Studio Bernini e Associati Avv. Sergio Bernini (1893 -1971) P r o f . A v v . Gi o r g i o B e r n i n i ( * ) Professore Ordinario di Diritto Commerciale e D i r i t t o d e l l ’ A r bi t r a t o , U n i v e r s i t à d i B o l o g n a
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Intervento del Prof. Avv. Giorgio Bernini 13° Meeting Nazionale ACEF Bologna, 26 settembre 2013
“Necessità di una preordinata pianificazione del passaggio generazionale dell’azienda: plausibile realizzazione di questo incombente tramite un ricorso al trust inclusivo di una clausola compromissoria supportato da una giurisprudenza del Tribunale di Bologna favorevole al riconoscimento di questo istituto nell’ambito dell’Ordinamento Italiano” La preordinazione del passaggio generazionale dell’azienda non gode di una adeguata regolamentazione codicistica. Essa si riconduce, infatti, ad un richiamo al combinato disposto degli artt. 167 ss. c.c. sul fondo patrimoniale e 768 bis ss. c.c. sul patto di famiglia, che comporta una realistica interpretazione dei medesimi atta a sottolineare la ricordata inadeguatezza dei suddetti articoli ai fini della realizzazione di un obbiettivo critico per la perpetuazione di una efficace vita dell’azienda. Il cuore di questa inadeguatezza si traduce nella ineludibile constatazione che fortunatamente, per la pace dello spirito, nessuno può contare in assoluto sulla continuità sempiterna del proprio lavoro né, addirittura, prevedere ___________________________________________________________________________________________ (*) LL.M., S.J.D., University of Michigan Law School ( * * ) H a bi l i t a d o e n B u e n o s A i r e s , A r g e n t i n a
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Studio Bernini e Associati la durata della propria vita. Consegue a questa impossibilità una ineliminabile incertezza circa il perdurare di un inalterato attivismo professionale, ovvero addirittura, circa la permanenza dei soggetti responsabili nel novero dei mortali. Questa è la situazione che si profila in rapporto ad una vicenda cruciale nell’evolversi della dinamica della produttività imprenditoriale: e, cioè, il passaggio generazionale dell’azienda dal quale possono derivare conseguenze disastrose per tutti i soggetti interessati a livello proprietario e/o gestionale, con una ricaduta negativa anche in un contesto più ampio: e, cioè, sulla struttura economica del nostro Paese, basata su una maggioranza di piccole e medie imprese che ne costituiscono il tessuto connettivo. Ciò significa che il passaggio generazionale è nella maggioranza dei casi legato ad una gestione di tipo familiare, e quindi proprietario, talché un mutamento nella “stanza dei bottoni” può creare gravi scompensi nel futuro dell’azienda. Per contro, una oculata successione generazionale può produrre effetti positivi, dando vita ad una opportuna transizione dalla ricordata fase della gestione familiare e proprietaria alla fase del c.d. “managerialismo”. E, cioè, dell’avvento di un management professionale caratterizzato da talenti qualitativamente pregevoli e refrattario a strategie riduttive imposte dal controllo proprietario o dalla vocazione speculativa dei conduttori dell’azienda. Le recentissime vicende Telecom e Alitalia offrono un poco commendevole esempio del come la carenza di vere qualità imprenditoriali in capo ai managers possa causare “lutti e rovine” gravemente pregiudizievoli per il nostro Paese. Queste importanti implicazioni finanziarie ed economiche risultano prodromiche rispetto ad una triplice e contrastante serie di possibili conseguenze strettamente legate all’adeguatezza delle modalità con cui il passaggio generazionale viene preventivamente pianificato e realizzato: una discontinuità mortale in assenza di preordinate contromisure, un mantenimento dello status quo in carenza di decisive svolte di progresso, una decisa evoluzione se il passaggio generazionale si colloca sulla scia dell’avvento delle grandi corporazioni caratterizzate dallo sviluppo dell’azionariato diffuso. Tale complessa problematica comporta la necessità di un adeguato sottofondo giuridico atto a supportarne la opportuna regolamentazione. Come già anticipato, il riferimento ai citati artt. 167 ss. c.c. sul fondo patrimoniale e 768 bis ss. c.c. sul patto di famiglia, non risulta adeguato al fine di realizzare un passaggio generazionale dell’azienda atto ad evitare conseguenze pregiudizievoli e ad apportare, per contro, un molteplice progresso quanto alla evolutiva realizzazione degli interessi finanziari ed economici facenti capo ai soggetti coinvolti nel passaggio generazionale in armonia con gli interessi generali del sistema economico. Il fine precipuo di questa evolutiva realizzazione, non si esprime, né può trovare realizzazione nella sola salvaguardia del valore costituito dal fondo patrimoniale inteso in una visione statica, quale bene di pertinenza della famiglia, ma presuppone una continuità della gestione aziendale anche nell’ipotesi in cui il soggetto legittimato all’esercizio dell’impresa in forza del patto di famiglia, incorra
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Studio Bernini e Associati successivamente in un impedimento per qualsivoglia ragione quanto al compimento della propria missione. Questa ipotesi non è certo teorica, ma trova il suo sbocco ultimativo nella previsione di accadimenti legati, seppure con diverso grado di drammaticità, all’insorgere di circostanze impedienti, di qualsivoglia natura, in capo al soggetto legittimato all’esercizio dell’impresa, e quindi alla gestione dell’azienda in forza della esecuzione di un patto di famiglia. Infatti, stipulando un patto di famiglia, si legittima un soggetto imprenditore definendone, anche a livello patrimoniale, i rapporti con gli altri aventi diritto, talché a seguito della impossibilità ad agendum e/o della sopravvenuta scomparsa di tale soggetto, si impone la necessità di una rapida ed efficace entrata in scena di un successore. Spetterà, allora, a tale successore il compito di recepire, in ottica prospettica, il passaggio generazionale, e a garantire la continuazione ininterrotta della attività imprenditoriale e della qualità del management senza sussulti in itinere. Occorrerà, quindi, inserire nella oculata preordinazione del passaggio generazionale dell’azienda un elemento ulteriore: e, cioè, la previsione di quello che dovrà accadere, qualora, ripetesi, il soggetto legittimato in forza del patto di famiglia, non possa o non voglia, per qualsiasi motivo, continuare nell’esercizio dei suoi compiti. Di qui la limitazione, sottolineata dalla più accorta dottrina e giurisprudenza, della funzione riservata al patto di famiglia, che, da solo, non può soddisfare le esigenze derivanti da un accadimento futuro ed incerto rispetto al quale occorrerà prendere le debite preventive precauzioni. In sintesi, l’esigenza di continuità dell’attività aziendale si materializza nella anticipata previsione di un possibile ulteriore trapasso della titolarità dell’impresa e della gestione dell’azienda, per successione inter vivos o mortis causa, a seguito della sopravvenuta indisponibilità, in vita o per decesso, dell’imprenditore originariamente legittimato. L’antidoto a sanatoria della malaugurata evenienza di cui sopra è, dunque, costituito dalla tempestiva predisposizione delle condizioni necessarie ai fini della pianificazione della successione generazionale, garantendone la continuità mediante la fissazione di regole a livello negoziale, ovvero, per il tramite di un testamento. Non basterà, infatti, come nel patto di famiglia, esaurire la portata della normativa codicistica concentrandone gli effetti su uno dei membri della famiglia stessa, ritenuto il più capace ed interessato, legittimandolo alla gestione dell’impresa a seguito della liquidazione degli altri familiari, anche nel rispetto degli obblighi derivanti dalla successione necessaria. Occorrerà, invece, disporre un elemento di continuità volto ad evitare che i beni pervenuti all’assegnatario in base al patto di famiglia si devolvano, nel caso di inadempimento da parte di quest’ultimo, sulla base di un ritorno alle previsioni dello stesso patto di famiglia, ovvero secondo le regole che ne governano la successione qualora detto assegnatario venga a mancare. È oramai largamente accolta, in dottrina e giurisprudenza, l’opinione che il trust possa far fronte a questa esigenza, poiché, una volta creato e messo in moto, non comporta soluzioni di continuità e 3
Studio Bernini e Associati consente, altresì, al costituente, di esteriorizzare precise istruzioni come espressione della propria volontà pre e post mortem, affidandone la messa in opera e il monitoraggio ai saggi uffici del trustee, la cui funzione, esercitata addirittura a titolo proprietario, non è soggetta a interruzioni. Infatti, il titolo proprietario del trustee è esercitato nell’interesse dei beneficiari, con obblighi precisi definiti dall’imprenditore al momento della istituzione del trust. Il tempo tiranno mi impedisce di illustrare con maggiore dettaglio le caratteristiche del trust, istituto che ha oramai acquistato uno status di cittadinanza anche nell’Ordinamento Italiano e che si riassumono in una caratterizzazione di triplice valenza: segregazione patrimoniale; trasferimento al trustee, a titolo sostanzialmente proprietario, del fondo messo a disposizione dal costituente; diretta opponibilità ai terzi del rapporto fiduciario esistente tra costituente e trustee. Basti solo aggiungere, in proposito, come sia oggi accettato in Italia, alla luce di una oramai consolidata dottrina e di una nutrita giurisprudenza, il riconoscimento di un trust regolato da una normativa straniera nei limiti in cui non confligga con canoni di ordine pubblico, o principi altrimenti inderogabili, caratteristici del nostro ordinamento. Alla luce di quanto sopra, si ribadisce la presa di coscienza che la preordinazione del passaggio generazionale dell’azienda non può essere realizzata mediante il solo ricorso agli istituti del fondo patrimoniale e del patto di famiglia: in carenza, cioè, di ulteriori previsioni da applicarsi nell’ipotesi di volontari rifiuti ovvero impossibilità in capo al soggetto legittimato, quanto all’espletamento dei propri compiti. Tuttavia, prima di dar vita al trust, occorrerà operare ab origine una scelta pregiudiziale tra trust inter vivos e trust testamentario, tenendo presente una serie di considerazioni desumibili dalle caratteristiche di ciascun caso di specie, intese a soddisfare le esigenze dei soggetti interessati. Per le ragioni citate, nella impossibilità di proporre terapie buone a tutti gli usi, gioverà comunque sottolineare come le conseguenze di detta scelta producano profonde differenze in termini di struttura e di impiego tra trust inter vivos e trust testamentario. Il primo produrrà i suoi effetti a partire dal perfezionamento dell’atto di portata negoziale da cui trae la sua esistenza (trust deed), mentre, gli effetti del secondo, si verificheranno solo dalla data della morte del testatore. Si tratta, in realtà, di una differenza riconducibile ad una diversa datazione del termine iniziale (dies a quo), con una ricaduta sul momento temporale in cui il trustee prenderà possesso dell’incarico con il conseguente potere/dovere di entrare subito in azione. Pertanto, nel trust testamentario, prima del decesso del testatore, il trustee non potrà essere immesso nel suo ufficio nella veste di successore del soggetto legittimato all’esercizio dell’impresa, mentre nel trust costituito tramite uno strumento negoziale, il trustee potrà (rectius dovrà) esercitare le proprie prerogative a partire dal perfezionamento dell’atto costitutivo del trust (trust deed). De hoc satis quanto ai particolari circa la pianificazione del passaggio generazionale dell’azienda.
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Studio Bernini e Associati Mi sia consentito concludere questo breve e necessariamente incompleto sommario con un ultimo riferimento atto ad assicurare una soddisfacente efficienza del meccanismo che si viene a creare mediante il ricorso al trust nella pianificazione del passaggio generazionale dell’azienda. Questo istituto, nato, come è noto, nel mondo della common law e propagatosi internazionalmente, con rapida evoluzione, anche nell’ambito di Paesi caratterizzati da Ordinamenti giuridici di estrazione romanistica, soffre, al di fuori della sua fonte originaria, di una regolamentazione incompleta, nel senso che, in alcune circostanze, richiede un ausilio da parte della giurisdizione ordinaria. Questo ausilio non manca nei Paesi di common law, mentre non è così vasto ed efficace nei Paesei di civil law, tra cui l’Italia. Ecco perché il ricorso al trust può essere validamente potenziato quanto alla sua funzionalità, mediante l’inclusione nell’atto costituivo del medesimo (trust deed), di una clausola compromissoria comportante l’obbligatorio ricorso, nella composizione delle controversie sorgenti dalla costituzione e implementazione del trust (trust disputes), a metodi alternativi di natura stragiudiziale quali conciliazione e la mediazione (ADR per citare un acronimo oramai universalmente noto). Non mi spingo oltre perché “ad impossibilia nemo tenetur”: reputo, infatti, di aver sfruttato al massimo, con riferimento ad una situazione densa di complesse problematiche giuridiche ed economiche, le mie modeste facoltà di sintesi, anche in rapporto al tempo minimale che mi è stato assegnato. Mi sia, tuttavia, consentito un doveroso riferimento al possibile impiego del trust, ad adiuvandum del passaggio generazionale dell’azienda, nel contesto di una sessione del presente Convegno dedicata ai rapporti tra Istituzioni Giudiziarie e territorio. Il trust è un istituto a regolamentazione incompleta, bisognoso dell’ausilio dell’Ordine Giudiziario. Proprio in vista di una plausibile, e sperabile, interlocuzione con la Giurisdizione Ordinaria, è auspicabile che la scelta della collocazione territoriale dell’istituendo trust possa coincidere con la sfera di competenza delle locali Istituzioni Giudiziarie, caratterizzate da un accertato favor giurisprudenziale nei confronti del riconoscimento trust nell’ambito dell’Ordinamento Italiano. Il Tribunale di Bologna offre un lodevole esempio della efficace portata di questo riconoscimento mediante l’emanazione di numerose sentenze e provvedimenti caratterizzati da principi innovativi e meditata sensibilità comparatistica.
Bologna, 26 settembre 2013 Prof. Avv. Giorgio Bernini LL.M., S.J.D., University of Michigan Già Ordinario di Diritto Commerciale e Diritto dell’Arbitrato, Università di Bologna Presidente dell’Associazione per l’Insegnamento e lo Studio dell’Arbitrato (AISA) Bernini Studio Legale
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