Trimestrale di analisi economica Gennaio 2015
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UN ENORME CONTO IN PARTITA DOPPIA
LIVELLO MASSIMO NON PER L’OFFERTA DI PETROLIO, MA PER IL SUO PREZZO
Il mondo degli investimenti è attualmente un enorme conto in p
Il recente crollo del prezzo del petrolio greggio solleva un interrogativo: è dove temporanei ogni credito di crescita ottimismo è controbilanciato dal soltanto ildoppia segnale — di timori sulla economica globale un debito ripresa dell’economia globale guidat per cui il prezzo finiràdistruttivo. per risalire alUna di sopra del livello dei 100 dollari al barile? O èsettore l’iniziomanifatturiero di un cambiamento piùessere a lungocontrobilanciata termine della dinamica può dalla possibil del mercato?
stretta fiscale sulla crescita dell’economia statunitense dai tagli alle per spese Inoltre, la fine della recessione in Eu Propendiamo la (“sequester”). seconda ipotesi. Nei prossimi mesi invernali vi squilibriparallela economici all’internodella dell’area Eur potrebbe miglioramento essere una ripresadegli temporanea all’incremento domande essere delle raffinerie. Marispetto prevediamo che neldi prossimo decenniocrisi il dell’Eu soppesati al rischio una rinnovata prezzo del petrolio cali in termini nominali e reali. proveniente da Italia, Spagna dopo la crisi Cipriota..
Il principale rischio strutturale per questa posizione è geopolitico: La risoluzione baratro fiscale americano, il cosiddetto “fisca un’interruzione sostanzialedel della fornitura di petrolio proveniente dal Medio Oriente dallaconfronto Russia. Mafinale nel tempo, il rischioalsi tetto ridurrà il rinvioo del in relazione delcon debito ha per progressivo allontanamento delle fonti energetiche dalle zone più calde mercati di respirare più a lungo. Ma dietro a ciò vi è il rischio dal punto di vista politico. termine fis Il calo del prezzochedeli prelievi petrolio fiscali sosterràpotrebbero un dollaroaumentare più forte l’impatto in a 2,5con punti percentuali della del Prodotto Interno Lordo Sare concomitanza il miglioramento bilancia dei pagamenti USA(PIL). e l’autosufficienza energetica dell’America. colpocon alle ipotesi di crescita americana e globale. Questo è il p
problema con il potenziale di sabotare l’ottimismo.
All’inizio del millennio, si diceva che l’offerta internazionale di petrolio sarebbe aumentata e che questo Più tempo vorrai presupposti ad affrontare l’aritmetica fataledei del dilemm avrebbecicreato per un netto incremento prezzi del che avrebbe potuto determinare una americano, piùgreggio improbabile sarà qualsiasi soluzione radicale. C contrazione consumo e la crescita risultato che glidel Stati Uniti globale avrebbero davantieconomica la loro crisi del de fiscale. E i prezzi del greggio sono effettivamente sovrano. aumentati di un multiplo di cinque raggiungendo il livello record di $ 140/b. Ma poi durante la Grande Recessione i prezzi sono ripiombati al di sotto di $ 40/b, per risalire L’ottimismo in Europa rimane connesso allo Net balances with the Eurosystem/Target 2 (€nella bn) successiva ripresa fino a raggiungere $124/b a metà dell’attività economica. Da lì partono le rifo 2012 (Figura 1).
mercato e dell’austerità che portano notevol miglioramenti della competitività e degli squi paesi periferici.
Figura1200 1. Fonte: Datastream Germany, Netherlands, Luxembourg, Finland
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Figure 1. Source: Eurocrisis Monitor
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C’è stato un reflusso di capitali verso i paesi con molte conseguenze: la caduta degli squil sistema Target 2, l’aumento dei depositi ban diminuzione della dipendenza delle banche d finanziamenti della Banca Centrale Europea normalizzazione dei rendimenti obbligaziona rimborsi del fondo LTRO da parte delle ban (Figure 1).
Adesso però ci troviamo a una svolta della dinamica dell’offerta e della domanda di petrolio. L’offerta non ha raggiunto il livello massimo, il prezzo sì. Prevediamo attualmente che il prezzo del petrolio cali nettamente nel prossimo decennio. Questo avverrà grazie a una combinazione di vari fattori: 1) nuove fonti di fornitura; 2) un rallentamento della crescita della domanda di energia dovuto alla scarsa crescita economica internazionale e a una miglior conservazione dell’energia; 3) un maggior utilizzo di fonti di energia alternative (nucleare e rinnovabili).
Nuove fonti di fornitura
Figura 2. Fonte: EIA
La tradizionale fornitura di petrolio proveniente dai paesi dell’OPEC (Medio Oriente, America Latina e Africa occidentale) sta aumentando a un tasso di più dell’1% all’anno e per la fine del decennio raggiungerà i 34 milioni di barili al giorno (mbd), secondo l’agenzia statunitense EIA. Si prevede che la fornitura dei paesi non appartenenti all’OPEC (Canada, USA, Russia, Brasile, Messico) aumenti ancor più rapidamente fino al 2020, con un ritmo pari all’1,3% all’anno, per arrivare a 48 mbd, incrementando così la relativa quota di produzione di greggio. Questa ripresa è trainata dalla netta espansione del petrolio da roccia negli USA. La produzione USA di greggio è raddoppiata, passando da circa 5 mbd nel 2007 ai quasi 9 mbd attuali, un dato vicino al record storico del 1970 (Figura 2). Anche il Brasile sfrutterà le scoperte di nuovi giacimenti offshore per incrementare la produzione annuale a 3 mbd entro il 2020. Si è molto parlato del fatto che la produzione di petrolio da roccia diventa antieconomica con prezzi del greggio al di sotto di $ 85/b. Tuttavia, gli sviluppi tecnologici continuano e vi sono ancora molte riserve di scisto a livello internazionale, per cui è probabile che nel resto del decennio il punto di pareggio diminuisca gradualmente. Questo manterrà la pressione sull’OPEC per permettere un calo del prezzo del greggio a fronte dell’aumento dell’offerta. Altro importante fattore che contribuisce a questo punto critico per la produzione non-OPEC potrebbe essere il Messico. Il termine del monopolio di stato di Pemex, durato 75 anni, permetterà all’investimento estero di invertire il calo di produzione registrato nel decennio scorso.
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Entro la metà del 2015 sarà in corso una nuova esplorazione. Con 10 miliardi di barili di riserve accertate e altri potenziali giacimenti offshore, la produzione petrolifera del Messico potrebbe aggiungere all’offerta globale fino a 2 mbd all’anno, ossia il 3%. Analogamente, se nei prossimi anni dovesse materializzarsi un cambiamento politico in Venezuela, anche in questo paese l’investimento estero potrebbe espandere la produzione sofferente e sfruttare le più grandi riserve petrolifere accertate del mondo. Possiamo infine prevedere che venga avviata la produzione di petrolio da roccia al di fuori degli USA, in luoghi come la Polonia e la Cina, un’offerta non ancora considerata nelle attuali stime delle agenzie internazionali.
Una crescita economica inferiore e una migliore conservazione dell’energia Le agenzie internazionali per l’energia, l’AIE e l’EIA, prevedono un rallentamento della crescita della domanda di energia nel resto del decennio. In effetti, l’AIE ha appena ridotto del 22% la previsione della crescita della domanda nel 2015, a quota 1,1 mbd, la crescita più debole degli ultimi cinque anni. Tutti i segnali dell’era successiva al crollo finanziario internazionale fanno pensare che la crescita economica mondiale sarà più lenta che mai, a causa di una minor crescita della produttività nei paesi sviluppati e dalla mancanza di riforme strutturali nel BRIC. Secondo l’FMI, attualmente la crescita del PIL reale internazionale è pari al 3,4%, e si prevede che aumenti al 3,8% nel 2015. L’EIA prevede una crescita internazionale intorno al 4,5% all’anno fino al 2020 ma sembra un’ipotesi ottimistica. Con la crescita della produttività internazionale attestata su una media dell’1,5% circa all’anno e la crescita dell’occupazione a un livello analogo, una crescita del PIL reale annuale pari al 3,0-3,5% potrebbe essere la norma per il resto del decennio. E qualsiasi rallentamento nelle economie emergenti, dove recentemente si sono visti segnali, incrementerebbe il rischio di peggioramento. C’è poi l’impatto della nuova tecnologia e delle politiche governative per migliorare la conservazione dell’energia nel campo dei trasporti e della generazione di energia nei paesi dell’OCSE e uno sviluppo urbano più verticale nelle economie emergenti.
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In Nord America continua la “spinta” per l’efficienza del carburante nei veicoli a motore, che aumenterà parallelamente all’espansione di auto e autobus elettrici e ibridi. L’impiego di “tempo alla guida” da parte delle famiglie americane sta precipitando (Box 1). In Europa, i governi continuano a imporre tasse elevate sul carburante per motori espandendo il trasporto pubblico, spesso non basato sul petrolio. Al contempo, Cina e India stanno costruendo la maggior parte della nuova capacità mondiale in centrali energetiche, utilizzando la tecnologia più avanzata del settore. La Cina è attualmente il principale motore della domanda di energia. E la Cina e l’India si stanno inurbando velocemente, con 900 milioni di cinesi che vivranno nelle città entro la fine del decennio. Le città verticali riducono il trasporto e la Cina sta costruendo in altezza, sta passando dall’industria pesante a quella più leggera e al settore dei servizi in cui la domanda di energia è meno intensa. L’industria rappresenta attualmente il 60% della domanda energetica della Cina, che scenderà al 53% entro il 2020.
Box 1. Fonte: Independent Strategy
Se l’intensità energetica in Cina è attualmente tre volte maggiore di quella dell’altro grande consumatore di energia, gli USA, entro il 2020 l’intensità della Cina sarà diminuita di un terzo rispetto a un calo del 16% negli USA. Uno dei motivi è il fatto che la dipendenza dalla fornitura di energia straniera è una vulnerabilità strategica e sostituire la fornitura nazionale significa utilizzare carbone sporco e incrementare ulteriormente l’inquinamento. Il nucleare contribuirà a colmare il divario, ma l’efficienza energetica è uno degli obiettivi fondamentali della politica governativa di Pechino. Secondo McKinsey, l’efficienza energetica ridurrà la domanda globale del 12% fino al 2020, controbilanciando l’effetto della crescita della popolazione. Sarà quindi in realtà il ritmo di crescita del PIL pro capite a determinare la domanda energetica. E McKinsey ritiene che non sarà superiore al 2,3% all’anno su scala internazionale; il dato equivale a una crescita del PIL reale pari al 3,3%, ben al di sotto delle previsioni di consenso.
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Un passaggio più rapido alle fonti alternative di energia C’è un altro fattore che ci induce a una posizione prudente riguardo ai prezzi del petrolio. Il passaggio alle energie rinnovabili (fonti di combustibili non-fossili) sta veramente per decollare. Nei prossimi dieci anni le sovvenzioni per le fonti rinnovabili raddoppieranno e il costo di produzione di energia rinnovabile sta diminuendo rapidamente (Box 2). Inoltre le forniture di gas naturale diventeranno sempre più disponibili oltre le frontiere nazionali con l’ingresso in una nuova fase di espansione della produzione e delle esportazioni di gas liquido. Questi fonti rappresentano attualmente il 14% dell’offerta internazionale di combustibile. Ma nei prossimi dieci anni questa quota è destinata a salire intorno al 20%. Un altro importante sviluppo dell’energia alternativa è la generazione di elettricità da parte delle famiglie che utilizzano l’energia solare o eolica e poi contribuiscono alla rete nazionale, in abbinamento a una “rete intelligente” che gestisce la generazione e il consumo di energia.
Box 2. Fonte: Lazard, Independent Strategy
Sviluppo molto interessante, Lockheed Martin ha appena annunciato una scoperta rivoluzionaria, ossia la creazione di un reattore a fusione nucleare funzionante abbastanza piccolo da “essere montato su un camion”. La tecnologia della fusione nucleare evita qualsiasi radioattività e riduce le scorie nucleari al minimo. Se dovesse diventare operativa nel giro di un decennio, come sostiene Lockheed, cambierebbe le regole del gioco nel campo dell’energia.
Rischio geopolitico Come abbiamo visto recentemente, il prezzo del petrolio greggio può essere piuttosto volatile e prevediamo un rischio a lungo termine, ossia una sostanziale interruzione delle forniture mediorientali per un periodo prolungato a causa di guerra, terrorismo e turbolenze politiche. Considerate le guerre in Ucraina, Siria, Iraq e la turbolenza politica in Libia, Yemen e potenzialmente in Iran, il pericolo non è trascurabile. Rimane anche il rischio di problemi in Venezuela se il governo chavista resiste alla perdita di potere in una battaglia politica. 5
Tuttavia, se i sauditi e gli stati del Golfo rimangono fuori dallo scenario, le forniture dell’OPEC non dovrebbero risentirne troppo. E ancor più importante, l’offerta di petrolio e le fonti alternative di energia si stanno costantemente spostando da queste zone “calde” dal punto di vista politico a luoghi più sicuri come Nord America, America Latina e anche Asia ed Europa.
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PETROLIO: SALE LA PRESSIONE La duplice pressione delle sanzioni occidentali, in reazione all’intervento russo in Ucraina, e del calo dei prezzi del petrolio è una miscela tossica per il presidente Putin. È probabile che i mercati si rendano conto a breve che entro la metà dell’anno prossimo la Russia rimarrà senza soldi (riserve valutarie). Ciò potrebbe rendere il paese imprevedibile su molti fronti, compreso quello militare, ma evoca lo spettro di default delle obbligazioni, fallimento di banche e una caduta libera del rublo. Purtroppo è probabile che gli effetti si avvertano anche in Europa, attraverso il colpo inflitto alla fiducia economica tedesca (malgrado i flussi commerciali di scarsa entità provenienti dall’energia, le imprese tedesche del settore Mittlestand sono eccessivamente impegnate con la Russia in termini di investimento diretto) e naturalmente i debiti nei confronti delle banche dell’Eurozona. La storia russa continua a proiettare una lunga ombra. Il crollo del rublo parallelamente a quello del greggio non fa che esacerbare i problemi per lo più autoinflitti che sono sorti all’inizio dell’anno quando la Russia è intervenuta in Ucraina. Non vi sono segnali evidenti di un cambiamento di direzione a Mosca. Il discorso sullo stato della nazione di Putin rafforza la logica lacunosa della sua strategia diplomatica, se così si può chiamare. Avvisare i russi di prepararsi per un periodo difficile potrebbe sembrare una logica impeccabile per un nazionalista classico ma non rispecchia le dure realtà economiche del petrolio al di sotto di 70 dollari USA al barile. All’inizio di dicembre, Putin ha firmato la legge di bilancio 2015 che è incentrata su una previsione del prezzo del petrolio di US$ 100/barile, con una revisione al ribasso rispetto al livello di US$ 105 usato per il 2014. Sulla base di questo presupposto si prevede un deficit di bilancio pari allo 0,6% del PIL e una crescita del PIL pari all’1,5%. Qualsiasi ammanco sarà coperto attingendo al Fondo di riserva di 80 miliardi di dollari USA, destinato a far fronte alle fluttuazioni del prezzo del petrolio. Questo fondo di riserva è considerato parte delle riserve in valute estere; non può essere usato due volte per sostenere il rublo e il bilancio. C’è la stessa differenza che passa tra il giorno e la notte tra il prezzo del petrolio previsto nel bilancio e i livelli attuali. Il reddito generato dal petrolio rappresenta circa il 51% dei ricavi totali a bilancio. Eliminandone un terzo, che è quanto è accaduto ai prezzi del petrolio, si rivela quasi subito un ammanco di 42 miliardi di dollari USA. 7
C’è una certa compensazione dovuta al fatto che il reddito da petrolio in dollari USA va a ripagare in misura decisamente maggiore i costi in rubli. Sarebbe tuttavia ragionevole aspettarsi che soltanto l’anno prossimo il governo debba prelevare dal Fondo di riserva tra i 20 e i 30 miliardi di dollari USA per soddisfare gli obiettivi. Dato che l’economia sarà in recessione per effetto degli stabilizzatori automatici e per il calo delle entrate non di origine petrolifera, il risultato potrebbe essere peggiore e perdurare anche oltre l’anno prossimo.
Figura 3. Fonte: CBR, Independent Strategy
Il calo dei prezzi del petrolio cancellerà anche l’attuale eccedenza della bilancia dei pagamenti. La sua relativa stabilità dall’inizio della crisi finanziaria maschera il cambiamento di dipendenza osservato nel periodo. La Russia ha un deficit crescente delle entrate e dei servizi e anche il deficit commerciale non petrolifero sta aumentando costantemente. Al momento le esportazioni di petrolio bastano a coprire tutto questo e anche altro, con le vendite da esportazioni che rappresentano il 16% del PIL su una base mobile del quarto trimestre (Figura 3). Ma se si elimina il 30% , l’eccedenza globale della bilancia dei pagamenti, pari all’1,9%, passa a un deficit del 2,2%, che equivale a un buco di 34 miliardi di dollari USA. C’è poi il problema costante della fuga di capitali, le cui previsioni continuano a essere riviste al rialzo. Attualmente si ritiene che quest’anno se ne vadano 150 miliardi dollari USA con altri 120 miliardi che secondo le previsioni ufficiali lasceranno il paese l’anno prossimo. Noi prevediamo una cifra superiore, diciamo 200 miliardi di dollari USA. C’è inoltre il problema dell’onere del debito esterno di 540 miliardi di dollari USA, 77 miliardi dei quali sono classificati a breve termine. Se è in gran parte sostenuto dai ricavi generati dalle esportazioni di idrocarburi, per quanto in calo, il problema principale è adesso quello del rinnovo del debito. Le sanzioni si stanno rivelando molto efficaci nello scoraggiare il reinvestimento occidentale in Russia, per non parlare dell’iniezione di nuovi capitali. La Russia sta compiendo sforzi per attrarre altro denaro, corteggiando la Cina e recentemente la Turchia. Ma ci vuole tempo per conquistare nuovi partner.
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Questi pagamenti dovranno quindi provenire dal flusso di cassa delle aziende o, se le banche faticano a coprire le passività obbligazionarie, dalla Banca centrale russa, che sarebbe costretta a scendere in campo e fornire liquidità. Rosneft ha già richiesto sussidi statali per 44 miliardi di dollari USA che contribuiscano ad arginare l’impatto delle sanzioni e a coprire il debito estero per 30 miliardi di dollari USA che scade entro la fine del 2015. Non è una bella notizia per le riserve russe che sono già diminuite dai 510 miliardi di dollari USA alla fine del 2013 agli attuali 428 miliardi, ossia del 16%. Ma se si esaminano le riserve utilizzabili — che escludono i fondi sovrani, l’oro e i Diritti speciali di prelievo del FMI — il calo è da 289 a 207 miliardi di dollari USA, ossia -28%. La velocità di depauperamento è stata rallentata dall’abbandono della parità variabile e dagli interventi quotidiani sui cambi che l’hanno accompagnato, ma in seguito alle pressioni sottostanti esercitate dalla fuga di capitali e dal riscatto di obbligazioni, la domanda di valuta estera continuerà a essere superiore all’offerta e alle scorte della banca centrale.
Figura 4. Fonte: Datastream
Se aggiungiamo semplicemente la prevista fuga di capitale e le obbligazioni in valuta estera in scadenza a breve termine, la domanda di valute dovrebbe attestarsi nel 2015 a 260 miliardi dollari USA mentre il calo del 30% degli introiti derivanti dalle esportazioni di petrolio crea un ulteriore buco di 98 miliardi di dollari. Anche ignorando l’effetto del petrolio, basandosi sul presupposto estremamente ottimistico che il Fondo di riserva sia in grado di far fronte al calo dei prezzi, i livelli di riserve in valute estere saranno quasi esauriti entro la fine dell’anno prossimo. A questo ritmo, infatti, le riserve utilizzabili per le importazioni raggiungeranno entro l’estate il livello critico di copertura a tre mesi (Figura 4). Vi sono naturalmente altri fattori mutevoli da valutare, come per esempio gli effetti collaterali più favorevoli di una valuta più debole grazie ai quali i guadagni sulle valute aumenteranno e la domanda di importazioni diminuirà parallelamente alla riduzione della crescita, ma con le sanzioni che isolano le imprese russe e Putin focalizzato sull’idea di ristabilire la “Novorossiya” nell’Ucraina sudorientale, rimane come minimo la tendenza a un ulteriore isolamento. E vi sono pochi segnali di accettazione di un riavvicinamento da parte dell’Occidente finché gli stivali russi calpesteranno il suolo ucraino.
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Qualsiasi sforzo di sciogliere le tensioni dovrà venire da Putin stesso. Malgrado la retorica, il suo regime teme la minaccia di sommosse sociali interne. Le autorità temono che le eventuali dimostrazioni contro il regime possano rapidamente sfuggire di mano e possano essere “sfruttate” dalle potenze occidentali per insidiare il governo russo. È dopo tutto quanto Putin ritiene che sia accaduto in Ucraina e in Georgia. Per Putin è ancora possibile gestire un ridimensionamento della crisi senza recedere completamente dalle sue posizioni. Mosca potrebbe rinunciare all’embargo imposto come rappresaglia sui cibi provenienti dall’UE, che ha già contribuito a un netto aumento dei prezzi dei generi alimentari. Una reazione più brusca a questo rischio è però un divieto delle esportazioni alimentari che contribuirebbe ad attenuare l’inflazione interna dei generi alimentari ma determinerebbe un aumento dei prezzi dei cereali in Occidente. Putin potrebbe anche rinviare alcune decisioni di spesa militare, liberando così liquidità per il consumo interno. Ma, in ultima analisi, i russi dovranno affrontare l’estenuante prospettiva di convincere l’UE e gli USA a revocare le sanzioni contro il suo regime, preludio per riconquistare il pieno accesso ai mercati finanziari internazionali e stabilizzare l’economia. Non sarà facile. La tecnica preferita di Putin, che consiste nel far circolare voci rassicuranti sull’Ucraina senza effettuare alcuna concessione, non sarà accettata in Occidente e in particolare non in Germania, che è fondamentale per il regime delle sanzioni. È inoltre probabile che il Congresso USA, controllato dai repubblicani, sostenga la questione della fornitura di armi al governo ucraino. Il senatore John McCain, che probabilmente dirigerà l’onnipotente Comitato per le Relazioni estere del Senato americano, ha già richiesto ufficialmente questo provvedimento. Putin dovrà reagire in fretta per ottenere la revoca delle sanzioni. E intanto avrà sempre difficoltà a trattare con i sauditi riguardo alla gestione dei prezzi del petrolio, dato che i due stati hanno interessi divergenti: si contendono la quota di mercato in Asia e i sauditi odiano il sostegno di Putin al governo siriano e all’Iran. Al momento l’ipotesi più attendibile è che Putin rimanga arroccato sulle sue posizioni per la maggior parte del prossimo anno, nella speranza che il calo dei prezzi del petrolio si fermi e che le sanzioni vengano revocate per scelta degli occidentali, senza che Mosca debba effettuare alcun compromesso significativo. Rimarrà probabilmente deluso. 10
BCE: SI VOTA PER IL QE All’inizio del 2015 la BCE introdurrà il Quantitative Easing (QE) sotto forma di programma di acquisti puri e semplici di obbligazioni sovrane dell’Eurozona, e obbligazioni corporate con rating AAA. È probabile che vi sia una solida maggioranza a favore del QE nel Consiglio Direttivo della BCE e che il nuovo sistema di voto non cambi la situazione. Il Consiglio direttivo sembra agire in base ai dati e a gennaio i dati sull’economia dell’Eurozona si prospetteranno con ogni probabilità ancora peggiori, specialmente per il mandato della BCE sull’inflazione dopo il brusco calo dei prezzi dell’energia. Questo spingerà le aspettative di inflazione a medio termine ulteriormente al di sotto del target della BCE, determinando una stretta indesiderata della politica monetaria. Gli altri metodi di iniezione di credito non riusciranno a espandere sufficientemente il bilancio della BCE. Sicuramente, la scarsa acquisizione netta di TLTRO (operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine) e i vincoli sugli acquisti di altri asset rendono necessario un QE completo per raggiungere l’obiettivo “perseguito” della BCE di un incremento di 1 trilione di euro del bilancio. Come affermato nella nota del Consiglio direttivo di dicembre: “le misure avranno un impatto considerevole sul nostro bilancio, che vogliamo che vada verso la dimensione che aveva all’inizio del 2012.…. Non è più un’ipotesi; è un’intenzione ma non è ancora un obiettivo. Quindi una via di mezzo.” È difficile che il QE rafforzi direttamente l’economia reale ma modificherà i portafogli con un passaggio da asset sicuri ad altri più rischiosi e un potenziale beneficio per i titoli azionari. E indebolirà ulteriormente l’euro, parallelamente all’espansione del bilancio della BCE e all’inizio della normalizzazione della politica monetaria della Fed.
Un provvedimento che finora non ha funzionato Il presidente della BCE Mario Draghi e il suo consiglio si sono impegnati a incrementare le dimensioni del bilancio della banca di una somma fino a 1 trilione di euro in due anni. Finora la BCE ha implementato un QE in versione “light” sotto forma di programma di acquisto di asset-backed securities (ABS) e covered bond. Ha anche introdotto operazioni di rifinanziamento a lungo termine (TLTRO). Ma questi programmi non sono neanche lontanamente sufficienti per ottenere l’incremento degli asset della BCE ritenuto necessario per indurre le banche ad acquistare asset rischiosi o a concedere prestiti al settore 11
non finanziario. Riteniamo al massimo che la BCE possa incrementare il bilancio della metà della somma prevista (500 miliardi di euro rispetto all’espansione auspicata di 1 trilione di euro). Il programma di TLTRO si è mostrato lacunoso, in parte a causa dell’errata valutazione dei prestiti da parte della BCE e in parte perché le banche hanno scarso desiderio di liquidità aggiuntiva, e rimborsano gli LTRO in scadenza a un ritmo più rapido di quello di acquisizione del nuovo strumento rappresentato dai TLTRO.
Figura 5. Fonte: ECB
I risultati dell’asta di dicembre rafforzano questa impressione, con soltanto 129,8 miliardi di euro acquistati dalla banche offerenti. Era l’ultima opportunità per le banche di assorbire liquidità prima della scadenza degli LTRO a tre anni emessi nel 2012 (30 gennaio e 27 febbraio mentre la prossima asta di TLTRO non è prevista fino a marzo). Stando così le cose, vi sono LTRO in scadenza per 270 miliardi di euro, a fronte dei 212 miliardi di euro acquistati alle prime due offerte di TLTRO. Il che significa che questa parte del bilancio della BCE continuerà a contrarsi fino a marzo, lasciando (per ora) gli acquisti di ABS e covered bond come unico mezzo di espansione. Ad oggi l’effetto netto è un bilancio piatto (Figura 5). Nel contempo, l’economia dell’Eurozona rimane in ginocchio e l’inflazione (e le previsioni di inflazione) sono in calo (Figura 6). Il mandato della BCE è correggere la politica monetaria in modo che l’inflazione annua nell’Eurozona sia intorno al 2%, obiettivo che non sembra essere raggiungibile.
Figura 6. Fonte: Eurostat
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E le previsioni di inflazione non suggeriscono un’inversione nel breve periodo della quasi deflazione nell’Eurozona. È quindi previsto un passaggio a un QE completo e ad acquisti di obbligazioni sovrane per l’inizio del 2015, ma vi sono alcuni problemi.
Le regole di votazione della BCE Innanzitutto, i tedeschi e i loro alleati dell’Europa settentrionale e dell’Est all’interno del Consiglio direttivo rimangono contrari a questa mossa. La questione è se Draghi e il consiglio della BCE riusciranno a convincere la maggioranza del Consiglio direttivo a sostenere il QE completo malgrado l’opposizione capitanata dai tedeschi. Draghi ha indicato chiaramente di essere pronto a prendere questa decisione sulla base del voto di maggioranza, anche se per un passo importante come l’introduzione del QE sovrano sarebbe auspicabile una maggioranza schiacciante.
Figura 7. Fonte: BCE, Independent Strategy
Per citare Draghi stesso nelle Domande & Risposte dopo l’ultima riunione del Consiglio direttivo: “Riguardo al QE, avete chiesto se dobbiamo ottenere l’unanimità per procedere e se basta la maggioranza? Penso che non sia necessario avere l’unanimità. È un’importante misura di politica monetaria. Può essere strutturata, credo, in modo da ottenere il consenso. Sono ancora fiducioso ma dobbiamo ricordare che abbiamo un mandato e, come ho detto prima, non tolleriamo deviazioni dal nostro mandato che finirebbero per causare una stretta, una stretta indesiderata della nostra politica monetaria.”…ma “se guardate le passate esperienze abbiamo preso la maggioranza delle decisioni di politica monetaria in una situazione in cui non c’era unanimità. Quindi è questo che dobbiamo tenere a mente. Dobbiamo assolvere il nostro mandato. Qui non siamo politici. Abbiamo un mandato chiarissimo a riguardo.” E il 2015 vede entrare in vigore la nuova composizione del voto del Consiglio direttivo (Figure 7 & 8). Il Consiglio direttivo è composto di sei membri a tempo pieno del Comitato esecutivo che hanno diritto di voto in tutte le riunioni. Da gennaio, tuttavia, gli altri membri votanti sono divisi in due gruppi. Il primo sarà composto dai governatori delle cinque maggiori economie dell’Eurozona: Germania, Francia, Italia, Spagna e Olanda, che “condivideranno” quattro voti, per cui un membro non voterà a rotazione (ogni sei settimane).
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Figura 8. Fonte: ECB, Independent Strategy
Il secondo gruppo sarà composto dai restanti 14 stati che condivideranno 11 voti, di nuovo a rotazione. Tutti i membri del Consiglio direttivo parteciperanno alle riunioni e avranno diritto di parola, quindi in termini di dibattito non cambierà nulla ma cambieranno soltanto i voti a rotazione tra i membri del Consiglio. 14
Riteniamo che tra i presidenti delle banche centrali dei 19 stati membri del Consiglio direttivo ci siano dieci colombe e sei falchi, con il resto dei votanti più reattivi alle condizioni che all’ideologia. A gennaio, non possono votare tre colombe (Grecia, Spagna e Irlanda) e a marzo non può l’Italia. Ad aprile però saranno privi di voto i falchi (Lettonia, Lituania e Olanda). Potrebbe influire sul dibattito e sulla tempistica riguardo all’introduzione del QE completo il momento in cui il membro tedesco (Jens Weidmann) perde i diritti di voto? Il presidente della Bundesbank perde il voto per la prima volta nel maggio 2015 e con lui tre alleati del secondo gruppo di votanti, che potrebbero avere dubbi sulla questione: Lettonia, Lituania e Lussemburgo. Riteniamo però che qualsiasi voto in merito al QE sarebbe più convincente se Weidmann dovesse votare. E con tutta probabilità la decisione verrà presa ben prima di maggio. Le notizie provenienti dalla Germania fanno pensare che Draghi potrebbe avere difficoltà a ottenere la maggioranza del Consiglio direttivo per il QE completo. Gli editoriali suggeriscono che il membro francese del comitato Coeure abbia votato recentemente contro la decisione del Consiglio direttivo di promuovere a “intenzione” la richiesta di una “ipotesi” per rafforzare il bilancio della BCE di 1 trilione di euro. Quindi il comitato di sei membri della BCE è diviso al 50:50. Riteniamo tuttavia che Coeure sosterrà il QE completo quando sarà il momento. Le sue esitazioni riguardavano la tempistica, non il principio e aspettava solo prove chiare per sostenerlo. Inoltre, nel corso della riunione di dicembre il Consiglio direttivo ha votato per 18 a 6 il cambiamento da “ipotesi” a “intenzione”. Ancora una volta, un chiaro segno che la maggioranza del consiglio ritiene che il QE sovrano sia una leva politica necessaria. È improbabile che lo schema di votazione modificato influisca sulla maggioranza di Draghi.
La Corte europea C’è un altro problema che sarà sollevato durante la prossima riunione del comitato della BCE, il 22 gennaio. Il 14 gennaio la Corte Europea di Giustizia (CEG) deciderà sulla legalità del programma di Outright Monetary Transactions (OMT, operazioni monetarie definitive) della BCE. Anche se le specifiche del programma non sono mai state rivelate, l’idea era che la BCE acquistasse le obbligazioni dei governi in difficoltà per garantire un “ragionevole tasso nei mercati obbligazionari”, a condizione che questi si impegnassero anche in un programma di riforme economiche con il fondo di assistenza della zona euro, il Meccanismo europeo di stabilità. 15
I parlamentari tedeschi hanno tuttavia presentato ricorso presso la Corte costituzionale (CC) tedesca sostenendo che le OMT fossero incompatibili con il trattato dell’UE in quanto si tratta di un sussidio diretto alle economie, senza l’attuazione di riforme. Nell’ottobre scorso il tribunale tedesco ha deferito la questione alla CEG per una sentenza preliminare. La decisione della CEG non è vincolante ma qualora fosse contraria alle OMT rischierebbe di politicizzare il dibattito sull’acquisto di bond. Le complicazioni non sono finite qualora venga deciso che le OMT sono legali, il caso verrà allora nuovamente passato alla CC tedesca che dovrà ancora stabilire se siano illegali secondo la costituzione del paese. È possibile che in realtà queste vicissitudini legali accelerino l’implementazione del QE completo da parte della BCE come alternativa alle OMT, nel timore di essere bloccata da decisioni future.
Il QE completo a inizio 2015 In un discorso tenuto il 9 dicembre, il membro del comitato esecutivo della BCE Peter Praet ha dichiarato chiaramente che la BCE è pronta a passare al QE completo. Praet ha ammesso che soltanto gli acquisti diretti di obbligazioni sovrane avrebbe fornito un sostegno sufficiente e valido all’economia: “Sarebbe l’unico mercato in cui la grandezza in generale non sarebbe un problema. Gli interventi in questo mercato comporterebbero quindi con ogni probabilità un segnale più forte del fatto che la BCE — in linea con le nostre indicazioni previsionali (forward guidance) — è impegnata a mantenere una posizione accomodante per un protratto periodo di tempo. Questo segnale, oltre a comprimere ulteriormente la curva senza rischio, dovrebbe anche trasmettersi alle previsioni di inflazione, contribuendo così a ridurre il tasso di interesse reale previsto.” Riteniamo quindi che il QE completo sia una probabilità al 90% all’inizio del 2015 e al 65% a gennaio. La BCE procederà per gradi. Non vi sarà una strategia terroristica, come per esempio dichiarare un obiettivo di 1 trilione di euro soltanto per il QE. Questo strumento sarà usato a complemento dell’espansione del bilancio generata da ABS, covered bond e altre linee di credito come le Main Refinancing Operations e le Targeted Long-Term Refinancing Operations. Riteniamo che anche le obbligazioni corporate AAA saranno aggiunte all’elenco degli asset da acquistare. Se i risultati delle misure complementari al QE saranno inadeguati, saranno incrementati gli acquisti di titoli sovrani. Ma analogamente, se le attuali misure si rivelano più efficaci nel tempo, la BCE non è tenuta a rispettare un tasso prestabilito di accumulo di debito sovrano.
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L’allocazione degli acquisti tra le obbligazioni degli stati membri sarà più o meno equivalente alla ponderazione di ogni stato membro nella BCE, con qualche aggiustamento per gli stati ancora nel programma della Troika (come la Grecia) e per gli stati con piccoli mercati di obbligazioni non liquide. L’alternativa di stabilire gli acquisti del QE in base alla grandezza dei mercati di obbligazioni sovrane degli stati membri non è una soluzione efficace perché potrebbe premiare gli stati che non hanno attuato riforme e aumenterebbe la resistenza al QE all’interno del Consiglio direttivo.
Conclusioni L’impatto immediato del QE si farà sentire sul tasso di cambio, che favorisce la sostenibilità del debito aumentando l’inflazione e la crescita del PIL nominale, mentre i rendimenti delle obbligazioni vengono limitati dagli acquisti del QE. Un tasso di cambio inferiore potrebbe aiutare le esportazioni dell’Eurozona e far partire investimenti per soddisfare quella domanda. L’effetto di sostituzione degli asset aumenterà indubbiamente i prezzi di quelli più rischiosi, come per esempio gli azionari, e con questi la fiducia. Il recente rialzo delle obbligazioni sovrane nell’Eurozona significa che gli effetti sui flussi di un programma di QE è ora ampiamente considerato nei prezzi. Chiaramente, l’effetto sull’economia reale si manifesta con un certo ritardo. Il principale rischio dell’implementazione del QE è un’eventuale stretta simultanea della Fed. In questo caso i rendimenti delle obbligazioni dell’Eurozona potrebbero aumentare malgrado la mossa della BCE. Il motivo per cui potrebbe accadere è la preponderanza di dollari USA nel debito internazionale (circa i due terzi). Questo rimetterebbe in causa la sostenibilità del debito periferico e compenserebbe molti degli effetti benefici del QE.
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