Università degli Studi dell’Aquila Facoltà di medicina e Chirurgia Master I livello Management infermieristico per le funzioni di coordinamento Diritto Penale Anno Accademico 2011/2012
a cura di Giorgio Masciocchi
Premessa
L’analisi dei problemi giuridici ed etici legati alla responsabilità professionale del personale infermieristico deve tenere conto delle radicali trasformazioni recentemente intervenute e che riguardano non solo l'assetto legislativo della professione
L’infermieristica ha acquisito una fisionomia di professione intellettuale che le conferisce un ampliamento dei livelli d’autonomia d’esercizio a cui corrisponde un aumento di responsabilità correlate di natura, non soltanto assistenziale e clinica, ma anche etica, deontologica e giuridica.
L’eventuale responsabilità del singolo infermiere deve essere valutata non solo in relazione alle attività funzionalmente e finalisticamente collegate ad altri soggetti (si pensi alla c.d. attività svolta in équipe) ma anche alle condizioni generali nelle quali i sanitari si trovano ad operare, con riguardo alla disponibilità di mezzi, di personale di supporto e, soprattutto, all'organizzazione del lavoro dei sanitari stessi e alla loro turnazione.
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La legge del 26 febbraio 1999 n. 42 - segue
La forte novità introdotta da questa legge è data dalla abrogazione del mansionario come fonte privilegiata dal punto di vista normativo dell’esercizio professionale infermieristico.
All’ultimo comma dell’art. 1 infatti si precisa che “ il campo proprio di attività e responsabilità delle professioni sanitarie … è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali, degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post- base nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e le altre professioni del ruolo sanitario…”
L’attività collaborante viene invece indicata nel terzo comma punto a) dello stesso articolo dove viene sottolineata la funzione integrante medico- infermiere quando si specifica che l’infermiere “ partecipa alla identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività.”
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La legge n. 26 del febbraio 1999 n. 42
L’abolizione del mansionario (L. 26 febbraio 1999 n. 42) da una parte ha consentito al cittadino di usufruire di adeguate e avanzate forme di assistenza infermieristica, sia a domicilio che in residenze sanitarie assistenziali, senza peraltro la presenza del medico, dall'altro ha contribuito ad una maggiore responsabilizzazione della professione.
L'infermiere, oggi, è, a pieno titolo, il professionista "responsabile dell'assistenza infermieristica" sotto ogni aspetto, dando così piena attuazione agli impegni e alle previsioni del c.d. profilo, ovvero il D.M. n. 739 del 1994, sino al 1999 attuato solamente in minima parte, stante la presenza vincolante del c.d. mansionario (D.P.R. n. 225/74).
Il professionista Infermiere è oggi nella condizione di individuare i bisogni dei suoi assistiti, elaborare percorsi assistenziali nei quali egli diviene in grado d’integrarsi con altri professionisti della salute in un rapporto d’equipe paritetico.
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La responsabilità infermieristica
L’infermieristica ha acquisito una fisionomia di professione intellettuale che le conferisce un ampliamento dei livelli d’autonomia d’esercizio a cui corrisponde un aumento di responsabilità correlate di natura, non soltanto assistenziale e clinica, ma anche etica, deontologica e giuridica.
La "nuova" responsabilità dell'infermiere richiede una presa di coscienza e consapevolezza della sufficienza (o insufficienza) della propria preparazione ad erogare una prestazione con competenza, ad utilizzare una tecnica con la necessaria sicurezza o a sviluppare, in autonomia, una serie di attività assistenziali sul paziente.
L'infermiere ha una propria completa autonomia e un suo proprio ambito di responsabilità e risponde direttamente delle proprie azioni non più indirizzate al compimento di un atto tecnico, quale poteva essere uno di quelli individuati dal mansionario, ma orientate al risultato assistenziale con la necessaria sopportazione dell'onere delle relative conseguenze di natura civile, penale e disciplinare.
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Le tipologie di responsabilità per l’infermiere
"Rapporto giuridico per cui uno è tenuto a risarcire il danno arrecato ad altri da un atto dannoso, tanto nel caso che l'abbia compiuto egli stesso quanto nel caso che l'abbia compiuto una persona dei cui atti debba rispondere per legge". Responsabilità penale - si pone in essere una condotta che di per sé corrisponde o che provoca un fatto che costituisce un reato contemplato dalla legge Responsabilità civile - si provoca un danno ingiusto in conseguenza di una condotta, a cui consegue l’obbligo di risarcire il danno ingiustamente causato; Responsabilità amministrativa disciplinare - si mette in atto una inosservanza dei doveri di ufficio e di servizio a cui si riferiscono gli obblighi contrattuali e di comportamento professionale. Comporta sanzioni di carattere amministrativo erogate con un provvedimento interno, per chi opera alle dipendenze di enti pubblici o privati, mentre diventa, per i liberi professionisti, una responsabilità di tipo ordinistico disciplinare.
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Le tipologie di responsabilità per l’infermiere - Esempio
Un infermiere provoca delle lesioni a un paziente, perché gli somministra per errore il farmaco sbagliato o nella dose errata o addirittura gli somministra un farmaco guasto o imperfetto
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Le tipologie di responsabilità per l’infermiere - Esempio
L’infermiere sarà: civilmente responsabile per il risarcimento del danno che il suo comportamento ha provocato al paziente; penalmente responsabile perché il suo comportamento costituisce un reato, quello di lesioni sottoposto, molto probabilmente, a un procedimento disciplinare da parte del datore di lavoro perché è venuto meno ai suoi doveri di diligenza, di cura e di attenzione propri della sua attività e costituenti un obbligo nei confronti del datore di lavoro.
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Il diritto penale
Il diritto penale è quella parte del diritto pubblico che disciplina i fatti costituenti reato, è definito dal complesso delle norme giuridiche che prevedono particolari fatti illeciti per i quali sono previste conseguenze penali variabili anche in base alla personalità dell’autore
La principale fonte di diritto penale è il Codice Rocco del 1930, a cui si affiancano migliaia di leggi particolari che hanno apportato modifiche ed integrazioni. Si articola in 3 libri: Dei reati in generale Dei delitti in particolare Delle contravvenzioni in particolare
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La funzione del diritto penale
Secondo la teoria prevalente nella scienza penalistica l’ordinamento penale avrebbe la funzione di assicurare le condizioni per la pacifica convivenza sociale impedendo fatti socialmente dannosi che la pongono in pericolo attraverso il ricorso alla minaccia di sanzioni per il loro compimento.
Le sanzioni penali sono più afflittive di quelle previste dagli altri rami del diritto ed hanno una duplice funzione preventiva: - prevenzione generale - con la minaccia della loro irrogazione, tendono a distogliere i consociati dal commettere i reati - prevenzione speciale - con la concreta applicazione all’autore del reato, tendono ad evitare che lo stesso torni a delinquere
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I caratteri del diritto penale Il diritto penale presenta i seguenti caratteri:
è diritto statuale, cioè le norme di diritto penale possono essere emanate solo dallo Stato;
è diritto pubblico, cioè l’interesse alla repressione dei reati è sempre interesse pubblico anche quando il reato lede interessi individuali perché comunque esso viola l’interesse generale alla pacifica convivenza;
è diritto autonomo, oltre che originario e completo, cioè mutua i suoi concetti non da altri rami dell’ordinamento, ma nell’ambito dei suoi principi fondamentali;
è diritto imperativo, cioè la norma penale una volta entrata in vigore diventa obbligatoria per tutti coloro che si trovano nel territorio dello Stato.
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I principi del diritto penale
Principio di materialità – non può esservi reato se la volontà criminosa non si materializza in un comportamento esterno, non può quindi costituire reato la mera volontà criminosa, l’atteggiamento interiore, l’intenzione meramente dichiarata
Principio di necessaria lesività o offensività – ai fini della sussistenza del reato non basta la realizzazione di un comportamento materiale ma è necessario che tale comportamento leda o ponga in pericolo beni giuridici (es: il furto di uno spillo non costituirebbe reato, perché condotta non idonea a ledere il bene giuridico patrimonio - protetto dalla norma di cui all’art. 624 c.p)
Principio di colpevolezza – un fatto materiale lesivo di beni giuridici può essere penalmente attribuito all’autore a condizione che gli si possa muovere un rimprovero per averlo commesso, si esclude in tal senso la responsabilità per fatto altrui
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Il principio di legalità Il principio di legalità ha una genesi non strettamente penalistica, ma politica e si giustifica con l’esigenza di vincolare l’esercizio di ogni potere dello stato alla legge. “ nullum crimen, nulla poena sine lege ” “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato, né con pene che non siano da essa stabilite” dall’art. 1 del codice penale “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” art 25 Cost. 2°comma Il principio di legalità comporta, quindi, che costituiscono reato solo ed esclusivamente i fatti espressamente previsti dalla legge come tali e non anche quei fatti che, per quanto lesivi di beni giuridici protetti, non siano tuttavia esplicitamente previsti come reato dalla legge penale. Il principio rinviene il suo fondamento nella tutela della libertà individuale che può essere limitata dal potere statuale solo nei casi e nei modi espressamente previsti dalla legge. 13
I 4 sotto principi del principio di legalità
Il principio di legalità si articola in 4 sotto-principi che ne costituiscono corollari:
1)
la riserva di legge
2)
la tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie
3)
l’irretroattività della legge penale
4)
il divieto di analogia in materia penale
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La riserva di legge
Il principio di riserva di legge esprime il divieto di punire un determinato fatto in assenza di una legge preesistente che lo configuri come reato e tende a sottrarre la competenza in materia penale al potere esecutivo.
La competenza normativa esclusiva in materia penale spetta al potere legislativo. In tal modo le fonti del diritto penale sono la legge o agli atti equiparati (riserva di legge assoluta)
Le norme penali in bianco – la legge affida alla fonte secondaria la determinazione delle condotte concretamente punibili (la norma penale art. 650 sanziona l’inosservanza dei provvedimenti dettati dall’Autorità amministrativa senza specificarli di volta in volta)
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Il principio di tassatività
Il principio di tassativita’ o sufficiente determinatezza della legge penale impone al legislatore di formulare le norme penali in maniera chiara e precisa in modo che risulti stabilito specificamente e senza possibilità di errore o dubbio ciò che è penalmente illecito e ciò che non lo è; impone cioè di descrivere con sufficiente determinatezza il fatto costituente reato.
Il principio di legalità sarebbe rispettato nella forma, ma eluso nella sostanza, se la legge che considera un fatto reato lo facesse in termini così generici da non lasciar individuare il comportamento penalmente sanzionato
La riserva di legge riguarda la gerarchia delle fonti il principio di tassatività riguarda la tecnica di formulazione delle fattispecie criminose e tende a salvaguardare i cittadini dal potere giudiziario (divieto di analogia in maniera penale)
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Il principio di irretroattività
Il principio di irretroattività vieta di applicare la legge penali a fatti commessi prima della sua entrata in vigore
L’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale disciplina il fenomeno dell’entrata in vigore di una nuova norma, dell’acquisizione dell’efficacia normativa, stabilendo che “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”
Il principio ha rango costituzionale solo rispetto alla materia penalistica come si desume dal secondo comma dell’art. 25 Cost «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso»
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Il reato – Delitti e contravvenzioni
Il reato da un punto di vista formale o giuridico è quel fatto giuridico volontario o illecito, al quale l’ordinamento ricollega, come conseguenza, una sanzione penale
I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni secondo la diversa specie delle pene stabilite dal codice (art. 39 c.p.)
Per i delitti le pene previste sono: l'ergastolo - (detentiva – perpetua – dopo 26 anni possibilità di libertà condizionale) la reclusione – (detentiva – da 15gg a 24 anni) la multa – (pecuniaria – non inferiore a € 50 non superiore a € 50.000)
Per le contravvenzioni: l'arresto (detentiva da 5gg a 3 anni) l'ammenda (pecuniaria – non inferiore a 20 euro non superiore a € 10.000)
La distinzione ha notevole rilievo pratico sotto diversi aspetti: principalmente, mentre per i delitti si risponde a titolo di dolo, e solo se espressamente previsto dalla legge penale a titolo di colpa. Inoltre, il delitto tentato è configurabile esclusivamente per i delitti. 18
Le principali classificazioni del reato
Il reato viene classificato in base ai seguenti elementi: Gravità – Delitti (art 582 – Lesioni – Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni o contravvenzioni ( art. 651 - rifiuto di indicazione sulla propria identità personale – Chiunque, richiesto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni rifiuta di da indicazioni sulla propria identità….. è punito con l’arresto fino a un mese e l’ammenda fino a euro 206) Natura – Di danno o di pericolo……. Condotta – Commissiva o omissiva Intenzionalità – Doloso, colposo, preterintenzionale Effetto finale - Consumato o tentato Procedibilità – D’ufficio a querela della persona offesa 19
La natura giuridica del reato proprio – può essere commesso solo da colui che riveste una determinata qualifica o posizione (peculato può essere commesso solo dal pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio) comune – può essere commesso da chiunque evento –necessario che si verifichi un evento naturale (es: morte nell’omicidio) mera condotta - per perfezionarsi è sufficiente il comportamento di una certa condotta attiva od omissiva forma vincolata - l’attività esecutiva è rigidamente fissato dalla norma incriminatrice (es: truffa art. 640) forma libera (Casualmente orientati) in cui è sufficiente che la condotta sia idonea a cagionare l’evento previsto dalla norma (es. omicidio art. 575) pericolo – la condotta posta in essere pone solo in pericolo il bene tutelato senza produrgli danno danno – la condotta deve effettivamente ledere il bene istantaneo – l’offesa del bene giuridico si produce in un solo istante Permanente - la lesione del bene protetto si protrae per un determinato periodo di tempo (es: sequestro di persona art. 605) 20
Gli elementi essenziali del reato
Gli elementi essenziali del reato, in assenza dei quali lo stesso non esiste, sono: il fatto tipico - condotta umana, inteso come fatto materiale comprensivo dei soli requisiti oggettivi (condotta, evento e nesso di casualità) la colpevolezza - imputazione soggettiva del fatto che si risolve in un giudizio di colpevolezza (elemento soggettivo) l'antigiuridicità - contrarietà
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L’elemento oggettivo del reato
Il fatto è l’elemento oggettivo del reato e si compone della azione, dell’evento e del nesso di casualità
L’azione (o condotta) – consiste in un comportamento umano che produce una modificazione del mondo esteriore e può risultare tanto in un’azione quanto in un’omissione.
L’evento - può considerarsi il risultato conclusivo dell’azione, è l’effetto della condotta a cui la legge riconnette sanzioni penali, può mancare del tutto nel caso di delitto tentato o immedesimarsi nella condotta nei reati di pura condotta (es: rivelazione del segreto da cui non deve derivare per forza un danno per l’assistito – la punibilità è legata al pericolo di danno)
Il rapporto di casualità - il nesso di causalità sussiste quando è possibile attribuire un determinato evento ad una determinata condotta. L’esigenza del nesso di causalità tra condotta ed evento è sancita dal legislatore in via generale dall’art. 40 del c.p. “per cui nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione”. 22
Il nesso di casualità in ambito sanitario
In ambito sanitario risulta spesso difficile comprendere se l’azione o omissione del professionista siano in relazione con l’evento.
A disciplinare la materia è intervenuta la Corte di Cassazione, sez. IV, n. 38334 del 15 novembre 2002 che afferma che: «…..sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, deve essere accertato che con un diverso comportamento da parte del professionista l’evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva»
Deve essere esclusa anche l’interferenza di fattori alternativi
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L’antigiuridicità del comportamento - esempio
In alcuni casi l’atto è lecito, ma diventa illecito quando si scontra con l’interesse di un altro individuo. In questi casi la valutazione sull’ingiustizia del danno è rimessa all’apprezzamento del giudice.
La Corte di Assise di Firenze ha condannato un medico per omicidio preterintenzionale in seguito ad un intervento terapeutico eseguito senza il consenso del paziente, poi deceduto in conseguenza dell'operazione.
E' stata l'assenza del consenso a indurre i giudici a qualificare l'intervento come atto in sé illecito, in quanto volto a cagionare delle lesioni personali, a prescindere dall'indagine circa la negligenza professionale
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La procedibilità
I reati possono essere procedibili d’ufficio o a querela di parte: procedibili d’ufficio quelli perseguiti automaticamente e obbligatoriamente dalla magistratura; procedibili a querela di parte quelli perseguiti su richiesta delle persone o degli enti offesi
I reati procedibili d’ufficio sono normalmente i più gravi, o quelli che procurano maggiori danni allo stato, alle pubbliche amministrazioni, agli apparati burocratici. Oppure quelli di maggiore allarme sociale.
I reati procedibili a querela sono, in linea di massima, quelli meno gravi, ovvero quelli che procurano conseguenze dannose solo alle parti private. Oppure quelli di minor allarme sociale
La legge a stabilire quali rientrino nella prima e quali nella seconda categoria. 25
Oggetto giuridico e oggetto materiale
L’oggetto giuridico del reato è il bene o l’interesse giuridico tutelato dalla noma che prevede il reato stesso (ad esempio, la norma che punisce il reato di furto tutela il bene giuridico patrimonio)
L’oggetto giuridico non va confuso con l’oggetto materiale dell’azione (ad esempio, nel furto di un portafogli, oggetto materiale della condotta è il portafogli, ma l’oggetto giuridico è il patrimonio) e, quindi, distinguiamo: 1) l’oggetto giuridico è una entità concettuale, un valore alla cui tutela è indirizzata la norma; 2) l’oggetto materiale dell’azione è sempre qualcosa di concreto, cioè la persona o la cosa su cui incide materialmente la condotta tipica.
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Il soggetto attivo e soggetto passivo del reato
Il soggetto attivo del reato o autore, agente, colpevole colui che pone in essere un fatto conforme ad una fattispecie astratta di reato.
Autore del reato, nel diritto penale moderno può essere solo la persona umana
Soggetti attivi possono essere tutte le persone fisiche, in quanto ogni persona ha la capacità penale, vale a dire l’attitudine a porre in essere comportamenti penalmente rilevanti.
Il soggetto passivo del reato è il titolare del bene giuridico protetto dalla singola fattispecie incriminatrice di parte speciale (persona offesa dal reato). E’ il soggetto su cui ricade l’azione delittuosa Es- nel reato di diffamazione il soggetto passivo è la persona contro cui vengono indirizzate espressioni che ne offendono il bene dell’onore
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Il rapporto di casualità - casi Caso 1
Se Tizio ferisce in un incidente stradale Caio e Caio, mentre l'ambulanza lo trasporta in ospedale, muore a causa di un nuovo incidente nel quale resta coinvolta l'ambulanza, Tizio risponderà, civilmente e penalmente, per il ferimento o anche per la morte ?
Caso 2
Caio, quello di prima, raggiunge l'ospedale e poi, in ospedale, muore di malattia. Tizio, ancora, sarà responsabile della morte?
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Il rapporto di casualità - risposte Caso 1
La risposta corretta è che Tizio risponderà solo per il ferimento e non della morte di Caio. E' chiaro che Caio non sarebbe morto se Tizio non lo avesse investito e cosi innescando tutta la catena degli eventi successivi e quindi non si fosse trovato all'interno dell'ambulanza. Tizio risponderà, per il nesso di casualità, solo delle conseguenze immediate e dirette del fatto commesso. Il comportamento di Tizio è stato la causa del ferimento, ma semplice occasione della morte di Caio e la legge non prende in considerazione le semplici occasioni, ma solo le cause immediate e dirette.
Caso 2
Qui dobbiamo fare un distinguo. Dobbiamo distinguere a seconda che la malattia sia una complicazione clinicamente accertata e statisticamente prevedibile dell'incidente (allora sì che Tizio risponderà della morte) oppure la malattia non sia una conseguenza prevedibile del ferimento, perché, ad esempio Caio era malato di cuore e muore per lo spavento di trovarsi in ospedale. In questo caso Tizio non risponderà della morte, anche se da un punto semplicemente naturalistico l'ha provocata.
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L’elemento soggettivo del reato
L’elemento soggettivo del reato è dato dalla colpevolezza del reo ossia dalla sua coscienza e volontà nel compiere l’azione che determina l’evento, così come previsto dall’art. 42 comm1 c.p. «Nessuno può essere punito per una azione od omissione prevista dalla legge come reato se non l’ha commessa con coscienza e volontà»
La colpevolezza riassume un insieme di condizioni psicologiche per l’imputazione personale del fatto al suo autore che possiamo così sintetizzare: a) in primo luogo bisogna che l’azione possa considerarsi propria dell’agente e non il prodotto delle forze della natura (forza maggiore e caso fortuito); b) in secondo luogo bisogna che il soggetto sia determinato coscientemente al compimento di quella determinata azione; c) una volta che possa parlarsi di azione umana commessa da un soggetto consapevole bisogna che al soggetto possa muoversi un rimprovero per aver voluto quel determinato fatto o per non averlo evitato. A seconda dell’atteggiamento del soggetto rispetto al fatto ricorrerà il dolo o la colpa; 30
Gli elementi soggettivi del reato
Gli elementi soggettivi dell'illecito sono la colpa, il dolo e la preterintenzione, fanno riferimento alla volontà del soggetto che agisce. Sono anche chiamati, appunto, elementi psicologici dell'illecito.
La ricerca, tuttavia, della colpa o del dolo nel soggetto agente, deve essere preceduta da un accertamento della capacità di intendere e di volere del soggetto altrimenti il soggetto non è imputabile.
Il soggetto, per essere giudicato imputabile deve avere l'attitudine a valutare adeguatamente il valore sociale dell'atto concreto che si compie (questa è la capacità di intendere) e avere la facoltà di determinarsi in modo autonomo e non in funzione dei soli impulsi (capacità di volere)
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Il reato e l’elemento soggettivo I reati possono essere colposi o dolosi:
La colpa consiste in un atteggiamento psicologico caratterizzato da negligenza, imprudenza, imperizia. Manca la volontà dell’evento. Agisce con colpa anche chi disapplica o non si cura di regolamenti, ordini, discipline.
Il dolo consiste invece nel proposito deliberato di produrre l’evento. Comprende una fase ideativa ed un’altra esecutiva.
La preterintenzione (al di là dell’intenzione), quando si agisce per procurare un evento (che si vuole), procurandone un altro che non si vuole.
I reati producono obblighi risarcitori. La persona o l’ente offeso vantano il diritto di essere risarciti per i danni subiti. La costituzione di parte civile consente di partecipare al processo penale allo scopo di ottenere la condanna dell’imputato a risarcire il danno procurato.
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Le forme di colpevolezza – Il dolo
Il dolo è caratterizzato dalla volontà di cagionare il danno ed è costituito dalla rappresentazione, cioè dalla visione anticipata del fatto che costituisce illecito (momento conoscitivo o intellettuale), seguita da uno sforzo del volere diretto alla realizzazione del fatto rappresentato (momento volitivo).
Il dolo rappresenta, inoltre, la forma più grave di colpevolezza e, infatti, chi agisce con dolo aggredisce il bene protetto in maniera più intensa di chi agisce con colpa. In particolare, secondo l’art. 43, c.p., il delitto è doloso (o secondo l’intenzione) “quando l’evento dannoso o pericoloso è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione” .
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Le forme di colpevolezza - La colpa
La colpa è l'atteggiamento psicologico di chi agisce con negligenza, imprudenza, imperizia o non osservando leggi, regolamenti, ordini o discipline. Un evento si dice colposo quando non è stato intenzionalmente determinato ma si è verificato, appunto, per negligenza, imprudenza, o imperizia.
Per l’art. 43, c.p. il delitto “è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia (colpa generica) ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica)”.
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La colpa
La colpa si caratterizza per la mancanza di volontà del fatto illecito e trova il suo fondamento positivo unitario nella inosservanza di regole espressamente prescritte o evocate dalle nozioni di diligenza, prudenza, perizia in funzione di tutela preventiva di determinati beni da determinati eventi dannosi: l'imprudenza è propriamente l'avventatezza, l'insufficiente ponderazione dei rischi omettendo di adottare le cautele indicate dalla comune esperienza la negligenza, si identifica in un comportamento disattento nella mancanza di sollecitudine che trascuri elementi significativi o che non si preoccupi di ricercarli l'imperizia, è un insufficiente preparazione o una inettitudine di cui l'agente, pur essendone consapevole, non abbia voluto tenerne conto. (La perizia deve riferirsi al livello di professionalità, competenza ed esperienza dell’infermiere)
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La perizia e la diligenza in ambito sanitario
La perizia di un infermiere deve prevedere anche la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie competenze.
Il Codice deontologico definisce ancora meglio questo orientamento all’art 13 «L’infermiere assume responsabilità in base al proprio livello di competenza e ricorre se necessario all’intervento o alla consulenza di infermieri esperti…»
e dell’art. 15: «L’infermiere chiede formazione e/o supervisione per le pratiche nuove o sulle quali non ha esperienza»
La magistratura è concorde nel ritenere che le obbligazioni in ambito sanitario sono legate al comportamento e non al risultato
La diligenza è quella del buon padre di famigli prevista dall’art 1176 c.c.
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La gravità della colpa
La colpa grave in alcuni casi non è prevista dalla copertura assicurativa dal punto di vista civile e l’azienda ha possibilità di rivalsa nei confronti del dipendente.
L’accertamento della gravità della colpa si basa su due elementi: Prevedibilità – un agente medio nelle medesime condizioni di tempo e luogo del soggetto agente avrebbe potuto prevedere il verificarsi dell’evento? Prevenibilità - un agente medio nelle medesime condizioni di tempo e luogo del soggetto agente avrebbe potuto prevenire il verificarsi dell’evento? In base alla gravità del danno si definisce la procedibilità
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Le forme di colpevolezza – la preterintenzione
Art. 43 c.p. «il delitto è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento più grave di quello voluto dall’agente»
Esistono due sole ipotesi prevista dal Codice penale: 1) omicidio 2) preterintenzione
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Casi 1) Un infermiere di notte si addormenta, invece di sorvegliare e verificare i monitor che visualizzano i parametri vitali dei pazienti, oppure si dimentica di somministrare un determinato farmaco a una determinata ora a un paziente e il paziente sta male a causa di questa dimenticanza o, nel primo esempio, quello dei monitor, qualche paziente subisce dei danni per il fatto che l'infermiere si è addormentato 2) Nel trasportare un malato in barella, l'infermiere crede che il paziente sia in possesso di tutte le sue capacità di vigilanza e di autocontrollo e il paziente cade dalla barella 3) Una donna era morta in seguito all'ingestione di una dose eccessiva di psicofarmaci (Noveril). I giudici osservarono che tra i compiti assunti ed accettati dall'infermiera, vi era quello di trascrivere e ricopiare le prescrizioni del medico sulle buste contenenti i farmaci e di consegnare buste e farmaci ai malati mentali. Fu accertato, durante il processo, sia per ammissione dell'infermiera che tramite una perizia calligrafica, che sulla'busta consegnata alla paziente, l'infermiera .scrisse di pugno "Noveril". Essa tuttavia negò di avere scritto le successive indicazioni del numero 15, che produssero l'evento letale. Le perizie e le testimonianze non permisero di risalire al soggetto che aveva scritto il numero 15. Peraltro, quel giorno in servizio era presente pure un infermiera tirocinante. 39
Casi Il Tribunale di Pavia, nel 1930, affermò che non risponde di lesioni colpose un infermiere che, nell'eseguire delle iniezioni, abbia perforato il nervo sciatico del paziente, producendone la paralisi, perché, ha motivato il tribunale con un ragionamento che oggi potrebbe fare discutere, l'infermiere non è tenuto a conoscere l'anatomia topografica.
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Le scriminanti
Le scriminanti o cause di giustificazione sono situazioni nelle quali un fatto che di regola è vietato, viene consentito dalla legge, quindi non è antigiuridico e di conseguenza è esente da pena
L’art. 51 «l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere previsto dalla norma esclude la punibilità» Es: obblighi inerenti refertazioni e certificazioni obbligatori che derogano agli obblighi del segreto professionale e/o di ufficio
L’art. 54 «Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo di danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo» Es: la rivelazione ai parenti e al partner della sieropositività del cittadino
L’art. 50 prevede come causa scriminante il consenso dell’avente diritto. I limiti di questa scriminante sono dettati dalla validità del consenso e dal fatto che si tratti di un diritto realmente disponibile 41
Le scriminanti – la carenza organizzativa
La carenza organizzativa non rientra tra le scriminanti del comportamento del professionista, che nell’erogare consapevolmente prestazioni in situazioni di pericolo o comunque che limitano o riducano possibilità di successo, dimostra la su a imprudenza o negligenza
Il comportamento corretto del professionista è definito in questo caso in modo chiaro dal codice deontologico art. 48
«L’infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, di fronte a carenze o disservizi provvede a darne comunicazione ai responsabili professionali della struttura in cui opera o a cui afferisce l’assistito»
In quest’ottica è importante avere elementi a supporto di una propria eventuale difesa in sede di giudizio con una corretta e puntuale documentazione delle segnalazioni effettuate e delle azioni svolte
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Le scriminanti – la carenza organizzativa
La carenza organizzativa non rientra tra le scriminanti del comportamento del professionista, che nell’erogare consapevolmente prestazioni in situazioni di pericolo o comunque che limitano o riducano possibilità di successo, dimostra la su a imprudenza o negligenza
Il comportamento corretto del professionista è definito in questo caso in modo chiaro dal codice deontologico art. 48
«L’infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, di fronte a carenze o disservizi provvede a darne comunicazione ai responsabili professionali della struttura in cui opera o a cui afferisce l’assistito»
In quest’ottica è importante avere elementi a supporto di una propria eventuale difesa in sede di giudizio con una corretta e puntuale documentazione delle segnalazioni effettuate e delle azioni svolte
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Il reato e l’elemento soggettivo
Somministrazione e detenzione di farmaci scaduti e difettosi, art. 443 c.p.: “chiunque detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a €103”
Natura giuridica: reato comune, di pericolo (vuole evitare il rischio che siano procurati danni alla persona), di mera condotta, a forma libera.
L’elemento soggettivo: dolo generico (consapevole detenzione per il commercio)
La norma punisce chi “detiene per il commercio, pone in commercio, somministra medicinali guasti o imperfetti. Non può essere estesa alla detenzione per la somministrazione” (cass. Sez. Iv 30 giugno 2000 n. 9359). Vige nell’ordinamento italiano, il principio di legalità-tassatività della norma penale. Vi è divieto di estensione analogica.
Tentativo: configurabile
somministrazione, sempre che nel caso di specie, ricorrano gli estremi di cui all’art. 56 comma 1 c.p. (cass. Pen. Sez. I 12 gennaio 1999 n. 3198). Art. 56 c.p.: chi compie atti idonei diretti in modo non equivoco, a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica.. È reato procedibile d’ufficio. 44
La responsabilità relativa alla documentazione infermieristica
Responsabilità di tipo giuridico professionale si collega un «dovere di dimostrare», inteso come l’obbligo di rendere tracciabile la propria attività sia in termini di percorso assistenziale che di correttezza di azione nei confronti dell’assistito collegata al dovere non di rispondere del proprio operato
La validità formale dell’atto si fonda su: corrispondenza tra la realtà osservata percepita ascoltata e quanto poi scritto chiarezza e leggibilità di quanto scritto, che si traduce nell’uso di una grafia chiara in termini di abbreviazioni comuni tempestività o contestualità delle annotazioni, ovvero scrivere nell’immediatezza della rilevazione
Dovere di segretezza e di conseguenza alla conservazione e al rilascio della documentazione stessa
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La responsabilità relativa alla documentazione infermieristica
La corrispondenza tra la realtà osservata percepita ascoltata e quanto poi scritto può portare alla configurazione dei reati di falso ideologico e falso materiale: Falso ideologico – riportare qualcosa di non vero, in pratica: annotare valori non veri, valutazioni non effettuate riportate «a memoria» senza la certezza che siano quelle effettivamente rilevate
Falso materiale – tutte le alterazioni su quanto già scritto, cancellare quanto scritto e sostituirlo con altro (le correzioni sono possibili nel rispetto della tracciabilità della documentazione
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Falsità materiale e ideologica - segue
Art. 476 Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni.
Natura giuridica: reato proprio, di pericolo, di mera condotta, istantaneo Elemento soggettivo: dolo generico Tentativo: di dubbia configurabilità
Art. 479 Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici Il pubblico ufficiale che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell’articolo 476.
Natura giuridica: reato proprio, di pericolo, a forma vincolata, istantaneo Elemento soggettivo: dolo generico Tentativo: configurabile 47
Falsità materiale e ideologica - segue
Art. 481 Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità
Chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria o forense o di un altro servizio di pubblica necessità attesta falsamente in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da €51 a €516.. Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro. Natura giuridica: reato proprio, di pericolo, a forma libers, istantaneo Elemento soggettivo: dolo generico Tentativo: configurabile
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Il segreto professionale
Rivelazione di segreto professionale, art. 622 c.p.:
“chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a 1 anno o con la multa da €30 a €516. Natura giuridica: reato proprio, di mera condotta Elemento soggettivo: dolo generico Tentativo: non configurabile
Rivelazione di segreto d’ufficio, art. 326 del c.p.:
“il pubblico ufficiale, o la persona incaricata di un pubblico servizio che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se l’agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno” Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che si avvalgano illegittimamente di notizie d’ufficio che debbano rimanere segrete, per procurare a se o ad altri un indebito profitto patrimoniale, sono puniti con la reclusione da due a cinque anni (3° comma art. 326 2° fattispecie). Natura giuridica: reato proprio, di mera condotta, di danno a forma libera Elemento soggettivo: dolo Tentativo: configurabile
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Il diritto di accesso agli atti
Omissione di referto, art. 365 c.p.: “chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’autorità indicata nell’art. 362, è punito con la multa fino a €516. Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale”.
Natura giuridica: reato proprio, di pericolo, di mera condotta, a forma libera Elemento soggettivo: dolo generico Tentativo: non configurabile
Es: assistenza sanitaria a persona che presenta ferite da arma da fuoco. Si distingue dal reato di favoreggiamento personale che ricorre quando non ci si limita ad omettere il referto dovuto, ma esiste una condotta attiva volta a ostacolare le indagini
Il comma 2 fa prevalere l’assistenza sanitaria sull’esigenza di giustizia e viene rispettato il segreto professionale
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La posizione di garanzia
In base a recenti orientamenti della Cassazione Penale, sui professionisti dell’area infermieristica grava l’onere della medesima «posizione di garanzia», così definita
«La responsabilità dell’infermiere è apri a quella del medico, perché anch’egli è garante della salute del paziente affidatogli. Gli operatori, medici e paramedici, sono ex lege tutti portatori di una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti affidati alle loro cure………In particolare, questa posizione di garanzia, che va sotto il nome di posizione di protezione, è contrassegnata dal dovere giuridico incombente su ogni operatore, di provvedere alla tutela dell’incolumità dei pazienti contro qualsiasi pericolo….»
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Concorso di responsabilità penale dell’infermiere - Cass. Pen. n. 34845-10
del
medico
e
Il caso oggetto del giudizio : Un bambino, sottoposto ad un intervento di adenotonsillectomia, riportato in reparto presenta sintomi di incompleto recupero della forza muscolare e di insufficienza respiratoria; le sue condizioni peggiorano senza che alcun sanitario intervenga attivamente, tant’è che muore per arresto cardio-circolatorio a seguito di ipossia.
All’esito delle indagini preliminari del P.M. viene instaurato un procedimento penale che vede coinvolti un medico e un infermiere del reparto di otorinolarngoiatria che vengono rinviati a giudizio dal Giudice del’Udienza Preliminare con l’imputazione di concorso in omicidio colposo in danno del piccolo paziente.
Omicidio colposo art. 589 c.p.
Omicidio colposo art. 589 c.p.: Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni. Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da: 1.
soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
2.
soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici. Natura giuridica: reato comune, di danno, di evento, a forma libera Elemento soggettivo: colpa Tentativo: non configurabile
Concorso nel reato .
Pena per coloro che concorrono nel reato art. 110 c.p.: Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita. Salve le disposizioni degli articoli seguenti. 1. Pluralità di concorrenti 2. Realizzazione del reato (non occorre che sia consumato, ma la condotta deve essere punibile almeno a livello di tentativo) 3. Ciascuno deve contribuire al verificarsi dll’evento
Cooperazione nel delitto colposi art. 113 c.p.: “Nel delitto colposo quando l'evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso”.
L’ipotesi più frequente di cooperazione colposa in campo medico riguarda il lavoro d’equipe che coinvolge in primo luogo il personale medico, ma che in alcuni casi può estendersi ed interessare anche il personale paramedico in base ad un comune “obbligo di garanzia” nei confronti delle persone assistite.
Concorso di responsabilità penale dell’infermiere - Cass. Pen. n. 34845-10
del
medico
e
La contestazione mossa agli imputati è quella di avere contribuito a cagionare la morte del paziente avendo il medico di reparto omesso di prestare la dovuta assistenza e l’infermiere omesso di avvisare il medico del peggioramento delle condizioni di salute del minore, nonostante le ripetute sollecitazioni al riguardo dei parenti (fatto del 27/10/03).
Il Tribunale di Agrigento, con sentenza del 31-10-03, ritiene entrambi responsabili del delitto loro ascritto (589 c.p.) e li condanna alla pena di un anno e due mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore dei genitori, posto a carico anche del R.C. Az. Osp., liquidato in 145.000,00 euro cadauno con riferimento al solo danno cosiddetto “morale”
Concorso di responsabilità penale del medico e dell’infermiere - Cass. Pen. n. 34845-10
La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza 16-3-09, conferma nella sostanza la decisione del giudici di primo grado.
Gli imputati (e l’Azienda Ospedaliera) propongono, quindi, ricorso in Cassazione sostenendo l’assenza della loro responsabilità penale in merito all’omicidio colposo in discussione.
I ricorrenti, in particolare, contestano che la causa della morte del bambino sia stata l’anossia anossica, prodotta da secrezioni di ogni genere che avrebbero invaso le vie aeree.
Il medico, inoltre, contesta di avere avuto l’obbligo di vigilare sui bambini che erano stati da poco sottoposti ad un intervento, se non sollecitato.
L’infermiere, a sua volta, contesta l’addebito di avere sottovalutato i sintomi presentati nella fase post-operatoria dal bambino, sintomi che, secondo la sua tesi, non erano tali da destare allarme.
Sostiene, inoltre, l’infermiere che non vi era una prova certa sull’incidenza causale del suo comportamento in relazione all’evento mortale verificatosi
Concorso di responsabilità penale del medico e dell’infermiere - Cass. Pen. n. 34845-10
La Cassazione rigetta tutti i ricorsi ritenendo lineare e chiaro il percorso seguito dai giudici di merito nella motivazione delle sentenze con le quali avevano affermato la sussistenza della penale responsabilità di entrambi gli imputati.
Concorso di responsabilità penale del medico e dell’infermiere - Cass. Pen. n. 34845-10 La Posizione del medico
In relazione alla posizione del medico, ritiene la S.C. che “è pacifico che quel giorno gli fosse stata affidata la sorveglianza del decorso post-operatorio dei pazienti che, dopo avere subito un intervento chirurgico, erano stati trasportati in sala degenza”.
Aggiunge la S.C. che correttamente i giudici d’appello avevano rilevato che “tale sorveglianza non poteva limitarsi ad una mera “reperibilità”, ma doveva concretizzarsi nell’effettuare ripetute visite in sala degenza per controllare la regolarità del decorso post-operatorio dei pazienti.”
Concorso di responsabilità penale del medico e dell’infermiere - Cass. Pen. n. 34845-10 La Posizione dell’infermiere
La Cassazione ricorda che la sentenza impugnata aveva evidenziato che i parenti del piccolo paziente, allarmati per le condizioni del bambino, «lo avevano più volte chiamato e lo avevano sollecitato a chiamare il medico, ma egli soltanto una volta si era avvicinato al letto, senza però visionare il vomito e senza neppure toccare il paziente che già presentava uno stato soporoso e difficoltà di respirazione».
Aggiunge la S.C. che l’infermiere non aveva avvertito il medico, “pur assicurando i parenti del bambino di averlo fatto”.
Aggiunge la Cassazione che la sentenza impugnata “evidenzia come i sintomi presentati dal bambino, quali la sonnolenza, vomito, sudorazione, che, isolatamente considerati, avrebbero potuto destare non eccessive preoccupazioni, si erano andati via via aggravando nelle due ore successive all’intervento, senza che l’infermiere si preoccupasse minimamente di avvertire il medico e senza che quest’ultimo, che pure si trovava in medicheria, poco lontano dal letto del paziente, facesse una visita di controllo al bambino, nonostante che i genitori allarmati sollecitassero continuamente l’infermiere affinché avvertisse il medico”.
n
Concorso di responsabilità penale del medico e dell’infermiere - Cass. Pen. n. 34845-10
Con riferimento al “nesso di causalità” tra condotta degli imputati ed evento mortale, la S.C. rileva che, per colpa dei due sanitari, “l’intervento del medico c’è stato soltanto quando la situazione è precipitata a causa della grave crisi respiratoria che ha colpito il piccolo, determinata dall’ingresso nell’albero bronchiale di vomito ed accumuli di secrezione ematica che hanno ostruito progressivamente le vie respiratorie”.
Concorso di responsabilità penale del medico e dell’infermiere - Cass. Pen. n. 34845-10
Sono state correttamente ritenute condivisibili le conclusioni dei periti “che hanno accertato che i sintomi presentati dal bambino dovevano essere tempestivamente valutati da un medico che doveva visionare il vomito scuro e accorgersi del pericolo che lo stesso prendesse la strada dell’apparato respiratorio anziché quella dell’esofago; e in questa situazione, avrebbe dovuto tempestivamente provvedere ad eliminare le secrezioni con l’aspiratore oppure provvedere a riportare subito il bambino in sala operatoria, ove non sarebbe decorso quel periodo di tempo fatale per il verificarsi dell’ipossia, a cui è collegato il decesso.”
Se, infatti, l’infermiere avesse avvertito in tempo il medico o quest’ultimo avesse fatto di sua iniziativa una doverosa visita al paziente, sarebbe stato accertato e tempestivamente affrontato il grave rischio che correva il bambino, con quei giusti interventi che avrebbero potuto salvare la sua vita “con alto grado di probabilità logica”.
Ricovero anziano in casa di riposo – Caduta – Responsabilità della struttura - Cass. Civ. n. 21497-09
Il caso oggetto del giudizio : Una signora di 89 anni viene ricoverata presso una casa di riposo il 7-1-03; i familiari avvertono il medico e i dipendenti che la sig.ra versava in precarie condizioni agli arti inferiori e era in stato confusionale e chiedono che usare le dovute cautele per evitare cadute (spondine al letto e carrozzella nei trasferimenti).
La sig.ra cade la sera stessa del ricovero da una poltroncina ove era stata momentaneamente sistemata e decede dopo 15 giorni. Le operatrici cui era stata affidata la sig.ra vengono prosciolte in sede penale perché non viene ritenuto che le omesse cautele potessero essere fondatamente loro addebitate.
Ricovero anziano in casa di riposo – Caduta – Responsabilità della struttura - Cass. Civ. n. 21497-09
I familiari agiscono, quindi, in sede civile nei confronti della sola struttura chiedendo l’accertamento della sua responsabilità nel sinistro accaduto a causa delle omesse cautele e il risarcimento dei danni subiti. La struttura contesta il fondamento della domanda e sostiene l’esistenza di un concorso di colpa della vittima.
Il Tribunale di Trento accoglie la domanda dei familiari ritenendo sussistente la responsabilità esclusiva della struttura per fatto dei propri dipendenti ex art.2049 c.c.. (Responsabilità padroni e committenti - I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.(
Condanna la casa di riposo al risarcimento dei danni biologici e morali subiti dalla sig.ra e trasmessi iure hereditatis ai familiari, oltre ai danni morali diretti.
Ricovero anziano in casa di riposo – Caduta – Responsabilità della struttura - Cass. Civ. n. 21497-09
La Corte d’Appello di Trento, con sentenza 15-2-08, confermava la responsabilità della struttura, ritenendo irrilevante il proscioglimento in sede penale delle operatrici, perché la sig.ra, dopo avere consumato la cena, non era stata ricondotta in carrozzella nel salone dall’operatrice addetta all’incombente, perché impegnata in un compito più urgente, ma era stata affidata ad altre due operatrici intente a pulire il dopo cena e, quindi, non sorvegliata con la dovuta continua attenzione. Così era accaduto che la sig.ra si fosse alzata da sola, cadendo e fratturandosi il femore.
Ricovero anziano in casa di riposo – Caduta – Responsabilità della struttura - Cass. Civ. n. 21497-09
Se l’ospite non poteva essere direttamente sorvegliata in quel frangente, la struttura avrebbe dovuto “temporaneamente disporne la contenzione” , anche perché si trattava del primo giorno di ricovero, circostanza che già di per se aveva inciso sulle sue già compromesse capacità di autocontrollo.
La Corte d’Appello confermava l’esistenza dei danni liquidati dal Tribunale, sia sul piano biologico (lesione dell’integrità fisica della sig.ra al 100%, che aveva poi perso l’ulteriore aspettativa di vita), che morale (versandosi in ipotesi di omicidio colposo) iure proprio e iure hereditatis, riducendone l’entità per equità.
La Cassazione ha poi confermato la responsabilità della struttura in quanto la sorveglianza non era stata esercitata con la prescritta diligenza e il comportamento della sig.ra non solo non era imprevedibile, ma era evitabile con la predisposizione dei rimedi utili, anzi necessari nel caso di specie.
Comportamento negligente di due infermiere e conseguente responsabilità penale concorsuale - Cass. Pen. n. 20584-10
Il caso oggetto del giudizio : Un paziente viene sottoposto il 17-1-2001 presso la divisione di chirurgia maxillofacciale di un ospedale ad un intervento chirurgico per disarmonia dentoscheletrica dei mascellari, con asimmetria mandibolare.
L’intervento si conclude alle ore 13,00 e alle ore 14,00 si verifica una emorragia.
Dopo un consulto tra i medici, l’emorragia viene trattata con due fiale di Tranex, un antiemorraggico che fa cessare la perdita ematica, definita, peraltro, di lieve entità. Il paziente viene visitato altre due volte dal medico del reparto senza che fosse riscontrato alcun rischio rilevante nel decorso postoperatorio.
Il paziente, invece, secondo quanto riferito dai genitori, aveva subito lamentato difficoltà respiratorie e, comunque, già nel pomeriggio del 17-1-01 presentava un rigonfiamento del viso e del collo.
Alle ore 5,00 del mattino del 18-1-01, quando nel reparto prestavano servizio le infermiere C. e D., si accerta un aggravamento delle condizioni del giovane, essendo stata riscontrata una insufficienza respiratoria acuta, tanto che viene chiamato un rianimatore e il medico reperibile.
Comportamento negligente di due infermiere e conseguente responsabilità penale concorsuale - Cass. Pen. n. 20584-10
Nonostante i tentativi fatti, il paziente muore alle ore 6,15 dello stesso giorno per insufficienza respiratoria progressiva provocata dall’infarcimento emorragico dei tessuti molli della lingua della mucosa orale e dell’orofaringe, nonché dei tessuti molli adiposi ghiandolari e muscolari del pavimento buccale.
L’emorragia, che era stata causata dalla lesione di un vaso sanguigno, aveva provocato, infatti, un aumento di volume progressivo del pavimento orale e della lingua e il loro sollevamento contro la parete posteriore della faringe, con conseguente obliterazione dello spazio aereo orale e faringeo.
Il Tribunale di Lecce, con sentenza 15-2-06, ritiene responsabili del delitto di omicidio colposo in danno del paziente il primario del reparto (che aveva anche operato come capo-equipe), il medico che aveva seguito il decorso postoperatorio e le due infermiere C. e D., in servizio nella notte tra il 17 e il 18-1-01.
Comportamento negligente di due infermiere e conseguente responsabilità penale concorsuale - Cass. Pen. n. 20584-10
Tutti gli imputati vengono, quindi, condannati alla pena di un anno e sei mesi cadauno di reclusione, oltre al risarcimento dei danni, in concorso con l’azienda ospedaliera, in favore delle P.C. costituite. La sentenza viene confermata il 10-12-08 dalla Corte d’Appello di Lecce e poi dalla Cassazione il 12-2-10.
n
Ai due medici viene contestato di non avere seguito in modo appropriato e diligente il decorso postoperatorio e di non avere posto in essere la dovuta attenzione ai rischi di emorragia connessi al tipo di operazione effettuata, omettendo così di eseguire gli interventi (intubazione o tracheotomia) necessari a prevenire l’exitus.
n
Il loro comportamento è stato ritenuto colposo anche perché è emerso che sia nella serata del 17-1-01 che nella notte dello stesso giorno si era proceduto ad una continua aspirazione di sangue dalla cavità orale del malato che presentava difficoltà respiratorie sottovalutate e attribuite ad uno stato di agitazione.
Comportamento negligente di due infermiere e conseguente responsabilità penale concorsuale - Cass. Pen. n. 20584-10
Il loro comportamento è stato ritenuto colposo anche perché è emerso che sia nella serata del 17-1-01 che nella notte dello stesso giorno si era proceduto ad una continua aspirazione di sangue dalla cavità orale del malato che presentava difficoltà respiratorie sottovalutate e attribuite ad uno stato di agitazione.
In relazione alle due infermiere, rileva la Cassazione che non è stata loro richiesta una non esigibile competenza medica, ma che la loro responsabilità è stata individuata nella negligenza nel compimento di quanto rientrava nella specifica competenza infermieristica.
“Infatti, a fronte, delle reiterate richieste di intervento della madre del paziente, in presenza di evidenti difficoltà respiratorie che avrebbero dovuto indurre entrambe le imputate a ricorrere alle altrui competenza, le stesse hanno tenuto un atteggiamento distratto, manifestando fastidio per le continue richieste di intervento”.
Comportamento negligente di due infermiere e conseguente responsabilità penale concorsuale - Cass. Pen. n. 20584-10
Le due infermiere, inoltre, “sono state negligenti nell’informare il personale medico della reale situazione in atto” in quanto “non hanno dato adeguato valore al gonfiore del viso e del collo del paziente, divenuto di dimensioni tali da necessariamente richiamare la loro attenzione, tenuto conto che erano in possesso di sufficienti cognizioni tecniche per comprendere la gravità della situazione.” Anche se il medico di reparto aveva il dovere di seguire di persona l’evolversi della situazione dei malati operati, a prescindere dalla richiesta delle infermiere, queste ultime avevano a loro volta il dovere di attivarsi per richiedere un intervento dei medici in presenza di un rischio evidente.
Triage e compiti del GUP- Cass. Pen. n. 38571-10
Il caso oggetto del giudizio : Un paziente viene trasportato in ambulanza al pronto soccorso di un ospedale verso le ore 16,10 del 7/4/06 perché accusava forti dolori all’addome; nonostante le sue continue lamentele, per circa un’ora non gli veniva praticata alcuna assistenza e alle ore 18,00 decedeva per infarto del miocardio.
Vengono accusati dell’evento un infermiere del P.S. - che aveva attribuito al paziente il codice giallo e non aveva seguito l’evolversi della situazione patologica dell’assistito via via deterioratasi - e un medico del P. S. che, dopo un’ora dal ricovero, si era limitato a prescrivere un analgesico.
Nella sua decisione il GUP – pur evidenziando che la condotta dell’infermiere e del medico era stata “negligente” – ha ritenuto che gli elementi acquisiti non erano sufficienti a sostenere l’accusa nel giudizio dibattimentale perché alla luce degli esiti contrastanti delle perizie non vi era… “certezza” che il decesso non si sarebbe verificato. anche se fosse stato seguito “un ottimale percorso diagnostico terapeutico”. Il GUP, in sostanza, ha ritenuto di potere escludere in via definitiva l’esistenza del nesso di causalità tra la condotta contestata e l’evento mortale alla luce delle risposte problematiche sul punto dei vari CT e Periti.
Triage e compiti del GUP- Cass. Pen. n. 38571-10
All’esito della C.T da lui disposta, il P.M. chiede al GUP di rinviare a giudizio gli imputati in relazione al delitto di omicidio colposo in danno del paziente loro ascritto in concorso, ma il GUP dichiara non doversi procedere perché il fatto contestato non sussiste.
Su ricorso del Procuratore Generale della Repubblica la Suprema Corte annulla la decisione del GUP perché ritiene che dagli atti non emergeva con la necessaria certezza che il quadro probatorio acquisito rendesse del tutto inutile il dibattimento in quanto ulteriori accertamenti avrebbero potuto dare una risposta più esauriente al problema del nesso di causalità
Triage e compiti del GUP- Cass. Pen. n. 38571-10
Secondo la Cassazione, quindi, il GUP può definire il processo, senza disporre il rinvio a giudizio, solo se dispone di dati scientifici inequivocabili per fondare la sua tesi di accertata inesistenza del nesso causale. Se, invece, permane una situazione di incertezza che non appaia insuperabile il GUP non può impedire lo svolgimento del dibattimento preferendo una tesi ad un’altra, senza essere in possesso dei necessari dati scientifici idonei a dimostrare la palese erroneità della tesi da lui scelta e, dunque, l’inutilità del dibattimento. La regola di giudizio del GUP è, infatti, diversa da quella del Giudice del dibattimento.