SOMMARIO
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Detto fra noi
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Mobilità
Assaggi di Cielo
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La Chiesa ha l'obbligo di rendere accessibili i luoghi di culto
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Tra le righe Se si toglie il sostegno
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L’Avvocato risponde Assegno di cura o buono sociale
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L’Esperto risponde Prigioniero in casa
Sport Campioni di sport e di umanità Dopo 30 anni ha una casa tutta sua Team Insubrika Una vita come gli altri… anche grazie allo sport
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Psicologia Attualità
Difendersi dai pensieri negativi
Per vedere con le mani Gli effetti delle manovre sulle persone con disabilità Se regali un pesce ad un uomo... Per i diritti del malato Nel campus dove si faranno camminare i tetraplegici
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Personaggi 10 12 14
Il pittore che testimoniò il mondo perduto di Parigi
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Segnalazioni 17
Le leggi antibarriere Eluana, i fatti
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Associazioni Vita da dentro
l’OAMI e l’accoglienza del buon samaritano
Ai Lettori: 2012 con
Lisdha News!!!
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LISDHA NEWS Direttore Editoriale Fabrizio Chianelli
Resta fermo a 15 euro il contributo minimo per ricevere la nostra rivista.
Direttore Responsabile Marcella Codini
Anche per il 2012, abbiamo deciso di mantenere fermo a 15 euro il contributo minimo richiesto per ricevere Lisdha News. Ovviamente ringraziamo di cuore i tanti nostri lettori che, avendone la possibilità, ci sostengono con contributi più elevati, mostrando di credere nel valore dell'informazione che da molti anni cerchiamo di offrire.
Hanno collaborato a questo numero Chiara Ambrosioni Laura Belloni Bruno Biasci Roberto Bof Ennio Codini Carlo Alberto Coletto Dede Conti Daniela Della Bosca Maria Cristina Gallicchio Emanuela Giuliani Giuseppe Giuliani Luigi Guenzani Olympia Obonyo
2 - LISDHA NEWS
Vita regolare (… per quanto possibile)
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Anno XIX - Numero 71 - Ottobre-Dicembre 2011
Redazione e amministrazione via Proserpio 13 - 21100 Varese tel. 0332/499854, 0332/225543; 348/3679493 fax 0332/499854 email:
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N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
DETTO FRA NOI di Laura Belloni
Stefano Giuliani
ASSAGGI DI CIELO Sono proprio le condizioni esterne che fanno di noi degli “handicappati”. Ecco che cosa mi è successo a Lourdes…
E
rano mesi in cui facevo molta fatica a vivere, perché le numerose difficoltà quotidiane mi schiacciavano, mentre la voglia di costruire qualcosa che avesse sapore di futuro urgeva dentro. Cercavo di affrontare questo disagio esistenziale, sforzandomi di farlo pesare il meno possibile su chi percorreva il mio stesso sentiero. Non sempre ne ero capace e soffrivo per questo. Un giorno, vengo a sapere che l’Organizzazione federativa trasporto ammalati a Lourdes (Oftal) stava raccogliendo le adesioni per un pellegrinaggio. Ero già stata nella mistica cittadina pirenaica, quando a nove anni fui dimessa dall’università pediatrica di Berna con una sentenza di morte. I miei compagni di scuola regalarono a me e a mia mamma i biglietti aerei, l’ultima speranza. Volevo tornare. Dopo aver ascoltato i particolari del viaggio (quattordici ore di treno!) ed esserci scambiate un’occhiata tra il preoccupato ed il fiducioso, Olympia, Betti ed io decidemmo di dare le adesioni a Roberto, responsabile del gruppo di Varese. Domenica 19 giugno, sul piazzale assolato dello scalo milanese San Cristoforo, cominciava la nostra avventura. Salita sul vagone ambulanza, il passare in mezzo a due file di malati, anche piuttosto gravi, mi suscitava qualche ripensamento, ma, appena partiti, la mestizia lasciava il posto ad un gioioso cameratismo, ad N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
un clima di solidarietà e mutuo aiuto, che trasformavano i momenti duri in occasioni di allegria. Giunti a Lourdes, poi, era un continuo assaporare assaggi di Cielo, fin dall’ingresso nell’ampia camera a tre letti, con la finestra dalla quale si vedeva la Grotta. All’interno della zona che protegge i luoghi di culto dall’inevitabile mercato di souvenirs, infatti, si vedeva realizzato l’oracolo del Signore profetizzato da Isaia (55,8): “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie”, poiché il malato o il disabile non sono problemi più o meno gravosi da risolvere, ma persone al centro di una cordiale e spontanea accoglienza che non richiede lotta per l’integrazione. Certo, tutto è reso più semplice dalle particolari condizioni, la tensione spirituale che accomuna i presenti, il notevole numero di volontari che assistono con gioia... Tuttavia, questi assaggi di Cielo mi hanno confermato che sono proprio le condizioni esterne che fanno di noi degli handicappati ed è pertanto indispensabile non smettere di promuovere il loro miglioramento. Ma Lourdes ha aperto uno squarcio di luce anche sulla mia vita. Qualche
tempo dopo il nostro ritorno. Infatti, ricevevo una raccomandata dell’Inps in cui mi comunicavano che volevano verificare se fossi veramente invalida (sic!). Per rispondere, dovevo raccogliere la documentazione dei miei cinquantuno anni di storia sanitaria: sedici allegati tra certificati di invalidità e referti radiografici, in cui compariva sempre l’aggettivo grave o gravissimo. Lourdes aveva ancora una volta fatto miracoli. Innanzitutto, nel leggere la lettera, ho sorriso, senza né mortificarmi né arrabbiarmi, come sarebbe successo in altri momenti. Riuscivo inoltre a considerare i documenti con uno sguardo d’insieme grato. Se, infatti, in tanti anni di condizioni così serie, sono riuscita a studiare, scrivere ed altro ancora, è perché il Cielo ha messo sul mio cammino migliaia di persone, i cui nomi sono scritti Lassù, per primi i miei genitori, che con i loro gesti, anche piccoli come quello di Olympia che questa estate è corsa ad alzarmi, affinché vedessi lo splendido arcobaleno nel cielo di Varese, mi hanno aiutata ad essere quella che sono. Auguro a tutti coloro che sono nelle nebbia di fare un’esperienza analoga. E bello capire di non essere soli nel nostro pellegrinaggio terreno. LISDHA NEWS - 3
TRA LE RIGHE di Ennio Codini
SE SI TOGLIE IL SOSTEGNO Si propone di eliminare gli insegnanti di sostegno. Ma non è realistico pensare che gli insegnanti curriculari possano sostituirli. Quello che serve sono norme e iniziative capaci di rendere il sostegno più efficace.
H
a fatto molto discutere la presentazione l’estate scorsa di un ampio studio su “Gli alunni con disabilità nella scuola italiana” realizzato congiuntamente da Caritas, Fondazione Agnelli e Treelle (*). Nello studio si propongono cambiamenti radicali del modo in cui la scuola italiana accoglie i disabili. Preliminarmente vengono messe in luce alcune criticità del sistema. Circa la metà degli alunni disabili da un anno all’altro cambia l’insegnante di sostegno. L’irrazionalità è evidente, perché il cambio impone di passare i primi mesi dell’anno a costruire
un nuovo rapporto di fiducia e collaborazione. La preparazione degli insegnanti di sostegno, si aggiunge, si rivela spesso inadeguata. Ed è vero. In un anno di corsi universitari questi insegnanti hanno ricevuto indicazioni su come affrontare in generale la disabilità. Ma gli alunni disabili hanno problematiche tra loro assai differenziate che talvolta richiederebbero competenze specialistiche: non può certo essere un anno di corsi su disabilità e scuola a insegnare quali strategie utilizzare di fronte ad esempio a un ragazzo autistico. Gli insegnanti di sostegno, si dice sempre nello studio, sono poi spesso poco motivati. Anche questo è vero. Perché si tratta di persone che hanno già un’altra abilitazione (ossia una propria materia di insegnamento) che hanno ad essa aggiunto quella in “sostegno” spesso semplicemente per avere una chance in più di lavorare. Gli altri insegnanti di classe, d’altra parte, tendono spesso a considerare l’alunno disabile come un semplice problema dell’insegnante di sostegno piuttosto che come un membro a pieno titolo del gruppo classe. E questo non è certo coerente con la logica dell’integrazione, oltre a caricare sulle spalle dell’insegnante di sostegno compiti che non è in condizione di svolgere, come ad esempio la predisposizione delle riduzioni di programma scolastico nelle diverse materie. C’è poi, particolarmente delicata, la questione dei costi: negli anni il sistema del “sostegno” nella scuola si è
continuamente ampliato e oggi abbiamo più di 200mila alunni classificati come disabili seguiti da quasi 100mila docenti di sostegno pagati dallo Stato, più circa 25mila assistenti all’autonomia o alla comunicazione pagati dai Comuni. Secondo lo studio, tra l’altro, non tutti i ragazzi classificati come disabili lo sarebbero veramente: il sistema del sostegno si sarebbe sviluppato inglobando anche ragazzi semplicemente in difficoltà. Anche in questo c’è del vero: capita in effetti che l’insegnante di sostegno si trovi ad assistere un ragazzo classificato come afflitto da ritardo mentale lieve accorgendosi progressivamente che quel ragazzo al di là delle certificazioni non corrisponde al modello della persona con ritardo lieve ma ha solo alcuni specifici problemi di apprendimento. E allora poi si arriva al paradosso del ragazzo “ritardato” che nella media superiore si trova ad essere meritamente promosso dopo aver seguito lo stesso programma degli altri. Delineato questo scenario, gli autori dello studio formulano alcune proposte. Ed è su questo che si è sviluppata la discussione perché, se le criticità sopra messe in luce sono reali e ben note a chiunque conosca dall’interno la scuola, i rimedi proposti sono stati da molti giudicati inadeguati se non addirittura peggiorativi. L’idea di fondo degli autori è che si debba superare la figura dell’insegnante di sostegno. Bisognerebbe a loro giudizio creare dei “centri risorse” provinciali, dove opererebbero in parte insegnanti di sostegno insieme ad altre figure professionali, e affidare i disabili in classe agli insegnanti “ordinari”, i cosiddetti curriculari, opportunamente formati e supportati dai centri risorse. Una soluzione del genere potrebbe dare dei benefici? Sul piano dei costi, presumibilmente sì. Ma ci sarebbero anche dei benefici sul piano educativo-formativo? N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
No. Basta farsi alcune domande. Per cominciare: i docenti curriculari, una volta formati, sarebbero più capaci e motivati degli attuali docenti di sostegno? No. Non sarebbero più preparati, perché sarebbe impensabile dare ad essi una formazione più ricca di quella ricevuta dai docenti di sostegno in un anno di corsi universitari. Sarebbero più motivati? Ovviamente no. Inoltre: che cosa potrebbero fare i docenti curriculari davanti ai molti alunni disabili che per la gravità dell’handicap seguono una programmazione “differenziata” – ossia orientata essenzialmente all’autonomia personale – e in alcuni momenti non sono in condizione di reggere anche solo lo stare in classe? E più in generale e soprattutto: dove mai potrebbero trovare i docenti curriculari le ore da dedicare in esclusiva all’alunno disabile? E possiamo davvero pensare che questi docenti con vaghe informazioni di base su disabilità e scuola, nessuna specifica motivazione e, a volte, con in classe un disabile che sul piano degli apprendimenti va “per conto suo”, potrebbero ricevere un vero, decisivo aiuto da un “centro risorse” provinciale? Sia chiaro: è evidente l’opportunità che a tutti gli insegnanti vada data una preparazione di base circa il come rapportarsi con gli alunni disabili. Troppo spesso ancor oggi gli insegnanti reagiscono alla presenza del disabile in classe con fastidio se non con decisa ostilità o comunque vengono a trovarsi in imbarazzo e senza idee su come gestire la situazione dal che deriva tra l’altro la loro tendenza a delegare tutto al “sostegno”. Più in generale sarebbe poi davvero opportuno avere insegnanti più preparati a gestire i molti casi in cui, pur in assenza di una vera e propria disabilità, si manifestano problemi di apprendimento. Oggi molti insegnanti accettano con troppa facilità il fallimento scolastico; oppure viene giocata la carta del sostegno. Con insegnanti più preparati si potrebbero ridurre i fallimenti senza ricorrere al sostegno. Ma di fronte alla vera e propri disabilità, in molti se non in tutti i casi, sembra inevitabile il ricorso all’insegnante di sostegno. Solo a lui ragionevolmente si può chiedere di dedicare ore di lavoro in esclusiva all’alunno disabile. Certo, le criticità indicate sopra N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
sono gravi. Ma esse, almeno in parte, sono superabili non eliminando il sostegno bensì migliorandolo. Non bisogna considerare “normale” che la metà degli alunni disabili a ogni inizio d’anno si trovi con un insegnante di sostegno nuovo. Questo dipende dal fatto che si ricorre ad incarichi annuali anche quando non c’è una carenza momentanea ma un vero e proprio posto scoperto. Lo si fa per risparmiare, perché con l’incarico annuale d’estate lo stipendio non viene pagato. Ma considerato anche il fatto che comunque poi d’estate l’Inps paga all’ex incaricato l’indennità di disoccupazione, non varrebbe la pena di garantire con minimo aggravio di spesa la continuità? Quanto ai limiti della preparazione degli insegnanti di sostegno, non sarebbe più logico prevedere per loro, quando gli viene assegnato un caso particolarmente problematico, opportunità formative ad hoc? Quanto poi al fatto che il disabile rischia di essere “delegato” all’insegnante di sostegno e al fatto che talvolta si ricorre al sostegno, con i costi conseguenti, anche quando non c’è
una vera e propria disabilità ma solo vi sono problemi di apprendimento, già lo si è detto: solo accrescendo la capacità dei docenti curriculari di affrontare disabilità e difficoltà di apprendimento si può migliorare la situazione. In questi anni, la scuola italiana ha fatto molta strada lungo la via dell’integrazione dei disabili. Anzi, la scuola è forse l’istituzione che più di tutte si è rivelata capace di accogliere e promuovere. Molto più dei vecchi istituti; molto più del mondo del lavoro. Di fronte alle criticità, che ci sono, non pare davvero opportuno smantellare il sistema che è stato faticosamente costruito per dar vita a un nuovo modello che davvero pare offrire molto di meno. Pare piuttosto necessario e possibile realizzare tanti piccoli cambiamenti, capaci con costi ridotti di accrescere di molto l’efficienza e l’efficacia del sistema. (*) Il documento finale della ricerca è stato pubblicato dall’editore Erickson. Sintesi sono disponibili nei siti web degli organismi coinvolti.
L’AVVOCATO RISPONDE
ASSEGNO DI CURA O BUONO SOCIALE Quali provvidenze offre la Regione Lombardia?
S
ono la mamma di un ragazzino di 14 anni disabile in situazione di gravità che percepisce l’indennità di accompagnamento. Ho sentito parlare, da alcuni amici con lo stesso problema residenti in Piemonte, dell’assegno di cura e vorrei sapere di cosa si tratta, se esiste anche in Regione Lombardia e se ne ha diritto anche mio figlio. Luciana F.A. - Cavaria (Va)
Anche la Regione Lombardia ha previsto forme di sostegno al reddito finalizzato al mantenimento a domicilio delle persone fragili quali anziani e disabili. Le consiglio di visitare il sito della Regione Lombardia dove può trovare gli approfondimenti anche ad altre forme di sostegno come per esempio i voucher di cura. Questi ultimi hanno un carattere socio-sanitario e vanno richiesti all’Asl di competenza. Per quanto riguarda invece l’assegno di cura, come contributo economico, in
Lombardia si chiama Buono sociale e deve essere richiesto al comune di residenza. Purtroppo con la presente congiuntura economica e i tagli al welfare che ne sono conseguiti non so dirle se saranno ancora accessibili i Buoni sociali e i voucher. Conviene comunque fare le domande in caso di eventuali distribuzioni dei fondi messi a disposizione. HANDICAP SENSORIALE E CONDIZIONE DI GRAVITÀ Sono nato prematuro, ho 37 anni e i miei due handicap principali sono di natura sensoriale: ipovisione grave e ipoacusia medio grave. Mi spettano i 3 giorni al mese, ovvero il riconoscimento di situazione di gravità? Mi spetta l’indennità di accompagnamento? Francesco De Chirico
Per valutare esattamente la sua condizione di handicap dovrebbe rivolgersi ad un medico legale che potrà darle tutti i chiarimenti necessari ed eventualmente assisterla nella proce6 - LISDHA NEWS
dura per l’ottenimento dell’aggravamento ai fini dell’indennità di accompagnamento e della condizione di gravità. Può rivolgersi anche ad un patronato per l’assistenza gratuita oppure ad un’associazione locale come l’Anmic, molto attiva nelle commissioni per l’invalidità. ALLOGGI POPOLARI E BARRIERE Una signora in carrozzina, invalida al 100%, risiede in un alloggio popolare (Ater) dove, in un periodo in cui lei era assente, sono stati fatti dei lavori: il posizionamento di un piccolo scalino all’ingresso dello stabile e la sostituzione del portone con un altro in ferro molto più pesante, che lei non riesce ad aprire quando vuole uscire da sola. In questo modo lei non può più spostarsi autonomamente, ma dipende sempre dall’aiuto di qualcuno. Per fare questi lavori non è stata interpellata lei, che è maggiorenne, ma solo i suoi familiari conviventi, che non si sono opposti alla realizzazioN. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
ne, non rendendosi conto in un primo momento che potessero diventare un problema per la signora. Cosa può fare adesso lei, ormai che i lavori sono stati fatti? Lettera firmata
Il consenso dato dai familiari sicuramente non agevola l’accoglimento della domanda di eliminazione delle nuove barriere architettoniche. È pur vero comunque che anche la signora disabile aveva diritto ad essere interpellata e, comunque, la costituzione di nuove barriere viola le norme di legge a cui l’Ater doveva prestare attenzione. Le consiglio di fare una raccomandata con ricevuta di ritorno nella quale la signora disabile espone in prima persona i fatti come sono avvenuti e la condizione attuale di impossibilità a muoversi autonomamente. Consiglio di invitare l’Ater a svolgere i lavori entro 30 giorni, facendo presente che altrimenti si sarà costretti a rivolgersi al magistrato. Nel caso di mancato riscontro potrà rivolgersi ad un patronato o ad un’associazione di disabili e, in mancanza, direttamente al difensore civico presso il Comune. Qualora il difensore sia assente si potrebbe chiedere l’intervento del Giudice di Pace che potrebbe chiamare l’ente per un tentativo di conciliazione. CICLOMOTORE E INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO Sono il papà di un minore disabile. Dopo aver superato la visita medico collegiale per il rilascio del certificato di idoneità alla guida, gli è stato comunicato che non avrebbe più percepito l’indennità di accompagnamento perché, essendo in possesso della patente per guidare un ciclomotore, si può muovere autonomamente e non dipende più dai genitori. Volevo sapere se questo è giusto o se posso fare ricorso.
TEMPI PER IL COLLOCAMENTO Sono disoccupato dal luglio 2009 e vorrei sapere se ci sono dei termini per il collocamento al lavoro di un disabile appartenente alle categorie protette, iscritto alla graduatoria del Centro Impiego. Massimo Callegari
No, non vi sono termini e non potrebbero esserci visto che il collocamento al lavoro dipende da tanti fattori, tra cui la effettiva presenza nel circondario di posti disponibili, che non dipendono dal Centro per l’impiego. AGEVOLAZIONI PER LE RIPARAZIONI DEGLI IMMOBILI Posso usufruire di agevolazioni nel caso di lavori di riparazione (infiltrazioni) in appartamenti di proprietà del disabile? Lettera firmata
Sergio Bonansinga (Pa)
Non mi risulta che vi siano disposizioni favorevoli a cui aggrapparsi. Comunque la invito a leggere il pieghevole dell’Agenzia delle Entrate in cui potrà trovare i riferimenti per contattare direttamente gli uffici e accedere eventualmente alla guida delle agevolazioni, al seguente link: www.agenziaentrate.gov.it.
Da un punto di vista logico la possibilità di guidare autonomamente un ciclomotore sembra in contrasto con la percezione dell’indennità di accompagnamento. In assoluto però, non sono in grado di stabilire se effettivamente esista un’incompatibilità tra le due situazioni nel caso specifico. Potrebbe essere opportuno effettuare una visita medico legale per stabile la reale gravità della condizione di handicap e decidere se impugnare o meno il provvedimento di revoca della provvidenza.
TRASFERIMENTO IN STRUTTURA DI ALTRA REGIONE Mio cognato Domenico (interdetto), fratello di mia moglie, sua tutrice dal 2006, è ricoverato presso una struttura al sud. Io e mia moglie viviamo nella provincia di Modena. Essendo venuti meno tutti gli altri parenti, Domenico è rimasto solo. Da circa un anno abbiamo contattato assistenti sociali, responsabili dell’area handicap, responsabili di strutture per poter avvicina-
re il nostro congiunto al nostro domicilio. Anche se abbiamo una lettera dell’Asl di riferimento della struttura al sud, che dichiara che continueranno a pagare la retta anche dopo il trasferimento a Modena, non siamo riusciti ad ottenere il trasferimento. Cosa possiamo fare? Cosima D’elia - Gigantiello Antonio
Potrebbe individuare una struttura adatta a ricevere Domenico ottenendo dalla stessa una formale lettera di disponibilità all’accoglienza con i relativi costi. Successivamente dovrebbe inoltrare una raccomandata Ar all’Asl di competenza dell’attuale struttura, ove è collocato, affinché si attivi per il trasferimento di Domenico, deliberandolo unitamente all’impegno del pagamento della retta. Dovrebbe infine concedere un termine di 30 giorni per ottenere una risposta specificando che in caso contrario sarà costretto a rivolgersi all’Autorità Giudiziaria per ottenere il ricongiungimento del familiare.
è possibile inviare i propri quesiti a Lisdha news, “L’Avvocato risponde” via Proserpio,13 - 21100 Varese, e-mail:
[email protected] N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
LISDHA NEWS - 7
L’ESPERTO RISPONDE a cura di Bruno Biasci
PRIGIONIERO IN CASA Interventi per superare le barriere architettoniche possono essere realizzati anche senza l’assenso degli altri condomini.
A
bito da molti anni in una casa che tempo fa ho riscattato dall’Aler. Sono però in carrozzina e sono privo di una gamba e da qui tutti i miei problemi per uscire da casa in quanto, pur abitando al piano terreno, devo superare due rampe di scale per arrivare al mio appartamento, cosa che che riesco a fare solamente con l’aiuto di persone. Ho pensato però che potrei utilizzare il mio balcone sul retro dello stabile, che si trova a un metro da terra realizzando una passerella che mi colleghi al vicino piazzale dove parcheggiano le auto.La lunghezza stimata sarebbe di circa 5 metri. Potrei sostituire la porta finestra attuale che da sul balcone con una porta di metallo che diventerebbe quindi la mia entrata indipendente. La passerella però attraverserebbe come un ponte una piccola area condominiale e qui nasce il problema perché questa operazione è ostacolata da diversi condomini. Cosa posso fare per evadere dalla mia prigione dorata? Dovrei aggiungere anche il fatto che l’Asl non mi vuole assegnare una carrozzina elettrica, in quanto dovrei lasciarla all’aperto e avere in prossimità una presa di corrente a norma per la ricarica della batteria.
La passerella mi risolverebbe il problema perché potrei entrare direttamente in casa con la carrozzina senza altri problemi. A. Maraschi
Il problema dovrebbe essere superabile in quanto, anche se vi è dissenso nel condominio, l’opera potrebbe essere realizzata sulla base di ciò che dice la Legge 13/89 al secondo comma dell’art. 2 e cioè che “nel caso in cui il condominio
rifiuti di assumere, o non assume alcuna decisione entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, la persona con disabilità può installare a proprie spese strutture mobili o facilmente rimovibili (come potrebbe essere la passerella metallica in argomento).” Altri punti da rispettare sono l’estetica esterna, ma in questo caso siamo sul retro di un grande palazzo ove questa esigenza è sicuramente meno importante; ed infine l’opera non deve rendere alcuna parte comune dell’edificio inservibile all’uso o al godimento anche di un solo condomino. Dalla foto che lei ci ha mandato si può facilmente rilevare che questo non è il caso. A conclusione di quanto detto riteniamo che l’opera, per la quale non è richiesta alcuna autorizzazione edilizia, possa essere tranquillamente realizzata. Tenga presente l’opportunità di poter ottenere un contributo economico da parte della Regione procedendo secondo quanto previsto dall’Art. 9 della citata Legge 13/89.
Gent.ma Redazione, ho appena ricevuto la vostra sempre interessante e profonda rivista ora ancora più bella grazie alla stampa a colori! Gli spunti sono tanti, ma desidero farvi parte delle mie riflessioni sulla necessità di avere “Una Città per Tutti” a Torino come a Varese come dappertutto e per questo concordo completamente con il signor Biasci sulla denuncia di panchine monoposto e degli inaccessibili pavimentazioni in ciottoli appena terminate. Situazioni già vissute di persone anche a Torino. Desidero solo segnalare che per i sempre più numerosi anziani che passano l’estate in città avevamo sollecitato l’Amministrazione comunale torinese a sistemare tavoli di sosta anche per chi è in sedia a rotelle. La foto allegata illustra i risultati: perfetta per i sani ma non usufruibile per chi è in sedie a ruote! Abbiamo proposto l’aggiunta di un tavolato con estensione all’esterno, ma il ritornello di oggi è: “Non ci sono più i soldini!”. Luciano Chissotti Coord.Comitati.Spont.Quartiere “Sereno Regis” Tavolo Superamento Barriere Architettoniche Torino
È possibile inviare i propri quesiti in tema di barriere architettoniche a Lisdha news, “L’Esperto risponde” via Proserpio, 13 - 21100 Varese, e-mail:
[email protected]. 8 - LISDHA NEWS
N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
ATTUALITÀ
PER VEDERE CON LE MANI Dopo Ancona e Madrid anche Varese con il suo museo tattile offre un’esperienza unica in Europa. I visitatori ad occhi chiusi, perdono le coordinate spazio temporali e vivono un’esperienza nuova e intensa.
A
“
vere qualcosa tra le mani”: lo si dice di un’esperienza, di un avvenimento nel quale siamo coinvolti, di qualcosa che ci attira, perché le mani ci permettono di stabilire un contatto con le cose e con le persone. Stringiamo la mano per suggellare un patto o per salutare, prendiamo la mano di qualcuno per trasmettere un sentimento, sfioriamo una spalla per rassicurare o per consolare, accarezziamo un oggetto come per suscitare un ricordo, perché le mani ci permettono di leggere, di conoscere, di imparare, di incontrare la bellezza, perché sono lo strumento con cui ci rapportiamo con il mondo. Perché altrimenti in tutti i Musei del mondo troveremmo la scritta “vietato toccare”, se non fosse perché il primo e più naturale istinto è quello di toccare, per rendere l’opera più profondamente nostra? Dalla volontà di creare un ambito che spazi su nuovi orizzonti conoscitivi, è nato lo scorso aprile il Museo Tattile di Varese che, esempio sostanzialmente unico in Europa, dopo Ancona e Madrid, N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
offre un’esposizione di modelli artistici, ospita una raccolta di modelli tattili finalizzati alla comprensione del mondo in tutti i suoi aspetti: geografico, architettonico, artistico, paesaggistico, dando vita ad una vera e propria enciclopedia tridimensionale che racconta una realtà da guardare con gli occhi e con le dita. Qui cadono tutte le differenze e le barriere tra “vedere con gli occhi” e “vedere con le mani” e le opere esposte devono essere toccate, per rendere possibili nuove esperienze multisensoriali. Si tratta d’una rivoluzione culturale che parte dalla prospettiva del Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry: l’essenziale è invisibile agli occhi, bisogna vedere con il cuore. Il tatto è solo un mezzo per incontrare noi stessi, perché nel buio ognuno si imbatte nelle proprie paure, nei propri limiti, e durante la visita guidata che si svolge ad occhi chiusi, coperti da una mascherina, perdere le coordinate spazio-temporali, in uno spazio indefinibile con la
vista, rappresenta un’esperienza nuova, per alcuni piacevole, per altri difficile, ma sempre intensa. L’Associazione Controluce, che ha ideato e realizzato il Museo, si è anche occupata della realizzazione dei laboratori che hanno come filo conduttore lo sviluppo di esperienze sensoriali e percettive attraverso il movimento, la creatività, la fantasia e la relazione con gli altri. Partendo dal concetto che maggiori e più diversificate sono le esperienze, più saremo in grado di apprendere, l’Associazione Controluce offre un ventaglio di proposte che vanno dai laboratori per le scuole o gruppi di bambini, a laboratori per adulti che prevedono esercizi per utilizzare i sensi in modo più ricco e flessibile, così da non restare imprigionati in un’unica modalità sensoriale. Nel corso di tutti i laboratori è sempre prevista una visita guidata al buio del Museo e dunque un percorso di lettura tattile dei modelli in esso conservati. L’esposizione permanente ha trovato la sua collocazione migliore al piano terra di Villa Baragiola, a Masnago, concessa dal Comune di Varese. Qui l’accesso ai non vedenti e portatori di handicap risulta agevole, sebbene l’intento culturale vada oltre il semplice servizio sociale. Il museo infatti è dedicato non solo a chi non può misurarsi con la luce e l’immagine ma anche a chi desideri sperimentare la visione attraverso sensi diversi dalla vista. Dede Conti Museo Tattile Varese - Villa Baragiola Via F. Caracciolo, 46 - 21100 Varese tel. 0332 255637/ 0332 737545 http://nuke.controluceonlus.org/ Martedì-venerdì: 14.30 - 18.30 Sabato e domenica 10.30/12.30 -14.30/18.30 LISDHA NEWS - 9
ATTUALITÀ
GLI EFFETTI DELLE MANOVRE SULLE PERSONE CON DISABILITÀ I tagli bilanci degli enti locali, l’aumento dell’Iva e la riduzione delle agevolazioni fiscali andranno a gravare pesantemente sulle famiglie, in particolare quelle in cui è presente una persona disabile.
C
on la Manovra 2011-2014 (Legge 15 luglio 2011 n. 111, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 16 luglio 2011 n. 164) e con la Manovra Bis, approvate rapidamente sulla spinta dei timori per i mercati finanziari e per i richiami dell’Unione Europea, sono stati apportati significativi cambiamenti che andranno a toccare anche le persone con disabilità e i loro familiari. Vediamo in sintesi alcuni degli aspetti più rilevanti. Riduzione delle agevolazioni fiscali. E’ prevista una diminuzione di moltissime agevolazioni fiscali per la maggior parte dei contribuenti. In particolare vengono ridotte le detrazioni per lavoro dipendente, per la prima casa, per i carichi di famiglia, per le spese sanitarie. Per l’esattezza la diminuzione sarà pari al 5% 2012 e al 20% nel 2013. 10 - LISDHA NEWS
Ciò vuol dire che se fino ad oggi, ad esempio, si detraevano 1000 euro di spese sanitarie, dal 2012 se ne detrarranno il 5% quindi 950 e 800 nel 2013. Se sembra poco, va rammentato che quel taglio riguarda anche altre detrazioni, come quelli per i carichi di famiglia, o per il mutuo per la prima casa, o per la bandante/colf o per gli ausili, per i veicoli adattati, oppure le detrazioni per lavoro dipendente. Viene anche ridotta la possibilità di dedurre le spese mediche di assistenza specifica per le persone con grave disabilità (es. infermiere, terapista ecc.), nonché di detrarre le spese per ausili, veicoli, sussidi tecnici informatici, cani guida per non vedenti, detrazioni e deduzioni per badanti. Questa riduzione – come osserva Carlo Giacobini sul sito hanylex.org – inciderà su tutte le famiglie, ma particolarmente sui nuclei in cui è
presente una persona anziana non autosufficiente o con disabilità. Le deduzioni operano sul reddito imponibile, abbassandolo, diversamente dalle detrazioni che invece abbassano percentualmente l’imposta. In futuro, quando quelle deduzioni saranno possibili solo riducendole del 20%, il rischio è che il reddito lordo superi determinate soglie e quindi venga tassato con un’aliquota superiore che in precedenza. Invalidità e contenzioso. Nella manovra 2011/2014 si cerca di limitare il contenzioso che riguarda l’invalidità e l’inabilità, considerato che a fine 2009 la giacenza dei contenziosi era di 292.726 casi, attuando nuove modalità di ricorso che prevedono l’accertamento tecnico preventivo obbligatorio. Scuola e sostegno. L’art. 19 della L. N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
15/7/2011 comma 11 riguarda il sostegno rivolto agli alunni con disabilità. Si prevede la possibilità di istituire, per gli insegnanti di sostegno, posti in deroga allorché si renda necessario per assicurare la piena tutela dell’integrazione scolastica. L’organico si sostegno è però assegnato complessivamente alla scuola o a reti di scuole, tenendo conto della previsione del numero di tali alunni in ragione della media di un docente ogni due alunni disabili. Si precisa che la scuola provvede ad assicurare “la necessaria azione didattica e di integrazione per i singoli alunni disabili, usufruendo tanto dei docenti di sostegno che dei docenti di classe”. Si tratta – come osserva Carlo Giacobini nel suo interessante commento pubblicato sul sito della Uildm – “di una indicazione a doppio taglio: se da un lato si sottolinea, opportunamente, che l’azione di sostegno riguarda tutto il personale docente, dall’altro l’aver inserito tale indicazione immediatamente dopo l’ennesimo rapporto (1:2) rende la precisazione foriera di equivoci (“se non ci sono insegnanti di sostegno a sufficienza, ci pensino i docenti curricululari”). Spesa protesica e ticket. Al fine di controllare la spesa sanitaria, la manovra fissa un tetto a livello nazionale e per ogni singola regione per le spese sostenute per l’acquisto di dispositivi medici, compresa quella protesica, a partire dal 2013 (art. 17 comma 1, lett. C). L’eventuale sforamento sarà recuperato interamente a carico della Regione. Questa compressione della spesa avrà delle probabili conseguenze nella qualità delle prestazioni protesiche attualmente riservate alle persone con disabilità. Viene inoltre introdotto un superticket di 10 euro sulle prestazioni specialistiche, la cui modalità di applicazione viene però demandata alle Regioni. Patto di stabilità. Nella manovra si interviene nuovamente sul patto di stabilità che impegna lo Stato e gli enti locali a contenere la spesa entro certi limiti, introducendo i parametri di virtuosità, il cui rispetto condizionerà la possibilità per gli enti locali di ottenere eventuali deroghe. Fra i parametri previsti vi è il “tasso di copertura dei costi dei servizi a domanda individuale”, cioè dei servizi sociali tra cui case di riposo e di ricovero, asili nido ecc. “La disposizione – commenta Giacobini – rischia di produrre un effetto deleteN. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
rio sulle politiche sociali delle Regioni… e soprattutto sui cittadini… Il parametro adottato attribuisce maggiore virtuosità alle Regioni che garantiscono meno servizi ai cittadini o che richiedono una maggiore partecipazione alla spesa”. Anche se più avanti prevede comunque una determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che dovranno essere garantiti, benché non si comprenda come vi si possa riuscire a fronte di un’assenza o quasi di trasferimenti per la spesa sociale. Tagli dei bilanci degli enti locali. Con la Manovra bis sono previsti tagli ancora più forti dei bilanci degli enti locali, con inevitabili conseguenza sui servizi erogati ai cittadini, in particolare nel trasporto pubblico, nell’assistenza sociale e nella sanità. Aumento dell’Iva al 21%. L’aumento dell’Iva al 21% inciderà sul potere d’acquisto delle famiglie, toccando beni di largo consumo e avendo ricadute importanti sul costo della vita. La misura di questo impatto è oggetto di diverse stime. Secondo Adusbef e Fderconsumatori il costo sarà di 173 euro per una famiglia modello dell’Istat formata da 2,5 componenti. A conclusione di questa sintetica presentazione di alcuni contenuti delle manovre, non possiamo che confermare quanto già lamentato da molte associazioni e dal settimanale Famiglia Cristiana: si tratta di provvedimenti che impongono e imporranno ancora di più in futuro, duri sacrifici alle famiglie, in maniera particolare quelle colpite dal problema della disabilità, mentre non vanno a toccare, malgrado i proclami iniziali,
la casta dei politici. “Mentre fuori i mercati sprofondavano – osserva il settimanale dei Paolini – nei Palazzi si ritiravano quegli emendamenti che avrebbero eliminato privilegi ormai insopportabili. Primo fra tutti il vitalizio, cioè la pensione a vita che va ad aggiungersi a quella ordinaria. Ma non solo….E caduta nell’oblio la regola dell’incompatibilità con altre cariche elettive. Sulla riduzione del numero dei parlamentari..….Vi era poi la questione del cumulo. Il taglio del 50 per cento dell’indennità parlamentare era stato previsto per quei deputati e senatori che continuassero ad esercitare un’attività professionale (ci sono in Aula assenze del 93 per cento). Ma, grazie all’influenza delle lobby delle professioni, la misura è stata sostituita. Si sono fatti un bello scontone. Alle famiglie italiane, invece, nessuno fa sconti. Anzi le si grava ancora di pesi e sacrifici. Fino all’insopportabile.” M. C.
FISH: PERDERÀ L’ASSISTENZA UN DISABILE SU TRE La Fish, Federazione italiana superamento dell’handicap, lancia l’allarme sui disabili: i tagli agli enti locali e quelli ai ministeri, causeranno tra pochi mesi, la sospensione di molti servizi e prestazioni di competenza dei Comuni che già prima della due manovre erano in forte difficoltà. Saranno colpiti bambini, anziani e disabili con la drastica riduzione di asili nido, assistenza domiciliare e supporti all’autonomia personale. “ Le stime più ottimistiche- sostengono i responsabili della Fish – ci fanno ritenere che almeno un terzo dei disabili gravi, perderà entro un anno ogni tipo di assistenza, in particolare l’indennità di accompagnamento e gli eventuali assegni di cura che alcune (poche) regioni avevano timidamente iniziato ad erogare”. Dopo le manovre il colpo definitivo alle politiche sociali del paese sarà sferrato con la probabile futura riforma assistenziale dove il Governo prevede di recuperare 40 miliardi”. Per far fronte a questa situazione la Fish ha dato il via ad una vasta campagna di mobilitazione.
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ATTUALITÀ
SE REGALI UN PESCE AD UN UOMO... La Fondazione “James non morirà” e il suo impegno costante in Etiopia in ricordo di un bimbo morto di leucemia.
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ai, forza. Su la manina, anche voi là in fondo, non siate timidi. Non è difficile: dove sta l’Etiopia? In Africa, bene. A che altezza? Est, va bene... vicino al Golfo Persico, meglio ancora! Vabbè, i confini ve li andate a leggere sulla cartina qui di fianco. Perché ci interessa l’Etiopia? Che sarà pure una regione caldina, ma non è esattamente sulle principali rotte turistiche? Perché ci sono persone che preferiscono fare le cose, invece che farle fare. Che preferiscono muoversi di persona, invece che limitarsi a staccare un assegno. Che scelgono di impegnarsi per dare qualcosa a chi non ha nulla. Questo è il racconto di cos’è la Fondazione “James non morirà” e di cosa sta facendo ad Adwa, in Etiopia, nella regione del Tigray, vicino al confine con l’Eritrea. Una famiglia. Una sola. Dopo frequenti viaggi in Etiopia a scopo 12 - LISDHA NEWS
umanitario, tutti e quattro hanno sentito fortissimo dentro di loro la volontà di “fare” materialmente qualcosa per le persone che avevano visto là. Francesco è quello che più di tutti è stato toccato dalla povertà e dalle problematiche di quella regione e quello che ha vissuto, esperienze difficili che riguardavano anche bambini e ciò ha fatto sì che fosse lui a fare la scelta di vita più estrema, se vogliamo dire così, dal momento che ha deciso di vivere stabilmente in Etiopia dall’ottobre 2002. Vivendo stabilmente lì, si è reso conto che le maggiori difficoltà riguardavano proprio i bambini: tantissime donne muoiono per il parto, moltissimi bambini sono abbandonati a loro stessi a causa della morte dei propri genitori (Aids e tubercolosi mietono migliaia di vittime), non sempre i parenti ci sono o possono prendersi cura degli orfani. E’ nata allora l’idea di creare il
“Villaggio dei bambini” ad Adwa, villaggio che avrebbe accolto i bambini orfani della zona. Il problema, ovviamente, erano i fondi con i quali finanziare l’opera: per questo è stato necessario far nascere la Fondazione “James non morirà”, in modo che altri potessero unirsi a loro e anche per poter interagire in modo migliore con il governo etiope. Il nome della Fondazione è particolare, ma deriva da un episodio vissuto da Francesco e dalla sua famiglia. James è il nome del primo bambino etiope che hanno conosciuto. Soffriva di una gravissima forma di leucemia. Uno dei volontari aveva il gruppo 0+, il donatore universale. Con farmaci e trasfusioni cercarono di tenere sotto controlN. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
lo la malattia. Un giorno lo videro in braccio alla sua mamma, con il volto di chi non ha più la forza. Il giorno dopo riuscirono a fargli una nuova trasfusione e il giorno successivo quel bimbo che sembrava non reagire più, era in piedi e li chiamava, tendendo loro le braccia. Fu un miracolo di breve durata, la malattia era troppo forte, ma dedicare la Fondazione a James è un modo per mantenere vivo il suo ricordo. Dal 2004 a Francesco si è aggiunta Nevia, una ragazza che è diventata anche sua moglie. Il Villaggio dei bambini è costituito da 16 casette, in ognuna delle quali vivono da 6 a 8 bambini in una specie di “nucleo familiare” gestito da una donna del posto (selezionata e istruita da Francesco e da Nevia) che svolge la funzione di “tata”. C’è anche la nursery dei piccolissimi, nella quale operano due tate. Le linee educative e di comportamento, oltre alle norme igieniche, sono stabilite da Francesco e Nevia, che sono anche i punti di riferimento sia dei bambini, che delle tate e delle persone che lavorano all’interno del villaggio. Il villaggio apporta anche un aiuto concreto anche all’economia del luogo: circa 50 persone vi lavorano e percepiscono un salario per il loro lavoro. Inoltre vi sono agli acquisti che il villaggio deve fare per il proprio sostentamento, presso i gruppi di lavoro attivati dal villaggio stesso, presso i negozietti locali o al mercato del sabato. I bambini crescono in un clima realmente familiare, con punti di riferimento affettivi veri e stabili. Vengono seguiti dal loro arrivo fino al momento in cui, autosufficienti, potranno provvedere a loro stessi. Chi desidera, dopo le scuole dell’obbligo, andare all’università, viene assistito anche durante il corso di studi scelto; alla fine degli studi, con una parte delle donazioni accantonata apposta, il Villaggio aiuta il ragazzo a cercarsi una casa, un lavoro o ad avviare un’attività professionale per inserirsi stabilmente nella società in modo produttivo. I progetti di lavoro sono un’idea per stimolare l’economia della zona e aiutare principalmente le donne e le loro famiglie. Attraverso l’adozione a distanza di bambini di donne coinvolte in questi progetti, si finanziano attività economiche di vario tipo, in modo da aiutare le componenti del gruppo di lavoro a diventare indipendenti e ad autofinanziare la propria attività, combatN. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
COME CONTATTARE LA FONDAZIONE “JAMES NON MORIRÀ” Si possono mandare anche vestiti, biancheria e materiale per la scuola. Il sito Internet, chiarissimo e ricco di informazioni, è www.jamesnonmorira.org e la mail di riferimento è
[email protected]. E’ anche possibile telefonare al numero 06 3202169 dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 21. E’ possibile inviare anche aiuti in natura attraverso pacchi postali (se si invia il codice di tracciatura, si sarà anche avvertiti dell’arrivo del pacco stesso). Servono soprattutto: vestiario per neonati, bambini o ragazzi, biancheria, scarpe e calze compresi, strofinacci da cucina, copertine per lettini, asciugamani, libretti da colorare e ritagliare, giocattoli non elettrici o elettronici, cancelleria (matite, pastelli, penne, gomme, temperamatite; non pennarelli perché il clima li secca subito), sonaglini, piccoli strumenti musicali... Per avere un elenco più completo e per l’indirizzo a cui spedire il pacco contattare direttamente l’associazione.
tendo la mentalità dell’”attesa passiva dell’aiuto”. E’ possibile adottare a distanza i bambini esterni del Villaggio, dicevamo, che vivono ancora con le loro famiglie d’origine e le cui mamme sono impegnate in un gruppo di lavoro. Molti adottanti chiedono poi se sia possibile intrattenere una corrispondenza col bambino o mandare dei regali per lui. Questa richiesta non viene mai soddisfatta, è bene saperlo subito, perché, spiegano, la mentalità del luogo è totalmente diversa dalla nostra e la corrispondenza è qualcosa di completamente estraneo dalla vita e dalla cultura del luogo. E’ anche difficoltosa la traduzione: dall’italiano in inglese e poi nella lingua locale, ma non solo. Come spiegare a un bambino che lavora da sempre cosa vuol dire “chi sono i tuoi migliori amici?“ Cosa fai nel tempo libero?” (quale tempo libero?). Ogni anno vengono però mandate all’adottante una foto nuova del bimbo, per seguirne la crescita, e le notizie su di lui tramite la Fondazione stessa. E’ poi possibile scrivere per avere notizie più dettagliate: la Fondazione garantisce una risposta a tutti, anche se a
volte questo richiede un po’ di pazienza. Siccome la Fondazione non si avvale di nessuna forma di pubblicità se non il passaparola, tutti i fondi ricevuti vengono investiti nei progetti attivati e il bilancio è interamente pubblicato sul sito internet. Della gestione amministrativa della Fondazione si occupano a Roma la mamma, il papà e la sorella di Francesco. “Dai a un uomo un pesce e lo sfamerai un giorno. Insegnagli a pescare e lo sfamerai per la vita.” dice un (saggio) adagio cinese. Questo è quello che stanno facendo Francesco e sua moglie Nevia. Sapendo che il futuro di un popolo sono i bambini, occuparsi dei bambini lì ad Adwa era la scelta migliore per non fare mero assistenzialismo, ma vero aiuto. E’ perfettamente inutile andare in una regione e limitarsi ad “assistere”. L’unica cosa concreta da fare è “aiutare ad aiutarsi”, aiutare la regione, il popolo, la città a crearsi il proprio futuro con le proprie mani, senza aspettarsi aiuto esterno, ma contando solo sulle proprie forze. Dana Della Bosca
ATTUALITÀ
PER I DIRITTI DEL MALATO E’ importante aiutare le persone a far valere i propri diritti. E’ questo uno degli obiettivi del Tribunale del Malato. Ne parliamo con il responsabile di Varese Daniele Bonsembiante.
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ll’ingresso dell’Ospedale di Circolo di Varese, (entrando da via Tamagno) si trova sulla destra un piccolo edificio. È la sede del Tribunale del Malato nel quale trovo ad aspettarmi per una breve intervista il responsabile di zona, Daniele Bonsembiante. L’ufficio nel quale ci fermiamo a parlare è semplice, spartano, eppure ad esso si riferiscono sempre più persone che cercano un aiuto e delle risposte per vicende legate a episodi di possibile malasanità.
mento di partecipazione civica che opera in Italia e in Europa per la promozione e la tutela dei diritti dei cittadini e dei consumatori. Per maggiori informazioni si può visitare il sito: www.cittadinanzattiva.it). Con le altre tre reti (giustizia scuola e consumatori) il Tribunale del Malato ha una sua autonomia legata alla funzione di salvaguardare i diritti dei malati nei casi di malasanità e anche di effettuare un controllo civico sulle prestazioni e i servizi che la sanità offre alla cittadinanza».
- Innanzitutto: che cos’è il Tribunale del Malato? «È una della quattro reti che fanno parte di Cittadinanzattiva (ndr. Cittadinanzattiva onlus è un movi-
- Da quando tempo opera a Varese? «A Varese il Tribunale del Malato era stato operativo fino al 2001. In seguito, per problemi interni, la sua attività ha funzionato a sprazzi e non
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sempre bene. Dal 2007 l’attività è cessata per poi riprendere nel 2009 quando alcune persone (per lo più ex dipendenti ormai in pensione dell’ Inps) hanno deciso di riprenderla in mano avendo già alle spalle una certa preparazione amministrativa. E il Tribunale è stato riaperto. Inizialmente eravamo una succursale di Milano poi, nel marzo 2010, dopo aver accumulato una certa esperienza e raggiunto un numero discreto di associati, siamo diventati un’assemblea territoriale autonoma. Da allora operiamo “purtroppo” con buoni risultati, dico “purtroppo” perché abbiamo lavoro che gradiremmo non avere…» - Di che cosa vi occupate? «Di casi di malasanità, ma non solo. Ci occupiamo anche di prevenzione e controllo, sotto l’aspetto civico, dei servizi forniti dalle strutture sanitarie. Abbiamo anche collaborato con il Ministero della Sanità, per una sua indagine, finalizzata alla verifica delle prestazioni offerte da alcune strutture sanitarie, sempre e solo però sotto l’aspetto civico. Quindi abbiamo esaminato l’Ospedale di Circolo valutando ad esempio la capacità recettiva, la funzionalità, se le esigenze dei degenti fossero rispettate, la disposizione dei locaN. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
li… Questo escludendo il Pronto Soccorso per il quale ci sarà in seguito un’ indagine particolare essendo i Pronto Soccorso in Italia gravati da molto lavoro e da problemi propri. Poi, primo caso in Italia, siamo riusciti ad esaminare insieme alla dirigenza amministrativa e sanitaria dell’ Ospedale i risultati di questa indagine, cercando delle strategie per provare a risolverli». - Quali problemi avete riscontrato nella realtà varesina? «Per quanto riguarda l’Ospedale varesino le difficoltà maggiormente riscontrate riguardano il Cup e il cosiddetto “consenso informato” Bisogna anche dire che le specifiche fornite dal Ministero della Sanità e da Cittadinanzattiva nazionale per le nostre valutazioni erano abbastanza generiche. La segreteria regionale di Cittdinanzattiva sta allora pensando ad un indagine più specifica, indirizzata solo agli ospedali della regione per valutare le esigenze delle strutture e la loro capacità di fornire i servizi richiesti, anche perchè tali esigenze, strutture e capacità sono diverse da regione e regione. Per il consenso informato stiamo preparando un modulo da inserire nella struttura universitaria per l’insegnamento perché i medici imparino ad avere un approccio più umano con il malato e a spiegargli con parole più chiare e semplici la sua situazione di salute. E per fare questo stiamo appunto operando per collaborare direttamente con l’università». - Chi si rivolge a voi e come vi regolate con le richieste delle persone? «Il primo contatto può essere telefonico, ma poi noi le invitiamo a venire di persona. Noi desideriamo che si sentano accolte nella loro difficoltà. La parte più importate del nostro lavoro è permettere alle persone di raccontare la loro esperienza, di sfogarsi e di presentare i loro problemi. E a volte ci capita di riuscire a vedere quel problema sotto una luce diversa e di conseguenza aiutiamo anche il nostro interlocutore a fare altrettanto. All’inizio si cerca di togliere o alleviare l’astio che la persona prova per quanto si è trovata a vivere. Poi il “racconto” deve essere accompagnato dalla documentazione medica. Si passa così tale documentazione a un medico legale che ha una convenzione con noi e offre la sua prestazione in pratica gratuitamente. Riceverà una parcella solo se la perizia stabilirà che c’è materia per contendere e N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
NO AGLI ABUSI DI POTERE Appello per la tutela degli invalidi civili.
“SONO UN VIP” è la campagna promossa da Cittadinanzattiva per denunciare lo stato di estremo disagio in cui versano tutti i cittadini che, del tutto legittimamente, aspirano alle “indennità economiche correlate al riconoscimento delle minorazioni civili”. Non vogliamo difendere gli imbroglioni ma i “Very Invalid People”, cioè le persone che invalide lo sono veramente! E lo facciamo opponendoci alle nuove procedure contenute nella legge e nelle direttive dell’Inps, secondo cui, per vedere riconosciuta la propria invalidità , i cittadini: devono attendere tempi lunghissimi a causa delle inefficienza delle procedure informatiche e dell’eccessiva burocrazia; sono obbligati, nonostante la visita della Commissione Asl integrata con un medico dell’Inps, ad ulteriori accertamenti che violano il rispetto della dignità della persona; sono costretti ad attendere a lungo i verbali degli accertamenti sanitari e a fare i conti con le procedure di pagamento bloccate da tempo; incontrano in generale numerosi ostacoli all’esercizio del diritto di accesso alle indennità.
poi se si vincerà la possibile causa. Alla persona che viene da noi chiediamo solo di associarsi, al costo di 20 euro annui. Se poi c’è un riscontro del medico legale ci mettiamo in contatto con alcuni avvocati, anche loro in convenzione con noi, i quali si impegnano a seguire la pratica. Anche per il loro “eventuale” com-
E lo stato cosa fa? I troppi casi le sue azioni si svolgono al di fuori del rispetto delle norme in quanto: strumentalizzano l’invalidità per raggiungere un obiettivo non dichiarato,ovvero il massimo contenimento possibile della spesa assistenziale; riducono arbitrariamente i requisiti previsti dalla legge per l’assegnazione delle indennità correlate al riconoscimento dell’invalidità civile; calpestano i diritti dei cittadini realmente invalidi. La restrizione dei requisiti sanitari per la concessione dell’indennità di accompagnamento attuata dell’Inps avviene nel totale disprezzo delle norme, nel palese abuso di potere, poiché riduce le garanzie per i cittadini di accedere ai benefici previsti dalla Legge limitando ulteriormente i criteri di assegnazione dell’accompagnamento oltretutto già bocciati in Parlamento. Aderisci con una tua firma, apposta presso le nostre sedi, alla campagna “Sono un V.I.P”, ci aiuterai a fare pressione sul nostro Parlamento e sugli Enti preposti affinché i diritti dei cittadini siano rispettati. www.sonounvip.it
penso vale quanto detto per il medico legale il quale, va detto, non risiede nella nostra provincia e così non ci sono rischi di commistioni con assicurazioni, ospedali o altro... Fa poi solo il medico legale e non ha altre attività e questo lo rende più libero ed imparziale. I casi semplici con una perizia si
possono risolvere anche in soli due mesi. La cosa diventa invece più lunga per casi particolari anche perché a volte il medico legale deve consultarsi con altri specialisti che devono vedere direttamente la persona. Ora i tempi di fanno più lunghi anche a causa dell’ulteriore filtro della mediazione. I casi che abbiamo portato a buon fine hanno impiegato un anno e qualche mese per risolversi da quando le persone sono venute da noi». - Quali sono i problemi o le difficoltà che notate maggiormente? «I problemi maggiori sono legati alla mancata preparazione civica del cittadino, che non è sempre a conoscenza delle prestazioni cui ha diritto e delle possibilità che potrebbe avere. Manca l’informazione. Un secondo problema per me è che i medici non hanno più la preparazione umana e psicologica per affrontare certi eventi . La pratica medica è
una vocazione e non sempre questa vocazione c’è. Per cui il personale sanitario a volte porta sul lavoro i propri problemi e questo gli impedisce di essere lucido ed attento. Poi è anche vero che le persone vogliono tutto e subito, ci sono pretese esagerate. Medici ed infermieri lavorano spesso in situazioni pesanti e in ambienti difficili. Devo dire che nel 50 per cento dei casi, al di là dell’errore medico che può capitare, le persone vengono da noi perché si sono sentite trattate male». - Su cosa vi state impegnando ultimamente come Cittadinanzattiva e Tribunale del malato? «Una campagna a cui teniamo molto è quella che abbiamo chiamato “VIP”, cioè “Very Invalid People” (vedi box). Stanno uscendo norme che rendono complicate la pratiche per la richiesta dell’invalidità . Per colpire i falsi
invalidi è stata resa difficile la vita anche ai veri invalidi e per affrontare la questione vogliamo collaborare con le altre associazioni che lavorano nel campo. Poi c’è la campagna annuale, questo è il quinto anno, per la giornata europea dei diritti del malato ( il 18 aprile). Cittadinanzattiva ha presentato anni fa una carta dei diritti del malato, sottolineando appunto 14 diritti inalienabili del malato. Questa carta è stata presentata al Parlamento europeo che l’ ha esaminata attraverso una commissione la quale l’ha ratificata ed è stata così approvata. Ogni Stato ora deve impegnarsi affinché qualsiasi cittadino della Comunità Europea veda rispettati questi suoi diritti in qualsiasi stato dell’Unione si trovi. E goda quindi del medesimo trattamento di cui godrebbe in patria». - Vuole aggiungere qualcosa d’altro? «È bello poter dare un aiuto alle persone. Noi siamo disponibili a “poco prezzo” perché vogliamo dare alle gente la possibilità di vedere riconosciuti i suoi diritti, offrendo però sempre un aiuto professionale, serio. Vogliamo in qualche modo “educare” le persone a far valere i propri diritti. Ma cerchiamo pure di far capire che a volte anche loro hanno sbagliato o hanno preteso l’impossibile. Il nostro è un lavoro più ampio del semplice cercare un risarcimento economico per un caso di malasanità. È un discorso più globale.. Se poi qualcuno vuole venire a “lavorare” con noi….» Emanuela Giuliani
Tribunale del Malato Responsabile: Daniele Bonsembiante
[email protected] Sede di Varese c/o Ospedale di Circolo Viale Borri, 57, 21100 Varese Tel 0332 278365 Orari di apertura: Lunedì 9-12; Mercoledì 15-18; Sabato 9-12 Sede di Gallarate Piazza Giovane Italia 2 (Ex scuola infermieri) Tel 0331 714737 Orari di apertura: Mercoledì 10-12; Venerdì 15-17 Sede di Angera c/o Ospedale di Angera Tel 0331 961300 Orari di apertura: Lunedì 9-11
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N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
ATTUALITÀ
NEL CAMPUS DOVE SI FARANNO CAMMINARE I TETRAPLEGICI A Grenoble si studia un dispositivo per far camminare i tetraplegici, mentre c’è chi lavora sulla rigenerazione del midollo spinale.
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e lesioni del midolllo spinale rappresentano una patologia devastante, sia dal punto di vista clinico che umano, comportano un costo sociale enorme e rimangono tristemente incurabili. La tecnologia e in particolare la “nanotecnologia” però sta facendo passi da gigante e si spera possa offrire in un futuro non troppo lontano delle opportunità concrete per coloro che ne soffrono. Italia Oggi dà notizia che a Grenoble hanno ideato un piccolo dispositivo tondo, di non più di 5 centimetri di diametro che potrebbe rivoluzionare la vita di centinaia di tetraplegici e permettere loro di camminare e ritrovare l’uso del proprio corpo. Si tratta di uno dei progetti allo studio nel Giant (Grenoble innovation for advanced new technology), il campus emanazione del Cea (Commissariat à l’energie atomique) di Grenoble, in Francia. In piena espansione, il Giant ha progressivamente voltato le spalle all’energia nucleare per abbracciare la micro e nanotecnologia, la scienza dell’infinitamente piccolo. Il tutto moltiplicando la cooperazione fra i 6 mila ricercatori, i 5 mila studenti e gli altrettanti dipendenti delle industrie presenti nel sito, che ha il suo punto di forza nella fluidità fra la ricerca fondamentale, la ricerca applicata e le start-up. N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
Al dispositivo che dovrà permettere a un tetraplegico di camminare collabora attualmente oltre una trentina di ricercatori di diverse discipline: fisica, informatica, elettronica, medicina. Sotto la guida di Alim-Louis Benabid, il neurochirurgo riconosciuto in tutto il mondo per i suoi lavori sul morbo di Parkinson.Tutto partirà dalla testa. «Grazie a due dispositivi impiantati su due lati della corteccia cerebrale del paziente», ha spiegato Benabid, «si potranno captare i segnali emessi dal suo cervello. Una volta trattate, le informazioni saranno trasmesse senza fili a una sorta di esoscheletro motorizzato». Grazie al meccanismo, il paziente potrà eseguire una decina di movimenti («rudimentali», sottolinea Benabid) con braccia e gambe: alzarsi, camminare, aprire una porta. Il dispositivo è stato testato prima sui ratti e poi sulle scimmie. Ora si dovranno condurre studi sulla tossicità e la biocompatibilità dei futuri impianti. C’è chi lavora invece sulla rigenerazione del midollo spinale. Una tecnica tutta italiana fondata sulla nanotecnologia potrebbe costituire una svolta rivoluzionaria nella riparazione delle lesioni midollari post-traumatiche, aprendo nuove strade per la terapia di pazienti colpiti da paralisi. Lo studio,
che sarà pubblicato il 25 gennaio sulla prestigiosa rivista scientifica americana Acs Nano, ha portato alla creazione di un’innovativa neuro-protesi di natura biologica, ma progettata e sintetizzata in laboratorio grazie a tecniche di nanotecnologia. Si tratta di una struttura tubolare composta da materiale biocompatibile e assorbibile dal corpo, che ha la funzione di riempire i “buchi” che danneggiano la struttura nervosa e causano la paralisi. Applicata in danni spinali analoghi a quelli dei pazienti quadri e tetraplegici, questa neuro-protesi supporta la rigenerazione delle fibre nervose spinali e del tessuto midollare danneggiato, dando speranza ai pazienti di risolvere la loro immobilità fin ora considerata inguaribile. La scoperta, completamente italiana, è stata fatta dal team del Prof. Angelo Vescovi, Direttore Scientifico dell’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza Opera di San Pio da Pietrelcina, Direttore del Centro di Nanomedicina e Ingegneria dei Tessuti dell’Ospedale Niguarda e Professore di Biologia nell’Università di MilanoBicocca in collaborazione con il giovane ricercatore Fabrizio Gelain, da poco rientrato in Italia dagli Stati Uniti. M.C. LISDHA NEWS - 17
ASSOCIAZIONI Casa Elisa
L’OAMI E L’ACCOGLIENZA DEL BUON SAMARITANO Nel cuore di Varese, sebbene ancora non così conosciuta, si trova Casa Elisa, una comunità socio-sanitaria dell’Oami (Opera Assistenza Malati Impediti) dove vivono, come in una famiglia, persone con disabilità psico-fisica grave. La struttura è amministrata da Vitaliano Mascioni, presidente della Sezione Oami di Varese, che ci parla delle case-famiglia pensate e volute da Monsignor Enrico Nardi agli inizi degli anni sessanta.
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a disabilità è un problema. Un problema che molti vivono sulla propria pelle spesso in solitudine, in un triste isolamento che li avvolge assieme alle proprie famiglie d’origine – se e fin quando ci sono - e che poi si amplifica paurosamente data la penuria di strutture adeguate che si fanno carico di questa realtà. Ciò che spesso spaventa maggiormente, dunque, non è (solo) la malattia invalidante, ma l’abbandono, l’emarginazione silente che, come un secondo morbo, 18 - LISDHA NEWS
impietoso aggredisce chi ha già lottato duramente per anni all’interno di un cammino tutto in salita. D’altro canto, laddove esistono - i grandi istituti di ricovero per disabili non rappresentano una valida risposta, trattandosi spesso di strutture enormi, spersonalizzanti, che alimentano un tipo differente di solitudine. Questo è stato anche il pensiero di don Nardi, sacerdote illuminato che, agli inizi degli anni sessanta, ha capito la fondamentale importanza di accogliere persone
con handicap rimaste sole o prive di famiglia dando loro una casa e creando le condizioni per la nascita di nuove famiglie, ovvero piccole comunità sotto la guida di una figura femminile che in qualche modo sostituisse l’immagine materna. Incontro il signor Mascioni nella sede di Casa Elisa Maria, una grande villa d’epoca situata in viale Aguggiari a Varese. N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
- Signor Mascioni cosa è esattamente l’Oami? « E’ un’associazione di iniziativa privata e volontaristica, riconosciuta sia dallo Stato nel 1968 quale ente morale (cui si affianca oggi anche la qualifica di onlus), sia dalla Chiesa Cattolica: nel 1998, infatti, la Cei tramite l’allora Presidente Cardinale Ruini ne ha approvato lo Statuto, attribuendo all’Opera personalità giuridico canonica come Associazione privata di fedeli a carattere nazionale. L’Oami (Opera Assistenza Malati Impediti), quale opera di amore basata sui principi della fratellanza e dell’accoglienza si fonda sostanzialmente sulle offerte, lasciti, donazioni di persone, più o meno facoltose, dall’animo nobile e generoso e sull’aiuto concreto di volontari». - Il fondatore è don Nardi, vero? « Sì. L’idea scaturì dalla mente e soprattutto dal cuore di questo sacerdote toscano, recentemente scomparso, nel 1960 quando, al rientro da un pellegrinaggio a Lourdes organizzato dall’Unitalsi, di cui era Presidente, si accorse che una giovane si stava per buttare giù dal treno in corsa. Si trattava di una ragazza che appena laureata era stata colpita da sclerosi multipla e la cui mamma – rimasta vedova - si era ammalata di cancro. Il dolore e la paura della malattia e della solitudine l’avevano spinta ad un gesto estremo… Quattro anni più tardi, quella ragazza entrò come prima ospite a Casa Serena, prima casa-famiglia d’Italia fondata a Piandiscò, provincia di Arezzo». - Attualmente, l’Oami è diffuso su tutto il territorio nazionale? «E’ presente in molte regioni italiane (oltre che in Toscana, in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Umbria, Sicilia e Sardegna) sotto forma di case-famiglia per disabili, centri diurni per anziani e disabili, centri per bambini disabili, centri per il lavoro guidato, centri sportivi, case-vacanza. La missione principale dell’Oami è offrire a persone con disabilità psico-fisica anche grave ed agli anziani, un ambiente di tipo familiare dove vivere con dignità, nel pieno rispetto della propria personalità, promuovendo una reale integrazione non solo attraverso il recupero dell’autonomia e delle capacità residue, ma offrendo agli ospiti anche l’occasione di valorizzare il proprio potenziale. Le strutture Oami, dunN. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
que, oltre a fornire alle famiglie dei disabili un appoggio concreto, rispondono anche al grande problema del “dopo di noi” fornendo servizi di qualità anche grazie al costante aggiornamento di coloro che vi operano». - Nel territorio di Varese e Provincia quante case vi sono? «Ad oggi, vi sono tre case-famiglia che possono ospitare sino a dieci persone ciascuna. Nella città di Varese, troviamo a Masnago Casa Laura, comunità-alloggio solo femminile fondata nel 1977 ed in viale Aguggiari Casa Elisa Maria, comunità socio-sanitaria in funzione dal ‘97 riservata a persone disabili non auto-sufficienti di sesso maschile. Inoltre, a Saltrio è stata da pochi Casa Laura.
anni inaugurata una nuova comunità-alloggio mista che ha preso il nome di Casa Silvia ed ha “sostituito” Casa Beatrice. Infatti, la sede di tale comunità non rispondeva più ai requisiti strutturali previsti dalla legge e la messa a norma sarebbe stata troppo onerosa. Grazie al provvidenziale intervento della signora Lisetta Tordera Bramati, proprietaria del sacchettificio Tordera di Varese, è stato possibile realizzare su un terreno vicino un’altra struttura concepita con criteri moderni e, quindi, idonea secondo gli standard fissati dalla Regione Lombardia. Tale casa-famiglia è stata ribattezzata Casa Silvia in onore della nipote della benefattrice. Anche Casa Elisa è frutto di un’altra donazione ad opera della signora Carla Bocca
compresa fra i 28 ed i 64 anni, vi arrivano soprattutto tramite i servizi sociali del Comune di residenza: sono giovani o meno giovani che hanno perduto la famiglia o che non riescono più ad essere accuditi dai propri congiunti. La retta massima che sono chiamati a versare è pari a 79 euro al giorno; in genere, però, interviene il Comune con un’integrazione. Nelle case-famiglia vi sono poi operatori qualificati (Asa e Oss), educatori, e nelle comunità socio-sanitarie destinate ad accogliere disabili non auto-sufficienti come Casa Elisa- anche infermieri professionali e fisioterapisti, ed è obbligatoria l’assistenza notturna. Inoltre, alcuni volontari danno un valido aiuto, ad esempio come animatori o nella guida dei pulmini nel caso di gite o spostamenti».
Fossati. Senza la generosità di queste persone l’Oami non potrebbe nulla…». - Chi sono gli ospiti di queste case e qual è esattamente il suo lavoro signor Mascioni? «In qualità di Presidente della Sezione Oami di Varese ho compiti di coordinamento delle tre realtà presenti sul territorio. Come amministratore di Casa Elisa, mi occupo della contabilità e della gestione dei rapporti tra la Casa e gli enti e le
istituzioni pubbliche. In ogni casafamiglia, oltre all’amministratore, è prevista la figura fondamentale della responsabile, pensata da don Nardi, la quale dirige e gestisce la casa come una mamma. Si tratta di una scelta di vita poiché la responsabile, appositamente formata presso l’Associazione del Buon Samaritano che ha sede a Firenze, vive nella casa-famiglia e, quindi, rinuncia al matrimonio e ad avere una famiglia tutta sua. Gli ospiti delle case-famiglia, la cui età è
O.A.M.I. – OPERA ASSISTENZA MALATI IMPEDITI Via Del Ghirlandaio, 56 – 50121 Firenze Tel. 055-677250 -
[email protected] www.oami-onlus.it Presidente: Prof.ssa Anna Maria Maggi
Strutture O.A.M.I di Varese e Provincia CASA ELISA MARIA: viale Aguggiari, 16 Varese, tel.0332-281730 Responsabile: sig.ra Giulia Raponi – Amministratore: sig. Vitaliano Mascioni Per eventuali offerte: Iban: IT98R 05428 10801 00000 0055763 CASA M. LAURA: via Valverde, 26 Masnago (Va), tel.0332-229821 Responsabile: sig.ra Bianca Giacomelli – Amministratore: sig.ra Margherita Belloni Per eventuali offerte: Iban: IT22L 05428 10810 00000 0003869 CASA SILVIA: via Rossini, 2 Saltrio (Va) – tel.0332-486643 Responsabile: sig.ra Anna Marras – Amministratore: rag. Carlo Ghiringhelli Per eventuali offerte: Iban: IT91Y 05428 50750 00000 0000107.
- Quali sono i bisogni dell’Oami ed in particolare di casa Elisa? «Devo dire che purtroppo l’ammontare delle rette non copre affatto per intero i costi di questa struttura che, per circa l’80%, sono rappresentati dagli stipendi degli operatori e che necessita costantemente di opere di ammodernamento per non perdere i requisiti stabiliti dalle disposizioni normative. Di lavori, soprattutto di manutenzione straordinaria ve ne sono… avremmo, ad esempio, bisogno di riverniciare gli infissi, d’imbiancare gli interni, dell’intervento di un falegname per alcuni lavoretti, di un giardiniere; dovremmo poi sostituire il computer che è vecchio e lento, avremmo necessità anche di un aiuto in cucina, di persone disponibili ad assistere i nostri ospiti nel caso di ricovero in ospedale… questo tipo di aiuto sarebbe davvero prezioso. Se qualche pensionato, come me, qualche casalinga o qualche giovane di buona volontà volessero regalarci un po’ del loro tempo e delle loro energie li accoglieremmo a braccia aperte!» Mi auguro che questo appello sia raccolto in primo luogo dai varesini. Sento dire, a volte, che volendo aiutare non si sa come fare perché le truffe sono dietro l’angolo… beh, in questo caso, sappiamo come i nostri soldini (pochi o tanti) verrebbero impiegati e potremmo anche ogni tanto passare da Casa Elisa a fare un saluto o a dare una semplice mano… la vera gioia sta nella condivisione! Maria Cristina Gallicchio
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N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
MOBILITÀ
LA CHIESA HA L'OBBLIGO DI RENDERE ACCESSIBILI I LUOGHI DI CULTO
T
utte le persone, disabili e non, devono potere accedere autono« mamente ai luoghi di culto»: lo ha affermato Salvatore Di Giglia, coordinatore dell’Ufficio Nazionale del Garante della Persona Disabile, rivolgendosi nello specifico al parroco della Chiesa di San Martino di Corleone (Palermo) - cui ha inviato una lettera di diffida perché si provveda rapidamente ad eliminare le barriere che impediscono l’accesso alla chiesa alle persone con problemi motori - trattando però l’intera questione in termini ben più generali. «L’obbligo - ha ricordato Di Giglia nel documento - nasce da una precisa disposizione normativa, vale a dire il Decreto Ministeriale 236/89, che all’articolo 3, punto 3.4, lettera d), dispone che “nelle unità immobiliari sedi di culto il requisito della visitabilità si intende soddisfatto se almeno una zona riservata ai fedeli per assistere alle funzioni religiose è accessibile”. E successivamente il punto 5.4 testualmente prevede che i luoghi per il culto debbano avere “almeno una zona della sala per le funzioni religiose in piano, raggiungibile mediante un percorso continuo e raccordato tramite rampe. A tal fine si devono rispettare le prescrizioni di cui ai punti 4.1., 4.2, 4.3, atte a garantire il soddisfacimento di tale requisito specifico”». L’Ufficio, inoltre, dopo avere constatato l’annosa disattenzione del parroco corleonese per tali problematiche ha invitato il prelato ad astenersi dalN. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
l’organizzazione all’interno del luogo di culto di eventi vari o riunioni aperte a tutti (incontri culturali in genere, spettacoli di musica sacra, presentazioni di libri e altro ancora), perché tali iniziative, «fino a quando la chiesa non diverrà accessibile a tutti (persone disabili e non disabili), rimarcherebbero un forte momento di disattenzione verso il principio di parità di trattamento e realizzerebbero un comportamento apertamente discriminatorio, oggi sanzionato dalla Legge 67/06 [“Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”, N.d.R.] e conclamato dalla giurisprudenza in materia». «In mancanza - è la conclusione della lettera di diffida - sulla base dei numerosi riscontri e delle richieste mirate di intervento formulate da persone disabili, si provvederà ad inoltrare ricorso all’Autorità Giudiziaria, per l’ottenimento della rimozione forzata della barriera architettonica in argomento». «L’handicap - sottolinea Di Giglia, allargando la prospettiva ben oltre la chiesa di Corleone - non nasce con la persona con deficit, ma è solo il frutto dell’impatto tra la condizione di disabilità e la struttura sociale in cui si vive. La Chiesa come istituzione non può comportarsi come il comune Cittadino, normalmente disattento al disagio della persona con deficit. Essa infatti, a prescindere dalla sua funzione istituzionale proiettata verso l’accoglienza di tutte le persone che intendono frequentare il luogo di
culto, deve riconoscere a tutti, disabili e non, il diritto a condurre una “vita indipendente” anche sul piano della propria professione di fede. Se non favorisce, quindi, l’accessibilità generalizzata ai propri luoghi di culto, finisce per realizzare un comportamento diametralmente opposto, diretto alla non accoglienza e all’emarginazione. Non vi è dubbio, in tal senso, che in questi casi la persona con disabilità motoria venga privata della possibilità di professare e partecipare alle varie funzioni religiose». «Sarebbe quindi fortemente auspicabile - conclude il coordinatore dell’Ufficio del Garante - che una persona in carrozzina o comunque con seri problemi motori non dovesse più in futuro rinunciare a presenziare alla celebrazione di matrimoni, battesimi, cresime, funerali di parenti o amici, perché il luogo di culto in cui si svolgono tali funzioni è di fatto inaccessibile». (S.B.) Il recapito del coordinatore dell’Ufficio Nazionale del Garante della Persona Disabile è
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SPORT
CAMPIONI DI SPORT E DI UMANITÀ
I
l nuoto per disabili è praticato con successo in provincia di Varese grazie all’opera di varie associazioni, tra cui la Polha. Tante storie di successo, ma anche di profonda umanità. Nella provincia dei 7 laghi sarebbe il colmo non poter vantare una florida attività natatoria. Peccato che nuotare nei nostri laghi sia piuttosto problematico e le piscine, soprattutto quelle accessibili, straboccano di
realtà e tesserati ma non di ore d’acqua. Madre di tutte le società varesine con un settore nuoto è la Polha Varese prossima a festeggiare i trent’anni di attività, tutt’ora l’unica rivolta ai disabili fisici. Per gli “intellettivi” sono invece sul territorio il Vharese, l’Asa Varese, la Rari Nantes Saronno e la Pad Busto Arsizio. Altra storica realtà acquatica varesina è Acquamondo, dedita all’ac-
quaticità. Con l’avviata integrazione e la nascita della Federazione Italiana Nuoto Paralimpico sono inoltre in crescita gli atleti con doppio tesseramento. Tra i tanti, l’emergente Federico Morlacchi, Polha Varese e Luino Nuoto, proiettato a suon di risultati verso le prossime Paralimpiaidi in programma nel 2012 a Londra. Uno dei tanti privilegi donati a chi frequenta il mondo della disabilità è avere la possibilità di vivere e raccontare storie ed esempi di rara passione, dignità, gioia. In queste pagine di Lisdha news lascio volentieri la possibilità di raccontarsi al Team Insubrika, a una mamma di tre figli che vorrei come mia perché la mia l’ho persa troppo presto e ad un’altra mamma naturale di tre figli, adottiva di una quarta che abita a Varese in via Valverde e nell’anno paralimpico 2012 compierà i suoi trent’anni di vita. Conoscendo queste persone il pensiero vola libero alla canzone capolavoro di Vinicius de Moraes “Se todos fossem iguais a você que maravilha viver…” Roberto Bof N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
SPORT
DOPO 30 ANNI HA UNA CASA TUTTA SUA La Polha di Varese è la “madre” delle società varesine nel campo del nuoto per disabili. Dopo aver “sfornato” tanti campioni ora ha finalmente una sua sede.
V
icina a compiere trent’anni di vita. Una vita intensa, una corsa ad ostacoli per migliaia di giovani e meno giovani, uomini e donne che hanno scritto la storia della Polha Varese, classe 1982. Non è nata nel 1982 e nemmeno è la Presidentessa da quell’anno ma, Daniela Colonna Preti è la Polha Varese dal 1985. Una polisportiva che ha attraversato i mari della Fish, Fisd, Cip, Fisdir, per sbarcare con orgoglio sulla riva dell’integrazione. - Ventisette anni controvento con il timone saldamente in mano guidando la rete di attività composta dall’atletica, equitazione, ginnastica, handbike, sledge hockey, kayak, nuoto, tennis tavolo, tiro a segno e tiro con l’arco. Una lunga e corposa storia iniziata scrivendo la parola “nuoto”. «E’ proprio così - racconta la Presidentessa – il nuoto fu la prima disciplina della Polha. Un primissimo passo che oggi è arrivato ad essere un settore agonistico con diverse collaborazioni e sfaccettature unitamente ai corsi che organizziamo dal 2004 nei comuni di Busto Arsizio, Castiglione Olona, Luino, Saronno, Tradate e Varese. Grazie a questi corsi, ogni anno circa 180 disabili vengono avviati all’attività natatoria e all’acquaticità. Per quanto riguarda Emanuele Parolin è arrivato in Polha il 25 novembre del 2000, nel mio primo anno di presidenza. Non aveva ancora compiuto i 9 anni. I suoi genitori lo portarono da noi perché volevano vederlo misurarsi con bambini come lui e non subire l’handicap di nuotare con bambini normo che potevano muovere le gambe. Aveva già fatto nuoto a Gallarate, ma con ovvi limiti. Solo dopo avere fatto nuoto per diversi anni con noi è stato di nuovo il caso di farlo nuotare a Gallarate alla Moriggia, per motivi soprattutto di comodità, evitando i continui trasferimenti a Varese per allenarsi. Una condizione che gli ha N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
permesso di migliorare parecchio le prestazioni e di essere parte integrante di un gruppo». - E intanto la trentesima stagione è già iniziata… «Ci siamo rituffati in acqua da metà settembre. Gli istruttori di nuoto della POLHA sono circa 25, suddivisi nei vari settori di attività del nuoto Polha: Ssp, Casp, Amatori, Agonisti Fisdir, Agonisti Finp, Paralimpici. I 4 atleti Paralimpici sono “gestiti” e allenati da Massimiliano Tosin per la Polha/Finp ma si allenano anche con 4 allenatori delle varie società sportive per cui sono iscritti come Fin: Maurizio Marsili per Arianna Talamona (Team Insubrika), Fabio Cerinotti per Federico Morlacchi (Luino Verbano Nuoto), Gianni Leoni per Fabrizio Sottile (Team Insubrika) e Daniele Caruso per Emanuele Parolin (Team Insubrika). I settori Casp-Amatori-Agonisti sono sotto la Direzione Tecnica di Silvia Marchetti. Con lei collabora uno staff di tecnici, che al momento sono: Roberta Anselmi, Alessandra Quadranti, Stefania Quadranti, Gianluca Zani. Quest’ultimo segue soprattutto gli agonisti “intellettivi”. Le altre 4 istruttrici seguono in vario modo gli altri atleti». - Sigle, termini e forza lavoro che tradotti in attività formano un puzzle piuttosto complesso, soprattutto a causa della cronica carenza di strutture. «Una delle nostre care e vecchie difficoltà…già da 2 o 3 anni e in particolare per questa stagione pre-paralimpica, il nostro settore nuoto ha trovato casa presso la Piscina Laguna Blu di Varese dove si svolgerà l’intera attività, da quella del Centro Avviamento Sport Paralimpico al settore agonistico. Grazie ad un accordo con la proprietà siamo alla Laguna blu al sabato pomeriggio dalle 16.00 alle 18.30 con gli atleti paralimpici e dalle 17.30 alle
19.30 con i settori CAP, Amatori, Agonisti FINP e FISDIR. Al mercoledì sera dalle 19.40 alle 20.40 siamo invece in Piscina Comunale ancora con gli Amatori, Agonisti Fisdir e Finp. Da gennaio a maggio 2012 saremo al Centro Laguna Blu anche il venerdì mattina per la parte varesina dei corsi di cui ho parlato prima, un progetto provinciale denominato “Sport Si Può”». - 10 discipline, 60 volontari, 90 atleti. Un’attività frenetica con la centrale operativa finalmente in una casa diversa dalla sua abitazione privata. «Finalmente è la parola giusta. Grazie al Comune la Polha ha una casa tutta sua in Via Valverde. Alla gioia di averla è sopraggiunta ben presto la preoccupazione di ristrutturarla rendendola accessibile e ora di mantenerla. Un pensiero in più ma, un bel pensiero». - Un altro bel pensiero è la stella del settore nuoto Federico Morlacchi. «Federico sta raccogliendo i frutti di tutti i sacrifici di quest’ultimi anni, suoi e dei suoi genitori. Davanti ha un grande obiettivo: le Paralimpiadi di Londra del 2012. Le Paralimpiadi sono un sogno comune ai nostri ragazzi. Sono la cima di un movimento che in trent’anni ha compiuto un salto di qualità impensabile. Quando penso alle prime gare alle quali ho assistito…dipendesse da me, a questi ragazzi, ai loro genitori e ai volontari darei una medaglia paralimpica ogni giorno». POLHA VARESE, Via Valverde, 17 21100 Varese Tel. 0332 229001
[email protected] LISDHA NEWS - 23
SPORT
TEAM INSUBRIKA Le stelle del nuoto Paralimpico.
P
ensato nel 2008 come un esperimento, il progetto paralimpico che vede impegnato il Team Insubrika, in sinergia con Polha Varese e G.S. Nonvedenti Milano, è diventato in poco tempo un esempio di efficienza e competenza. Difficoltà? Enormi e sempre le stesse. Su tutte la cecità delle Istituzioni e i costi pesanti che una macchina complessa come Insubrika comporta. Problemi antichi risoluzioni note: volontà e passione. Due componenti vitali. Due virus distribuiti a piene mani in Insubrika come nel Nuoto Club Gallarate del Presidente Massimo Temporiti, dalla locomotiva bionda Barbara Allaria. All’inizio fu Emanuele Parolin! Il racconto dell’avventura del Team Insubrika nel mondo paralimpico potrebbe cominciare così. Emanuele, già in forza alla Polha Varese dal 2001, è stato il primo a credere nella possibilità di unire i due emisferi dello stesso pianeta. I suoi genitori lo accompagnarono in piscina a Gallarate, accolti dal nostro allenatore di allora, Beppe Frego, manifestando la volontà di far allenare il loro figlio insieme agli “altri”. Poco più di 3 anni insieme, allenato nell’ultima stagione da Daniele Caruso, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: progressione cronometrica impressionante, assetto in acqua radicalmente cambiato,
Fabrizio Sottile
Arianna Talamona
convocazione nella Nazionale Paralimpica, partecipazione ai Campionati Europei Assoluti e, lo scorso luglio, argento e bronzo ai Campionati Europei Giovanili di Brno nei 50 e 100 dorso, rispettivamente! E siccome l’appetito vien mangiando il Progetto del Team Insubrika, ampiamente condiviso dalla Polha Varese e dalla sua Presidentessa Daniela Colonna Preti, ha coinvolto anche altri tecnici e società. A Varese, sotto la guida di Maurizio Marsili, si allena da 2 stagioni Arianna Talamona (classe 1994), altro astro nascente del nuoto paralimpico. A Busto Arsizio, nello splendido impianto delle piscine Manara, altri due piccoli “miracoli”: il primo si chiama Martina Rabbolini, giovanissima atleta non vedente allenata da Andrea Caruggi, tesserata per il Gs Nonvedenti Milano. Sempre a Busto, sotto la guida di Gianni Leoni, DT del Team Insubrika, si allena invece la new
entry forse più interessante del nuoto paralimpico italiano: Fabrizio Sottile. Atleta agonista, classe 1993, tesserato per il Team Insubrika da diverse stagioni, Fabrizio ha dovuto fare i conti con un’improvvisa malattia, che ne ha ridotto le capacità visive ma non certo la voglia di combattere. A giugno la Polha Varese gli ha proposto il tesseramento e a luglio era a Berlino, ai Campionati Europei dove ha conquistato il bronzo nei 400 sl S12, finalista in tutte e 6 le gare disputate siglando 6 nuovi primati italiani! La collaborazione tra Fin e Finp(Federazione Italiana Nuoto Paralimpico) si sta dimostrando vincente e, a questo punto, per tutto il nostro Team, il sogno si chiama: Paralimpiadi di Londra 2012!” A.S.D. Nuoto Club Gallarate, Via Buonarroti, 14 21013 Gallarate (Va) Tel. 0331 774033 www.nuotoclubgallarate.it Federico Morlacchi
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N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
SPORT
UNA VITA COME GLI ALTRI… ANCHE GRAZIE ALLO SPORT L’esperienza di Emanuele Parolin dal racconto della madre.
E
manuele, terzo figlio, aspettato e voluto, è nato a Gallarate il 10 dicembre, una notte bella, gelida. Nulla sembrava oscurare il suo arrivo. Era bello vispo, ha pianto subito. Ma nella nursery, alla prima visita i medici si sono accorti di una lesione, Mielomeningocele o spina bifida, causata dal travaglio che aveva determinato il taglio cesareo. Il trasferimento all’Ospedale di Niguarda a Milano fu immediato. Operato e poi seguito nel percorso di crescita con i relativi problemi. Per spiegare cosa si prova quando si va a sbattere contro una diagnosi del genere racconto sempre che in quei giorni vicini al Natale in città c’erano molte luci sinonimo di gioia e allegria. Per noi fu come se qualcuno avesse staccato la spina. Io e mio marito ci ritrovammo nel buio più totale. Per completare l’opera la mia mamma morì tre giorni dopo. A lei fu risparmiata la diagnosi del nuovo arrivato, ma dopo 10 anni di difficoltà per un ictus, un infarto l’ha portata via e noi…avevamo altro da fare! Aiutato e coccolato da tutti, con una mamma che a un anno d’età l’ha portato al nido (mamma senza cuore!), Emanuele emanava una grande energia. Era attratto da qualsiasi cosa. Ha imparato in fretta ad andare in bicicletta, a cavallo, ad arrampicarsi sugli alberi, giocava e si rotolava nella neve. A tre anni non “doveva” perdere la lezione di nuoto 2 volte a settimana perché…”fa bene”! Le prime volte piangeva e la zia voleva portarlo fuori. Frequentava il corso dei più piccoli. Ma anche lì bruciò le tappe e ben presto entrò, accompagnato, in vasca grande, con gli “altri”. A 8 anni e mezzo, leggendo un volumetto della Provincia di Varese, scoprimmo un’Associazione Sportiva che poteva fare al caso nostro: la Polha Varese della Presidentessa Daniela Colonna Preti. Accolto subito come la mascotte del settore nuoto, aumentò la frequenza degli allenamenti e affrontò le prime gare. La sua condizione rappresentava una novità e quindi era un po’ al centro dell’atN. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
Didascalia foto: Emanuele Parolin
tenzione generale. Meno male che poco dopo arrivò alla Polha anche Federico Morlacchi con il quale è nata una bella amicizia che dura tutt’ora. Oggi Emanuele è seguito alla Polha da Max Tosin e alla Nuoto Insubrika prima da Beppe Frega e quest’anno da Daniele Caruso. Ma ciò che più mi riempie di gioia, ancor più dei successi di Emanuele con le due società e la Nazionale, è vedere anche tanti altri genitori con i loro figli e storie simili alla nostra vivere le nostre stesse emozioni. Mio figlio, nostro figlio, è un ragazzo sereno e con vari interessi, compatibilmente alle difficoltà che purtroppo in questi ultimi anni si sono aggiunte potendosi muovere solo in carrozzina. Ha preso la patente di guida. E’ ragioniere, iscritto alla facoltà di Ingegneria gestionale. Non mi stanco mai di guardare le sue foto con gli “altri” ragazzi, come quelle scattate ai piedi della 3 Cime di Lavaredo portato a fatica dai suoi amici. Nell’agosto scorso l’ho salutato un po’ preoccupata alla sua partenza per Madrid dove ha partecipato
alla Giornata Mondiale della Gioventù. E’ tornato stravolto dalla fatica ma nello stesso tempo radioso per l’esperienza vissuta, determinato a non mancare alla prossima, nel 2013 a Rio de Janeiro. Nel crescerlo, io e mio marito abbiamo avuto la fortuna di avere al nostro fianco le mie sorelle che hanno dato ad Emanuele l’amore e il tempo che si danno a un figlio, oltre a tante altre persone che in molti modi gli hanno permesso di fare tutte le esperienze di vita che altrimenti gli sarebbero state negate. In questi anni, con Enti e Istituzioni non ho avuto particolari difficoltà. Grazie alla Polha e a Insubrika le cose sono via via migliorate. Certo, per questi ragazzi servirebbero più supporto e attenzioni ma, questo dovrebbe valere per tutti i giovani, in ogni campo e settore. E comunque, la vita mi ha insegnato a non chiedere. La mia vita è la mia famiglia e tutte le persone che permettono a Emanuele di vivere la vita…come gli “altri”. Dina Parolin LISDHA NEWS - 25
PSICOLOGIA
DIFENDERSI DAI PENSIERI NEGATIVI I pensieri negativi ci portano ad assumere comportamenti che ci danneggiano.
C
apita alle volte che guardandomi indietro faccio delle considerazioni su cosa avrei potuto fare o dire in certe situazioni. Cosi mi sono accorto come certi miei pensieri e comportamenti mi hanno danneggiato. Questi pensieri li chiamo Pensieri Negativi, mutuando un termine della filosofia. Cosa sono i pensieri negativi? Sono pensieri e quindi comportamenti che consapevolmente o inconsapevolmente noi assumiamo
nel corso della vita e che ci danneggiano. Dove troviamo i pensieri negativi? I pensieri negativi sono caratteristici di patologie come la depressione e gli stati ansiosi, ove hanno la massima espressione, fanno la parte del leone, sono particolarmente evidenti e persistenti, ma li possiamo trovare anche in altre forme di disagio mentale o fisico. In generale i pensieri negativi sono ovunque, attraversano gli strati sociali e possono non essere legati nemmeno a un disagio. Sono solo pensieri o sono anche azioni? Sono entrambe le cose perché le azioni nascono dai pensieri. Se una persona è cosciente di avere un disturbo mentale può pensare di essere etichettato come matto e l’azione conseguente è isolarsi per non mostrare agli altri il problema, perdendo cosi le relazioni sociali. Se perdo un arto sul lavoro diventando inabile posso pensare di esse-
re inutile per la società e l’azione conseguente è sviluppare un comportamento passivo e rinunciatario. In entrambi i casi, un pensiero iniziale ha sviluppato un comportamento dannoso. Qual’è il punto? Il punto è che quando i pensieri negativi si accompagnano a qualche disabilità già presente sono ancora più nocivi perché danneggiano ulteriormente un organismo già danneggiato. Indeboliscono ulteriormente qualcosa di già debole, aggiungono sofferenza a sofferenza. Scrivo partendo dalla mia esperienza della depressione ma i concetti sono espandibili ad altre problematiche fisiche o mentali. Supporto la mia esperienza con spunti dal manuale di psichiatria “La salute della mente” di Dianne Hales e Robert E. Hales e da “autodifesa psichica” edizioni Efis. Paragono questi pensieri a dei pesi morti perché inevitabilmente finiscono per portare le persone in basso, sempre più, come la pietra legata al piede porta in basso la persona nell’acqua. Di pensieri negativi ce ne sono tanti e spesso quando si parla di depressione si pensa a disperazione, apatia, senso di vuoto.. Io però vorrei parlare di un altro tipo di pensieri negativi. Questi pensieri non sono propriamente nostri, non nascono con la patologia, ma ci sono stati trasmessi da persone tramite le loro parole o i N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
loro comportamenti. Non ci accorgiamo ma questi pensieri entrano nella nostra testa e fanno sempre e solo danni come fossero minuscoli parassiti. Volendo fare un paragone direi che come nel raffreddore c’è un animaletto invisibile, un virus che riesce a entrare nel corpo e fa danni, cosi ci sono certi pensieri, invisibili, che riescono a entrare in testa e fanno danni. Ad esempio in molte famiglie i figli sono caricati di tante attività, sono criticati, sono oggetto di osservazioni continue, sovente eccessive quando commettono un errore. Specie in società tecnologiche e competitive, i genitori vogliono figli perfetti, competitivi, brillanti dallo studio al lavoro e dunque mal sopportano se i figli sbagliano o manifestano qualche debolezza fisica o mentale. Forza, ricchezza, protagonismo a ogni costo, stare sulla cresta dell’onda, sono valori sociali forti. E sono valori trasmessi in molte famiglie, perché la famiglia media è molto diversa dalla famiglia del “mulino bianco” dove regna solo pace e armonia. Ma non sono valori accessibili a tutti ma solo a una ristretta cerchia di persone, quelle più forti e geneticamente più dotate. Certamente non sono valori accessibili a chi ha qualche disabilità. Non è che i genitori non vogliono bene ai figli ma spesso critiche eccessive provocano una mancanza di autostima, un senso d’insicurezza in se stessi che prepara terreno fertile a tanti problemi che presto o tardi si manifestano nel corso degli anni. Osservazioni e critiche ripetute hanno un effetto psicologico dannoso sulla vittima. Nasce nella vittima un modo di pensare negativo del tipo “se sono criticato una ragione ci deve pur essere e quindi c’è qualcosa di sbagliato in me”, oppure “gli altri sono più bravi di me, perché non sono come loro?”. Nasce un senso di colpa e inadeguatezza nei confronti degli altri difficilmente sradicabile. Diventano allora difficili i rapporti con gli altri, la vita diventa un’eterna sfida, un cercare di raggiungere sempre la perfezione. Ci si sente goffi in presenza degli altri, si ha timore a manifestare il proprio pensiero comportandosi da inferiori, restando tanto in casa, evitando attività sociale, restando passivi sul posto di lavoro. Questi comportamenti sono deleteri per noi stessi e portano sofferenza, è come avere una palla al piede che rende difficile qualsiasi cosa e se poi è già presente un qualN. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
che problema fisico o mentale, allora ben si capisce che questo modo di pensare aggiunge altra sofferenza. Questi comportamenti sono frutto di un pensiero iniziale, un pensiero sbagliato e nella maggioranza dei casi i genitori non sono neppure consapevoli di trasmettere questi pensieri ai figli; ma comunque, intenzionali o non, gli effetti sono sempre dannosi. Molte persone sperimentano queste vicende non necessariamente coi propri genitori, ma anche con amici, parenti, colleghi di lavoro, partner. Sovente i pensieri negativi nascono non da osservazioni verbali ma da certi comportamenti di persone che ci sono intorno. Sono le loro azioni a far nascere in noi l’idea di essere inadeguati, stupidi o incolti. Ad esempio l’indifferenza è uno degli atteggiamenti che più hanno il potere di danneggiare le persone e nel mondo del lavoro è uno strumento usato per distruggere psicologicamente le persone. Un capo che non si interessa dei propri collaboratori, che non si preoccupa del proprio ufficio e di come vengono svolte le mansioni, produce un ambiente di lavoro malsano, stressante che genera nelle persone un senso di frustrazione e di inutilità, terreno fertile a problemi fisici e mentali. Ci sono tanti studi che attestano come vivere in un ambiente dove ci si sente svalutati, considerati pesi morti, genera sofferenza che può favorire tanti disturbi tra i quali anche la depressione. Specie in persone sensibili e inesperte può essere pericoloso lavorare in ambienti simili o subire questi atteggiamenti passivamente. Sono situazioni riproducibili anche in ambienti extra-lavorativi come quello familiare quando tra i membri di una stessa famiglia regna l’indifferenza entro le mura domestiche. In questi anni, frequentando l’ambiente del disagio mentale, ho visto come famiglie disastrate sono una fonte inesauribile di pensieri negativi e ho sentito frasi del tipo “a questo mondo era meglio non ci fossi tanto sono solo un problema”. Sono pensieri che nascono quando ancora i bambini sono piccoli e i loro danni durano per tanto. Conosco bene il disagio mentale, meno quello fisico, ma non sono nato ieri e poco mi basta per capire che anche in certe situazione di disabilità fisica possano nascere pensieri negativi simili, essendo pensieri trasversali ai due mondi. Magari estirpare questi modi di pen-
sare non è facile e forse non più possibile, ma attenuarli si può e si deve e sul come fare ci sarebbe tanto da dire. Ma anche senza arrivare a casi estremi credo che molte persone sperimentano durante la propria esistenza situazioni analoghe perché sono situazioni che non dipendono dal credo politico, religioso, dalla condizione economica. Da questi atteggiamenti occorre assolutamente imparare a farsi uno scudo riconoscendo il pericolo. Lo scudo deve essere maggiore per chi ha già una qualche forma di disabilità. Personalmente la mia idea è che di pensieri negativi il mondo è pieno e si può solo imparare a conviverci altrimenti si subiscono i danni. Luigi Guenzani
PERSONAGGI
IL PITTORE CHE TESTIMONIÒ IL MONDO PERDUTO DI PARIGI ll corpo segnato dalla picnodisostosi, le gambe malate e l’alcoolismo non frenarono l’arte di Henri de Toulouse Lautrec.
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DDedichiamo queste pagine a un artista che ha lasciato il segno nella storia dell’arte e della cultura perché, con tratto abile e ironico, ha dato la sua testimonianza di un’epoca e di un luogo. Henri de Toulouse-Lautrec ha rappresentato l’umanità bohemiénne che popolava le strade di Parigi alla fine dell’800. Post-impressionista, è uno dei pittori e illustratori più significativi del tardo Ottocento. I genitori di Henri, cugini tra loro, erano nobili: i molti matrimoni tra consanguinei nella storia della famiglia Toulouse-Lautrec diedero a Henri un bagaglio genetico « difettoso». Il conte Alphonse e la contessa Adèle ebbero il loro primogenito Henri nel 1864, ad Albi. Il fratello, nato nel 1867, visse solo un anno. Henri frequentò il Lycée Fontanes a Parigi e lì conobbe Maurice Joyant, di origine alsaziana. Joyant divenne il 28 - LISDHA NEWS
suo migliore amico e riconobbe il suo genio artistico; in seguito ne curerà l’eredità, fonderà un museo a lui dedicato ad Albi e sarà il suo biografo: a lui va il merito di aver fatto crescere la fama di Toulouse-Lautrec in tutto il mondo. Nel 1878, nel salone della sua casa di Albi Henri cadde e si ruppe il femore; l’anno dopo scivolò in un fossato e si ruppe l’altra gamba. Soffriva di picnodisostosi, una malattia molto rara che oggi conosciamo anche come Sindrome di Toulouse-Lautrec. Causata dalla mutazione di un gene, colpisce lo scheletro ed è clinicamente caratterizzata da una forma di nanismo, cranio ingrossato con sviluppo anomalo della mandibola – che Henri mascherava con la barba – crescita ridotta delle dita dei piedi e delle mani, unghie distrofiche, mancata chiusura della fontanella sulla sommità del capo e sclere degli occhi blu. Pare ne soffrisse anche il noto autore di favo-
le greco Esopo. Proprio la picnodisostosi, quindi, fece sì che le fratture di Henri non guarissero mai del tutto anzi, le gambe smisero di crescere e rimasero quelle di un bambino di 12 anni. Il nostro pittore, in età adulta, raggiunse solo 1,52 m d’altezza. Proprio l’impossibilità di dedicarsi ad attività sportive e sociali spinse Henri a immergersi nella sua arte. La prima educazione artistica gli venne dal pittore sordomuto René Princetau, amico del padre, che era esperto in raffigurazioni equestri e canine. Tra il 1878 e il 1881 Henri rappresentò scene di quotidianità familiare, parenti, battute di caccia e panorami marittimi legati ai suoi soggiorni in Costa Azzurra; rientrato a Parigi fu assiduo ospite dello studio di Princetau in rue de Fabourg SaintHonorè, una zona abitata da numerosi pittori. Il padre, per preservare la nobiltà della famiglia, gli aveva chiesto di non firmare con il suo nome i N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
quadri che dipingeva. Cosi il giovane pittore usò diversi pseudonimi nei primi anni, quando ancora pensava di frequentare l’Ecole des Beaux-Arts e quando la famiglia Toulouse-Lautrec era favorevole alle sue aspirazioni artistiche. Henri frequentò prima lo studio del ritrattista e pittore storico Léon Bonnat, quindi quello di Fernand Cormon a Montamartre dove conobbe, tra gli altri, Vincent Van Gogh. Proprio Cormon ritenne che Henri non fosse destinato alla grande Arte, in quanto prediligeva il disegno e la caricatura. Ma gli studi fatti lasciarono il segno nella pittura di Lautrec, nel suo tratteggiare le figure in modo molto conforme al reale, senza cercare di migliorare il modello. Proprio questa sorta di verismo era uno dei capisaldi di Cormon. Nel corso della sua crescita artistica Toulouse-Lautrec concentrò il suo interesse sulla figura, un giorno disse al suo amico Joyant: «Non esiste che la figura, il paesaggio è nulla, non dovrebbe che essere un accessorio usato per rendere più intelliggibile il carattere della figura». Frattanto il mondo dell’arte era in fermento: era nata la corrente impressionista, capeggiata da Manet. Nello stesso periodo Henri divideva uno studio con un amico a Montmartre, un quartiere che lo affascinava profondamente e dove – spinto dall’amico cantautore Aristide Bruant – iniziò a interessarsi alle classi meno abbienti parigine. Le nuove opere del nostro autore saranno cupe e realiste, influenzate dall’impressionismo. Una nuova evoluzione verrà dalla frequentazione di un gruppo di pittori chiamati gli Anarchici dell’arte, che trattavano i temi artistici con umorismo e anticonformismo. Lautrec, dopo aver esposto in qualche occasione, riuscì a vendere il suo primo quadro nel 1887. Il suo tratto si era fatto molto complesso, una fusione di elementi legati agli Anarchici, alle nuove opere di artisti come Degas, al recupero delle pennellate dei suoi vecchi amici Van Gogh e Bernard. Le opere di Lautrec iniziarono a essere presentate in diversi contesti riscuotendo interesse e anche un certo successo. Nell’ultimo decennio del secolo si appassionò alla litografia e gli venne commissionato un manifesto pubblicitario dal proprietario del Moulin Rouge. Il lavoro era così bello che altri locali fecero la stessa richiesta e Lutrec divenne esperto nell’uso prima della litografia e poi della stampa. La sua fama cresceva e il suo talento veniva riconosciuto da artisti importanti come quelli del gruppo N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
“Les XX”. In questi anni le sue esperienze furono molteplici: oltre a esporre più volte, incontrò i pittori del circolo Nabis e si avvicinò al mondo del teatro ritraendo momenti di scena. Lautrec raffigurò la grande Sarah Bernhardt e collaborò con il Théâtre de l’Œuvre sia nell’illustrazione dei programmi teatrali che nella ideazione delle scenografie. Pian piano le sue opere si diffusero e godettero di un favore sempre crescente. Molte riviste chiesero la sua collaborazione e, mentre raffigurava la vita del Moulin Rouge e di altri teatri e locali di Montmartre e di Parigi - come le case chiuse – venne definito “l’anima di Montmartre”. A causa delle sue frequentazioni contrasse la sifilide. Viveva nei bordelli – dove realizzò molte delle sue illustrazioni – e si sentiva emarginato come le prostitute che lo circondavano, tanto da diventarne il confidente. Testimoniò i momenti della vita delle sue amiche con ironia, ma anche con allegria, mostrandole perfino felici. Uno dei tanti problemi che segnarono gli anni di Lautrec fu quello dell’alcolismo. A partire dal 1897 la sua salute peggiorò, aggravata dai danni provocati dalla sifilide che progredirono, nonostante i trattamenti costanti con il mercurio – la cura allora conosciuta. Entrò in uno stato di letargia, accompagnata da crisi paranoiche e allucinazioni, che rallentò la sua produzione. Durante le crisi etiliche sperperava il denaro e imbrattava i suoi quadri con la vaselina. Gli amici decisero allora di ricoverarlo in una clinica per malattie mentali. Qui i medici constatarono che, privato dell’alcool, Lautrec migliorava rapidamente e poteva dipingere di nuovo. L’artista lasciò la clinica ma non poteva più vivere da solo: viaggiò a lungo ma, nonostante gli sforzi fatti ricadde nel vizio e tornò a Parigi allo stremo delle forze. Morì nella tenuta familiare di S.André du Bois il 9 settembre del 1901, pochi mesi prima del suo trentasettesimo compleanno.
È sepolto a Verdelais, nella Gironda, a pochi chilometri dal suo luogo di nascita. Ancora qualche nota sulla sua arte: stilisticamente Lautrec non fu reazionario; si pose accanto alla pittura di Seraut, Gauguin, Van Gogh in aperto contrasto con gli ultimi impressionisti Bonnard e Vuillard. Anche se le sue prime opere si ispiravano proprio agli impressionisti, i suoi soggetti non si fusero mai con l’ambiente e con la luce, com’era tipico di quella corrente pittorica. Lautrec rappresentò sempre la figura in primo piano, circondata da un’ambientazione che era solo un pretesto per caratterizzarla. Diversamente dagli altri pittori che frequentavano e raffiguravano le zone più “mondane” di Parigi, Lautrec decise di rappresentare la gente e non il luogo. Il proletariato e suoi divertimenti erano uno spettacolo che affascinava la borghesia del periodo. In tutte le sue rappresentazioni Toulouse-Lautrec semplificava molto il soggetto. Arthur Huc direttore del locale parigino “La Dèpeche de Tolouse” scrisse del nostro autore: «Come avrebbe potuto, essendo feroce con se stesso, non esserlo con gli altri! Nella sua opera non si trova un solo viso umano di cui non abbia volutamente sottolineato il lato spiacevole.(...) Era un osservatore implacabile ma il suo pennello non mentiva». Chiara Ambrosioni
LIBRI
LE LEGGI ANTIBARRIERE Interessante raccolta normativa curata dalla Uildm di Udine.
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bbiamo ricevuto la pubblicazione edita dall’Uildm di Udine, che merita una doverosa citazione in quanto il volume, che si compone di più di 400 pagine, si propone di offrire una raccolta organica della normativa e della giurisprudenza del nostro Paese relativa alle barriere architettoniche. Un’operazione molto utile in quanto può evitare, a chi cerca notizie legislative, di consultare i documenti più disparati sull’argomento. II quadro della legislazione nazionale è composto da due capitoli: la normativa di riferimento (che raccoglie tutti i testi di maggiore rilevanza di carattere generale) e la normativa di settore (che vede il tema delle barriere architettoniche inserirsi all’interno di interventi legislativi dedicati ad ambiti specifici, quali la sicurezza sui luoghi di lavoro, il diritto di voto, i beni culturali, la mobilità, ecc.). II due capitoli sulla normativa regionale propongono, rispettivamente, i testi dei provvedimenti vigenti della Lucia Bellaspiga, Pino Ciociola, Eluana, i fatti, Ancora, 2009
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e una selezione delle più significative leggi emanate dalle altre regioni italiane inclusa ovviamente quella Lombarda. Una panoramica più ampia delle leggi regionali è contenuta nel Cd Rom allegato al volume. Per quanto riguarda la giurisprudenza viene proposta una selezione delle sentenze più significative in materia di barriere architettoniche pronunciate in Italia nei diversi gradi e ambiti di giudizio: Corte costituzionale, Corte di Cassazione, Tribunali di merito, Giudici di Pace, Tribunali amministrativi regionali, Consiglio di Stato, Corte dei conti, Difensore civico. II “Massimario” contiene gli estremi di ogni sentenza e una sintesi dei principi affermati nella stessa. Di alcune sentenze particolarmente significative viene proposto anche il testo integrale. Nella sezione “Schede” il libro propone una selezione di fonti informative sul tema delle barriere architettoniche o, più in generale, su quello delle disabilità. Le schede bibliografi-
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luana Englaro è morta il 9 febbraio 2009 a Udine, dopo diciassette anni di stato vegetativo, chiudendo una vicenda che ha lacerato il Paese, ma lasciando aperti gli interrogativi che hanno scosso le coscienze e diviso gli italiani: era ancora una persona o solo
Come abbiamo affrontato la depressione e l’ansia.
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Bruno Biasci
ELUANA, I FATTI
LE NOSTRE STORIE na raccolta di storie di coloro che ce l’hanno fatta. Usciti dall’incubo della depressione, anche grazie all’Associazione Arete di Varese (via Maspero 20, tel. 335/1026265), hanno scelto di dire qualcosa del loro percorso umano, e lo hanno fatto attraverso il volume “Le nostre storie” pubblicato recentemente dall’Associazione. “Quando all’inizio del 2001, dopo tanto prepararci, riflettere, discute-
che, emerografiche e sitografiche presentano in modo sintetico i contenuti informativi dei libri, delle riviste e dei siti internet selezionati. Gli allegati contengono una serie di documenti che integrano, interpretano e chiariscono la normativa nazionale e regionale. Nell’Appendice, invece, sono stati raccolti articoli e pubblicazioni sul tema delle barriere architettoniche, una serie di contributi, segnalazioni e richieste di chiarimenti in merito all’applicazione della normativa, elaborati dalla Uildm di Udine. Allegato al volume, viene fornito un Cd Rom, che contiene: una copia in formato Pdf del testo impaginato; il testo integrale dei provvedimenti più rilevanti citati solo in parte nel volume cartaceo; documentazione integrativa o approfondimenti.
re, abbiamo dato inizio al primo gruppo di auto-aiuto in Varese – commenta la presidente Giuliana Iannella - eravamo emozionati e trepidanti, assillati da dubbi e timori. Quanto cammino abbiamo fatto da allora! In dieci anni, quante persone sono passate nel gruppo, quante storie abbiamo raccolto, quanta sofferenza, quante lotte abbiamo fatto insieme! Alcuni partecipanti hanno voluto rendere
un involucro umano? La sua era vita o non-vita? La legge è stata rispettata o aggirata? Questo libro, raccontando i fatti senza censure, si propone di offrire al lettore gli elementi per farsi un’opinione sui problemi posti dalla drammatica e complessa vicenda. ..................... ..................... .....................
qui la loro testimonianza. Si tratta di esperienze di vittoria sulla malattia che hanno richiesto coraggio e costanza. Speriamo che la lettura di queste storie possa infondere speranza ad altri, cosicché trovino la forza di continuare a lottare”. N. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
LA VITA DA DENTRO di Emanuela Giuliani
VITA REGOLARE (…PER QUANTO POSSIBILE) Nessuno apprende il segreto della libertà, se non attraverso la disciplina (D.Bonhhoeffer).
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appiamo più o meno tutti che chi ha problemi di dipendenza (dalle droghe, dal gioco, dall’alcol, dal cibo… ecc) deve sottostare ad una dura disciplina per uscirne. Le persone entrano in comunità di recupero, in gruppi di aiuto o in cliniche specializzate e si sottopongono a regole dure, per “tornare alla vita”, per ridivenire “padroni” della propria volontà, capaci di resistere alle tentazioni che vengono dall’esterno e dall’interno. Sorge però una domanda: siamo sicuri che la cosiddetta disciplina sia necessaria unicamente a chi vive in queste situazioni particolari o al limite solo ai bambini che per crescere bene non hanno certo bisogno di imposizioni (deleterie) ma di buone regole. Cerco allora sul mio vecchio vocabolario la parola disciplina per trovarne i significati. Vi leggo: “Obbedienza ai superiori e alle norme…, materia di studio e di insegnamento.., educazione, guida… o ancora flagello usato dagli asceti per percuotersi…”. Non è quindi un termine univoco e le sue possibili letture mi aiutano a comprendere che questa parola, da noi poco amata, porta in se stessa una ricchezza. Mi fanno infatti capire che alla fine chi vive non solo dentro certe regole ma anche con una certa regolariN. 71 - OTTOBRE-DICEMBRE 2011
tà, diventa persona capace di insegnare ed educare con la sua vita, vita che appare a chi lo incontra stabile, solida, quindi degna di fiducia. E diventa persona capace di sacrificare se stessa a favore di altri, cosa che nulla ha a che vedere con una sorta di autolesionismo (che le percosse corporali inflittesi da certi asceti potrebbero richiamare) ma con l’amore, con il dono gratuito di se stessi. Io credo che tutti abbiamo bisogno di disciplina nel senso che tutti dobbiamo avere una regola di vita che ci aiuti a sviluppare le enormi potenzialità che portiamo in cuore ma che spesso sono soffocate da tanti, piccoli o grandi disordini del nostro quotidiano. Il monaco, che vive in un monastero dove gli orari sono definiti, per certi aspetti è facilitato nel darsi un ordine rispetto ad una mamma di famiglia che deve accompagnare i figli a scuola e poi in palestra e a catechismo, preparare la cena e andare a trovare il genitore anziano….vivendo come una trottola in continuo movimento. Se poi lavora il gioco è fatto. Su questo non ci sono dubbi. Però è necessario chiedersi se questo essere sempre totalmente in balia delle cose da fare e delle necessità altrui, senza avere un punto fermo che faccia da “centro” in noi, sia sano. Tutti ci lamentiamo dello stress provocato dai ritmi frenetici di oggi, ritmi che subiamo, a cui ci adattiamo per tenere il passo. Siamo colpiti quando leggiamo sul giornale del tizio che ha lasciato la città e un lavoro impegnativo per tornare alla terra, alla campagna. Lo ammiriamo e diciamo “Beato lui che ha potuto farlo!”, sottintendendo che invece per noi è tutta un’altra storia, noi non abbiamo la stessa possibilità di scelta. È vero: non tutti possono farsi
monaci (e ben pochi lo desiderano), non tutti possono lasciare la città e i suoi ritmi, i doveri familiari e lavorativi che premono e non possono certo essere disattesi. Ma questo non toglie che ciascuno di noi debba trovare una disciplina, una regola di vita che lo porti ad una maggiore stabilità interiore. Definire, per quanto possibile, un’ora per andare a dormire e per alzarsi senza lasciarsi irretire dalla Tv o da internet ( è incredibile scoprire quanto tempo ci rubino e anche quanta libertà interiore!), mangiare e bere in modo ordinato, tenersi anche solo una volta a settimana un tempo (da definire prima per salvaguardarlo) per la riflessione o la preghiera, stare attenti al troppo lavoro o al troppo ozio… Dire subito che non è possibile è spesso una scusa per non cambiare, per non giocarsi, per rimanere nel tran tran di cui continuamente ci lamentiamo ma che ci è anche tanto comodo. Avere una semplice regola di vita (che ciascuno definirà sulla sua situazione concreta) non toglie nulla né alla libertà né alla creatività. Anzi sia l’una che l’altra cresceranno perché non più imbrigliate una vita caotica, preda degli eventi, disordinata.
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