifico
6.92
45.7
7.06
Europa
16.61
48.1
12.15
America Latina
0.85
29.0
3.13
Nord America
9.05
52.6
5.92
Totale
35.23
48.1
8.06
Fonte: Graham (2009)
Sin dal passato, i cambiamenti politici e nei comportamenti d’acquisto dei consumatori, l’aumento della competizione e la riconfigurazione dell’ambiente da parte delle industrie aeronautiche hanno richiesto la progettazione di una serie di misure strategiche per arrivare a generare ricavi commerciali e assicurare la vitalità del settore aeroportuale (Freathy 2004). Le prime risposte avvennero a seguito dell’abolizione del regime duty free, che come abbiamo già accennato, rappresenta uno dei passaggi fondamentali per la crescita e la sperimentazione strategica all’interno del travel retail. La prima strategia per gli aeroporti fu quella di rinforzare la propria posizione come prima scelta sia per le linee aeree che per i viaggiatori; aumentando il numero di linee aeree, voli e passeggeri, le autorità aeroportuali tentarono di minimizzare l’impatto del cambio legislativo nel territorio europeo (Freathy e O’Connell 2000). Nel primo periodo post abolizione, uno degli obiettivi primari fu comunque quello di preservare la base dei clienti rimanenti: un metodo per farlo era quello di assorbire il pagamento delle tasse per quei prodotti che tradizionalmente venivano venduti come “tax free”, come profumi o cosmetici. Ci furono anche autorità aeroportuali che decisero di riconfigurare gli spazi e creare due aree separate con gli stessi prodotti offerti ma a prezzi differenti: il successo dell’iniziativa - 35 -
rimase comunque dubbio, soprattutto perché in molti casi i passeggeri intra-europei potevano rendersi conto della grande disparità di prezzo tra le due aree, e non sentirsi per niente invogliati all’acquisto (Freathy 2004). Un’altra strategia messa in atto per rispondere all’abolizione del regime duty-free - rivelatasi poi di vitale importanza anche per la sopravvivenza economica stessa delle autorità aeroportuali - fu quella di espandere le attività commerciali, aggiungerne altre e aumentare anche lo spazio dedicato a negozi specializzati: gli aeroporti si resero conto della necessità di differenziarsi anche attraverso un’offerta commerciale basata sull’esclusività piuttosto che sul prezzo (Freathy e O’Connell 2000). La prima conseguenza di una strategia come questa fu l’allargamento del potenziale d’utenza dei servizi non-aviation all’interno della struttura aeroportuale; oltre al segmento captive, delineato dai passeggeri in transito all’interno dell’aeroporto, col tempo si è sviluppata un’offerta dedicata anche ad altri soggetti che coprono una buona percentuale degli acquisti nell’area (Jarach 2002):
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Meeters & greeters: segmento rappresentato da coloro che si recano in aeroporto per accompagnare o ricevere i loro parenti o amici in visita (VFR 4) o per appuntamenti e incontri di lavoro.
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Dipendenti: tutti i lavoratori all’interno della struttura aeroportuale, delle aerolinee e degli altri servizi commerciali ivi operanti rappresentano una fonte di ricavo non molto importante in termini di volumi e prezzi, ma con una frequenza che non viene eguagliata da nessun altro segmento.
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Residenti: attorno all’aeroporto o nelle vicinanze. La sfera di attrazione dell’aeroporto varia a seconda del livello della qualità dei prodotti, della densità dei locali commerciali e dell’orario esteso di apertura (Jarach 2001). Il potenziale d’utenza non è più quindi considerato soltanto il numero dei passeggeri-viaggiatori presenti all’interno della struttura aeroportuale, ma è molto più vasto. La redditività dell’impresa-aeroporto è ulteriormente sviluppata qualora ci siano delle restrizioni particolari legate agli orari di apertura degli esercizi commerciali ubicati nelle vicinanze del sedime che non trovino applicazione all’interno delle mura aeroportuali e qualora ci siano dei collegamenti pubblici tra il centro e l’aeroporto in grado di permettere ai residenti o ai cittadini delle zone limitrofe di raggiungere la struttura senza troppe difficoltà (Jarach 2002).
Oltre all’organizzazione dei servizi commerciali, che verranno analizzati nel dettaglio più avanti, si è sviluppata anche una serie di altri servizi, che fanno comunque parte del segmento
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VFR: Visiting Friend Relatives
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non-aviation e rispondono all’esigenza di vendere un “prodotto ampliato” all’ interno della struttura aeroportuale:
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Serivizi turistici: il concetto di “aeroporto come destinazione turistica” proviene dall’esigenza di attrarre un flusso di domanda addizionale senza correlazione diretta con i possessori di un biglietto aeroportuale (Levitt 1980). Gli spotters sono il primo gruppo di potenziali clienti: molti appassionati di treni ed aerei si recano nelle stazioni e negli aeroporti per fotografare aeromobili o treni in partenza e in arrivo presso lo scalo o il binario. Gli aeroporti di Heathrow in Regno Unito o quello di Monaco di Baviera in Germania hanno costruito e aperto alcuni anni fa terrazze e colline artificiali per permettere l’accesso agli osservatori di aeroplani: l’accesso a questi siti è regolato dal pagamento di un biglietto che apporta notevoli ricavi addizionali alla struttura aeroportuale, rispondendo alla necessità di diversificare l’attività investendo in nuovi business capaci di attrarre anche in periodi di basso traffico o nelle ore serali (Jarach 2002). L’Italia è molto indietro nel concetto di “aeroporto come attrazione turistica”, poiché l’osservazione in molte aree è vietata per ragioni di sicurezza e ragioni militari, concetto che va abbastanza a configgere con l’approccio turistico che potrebbero assumere anche nel nostro Paese le strutture aeroportuali (Jarach 2001). L’Italia ha saputo comunque sfruttare la possibilità di utilizzo dell’aeroporto come fonte di guadagni derivanti da attività non inerenti al trasporto di persone: l’aeroporto di Malpensa ha per esempio organizzato concerti musicali all’interno del proprio Terminal 1 (Malpensa, il restyling parte dal lusso 2014); in molti casi, dunque l’aeroporto si è trasformato in un “organizzatore di eventi”, con un’immagine autonoma capace di stimolare una domanda complementare nei periodi in cui quella per i servizi aviario è sempre minore (i mesi di novembre, gennaio e febbraio ma anche tutte le ore serali) (Jarach 2002). Nelle aree orientali o negli aeroporti del Nord America si sono sviluppate anche attività di interesse e di business rivolte principalmente agli abitanti delle zone limitrofe piuttosto che ai passeggeri, come cinema, fitness center o campi da golf ma anche mostre d’arte o aree espositive e museali che offrono un momento di intrattenimento sia a chi è in procinto di partire sia a chi vuole passare qualche ora di svago in un ambiente diverso e confortevole (Jarach 2001).
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Un’altra area di interesse per un aeroporto che voglia approcciarsi in modo strategico al mercato proviene dal settore dei servizi congressuali: molte aziende ricercano in ogni periodo dell’anno degli spazi grandi e comodi in cui ricevere delegati e pianificare gli incontri con il supporto della tecnologia necessaria. Gli aeroporti avrebbero a - 37 -
disposizione delle risorse in grado di generare un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo, rispetto agli altri locali congressuali: il vantaggio principale sarebbe sicuramente dato dalla location in grado di minimizzare il tempo di spostamento per gli ospiti (vantaggio che risulterebbe particolarmente evidente in caso di incontri di un solo giorno) risparmiando sia in termini di costo che di tempo (Jarach 2002). Gli ultimi due approcci “inusuali” all’interno degli aeroporti (o stazioni, in molti casi) riguardano:
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I servizi distributivi, e di property management, in cui gli aeroporti possono offrire attività specializzate di assemblaggio, di trasformazione parziale dei semilavorati e di stoccaggio degli stessi in spazi dedicati (Jarach 2002).
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Servizi consulenziali: i migliori aeroporti potrebbero eventualmente implementare un’ulteriore estensione al proprio pacchetto di servizi offerto, assistendo sul mercato nuovi operatori nella costituzione della propria infrastruttura aeroportuale o affiancando attori esistenti nell’opera di miglioramento della propria struttura. Potrebbero inoltre vendere la loro esperienza con la finalità di istruire altri attori trasferendo loro capacità e know-how (Jarach 2001). Esempi di questa tipologia di servizi provengono dalla “SEA Aeroporti Milano”, che ha supportato l’espansione dell’aeroporto di Bucarest e dalla BAA5, l’autorità aeroportuale di sette siti in Gran Bretagna, che è correntemente responsabile per il management degli aeroporti americani di Pittsburgh e Indianapolis (Jarach 2002).
Le attività non-aviation più redditizie - almeno finché una nuova riconfigurazione degli spazi non verrà attuata - sono tuttavia quelle relative all’area commerciale all’interno della struttura aeroportuale. Molte organizzazioni hanno nel corso del tempo riconfigurato le relazioni con i propri fornitori dopo aver compreso l’importanza della presenza di un brand all’interno del sistema del travel retail (Freathy e O’Connell 2000). Un altro passo importante per meglio approcciarsi ai servizi commerciali è stato quello di segmentare la clientela nel modo più accurato possibile: i viaggiatori che attraversano gli hub degli aeroporti o le banchine delle stazioni sono molto diversi tra loro e non è facile selezionare dei criteri per creare dei gruppi in grado di facilitare lo studio dei comportamenti di consumo. Nel corso del tempo si è però proceduto alla segmentazione dei clienti degli aeroporti innanzi tutto considerando il fatto che
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British Airports Autority: società di gestione aeroportuale britannica, ora denominata BAA.
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siano o meno dei viaggiatori; si è poi proseguito con un’indagine sugli scopi del viaggio o della visita: i viaggiatori sono stati inoltre suddivisi in “domestici, internazionali e di passaggio”, o in “viaggiatori a corto raggio o a lungo raggio” o ancora in “viaggiatori business e leisure” (Freathy 2004). Lo studio di questi segmenti, come vedremo, ha prodotto una comunicazione più efficace e la possibilità di sfruttare le peculiarità di ogni gruppo per raggiungere ricavi maggiori all’interno dell’area non-aviation. L’orientamento commerciale delle operazioni e delle strutture all’interno degli aeroporti si sta sviluppando sempre di più, attraverso un nuovo approccio al mercato e una evoluzione del ruolo degli “airport manager” (Carney e Mew 2003). La focalizzazione sul business si è orientata da una parte alla continua sofisticazione delle competenze tipiche di gestione (quelle aviation), attraverso la ricerca di soluzioni volte all’ottimizzazione dei processi e al miglioramento della qualità dei servizi erogati, dall’altra allo sviluppo di nuove competenze nel business non-aviation, quindi a tutte le attività commerciali complementari e collaterali al business principale del traffico aereo (Sacerdote 2009). L’incidenza dei ricavi commerciali rispetto ai ricavi totali fatti registrare dalle strutture aeroportuali varia a seconda degli aeroporti, dei paesi in cui sono localizzati e dal numero di viaggiatori che si registrano ogni anno. I ricavi commerciali variano infatti a seconda di una moltitudine di fattori, inclusi il volume e la natura dei passeggeri e degli altri clienti, il tempo libero a disposizione, il livello di stress registrato e lo spazio dedicato alle attività commerciali all’interno della struttura aeroportuale (Graham 2009). La dimensione di un aeroporto è infatti un driver importante per i ricavi commerciali.
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Grafico 1: Numero passeggeri annuali (Milioni)
1° colonna: 2006 – 2° colonna: 2008
Fonte: Fuerst et al. (2011)
Si può notare (grafico 1) come nel corso di tre anni (tra il 2006 e il 2008) il flusso di traffico dei passeggeri negli aeroporti europei sia sostanzialmente aumentato in quasi tutte le strutture; inoltre la classifica riguardante il numero di passeggeri in transito è rimasta pressoché invariata (Fuerst et al. 2011). La dimensione emerge nell’analisi come un fattore determinante nel delineare i ricavi degli aeroporti, ma probabilmente copre l’impatto di altri fattori. Nel grafico 2 è possibile vedere i ricavi commerciali per passeggero dell’anno 2008: la classifica che ne risulta è abbastanza diversa dalla precedente; quattro aeroporti tedeschi appaiono entro i primi dieci per maggiori ricavi per passeggero, mentre molti degli aeroporti più grandi (con un flusso maggiore di passeggeri) registrano ricavi relativamente bassi, in particolare gli aeroporti di Zurigo, Parigi e Bruxelles (Fuerst et al. 2011).
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Grafico 2: Ricavi commerciali per passeggero nel 2008 (€)
Fonte:Fuerst et al. (2011)
Uno studio IATA indica come la componente ricavi non-aviation stia progressivamente raggiungendo quella di ricavi aviation. In alcuni aeroporti addirittura i ricavi derivanti da attività commerciali hanno superato quelli connessi al business tradizionale; uno degli esempi proviene dall’aeroporto di Singapore, che nel 2006 ha realizzato quasi il 60% dei propri ricavi da attività non aeronautiche (Sacerdote 2009). Anche in Europa le attività commerciali hanno assunto un ruolo fondamentale nella sostenibilità economica delle strutture aeroportuali, tanto da consegnare al travel retail una considerevole percentuale di ricavi rispetto alle entrate totali registrate. Nel grafico 3 si possono visualizzare i dati riguardanti l’anno 2006, e si può ragionevolmente pensare che queste percentuali siano ulteriormente aumentate nel corso del tempo. Come si può vedere, l’autorità aeroportuale di Dublino (DAA) e i tre aeroporti di Londra (Heathrow, Gatwick e Stansted) generano circa i due terzi dei loro ricavi attraverso i ricavi commerciali mentre Salisburgo, Vienna, Firenze e Colonia ne generano solo un quarto (Graham 2009).
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Grafico 3: Ricavi commerciali / Ricavi totali (%) in Europa nel 2006
Fonte: Graham (2009)
L’aeroporto dunque nel corso di un tempo che non supera neanche i venti anni si è radicalmente trasformato, modificando profondamente il proprio ruolo e la propria funzione: da una mera infrastruttura a servizio del vettore, che mirava al trasporto di individui da una parte all’altra del pianeta, alle moderne città-aeroporto (Appold e Kasarda 2011) che costituiscono un aggregato polifunzionale di attività di business a servizio sia dei clienti intermedi (B2B) quali compagnie aeree, handlers, retailers e aziende in generale, sia dei clienti finali (B2C) quali passeggeri, comunità aeroportuale, comunità locale, accompagnatori ecc (Sacerdote 2009). La diminuzione del peso dei ricavi (grafico 4) dipendenti dalle attività riguardanti il trasporto aereo è da imputarsi anche alla capacità di molti aeroporti (europei e internazionali) di trasformare la propria offerta commerciale e di comunicare bene a tutti i target considerati il cambiamento apportato all’ambiente (ACI 2013).
- 42 -
Grafico 4: Evoluzione struttura ricavi nel settore aeroportuale 100%
Ricavi aviation 59%
58%
53%
52%
54%
53%
53%
63%
41%
42%
47%
48%
46%
47%
47%
37%
1968
1983
1994
2003
2005
2008
2009
2010
Ricavi non-aviation
50%
0%
Fonte: ACI (2013)
L’aeroporto di Schiphol, per esempio, che è stato tra i primi in Europa insieme agli aeroporti londinesi a realizzare efficaci programmi di diversificazione nel non-aviation, dispone oggi di una vera e propria mall commerciale (Schiphol Plaza) nell’area cosiddetta land-side raggiungibile anche dagli abitanti della città - essendo situata al centro di uno snodo intermodale che unisce il terminal alla stazione del treno e dei bus (Sacerdote 2009); dopo la privatizzazione anche la BAA ha iniziato a sviluppare servizi alberghieri, ha costruito una linea ferroviaria al prezzo di 450 milioni di sterline per collegare il centro di Londra con l’aeroporto di Heathrow, ha investito in immobili, gestito negozi e comprato una società di spedizioni (Freathy 2004). In Australia, la privatizzazione degli aeroporti ha condotto a una notevole espansione delle attività non aeronautiche, molte delle quali si rivolgono decisamente poco ai passeggeri veri e propri; alcuni aeroporti hanno sviluppato factory outlet all’interno del sedime aeroportuale, come per esempio Brisbane, Perth, Adelaide e Camberra; questi outlet non sono costruiti all’interno del terminal, e attraggono principalmente gruppi che non devono viaggiare (Morrison 2009). Non sono però solo i factory outlet a rappresentare l’offerta non-aviation degli aeroporti: soprattutto quelli dell’estremo oriente si sono ormai trasformati in città accoglienti e confortevoli, mettendo a disposizione casinò, karaoke, piscine e sale da bagno, in modo da aumentare la soddisfazione del cliente, vendendo sia i prodotti duty-free sia l’accesso a questi servizi esclusivi (Geuens et al. 2004). Nel corso degli anni si è sfruttato l’ambiente aeroportuale anche per usi ricreativi e culturali: è l’esempio dell’aeroporto di Schiphol, che offre più di 1.200 volumi in due dozzine di lingue che i passeggeri possono usare quando sono in attesa all’interno del terminal (Appold e Kasarda 2011); oppure lo scalo di Abu Dhabi, che offre una filiale del Louvre e del museo - 43 -
Guggenheim, più un “clone” perfetto della New York University con docenti da tutto il mondo (Rampini 2011). L’aeroporto di Francoforte ha 30.000 metri quadrati di spazio non-aviation, mentre Heathrow è diventato nel 2008 uno dei migliori aeroporti per lo shopping, con quasi 70.000 metri quadrati di spazio dedicato alle attività commerciali, contenenti più di 500 negozi e ristoranti (Crivelli 2012). Un report proveniente dall’Airport Council International (2013) mostra come negli ultimi anni i passeggeri spendano sempre di più all’interno dell’ambiente aeroportuale, sia presso i punti di ristoro, sia presso i punti vendita retail e duty-free (Grafico 5): Grafico 5: Spesa media per passeggero in USA ($) 2010
2011
2012
FOOD & BEVERAGE
3,31
3,1
2,91
2,72
5,15
5
4,43
4,69
2009
DUTY-FREE, GIFT & SPECIALTY RETAIL
Fonte: ACI-NA (2013)
Un punto da non sottovalutare è inoltre l’importanza della presenza di determinati brand in aeroporti e stazioni: la capacità di comunicare una travel experience in grado di affascinare il cliente ha spinto molte aziende ad entrare nel segmento al fine di utilizzare la leva del marketing di questo canale sia negli aeroporti che nelle stazioni (Travel retail 2012). Le attività riguardanti il travel retail sono più di una strategia per prestare un servizio al viaggiatore o per diversificare il portafoglio dei prodotti, poiché diventano una parte essenziale della proposta di valore degli investitori, e un metodo per massimizzare al meglio il ritorno finanziario ferroviario, aeroportuale e delle zone limitrofe (Appold e Kasarda 2011).
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2.3 I prodotti del travel retail: differenze con gli altri luoghi d’acquisto Gli ambienti aeroportuale e ferroviario presentano degli elementi che condizionano l’operatività del retail e rendono questo canale specifico rispetto a quello del centro città o dei centri commerciali. Le differenze con altri luoghi dello shopping permetteranno di definire l’unicità del business model sottostante il mondo del travel retail. Il grafico 6 mostra le fonti dei ricavi commerciali all’interno degli aeroporti secondo un report della ACI (2013) Grafico 6: Ricavi non-aeronautici globali (2013)
15%
Retail 29%
5%
Car Parking Car Rental
4%
Property Advertising 20%
F&B 20%
Other
7%
Fonte: ACI (2013)
Il termine “Other” contiene al suo interno molti elementi, tra i quali: servizi per business e consulenza IT e servizi di cambio e turistici. L’elemento più esteso come singola fonte di ricavi commerciali proviene dal segmento retail, che pesa per quasi un terzo sul totale (ACI 2013). Come si è visto precedentemente, però, il peso del travel retail può variare in base alla dimensione dell’aeroporto considerato, al grado di specializzazione delle attività commerciali, al livello dei passeggeri locali e al livello di ricchezza del paese in cui l’aeroporto è localizzato (Fuerst et al. 2011).
- 45 -
Grafico 7: Fonti di ricavi retail presso l'aeroporto di Heathrow, Londra
Duty Free
15% 36% 13%
Other Air-side Land-side
5%
F&B Bureau de Change
31%
Fonte: Graham (2009)
Grafico 8: Fonti di ricavi retail presso l'aeroporto di Stansted, Londra
Duty Free 24%
25%
Other Air-side Land-side 17% 24% 10%
F&B Bureau de Change
Fonte: Graham (2009)
Le ricerche di Graham (2009) dimostrano che anche due aeroporti localizzati nello stesso territorio possono registrare dei comportamenti d’acquisto diversi e delle preferenze completamente differenti (grafici 7 e 8). Chiaramente ogni operatore aeroportuale, come ogni operatore di retail ha la necessità di conoscere la propria clientela target per pianificare al meglio l’offerta di prodotti e servizi in grado di rispondere a ogni tipo di bisogno, in modo da massimizzare i profitti e generare ulteriori opportunità per entrate future (Graham 2009). I grafici 7 e 8 confrontano l’importanza delle risorse commerciali in due dei maggiori aeroporti inglesi, entrambi localizzati nei pressi di Londra: Heathrow e Stansted. Si può ben comprendere come Heatrow generi due terzi delle proprie entrate mediante le vendite duty-free e altre vendite retail presso la parte air-side, grazie all’alta proporzione di passeggeri intercontinentali; mentre a Stansted è più importante la parte - 46 -
riservata alla ristorazione poiché l’aeroporto serve principalmente destinazioni europee e ha un’alta proporzione di voli low cost in cui non vengono serviti pasti a bordo (Graham 2009). Non va dimenticato, in termini organizzativi e strutturali, che il Food & Beverage assume un’importanza rilevante in termini di spazio allocato, per effetto del maggior tasso di penetrazione6 che è in grado di sviluppare e della alta necessità di spazi per la preparazione e per il consumo (Belardini 2009). Le categorie di prodotti presenti nei terminal aeroportuali possono essere divise in quattro gruppi principali, secondo Jarach (2002):
1. Attività commerciali in senso stretto: boutique, gioiellerie, tabacchi, edicole, auto noleggi e cambi valuta 2. Servizi Food & Beverage: ristoranti tradizionali, fast food e snack-bar 3. Servizi complementari: bancomat, servizi religiosi, negozi gourmet locali, internet caffè, farmacie, e parrucchieri 4. Servizi di pubblicità Rispetto alla shopping experience, le categorie di prodotti commerciali all’interno del terminal aeroportuale sono classificate in (Perng et al. 2010):
-
Prodotti di utilità funzionale
-
Prodotti di intrattenimento con caratteristiche creative ed elementi di unicità
-
Prodotti di marca offerti a un prezzo più alto, generalmente beni di lusso
-
Prodotti low cost che godono di un prezzo migliore rispetto ad altri luoghi di consumo, o che sono tax-free
-
Servizi che offrono convenienza, comfort e divertimento
-
Souvenir che hanno un valore sentimentale, poiché permettono ai viaggiatori di ricordare la propria esperienza di viaggio
-
Prodotti da bar, che includono bevande soft o alcoliche, drinks, tè e caffè, piatti caldi e sandwich
Un elenco delle categorie di prodotti più venduti all’interno delle strutture aeroportuali è riportato da Lu (2014), dopo una ricerca su circa trecento viaggiatori dell’aeroporto di Taiwan
6
Rapporto tra scontrini emessi e passeggeri
- 47 -
(tabella 3). Nel suo studio, Lu (2014) mostra anche la percentuale d’acquisto, la spesa media e quelle massime e minime fatte registrare dai viaggiatori all’interno dell’aeroporto.
Tabella 3: Prodotti venduti in aeroporto (Taiwan 2013)
Shopping Item
% di vendita
Spesa media
Spesa max.
Spesa min.
Liquori e tabacchi duty-free
49.8%
68.73
333.33
16.33
F&B
40.7%
4.67
20.00
0.67
Pacchi Regalo
36.9%
37.83
200.00
2.33
Cosmetici e profumi
25.8%
94.47
333.33
26.67
Vestiti
16.3%
169.13
666.67
26.67
Prodotti locali/Souvenirs
15.9%
28.90
166.67
1.67
Video libri e giornali
10.2%
5.47
20.00
0.67
Prodotti di elettronica
6.1%
496.73
1166.67
28.33
Arti
3.7%
51.03
333.33
1.67
Gioielli e orologi
1.0%
150.00
166.67
116.67
Altro
4.4%
9.40
83.33
0.67
La somma percentuale di ogni prodotto può essere maggiore di 100 a causa dell’esistenza di vendite multiple. Fonte: Lu (2014)
L’elemento
più
popolare
è
rappresentato
dal
tabacco
e
dai
liquori
duty-free.
Approssimativamente, la metà dei consumatori ha compiuto questo tipo di acquisti, spendendo in media 68 dollari. Circa il 40% dei consumatori ha comprato cibo o bibite, spendendo in media meno di 5 dollari. Cartoline e caramelle sono abbastanza popolari, venduti al 37% dei consumatori. Nonostante solo il 10% dei consumatori abbia comprato prodotti elettronici come cellulari, lettori MP3, tablet, lap-top, radio e altri devices, il costo per ogni prodotto di questa categoria è stato il più alto, intorno ai 500 dollari. Infine, circa l’1% dei consumatori ha deciso di acquistare gioielli e orologi (Lu 2014). Una categoria comunque molto importante è rappresentata dall’industria della cosmetica e in particolar modo delle fragranze, che appartiene al mercato del lusso e si focalizza da sempre sui segmenti elitari che rappresentano una buona parte dei frequentatori degli aeroporti (Sacerdote 2009). Il 25% degli acquisti registrati da Lu (2014) provengono da questo segmento, con una spesa media di circa 95 dollari. Grazie al successo di alcuni gruppi di dimensioni rilevanti (tabella 4) che operano direttamente o attraverso licenze per conto del brand, il global retail market della cosmetica ha raggiunto un discreto livello di concentrazione (Belardini 2009).
- 48 -
Tabella 4: Principali gruppi nel mercato della cosmetica in aeroporto
Company
Ricavi in %
L’Oréal Group
20.69%
Estée Lauder Companies
13.83%
LVMH
13.64%
Procter & Gamble
10.77%
Chanel Group
8.56%
Coty
7.74%
Shiseido
4.44%
Altro
20.33%
Fonte: Belardini (2009)
I global suppliers si sono dotati di presidi organizzativi focalizzati sul travel retail, creando in alcuni casi vere e proprie “business unit”; il canale aeroportuale, grazie alla sua esclusività e alla clientela di cui dispone diventa sempre più di frequente il teatro per il lancio di nuovi prodotti (Sacerdote 2009). I segmenti moda e lusso promettono i maggiori margini di crescita nei prossimi anni, anche grazie alla capacità di sviluppare prodotti esclusivi dedicati al mondo del travel retail (Jarach 2002). Questo sviluppo è stato reso possibile anche dalle numerose alleanze strategiche e joint venture, attraverso le quali si è riuscito ad espandere le attività e creare dei significativi vantaggi competitivi: le collaborazioni sono state compiute tra i retailer (come per esempio quella tra Nuance e Watson), ma anche tra retailer e autorità aeroportuali (Aelia e ADP); oltre a ridurre il rischio, attraverso gli accordi commerciali si può utilizzare conoscenza ed esperienza altrui, ottenere accesso a network distributivi e sviluppare capacità manageriali (Freathy 2004). Le ragioni per cui una marca decide di investire nella direzione del travel retail, infatti, possono essere riassunte in tre punti (Castelvero 2009): 1. Essere presenti per “fare cassa” 2. Essere presenti perché lo sono anche quei marchi che vengono considerati i competitori diretti 3. Essere presenti perché la presenza “certifica” l’esistenza del marchio e ne qualifica la “visibilità globale” Un altro elemento in grado di aumentare l’attrattività dei prodotti del travel retail è la capacità dei grandi aeroporti di sviluppare un “travel value concept”: l’obiettivo, portato avanti dalla Travel Value Association (TVA) è quello di dare un nuovo nome e una nuova immagine al - 49 -
retail della parte air-side in modo da far diventare il simbolo “Travel Value” sinonimo di offerta di prodotti di qualità a prezzi più bassi di quelli venduti nel mercato domestico (Freathy e O’Connell 2000). Il mondo del travel retail trova un settore particolarmente florido anche nella vendita di liquori, settore in cui si è assistito a una forte specializzazione. Anche in questo caso si registra la presenza di grandi gruppi globali, spesso dotati di apposite strutture organizzative dedicate al travel retail; punto in comune con la cosmetica - nell’approccio con il retail in aeroporto - è la tendenza di inserire prodotti premium e di utilizzare l’ambiente aeroportuale nel lancio, talvolta in anteprima, di nuovi prodotti (Belardini 2009). Il tempo a disposizione dei viaggiatori in attesa prima dell’imbarco viene molto spesso utilizzato dai grandi marchi per una promozione esclusiva dedicata al servizio di “assaggio” dei liquori, in modo da far conoscere prodotti nuovi e allo stesso tempo far passare piacevoli momenti di attesa al viaggiatoreconsumatore. Una componente irrinunciabile nel canale aeroportuale è il cosiddetto “destination merchandising”, ovvero i prodotti e brand tipici locali molto ricercati dai turisti nel loro viaggio di ritorno (Sacerdote 2009). Un altro importante ruolo è invece ricoperto dal segmento del lusso: i progetti di restyling e ampliamento dell’aeroporto di Malpensa, per esempio, prevedono un investimento di circa 30 milioni di euro in cui la prima fase sarà proprio l’inaugurazione della cosiddetta “Piazza del Lusso”; quest’area, tra le più grandi d’Europa, porterà l’offerta complessiva retail delle partenze a 23.000mq, con circa 100 esercizi tra ristoranti, bar e negozi (Bello e Panteleeva 2014). E’ sufficiente visitare uno dei grandi hub in Europa o nei paesi orientali per capire quanto sia importante per i mega-brand del lusso una presenza costante nel canale dell’airport retail (Sacerdote 2009). Tutti i più grandi marchi sono presenti nelle principali città del mondo, la maggior parte di loro con boutiques monobrand: Gucci, Bulgari, Armani (a Milano la prima apertura in un aeroporto europeo), Ermenegildo Zegna, Hermes (Bello e Panteleeva 2014). Nel 2014 anche Max Mara ha scommesso sul travel retail, progettando 50 prossime aperture nei prossimi cinque anni, partendo da Copenhagen l’hub con il maggior afflusso di passeggeri nella Penisola scandinava e tra quelli più frequentati in Europa con una media di 62.000 passeggeri al giorno - per poi proseguire a Madrid, Malaga e Monaco di Baviera (Davitt 2014). Questi fashion designer sfruttano sia l’opportunità di generare importanti volumi di fatturato sia il beneficio in termini di comunicazione offerto dalla visibilità che la presenza in aeroporto garantisce (Sacerdote 2009). Anche nel passato, infatti, gli operatori del lusso si sono accorti dell’importanza che la presenza all’interno dell’ambiente aeroportuale comporta anche soltanto in termini di comunicazione. Non mirano molto ai volumi, quanto all’esposizione; gli aeroporti fungono da vere e proprie vetrine per definire il posizionamento dei loro prodotti rispetto ai concorrenti nel mercato domestico (Freathy e O’Connell 2000). Gli ultimi trend di sviluppo merceologico in aeroporto, inoltre, permettono - 50 -
alle aziende di ampliare la categoria dei prodotti venduti, includendo lo sportware e il fashion mid priced, categorie che fanno registrare una massiccia presenza anche presso le stazioni ferroviarie: potendo usufruire di spazi più grandi e dotati di camerini, negozi fissi come Mango e Nike giocano un ruolo fondamentale in questi luoghi di transito, anche grazie alla minore pressione che prova il viaggiatore in stazione, non dovendo superare dei controlli di sicurezza e non avendo problemi di peso dei bagagli o code all’imbarco (Bello 2012). In conclusione, il travel retail rappresenta per le aziende una significativa opportunità di business: vi è la presenza di un insieme di nazionalità, culture, costumi, religioni ed età concentrate nello spazio limitato, contenuto e circoscritto di aeroporti e stazioni (Sacerdote 2009). Vi sono numerosi elementi, sia prendendo in considerazione i prodotti venduti sia le circostanze in cui questi vengono acquistati, che permettono di definire il travel retail attraverso un business model differente rispetto a quello di altri luoghi di consumo come centri commerciali o negozi cittadini. L’attesa e l’acquisto a impulso sono due elementi che anche il Dottor Arrighi sottolinea come caratterizzanti il settore del travel retail. Riguardo ai prodotti, aggiunge: “anche se il modello dei processi di vendita è essenzialmente lo stesso, è l’offerta dei prodotti che cambia radicalmente, poiché sono importanti le dimensioni e il flusso dei passeggeri di aeroporti e stazioni, oltre al motivo principale del loro viaggio. Un elemento di novità che si sta sviluppando in questi anni è l’aumento della clientela internazionale, la quale è cresciuta moltissimo rispetto a quella italiana: questo ha radicalmente modificato l’offerta dei prodotti e dei servizi erogati, sia per quanto riguarda la ristorazione sia per il segmento del travel retail. I prodotti e i brand adesso seguono più i gusti internazionali”.
Come avremo modo di notare nel prossimo capitolo, infatti, anche la tipologia di clienti che attraversa aeroporti e stazioni non è associabile a quella dei centri commerciali e di altri luoghi d’acquisto, e soprattutto le motivazioni che sottostanno a una determinata spesa hanno elementi di unicità ed esclusività tali da richiedere un’analisi strategica apposita.
- 51 -
CAPITOLO 3: IL BUSINESS MODEL DEL TRAVEL RETAIL: CLIENTI E MOTIVAZIONI
All’interno del primo capitolo di questa trattazione si è compiuta una panoramica sul concetto di “business model” per come è stato inteso dalla letteratura nel corso del tempo. La classificazione dei business model procede sostanzialmente lungo due direttrici, entrambe connesse con il concetto di tecnologia e soprattutto con quello di “creazione del valore”. La prima direttrice è seguita da ricercatori e commentatori che guardano al concetto di business model come parte di un lessico strategico intrecciato con la tecnologia (Zott e Amit 2007): essi giudicano un business model efficiente e rivoluzionario quando una nuova tecnologia è incorporata nel business per produrre un effetto superiore alla media. Il secondo gruppo di ricercatori, invece, considera il concetto di business model come potenzialmente separabile dalla tecnologia e dalla strategia ma afferma che lo studio e l’analisi dei business model e della loro innovazione potrebbe aiutare a far luce sia in questioni strategiche che tecnologiche (Teece 2010). Nei prossimi capitoli si procederà allo studio del business model sottostante il settore delle attività commerciali all’interno dei luoghi di transito, con la finalità di giudicare se sussista o meno una differenza con altri luoghi d’acquisto tale da considerare quello del travel retail un business model a sé stante. Dopo aver verificato questa ipotesi, si procederà con lo studio delle considerazioni strategiche da porre in atto attraverso un processo di pianificazione all’interno di questi luoghi e con la descrizione delle innovazioni che potrebbero apportare decisi miglioramenti. Due dei maggiori approcci per la classificazione di un business model sono descritti dalla letteratura (Baden-Fuller e Haefliger 2013); il primo approccio prende in considerazione una classificazione detta “tassonomica”: cerca di costruire un quadro generale guardando indietro al lavoro empirico già compiuto e considerando fondamentali i risultati del modello; in questo modo, abbiamo le classificazioni di Wirtz et al. (2010) che sottolineano la differenza tra contenuto, commercio, contesto e connessione dei business model, e di Zott e Amit (2007), che enfatizzano l’efficienza e la novità. Il secondo approccio tende a considerare maggiormente la dimensione del modello piuttosto che le sue conseguenze, una classificazione che può essere definita “tipologica” e che è più lungimirante, poiché mette al centro delle discussioni due dimensioni giudicate vitali: la creazione e la cattura del valore (Baden-Fuller e Haefliger 2013). Per delineare il business model sottostante il travel retail verrà utilizzato questo secondo approccio di classificazione, analizzando le attività commerciali presso i luoghi di transito - 52 -
secondo le quattro dimensioni sviluppate da Baden-Fuller e Haefliger (2013): identificazione del cliente, engagement del cliente, distribuzione del valore e monetizzazione. Le prime due dimensioni (quelle riguardanti il cliente) sono fortemente connesse alla creazione di valore, mentre le ultime due (distribuzione e monetizzazione) sono in relazione con la cattura del valore (Teece 2010).
3.1 Identificare il cliente nel travel retail Non è certamente facile disegnare un profilo esauriente del cliente tipico del travel retail, perché la differenza tra i clienti di aeroporti e stazioni è abbastanza marcata. In realtà la “democratizzazione del viaggio” che si è sviluppata in questi anni e lo sviluppo delle linee ferroviarie ad alta velocità - che si lasciano preferire decisamente ai voli di linea (soprattutto nel medio raggio) da parte di manager e professionisti – stanno rendendo sempre meno netti i confini (tutt’ora esistenti) tra le due tipologie di viaggiatori. Inoltre, quando si cerca di individuare i potenziali consumatori di aeroporti e stazioni si corre il rischio di considerare erroneamente solo la categoria dei viaggiatori; come abbiamo già mostrato, invece, Jarach (2001) indica ben quattro macro-gruppi da prendere in esame:
-
Passeggeri
-
Staff aeroportuale/ferroviario
-
Meeters & greeters
-
Comunità residenziali (abitanti dei centri limitrofi)
Anche Geuens et al. (2004) analizzando i consumatori dell’ambiente del travel retail, identificano i seguenti differenti profili:
-
Coloro che passeggiano o i visitatori da mezza giornata, che sono motivati dal fascino internazionale, dall’atmosfera eccitante e dalla varietà degli acquisti che l’aeroporto offre.
-
Quei dipendenti che hanno del tempo libero, le persone in cerca di divertimento e i membri dell’equipaggio che devono pernottare in aeroporto. Questo tipo di consumatori richiede orari di apertura prolungati come condizione per usufruire dell’offerta.
-
Gli impiegati che durante il loro orario di lavoro vogliono essere serviti con offerte personalizzate.
- 53 -
-
Residenti locali o parenti e amici venuti in aeroporto per ricevere un viaggiatore appena atterrato. Questo segmento è facile da servire poiché non ha un’aspettativa molto alta.
Sebbene i clienti del travel retail non siano soltanto i passeggeri - e quindi nella fase di programmazione strategica è di fondamentale importanza considerare questi altri segmenti connessi alle strutture aeroportuale e ferroviaria – è indubbio che lo sviluppo di questo settore è dato dall’aumento dei trasporti, che assicura flussi continui e crescenti di potenziali clienti. Guardare soltanto l’aspetto quantitativo, tuttavia, sarebbe riduttivo, poiché (soprattutto negli aeroporti) è la qualità di questi clienti che permette al settore di raggiungere numerosi successi. Nonostante la democratizzazione del viaggio sopra citata, infatti, il frequentatore tipo dell’aeroporto continua ad essere un consumatore che mediamente (Belardini 2009):
-
Dispone di un alto “disposable income”
-
È aperto alle novità e alla sperimentazione
-
È un cittadino del mondo
-
È culturalmente evoluto
All’interno delle stazioni ferroviarie, invece, la metà dei viaggiatori è rappresentata da studenti (Nielsen 2014) (tabella 5), questo spiega perché molti dei marchi presenti in stazione rientrano nel segmento fast fashion e sportswear (Bello 2012).
Tabella 5: Mobilità e Consumi in Italia
Auto/Moto/Bus
Treno
Aereo
94% Uomini 92% DOnne
46% Uomini 41% Donne
42% Uomini 37% Donne
Età
Indifferenziato per fasce di età
Utilizzato dal 49% dei giovani (25-34 anni) - 43% (35-54 anni) - 39% (55- 65 anni)
Utilizzato dal 45% dei giovani (25-34 anni) - 40% (35-54 anni) 34% (55-65 anni)
Aerea Geografica
Il Bus m/lunga percorrenza è utilizzato dal 31% degli intervistati al Sud contro un 20% del Centro-Nord
Il treno è utilizzato dal 39% degli intervistati al Sud contro un 45-46% del Centro-Nord
L’aereo viene utilizzato per il 42% al Centro-Sud contro un 37% del Nord
Sesso (% su tot. Intervistati)
Fonte: Nielsen (2014)
- 54 -
Tornando alla classificazione dei consumatori, le variabili più frequentemente utilizzate dai ricercatori sono personali oppure legate ad una situazione; ad esempio Lesser e Hughes (1986) identificano sette segmenti diversi di consumatori:
1. Inactive shoppers: non interessati allo shopping in generale, non pongono alcuna attenzione al prezzo, al servizio. 2. Active shoppers: ricercano il rapporto qualità-prezzo e sono interessati a prodotti esclusivi e a rivenditori con il giusto appeal per la classe media. 3. Service shoppers: pagano prezzi più alti per servizi addizionali, cercano negozi convenienti con personale gentile. 4. Traditional shoppers: non si entusiasmano per lo shopping, non sono molto sensibili al prezzo e neanche molto esigenti. 5. Delicated fringe shoppers: sono alla continua ricerca di prodotti nuovi e di nuovi modi di fare acquisti; non sono fedeli a un brand o un negozio definito, non sono neanche interessati a socializzare. 6. Price shoppers: alla ricerca di qualità, servizio e assortimento al prezzo più basso. 7. Transitional shoppers: giovani consumatori che cambiano spesso negozi. Un altro tipo di segmentazione dei consumatori è quella che li divide in “nuovi consumatori” e “consumatori tradizionali” (Boedeker 1995): i nuovi consumatori sono definiti clienti molto esigenti, che valutano non solo le caratteristiche ricreative di un negozio, ma anche quelle economiche e di convenienza. Preferiscono un buon negozio nelle vicinanze, un servizio di valore e spesso non pianificano l’acquisto. I consumatori tradizionali, invece, comprano solo se hanno pianificato l’acquisto e mai per impulso; non sono i primi a comprare un prodotto nuovo, comparano i prezzi, ricercano le occasioni e non danno valore all’aspetto ricreativo che può mostrare un punto di vendita (Boedeker 1995). All’interno dell’ambiente aeroportuale, la prima classificazione da fare quando si procede all’analisi dei clienti è quella riguardante i motivi del viaggio e la frequenza; il motivo del viaggio è tipicamente suddiviso in:
-
Business
-
Leisure
-
VFR (visiting friends and relatives)
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Già questa tipologia di segmentazione può aiutare a rilevare come i business traveller abbiano una frequenza di viaggi mediamente più alta, e quindi un aeroporto con un’alta percentuale di individui che viaggiano per lavoro ha una porzione più alta di frequent flyer e può quindi contare su potenziali clienti “ripetitivi” cui indirizzare eventuali iniziative di fidelizzazione: come mostrato da Sacerdote (2009) i bisogni, l’umore e il tempo a disposizione dei viaggiatori business e leisure sono molto diversi ed è quindi possibile segmentarli in questo modo (tabella 6): il business traveller ha di solito poco tempo a disposizione, è occupato dal lavoro, per cui non ha molto tempo da perdere in attesa dell’imbarco e conosce l’aeroporto di partenza molto bene, poiché ne è un assiduo frequentatore. Questo tipo di passeggeri effettua gli acquisti in maniera frettolosa e consuma di solito prodotti utili per il viaggio, coerenti con il proprio stile di vita, come accessori di marca; un aspetto molto importante degli acquisti dei business traveller è l’assiduità con cui comprano regali ad impulso, poiché non hanno molto tempo per gli acquisti e vedono l’aeroporto come luogo ideale in cui comprare regali per familiari o amici. Questo genere di cliente preferisce non essere assistito negli acquisti, a meno che non sia lui a farne espressamente richiesta, e si aspetta di trovare personale cortese e preparato. Quando i business travellers viaggiano in gruppo (in compagnia di colleghi) prestano molta attenzione alla presenza di servizi quali sale riunioni, connessione internet e servizi bancari, ma anche alla ristorazione di qualità. Il viaggiatore per turismo, invece, è molto più rilassato, poiché l’aeroporto è il primo luogo della propria vacanza, e ha quindi molto più tempo da dedicare all’esplorazione dell’ambiente e agli acquisti. Spesso si trova in compagnia di amici e familiari. Chi parte cerca articoli utili per il viaggio o regali per i bambini, mentre chi torna si dedica al “destination merchandising”, ovvero prodotti e marchi tipici del luogo che ha visitato che acquista per ricordo o come regali. Il leisure traveller è più rilassato da una parte, ma ha anche una conoscenza minore dell’ambiente aeroportuale, e questo potrebbe far vivere momenti di ansia dovuti alla paura di perdere il volo e alla difficoltà di orientarsi; riesce a rilassarsi e a girovagare tra i punti vendita solo dopo aver preso sotto controllo la situazione e aver chiaramente compreso come e quando raggiungere il gate per il volo (Sacerdote 2009).
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Tabella 6: Aspetti rilevanti della segmentazione per tipologia di viaggio
Tipologia di viaggio Business
Domanda “Needs-Based”
Vissuto -
Poco tempo a disposizione Alto livello di stress Buona conoscenza dell’aeroporto
-
-
Leisure/
-
VFR -
Buon umore Tempo a disposizione Ansia e poca conoscenza dell’aeroporto
-
-
-
Party type
Edicole e book shop Accessori per computer e telefonia mobile Camicie, gemelli, cravatte, intimo Articoli da regalo per partners o famiglia: profumeria, liquori, vini Articoli per la cura della persona Ristorazione veloce o con servizio al tavolo per incontri di lavoro
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Da soli Con colleghi
Edicole e book shop Prodotti per la cura della persona, creme, prodotti farmaceutici Occhiali da sole, casual wear Articoli per bambini Prodotti tipici della destinaizone: di marca o souvenirs Ristorazione tipica della destinazione
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Da soli Coppie Famiglie Amici
Fonte: Belardini (2009)
Per quanto riguarda altri tipi possibili di segmentazione, si può effettuare un’analisi demografica, che definisca età, sesso, occupazione, titolo di studio e nazionalità dei potenziali clienti di aeroporti e stazioni. Naturalmente ogni aeroporto - per ogni paese - ha un pubblico diverso e registrerà quindi delle percentuali diverse quando prenderà in considerazione il profilo socio-demografico dei consumatori, (soprattutto con occupazione e titolo di studio) ma in generale si può affermare che la componente maschile sia superiore a quella femminile, anche se la differenza si fa sempre minore (Nielsen 2014). Di solito, nei grandi aeroporti, la nazionalità prevalente risulta essere quella del paese di ubicazione dello scalo, anche se per alcuni scali strategici si registra una maggiore affluenza di stranieri rispetto al limitato “mercato di origine”; è chiaro comunque che nel travel retail il paradigma “cliente domestico vs cliente straniero” perde la sua connotazione, in quanto lo spazio in cui si trovano i viaggiatori costituisce esso stesso un microcosmo con i suoi incroci di nazioni, culture e religioni (Castelvero 2009): i grandi aeroporti internazionali sono vere e proprie piazze-mercato dove si trovano a transitare - 57 -
passeggeri provenienti da tutte le parti del mondo che – anche conservando delle preferenze derivanti dal proprio paese di origine – sono da considerarsi senza dubbio dei consumatori globali, quindi consumatori attenti ai brand internazionali e che giudicano l’acquisto come un momento di affermazione del proprio stile di vita (Belardini 2009). Roberto Mirabella, alla guida di Retail Business Development di Airest, afferma che: “è impossibile dire chi sia il consumatore duty-free. Questo profilo varia enormemente a seconda dell’aeroporto o del paese in cui ci si trova oltre che, naturalmente, dalla tipologia e della demografia del passeggero che frequenta l’aeroporto; le nazionalità top spender, però, sono senza dubbio Russia, Cina, Corea e Giappone” (Giambrone 2014). La nazionalità dei consumatori ci aiuta solo a capire, quindi, che stiamo assistendo allo sviluppo di nuovi gruppi di clienti, sempre in giro per il mondo e con una forte passione per lo shopping. Un’altra tipologia di profilazione proviene da una ricerca di mercato Eurisko (2005), che identifica i gruppi di consumatori a seconda che posseggano una maggiore o minore intensità delle caratteristiche che appartengono ai seguenti due assi:
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Dimensione orizzontale: (“Maschile”) è la dimensione dei “tratti duri”, quella cioè della competizione, del confronto e dell’affermazione di sé. Sono centrali sia l’aggressività che il protagonismo e – anche se non in modo esclusivo – appartiene più alla cultura maschile. Gli interessi sviluppati stanno “fuori”: la professione, gli avvenimenti del mondo, le emozioni forti.
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Dimensione verticale: (“Femminile”) è la dimensione culturale della forma e della sovrastruttura, rispetto alla semplice sostanza. Viene giudicata la dimensione dei “tratti morbidi”, poiché si basa sulla moderazione, l’equilibrio. E’ caratterizzata dalla riflessione, l’eleganza, la cultura. Appartiene più alla cultura femminile, anche se non esclusivamente (Sacerdote 2009).
Da questa indagine (tabella 7) che descrive gli aspetti socio demografici e culturali degli aeroporti italiani, si evince che il “cliente-tipo” dell’aeroporto appartiene all’élite (il 76% contro il 21% della popolazione italiana): il cluster presenta sia tratti duri che morbidi ed è composto sia da uomini che da donne, di età medio-giovane; hanno istruzione e reddito alti, sono professionisti, imprenditori, funzionari; si mostrano aperti al cambiamento e alla sperimentazione (Eurisko 2005); questi clienti prestano più attenzione alla cura di sé e alla propria immagine, cercano la qualità e ricercano brand affermati, dando meno importanza al prezzo nell’orientare le proprie scelte d’acquisto (Sacerdote 2009).
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Tabella 7: Aspetti socio-demografici e culturali in Aeroporto
Popolazione Adulta
Terminal
21%
Élite
76%
20%
Baricentro Maschile
11%
21%
Baricentro Femminile
5%
16%
Area Giovanile
7%
23%
Area Marginale
1%
Fonte: Sacerdote (2009)
Nel cibo spendono più della media sui prodotti di qualità, mangiano spesso fuori casa anche se normalmente di fretta; tendono ad acquistare più regali e consumano più della popolazione media prodotti alcolici, borse, cinture e gioielli e in generale prodotti di lusso (Sacerdote 2009). La mappa che mostra i clienti più assidui all’interno delle stazioni proviene da una ricerca Eurisko (2010), e mostra la spiccata presenza di giovani studenti in misura maggiore rispetto agli altri cluster, un sostanziale pareggio percentuale tra uomini e donne e un reddito sostanzialmente medio-alto (figura 4). Figura 4: Aspetti socio-demografici e culturali nelle stazioni italiane
Fonte: Eurisko (2010)
Si può facilmente notare come le possibili segmentazioni per la clientela siano diverse e numerose, e come nessuna sia errata in un primo momento, ma ognuna può essere adatta per - 59 -
una determinata strategia comunicativa e promozionale. Una delle classificazioni prodotte da Geuens et al. (2002) contiene sei differenti segmenti, dipendenti dal tempo a disposizione dei consumatori e dalla misura in cui le interazioni sociali e l’elemento esperienziale sono importanti per il cliente:
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Convenience shoppers: poco tempo a disposizione, nessun interesse sociale né esperienziale.
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Low-price shoppers: molto tempo a disposizione, nessun interesse sociale né esperienziale.
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Social shoppers: poco tempo a disposizione, interessati alle interazioni sociali ma non alle esperienze.
-
Intense social shoppers: molto tempo a disposizione, interessati alle interazioni sociali ma non alle esperienze.
-
Experiential shoppers: poco tempo, interessati alle esperienze.
-
Recreational shoppers: molto tempo a disposizione e molto interessati a vivere una bella esperienza d’acquisto.
Risulta decisamente più facile segmentare i viaggiatori in cluster che siano in relazione con le loro abitudini di attesa, con le motivazioni che li spingono all’acquisto o con i comportamenti più presenti. Trabucchi (2009) descrive quattro tipologie di consumatori, prendendo in considerazione le abitudini d’attesa di chi viaggia:
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Gli svogliati: sono concentrati esclusivamente sul volo e si limitano all’attesa al gate. In aeroporto vanno direttamente al luogo prestabilito per l’imbarco, senza passeggiare tra i negozi o ricercare altre attività.
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I curiosi: esplorano l’offerta dei prodotti aeroportuali, girando tra i vari negozi in attesa della partenza. Trascorrono il tempo libero tra i negozi riservati al ristoro e quelli dedicati allo shopping, pronti a sperimentare un nuovo acquisto o soltanto a guardare i nuovi prodotti in vetrina.
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Gli affamati: sono interessati soprattutto agli esercizi dediti al ristoro. Non disdegnano comunque altre attività, come lo shopping – anche se lo ritengono meno importante rispetto alla ristorazione.
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I girovaghi: simili ai curiosi, esplorano la hall dell’aeroporto e preferiscono lo shopping al ristoro.
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Una volta creati i cluster, l’analisi prosegue con una classificazione delle caratteristiche demografiche e sociali dei consumatori all’interno degli stessi segmenti (grafico 9). Grafico 9: Distribuzione dei cluster per sesso ed età
Svogliati Campione Totale
11%
Curiosi
Affamati
20%
Girovaghi
34%
35%
Sesso Uomini
11%
Donne
11%
22%
37%
17%
28%
30% 44%
Età 20-25 anni 26-35 anni
9%
19%
6%
27%
36-45 anni
10%
46-55 anni
9%
56-65 anni Oltre 65 anni
35% 37%
20%
35%
18% 19% 14%
39% 27%
29%
30% 35%
33%
24% 19%
38%
30% 38%
Fonte: Trabucchi (2009)
La maggioranza delle donne appartiene ai “girovaghi” - circa il 44% - mentre gli uomini sono più presenti tra gli “affamati” (37%). Risultano meno evidenti le differenze per le fasce d’età: l’unico dato rilevante è che i viaggiatori tra i 26-35 anni sono i più “curiosi” (27%) mentre tra i viaggiatori più maturi ci sono la maggior parte di “svogliati”. I numeri di viaggi effettuati in un anno rivelano un altro interessante punto di vista: chi viaggia molto perde, col tempo, la voglia di girovagare e curiosare e preferisce dirigersi direttamente al gate in attesa dell’imbarco. E’ come se aumentando la necessità di viaggiare si perdesse la predisposizione a fare shopping e a guardarsi in giro, e quindi anche a comprare; questo comportamento sottolinea che i maggiori frequentatori non si trasformano in migliori acquirenti per il travel retail (Trabucchi 2009): l’elemento di novità dell’ambiente non li incuriosisce più, quindi questo genere di viaggiatori non è portato a consumare, ma piuttosto si annoia in un ambiente ormai troppo conosciuto. Prendendo in considerazione le motivazioni d’acquisto, Geuens et al (2004) dividono la totalità dei consumatori in tre segmenti, che riassumono in maniera completa i possibili comportamenti osservabili all’interno dell’ambiente aeroportuale, ma anche – con alcune varianti – in quello ferroviario:
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Mood shoppers: sono motivati da elementi riguardanti l’ambiente aeroportuale e l’umore, come per esempio la specifica atmosfera che si trova all’interno degli aeroporti e la noia prodotta dall’attesa per il proprio volo.
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Indifferent shoppers: non sono spinti da nessun tipo di motivazione; né l’ambiente, né le esperienze e neanche gli aspetti funzionali li spingono a comprare all’interno dell’ambiente aeroportuale/ferroviario.
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Shopping lovers: amano lo shopping in ogni sua forma e sono motivati da ogni aspetto legato all’ambiente, alle esperienze e alla dimensione funzionale.
La ricerca di Geuens et al. (2004) ha permesso lo studio dei tre cluster secondo diverse dimensioni, come i comportamenti d’acquisto e di viaggio, le caratteristiche socio demografiche e le opinioni sui servizi offerti; si è arrivati perciò ad affermare che i mood shoppers sono per la maggior parte uomini, consumatori impulsivi che preferiscono gli acquisti “centralizzati”. Anche coloro che fanno parte degli indifferent shoppers sono per la maggior parte uomini, che non considerano lo shopping in aeroporto come parte del viaggio, giudicando l’ambiente aeroportuale soltanto come una stazione di trasporto; preferiscono pianificare i propri acquisti, dunque non si lasciano catturare da promozioni o comunicazioni speciali. Gli appartenenti agli shopping lovers sono in maggioranza donne, preferiscono un grande negozio piuttosto che una serie di piccoli punti vendita e hanno una particolare preferenza per i negozi ubicati vicino al gate d’imbarco; inoltre l’esperienza del volo è per loro eccitante e causa una tensione che spinge all’acquisto a impulso piuttosto che ad un acquisto pianificato (Geuens et al. 2004). Non è stata trovata una significativa differenza tra i tre cluster in termini di età o frequenza di viaggio. Un risultato interessante è da sottolineare: secondo Sulzmaier (2001) e Sacerdote (2009) il comportamento d’acquisto tra viaggiatori per lavoro o per piacere è decisamente diverso. Geuenes, all’interno della propria ricerca non riscontra questa differenza: questo indica che il genere è un fattore molto più determinante rispetto alla finalità del viaggio nel delineare il comportamento d’acquisto all’interno dell’ambiente aeroportuale (Geuens et al. 2004). E’ dunque possibile creare una segmentazione anche analizzando le motivazioni che spingono i consumatori all’acquisto; per conoscere i clienti è indispensabile conoscere i motivi per cui questi decidono di procedere ad un acquisto piuttosto che ad un altro. L’analisi delle principali motivazioni verrà presa in esame nel prossimo paragrafo. Studiare il cliente finale, e quindi l’ultimo destinatario dell’offerta derivante dai punti vendita presenti all’interno degli ambienti aeroportuali e ferroviari è utile a comprendere a chi è rivolta la comunicazione e chi può raggiungere meglio una promozione mirata; ma per un’analisi più - 62 -
profonda del business model è essenziale identificare l’utente oltre che il cliente, e indicare se a pagare sia effettivamente l’utilizzatore o un altro gruppo di consumatori (Baden-Fuller e Haefliger 2013). In questo caso è interessante rilevare che molti brand sono interessati anche al canale dell’advertising aeroportuale per le loro campagne pubblicitarie land-side (Sacerdote 2009). Attraverso la televisione, i giornali ma soprattutto internet, si è venuta a creare la possibilità che gli utenti non paghino per i servizi che ricevono, poiché il pagamento proviene da altri a fini pubblicitari (Baden-Fuller e Haefliger 2013). I clienti tipici dell’advertising aeroportuale e ferroviario sono i brand dell’alta moda, le banche e gli istituti finanziari, le aziende della telefonia o quelle operanti nel “business to business” come le società di consulenza (Belardini 2009): molto spesso queste aziende promuovono nuovi prodotti e servizi in forma gratuita rivolti ai viaggiatori, ottenendo pubblicità e una probabile fidelizzazione.
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3.2 Le motivazioni d’acquisto negli ambienti del travel retail Numerosi studiosi hanno cercato di analizzare le motivazioni che stanno alla base degli acquisti e più in generale dei comportamenti all’interno degli ambienti aeroportuale e ferroviario; lo studio del percorso di avvicinamento all’area imbarchi dell’aeroporto può mostrare significative differenze a seconda che l’argomento di analisi siano aeroporti europei o del Medio Oriente, o che l’aeroporto sia principalmente destinato a voli low cost o a scambi internazionali; analizzando il modo in cui i viaggiatori si preparano al viaggio e come organizzano il loro tempo prima della partenza, si è visto come i turisti tendano a recarsi in aeroporto molto tempo prima dell’imbarco, mentre i frequent flyer cerchino di ridurre il tempo “perso” in attesa (Sacerdote 2009); comunque la maggior parte dei viaggiatori – anche per le già citate questioni di ansia e stress – è in aeroporto molto prima della partenza del volo e circa 1/3 dei viaggiatori dichiara di ritagliarsi sempre qualche minuto per poter fare shopping o mangiare: sono pochissimi, infatti, i viaggiatori in attesa del volo che non fanno nient’altro se non aspettare; la maggior parte cerca un punto di ristoro, molti sono interessati allo shopping o sono comunque intenti a girare tra i punti vendita e a curiosare nella hall centrale (Trabucchi 2009). I terminal aeroportuali sono ambienti chiusi che forniscono una audience prigioniera in attesa, ma anche sotto particolari influenze psicologiche, come la pressione temporale, l’eccitazione e l’ansia (Wu 2010); questi fattori possono rappresentare una fonte di vantaggio da sfruttare, ma per presentare le giuste promozioni e la giusta comunicazione è necessario indagare le motivazioni che spingono a determinati comportamenti d’acquisto i viaggiatori in attesa al gate e le differenze tra i vari cluster di viaggiatori che ogni giorno popolano gli aeroporti internazionali. In generale, si possono distinguere quattro tipi di motivazione all’acquisto:
1. Le motivazioni funzionali: considerano aspetti tangibili di un prodotto, come l’assortimento, la qualità, la convenienza, il prezzo, etc (Geuens et al. 2004). 2. Le motivazioni sociali: riflettono il bisogno di comunicare con altri individui che condividono gli stessi interessi, ritrovarsi in gruppi informali e interagire con il personale di vendita (Chung et al. 2013). 3. Le motivazioni esperienziali: consistono nel bisogno di stimoli sensoriali e nella voglia di esperienze nuove e divertenti (Geuens et al. 2004). 4. Le motivazioni legate al viaggio: includono il tempo d’attesa, il desiderio di spendere il denaro rimasto in valuta straniera, la voglia di acquistare souvenirs e regali, approfittare dei prodotti duty-free, delle collezioni esclusive, di utili set da viaggio e di promozioni mirate (Chung et al. 2013). - 64 -
I primi tre fattori motivazionali appartengono alle situazioni generali d’acquisto, per cui non c’è nessuna ragione di assumere che queste motivazioni non siano presenti anche nei luoghi di transito (Geuens et al. 2004). L’ambiente aeroportuale, invece, come si nota nel punto 4, ha delle peculiarità che producono delle spinte motivazionali esclusive, prettamente connesse all’atmosfera che si vive in attesa dell’imbarco. Lo shopping è infatti visto come una forma di ricreazione, che provoca divertimento e relax (Trabucchi 2009). Analizzando più in profondità le motivazioni che spingono all’acquisto all’interno dell’ambiente aeroportuale, si nota che la maggior parte dei clienti decide di acquistare un prodotto che ha dimenticato prima di partire o un regalo al proprio partner; altre occasioni d’acquisto sono connesse alle vacanze, poiché riguardano prodotti come souvenirs o regali per parenti e amici (Trabucchi 2009). Circa il 30% del campione analizzato da Trabucchi (2009) all’interno del proprio lavoro, afferma di non acquistare mai in aeroporto: questa ampia percentuale rappresenta un’occasione unica per le prospettive strategiche del travel retail. L’ambiente aeroportuale produce una grande varietà di stimoli all’acquisto e di situazioni che evocano diversi stati d’animo: oltre alla voglia di contrastare la routine di tutti i giorni e la sensazione di essere fuori luogo (elementi connessi all’idea del viaggio), il consumatore è spinto da altre motivazioni specifiche riguardanti prettamente lo stato d’animo di “viaggiatore” (Geuens et al. 2004): prima di tutto, un aeroporto può innescare una serie di motivazioni funzionali al viaggio, come un buon prezzo, la convenienza, l’assortimento dei prodotti e la qualità dello shopping. In molti casi, infatti, i prezzi in aeroporto sono più convenienti rispetto agli altri negozi, grazie al sistema del “travel value7”. Inoltre, la presenza di negozi all’interno degli aeroporti è molto conveniente per il viaggiatore: gli permette di comprare cibo o altri prodotti per il viaggio in ogni momento (Trabucchi 2009). Un terzo fattore è l’ampiezza dell’assortimento, raggiunta grazie alla presenza di prodotti di brand internazionali e di specialità locali. Considerando la qualità – infatti - i consumatori hanno molta più fiducia nei prodotti venduti all’interno dell’aeroporto che in quelli dei negozi di souvenirs locali. Un’ultima determinante è il servizio eccellente prestato all’interno dei negozi dell’aeroporto: possibilità di comunicare in molte lingue, servizio veloce e consigli professionali (Geuens et al. 2004). Le motivazioni connesse all’azione di viaggiare sono così importanti che una serie di autori sono d’accordo nell’affermare che le abitudini d’acquisto e i comportamenti di chi è in partenza per una vacanza variano di molto rispetto ai comportamenti degli stessi individui in contesti 7
Il concetto di Travel Value indica il valore di un prodotto del travel retail e sostituisce il concetto più noto di tax-free. Può essere definito come “fare acquisti durante un viaggio, ad un prezzo che è più conveniente rispetto ai negozi normali”. La funzione principale per cui nacque fu quella di limitare le perdite di fatturato a causa della soppressione dei negozi duty-free e tax-free per i voli intra-europei. (Da Geuens (2004).
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normali (Timothy e Butler 1995). Uno dei fattori principali che differenzia l’ambiente aeroportuale dai contesti normali è naturalmente l’attesa: aspettando il proprio volo, molti viaggiatori comprano poiché sono annoiati e si divertono attraverso lo shopping. Un'altra motivazione è che i viaggiatori che partono da un determinato paese decidono di comprare per spendere le somme rimaste in valuta straniera (Geuens et al. 2004). Anche l’abitudine di comprare souvenirs e regali spinge ogni viaggiatore all’acquisto (Sulzmaier 2001). Dalla ricerca di Geuens et al. (2004) emerge dunque che una vasta serie di motivazioni – incluse le già citate funzionali, esperienziali e sociali con l’aggiunta di altre legate all’atmosfera dell’ambiente – sembrano guidare lo shopping dei luoghi di transito: l’atmosfera aeroportuale rende diversa l’attività dello shopping e fa sentire ai turisti la sensazione di novità data dall’aura esotica dell’ambiente; e probabilmente i turisti sentono di vivere un’esperienza nuova a causa dell’infrastruttura aeroportuale, che permette loro di pagare con valuta straniera e di comunicare in altre lingue (Geuens et al. 2004).
Anche le ricerche di Chung et al. (2013) mostrano come nel tempo libero in aeroporto, i fattori psicologici come noia, ansia ed eccitazione influenzino i comportamenti e la percezione dei viaggiatori, mentre le ricerche di Lu (2014) affermano che le ragioni d’acquisto in aeroporto dipendono dall’ambiente, dal valore e dalla qualità dei prodotti venduti e dal servizio; la ricerca riguardante le tendenze d’acquisto degli acquirenti all’interno dell’ambiente aeroportuale, inoltre, indica una forte propensione ad acquistare impulsivamente da parte dei viaggiatori di tutto il mondo. La ricerca di Chung et al. (2013) mostra tre differenti dimensioni risultanti dall’analisi delle motivazioni che spingono allo shopping in aeroporto (tabella 8): funzionali, esperienziali e razionali; gli elementi presentati non si discostano molto da quelli già definiti in altre ricerche, riguardando aspetti tangibili di un tipico ambiente aeroportuale, il bisogno di stimoli sensoriali e di esperienze nuove, la pianificazione dell’acquisto e l’attenzione al costo dei prodotti.
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Tabella 8: Dimensioni motivazionali dello shopping in aeroporto
Item Convenienza Offerta di specialità locali Prezzi attrattivi Servizi in negozio Ampia gamma di prodotto Velocità del servizio di cassa Qualità del prodotto Possibilità di pagare con altre valute Comunicazione multilingue Impulso Influenza dell’ambiente Noia Pre-pianificati Considerazione dei costi
Dimensione Funzionale
Dimensione Esperienziale Dimensione Razionale
Fonte: Chung et al. (2013)
Due elementi solo citati precedentemente, vengono invece analizzati in modo più approfondito da Lin e Chen (2013): la pressione temporale e l’impulso all’acquisto; la loro ricerca prende in considerazione questi due fattori, associandoli a due ipotesi principali: 1. L’ipotesi che la pressione temporale funga da moderatore nella relazione tra gli stimoli all’acquisto e le attività commerciali in aeroporto. 2. L’ipotesi che l’azione moderatrice provenga dall’impulso all’acquisto I due ricercatori hanno studiato l’effetto provocato dal tempo e dalla tendenza all’acquisto associandoli a due diverse tipologie di beni: i prodotti di lusso e inerenti al viaggio e i prodotti riservati alla ristorazione. Come si evince dai grafici (10 e 11) l’alta pressione temporale e gli stimoli dell’ambiente e della comunicazione hanno degli effetti significativamente negativi nelle attività commerciali riguardanti i prodotti di lusso e di viaggio all’interno dell’aeroporto; la pressione temporale è dunque una variabile che tempera gli stimoli dell’ambiente e l’acquisto di prodotti di questo tipo. Non si nota invece alcun effetto moderatore della pressione temporale tra gli stimoli allo shopping e gli acquisti inerenti alla ristorazione (Lin e Chen 2013).
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Grafici 10 - 11: Pressione temporale e motivazione allo shopping
Fonte: Lin e Chen (2013)
Anche l’impulso all’acquisto fa registrare un effetto negativo nelle motivazioni di shopping dei viaggiatori per quel che riguarda i prodotti di lusso e di viaggio. Si può quindi giudicare come supportata la seconda ipotesi, poiché la tendenza agli acquisti d’impulso crea un effetto moderatore rispetto a questo tipo di beni. Anche in questo caso, per quanto riguarda i prodotti della ristorazione, non si riscontra alcuna tendenza moderatrice (grafici 12 e 13). Grafici 12 - 13: Impulso all'acquisto e motivazione allo shopping
Fonte: Lin e Chen (2013)
Anche se la pressione temporale e l’acquisto ad impulso sono due elementi che caratterizzano e rendono unico il business model dei luoghi del travel retail, dunque, questi elementi non sono
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favorevoli al mercato del lusso, poiché è stato dimostrato che se i clienti hanno poco tempo a disposizione o hanno un forte impulso ad acquistare senza una pianificazione, la variabile del prezzo li scoraggia dall’acquistare beni così costosi.
3.3 Il comportamento d’acquisto dei consumatori Argomento di indagine sarà adesso il comportamento d’acquisto dei consumatori, basato sull’analisi delle loro preferenze e su altri fattori socio-demografici. Il comportamento d’acquisto di un consumatore, infatti, è generalmente influenzato da fattori culturali, sociali e individuali; molti ricercatori hanno sottolineato che genere, età, finalità del viaggio e compagnia (qualora ci sia) sono elementi importanti per definire il profilo dei passeggeri in termini di decisioni d’acquisto (Perng et al. 2010). Secondo gli studi di alcuni autori tra cui Rendon (2003), gli uomini spesso hanno bisogno di essere invitati a toccare un prodotto, e amano leggere le informazioni riguardanti l’articolo, mentre le donne hanno una maggiore tendenza a scegliere un prodotto senza prima provarlo, e si relazionano con la merce acquistata in maniera più personale rispetto agli uomini. Un altro studio, quello di Lee e Kacen (2008) - considerando l’interazione tra i tipi di spesa, tra le situazioni d’acquisto e la cultura ha dimostrato che coloro i quali effettuano degli acquisti in gruppo, sono più attenti alle opinioni della propria famiglia e degli amici, rispetto ai consumatori individuali. Le analisi di Perng et al. (2010) riguardanti le preferenze dei consumatori - segmentati per età, genere e gruppo di viaggio - mostrano quali tipologie di prodotto sono più ricercate e quali hanno bisogno di una spinta
strategica
da
parte
del
management
aeroportuale
(grafico
14).
Grafico 14: Preferenze e soddisfazione dei consumatori
Fonte: Perng et al. (2010)
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Nella classifica dei servizi commerciali offerti, al primo posto troviamo i prodotti di utilità per quasi tutti i campioni analizzati: fanno parte di questa categoria il deposito di oggetti, i prodotti medici, i servizi d’ufficio e le assicurazioni sanitarie. I prodotti di marca sono considerati cari, ma anche unici e alla moda; questa categoria attrae molto più il genere maschile che quello femminile. Le donne richiedono prodotti di intrattenimento in misura maggiore rispetto agli uomini; i prodotti d’intrattenimento includono attributi relativi al piacere, al relax e alla novità, per cui possono far vivere un’esperienza eccitante e gioiosa. I servizi sono invece considerati molto meno importanti rispetto agli altri prodotti nell’analisi delle preferenze e soddisfazione dei consumatori. Le preferenze sui prodotti, considerando la divisione per età, mostrano delle differenze nelle intenzioni d’acquisto. Oltre a preferire prodotti di utilità, i passeggeri più giovani ricercano souvenirs e prodotti per la ristorazione. Il gruppo che va dai 47-56 anni è maggiormente attratto da prodotti brandizzati e dai servizi, mentre non ricerca quasi per niente prodotti low cost e d’intrattenimento; per la categoria 27-46 i prodotti preferiti sono quelli d’utilità: questo indica che i passeggeri più giovani e quelli di mezza età desiderano acquistare prodotti convenienti o che rispondano a loro particolari esigenze. I passeggeri che viaggiano da soli, inoltre, sono meno attratti dai prodotti low cost, i quali vengono invece preferiti dai viaggiatori che hanno una compagnia. Tuttavia, chi viaggia solo e chi è accompagnato da colleghi compra molto più spesso prodotti di marca: ciò che contraddistingue le situazioni di viaggio tra amici e colleghi di lavoro, infatti, è proprio la domanda di prodotti dei grandi brand, poiché chi è accompagnato da amici preferisce non mostrarsi così stravagante da acquistare articoli così costosi (Perng et al. 2010).
Studiare le determinanti delle vendite commerciali in aeroporto ha portato Castillo-Manzano (2010) a delle importanti conclusioni riguardo ai viaggiatori e alle loro abitudini: l’autore sottolinea come l’aumento del numero di viaggiatori non sia correlato ad un aumento degli acquisti all’interno dell’ambiente aeroportuale: coloro i quali non viaggiano spesso, sono meno inclini a lasciare l’area in prossimità dell’imbarco, mentre chi effettua più di dodici viaggi in un anno, aumenta la sua propensione all’acquisto, sia di accessori che nel campo della ristorazione; lo studio dimostra che i ricavi commerciali all’interno dell’aeroporto potrebbero significativamente aumentare se si raggiungesse un buon livello di traffico in termini di numero di viaggi con lo stesso numero di viaggiatori, piuttosto che attraverso l’aumento del numero dei passeggeri (Castillo-Manzano 2010). L’analisi sottolinea inoltre che chi viaggia per piacere, perché è in partenza per una vacanza ha una maggiore propensione all’acquisto; chi viaggia in compagnia di bambini effettua più acquisti - soprattutto legati alla ristorazione e
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all’intrattenimento – ma non ha alcun incentivo ad acquistare prodotti top di gamma o a provare i migliori luoghi per la ristorazione (Castillo-Manzano 2010). Dalle ricerche di Lu (2014) si delineano alcune caratteristiche chiave dei consumatori e delle motivazioni che spingono all’acquisto: per quanto riguarda lo studio delle caratteristiche personali dei viaggiatori, la ricerca sottolinea che gli uomini tendono a non pianificare i propri acquisti, ma a comprare più d’impulso. Rimanendo nel confronto tra uomini e donne, Trabucchi (2009) sottolinea il fatto che i primi sono più propensi ad acquistare un regalo per il partner, mentre le donne prestano più attenzione ai prezzi dei prodotti e vengono perciò attratte da quelli che costano meno. Analizzando le caratteristiche del viaggio si è visto che chi viaggia per piacere tende a comprare sia attraverso acquisti pianificati che attraverso acquisti d’impulso (Lu 2014); i vacanzieri sono infatti più facili da coinvolgere e convincere perché si trovano in una dimensione ideale di viaggio e sono più inclini a comprare perché liberi da ogni stress (Trabucchi 2009). Chi viaggia con amici compra meno d’impulso rispetto a chi viaggia con la famiglia. Infine, CastilloManzano (2010) sottolinea a sua volta che chi viaggia in compagnia di amici o familiari, tende a spendere comunque di più rispetto a chi viaggia da solo. Il confronto tra i viaggiatori “domestici” e gli “stranieri”, invece, non presenta molte differenze: entrambi hanno un particolare interesse verso i prodotti a minor costo e verso prodotti particolari, mentre una differenza significativa la fa registrare l’interesse per i souvenir poiché gli stranieri sono molto più propensi ad effettuare un acquisto di questo tipo (Trabucchi 2009). Per quanto riguarda la shopping experience, Lu (2014) sottolinea che i passeggeri che non hanno mai comprato in aeroporto non mostrano interesse a pianificare l’acquisto o a comprare d’impulso; analizzando invece il tempo dedicato allo shopping, si è visto che chi possiede più tempo effettua acquisti molto più attentamente, mentre chi ha meno tempo tende ad acquistare più impulsivamente (Lu 2014). Un’altra tendenza sottolineata da Castillo-Manzano (2010) è quella degli accompagnatori, che consumano solitamente qualcosa da mangiare o da bere insieme al viaggiatore, possibilmente pagando anche per i suoi acquisti: prendendo in considerazione questa tipologia di acquirenti, le strutture aeroportuali dovrebbe studiare strategicamente l’accoglienza e la comunicazione esclusiva, sia in termini di parcheggi che di promozioni e offerte speciali. Potremmo quindi concludere l’analisi delle motivazioni affermando che da una parte lo shopping in aeroporto sembra essere guidato da bisogni tradizionali, come stimoli funzionali ed esperienziali, mentre dall’altra parte viene indotto da stimoli legati al viaggio, all’atmosfera dell’ambiente e alle infrastrutture aeroportuali (Geuens et al. 2014).
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In base agli stimoli registrati Omar e Kent (2001) identificano tre tipologie di viaggiatori: gli shopping traveller, coloro i quali effettuano acquisti in aeroporto e che rappresentano il gruppo più importante, i browser traveller, quelli che entrano solo per guardare, ma che effettuano molto spesso acquisti ad impulso e i fast track traveller, o compratori occasionali.
3.3.1 Studiare il cliente: limiti e opportunità Gli studi di Lin e Chen (2013) dimostrano che l’engagement del viaggiatore nelle attività commerciali è influenzato da diverse motivazioni: quando acquistano beni di lusso e prodotti per il viaggio considerano il prezzo e la qualità dei prodotti, mentre per le attività di ristorazione e intrattenimento, l’impulso all’acquisto viene prodotto dall’ambiente, dalla comunicazione e da stimoli inerenti all’atmosfera e alla cultura. Questo fattore crea un’importante opportunità per i punti vendita degli aeroporti, poiché potrebbero aumentare i propri ricavi creando un’atmosfera e un ambiente in grado di stimolare maggiormente i viaggiatori all’acquisto; inoltre, i risultati di questa ricerca mostrano che gli operatori aeroportuali potrebbero essere in grado di segmentare meglio i clienti e, di conseguenza, creare delle strategie di marketing più efficaci. Anche le ricerche di Trabucchi (2009) mostrano che la maggior parte dei clienti all’interno dei terminal aeroportuali decide di procedere all’acquisto perché “è un modo per far passare il tempo d‘attesa”; questa ricerca mostra anche i limiti del travel retail in questo determinato momento storico, che riguarda la percezione dei consumatori, che non giudicano i punti vendita all’interno dell’ambiente aeroportuale come adatti per (Trabucchi 2009):
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Trovare le novità del mercato
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Acquisire informazioni riguardo alle novità
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Ottenere un risparmio
Altri problemi riscontrati nelle interviste presenti nel lavoro di Trabucchi (2009) riguardano l’offerta, che non si presenta interessante come si potrebbe credere, visto che la rotazione di prodotto e il cambio di assortimento non sono frequenti quanto quelli in città. Un’altra critica viene riservata ai prezzi: se infatti nei prodotti duty-free viene chiaramente percepito un risparmio, lo stesso non si può affermare per i prodotti che non godono di questo privilegio. L’ultimo giudizio negativo, che riguarda gli aeroporti italiani e che mostra un ampio margine di miglioramento per lo sviluppo di una strategia coerente e rivoluzionaria, è dedicato all’ambiente, poiché i viaggiatori non giudicano i negozi in aeroporto più belli di quelli in città e non valutano attento e soddisfacente il livello di servizio prestato dagli operatori all’interno - 72 -
dei punti vendita. Gli aeroporti italiani hanno dunque numerosi elementi che potrebbero essere migliorati per sviluppare una strategia nuova; i suggerimenti provenienti dall’estero - che considerano un concetto completamente nuovo dell’ambiente aeroportuale – potrebbero diventare presto degli esempi da seguire per il prossimo futuro. Tutte le ricerche prese in considerazione hanno sottolineato l’importanza dei fattori legati all’esperienza e all’atmosfera dell’ambiente, poiché si può ben comprendere che non ci si reca in aeroporto per fare esclusivamente shopping, ma l’attività principale rimane sempre quella di prendere un aereo perché si è muniti di biglietto; dunque nell’attesa, i passeggeri possono essere invogliati ad effettuare degli acquisti. Come conseguenza, è ragionevole credere che lo shopping in aeroporto sarà più influenzato dai fattori esperienziali e ambientali piuttosto che da quelli funzionali: nell’ambiente aeroportuale la funzionalità sembra essere una ragione aggiuntiva per comprare, ma non la principale motivazione (Geuens et al. 2004). L’analisi dell’ambiente aeroportuale ha sottolineato alcuni punti da sviluppare per rendere l’esperienza d’acquisto migliore e più affascinante: i consumatori giudicano l’offerta dei negozi in aeroporto abbastanza in linea con quello che sono abituati a trovare fuori, l’interesse è inoltre spesso limitato soltanto ad alcune categorie di prodotto e i viaggiatori sono comunque legati maggiormente ai luoghi d’acquisto tradizionali, che frequentano più assiduamente (Trabucchi 2009). All’aeroporto mancano quindi elementi di unicità commerciale: i viaggiatori dovrebbero essere stimolati maggiormente attraverso elementi di intrattenimento meno standardizzati e ripetuti. La tendenza a uniformare gli ambienti ha portato quindi a una standardizzazione dell’offerta che non reca elementi di unicità nei vari aeroporti: i viaggiatori non sono quindi invogliati a “scoprire” cosa di nuovo può offrire un determinato terminal aeroportuale; la percezione di prodotti limitati nell’assortimento e di novità poco presenti, completano il quadro: è necessario dunque investire sulla spettacolarizzazione del negozio, del display e degli elementi d’arredo; la voglia di fare shopping è principalmente stimolata dalla vista, e gli aeroporti hanno ancora elevati margini di miglioramento in questo campo. Chi viaggia spesso ha bisogno di trovare nei negozi dell’aeroporto un servizio di qualità e di avere la possibilità di godere di particolari sconti, benefici o offerte legate alla sua alta frequenza di visita; poiché non esiste centro commerciale, supermercato o punto vendita che abbia la stessa potenzialità di un negozio in aeroporto in termini di visibilità e di flussi di clientela, lasciare che l’attività commerciale in aeroporto non sia un elemento centrale nella totalità dell’offerta, è un’enorme opportunità mancata (Trabucchi 2009).
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Chiedersi perché gli individui scelgano le stazioni o gli aeroporti per organizzare le proprie partenze potrebbe dare inoltre nuovi spunti per la strategia dell’area commerciale degli ambienti del travel retail. Dalla ricerca Nielsen (2014) è possibile comprendere quali siano i motivi alla base della scelta del mezzo, e quindi dell’ambiente da frequentare (stazione o aeroporto) da parte dei viaggiatori (tabella 9): l’aereo è scelto maggiormente per i viaggi di piacere, per le vacanze; avrà quindi una più alta percentuale di viaggiatori rilassati ed eccitati dalla partenza; le motivazioni che spingono alla scelta dei viaggi in treno sono per la maggior parte legate al lavoro sia a titolo personale che per conto di una determinata azienda; si troveranno quindi consumatori meno curiosi e più “funzionali” in stazione piuttosto che in aeroporto (Nielsen 2014). Tabella 9: Motivi alla base della scelta di un mezzo di trasporto (possibili risposte multiple)
Auto
Treno
Aereo
Motivo personali (Vacanze, week-end, gite)
83%
68%
81%
Motivi professionali
39%
49%
35%
Viaggio per lavoro a titolo personale
20%
26%
19%
Viaggio di lavoro per conto dell’azienda
19%
23%
20%
Pendolari
10%
11%
Fonte: Nielsen (2014)
Aeroporti e stazioni hanno quindi trasformato i propri ambienti cercando di proporre un’offerta commerciale pronta a sfruttare l’impulso all’acquisto che nasce dall’atmosfera (Lu 2014). Le esigenze più chiare, che sono scaturite dallo studio delle motivazioni e dai comportamenti dei consumatori presso questi ambienti, appaiono dunque quelli di creare un luogo “commerciallyfriendly” - per rendere l’esperienza del viaggio più piacevole a chi non si muove frequentemente o a chi viaggia con la propria famiglia e ha quindi la necessità di rispondere alle esigenze dei bambini più piccoli – con la presenza di servizi (dal parcheggio all’intrattenimento) che stimolino maggiormente le vendite commerciali (Castillo-Manzano 2010). Bisogna dunque creare un ambiente di shopping innovativo, per rendere l’esperienza dei passeggeri divertente, conveniente e mirata alla brand engagement in modo da motivare l’impulso all’acquisto o la sua pianificazione (Lu 2014). In breve, bisogna partire dalle strategie classiche dei centri commerciali e trasferirle negli ambienti aeroportuale e ferroviario, considerando le significative differenze presenti, tra il profilo dei clienti, le caratteristiche sociali, l’esperienza di viaggio e l’importante fattore dell’attesa imposta: si potrà raggiungere un successo più rapido se verrà posta particolare attenzione alla modalità di engagement dei clienti, anche attraverso l’utilizzo di manager - 74 -
professionali ed esperti di retail presso le stazioni e gli aeroporti, come Graham (2008) suggerisce.
Analizzando le differenze tra il mondo aeroportuale italiano e quello degli altri paesi europei, Andrea Arrighi di Airest sottolinea che nel nostro paese non ci sono strategie rivolte a clienti che non siano passeggeri, se si escludono gli operatori aeroportuali e delle linee aeree che hanno invece delle speciali convenzioni con le aziende che operano presso l’ambiente aeroportuale: “mentre in Germania c’è l’abitudine di andare negli aeroporti come se fossero dei centri commerciali, anche per trascorrere delle serate, in Italia non c’è mai stato questo tipo di approccio. I nuovi progetti che dovrebbero coinvolgere l’aeroporto di Venezia, però, potrebbero attrarre numerosi clienti, poiché si prevede l’ampliamento dell’aeroporto e lo sviluppo di un’interconnessione modale tra aereo e ferrovie, oltre alla seconda pista che farebbe diventare quello di Venezia un aeroporto internazionale di grande prestigio”. Per quanto riguarda i limiti del settore, invece, l’esponente di Airest afferma: “i limiti principali sono strutturali; in Italia le strutture aeroportuali sono mediamente meno evolute rispetto al resto d’Europa, forse a causa degli ingenti investimenti che necessita il settore, e anche perché esistono troppi piccoli aeroporti, che pur avendo bisogno di investimenti, non possono promettere un flusso di traffico tale da attrarre brand importanti. Si mantengono quindi delle strutture che non possono avere un’offerta ampia come quella internazionale e che non riescono neanche a sviluppare un’attenzione al cliente con alti standard di qualità. Nella negoziazione è importante garantire un flusso di passeggeri abbastanza alto (5-6 milioni almeno) e solo gli aeroporti più grandi, attraverso nuovi progetti, potranno migliorare ulteriormente i propri risultati”.
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CAPITOLO 4: IL BUSINESS MODEL DEL TRAVEL RETAIL: ENGAGEMENT, TRASFERIMENTO DEL VALORE E MONETIZZAZIONE
4.1 Customer Engagement Lo studio del business model inerente al travel retail - dopo aver considerato il cliente e le sue motivazioni più profonde - procede con l’analisi della customer engagement: questa richiede d’intuire quali siano le esigenze del cliente o dei gruppi di clienti, e costituisce la proposta di valore offerta dalle aziende (Baden-Fuller e Haefliger 2013). Dopo aver presentato le principali strategie commerciali presenti nel contesto del travel retail, verranno dunque mostrati gli esempi di programmi di engagement dedicati alla clientela che frequenta aeroporti e stazioni, ponendo un’attenzione particolare anche all’eventuale impossibilità di fidelizzare la clientela, a causa delle caratteristiche uniche dell’ambiente. E’ stato già descritto il modo in cui gli aeroporti e le stazioni hanno modificato la loro comunicazione e la propria offerta di valore, mantenendo il fine ultimo, che è quello di permettere agli individui di spostarsi da un posto ad un altro, ma rendendo la permanenza in attesa un’occasione unica per effettuare acquisti pianificati o ad impulso (Graham 2009). Per alcuni decenni, gli aeroporti hanno puntato infatti a mantenere alta l’efficienza nella gestione degli scali, incrementando il traffico di passeggeri e merci: l’aeroporto era quindi un mero polo modale del sistema di trasporti, e lo stesso concetto apparteneva alle stazioni ferroviarie, più attente ad aumentare il numero dei viaggiatori e i contratti di trasporto delle merci (Jarach 2002). Come dimostrato da diversi studi (si veda Castillo-Manzano 2010), però, l’aumento della quantità dei viaggiatori non porta automaticamente a un incremento dei ricavi per stazioni e aeroporti. Inoltre, con l’aumento della concorrenza presso gli scali, elementi come la privatizzazione degli operatori di volo, la richiesta di remunerazione da parte degli investitori e la pressione competitiva generale hanno prodotto un deciso allargamento del portafoglio d’offerta per trovare nuove forme di contribuzione reddituale; il primo segno di trasformazione riguarda nuove ipotesi di servizio per generare vantaggi competitivi, che portano alla nascita del concetto di “impresa-aeroporto” (Jarach 2002). Il mercato aereo si rivolge, da una parte al sistema industriale, poiché le transazioni commerciali, la proliferazione del numero dei competitors e il ritorno degli investimenti per ogni categoria di attori sono fortemente dipendenti dall’espansione del mercato aereo;
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dall’altra, in un punto di vista più legato al marketing, si vengono a creare relazioni sia business to business (B2B) sia business to consumer (B2C) dipendenti tra loro, con l’obiettivo di creare un pacchetto di servizi per il cliente finale: questo modello viene descritto come “Air transport pipeline” (Jarach 2001) (figura 5). Figura 5: The Air transport pipeline
Fonte: Jarach (2001)
La nascita dell’impresa-aeroporto ha naturalmente avuto dei risvolti importanti in termini di ricavi commerciali, poiché attraverso un approccio più orientato al mercato - e giocando un ruolo proattivo nel soddisfare le esigenze di adattamento e personalizzazione dei clienti - i ricavi prodotti dal settore non-aviation all’interno dell’ambiente aeroportuale hanno raggiunto e in alcuni casi superato quelli prodotti dall’attività principale aviation (Graham 2009). L’ambiente aeroportuale, infatti, ha un potenziale d’utenza più vasto di quello che rappresentano i singoli viaggiatori, come è già stato descritto in precedenza; questo bacino di utenza molto esteso (figura 6), ha cambiato la strategia commerciale di molti hub, soprattutto dell’area mediorientale, quali Abu Dhabi, Dubai e Bahrein: avendo un’offerta di destinazione molto simile, questi aeroporti competono per il presidio della domanda finale, enfatizzando e pubblicizzando diffusamente sui media la loro offerta commerciale non-aviation, sia in termini di gamma di prodotti e servizi, sia di prezzi altamente competitivi, sia attraverso concorsi premio (Jarach 2002).
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Figura 6: Servizi e prodotti "allargati"
Fonte: Jarach (2001)
Gli esempi descritti nel corso del lavoro svolto hanno dimostrato chiaramente come gli ambienti del travel retail (soprattutto gli aeroporti) siano stati in grado di trasformarsi, nel corso degli anni, offrendo prodotti e servizi sempre diversi e in modo da catturare più clientela possibile e da aumentare la fedeltà dei viaggiatori e dei visitatori a un determinato aeroporto. Discoteche, cinema, campi da golf e servizi per i centri benessere rendono unica l’offerta di determinati terminal aeroportuali, tanto da fidelizzare la clientela e trasformare l’aeroporto in una destinazione commerciale a tutti gli effetti. La necessità di fidelizzare la clientela, però, nacque già nel segmento aviation, con l’arrivo degli operatori low cost: gli operatori già consolidati diedero vita inizialmente ad una politica imitativa di adattamento al ribasso. Ma modificare un business model adattando una strategia così radicalmente divenne ben presto insostenibile; si ricercarono quindi altre soluzioni commerciali, tipicamente di natura non price: nacquero i frequent flyer programs (FFP) (Jarach 2002). Il problema della customer retention ha coinvolto molte imprese quali istituti finanziari, società emittenti di carte di credito, operatori delle telecomunicazioni, catene alberghiere, car rentals, società editoriali e imprese della grande distribuzione. Anche le compagnie aeree considerando che la redditività prospettica di un cliente cresce in via strettamente correlata e proporzionale con la durata temporale della relazione commerciale (Jarach 2001) - hanno dato vita a dei programmi di fidelizzazione della clientela, sviluppando una serie di politiche di customer relationship management (CRM) in modo da ottenere una migliore conoscenza e - 78 -
profilatura del cliente. I benefici apportati da un FFP sono diversi: si ha per esempio una interazione col cliente tale da incrementare la sua profittabilità; inoltre stimola una maggiore frequenza di consumo di un determinato servizio, e permette di considerare l’opportunità di estendere il novero dei partner ad altre imprese (cross-selling) (Jarach 2002); è anche vero che ci sono dei costi ulteriori da considerare quando si sviluppa un programma di questo tipo: costi pubblicitari e promozionali, legati al kick-off dell’iniziativa, costi amministrativi legati alla gestione del programma fedeltà, cessione a titolo gratuito di servizi altrimenti cedibili a pagamento e costi per acquisto di prodotti o servizi di terzi (Jarach 2002). Se si pensasse che i programmi per frequent flyer corrispondano solamente alle promozioni sulle miglia percorse in un determinato volo con la stessa compagnia oppure agli sconti promessi da Trenitalia tramite la ormai celebre “Carta Freccia”, si commetterebbe un duplice errore: quello di sottovalutare la potenza di una buona politica di CRM e soprattutto quella di non considerare il travel retail come uno strumento fondamentale a disposizione dell’intero sistema aeroportuale e ferroviario, in grado di prestare dei servizi che altri ambienti non contemplano e di trattenere i clienti. Il concetto di impresa-aeroporto considera in maniera più ampia la politica di CRM, che non appartiene più ad una sola azienda, ma che prende in esame l’intera struttura aeroportuale e ferroviaria, considerando l’insieme di servizi (aviation e nonaviation) un prodotto unico (Appold e Kasarda 2011). Nelle imprese-aeroporto, infatti, la soddisfazione del cliente finale non è stata per lungo tempo né rilevata né misurata, a causa della mancanza di competizione che le imprese si trovavano ad affrontare. Jarach (2002) presentava i benefici derivanti da un possibile programma di fedeltà aeroportuale (PFA), già più di dieci anni fa: nel corso degli anni molti aeroporti hanno seguito questo esempio, diventando degli hub in grado di generare elevate quantità di ricavi derivanti dalle strategie commerciali e dai servizi offerti; i già citati esempi di Schiphol (Amsterdam), Dubai e i principali hub del Medio Oriente, i grandi aeroporti cinesi e alcuni terminal in Florida e a Detroit sono riusciti a trasformare la loro offerta, assicurandosi una alta percentuale di clienti al di fuori dal segmento aviation e facendosi scegliere come sedi per gli scali tra un viaggio e un altro da molti viaggiatori provenienti da tutto il mondo (Appold e Kasarda 2011). Un buon programma di fedeltà aeroportuale è in grado di incrementare la magnitudine delle royalties conseguite dalle attività commerciali in senso stretto, di aumentare l’efficacia delle scelte strategiche dell’impresa-aeroporto grazie ad una migliore interfaccia provider-consumatore e di rafforzare il potere di attrazione della catchment area commerciale, in modo da sviluppare un’offerta unica nel suo genere in grado di differenziare un determinato hub dal resto dei suoi concorrenti (Jarach 2002). L’implementazione di una forma di loyalty scheme come supporto al modello di aeroporto commerciale, infatti, può dar vita ad un’ulteriore forma di differenziazione - 79 -
competitiva di mercato dell’impresa-aeroporto (Jarach 2001). Tuttavia, ancora oggi, nella maggior parte di aeroporti e stazioni, sono presenti soltanto dei programmi fedeltà promossi dalle compagnie aeree e ferroviarie o dai singoli punti vendita, che oltre a lasciare soltanto alle imprese di trasporto o a singole aziende la capacità di profilare il cliente in maniera più completa e di implementare con lui una relazione diretta, non sviluppano a pieno tutte le possibilità che il modello del travel retail potrebbe apportare attraverso un programma di fedeltà basato sull’ambiente generale: è richiesto un “partito del consenso” che metta nella stessa posizione l’impresa-aeroporto e tutti i suoi concessionari (Jarach 2002); diventa dunque un problema di governance e di coordinazione strategica e organizzativa: il PFA deve essere infatti strutturato su diversi livelli: per segmentare i consumatori sulla base dell’intensità d’acquisto e far raggiungere ad una platea più vasta il desiderio aspirazionale di un più elevato livello di status (Jarach 2002). Anche Airest ha dei programmi di fidelizzazione rivolti alla clientela, ma poiché la gestione di tutti i punti vendita dell’aeroporto di Venezia è completamente affidata all’azienda, non c’è un programma di fidelizzazione aeroportuale: sono previsti sconti e convenzioni attraverso una carta fedeltà, ed è poi centrale la collaborazione con i dipendenti del mondo aeroportuale e le linee aeree. Il flusso della clientela limitato, che non comprende residenti e curiosi e la dimensione stessa del terminal, rendono probabilmente superfluo pensare ad un programma di fidelizzazione che comprenda l’intero ambiente aeroportuale, linee aeree e segmento retail, come quello sviluppato all’aeroporto internazionale di Doha da Qatar Airways Group; Lo sceicco Akbar Al Baker, Ceo del gruppo, afferma che: “avere sotto una proprietà comune aeroporto, linee aeree e area commerciale è molto importante, perché in questo modo si riescono ad allineare le decisioni, rendendo possibile una migliore comunicazione della vision di tutta la compagnia, offrendo alla clientela, ogni volta, la possibilità di meravigliarsi ” (The Moodie Report 2014).
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4.1.1 Economia dell’attenzione: fidelizzare attraverso la tecnologia Non sembra assurdo che un programma di fedeltà appaia ancora come un’utopia per molti degli ambienti aeroportuali e ferroviaria: uno dei limiti del travel retail è che il cliente è, per definizione, un cliente ovviamente non stanziale, perlopiù occasionale, che molto probabilmente non ripeterà più l’acquisto (De Carolis e Brojanigo 2009). L’impossibilità di fidelizzare il cliente e di trasformarlo in cliente ripetitivo è comunque compensata, in molti aeroporti, dal grande flusso di consumatori sempre nuovi che i “luoghi” del travel retail garantiscono. Ma riuscire a fidelizzare un cliente, catturare la sua attenzione dandogli le informazioni giuste al momento opportuno, avrebbe un’importanza fondamentale, soprattutto per i piccoli aeroporti come la maggior parte di quelli italiani. Catturare l’attenzione del cliente non è però un’attività facile: nel caso di aeroporti e stazioni, il tempo a disposizione per attirare l’attenzione del cliente è veramente brevissimo, anche se l’ambiente ha a disposizione un’audience prigioniera per diverse ore (Castelvero 2009). Quella dell’attenzione è un’economia che sottostà alle leggi della domanda e dell’offerta, la più ovvia delle quali dice che se l’ammontare delle informazioni aumenta, cresce la domanda di attenzione (Davenport e Beck 2002). Soltanto dando le informazioni giuste, personalizzate per segmenti, queste riuscirebbero a catturare l’attenzione del cliente. Come afferma Simon (1997) “l’abbondanza di informazione genera una povertà di attenzione e induce il bisogno di allocare quell’attenzione efficientemente tra le molte fonti di informazione che la possono consumare”. Gli elementi che riescono a legare la comunicazione all’interno dell’ambiente aeroportuale con la fidelizzazione di un passeggero che probabilmente non tornerà più in quel determinato aeroporto sono l’e-retailing e una strategia commerciale in grado di fornire delle sinergie multicanali (De Carolis e Brojanigo 2009). I luoghi di transito - attraverso una strategia multicanale - potrebbero riuscire a trasformare un flusso di clienti occasionali e potenziali in clienti ricorrenti, sfruttando l’attesa imposta dall’ambiente e filtrando le informazioni a disposizione del cliente attraverso la tecnologia: benché la connessione tra economia dell’attenzione ed e-commerce sia chiara, Davenport e Beck (2002) affermano che il potenziale strategico in questo settore è ancora poco sfruttato. Riuscire a instaurare una comunicazione con il cliente, attraverso l’indirizzo e-mail, il numero telefonico ma soprattutto l’account dei social network, aprirebbe un canale di comunicazione di vitale importanza, in grado di scambiare informazioni, promozioni, e suggerimenti. L’aspetto più importante, però, è descritto dalla possibilità di acquistare tutti i tipi di prodotti presenti in aeroporto attraverso internet, così da superare i limiti di peso e dimensione che caratterizzano il travel retail e soprattutto in modo da creare un legame permanente tra cliente e duty-free shop - 81 -
di un aeroporto. Informazione e multicanalità sono quindi due elementi che rendono estremamente affini e compatibili azioni sinergiche sul canale e-retailing e sul canale travel retailing (De Carolis e Brojanigo 2009). In alcuni paesi ci sono già diverse sperimentazioni con dei “bear box”: armadi sicuri, di diverse dimensioni, posizionati in aree di transito come stazioni ferroviarie e aeroporti programmabili a distanza via internet, che si aprono solo attraverso un codice e che possono contenere qualsiasi tipo di prodotti. Si può quindi immaginare un mondo dove il flusso di informazioni e quello delle merci sarà così efficiente che ogni consumatore sceglierà di volta in volta il luogo, il modo, e il momento in cui acquistare e ritirare un prodotto. Se molto è stato fatto nel mondo degli aeroporti, soprattutto all’estero, con un’offerta in grado di diversificare gli hub e renderli delle vere e proprie mete di destinazione per alcune tipologie di turisti, bisogna anche sottolineare il fatto che ci sono molti margini di miglioramento per quanto riguarda la creazione di un programma di fedeltà, integrato con la tecnologia, in grado di catturare l’attenzione di tutti gli attori di un determinato ambiente (aeroportuale o ferroviario), che potrebbe portare dei vantaggi considerevoli al sistema economico di tutte le organizzazioni che fanno parte di questa rete, rendendo il travel retail uno degli strumenti fondamentali per la profilazione e la segmentazione dei clienti, e quindi per la fidelizzazione e la propensione al consumo degli stessi. Tuttavia, l’esperienza in Airest porta Andrea Arrighi ad affermare che nel travel retail la componente del servizio e il rapporto con il cliente sono troppo importanti per ritenere l’ecommerce un canale adatto a questo tipo di business. Anche per Robert Schulze, di Glendale Group Schiphol Horeca, è il rapporto con il cliente l’elemento chiave per la fidelizzazione e l’engagement: “Ruota tutto attorno all’attenzione: catturare l’attenzione e prestare la massima attenzione” (The Moodie Report 2014).
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4.2 Value delivery and linkages La terza componente da analizzare per un accurato studio del business model inerente al travel retail è l’insieme di collegamenti tra l’identificazione dei gruppi di clienti da una parte, e la monetizzazione dall’altra. Questi collegamenti molto spesso vengono descritti come “distribuzione o trasferimento del valore”: possono essere descritti come l’architettura dei flussi informativi e il sistema di governance (Baden-Fuller e Haefliger 2013). Obiettivo del paragrafo è quello di determinare le fonti di monetizzazione di questi ambienti, per poi analizzare il processo di pianificazione strategica che guida l’impresa verso la redditività. Indagare la governance che caratterizza aeroporti e stazioni conduce a un’analisi accurata dei cambiamenti fondamentali che hanno contraddistinto questi ambienti, soprattutto quelli aeroportuali. Il primo oggetto di indagine potrà sembrare fuori tema o secondario, poiché non direttamente connesso al travel retail, ma analizzare com’è cambiata la governance e il sistema che regola la proprietà degli aeroporti (nella parte aviation) renderà possibile misurare il peso relativo del settore commerciale nella strategia competitiva di questi luoghi di transito. Obiettivo dell’analisi sarà principalmente l’impresa-aeroporto descritta da Jarach (2002) ma un discorso abbastanza simile può essere fatto prendendo in considerazione il settore ferroviario italiano e per molti altri aspetti internazionale; i cambiamenti più radicali però, si sono verificati in ambito aeroportuale. L’evoluzione della governance aeroportuale negli ultimi trenta anni ha subìto dei progressi fino a mostrare la gestione di un aeroporto molto simile a quella di un business moderno, molto più concentrato alla sua parte commerciale (Gillen 2011). L’aumento della competitività prodotto dalla liberalizzazione ha creato una continua pressione sui prezzi dei biglietti aerei e di conseguenza sui conti economici delle compagnie di volo, che hanno cercato continue efficienze per rispondere ai cambiamenti del mercato (Sacerdote 2009); l’effetto drammatico dei cambiamenti tecnici e della liberalizzazione si è manifestato in molti modi nel mercato a valle: ha creato una maggiore pressione nella ricerca della qualità del servizio e soprattutto dell’efficienza dei costi; la pressione fiscale, insieme a questi cambiamenti, ha condotto a una evoluzione e riforma della governance aeroportuale (Gillen 2011). Se da una parte è stato argomentato che una riforma della corporate governance avrebbe guidato a un miglioramento delle performance finanziarie in termini di profittabilità, crescita e vitalità finanziaria – poiché una riforma della governance è promotrice dell’adozione di nuove tecnologie, investimenti e azioni che mirano a uno sviluppo tecnologico (Carney e Mew 2003) - d’altra parte gli aeroporti si sono trovati nel corso degli anni a dover rispondere ad una serie di pressioni competitive completamente differenti dalle precedenti, che hanno condotto a nuove esigenze a cui trovare una risposta (Sacerdote 2009):
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Necessità di reperire capitali per realizzare un adeguato sviluppo infrastrutturale tale da sostenere la rapida e costante crescita di volumi.
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Adeguamento all’evoluzione regolamentare e normativa che ha imposto, come logica conseguenza di quanto avvenuto nel mercato a monte delle aerolinee, la liberalizzazione dei servizi di handling.
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Necessità di gestire costi efficienti a seguito dell’avvento di forme di regolamentazione degli “airport charges”.
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Necessità di adeguare i livelli qualitativi dei servizi al posizionamento premium di molte compagnie aeree e all’evoluzione dei livelli di sofisticazione dei bisogni dei viaggiatori.
La più grande forza motrice per le riforme che riguardano la governance del sistema aeroportuale è sicuramente la commercializzazione dell’industria aerea; in alcuni paesi come la Gran Bretagna sono stati gli aeroporti i primi a guidare questo cambiamento, in altri, come gli Stati Uniti d’America sono state, invece, le linee aeree (Carney e Mew 2003). Gli aeroporti, infatti, sono aziende multiformi, e le loro economie sono complesse poiché sono connesse a molti outputs: i passeggeri che comprano stanno assumendo uguale importanza, se non maggiore, rispetto alle tasse aeronautiche, così gli aeroporti devono far convivere l’efficienza operativa dell’attività aerea del business e il marketing del retailing aeroportuale (Gillen 2011). Nella figura 7 (Sacerdote 2009) è possibile notare le risposte del settore dell’airport business ai fenomeni di mercato che hanno coinvolto il settore nel corso degli anni, con l’effetto sulle compagnie aeree e quello sugli aeroporti. Figura 7: Cambiamenti nel settore aeroportuale
Fenomeni di mercato • Liberalizzazione trasporto aereo
Effetto su compagnie aeree • Aumento concorrenza
• Riduzione delle tariffe • Elementi esogeni: - Prezzo del petrolio • Riduzione dei margini - Instabilità politica - Conflitti armati • Crescita dei volumi - Terrorismo
Effetto sugli aeroporti
Risposte nel settore dell'airport business
• Liberalizzazione servizi • Privatizzazione handling • Professionalizzazione • Regolamentazione del management ricavi aeronautici • Nuove fonti di • Necessità di capitali per creazione di valore sviluppo infrastrutturale • Miglioramento standard qualitativi
Fonte: Belardini (2009)
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Per molti anni gli aeroporti sono stati di proprietà dei governi, i quali gestivano gli ambienti con una funzione di pubblica utilità e in molti casi li usavano come strumenti per iniziative meramente politiche; la proprietà pubblica prevedeva di mantenere i prezzi allineati ai costi, di fornire i servizi per i quali gli utenti avrebbero pagato e di tenere i costi al minimo, anche se non sempre veniva raggiunto l’obiettivo prefissato (Gillen 2011). Soltanto lo Stato si è potuto dedicare a tale business per molti anni, attraverso i governi centrali o locali, a causa della fondamentale importanza dell’infrastruttura aeroportuale nello sviluppo economico del territorio, se non addirittura di una nazione e per via del grande fabbisogno di capitali richiesti per la sua realizzazione (Sacerdote 2009). Tuttavia, a seguito dell’aumento del traffico aereo e dell’esigenza di altri investimenti per aumentare la capacità degli aeroporti, i governi hanno ripensato il proprio ruolo nell’economia: così gli aeroporti sono stati considerati dei luoghi in cui il settore privato poteva legittimamente fornire i servizi necessari e investire (Gillen 2011); la necessità di politiche di spesa pubblica sempre più efficienti e focalizzate ha spinto molti governi a delegare a specifiche competenze private la gestione e lo sviluppo degli aeroporti (Sacerdote 2009); la deregolamentazione delle linee aeree e degli aeroporti ha mostrato significativi miglioramenti nella produttività e nell’innovazione dei prodotti (Gillen 2011). Negli ultimi anni in Italia sono stati privatizzati completamente o parzialmente oltre 50 aeroporti: questo fenomeno, favorito dalla necessità di ricercare ulteriori fonti di creazione di valore, ha portato a una profonda evoluzione del modello di gestione, che - anche attraverso la professionalizzazione del management - ha trasformato l’impresa aeroportuale in un’impresa commerciale a tutti gli effetti (Sacerdote 2009). Il passaggio verso la privatizzazione delle strutture aeroportuali non è stato uniforme né è avvenuto nello stesso momento in tutti i paesi del mondo; la privatizzazione è sensibile alla natura delle proprietà e ad altri fattori istituzionali, che variano considerevolmente tra le nazioni (Carney e Mew 2003). Il passaggio alla proprietà pienamente privata è stato più lento dove c’era la proprietà del governo e una giurisdizione limitata; in molti casi i governi hanno optato per una privatizzazione parziale piuttosto che totale, come per esempio in Germania; se si analizza il grado di differenza e il modo in cui gli aeroporti sono usciti dalla proprietà pubblica, è possibile elencare le seguenti possibili strutture di governance (Gillen 2011):
1. Proprietà/operato del governo (USA, Spagna, Singapore, Finlandia, Svezia) 2. Proprietà del governo, operato privato (USA8, Cile)
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Molti aeroporti americani hanno contratti multipli per servizi e sono in effetti gestiti privatamente
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3. Grandi aeroporti che hanno partnership pubblico-private in forma di BOO (Build - Own – Operate9) o di BOT (Build- Operate – Transfer10) e varianti di contratti con il management 4. Corporazioni indipendenti no-profit (Canada) 5. Aziende totalmente private via IPO (Initial Public Offering) con azioni largamente diffuse 6. Aziende totalmente private attraverso acquisto con proprietà condivisa strettamente 7. Aziende parzialmente private con interesse privato di controllo (Danimarca, Austria, Svizzera) 8. Aziende parzialmente private con interesse governativo di controllo (Francia, Cina, Giappone). La gestione totalmente affidata al governo, sia nella proprietà che nell’operatività è generalmente orientata alla funzione primaria dell’aeroporto, con un limitato interesse per le altre risorse di valore commerciale; spesso i governi amministrano degli aeroporti senza avere alcun obiettivo commerciale, ma per salvaguardare una compagnia di bandiera o per promuovere l’attività economica e lo sviluppo (Gillen 2011). Attraverso una parziale privatizzazione gli aeroporti hanno gradualmente aumentato la loro attenzione verso le attività non-aviation (Morrison 2009). La seconda tipologia di gestione, con la proprietà del governo e l’operato in mano ad aziende private è il tipico caso che si può riscontrare negli aeroporti americani: questi beneficiano di sovvenzioni federali e deducibilità fiscali quando sono richiesti degli investimenti, anche se in genere mostrano una mancanza di investimenti nelle infrastrutture aeronautiche, a causa delle restrizioni locali per l’uso del suolo pubblico, i piani regolatori e le pressioni politiche da parte di gruppi di interesse. Alcuni aeroporti mostrano inoltre delle partecipazioni nella proprietà e nel controllo dei terminal da parte delle compagnie aeree; questo interesse ha portato allo sviluppo, nei cinquanta principali aeroporti americani, di una attenzione particolare per il valore commerciale delle attività non aeronautiche (Gillen 2011). La terza tipologia di governance prevede una corporazione no-profit indipendente e si presenta in territorio canadese: le autorità aeroportuali canadesi operano presso gli aeroporti con una licenza della durata di 60 anni (che può essere estesa) e dopo questo tempo sia la terra
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BOO: modello di partnership pubblico-privata, in cui una organizzazione privata costruisce, possiede e utilizza mezzi e servizi o strutture con qualche grado di incoraggiamento da parte del governo. Tuttavia il governo non fornisce fondi per gli investimenti secondo questo modello, ma si limita ad offrire altri incentivi finanziari come lo status di esentasse. L’operatore possiede e opera in maniera indipendente. 10 BOT: progetto di finanziamento in cui un’entità privata riceve una concessione per la costruzione, il finanziamento, il design e la gestione di una struttura del settore pubblico o privato. Questo rende il proponente del progetto impossibilitato a recuperare il suo investimento, operando e mantenendo le spese nel progetto. Per la natura di lungo termine del contratto, le fees vengono di solito aumentate durante il periodo di concessione.
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che le infrastrutture, compresi gli investimenti e i miglioramenti apportati negli anni passano al governo federale. Gli aeroporti canadesi, come una società no-profit non sono soggetti a una regolamentazione diretta; mostrano anche vari gradi di focalizzazione sulle attività complementari non-aviation e tutti gli aeroporti più grandi fanno pagare dei canoni di servizio ai passeggeri per aumentare i loro investimenti finanziari11. Questo tipo di governance appartiene soltanto al Canada e non è stata applicata in nessun altro aeroporto del mondo (Gillen 2011). La focalizzazione sul business si è orientata da una parte alla continua sofisticazione delle competenze di gestione “tipiche”, cioè le attività aviation, attraverso la ricerca di soluzioni volte all’ottimizzazione dell’efficacia ed efficienza dei processi e al miglioramento progressivo della qualità dei servizi erogati sia direttamente che indirettamente, mediante l’esercizio di un ruolo di coordinamento; dall’altro lato si è assistito allo sviluppo di nuove competenze nel business “non-aviation”, quindi in quelle attività commerciali complementari e collaterali al core business principale del traffico aereo (Sacerdote 2009). Questo orientamento al mercato è aumentato con la privatizzazione completa delle strutture aeroportuali, sia attraverso IPO che attraverso la vendita. Nel primo caso, però, - con la privatizzazione attraverso una IPO - per quanto sia grande la propensione allo sviluppo di un mercato e al compimento di investimenti strategici, è ancora evidente che ci sia un collegamento forte tra il management dell’aeroporto e il governo; si può dunque notare che le decisioni politiche giocano un ruolo diretto nell’aumento degli interessi commerciali dei privati. Nel secondo caso, invece, - a seguito della vendita totale delle quote ai privati - c’è una minore relazione con le forze politiche, come ad esempio in Nuova Zelanda. La differenza tra le due tipologie di privatizzazione, sta anche nel fatto che gli interessi dei privati hanno spesso portato a un focus sul medio termine piuttosto che a una strategia di sviluppo di lungo termine, che invece la collaborazione col governo assicurerebbe (Gillen 2011). Gli ultimi due tipi di governance contemplano entrambi un’organizzazione parzialmente privata (for profit) con un interesse di controllo da una parte del governo, dall’altra di investitori privati. Nel primo caso la percentuale di investitori privati c’è comunque, soltanto in una forma minore: questa tipologia di governance è stata vista dagli stakeholders come abbastanza valida a creare un cambio fondamentale nell’orientamento al mercato da parte del management, poiché anche se il governo rimane come maggiore azionista, questi aeroporti possono prendere decisioni e sviluppare strategie che un governo che gestisce un aeroporto non potrebbe fare; questo include lo sviluppo di nuove linee aeree e lo sviluppo del travel retail. Il grado di intervento del governo attraverso una regolamentazione o solamente con una sorveglianza maggiore rimane una questione solamente potenziale (Gillen 2011). La
Questa è una diretta conseguenza del modo in cui la legge dell’autorità aeroportuale è strutturata e restringe l’accesso a certi tipi di capitali 11
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maggioranza di capitali privati ha avuto successo nel portare un orientamento più imprenditoriale e commerciale riguardo alle operazioni e alle strategie aeroportuali. Un effetto potenziale di questa forma di privatizzazione è la possibilità di aumentare ulteriormente il capitale privato (gli investitori vorranno pagare di più per controllare i propri interessi) e la possibilità di indirizzare gli investimenti in modo più coerente e a lungo termine (Gillen 2011). Una più snella divisione della tipologia di governance che è possibile riscontrare nelle infrastrutture aeroportuali è fornita da Carney e Mew (2003) e mostrata nella tabella 10. Risulta essere una sintesi della precedente divisione, con tre modalità di governance: il management contract, il long-term contracting e il full/partial privatization. Lo schema contiene anche un accenno al control device, che si riferisce al meccanismo che regola la relazione tra i manager aeroportuali e gli altri stakeholders, creato per evitare comportamenti opportunistici (Carney e Mew 2003).
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Tabella 10: Modelli di governance
Modelli di governance Management Contract
Long-Term Contracting
Full–Partial privatization
Control Device
Gara periodica
Regolazine di un tasso di rendimento
Regolazione di un tasso di rendimento + Mercato per il controllo aziendale
Responsabilità manageriali
Operativa
Operativa + Finanziaria
Operativa + Finanziaria + Strategica
Periodo temporale
5 – 10 anni
15+ anni
99 anni o permanente
Fonte: Carney e Mew (2003)
Il management contract è uno strumento molto familiare anche per servizi specifici come il retailing, gli hotel, il parcheggio e il noleggio auto. I management contract sono infatti “contratti per servizi”: l’essenza di questo modello di governance è la precisa specificità delle responsabilità, delle performance del management e dei risultati operativi misurabili. Il long term contract trasmette le responsabilità finanziarie e operative al settore privato, ma lo Stato mantiene significative responsabilità nel pianificare le strategie; nella privatizzazione piena le responsabilità strategiche, finanziarie e operative sono trasmesse ai manager privati perpetuamente o per un lungo periodo (Carney e Mew 2003). Diversi studi (si veda Gillen 2011) hanno dimostrato come gli aeroporti a maggioranza privata e quelli interamente di proprietà pubblica sono più efficienti nella gestione dei costi, mentre quelli a metà tra il privato e il pubblico, (soprattutto quello a maggioranza pubblica) sono meno efficienti. Vogel (2006) esaminando la privatizzazione e le performance finanziarie degli aeroporti europei mostra che gli aeroporti privatizzati hanno un’efficienza operativa superiore, fanno un migliore uso degli asset e hanno una migliore struttura del capitale. Un aspetto della governance che non è stato fin qui affrontato diventa a questo punto centrale all’interno della discussione, anche perché direttamente connesso allo sviluppo del travel retail nella gestione organizzativa e strategica: studiosi e manager stanno cominciando a considerare quello aeroportuale un settore che opera in un mercato bilaterale (two sided market) (Appold e Kasarda 2011).
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4.2.1 Il meccanismo dei mercati bilaterali Gli aeroporti sono stati visti tradizionalmente come strutture di pubblica utilità che rispondevano ai bisogni delle linee aeree; più recentemente e in molti paesi sviluppati appaiono più come moderni business che ricercano i loro propri obiettivi e servono la domanda di vettori e passeggeri; In passato la fonte dei ricavi aeroportuali proveniva da un lato soltanto: dalle linee aeree (Gillen 2011). Gli aeroporti non consideravano che i passeggeri potessero rappresentare una fonte di ricavi indipendenti; molti aeroporti, infatti, ancora oggi generano la maggior parte dei loro ricavi totali dagli affitti dei vettori. Tuttavia, negli ultimi anni si è assistito ad una trasformazione anche delle strategie organizzative degli aeroporti, che hanno riconosciuto con maggiore frequenza che i ricavi provenienti dal settore commerciale potevano generare sostanziali profitti; attualmente in molti aeroporti del mondo, le entrate commerciali crescono più rapidamente del traffico dei passeggeri, particolarmente negli aeroporti internazionali più grandi (Kim e Shin 2001). Il punto importante da considerare è quindi che i ricavi aeroportuali provengono da due lati: dalle linee aeree e dai passeggeri. Questo pensiero richiede anche la necessità di considerare quindi gli aeroporti come piattaforme che si trovano tra passeggeri e aerolinee; gli aeroporti aggiungono valore a entrambe le parti attraverso gli effetti dell’internazionalizzazione del proprio network che sussistono tra i due gruppi di domanda: i vettori sono in condizioni finanziarie migliori se ci sono più passeggeri, e i passeggeri stanno meglio se hanno più vettori a disposizione, più destinazioni, più voli (Gillen 2011). La definizione del concetto è la seguente: un mercato two-sided o bilaterale è caratterizzato dalla presenza di due distinte parti, le quali traggono i benefici ultimi dall’interazione attraverso una piattaforma comune (Appold e Kasarda 2011); quindi un mercato multi-sided serve due o più gruppi di clienti distinti che acquistano valore l’uno dalla presenza dell’altro (Gillen 2011). I mercati multi-sided devono servire entrambe le parti del mercato per aggiungere valore. Un aeroporto non può servire solo i vettori o solo i passeggeri. Rochet e Tirole (2005) definiscono quella dei mercati bilaterali come una situazione in cui il volume delle transazioni tra gli utilizzatori finali dipende dalla struttura e non solo dal livello generale delle tasse riscosse dalla piattaforma aeroportuale. Ci sono tre elementi indispensabili per l’esistenza di un mercato bilaterale: i due lati del business e la piattaforma in cui ognuno dei due lati si incontra e interagisce con l’altro. I mercati bilaterali sono spesso caratterizzati da economie di rete: più alto è il numero dei partecipanti, maggiore è il beneficio di ognuno; nei mercati bilaterali più alto è il numero di una parte, più grande sarà il beneficio dell’altra: un numero maggiore del volume dei passeggeri crea maggiori opportunità per le vendite all’interno del terminal aeroportuale (Appold e Kasarda 2011). Di - 90 -
conseguenza, un mercato è bilaterale quando la piattaforma può influire sul volume delle transazioni facendo pagare di più per una parte del business e riducendo il prezzo pagato dal lato opposto per un uguale importo (Rochet e Tirole 2005). I business model dei mercati bilaterali sono rilevanti per la gestione degli aeroporti perché possono fornire una guida strategica per lo sviluppo del business in cui gli aeroporti possono aggiungere valore attraverso l’engagement della clientela, invece di agire come fornitori passivi di infrastrutture, come semplici estensioni della strategia aerea o come monopolisti locali (Appold e Kasarda 2011). Questa considerazione porta probabilmente ad un ripensamento delle strategie e delle linee di condotta all’interno degli aeroporti: si potrebbe avere un approccio diverso alla strategia dell’ambiente aeroportuale se, ad esempio, fossero gli aeroporti a negoziare i diritti aeronautici internazionali, al posto delle linee aeree (Gillen 2011); se al centro delle negoziazioni ci fossero le autorità aeroportuali, si potrebbero anche ridurre le tasse aeronautiche per le aerolinee, e quindi operare in perdita nella parte aeronautica, spingendo i servizi non-aviation; i costi verrebbero ricoperti da un più alto ritorno proveniente dagli investimenti non-aeronautical, come ad esempio i terminal retail, gli hotel e i servizi cargo (Appold e Kasarda 2011). Come è già stato detto, i ricavi aeroportuali vengono generati tramite le attività aeronautiche e quelle commerciali. Le attività aeronautiche includono le tasse per lo sbarco dei vettori, per il parcheggio e per la aviorimessa, oltre a quelle per il servizio passeggeri e per il controllo del traffico aereo; i ricavi commerciali sono generati dalle attività non-aviation presso il terminal: le operazioni di concessione riguardano la gestione o il leasing di locali commerciali secondo varie modalità, il parcheggio auto e il noleggio, i servizi bancari e di catering (Zhang e Zhang 1997). Con “concessione”, nel suo contesto originario, si intende il pagamento che l’autorità aeroportuale carica sul titolare o il manager di un’azienda che intende condurre un’attività commerciale in aeroporto, compreso l’affitto o la locazione di una determinata area; in generale, quindi, tutte le concessioni conferiscono il diritto per le attività commerciali di vendere beni e servizi in aeroporto (Kim e Shin 2001). I ricavi per l’operatore aeroportuale sono in genere connessi al volume delle vendite che vengono generati dall’insieme dei punti vendita o di ristorazione mediante diverse forme contrattuali: la più tipica è la sub-concessione; tra il retailer e l’aeroporto si prevede una forma di remunerazione basata su royalties, quindi una percentuale del volume di affari, che può variare dal 5% fino al 30-40% a seconda della categoria e dello spazio occupato; i contratti prevedono molto spesso una cifra minima garantita, che serve per proteggere l’operatore da potenziali comportamenti inefficienti dei retailers e che rappresenta un forte stimolo per l’ottimizzazione della gestione (Sacerdote 2009). Negli ultimi anni gli aeroporti hanno mirato ad aumentare la percentuale di questo volume di affari, quindi i ricavi derivanti dalle attività commerciali: Doganis, (1992) afferma che - 91 -
massimizzare i ricavi derivanti dalle concessioni è diventato un obiettivo primario per molte autorità aeroportuali. Ci sono comunque altre modalità di gestione, oltre al “concession management”: molti aeroporti, per esempio, gestiscono direttamente una parte dell’offerta retail, altri hanno invece dato vita a delle joint venture con operatori specializzati (Sacerdote 2009). Il valore all’interno dell’ambiente aeroportuale viene dunque prodotto in maniera ormai fondamentale anche dal settore commerciale, in forme contrattuali differenti, ed avendo rapporti diversi col sistema di governance che caratterizza un determinato terminal o un determinato paese. Si è mostrato come quello aeroportuale sia un ambiente in cui può essere affrontato il concetto di mercato bilaterale e come il travel retail sia una delle due parti che non può mancare per rendere redditizio l’intero business. Si è anche visto come nel corso degli anni questa importanza sia stata compresa e affrontata. Si è analizzato l’ambiente aeroportuale in profondità perché la letteratura ha prodotto negli anni numerose ricerche interessanti e che si approcciavano al tema in maniera molto diversa, ma gli aeroporti non sono l’unico tipo di infrastruttura di trasporto in cui si applica un pensiero basato sulle strategie dei mercati bilaterali: il sistema ferroviario italiano è ancora all’inizio della sua rivoluzione commerciale, ma le offerte retail delle stazioni ferroviarie giapponesi o olandesi contribuiscono già da anni ad assicurare i costi infrastrutturali e a colmare il divario delle entrate (Appold e Kasarda 2011). Il trasferimento di valore potrà essere maggiore a seguito di un ripensamento del ruolo delle compagnie di linea e ferroviarie, e di quello dei passeggeri: se si giudica bilaterale il sistema aeroportuale, è possibile considerare le linee aeree semplicemente dei mezzi utilizzati dagli aeroporti per offrire un servizio ai passeggeri. L’ambiente aeroportuale, in questo modo, aggiunge valore sia ai passeggeri che alle aerolinee, servendo entrambi i lati del business e sviluppando nuove strategie competitive (Gillen 2011). Gli aeroporti che hanno un potere di mercato, avrebbero inoltre pochi incentivi ad usarlo o ad abusarne, a causa della complementarietà tra i ricavi aviation e non-aviation (Starkie 2002). In conclusione, che un aeroporto sia gestito dal governo, da una organizzazione no-profit o da una “for-profit”, questo è soggetto a forze di mercato che definiscono il valore commerciale e la competizione, insieme ai costi economici e i benefici; questi costi e benefici cambiano in base all’insieme di istituzioni presenti nell’ambiente e alla struttura di governance (Gillen 2011); i contratti che possono essere definiti con l’autorità aeroportuale possono essere di diverse modalità, e possono riguardare sia la gestione di operazioni aviation che quelle nonaviation: una gestione acuta del sistema aeroportuale considererà la totalità dell’ambiente, poiché – come in tutti i mercati bilaterali – la piattaforma contribuirà ai ricavi di entrambe le parti, e quindi un’attenzione particolare alle strategie commerciali (quelle che promettono rendimenti più alti) permetterà una minore richiesta di tasse aeroportuali e quindi una presenza - 92 -
maggiore di linee aeree, che faranno a sua volta aumentare la richiesta di voli dei passeggeri. Ancora una volta, il limite viene posto dalla pianificazione strategica e strutturale di un ambiente che continua a trasformarsi e a trasferire valore in maniera diversa, ma in cui il settore commerciale continua ad avere un ruolo sempre più centrale nell’impianto organizzativo e nella sostenibilità finanziaria.
4.3 Monetization L’ultimo elemento dell’analisi di un business model secondo Baden-Fuller e Haefliger (2013) è la monetizzazione, etichettata anche come “cattura del valore”. La discussione riguardante la monetizzazione all’interno di un business model si è spesso fermata al prezzo, ignorando importanti argomenti inerenti alle tempistiche e all’efficacia che sono dimensioni primarie nella cattura del valore di un’organizzazione (Baden-Fuller e Haefliger 2013). L’analisi della monetizzazione avrà come argomento principale il prezzo, nelle sue varie forme, quindi anche attraverso i prezzi di negoziazione e quello basato sul valore trasferito. Uno degli aspetti da non sottovalutare comprende anche l’analisi degli asset complementari, che possono fungere da leva per altre opportunità di remunerazione (Teece 2010). L’analisi della monetizzazione comprenderà quindi la gestione delle infrastrutture aeroportuali e ferroviarie e il processo di pianificazione strategica nello sviluppo dell’offerta commerciale del travel retail. Verrà mostrato come la creazione di valore porti a una remunerazione all’interno di questi ambienti tale da raggiungere una adeguata monetizzazione. Uno dei punti fondamentali di questo lavoro è quello di considerare e di dimostrare l’unicità del business model che caratterizza gli ambienti del travel retail: la gestione del retail di aeroporti e stazioni presenta infatti degli elementi distintivi al confronto con l’high street o con i centri commerciali. Abbiamo già dimostrato come i clienti siano diversi per approccio e tipologia di acquisto e come il tempo costituisca un elemento fondamentale di differenza poiché in nessun altro luogo di shopping si ha un audience prigioniera in attesa di un volo o di un treno. Il retail aeroportuale è in forte simbiosi ed integrazione con la sua gestione operativa, ed è un business altamente influenzato dalla gestione dei flussi (Sacerdote 2009). Come è già stato detto, i cambiamenti politici e ambientali degli ultimi anni, hanno notevolmente incrementato l’interdipendenza tra la gestione aviation e quella non-aviation, e gli aeroporti hanno adottato la “filosofia dell’aeroporto commerciale” dove entrambe le aree si influenzano reciprocamente, in modo da creare un processo virtuoso di generazione di valore e di miglioramento dell’esperienza del passeggero (Jarach 2001). C’è stata dunque una vera e propria rivoluzione nel modello di business che riguarda la gestione delle attività commerciali - 93 -
negli aeroporti (figura 8), i quali hanno abbandonato l’idea che l’unica fonte di reddito dovesse provenire dalle tariffe pagate dalle linee aeree per lo spazio di volo, il parcheggio nelle aviorimesse e il controllo del traffico aereo (Zhang e Zhang 1997), a favore di una serie di iniziative volte ad aumentare le offerte commerciali e il loro peso all’interno dei bilanci delle autorità aeroportuali (Lin e Chen 2013).
Figura 8: Evoluzione del modello di gestione dell’attività commerciale negli aeroporti
Fonte: ACI (2013)
L’operatore aeroportuale ha ormai un interesse molto elevato allo sviluppo del volume delle vendite dei retailers, poiché ne trae un beneficio diretto tramite le royalties o dal fatto che è direttamente o indirettamente coinvolto nella gestione. La monetizzazione del business model è connessa fortemente alla spesa per passeggero, che può essere calcolata nel modo seguente (Sacerdote 2009):
Spesa per passeggero = Footfall ratio X Indice di conversione X Scontrino medio
Che equivale a:
Spesa per passeggero = n° visite /pax X n° scontrini/n° visite X fatturato/n° scontrini
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Per ognuna di queste variabili ci sono dei fattori critici di successo che possono essere elencati, e che influenzano le politiche gestionali di tre soggetti: l’operatore aeroportuale, il retailer e il brand-owner, poiché anche quest’ultimo ha interesse a gestire la propria presenza e visibilità:
Fattori critici di successo per la Footfall Ratio:
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Layout e architettura dei terminal
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Capacità di orientamento e segnaletica
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Allocazione dei flussi rispetto alle areee retail
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Tempi di coda
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Layout dello shop
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Offerta merceologica
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Zone “anchor”
Fattori critici di successo per l’indice di conversione e lo scontrino medio:
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Qualità dell’esperienza di viaggio
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Offerta merceologica
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Cortesia e preparazione del personale
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Efficienza ed efficacia nella gestione del negozio
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Livello dei prezzi
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Regolamentazione
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Attività promozionale
Il mercato comprende una moltitudine di agenti indipendenti che interagiscono costantemente tra loro, ma ormai i ricavi commerciali rappresentano la risorsa di reddito maggiore in una moltitudine di aeroporti, e il loro sviluppo – anche attraverso delle politiche strategiche mirate – permette al “ciclo commerciale” mostrato nella figura 9 di continuare a crescere e a rivoluzionare l’ambiente (Freathy e O’Connell 1999).
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Figura 9: Il ciclo commerciale
Aumento Ricavi Commerciali
Maggiore ruolo delle attività commerciali
Espansione delle Attività Commerciali
Aumento del potere del Management Commerciale
Fonte: Freathy e O’Connell (1999)
In molti casi, fa notare Gray (1997) è lo sviluppo delle attività commerciali che porta alla costruzione di nuovi terminal aeroportuali, e che giustifica l’aumento di infrastrutture per l’accoglienza di un numero maggiore di visitatori, non per forza in possesso di un biglietto. La pianificazione strategica non può prescindere dalle decisioni riguardanti l’allocazione degli spazi commerciali e quindi il posizionamento delle aeree retail e il layout degli stessi ambienti aeroportuali: la maggior parte di queste decisioni spettano naturalmente all’operatore aeroportuale. In passato, con la costruzione di un nuovo terminal, la localizzazione delle funzioni specifiche, non commerciali, aveva naturalmente la priorità: gli aeroporti devono rispettare degli standard internazionali che descrivono nei dettagli la grandezza dello spazio che deve essere riservato a servizi specifici ed essenziali, come la circolazione dei passeggeri, il check-in, le strutture per il carico dei bagagli e i controlli di sicurezza oltre alle infrastrutture riservate a facilitare lo spostamento delle persone disabili: una volta che la posizione di queste funzioni è decisa, il flusso di traffico dei passeggeri in aeroporto può definirsi “fissato”; cercare di legare le strutture commerciali ad una infrastruttura così complessa, inevitabilmente significava che il terminal non poteva essere utilizzato nel suo massimo potenziale commerciale; di conseguenza, l’autorità aeroportuale perdeva ricavi significativi per tutta la durata dell’investimento, che era normalmente di quaranta/cinquanta anni (Freathy e O’Connell 1999). Il posizionamento delle aree retail è molto importante perché capace di influenzare in maniera determinante la performance a causa della componente dell’impulso negli acquisti: i negozi devono quindi essere posizionati sul percorso naturale del viaggiatore ed essere ben visibili - 96 -
(Sacerdote 2009). I fattori che influenzano la quota di spazio commerciale all’interno di un aeroporto includono la composizione e il numero di viaggiatori, in numero e il tipo di voli (lungo o corto raggio; intercontinentali; europei o domestici; per vacanza o di lavoro) e anche la possibilità che l’aeroporto segua o meno una strategia di sviluppo commerciale: la sfida per un aeroporto è quella di ottimizzare i ricavi non-aviation del terminal senza compromettere l’efficienza delle operazioni specifiche (Freathy e O’Connell 1999). Chi sta per affrontare un viaggio, come è stato dimostrato precedentemente (si veda Scholvink 2000), ha come principale preoccupazione quella di completare tutte le attività operative e finché non raggiunge l’area airside vive in un crescente stato di stress, che lo porta ad avere poco tempo e soprattutto ad interessarsi in maniera minima allo shopping; una volta superate queste “barriere”, ci si trova invece in un luogo in cui il tempo a disposizione è tutto quello residuo prima del volo e in cui ci si può quindi dedicare allo shopping o alla ristorazione (Sacerdote 2009). Il processo di pianificazione della struttura di un terminal aeroportuale è abbastanza complesso e gli aeroporti hanno nel tempo modificato l’approccio a questa fase di progettazione (Freathy e O’Connell 1999). Nei recenti sviluppi si assiste a un’integrazione della zona retail con la zona di attesa, dove sono ubicate le sedute: per rendere più facile l’esplorazione da parte dei viaggiatori, tra i negozi vengono poste delle “ancore”, che occupando dei punti strategici come la ristorazione o le sale fumatori, hanno la capacità di attrarre molti più clienti. Come ancore vengono spesso utilizzati anche particolari brand famosi oppure in alcuni casi, addirittura i servizi igienici (Sacerdote 2009). L’approccio organizzativo che tiene conto della grande importanza dell’aspetto commerciale, comunque, non appartiene a tutti gli aeroporti: ci sono infatti quelli rimasti vicini alla visione tradizionale di un aeroporto, destinato ad assicurare efficienza nei movimenti dei passeggeri tra una destinazione e un’altra; e se si vuole assicurare la massima efficienza e velocità di movimento tra i passeggeri, è possibile anche che le attività commerciali gestite dall’operatore aereo rimangano contenute (Freathy e O’Connell 1999). La monetizzazione nelle zone land-side, comunque, viene sempre tenuta in considerazione, anche se le aree dedicate al retail sono più limitate: la clientela a disposizione di queste zone è quella che Jarach (2001) definisce “ampliata” e che comprende – oltre ai passeggeri – anche gli accompagnatori, gli impiegati aeroportuali e i residenti locali. Nonostante la limitatezza degli spazi disponibili, l’aeroporto si evolve per diventare una entità di mercato più sofisticata - proprio nelle zone land-side – fino ad essere descritta come un’azienda fornitrice di servizi su più punti: oltre al suo business conservativo e tradizionale, dalla parte aviation, l’aeroporto diventa un vero e proprio hub commerciale, in cui una serie di servizi e prodotti diversificati vengono offerti a una categoria allargata di clienti target (Jarach - 97 -
2001). Nel fissare la divisione tra land-side/air-side si richiede all’operatore di avere una strategia commerciale chiaramente definita, che etichetti efficacemente i segmenti di clientela in partenza, in arrivo e tra chi non viaggia; la giusta posizione dovrebbe separare l’offerta commerciale tra questi gruppi, in modo da assicurare che non ci sia alcuna cannibalizzazione tra i punti di vendita (Freathy e O’Connell 1999). La pianificazione del portafoglio dell’offerta è già stata presentata nelle pagine precedenti, sottolineando l’importanza fondamentale che ha – strategicamente parlando – la conoscenza dei bisogni dei clienti, e non potendo non considerare dei bisogni base che è opportuno soddisfare (i cosidetti “travel needs”) come la ristorazione, le edicole e librerie e gli accessori da viaggio, insieme ai prodotti farmaceutici e a quelli per la cura della persona (Sacerdote 2009). La scelta sul resto dell’offerta dipenderà dalla disponibilità degli spazi, anche se molti aeroporti hanno adottato una strategia di penetrazione attraverso prodotti che ormai rappresentano il retail aeroportuale e che i clienti possono riconoscere istantaneamente: cosmetica, liquori, tabacchi e confectionary; una strategia in molti aeroporti è stata quella di includere una larga parte dell’offerta dedicata ai prodotti di lusso, anche se attraggono solo una piccola parte dei passeggeri (Freathy e O’Connell 1999). Ma una componente che non può mancare nel canale aeroportuale è il cosidetto “destination merchandising” ovvero i prodotti e brand tipici locali molti ricercati dai turisti nel loro viaggio di ritorno: gastronomia, souvenirs, pelletteria (Sacerdote 2009). E’ naturale comunque che il management aeroportuale debba conoscere la propria clientela in modo da creare un portafoglio di offerta adatto: soprattutto negli aeroporti più piccoli - dove l’assortimento non può essere troppo vasto - lo studio dei segmenti di clientela, la loro provenienza, il genere, il motivo del proprio viaggio e altri fattori, possono essere degli elementi importanti, in grado di rendere l’offerta commerciale davvero attraente per i passeggeri e economicamente rilevante per la struttura aeroportuale (Lu 2014). Se a monte del processo di organizzazione infrastrutturale è importante decidere la sistemazione delle strutture commerciali, che non dovrebbero mai allontanarsi dalla linea diretta del flusso dei passeggeri – poiché se fossero localizzati lontano da questo flusso, solo i passeggeri più motivati deciderebbero di esplorare l’area dedicata allo shopping (Freathy e O’Connell 1999) a valle del processo di definizione del portafoglio di offerta, avviene la scelta finale del retailer/brand cui affidare in sub-concessione uno o più spazi. Di solito si effettua un processo di verifica competitiva attraverso gare, dove l’aeroporto realizza un invito aperto o selezionato a proporre un’offerta. Gli elementi tipici dell’invito all’offerta sono (Sacerdote 2009):
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Descrizione dei terminal e dell’offerta presente
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Descrizione dei flussi di passeggeri storici - 98 -
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Profilo del passeggero
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Obiettivo dell’offerta
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Pianta dello spazio ed eventuali linee guida architettoniche
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Indicazione della durata del contratto
E tutti gli elementi necessari a presentare l’opportunità offerta. Gli elementi tipici dell’offerta da parte del retailer, invece, presentano la descrizione delle esperienze, la comprensione delle esigenze del cliente e il progetto/layout dello shop, l’organizzazione del personale e i livelli di qualità. Si possono poi richiedere informazioni riguardanti le royalties e il minimo garantito, il piano di investimenti e i tempi di realizzazione. Sarebbe giusto indagare anche il business plan e le politiche di marketing dell’intera struttura. Tale meccanismo consente di raggiungere le migliori decisioni e di mantenere un alto livello di competitività (Sacerdote 2009). Nel decidere la configurazione dell’offerta, l’operatore aeroportuale può stabilire di concentrare le attività commerciali in un’area specifica, così da creare l’idea di uno shopping centre, in cui viene a crearsi una sinergia tra i punti di vendita e aumenta la propensione agli acquisti; alternativamente potrebbe distribuire lungo tutta l’intera area partenze l’offerta commerciale, così da fornire ai clienti un numero maggiore di opportunità per l’acquisto dei prodotti (Freathy e O’Connell 1999). Nell’assegnare gli spazi si può procedere per singoli punti vendita o definendo dei clusters. Quest’ultima modalità è utilizzata di più per le attività duty-free, per la ristorazione o per i negozi di fashion e accessori, generalmente multi-brand. Tuttavia ci sono anche molti casi in cui retailers locali, stimolati da una politica proattiva del gestore aeroportuale, aprono punti vendita in aeroporto, completando l’offerta con format unici nel panorama internazionale, in grado di differenziare un determinato ambiente aeroportuale (Sacerdote 2009). Una volta scelti i retailers presenti in prossimità del terminal, però, l’operatore aeroportuale non ha concluso la propria attività, poiché così facendo avrebbe solo aggiunto una voce in più nelle fonti di ricavi, ma senza sviluppare nessuna pianificazione strategica per lo sviluppo di questo nuovo canale. Dedicarsi a sviluppare una coerente offerta commerciale approfondendo iniziative di marketing e gestendo queste iniziative come un “project manager” è diventato uno dei ruoli principali che l’operatore aeroportuale deve saper svolgere in questo contesto (Lin e Chen 2013). Le iniziative possono riguardare vari concorsi, o programmi di incentivazione che premiano in funzione della spesa effettuata in aeroporto, oppure ancora possono utilizzare internet per informare e far prenotare i prodotti prima ancora di effettuare un viaggio; un’attenzione particolare deve essere dedicata anche alle attività di comunicazione: queste possono essere istituzionali o - 99 -
promozionali, ma sono soprattutto le prime a ricoprire un ruolo “rivoluzionario”; si è infatti notato come si stia sviluppando la tendenza a “brandizzare” lo shopping aeroportuale, creando una riconoscibilità dell’ambiente, trasmettendo fiducia e dando un senso di familiarità ai clienti che possono frequentare assiduamente o meno l’ambiente (Sacerdote 2009). Le modalità di monetizzazione da parte dell’aeroporto (anche se molti degli elementi descritti si adattano perfettamente anche al contesto ferroviario) sono varie e differenti; come si è visto, l’aspetto commerciale ha ormai assunto un’importanza fondamentale per la redditività di questi ambienti e riuscire ad accrescere le percentuali di vendita permette di aumentare l’attenzione dedicata alla struttura e all’organizzazione dell’offerta strategica. La monetizzazione, infatti, riguarda anche il ruolo degli asset complementari al settore indagato (Baden-Fuller e Haefliger 2013); e anche se l’offerta commerciale è solo secondaria all’interno di un aeroporto o di una stazione, il suo peso economico ha rivoluzionato l’intero business model. Non c’è dubbio che chi riuscirà ad innovare e a farlo su più fronti riuscirà a raggiungere un successo maggiore; ma le competenze nell’industria del travel retail potranno svilupparsi solo attraverso un lavoro congiunto di brands, aeroporti e retailers, in grado di generare sempre di più - attraverso sinergie sempre maggiori - delle iniziative commerciali per rendere lo shopping nei luoghi di transito più interessante di quello in centro città (Sacerdote 2009).
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CONCLUSIONI
In occasione dell’esposizione universale che si terrà a Milano dal primo maggio del 2015, l’aeroporto di Malpensa si sta preparando con un completo restyling del terminal 1. In progetto c’è l’apertura del duty free più grande d’Europa, con oltre duemila metri quadrati dedicati allo shopping (Assolombarda 2014). L’aeroporto Incheon di Seoul, al vertice della classifica stilata da Tfwa - l’associazione mondiale del duty free e del travel retail – sta progettando l’ampliamento dello scalo previsto per il 2018 in occasione dei giochi olimpici invernali di Pyeongchang: il suo giro d’affari di 1,7 miliardi di dollari è quindi destinato ad aumentare ulteriormente (Bello e Panteleeva 2014). Anche l’aeroporto di Venezia, come ha precedentemente affermato il Andrea Arrighi, ha avviato un progetto che prevede l’ampliamento della struttura aeroportuale, con una seconda pista e la connessione con l’alta velocità ferroviaria. A guidare l’ampliamento delle infrastrutture della mobilità e dei servizi a esse connessi rimane sempre l’aumento del numero di viaggiatori, il moltiplicarsi delle occasioni di viaggio, l’organizzazione di manifestazioni in grado di spostare una grande quantità di individui. L’obiettivo principale di questa trattazione è stato quello di dimostrare se ci fossero o meno delle caratteristiche uniche che riguardano il business model dei luoghi del travel retail. E’ stato dimostrato, attraverso l’utilizzo di ricerche teoriche, interviste ed esempi pratici, che questi elementi sussistono e rendono l’ambiente aeroportuale e ferroviario diverso da qualsiasi altro luogo di consumo. Identificare il business model del travel retail ha permesso di indagare, secondo diverse prospettive, il modo in cui le aziende che operano in questi ambienti creano e catturano il valore. Si è mostrato come alcuni elementi come la presenza di un consumatoreviaggiatore, o l’attesa forzata dei passeggeri, che crea una audience prigioniera rendano necessario un approccio diverso da parte delle aziende commerciali nella creazione e implementazione delle strategie di marketing. L’analisi dei clienti ha sottolineato l’importanza di non considerare solo i passeggeri come potenziali fonti di reddito di questi ambienti, e lo studio dei comportamenti e delle motivazioni ha dimostrato che non necessariamente i frequentatori più assidui si trasformano negli acquirenti migliori. Sono state descritte le principali tipologie di segmentazione per identificare il cliente degli ambienti aeroportuali e ferroviari, sottolineando il miglior approccio strategico per una efficace comunicazione. Indagare le motivazioni dei clienti ha infine mostrato che anche nella sfera psicologica ci sono degli elementi di unicità che solo gli aeroporti e le stazioni posseggono: alcune motivazioni - 101 -
legate all’azione di viaggiare, come la pressione temporale, o lo stress provocato dall’ambiente e dai controlli, non sono presenti in nessun altro luogo d’acquisto e possono essere utilizzate per generare l’impulso all’acquisto, presente in proporzioni maggiori in aeroporti e stazioni. L’analisi del business model ha anche sollevato dei limiti, però, riguardanti diversi aspetti strategici e organizzativi di questi ambienti, che potranno essere migliorati se affrontati con un approccio diverso da quello usato fino ad ora; uno di questi è la mancanza di elementi di unicità dell’offerta commerciale, poiché se è chiaro che i consumatori non sono gli stessi di quelli dei centri commerciali (o non sono comunque nelle stesse condizioni psico-fisiche quando attraversano questi ambienti) è anche vero che in Italia viene offerto loro lo stesso ambiente d’acquisto; non ci sono elementi di novità tali da differenziare l’offerta commerciale di un aeroporto da quella del centro città e neanche degli altri aeroporti. Un altro limite sottolineato da questa analisi è quello legato all’engagement della clientela, a sua volta connesso con la gestione della governance e le politiche di marketing: soltanto attraverso una sinergia tra operatore aeroportuale/ferroviario, retailer e brand owner si potrebbe arrivare a creare un’offerta di valore per il cliente che trasformi l’ambiente aeroportuale e ferroviario in un’impresa commerciale a tutti gli effetti, in grado di sviluppare dei programmi di fedeltà, studiare il cliente e immagazzinare informazioni per migliorare ulteriormente l’offerta. La trasformazione principale che si richiede, dunque, non è solo strutturale ma riguarda anche il management e il suo campo d’azione. Per monetizzare è necessario dunque avere una progettazione organizzativa, sin dal primo momento, che tenga conto della centralità dell’offerta commerciale presso questi ambienti. L’analisi della governance e del sistema commerciale degli ambienti aeroportuali e ferroviari ha mostrato come aeroporti e stazioni siano stati negli anni capaci di trasformarsi e modificare la propria struttura per rispondere ai cambiamenti endogeni ed esogeni: anche se questi ambienti non avranno mai come finalità primaria di destinazione la ragione dello shopping, non è per nulla scontato che l’attività commerciale in futuro non possa diventare la maggiore fonte di guadagno per queste infrastrutture della mobilità.
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Desidero ringraziare tutti coloro che con i loro consigli e la loro disponibilità mi hanno consentito di raccogliere informazioni indispensabili per portare a termine il lavoro. Desidero ringraziare la prof.ssa Belussi, relatore di questa tesi, per la grande disponibilità e cortesia dimostratami, e per tutto l’aiuto fornito durante la stesura. Un sentito ringraziamento va anche ai proff.ri Savarese Maria Francesca, Orsi Luigi e Rakic Cristina, per l’aiuto nel reperimento delle fonti e le discussioni sull’analisi teorica. Desidero inoltre ringraziare sentitamente il dott. Arrighi Andrea di Airest per l’intervista concessami con attenzione e cortesia. Ringrazio Jacopo, Alberto e Michele. Per il sostegno nei momenti difficili e per la loro contagiosa voglia di cambiare il mondo. Ringrazio Daniela, Alberto e Antonio. Per l’accurata gestione dei momenti di crisi e per la loro amicizia. Ringrazio Marisa. Per l’instancabile attenzione ai particolari, per la curiosità e la tenacia: senza di lei sarebbe tutto più brutto. Desidero inoltre rivolgere un immenso grazie ai miei genitori, ai quali la tesi è dedicata. Senza i loro sacrifici e il loro amore questa tesi non sarebbe esistita.
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