Capitolo 6
Supporto farmacologico della funzione respiratoria Giovanna Mercurio e Massimo Antonelli
Numerose terapie farmacologiche sono state utilizzate nel corso degli anni nel trattamento di pazienti critici affetti da insufficienza respiratoria. Il razionale dell’impiego del supporto farmacologico si basa sulla comprensione dei meccanismi fisiopatologici che sostengono l’insufficienza respiratoria e varia pertanto nel paziente con patologia acuta o con riacutizzazione di un’insufficienza respiratoria cronica. Partendo da tali presupposti, nel presente capitolo si discuteranno i principali trattamenti farmacologici di supporto della funzione respiratoria, con particolare riguardo alla farmacoterapia dei pazienti critici con Acute Lung Injury (ALI)/Acute Respiratory Distress Syndrome (ARDS) e con riacutizzazione di Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO).
LIMITI DELLA SPERIMENTAZIONE DI TRATTAMENTI FARMACOLOGICI IN CORSO DI ALI/ARDS Lo standard terapeutico nel trattamento dell’ALI/ARDS è rappresentato dal supporto ventilatorio con strategia protettiva a bassi volumi polmonari [1], non oggetto della presente discussione, dal management ristretto della terapia fluidica, dall’apporto nutrizionale e dal trattamento specifico dell’agente eziologico del danno polmonare, qualora identificabile. Il trattamento farmacologico dell’ALI/ARDS deve considerare le cause specifiche che sono alla base del danno polmonare. In particolare, è rilevante distinguere tra ALI/ARDS da danno polmonare diretto e da cause sistemiche (indirette, non polmonari). © 2012 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati.
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Cause dirette di danno polmonare includono le infezioni batteriche e/o virali, l’aspirazione di contenuto gastrico, il trauma toracico chiuso con contusione polmonare, l’aspirazione di meconio nei neonati, l’annegamento, le radiazioni toraciche, l’iperossia e la inalazione di fumi e altre sostanze tossiche. Cause indirette sistemiche includono la sepsi, le ustioni, lo shock ipovolemico, il trauma, le trasfusioni multiple e la pancreatite. La fisiopatologia dell’ALI/ARDS è particolarmente complessa in caso di insulti sistemici, quali la sepsi, in cui si determina una sindrome infiammatoria sistemica e/o il coinvolgimento multiorgano [2]. La patologia sistemica delle forme di ALI/ARDS indirette limita significativamente l’efficacia del trattamento farmacologico, che ha come target primario il danno polmonare. Le analisi post hoc di 2 recenti trial clinici sull’utilizzo della terapia con surfactante in corso di ALI/ARDS hanno infatti dimostrato un’efficacia maggiore del trattamento, oggetto della sperimentazione, in caso di danno polmonare primario rispetto alle forme da insulti indiretti [3, 4]. La difficoltà maggiore nel testare e valutare l’efficacia del trattamento terapeutico in pazienti con ALI/ARDS è rappresentata, non solo dall’eziologia multifattoriale della patologia stessa, ma anche dall’eterogeneità delle popolazioni prese in esame. Un qualsiasi trattamento farmacologico può pertanto dimostrarsi efficace nel ridurre il danno primario o sistemico, ma i benefici sulla sopravvivenza e/o su altri outcome clinici a lungo termine sono limitati da fattori confondenti, quali l’età, le comorbilità e gli aspetti multifattoriali della patologia di base. In considerazione di quanto suddetto, la valutazione dell’efficacia della farmacoterapia in corso di ALI/ARDS richiede l’utilizzo di trial clinici 95
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TABELLA 6.1 Target terapeutici e meccanismo di azione dei principali agenti farmacologici impiegati nella fase essudativa dell’ALI/ARDS Target terapeutici
Meccanismo di azione
Agenti terapeutici
↑ QC agli alveoli ventilati ↑ vasocostrizione ipossica in aree non ventilate ↑ tensione superficiale e VA ↓ formazione di trombi e ↑ Qc ↓ edema interstizio-alveolare
iNOb, prostacicline aerosolizzate Almitrina Calfactant, proteina C ricombinante del surfactante Proteina C attivata, FFR-rFVIIac, rTFPId 2 agonisti
Riduzione dell’infiammazione
Antagonizzare recettore TNF-␣e Antagonizzare IL-8f Bloccare il legame CD40 e il suo ligando Ridurre la produzione di citochine infiammatorie
anti-TNF-␣, bloccanti il recettore per il TNF-␣, pentossifillina Anticorpi monoclonali anti-IL-8 Anticorpo monoclonale anti-CD40 (MR1) Cisatracurio besilato
Riduzione del danno ossidativo
Inibizione PDEi Inibizione formazione radicali liberi dell’O2
Pentossifillina Pentossifillina, NACg, SODh
Riduzione del mismatch VA/QC
a
VA/QCa: ventilazione alveolare/perfusione capillare; iNOb: ossido nitrico inalatorio; FFR-rFVIIac: fattore VII ricombinante; rTFPId: inibitore ricombinante della via del fattore tissutale; TNF-αe: tumor necrosis factor-α; IL-8f: interleuchina-8; NACg: N-acetilcisteina; SODh = superossidodismutasi; PDEi = phosphodiesterase Inhibitor.
randomizzati, che includano un campione ampio di pazienti e che siano disegnati in modo tale da controllare l’eterogeneità della popolazione presa in esame e delle variabili di outcome.
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO IN CORSO DI ALI/ARDS: PRESUPPOSTI FISIOPATOLOGICI E TARGET TERAPEUTICI Generalmente, l’ALI/ARDS è suddivisa in 2 fasi predominanti: la fase precoce essudativa e quella tardiva proliferativa. Entro 12-72 ore dall’evento scatenante, la fase essudativa è caratterizzata dalla comparsa di edema interstizio-alveolare, che si associa all’aumento della permeabilità della membrana alveolo-capillare [5]. Nei successivi 3-7 giorni il danno della barriera alveolo-capillare progredisce con il denudamento della lamina basale e la formazione di membrane ialine intralveolari, che contengono proteine plasmatiche, fibrina e depositi cellulari. Si attiva contestualmente la cascata coagulativa e del complemento, con rilascio di citochine/chemochine infiammatorie e di radicali liberi dell’ossigeno [6]. Il flusso e la perfusione polmonare sono ridotti nella fase essudativa dell’ALI/ARDS, a causa della formazione di trombi, del sequestro intravascolare di leucociti e piastrine, e dalla vasocostrizione ipossica. In questa fase, l’attività del surfactante è danneggiata da molteplici meccanismi, tra i quali l’interazione con le proteine sieriche e altri inibitori [7, 8]; inoltre, il suo metabolismo, inclusa la produzione di apoproteine, è alterato dalla distruzione delle cellule alveolari di tipo II e/o dalla risposta infiammatoria polmonare.
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Target terapeutici potenziali nella fase essudativa sono il miglioramento della perfusione e del mismatch tra ventilazione alveolare (VA) e perfusione capillare (QC), dell’alterazione del surfactante, la riduzione dell’edema, dell’ipossia, dell’infiammazione, del danno ossidativo e dal danno dell’epitelio alveolare e dell’endotelio capillare (Tabella 6.1). La fase essudativa è seguita da una fase tardiva fibroproliferativa, caratterizzata dalla proliferazione dei miofibroblasti e iperplasia delle cellule di tipo II, che inducono l’insorgenza di una fibrosi con deposito del collagene nell’interstizio polmonare [6]. La fase fibroproliferativa dell’ALI/ARDS si risolve lentamente, progredisce oppure rimane stabile. In contrasto alle terapie della fase essudativa, gli interventi della fase proliferativa devono essere indirizzati verso gli elementi fisiopatologici di rimodellamento, riparazione e fibrosi polmonare (Tabella 6.2). I dettagli degli agenti farmacologici maggiormente utilizzati nella fase essudativa e fibroproliferativa dell’ALI/ARDS saranno analizzati nel presente capitolo.
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO NELLA FASE ESSUDATIVA DELL’ALI/ARDS: RIDUZIONE DEL MISMATCH VA/QC Il principale obiettivo del trattamento dell’insufficienza respiratoria acuta nella fase essudativa dell’ALI/ARDS è di ridurre il mismatching VA/QC e migliorare gli scambi gassosi. Gli agenti farmacologici comunemente utilizzati nella fase essudativa dell’ALI/ARDS includono i vasodilatatori
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TABELLA 6.2 Meccanismo di azione degli agenti farmacologici impiegati nella fase fibroproliferativa dell’ALI/ARDS Meccanismo di azione
Agenti terapeutici
Risoluzione del danno
Corticosteroidi
↓ proliferazione e differenziazione fibroblastica
Antagonisti PDGFa, inibitori della produzione di proteine mediate dal TGF-b, agenti che promuovono l’apoptosi fibroblastica, anti-CD44
↓ deposito matrice interstiziale
Ciclofosfamide, azatioprina, interferone, colchicina, D-penicillamina, ? MMPc
PDGF a: platelet derived growth factor; TGF-β b: transforming growth factor; MMP c: metalloproteinasi.
per via inalatoria che aumentano il flusso sanguigno agli alveoli ventilati, i vasocostrittori selettivi che potenziano il meccanismo di vasocostrizione ipossica nelle aree polmonari non ventilate, il surfactante esogeno che riduce la tensione superficiale e aumenta la ventilazione alveolare, gli anticoagulanti che antagonizzano la formazione dei trombi e incrementano il flusso sanguigno polmonare, e i 2 agonisti che riducono la formazione dell’edema interstizio-alveolare.
Agenti vasoattivi nella fase acuta essudativa dell’ALI/ARDS L’ossido nitrico (NO) è un mediatore endogeno, la cui principale azione cardiovascolare è la vasodilatazione, mediata dalla riduzione nelle cellule muscolari lisce del calcio citoplasmatico, legato all’incremento del guanosin-monofosfato (GMP) ciclico NO dipendente [9, 10]. L’NO per via inalatoria migliora gli scambi gassosi, aumentando la perfusione degli alveoli ventilati e favorendo, di conseguenza, un miglior accoppiamento VA/QC. Uno studio pilota [11] e due importanti trial clinici randomizzati controllati [12, 13] hanno dimostrato che l’utilizzo di NO per via inalatoria migliora l’ossigenazione, durante il primo giorno di trattamento, ma non cambia la sopravvivenza. Tali risultati si confermano anche quando il trattamento è riservato ai soli pazienti responder all’NO, cioè quelli in cui la pressione parziale arteriosa dell’ossigeno (PaO2) aumenta del 20% rispetto al valore basale, durante i primi 10 minuti di erogazione dell’NO [13]. Una metanalisi recente, che ha preso in considerazione 12 studi randomizzati sull’utilizzo dell’NO per via inalatoria nell’ALI, ha chiaramente concluso che tale trattamento non migliora la mortalità, né riduce la durata della ventilazione
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meccanica [14]. Inoltre, sebbene efficace nell’aumentare l’ossigenazione durante le prime 24 ore di trattamento, e secondo alcuni dati anche nei successivi 4 giorni, l’NO per via inalatoria è significativamente correlato a un aumentato rischio di insufficienza renale acuta [14]. La terapia combinata tra NO per via inalatoria e altri potenti vasocostrittori polmonari è, attualmente, oggetto di studio [15]. Il razionale dell’impiego di vasocostrittori polmonari in corso di ALI/ARDS è rappresentato dal tentativo di potenziare, attraverso agenti terapeutici, il fenomeno naturale della vasocostrizione polmonare ipossica. In particolare, è stato dimostrato che l’almitrina redistribuisce il flusso polmonare dalle zone di shunt alle aree più ventilate, in modo da migliorare l’accoppiamento VA/QC [16]. L’associazione dell’almitrina con l’NO per via inalatoria migliora gli scambi gassosi [15], ma, a tutt’oggi, non sono stati condotti studi randomizzati controllati con l’intento di testare l’efficacia di tale trattamento combinato sulla sopravvivenza dei pazienti affetti da ALI/ARDS. Inoltre, l’utilizzo dell’almitrina deve essere molto cauto, in considerazione del pericolo di peggiorare, attraverso la vasocostrizione polmonare, l’ipertensione polmonare e di indurre un sovraccarico e/o la disfunzione ventricolare destra [17]. La prostaciclina è un potente vasodilatatore microcircolatorio e inibitore dell’aggregazione piastrinica, che ha indicazione in numerose patologie neonatali e dell’adulto. Quando utilizzata per via aerosolica, la prostaciclina ha un’azione simile all’NO, in quanto favorisce il flusso polmonare alle zone ventilate, senza determinare, tuttavia, effetti sistemici. Alcuni studi hanno dimostrato che l’utilizzo della prostaciclina per via aerosolica determina un miglioramento della funzione respiratoria pari a quello ottenuto con l’impiego dell’NO per via inalatoria nei pazienti con ARDS [18, 19].
Surfactante esogeno nella fase acuta essudativa dell’ALI/ARDS La riduzione della produzione del surfactante endogeno e le anomalie del suo metabolismo e funzione sono state ampiamente documentate nei pazienti con ALI/ARDS [20, 21]. L’applicazione terapeutica di surfactante esogeno riconosce un forte presupposto razionale e fisiopatologico nella fase essudativa dell’ALI/ARDS. Sperimentazioni su modelli animali in corso di ARDS da aspirazione di contenuto gastrico [22], aspirazione da meconio [23], iperossia [24], lavaggi alveolari in vivo [25], insulto batterico o da endotossine [26], vagotomia [27], polmonite virale [28] ecc., hanno dimostrato che la somministrazione di surfactante esogeno migliora la meccanica respiratoria. Contestualmente, l’instillazione endotracheale di surfactante esogeno (calfactant) nel trattamento dell’ALI in età pediatrica ha dimostrato un notevole effetto benefico
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sulla mortalità [3]. Lo stesso trattamento in età adulta non si è dimostrato efficace, tuttavia, nell’indurre un impatto significativo sulla mortalità e nell’aumentare i giorni liberi dalla ventilazione meccanica, sebbene abbia prodotto un miglioramento significativo dell’ossigenazione arteriosa in uno studio clinico randomizzato [29]. In un ampio studio randomizzato controllato, l’utilizzo continuo di surfactante sintetico areosolizzato, nel trattamento di ARDS secondarie a sepsi, non ha dimostrato alcun beneficio in termini di ossigenazione e sopravvivenza [30]. Una metanalisi recente ha preso in considerazione 5 studi clinici sull’impiego della proteina C ricombinante del surfactante tramite instillazione per via endotracheale [31]. I risultati emersi da tale metaanalisi hanno evidenziato che non vi sono benefici in termini di sopravvivenza e di miglioramento degli scambi gassosi quando il trattamento viene effettuato sull’intera popolazione, mentre, nel sottogruppo di pazienti con danno polmonare diretto o con ARDS severa, definita come una richiesta di FiO2 (frazione inspirata di ossigeno) maggiore o uguale a 0,7, la somministrazione di surfactante ha un impatto statisticamente significativo sulla mortalità [31].
Farmaci che riducono la formazione di trombi nella fase acuta essudativa dell’ALI/ARDS In corso di ARDS si assiste all’attivazione della cascata coagulativa e alla down-regulation di anticoagulanti endogeni, quali la proteina C attivata [32, 33]. Il fattore tissutale si lega al fattore VII per innescare la cascata coagulativa. L’inibizione di tale via della coagulazione è attualmente oggetto di studio. L’FFR-rFVIIa è un fattore VIIa ricombinante con un sito catalitico bloccato. Tale fattore ricombinante può legarsi al fattore tissutale ma è incapace di attivare la cascata coagulativa [34]. In uno studio di fase II randomizzato-controllato in doppio cieco versus placebo, con dosi incrementali del fattore VIIa ricombinante [34], condotto recentemente su 247 pazienti affetti da ALI/ARDS, non si è rilevato alcun effetto benefico sull’outcome e sulla morbilità e addirittura nella coorte di pazienti che ricevevano dosi elevate si è registrato un incremento della mortalità e un aumentato rischio di sanguinamento. L’inibitore del fattore tissutale (TFPI) è un inibitore endogeno della via intrinseca della cascata coagulativa. In corso di ARDS, tale inibitore è inefficace nel bloccare l’attività pro-coagulante del fattore tissutale, verosimilmente perché prodotto in una forma biologicamente inattiva [35]. Uno studio prospettico-randomizzato, placebo-controllato [35], in singolo cieco condotto su 210 pazienti con sepsi severa, trattati con la forma ricombinante del TFPI (rTFPI), ha dimostrato un trend verso la riduzione della mortalità a 28 giorni nei pazienti con ARDS, rispetto al gruppo placebo.
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Tale studio ha anche evidenziato la reale attività biologica dell’rTFPI riducendo significativamente i complessi trombina-antitrombina e i livelli di interleuchina 6 (IL-6), senza maggiori eventi avversi. Recentemente è emerso un notevole interesse verso l’impiego della proteina C attivata in corso di ARDS, dopo i risultati ottenuti dallo studio PROWESS [36]. Le analisi hanno dimostrato che la somministrazione della proteina C attivata determina una risoluzione più veloce della disfunzione respiratoria [36] e una riduzione della mortalità nei pazienti in cui la causa della sepsi severa è la polmonite [36]. È stato condotto uno studio randomizzato controllato versus placebo sull’utilizzo della proteina C nel trattamento di 75 pazienti affetti da ALI [37], non dimostrando differenze significative tra i due gruppi in termini di mortalità e giorni liberi dalla ventilazione meccanica.
Farmaci che aumentano la clearance del fluido alveolare nella fase acuta essudativa dell’ALI/ARDS Numerosi studi hanno dimostrato che i pazienti affetti da ALI/ARDS hanno una compromissione del sistema di clearance dei fluidi alveolari [38, 39]. La capacità di clearance dell’accumulo fluidico dallo spazio alveolare non solo è associata a una migliore risoluzione dell’insufficienza respiratoria [39], ma correla significativamente con l’outcome clinico. Farmaci 2 agonisti stimolano la clearance dei fluidi alveolari nel modello animale di danno polmonare [40], e prevengono l’edema da altitudine in volontari umani [41]. Un recente studio monocentrico randomizzato in doppio cieco (BALTI) ha valutato l’efficacia della somministrazione di salbutamolo in 40 pazienti affetti da ARDS [42]. L’utilizzo di salbutamolo riduceva significativamente l’acqua polmonare extracellulare. Tuttavia, tale riduzione diventava significativa tra i due gruppi di studio solo dopo 4 giorni di trattamento. Ciò suggerisce che l’azione principale del farmaco non sia solo quella di clearance del fluido alveolare (che si realizza entro pochi minuti o ore dall’inizio del trattamento), ma anche di stimolare la riparazione dell’epitelio alveolare.
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO NELLA FASE ACUTA ESSUDATIVA DELL’ALI/ARDS: RIDUZIONE DELL’INFIAMMAZIONE E DEL DANNO OSSIDATIVO L’ALI/ARDS è caratterizzata dal danno infiammatorio dell’endotelio vascolare e dell’epitelio alveolare. Nell’ARDS precoce, l’iperproduzione di citochine, chemochine, fat-
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tori di crescita e di specie chimiche reattive da parte dei leucociti attivati e delle cellule polmonari residenti può determinare un danno più severo rispetto all’insulto iniziale. Elevati livelli di mediatori dell’infiammazione sono stati identificati nel broncolavaggio (BAL) alveolare, nel plasma e nel sangue di pazienti affetti da ALI/ARDS [43]. Inoltre, è stato dimostrato che la persistenza di elevate concentrazioni alveolari e plasmatiche di citochine proinfiammatorie, in corso di ALI/ARDS, correla significativamente con una prognosi infausta [44, 45]. Questi dati forniscono un forte razionale per l’impiego di agenti terapeutici antinfiammatori o antiossidanti in pazienti affetti da ALI/ARDS, in singola terapia o in associazione agli interventi precedentemente descritti, che hanno come target le anomalie del rapporto VA/QC.
Agenti terapeutici antinfiammatori Gli agenti terapeutici, che hanno come target specifico i mediatori dell’infiammazione, includono gli anticorpi o i recettori solubili per il Tumor Necrosis Factor (TNF)-␣ [43, 46], l’interleuchina (IL)-8 [47], e il ligando CD40 [48]. Il TNF-␣ è un importante mediatore proinfiammatorio del danno polmonare acuto e svolge azioni cellulari dirette e indirette, inducendo il rilascio di IL-1, che, a sua volta, promuove il reclutamento polmonare di neutrofili attivati [49]. L’impiego di anticorpi anti-TNF-␣ o di agenti capaci di bloccare il recettore per il TNF-␣ si è rivelato efficace nel ridurre la severità del danno polmonare in diversi modelli animali di ALI/ARDS [50, 51]. Risultati simili sono stati ottenuti con l’utilizzo dell’anticorpo monoclonale in pazienti adulti affetti da ARDS o sepsi [52], ma nessun beneficio è stato riportato in termini di sopravvivenza o di altri outcome a lungo termine [46, 52]. La mancanza di benefici a lungo termine, nei suddetti studi, potrebbe essere imputabile all’eterogeneicità della popolazione oggetto di sperimentazione, o al timing errato di impiego. L’IL-8 è una potente chemochina, che attrae i neutrofili [53] ed è capace di indurne l’apoptosi [54]. Livelli maggiormente elevati di IL-8 sono stati riscontrati nel lavaggio alveolare di pazienti con ARDS, rispetto ai volontari sani e/o ai pazienti con edema polmonare su base idrostatica [55-57]. Il trattamento precoce con anticorpi monoclonali anti-IL-8 riduce significativamente il danno polmonare e la mortalità, in modelli animali di ARDS da aspirazione di contenuto gastrico [58] o da endotossine [47, 59]. Il CD40 è un recettore che viene espresso dalle cellule derivate dal midollo osseo e dai fibroblasti polmonari [60-62]. La forma espressa dai fibroblasti polmonari, attraverso il legame con il suo ligando, rappresenta una struttura di attivazione per la sintesi di citochine proinfiammatorie. L’anticorpo monoclonale anti CD40, definito MR1, è capace di interrompere l’interazione tra il
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recettore CD40 e il suo ligando. Il suo impiego riduce il danno polmonare da iperossia [63] e da radiazione [64] nei modelli sperimentali. Tuttavia, studi successivi, effettuati su topi deficienti di CD40 e del suo ligando (-/-), non hanno confermato il miglioramento del danno polmonare indotto dall’iperossia [65]; ulteriori sperimentazioni sono necessarie per valutare la reale efficacia dell’utilizzo del trattamento anti-CD40, prima di poterne raccomandare l’uso clinico. Tra gli agenti terapeutici impiegati per la riduzione del danno infiammatorio in corso di ARDS, un cenno a parte meritano i curari. Uno studio pilota [66] effettuato su 36 pazienti con ARDS, randomizzati a ricevere la somministrazione di curaro o di placebo durante un trattamento ventilatorio con strategia protettiva, ha suggerito che l’infiammazione nella fase precoce dell’ARDS possa essere limitata dall’utilizzo di tali farmaci nelle prime 48 ore dall’esordio della patologia. I pazienti sottoposti al trattamento con curaro presentavano concentrazioni plasmatiche e nel BAL significativamente inferiori di IL-6 e IL-8 rispetto al gruppo trattato con placebo. Inoltre, tali pazienti mostravano un miglioramento dell’ossigenazione che persisteva ben oltre le 48 ore di trattamento con il curaro [66]. Una possibile spiegazione di tali risultati è che l’uso dei curari possa consentire l’ottimizzazione della strategia ventilatoria protettiva, limitando in tal modo il danno indotto dalla ventilazione meccanica e, conseguentemente, l’infiammazione. Partendo da questi presupposti, recentemente Papazian et al [67] hanno randomizzato 340 pazienti critici, affetti da ARDS in fase iniziale, a ricevere il trattamento con cisatracurio besilato (178 pazienti) o placebo (162 pazienti) per 48 ore. La somministrazione precoce di cisatracurio besilato migliorava significativamente la mortalità a 90 giorni (p = 0,04) e con più giorni liberi dalla ventilazione meccanica (p = 0,03) nel sottogruppo di pazienti con ARDS severa, senza causare un aumento significativo dell’incidenza di patologie neuromuscolari. I risultati emersi confermano l’ipotesi che l’utilizzo precoce del curaro possa indirettamente minimizzare varie manifestazioni del danno associato alla ventilazione meccanica [68], verosimilmente perché consente una migliore interazione ventilatorepaziente con una migliore applicazione della strategia ventilatoria protettiva.
Agenti terapeutici antiossidanti Gli agenti terapeutici impiegati per contrastare il danno ossidativo includono la pentossifillina [69], l’N-acetilcisteina (NAC) [70, 71] e la superossidodismutasi (SOD) [72]. La pentossifillina è un inibitore della fosfodiesterasi e ha azione vasodilatante [69]. Il suo potenziale impiego in corso di ALI/ARDS è quello di inibire la formazione dei
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radicali liberi dell’ossigeno attraverso l’aumento dei livelli di adenosina monofosfato ciclica [73] e di antagonizzare la produzione e l’azione del TNF-␣ [73]. La sua reale efficacia e i benefici sull’outcome non sono mai stati testati in studi randomizzati controllati. La NAC è un precursore del glutatione (GSH), un antiossidante endogeno [71] presente nei polmoni sani. I livelli di GSH sono al di sotto dei livelli fisiologici nel BAL di pazienti con fibrosi polmonare e con ALI/ARDS [74, 75]. L’aumento dei livelli intracellulari di GSH induce la riduzione dei mediatori dell’infiammazione [70]. L’utilizzo della NAC, che non ha solo proprietà antiossidanti ma promuove altresì la produzione di GSH, potrebbe essere razionale per limitare il danno da radicali liberi dell’ossigeno, dalle endotossine batteriche e/o dall’inibizione della sintesi di GSH [76-78]. Tuttavia, uno studio indotto dall’ARDS Network sull’impiego della procisteina in pazienti con ARDS, è stato interrotto prematuramente per l’evidente mancanza di benefici [79]. La SOD catalizza la conversione dell’anione superossido in perossido di idrogeno, che viene successivamente convertito in acqua dalla GSH perossidasi o dalla catalasi, un enzima tetramerico che contiene eme. La forma extracellulare della SOD è presente nel polmone e nel tessuto cerebrale [80] e si ipotizza possa avere attività antiossidante, al pari delle sue forme citoplasmatica e mitocondriale [81]. L’impiego di SOD esogene per ridurre la produzione di anione superossido ha però lo svantaggio di indurre un aumento di perossido di idrogeno e del radicale idrossilico, se si eccede la capacità fisiologica del sistema scavenger. La produzione di radicale idrossilico può infatti causare un danno polmonare severo, molto simile a quello indotto dal superossido [82]. Numerosi studi hanno dimostrato che l’instillazione endotracheale di enzimi antiossidanti, particolarmente se veicolati da liposomi o coniugati al glicole polietilene, può proteggere dal danno ossidativo e/o mitigarne la sua severità [83, 84].
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO NELLA FASE FIBROPROLIFERATIVA DELL’ALI/ARDS I meccanismi fisiopatologici della fase fibroproliferativa suggeriscono che gli agenti terapeutici impiegati nella fase tardiva dell’ALI/ARDS dovrebbero favorire la risoluzione del danno, ridurre la proliferazione e la differenziazione dei fibroblasti, e limitare il deposito della matrice interstiziale.
Farmaci che riducono l’infiammazione persistente nella fase fibroproliferativa dell’ALI/ARDS I corticosteroidi sono gli inibitori fisiologici più importanti dell’infiammazione [85] e agiscono alterando centinaia di geni coinvolti nell’omeostasi della fase di stress [86].
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A livello cellulare, i corticosteroidi agiscono attivando il complesso citoplasmatico che si forma tra i recettori per i corticosteroidi e le heat shock protein. Tale complesso, a sua volta, interagisce con il fattore nucleare attivato-kB, ne previene il legame con il DNA e successivamente, l’attività trascrizionale [85] (Figura 6.1). Numerosi studi hanno dimostrato che la resistenza e/o l’insensibilità del recettore per i corticosteroidi, indotti dall’infiammazione sistemica, sono processi generalizzati con un ruolo centrale nella mancata risoluzione dell’ARDS [87, 88]. Tale condizione è potenzialmente reversibile attraverso la somministrazione esogena di dosi quantitativamente adeguate e prolungate nel tempo di corticosteroidi [89]. In un modello ex vivo di infiammazione sistemica [89], leucociti periferici naïve sono stati esposti a campioni plasmatici, prelevati da pazienti con ARDS persistente, sottoposti a trattamento prolungato con metilprednisolone. Dopo l’esposizione, i leucociti naïve manifestavano un progressivo aumento del legame citoplasmatico tra il recettore per i corticosteroidi e il fattore nucleare-kB, una concomitante riduzione del legame di quest’ultimo con il DNA e, successivamente, della trascrizione di TNF-␣ e IL-1 [90]. Tali risultati hanno fornito un forte presupposto razionale per l’utilizzo del metilprednisolone in corso di ARDS. In un trial clinico randomizzato-controllato di fase II, Meduri et al [90] hanno dimostrato che la somministrazione prolungata di basse dosi di metilprednisolone (1 mg/kg/die) nella fase precoce dell’ARDS (entro 72 ore dalla diagnosi) determinava la down-regulation dell’infiammazione sistemica, la risoluzione della disfunzione d’organo e la riduzione della durata della ventilazione meccanica e della degenza in terapia intensiva. Tuttavia, altri dati sull’utilizzo dei corticosteroidi in fase precoce di ARDS non sono incoraggianti [91, 92]. Attualmente l’impiego di tali farmaci è oggi riservato alla sola fase fibroproliferativa. In uno studio [93] randomizzato-placebo controllato, in doppio cieco, il trattamento prolungato con metilprednisolone (2 mg/kg/die) è stato valutato in 16 pazienti (rispetto a 8 nel gruppo placebo) con ARDS persistente. Dopo 10 giorni di trattamento, tutti i pazienti che ricevevano il metilprednisolone manifestavano una riduzione del Lung Injury Score (LIS) maggiore o uguale a 1 punto, rispetto a solo 2 degli 8 pazienti (25%) nel gruppo placebo. La mortalità in terapia intensiva (0% vs 62%; p = 0,002) e ospedaliera (12% vs 62%; p = 0,03) erano significativamente ridotte nel gruppo sottoposto al trattamento rispetto al gruppo che riceveva il placebo. La percentuale di complicanze era simile nei due gruppi di studio. Rispetto al placebo, il trattamento con metilprednisolone era associato inoltre a una riduzione significativa dei marker dell’infiammazione. Più recentemente, l’ARDS Network [94] ha pubblicato risultati meno incoraggianti sull’utilizzo del metilprednisolone in pazienti affetti da ARDS in fase tardiva. Questo studio ha evidenziato un aumento della mortalità a 180 giorni nel gruppo di pazienti sottoposto al trattamento con corticosteroide
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Steroidi Membrana cellulare
Citochine Recettore per citochine
Recettore degli steroidi Citoplasma
NF-kb
Complesso inattivato mRNA
kB Ik-Bα
Citochine, Enzimi. Fattori di adesione
mRNA
Ik-Bα
HRE
Ik-Bα
Nucleo
FIGURA 6.1 Schema degli effetti degli steroidi sull’attivazione del fattore nucleare-kB. Il legame degli steroidi con il proprio recettore previene l’attività trascrizionale del NF-kB attraverso la formazione di un complesso trascrizionale inattivo. Tale legame favorisce, inoltre, la produzione dell’inibitore del NF-kB, l’IkB.
rispetto a quello che riceveva il placebo. Tuttavia, il metilprednisolone determinava un aumento del numero di giorni liberi dalla ventilazione meccanica e da shock, in associazione con un miglioramento dell’ossigenazione, della compliance del sistema respiratorio e dei parametri emodinamici. Rispetto al placebo, il metilprednisolone non causava un aumento delle infezioni nosocomiali, ma era associato a una maggiore incidenza di patologie neuromuscolari. È importante sottolineare che i due gruppi di studio non erano sottoposti allo stesso rischio di morbilità e mortalità. Infatti, si può supporre che la mancanza di un programma di sorveglianza delle infezioni nosocomiali, l’uso concomitante di curari e la sospensione prematura del farmaco dopo l’estubazione, abbiano esposto i pazienti, sottoposti a trattamento con corticosteroide, a un rischio significativamente maggiore di acquisire complicanze. I dati sull’impiego dei corticosteroidi nell’ARDS sono a tutt’oggi pochi e discordanti. Pertanto, ulteriori studi randomizzati-controllati sono auspicabili per valutare il bilancio rischi-benefici della somministrazione dei corticosteroidi, per stabilirne il timing e la durata dell’intervento, e, infine, la reale efficacia in termini di outcome a lungo termine.
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Farmaci che ristabiliscono il deposito e il turnover della matrice interstiziale nella fase fibroproliferativa dell’ALI/ARDS La proliferazione e la migrazione dei fibroblasti negli essudati alveolari, in associazione con la differenziazione dei fibroblasti in miofibroblasti e al deposito nell’interstizio polmonare di materiale della matrice extracellulare ricco in collagene, danno inizio a una “alveolite fibrosante” e a foci fibrotici all’interno dei polmoni danneggiati. L’attivazione, la migrazione e la proliferazione dei fibroblasti, e la produzione di collagene sono incrementati dalle citochine e dai fattori di crescita, inclusi il Transforming Growth Factor (TGF)-, il Platelet Derived Growth Factor (PDGF), e il TNF-␣. Agenti terapeutici che inibiscono potenzialmente la fibrosi dipendente dai fibroblasti, includono gli antagonisti del PDGF, gli inibitori della produzione di proteine della matrice mediata dal TGF-, e, infine, agenti terapeutici che promuovono l’apoptosi fibroblastica, quali la relaxina e la lovastatina, e gli inibitori della PDGF tirosina-chinasi [95-97]. Altri agenti biologici, quali l’anticorpo anti-CD44,
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possono promuovere l’apoptosi e la risoluzione della fibroproliferazione [98]. Agenti che potenzialmente potrebbero ridurre l’attività dei fibroblasti e ridurre la formazione della matrice extracellulare includono svariati agenti, quali, per esempio, la ciclofosfamide [99], l’azatioprina [100] ecc. Tuttavia, non esistono dati certi sul beneficio dell’utilizzo di questi agenti nel tentativo di mitigare o anche revertire il danno polmonare cronico. Esistono, inoltre, due gruppi di enzimi, definiti metalloproteinasi (MMP), che svolgono un ruolo centrale nella fase fibroproliferativa. Le MMP favoriscono una distribuzione bilanciata della matrice extracellulare che supporta la struttura e la funzione polmonare sana, in contrapposizione alla formazione di tessuto disorganizzato, cicatriziale e/o fibrotico, che predomina invece nel polmone danneggiato. Uno sbilanciamento tra l’attività delle MMP e gli inibitori tissutali delle stesse (TIMP) promuove la composizione e la distribuzione anomala delle proteine della matrice e contribuisce alla formazione della fibrosi. Le MMP sono ridotte nel BAL di pazienti con ARDS o con fibrosi polmonare interstiziale, mentre i TIMP appaiono aumentati nei foci fibrotici polmonari [101]. La comprensione reale del ruolo svolto dalle MMP e dai TIMP nell’ambito delle ARDS persistenti è ancora da chiarire; pertanto sono necessari ulteriori studi sperimentali prima di poter proporre l’utilizzo di agenti terapeutici nell’uomo.
CONCLUSIONI La conoscenza sempre più dettagliata dei meccanismi fisiopatologici che sostengono l’ALI/ARDS ha favorito, negli ultimi anni, lo sviluppo di agenti terapeutici indirizzati verso specifici target biologici. L’utilizzo di tali agenti farmacologici non si è dimostrato, a tutt’oggi, univocamente efficace nel risolvere la patologia e/o revertire il danno persistente. In considerazione dell’eziologia multifattoriale dell’ALI/ ARDS e dei numerosi elementi fisiopatologici alla base della patologia stessa, riteniamo che strategie farmacologiche pluricombinate o in associazione con i trattamenti di supporto, possano, in un prossimo futuro, amplificare in maniera significativa le possibilità terapeutiche e determinare un impatto sulla mortalità dei pazienti affetti da ALI/ARDS.
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DELLA BPCO La BPCO è una patologia cronica, caratterizzata dalla limitazione progressiva e irreversibile al flusso espiratorio, causata dal restringimento e dalla fibrosi delle piccole vie aeree, e dal danneggiamento della struttura della parete alveolare, che porta alla formazione dell’enfisema. Il management non farmacologico del paziente affetto da BPCO include la riabilitazione polmonare, la ventilazione non invasiva e la riduzione del volume polmonare, non oggetto della presente discussione.
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Il gold standard del trattamento farmacologico è indirizzato invece verso il miglioramento della funzionalità respiratoria, la riduzione della sintomatologia e la prevenzione degli episodi di riacutizzazione.
Impiego di farmaci broncodilatori in corso di BPCO: anticolinergici e 2 agonisti Nei casi di BPCO lieve, la riduzione del rischio, attraverso la cessazione del fumo e l’impiego dei vaccini antinfluenzali, in associazione con la somministrazione di broncodilatatori a breve durata di azione, è sufficiente per limitare significativamente la sintomatologia. Quando il danno polmonare progredisce e la funzionalità respiratoria peggiora, il trattamento prevede l’utilizzo regolare di uno o più broncodilatatori a lunga durata di azione, quali gli antagonisti muscarinici (Long-Acting Muscarinic Antagonist [LAMA]), anche conosciuti come anticolinergici, e/o i 2 agonisti a lunga durata di azione (LABA). È stato dimostrato che l’introduzione di tali farmaci nel piano terapeutico di pazienti con progressione della patologia cronica determina una riduzione soggettiva della sintomatologia respiratoria, un aumento della tolleranza allo sforzo e un miglioramento significativo della qualità della vita rispetto all’impiego dei soli broncodilatori a breve durata di azione [102]. I LABA e i LAMA determinano un effetto broncodilatatore attraverso meccanismi di azione differenti. Mentre i LABA agiscono stimolando i recettori 2 adrenergici presenti sulle fibre muscolari lisce delle vie aeree, i LAMA riducono la contrazione delle stesse attraverso l’inibizione del tono colinergico, che contribuisce a determinare la broncocostrizione nel paziente con BPCO. Il salmeterolo e il formeterolo sono i 2 LABA attualmente più utilizzati nel trattamento delle BPCO, in quanto è stato dimostrato che la somministrazione due volte al giorno, non solo è ben tollerata dai pazienti con BPCO, ma migliora la sintomatologia e la sopravvivenza [103, 104]. Rispetto al salmeterolo, il formeterolo ha una maggiore rapidità di azione, che risulta vantaggiosa nei pazienti con BPCO moderata-severa [104]. I LAMA hanno un’azione broncodilatatrice simile, se non maggiore, rispetto ai LABA, e causano minori effetti collaterali e di tachifilassi. Il loro utilizzo, prima o contemporaneamente a quello dei LABA, è stato ampiamente dibattuto, e, attualmente, molti ritengono che i LAMA debbano considerarsi come gli agenti di prima scelta nel trattamento della BPCO [105]. Tra gli agenti anticolinergici, il tiotropio, somministrato una volta/die, è indicato nella terapia di mantenimento della BPCO, poiché offre il vantaggio di una lunga durata di azione ed è efficace nel ridurre l’iperinflazione polmonare, nel migliorare significativamente la tolleranza allo sforzo, e nel ridurre la dispnea e la frequenza degli episodi di riacutizzazione [106]. La somministrazione combinata di LABA plus LAMA non solo non aumenta il rischio di effetti collaterali, ma si è
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rivelata particolarmente efficace nel trattamento dei pazienti che non rispondono al trattamento con singolo agente terapeutico [107].
Utilizzo dei corticosteroidi nel paziente con BPCO stabile e in corso di esacerbazione L’uso di corticosteroidi per via inalatoria, quali per esempio il fluticasone e il budesonide, non è attualmente raccomandato in monoterapia nei pazienti con BPCO, poiché non determina un miglioramento della funzionalità respiratoria ed è associato con un aumentato rischio di polmonite [108]. I risultati emersi dall’analisi post hoc dello studio TORCH (Towards a Revolution in COPD Health) [109], includente 5.343 pazienti con BPCO moderata-severa, hanno dimostrato che l’impiego del fluticasone, in combinazione con il salmeterolo, riduce significativamente il declino del volume forzato espirato in 1 secondo (FEV1) rispetto al placebo e limita la frequenza delle esacerbazioni acute. Ulteriori benefici sono stati ottenuti con la triplice terapia (LABA plus LAMA plus steroide per via inalatoria). In uno studio randomizzato in doppio cieco [110], condotto su 41 pazienti con BPCO severa, l’impiego di tiotropio bromuro, in associazione con salmeterolo e fluticasone, produceva un significativo miglioramento dell’azione broncodilatatrice rispetto alla singola somministrazione di tiotropio bromuro o di salmeterolo plus fluticasone (p < 0,001). Inoltre, l’impiego della triplice terapia determinava una riduzione significativa della dispnea e dell’impiego di terapie salvavita, rispetto all’utilizzo del solo tiotropio bromuro o dell’associazione salmeterolo plus fluticasone. Studi clinici randomizzati [110-112] hanno chiaramente dimostrato che l’impiego dei corticosteroidi nel trattamento delle esacerbazioni della BPCO migliora la funzionalità respiratoria, limita il rischio del fallimento del trattamento terapeutico e riduce la durata dell’ospedalizzazione. Attualmente, la maggior parte delle linee guida raccomanda l’utilizzo dai 20 ai 60 mg di prednisone somministrati oralmente una volta/die rispetto alla somministrazione di metilprednisolone per via endovenosa. La somministrazione orale, infatti, ha numerosi vantaggi rispetto alla via endovenosa, tra i quali i costi più contenuti, un ridotto rischio di infezioni e complicanze correlate all’utilizzo dell’accesso venoso, la riduzione del dolore e dell’immobilità. In un recente studio farmaco-epidemiologico [113] condotto in 414 ospedali statunitensi, sono stati valutati 79.985 pazienti con BPCO riacutizzata, dei quali 73.765 (90%) ricevevano il trattamento con steroidi per via endovenosa e 6.220 (8%) il trattamento orale. I risultati dello studio hanno evidenziato che la somministrazione per via orale
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era associata a una percentuale significativamente minore di fallimento terapeutico, dei costi sanitari e della durata della degenza ospedaliera rispetto alla somministrazione endovenosa.
Altri agenti terapeutici nel trattamento della BPCO Altri agenti terapeutici nel trattamento della BPCO includono i mucolitici e gli inibitori della fosfodiesterasi 4 (PDE-4). L’utilizzo dei mucolitici ha un’efficacia limitata nei pazienti con BPCO e per tale motivo l’uso di routine non è, a tutt’oggi, raccomandabile. Tuttavia, i pazienti con tosse produttiva possono trarne beneficio dall’impiego a lungo termine. Gli inibitori della PDE-4 hanno un’importante attività antinfiammatoria, poiché agiscono sulle cellule che sono normalmente implicate nell’infiammazione delle vie respiratorie e nella progressione del danno cronico. La teofillina è un inibitore non selettivo della PDE-4; può produrre effetti addizionali nel trattamento dei pazienti con BPCO ma è relegata a farmaco di seconda o terza scelta per gli effetti collaterali e la ristretta finestra terapeutica. Il roflumilast è un potente inibitore orale della PDE-4, con azione selettiva e di lunga durata [114]. Nell’aprile 2010, il roflumilast è stato autorizzato in Europa come trattamento additivo alla terapia broncodilatatrice classica, nei pazienti con BPCO severa (FEV1 < 50% predetto) e con storia di frequenti riacutizzazioni [115]. Alcuni studi hanno chiaramente dimostrato che tale agente terapeutico migliora la funzionalità respiratoria rispetto al placebo (aumento prebroncodilatatorio del FEV1 nell’ordine di 48 mL) [116], sebbene i risultati maggiori si siano ottenuti dall’associazione con i broncodilatatori per via inalatoria, quali il salmeterolo e/o il tiotropio bromuro (aumento prebroncodilatatorio del FEV1 nell’ordine di 100 mL) [117]. Il roflumilast si è dimostrato efficace nel ridurre le esacerbazioni della BPCO e la richiesta di agenti antinfiammatori e antinfettivi, e nel migliorare la qualità della vita [118]; in associazione con il tiotropio bromuro migliora significativamente la dispnea e riduce la necessità di interventi salvavita [119]. In combinazione con farmaci ad azione broncodilatatrice, questo farmaco rappresenta un’interessante opzione terapeutica e una valida alternativa all’utilizzo di corticosteroidi in pazienti con BPCO.
CONCLUSIONI Le linee guida recenti sul management del paziente con BPCO raccomandano di avviare il trattamento terapeutico in una fase precoce della patologia, per prevenire la progressione del danno polmonare e ottimizzare il beneficio dell’intervento. Numerosi dati [102-104] indicano che la
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terapia broncodilatatrice a lunga durata di azione migliora la funzionalità respiratoria, la sintomatologia e la qualità della vita. L’impiego di terapie combinate, quali 2 agonisti plus corticosteroidi, è riservata ai pazienti con BPCO severa e/o con storia di frequenti riacutizzazioni [109], mentre l’utilizzo di una triplice terapia con l’aggiunta del tiotropio bromuro è raccomandabile per ridurre la sintomatologia [111-113]. Ulteriori studi randomizzati sono auspicabili per verificare la reale efficacia di farmaci di nuova generazione in corso di BPCO.
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