Schema di decreto legislativo recante misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese PRIME OSSERVAZIONI
28 aprile 2015
Schema di decreto legislativo recante misure per la crescita e la internazionalizzazione delle imprese
Le nuove norme sulla fiscalità internazionale Il 21 aprile u.s. il Consiglio dei Ministri, nel contesto dell’attuazione della legge delega fiscale (Legge 11 marzo 2014, n. 23), ha approvato lo schema di decreto legislativo recante misure per la crescita e la internazionalizzazione delle imprese. Il decreto – che consta di 15 articoli – interviene su una gamma ampia e variegata di tematiche di interesse per imprese estere che effettuano investimenti o esercitano attività in Italia, per imprese italiane con attività transazionale, nonché per imprese italiane con attività interna (si pensi, per quest’ultima categoria, al nuovo ruling sugli investimenti, alla disciplina delle perdite su crediti e alla norma che interviene sul regime delle spese di rappresentanza). Nel complesso, il provvedimento merita una valutazione positiva, poiché reca interventi, fortemente voluti dalle imprese, finalizzati a creare un contesto giuridico di maggior favore per gli investimenti e di maggiore certezza; le norme dovrebbero, inoltre, nelle intenzioni del legislatore, contribuire a semplificare alcuni adempimenti e ad eliminare distorsioni ed incongruità dei meccanismi impositivi vigenti. Rispetto ad alcuni temi, inoltre, il provvedimento mira ad adeguare il nostro ordinamento alle più recenti indicazioni dell’OCSE e agli orientamenti espressi dalla giurisprudenza comunitaria. La redazione del testo ha visto il coinvolgimento diretto di Confindustria: in una fase preliminare abbiamo elaborato concrete proposte normative, in larga parte accolte nel testo definitivo; successivamente, insieme ad altre associazioni di categoria, abbiamo preso parte ad un tavolo di lavoro congiunto con l’Agenzia delle entrate e il MEF, per un confronto diretto sul contenuto delle norme e sulle istanze rappresentate dai diversi partecipanti; la fase conclusiva è stata caratterizzata da una interlocuzione diretta con la Presidenza del Consiglio a cui sono state, utilmente, veicolate le nostre ulteriori proposte di modifica del “semi-lavorato” normativo. Il lavoro non può dirsi del tutto concluso, in quanto il testo approvato potrà subire alcune limature nel corso dell’iter presso le Commissioni parlamentari: in questa fase, tuttavia, riteniamo utile fornire un primo approfondimento sulle modifiche normative introdotte, al fine di evidenziarne potenzialità e aspetti critici.
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Articolo 1- Accordi preventivi per le imprese con attività internazionale L’art. 1 interviene sul ruling internazionale, così come introdotto dal DL 20 settembre 2003, n. 269, riscrivendone, in parte, la disciplina; rispetto alle diverse forme di interpello vigenti nel nostro ordinamento, accomunate dalla finalità di conoscere - tendenzialmente in via preventiva - la posizione dell'Amministrazione finanziaria su specifiche fattispecie connotate da profili di incertezza, lo strumento del ruling internazionale – già come configurato nell’assetto normativo vigente - si connota per la sua natura negoziale e consente al contribuente di giungere ad un vero e proprio accordo con l’Amministrazione fiscale su criteri e metodi di determinazione del valore normale dei prezzi di trasferimento e sulla corretta qualificazione di dividendi, interessi e royalties. L’opera di maquillage dell’istituto si colloca in un più ampio disegno, volto a incentivare la cooperazione e il dialogo tra Amministrazione finanziaria e contribuente. Questa finalità è svelata già dalla scelta del legislatore di abrogare l’articolo 8 del DL 269/20031 cit. e di introdurre, contestualmente, una apposita norma sugli “accordi preventivi per le imprese con attività internazionale” nel DPR 29 settembre 1973, n. 600, precisamente nel Titolo IV rubricato “Accertamento e controlli”. La nuova collocazione sistematica del “riscritto” istituto palesa, infatti, l’intento del legislatore di considerare gli accordi preventivi come forme di esercizio consensuale e condiviso dei poteri di competenza degli uffici dell’Agenzia delle entrate; ciò dovrebbe - in prospettiva e in sinergia con altri strumenti, quali il c.d. “adempimento collaborativo”, anch’esso frutto di recenti interventi normativi2 - portare ad intendere il controllo di tipo tradizionale come un momento solo eventuale e “patologico” del rapporto tra Fisco e contribuente, favorendo, invece, forme di interlocuzione avanzata, tese ad esplicitare la pretesa erariale attraverso moduli consensuali e partecipativi. Ciò premesso in termini di inquadramento sistematico e ratio dell’istituto, si osserva che la nuova disciplina, da una parte, mutua alcuni aspetti di quella vigente, dall’altra si connota per interventi innovativi. Nulla cambia per ciò che riguarda i soggetti coinvolti, individuati, in entrambe le norme nelle “imprese con attività internazionale”; a tal riguardo, l’art. 1 del Provvedimento 23 luglio 2004, in attuazione del DL 269/2003, precisa che per "impresa con attività internazionale" deve intendersi: (i) qualunque impresa residente nel territorio dello Stato, qualificabile come tale ai sensi delle disposizioni vigenti in materia di imposte sui 1
Il DL 269/2003 recava “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici”. 2 L’istituto dell’adempimento collaborativo è disciplinato nello schema di decreto legislativo sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente, approvato dal Consiglio dei Ministri del 21 aprile u.s.
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redditi, che, in alternativa o congiuntamente: (a) si trovi, rispetto a società non residenti, in una o più delle condizioni indicate nel comma 7 dell'articolo 110 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; (b) il cui patrimonio, fondo o capitale sia partecipato da soggetti non residenti ovvero partecipi al patrimonio, fondo o capitale di soggetti non residenti; (c) abbia corrisposto a – o percepito da – soggetti non residenti, dividendi, interessi o royalties; - ovvero (ii) qualunque impresa non residente che esercita la sua attività nel territorio dello Stato attraverso una stabile organizzazione, qualificabile come tale ai sensi delle disposizioni vigenti in materia di imposte sui redditi. La nuova norma definisce in maniera più dettagliata, rispetto alla disposizione del 2003, l’ambito di applicazione oggettivo dell’istituto, recando una elencazione molto articolata delle fattispecie che possono essere oggetto degli accordi con l’Amministrazione finanziaria; i settori di applicazione dei ruling normativamente previsti sono: a) definizione dei prezzi di trasferimento infragruppo di cui al comma 7 dell’articolo 110, TUIR e dei valori di ingresso e di uscita in caso di trasferimento della residenza; b) applicazione di norme, anche di origine convenzionale, concernenti l’attribuzione di utili e perdite alle stabili organizzazioni; c) valutazione preventiva della sussistenza dei requisiti che configurano o meno una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato; d) individuazione, nel caso concreto, di norme, anche di origine convenzionale, concernenti l'erogazione o la percezione di dividendi, interessi, royalties e altri componenti reddituali a o da soggetti non residenti. Si noti che l’utilizzo dell’aggettivo “principale” riferito a tale elencazione lascia intendere che la stessa non abbia carattere tassativo. Al di là della formulazione letterale, i temi oggetto del “nuovo” ruling sono gli stessi già enumerati dall’art. 8, cit., fatta eccezione per la possibilità di definire i valori di ingresso e di uscita nei casi di trasferimento della residenza. Un rilevante aspetto innovativo della nuova norma riguarda, invero, i profili di carattere temporale: circa la validità degli accordi, la nuova norma replica la previsione secondo la quale gli accordi vincolano le parti per il periodo d'imposta nel corso del quale sono stipulati e per i quattro periodi d'imposta successivi, fatti salvi mutamenti nelle circostanze di fatto o di diritto rilevanti ai fini degli accordi sottoscritti e risultanti dagli stessi. Accanto a questa previsione di carattere generale, tuttavia, la nuova norma reca due rilevanti innovazioni: - in primo luogo, la decorrenza dell’accordo può essere anticipata (mai, tuttavia, ad un momento anteriore alla presentazione dell’istanza) nei casi
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di APAs (Advance Pricing Agreements) accordi conclusi con Stati esteri a seguito di procedure amichevoli previste dalla convenzioni internazionali; a tal proposito, giova ricordare che il dies a quo da considerare per la validità di un APA può essere diversamente determinato nei vari ordinamenti e stante la diversità di disciplina, questi problemi potrebbero trovare soluzione, di volta in volta, nell’ambito delle procedure amichevoli previste nelle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia. Nel descritto contesto, il legislatore italiano ha posto, però, un limite preciso, stabilendo che, in ogni caso, il dies a quo di riferimento non può precedere la data di presentazione dell’istanza; - il contribuente, inoltre, qualora le circostanze di fatto e di diritto su cui si basa l’accordo siano riscontrabili anche per il periodo che intercorre tra la data di presentazione dell’istanza e la data dell’accordo, può scegliere di far valere retroattivamente l’accordo. La versione finale del decreto legislativo ha introdotto, sul punto, una importante precisazione consentendo, in via esplicita, al contribuente di correggere comportamenti adottati in questa fase intermedia, mediante ricorso all’istituto del ravvedimento operoso o presentando – ove possibile - una dichiarazione integrativa, senza che siano, in nessun caso, applicabili sanzioni. In aderenza alla normativa comunitaria – e al testo dell’art. 8, cit. come vigente - la disposizione in commento prevede che l'Amministrazione invii copia dell'accordo all'autorità fiscale competente degli Stati di residenza o di stabilimento delle imprese con le quali i contribuenti pongono in essere le relative operazioni. Fatta salva la verifica della corretta attuazione dell’accordo e degli eventuali mutamenti delle circostanze di fatto o di diritto per i periodi d'imposta di validità dell’accordo, l'Amministrazione finanziaria esercita i poteri di cui agli articoli 32 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, soltanto in relazione a questioni diverse da quelle oggetto dell'accordo medesimo. Un provvedimento del direttore dell’ Agenzia delle entrate stabilirà le modalità di presentazione delle istanze di ruling, nonché quelle per la verifica, da parte del competente Ufficio, del rispetto dei termini dell’accordo e del sopravvenuto mutamento delle condizioni di fatto e di diritto su cui l’accordo si basa. Vista l’importanza di questo provvedimento per la stessa operatività della norma, va considerata senza dubbio positivamente la previsione di un termine per l’emanazione dello stesso (90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo). Pur esprimendo un generale commento positivo sull’istituto in commento, si osserva che la mancata previsione di termini ultimativi con il meccanismo del silenzio-assenso potrebbe rendere molto lunghi i tempi di risposta da parte dell’Agenzia delle entrate, frustrando, in parte, le esigenze di certezza
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e di collaborazione valorizzate dalla norma. A ciò è, forse, strettamente connesso un problema di carattere organizzativo - interno all’Amministrazione finanziaria – relativo alle risorse umane, economiche e strumentali da destinare alle attività in oggetto.
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Articolo2 - Interpello sui nuovi investimenti Sempre in tema di interpelli, lo schema di decreto legislativo delinea un istituto radicalmente nuovo, specificamente destinato alle imprese che effettuano investimenti in Italia, per importi superiori a 30 milioni di euro e dai quali derivino significative e durature ricadute sull’occupazione. L’investimento può consistere anche nella ristrutturazione di imprese in crisi, qualora ci siano effetti positivi sull’occupazione; in merito ai tempi di realizzazione, la relazione al decreto precisa che non è richiesto che l’ammontare dell’investimento si realizzi in un solo esercizio poiché, a tal fine, rileva il timing previsto dal business plan. Inoltre, nella versione definitiva della norma, è stata superata la limitazione dello strumento, inizialmente delineata nelle bozze del decreto, alle sole imprese con attività internazionale. Al ricorrere delle descritte condizioni, le imprese (residenti e non residenti) potranno presentare una istanza di interpello “a tutto campo”, chiedendo chiarimenti in merito al trattamento fiscale del loro piano di investimento (nonché di eventuali operazioni straordinarie per la sua realizzazione); la valutazione richiesta all’Agenzia potrà includere anche la valutazione preventiva circa l’eventuale assenza di abuso del diritto fiscale o elusione, la sussistenza delle condizioni per la disapplicazione di disposizioni antielusive e l’accesso a eventuali istituti o regimi previsti dall’ordinamento tributario. Le richieste potranno, inoltre, riguardare anche tributi non di competenza dell’Agenzia delle entrate (per i quali le richieste verranno trasmesse agli enti di competenza che renderanno autonomamente la risposta); con riferimento a questo aspetto, la norma non chiarisce secondo quali modalità e con quali forme dovranno rispondere gli enti interpellati per tributi diversi da quelli amministrati dall’Agenzia delle entrate. Al fine di fornire la propria consulenza, l’Agenzia delle entrate potrà accedere presso le sedi di svolgimento dell’attività dell’impresa o chiedere ulteriori informazioni all’istante. La risposta dovrà essere resa dall’Agenzia delle entrate entro il termine di 120 giorni, prorogabile una volta di ulteriori 90 giorni; alla mancata risposta all’istante entro i termini indicati la norma attribuisce la valenza di silenzioassenso e dunque, di tacita conferma da parte dell’Amministrazione dell’interpretazione o del comportamento prospettati dal contribuente. Si tratta di una precisazione apprezzabile, in linea con le richieste di Confindustria, che segna una differenza con le forma di interpello disciplinate dell’art. 31-ter, DPR 600/1973, come sopra commentato: è evidente, infatti, che in occasione della pianificazione di investimenti è quanto mai opportuno che l’Agenzia si pronunci in tempi brevi sugli aspetti fiscali incerti, per non rallentare o pregiudicare le scelte degli imprenditori.
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Al contribuente che decida di dare attuazione al parere reso dall’Agenzia delle entrate, è riconosciuto - a prescindere dall’ammontare del suo volume di affari e dei suoi ricavi - il diritto di accesso al regime dell’adempimento collaborativo, come disciplinato dal decreto legislativo recante norme sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente (in attuazione dell’articolo 6 Legge Delega). La definizione delle modalità applicative dell’interpello è demandata alla competenza di un decreto del MEF, cui farà seguito un provvedimento direttoriale delle Entrate chiamato ai individuare gli uffici competenti al rilascio delle risposte; nel contesto delle modalità applicative, dovrebbe, auspicabilmente, trovare spazio una definizione puntuale dei criteri da adottare per valutare la sussistenza di “significative e durature ricadute sull’occupazione”.
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Articolo 3 - Dividendi provenienti da soggetti residenti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato L’articolo 3 opera una rilevante modifica alla disciplina impositiva degli utili provenienti da Stati o territori a regime fiscale privilegiato. L’articolo 47, comma 4, TUIR, infatti, secondo il testo vigente, derogando al regime ordinario di parziale concorrenza degli utili da partecipazioni qualificate alla formazione del reddito imponibile, dispone che, in caso di distribuzione di utili da parte di soggetti black-listed, tali utili concorrono integralmente alla formazione del reddito del socio residente. Costituiscono eccezione a questa regola generale due ipotesi: (i) imputazione degli utili al socio ai sensi dell’art. 167, comma 1, TUIR e dell’art. 168, TUIR; e (ii) presentazione di un interpello positivo che attesti il rispetto delle condizioni previste dall’art. 87, comma 1, lett. c), TUIR3. Nella formulazione vigente della norma, la locuzione “provenienti”, ripristinata dall’art. 36, DL 4 luglio 2006, n. 2234, rispetto ad un vecchio testo, risponde all’esigenza di arginare fenomeni di triangolazione su utili, che consentirebbero ai soci residenti in Italia di percepire utili provenienti da paradisi fiscali attraverso società conduit localizzate in Stati white-list; questa impostazione, tuttavia, ha creato, in questi anni, difficoltà applicative legate al fatto che, al di fuori delle ipotesi di partecipazione diretta in società black-list ovvero di una partecipazione indiretta ma di controllo sulla medesima società, il socio non è in condizione di conoscere se e quale parte dell’utile percepito derivi da redditi prodotto in Paesi black-listed; d’altra parte, per le partecipazioni non di controllo non è ragionevole presumere alcuna volontà o influenza del socio residente, volta a localizzare il proprio investimento in paradisi fiscali. Alla luce di tali difficoltà applicative ed incoerenze sistematiche, evidenziate in più battute anche da Confindustria, il legislatore è intervenuto sulla descritta previsione, limitando le ipotesi di imponibilità integrale solo ai casi in cui il socio italiano è effettivamente in grado di conoscere la provenienza degli utili e di agire come dominus dell’investimento partecipativo in società black-listed: a tal fine, il novellato art. 47, cit., precisa che si considerano provenienti da Paesi black-list gli utili relativi al possesso di partecipazioni dirette in tali società o di partecipazioni di controllo - anche di fatto - diretto o indiretto, in altre società residenti all’estero che conseguono utili dalla partecipazione in società black-list. Pertanto, alla luce della modifica normativa in commento, la tassazione integrale in capo al socio residente opererà solo nei casi di partecipazione diretta in una società black listed o, nei casi di partecipazione indiretta, 3
Dimostrazione, tramite interpello, che dalle partecipazioni non sia stato conseguito, sin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati. 4 Nota da leo pag. 704
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quando questi detenga una partecipazione di controllo in una società intermedia non di black-list (italiana o estera) che consegue a sua volta utili da partecipate, anche non di controllo, in Stati black-list. Peraltro, ove il soggetto residente fornisca la dimostrazione di cui all’articolo 167, comma 5, lett. a), TUIR e cioè dimostri che la società non residente svolge una effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento, si verifica un effetto distorsivo determinato dal mancato riconoscimento al socio di controllo residente nel territorio dello Stato – ovvero alle sue controllate residenti che percepiscono gli utili – di un credito per le imposte assolte dal soggetto partecipato estero nello Stato o territorio di localizzazione, da detrarre dall’imposta italiana dovuta sull’utile percepito. In sostanza, il socio di controllo che disapplica la normativa CFC sulla base della cd. prima esimente subisce una tassazione, ove rimpatri gli utili, più onerosa di quella che avrebbe subito qualora avesse tassato per trasparenza il reddito della partecipata black list. In quest’ultima ipotesi, infatti, dall’imposta italiana dovuta su reddito della CFC avrebbe potuto detrarre le imposte pagate nello Stato estero dal soggetto controllato e, in caso di distribuzione, i relativi utili non avrebbero concorso alla formazione del suo reddito complessivo. Analogo effetto si verifica in caso di realizzo della plusvalenza derivante dalla cessione della partecipazione, che non godendo della participation exemption, concorre alla formazione del reddito complessivo del socio italiano per l’intero importo, senza usufruire di alcun credito a fronte delle imposte assolte dal soggetto partecipato black list Al fine di ovviare a tali fenomeni distorsivi, le norme proposte riconoscono al socio di controllo residente nel territorio dello Stato – ovvero alle sue controllate residenti – un credito d’imposta ai sensi dell’art. 165, TUIR sugli utili percepiti e sulle plusvalenze realizzate. Resta inteso che il credito d’imposta spetta al socio in proporzione alla sua quota di partecipazione e al periodo di detenzione. Nulla cambia, invece, per la disapplicazione del regime di imposizione integrale degli utili e delle plusvalenze “provenienti” da società ed enti localizzati in Stati o territori black list: per ottenere tale disapplicazione, il socio residente nel territorio dello Stato (anche non titolare di una partecipazione di controllo) deve sempre dimostrare la sussistenza “sin dall’inizio del periodo di possesso” dell’esimente di cui alla lettera b) del comma 5 dell’art. 167, TUIR; la prova in esame può essere data anche mediante la presentazione di apposito interpello. Nei casi in cui il contribuente intenda far valere la sussistenza delle condizioni sopra indicate ma non abbia presentato l’istanza di interpello prevista dalla lettera b) del comma 5 dell’articolo 167 ovvero, avendola
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presentata, non abbia ricevuto risposta favorevole, la percezione di utili o il realizzo di plusvalenze derivanti da partecipazioni in imprese o enti esteri localizzati in paradisi fiscali deve essere segnalata nella dichiarazione dei redditi da parte del socio residente. A seguito di mancata o incompleta indicazione nella dichiarazione dei redditi si applica la sanzione amministrativa prevista dal nuovo comma 4 inserito nell’articolo 8 del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471. Le disposizioni descritte trovano applicazione a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto in esame.
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Articolo 4 - Interessi passivi La norma apporta alcuni interventi di razionalizzazione al regime di deducibilità degli interessi passivi. Gli interessi passivi e oneri assimilati sono deducibili, come noto, fino a concorrenza di interessi attivi e proventi assimilati; l’eventuale eccedenza è, invece, deducibile nei limiti del 30% del ROL (risultato operativo lordo) della gestione caratteristica. Nella vigenza attuale dell’art. 96, TUIR, il ROL è determinato dalla differenza tra valore e costi della produzione di cui alle lett. a) e b) dell’art. 2425 cod. civ. con esclusione dei seguenti componenti negativi: (i) ammortamento delle immobilizzazioni materiali e immateriali di cui alla lett. b) n. 10, voci a) e b) del CE; (ii) canoni di locazione finanziaria di beni strumentali, ricompresi nella lett. b) n. 8 del CE. La vigente versione dell’art. 96, TUIR detta, ai commi 7 e 8, specifiche regole per le società aderenti al consolidato nazionale: in questi casi, l’eventuale eccedenza di interessi passivi (e oneri assimilati) indeducibili, generatasi in capo ad un soggetto può essere portata in abbattimento del reddito complessivo di gruppo se e nei limiti in cui altri soggetti partecipanti al consolidato presentino, per lo stesso periodo di imposta, un ROL capiente non integralmente sfruttato per la deduzione (comma 7). La norma vigente (comma 8) consente, inoltre, di dedurre dal reddito complessivo del consolidato le eventuali eccedenze di interessi passivi netti indeducibili relative ad una società in concreto partecipante al consolidato, utilizzando, a tal fine, anche le eccedenze di ROL realizzate da partecipate estere (che, se fossero state residenti, sarebbero state potenzialmente consolidabili); le partecipate devono, inoltre, avere bilanci sottoposti a revisione ed esercizio sociale di durata uguale a quello delle società italiane. Per effetto del decreto legislativo in commento, il comma 8 viene abrogato, al fine di limitare arbitraggi fiscali: al contempo, si introduce, per non penalizzare gli investimenti in società controllate estere, un correttivo che prevede l’inclusione nel calcolo del ROL anche dei dividendi provenienti da società controllate estere. Accogliendo una precisa istanza di Confindustria, inoltre, la norma 5 in commento abroga la disciplina di indeducibilità degli interessi passivi eccedenti i cc.dd. “tassi soglia” (art. 3, comma 115, Legge 28 dicembre 1995, n. 549); tale disciplina fissa delle soglie di indeducibilità integrale degli interessi corrisposti da società non quotate ed era stata introdotta per contrastare arbitraggi fiscali, resi possibili dalla legislazione vigente a metà 5
Nel dettaglio, la lettera b) dell’art. 4 sopprime nel comma 6 dell’art. 96, TUIR il riferimento all’articolo 3, comma 115, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, in materia di interessi su titoli obbligazionari; contestualmente è abrogato l’articolo 3, comma 115, della legge 28 dicembre 1995 n. 549.
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degli anni ’90 e ora non più convenienti (ai fini IRES, è già prevista la deducibilità degli interessi passivi limitata al 30% del ROL e l’intervenuto aumento della tassazione delle rendite finanziarie ha reso non più attuale mantenimento di una disciplina che, di fatto, inquina le scelte imprenditoriali e rende incerta la valutazione del costo delle operazioni di emissione di prestiti obbligazionari). La norma, infine, reca un intervento sul regime di deducibilità degli interessi passivi relativi a finanziamenti garantiti da ipoteca, come disciplinato dall’art. 1, comma 36, legge 244/2007 (Legge Finanziaria 2008), definendone in maniera più organica l’ambito di applicazione con riguardo alle società che svolgono in via effettiva e prevalente attività immobiliare. Le disposizioni descritte trovano applicazione a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto in esame.
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Articolo 5 - Disposizioni in materia di costi black list e di valore normale L’articolo 5 interviene in maniera dirompente sulla disciplina di deducibilità dei costi sostenuti nei confronti di operatori localizzati in Stati o territorio black-list. L’art. 110, commi 10 e 11, TUIR, nella sua formulazione attuale dispone, come regola generale, l’indeducibilità dei costi cc.dd. black-list e l’obbligo di separata indicazione in dichiarazione delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori con regime fiscale privilegiato, nonché delle prestazioni di servizi rese dai professionisti domiciliati in detti Stati o territori. La deducibilità dei suddetti costi, derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori con regime fiscale privilegiato, nonché dalle prestazioni di servizi rese dai professionisti domiciliati in detti Stati o territori, è ammessa qualora il soggetto italiano riesca a dimostrare, in via preventiva, tramite interpello all’Agenzia delle entrate o, successivamente, in sede di controllo (entro 90 giorni decorrenti dalla ricezione dell’apposito avviso ai sensi dell’articolo 110, co. 11 del D.P.R. 917/1986), una delle due condizioni esimenti: (i) l’esercizio di un’attività commerciale effettiva da parte del fornitore estero, senza alcun riferimento al luogo in cui tale attività debba essere svolta; (ii) un effettivo interesse economico allo svolgimento dell’operazione commerciale posta in essere. In entrambi i casi, il contribuente residente dovrà fornire, altresì, la prova della concreta esecuzione dell’operazione. In sostanza, pertanto, per non subire il penalizzante regime di indeducibilità totale dei costi, il contribuente deve alternativamente dimostrare la “credibilità” commerciale e l’effettiva operatività dell’impresa estera ovvero provare la reale effettuazione della specifica operazione dimostrandone, al tempo stesso, la rispondenza ad un effettivo interesse economico. In questi anni, l’applicazione della disciplina descritta ha reso palesi numerose criticità a carico delle imprese. Con riferimento alla prima esimente, fondata sulla prova dell’effettiva attività economica del soggetto black-list si sono evidenziate rilevanti difficoltà applicative, particolarmente pregnanti nei casi di soggetti esteri non in grado o non disposti ad adempiere compiutamente alle esigenze documentali della controparte italiana: si tratta di una prova assai complessa per il contribuente, in quanto necessita la disponibilità di informazioni che possono essere acquisite solo con il consenso e la collaborazione del fornitore. Per le descritte difficoltà operative, il ricorso a questa esimente è stato, in questi anni, limitato; coerente appare, pertanto,
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il disegno del legislatore che ha disposto l’abrogazione della prima esimente. Con riferimento, invece, alla seconda esimente – che ha avuto in questi anni, un enorme rilievo, si osserva che l’Amministrazione finanziaria 6 ha chiarito che la valutazione della sussistenza dell’effettivo interesse economico va compiuta tenendo conto di tutti gli elementi dell’operazione nel suo complesso: l’effettivo interesse economico va dimostrato individuando l’esistenza di oggettivi e significativi vantaggi economici che verrebbero meno in caso si approvvigionamento da un diverso fornitore Tuttavia, questo approccio è stato tradito dalla prassi accertativa che non è sempre in grado di valutare complessivamente le esigenze dell’impresa, come dimostrano, ad esempio, i casi di disconoscimento della deducibilità di costi black-list portati all’attenzione dalle nostre Associate. La norma in commento interviene in maniera radicale sul descritto istituto abrogando – come anticipato - la prima esimente e riconoscendo, in ogni caso, la deducibilità dei costi black-list entro il limite del valore normale di beni e servizi acquistati in base a operazioni che hanno avuto concreta esecuzione. Il contribuente potrà, inoltre, dedurre i suddetti costi oltre il limite del valore normale, qualora dimostri l’effettivo interesse economico e la concreta esecuzione delle operazioni. La nuova formulazione della norma dovrebbe, dunque, porre un freno alle incongruenza della disciplina di deducibilità emerse in questi anni e ad una perniciosa prassi accertativa non sempre coerente con la ratio dell’istituto: resta, peraltro da chiarire come debba essere individuato il valore normale; sul punto è importante individuare criteri univoci e chiari, oltre a scongiurare il rischio di adempimenti, magari di natura documentale, complessi e gravosi per le imprese. La norma in commento riformula, altresì, in coerenza con le modifiche apportate all’art. 168, bis, TUIR, i riferimenti ai Paesi e territori black-list. La disciplina in commento, pur valutabile positivamente, andrebbe dotata di ulteriori correttivi circoscrivendone l’ambito di applicazione alle sole prestazioni di servizi e riconducendone l’ambito di applicazione alle sole operazioni infragruppo. Le disposizioni fin qui descritte si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo.
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) Circolare Agenzia delle entrate, 6 ottobre 2010, n. 51/E.
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L’art. 5 in oggetto, oltre ad intervenire sull’art. 110, TUIR, reca - al comma 2 - una disposizione di natura interpretativa, prevedendo che ai fini dell’IVA, nonché ai fini delle imposte sul reddito e dell’IRAP, per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non possa essere presunto soltanto sulla base del valore dichiarato o accertato ai fini dell’imposta di registro ovvero ai fini delle imposte ipotecaria e catastale. Stante la natura interpretativa di questa disposizione, essa dovrebbe avere efficacia retroattiva; d’altra parte, la specifica previsione di decorrenza dell’art. 5 in commento si riferisce espressamente solo alle previsioni recate dal comma 1; sarebbe, tuttavia, opportuno un chiarimento esplicito sul punto. In termini di inquadramento sistematico, si osserva, inoltre, che poteva essere più appropriata una collocazione della norma nel contesto del DPR n. 600/1973; si ricorda, infatti, che la norma mira a risolvere una serie di questioni interpretative scaturite dalla abrogazione, a seguito della procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia, delle modifiche normativa apportate al’art. 39, DPR 600/1973 dal decreto n. 233/2006.
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Articolo 6 - Consolidato nazionale La norma interviene a modifica degli artt. 117 e ss., TUIR in materia di consolidato nazionale: i correttivi si sono resi necessari a seguito della sentenza della Corte di Giustizia 12 giugno 2014 n.C-39/13, C-40/13 e C41/13 che ha rimarcato l’incompatibilità con l’ordinamento comunitario di normative nazionali che riconoscono l’esistenza di una entità unica fiscale a una società controllante residente che detiene controllate residenti e la escludono, invece, per società sorelle residenti la cui società controllante comune non abbia la sua sede in tale Stato membro e non disponga ivi di una sede stabile. Una novità radicale dell’impianto normativo è costituita dalla introduzione (espressamente proposta da Confindustria) della lett. e) secondo la quale se il requisito del controllo nei confronti della controllata designata cessa per qualsiasi motivo prima del compimento del triennio, il soggetto non residente può designare tra controllate che hanno esercitato l’opzione per la medesima tassazione di gruppo un’altra “sorella”, senza che si interrompa il consolidato. In questo caso, la nuova controllata designata assumerà le responsabilità previste dall’articolo 127 sia per i precedenti periodi d’imposta di validità della tassazione di gruppo in solido con la precedente controllata designata, sia per i periodi in cui riveste la qualifica di consolidante. La norma specifica, inoltre che permane un vincolo di responsabilità sussidiaria della controllante non residente, per tutti i periodi di imposta di validità del consolidato. Altra importante innovazione consiste nell’aver incluso, nel perimetro di consolidamento anche le stabili organizzazioni di società non residenti controllate dal medesimo soggetto, purché dette società abbiano una forma giuridica analoga a quella di cui al comma 1 dell’articolo 120 (società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata) e siano residenti in Stati UE o SEE con cui l’Italia abbia stipulato un accordo per lo scambio di informazioni. Utile la precisazione dell’ultimo comma con il riferimento all’inclusione nel regime delle stabili organizzazioni o delle controllate di soggetti esteri, senza interruzione dei consolidati esistenti. Riteniamo di sottolineare, altresì, l’importanza di prevedere l’applicabilità della descritta disciplina anche ai consolidati già in atto: le modalità applicazione delle norme in questi casi, insieme a indicazioni in merito alla designazione della controllata saranno dettate da un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo de quo.
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Sul piano degli adempimenti di carattere pratico, andrà, inoltre, chiarito con precisione i termini entro i quali è possibile esercitare l’opzione per il consolidato. Le disposizioni illustrate si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo.
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Articolo 7 – Stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti La norma in commento introduce nell’ordinamento nazionale una serie di disposizioni per determinare il reddito derivante da attività esercitate in Italia tramite stabili organizzazioni e fornisce utili precisazioni sui requisiti del c.d. “fondo di dotazione”. La normativa sulla stabile organizzazione è resa, nel complesso, coerente con l’impianto OCSE; in particolare, l’adozione del criterio “functionally separate entity” è conforme al principio dell'autonomia fiscale della stabile organizzazione di cui ai paragrafi 1 e 2 dell'art. 7 del Modello OCSE; a tal fine, la norma in commento interviene sugli articoli 151 e 152 del capo IV e sugli articoli 153 e 154 del capo V del titolo II del TUIR; in particolare, le modifiche prevedono la riformulazione degli artt. 151, 153 e 153 predetti e l’abrogazione dell’articolo 154. Alla luce delle modifiche proposte, per la disciplina del reddito delle società ed enti commerciali non residenti, occorrerà far riferimento al novellato articolo 151 che prevede la tassazione su base isolata, senza compensazioni e secondo le disposizioni del Titolo I del TUIR dei redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato, con la sola eccezione dei redditi di impresa da stabile organizzazione, di cui alla lett. e) comma 1, dell’articolo 23, TUIR per i quali il successivo articolo 152 introduce una apposita regolamentazione. L’articolo 153 dedicato al reddito delle società ed enti non commerciali non residenti, nella nuova formulazione, quasi speculare a quella dell’articolo 151, assorbe il successivo articolo 154, conseguentemente abrogato. Dall’articolo 151, così come dall’articolo 153, viene eliminato il riferimento a “gli utili distribuiti da società ed enti di cui alle lettera a) e b) del comma 1, dell’art. 73 del TUIR” e alle “plusvalenze indicate nell’articolo 23, comma 1 lettera f)” in quanto redditi inclusi nella categoria dei redditi di capitale e redditi diversi di cui rispettivamente alle lettere b) e f) del comma 1, dello stesso articolo 23. Le modifiche proposte elidono tutte le previsioni che esplicitano il cd. principio della “forza di attrazione della stabile organizzazione” attualmente contenute negli articoli 151 e 152; si tratta, infatti, di un principio contrario agli orientamenti dell’OCSE e vietato dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni7; in coerenza con la scelta di adottare l’impostazione OCSE, in tema di reddito attribuibile alla stabile organizzazione, l’articolo 152, rubricato “Reddito di società ed enti commerciali non residenti derivante da attività svolte nel territorio dello Stato mediante stabile organizzazione” al comma 1, prevede che il reddito della stabile organizzazione di società ed 7
V. art. 7 Modello di Convenzione OCSE,: “…gli utili dell’impresa sono imponibili nell’altro Stato ma soltanto nella misura in cui detti utili sono attribuibili alla stabile organizzazione.”
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enti non residenti è determinato sulla base degli utili e delle perdite riferibili alla stabile organizzazione e secondo le disposizioni previste per i soggetti IRES, di cui alla sezione I, capo II, titolo II del TUIR. Al fine di rilevare più compiutamente i fatti di gestione attribuibili alla stabile organizzazione, anche in relazione alla struttura patrimoniale, la norma in esame prevede l’inserimento nell’articolo 152, comma 2, dell’obbligo di redazione da parte dei soggetti non residenti, di un apposito rendiconto economico e patrimoniale secondo i principi contabili previsti per i soggetti residenti aventi le medesime caratteristiche, eccezion fatta per quella della emissione da parte della casa madre estera di strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati di qualsiasi Stato membro dell'Unione europea; rispetto ai testi circolati precedentemente, la versione definitiva reca un correttivo per evitare un eccessivo aggravio di adempimenti per i soggetti non residenti con stabili in Italia che non sono tenuti nel paese di residenza ad adottare gli IAS/IFRS per la redazione del proprio bilancio di esercizio). Ai fini della determinazione del reddito della stabile organizzazione, il medesimo comma dell’articolo 152, nella nuova formulazione, conferma ed esplicita il principio OCSE, che considera la stabile organizzazione quale “functionally separate entity”, impresa indipendente, distinta e separata dalla casa madre da cui promana, operante sul libero mercato, in condizioni identiche o similari. Il reddito attribuibile alla stabile organizzazione è quello che emerge dall’analisi funzionale e fattuale volta ad individuare le funzioni svolte, i rischi assunti e i beni impiegati; al fine di mitigare le incertezza interpretative che, in questi anni, sono state foriere di un cospicuo contenzioso, viene previsto che il riferimento a un fondo di dotazione determinato convenzionalmente, e non su base contabile, debba essere accompagnato dalla individuazione, mediante uno o più provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle entrate, dei metodi per la relativa quantificazione. apprezzabile corollario di queste previsione è la non applicabilità delle sanzioni per i casi di rettifiche in aumento del reddito (o del valore della produzione netta) prima dell’emanazione del provvedimento sul fondo di dotazione, in relazione allo specifico settore di appartenenza. Per coerenza sistematica l’articolo 153, titolato “ Reddito complessivo degli enti non commerciali non residenti”, viene, pertanto, riformulato in maniera speculare all’articolo 151, incorporando in parte la disciplina già contenuta nel successivo articolo 154. L’applicazione del “functionally separate entità principle” è confermata anche ai fini della determinazione del valore della produzione netta ai fini IRAP.
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Le disposizioni descritte si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo in commento.
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Articolo 8 - Disciplina delle controllate e delle collegate estere La norma apporta modifiche al regime delle società controllate, intervenendo, in particolare, sulla disciplina dell’interpello; una novità assai rilevante è, inoltre, la eliminazione della tassazione per trasparenza delle società collegate. Nel dettaglio, con la modifica dell’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 167 del TUIR è eliminato l’obbligo di interpello, ex articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, ai fini della disapplicazione della disciplina CFC in caso di partecipazioni in imprese estere controllate; il vigente obbligo è sostituito dalla facoltà per il socio di controllo residente nel territorio dello Stato di presentare interpello ai sensi dell’articolo 21 della Legge n. 413 del 1991 al fine di ottenere il preventivo parere dell’Amministrazione finanziaria in merito alla disapplicazione della norma (a tal proposito, è importante focalizzare l’attenzione sul fatto che l’interpello esperibile in via facoltativa sarà quello di cui alla Legge n. 413/1991 in luogo di quello recato dall’art. 11, Statuto del contribuente e non sarà, pertanto, applicabile, la fattispecie del silenzio-assenso; su questo punto, sarebbe forse opportuno un ripensamento presso le Commissioni parlamentari). In sostanza, si allinea la disciplina dell’art. 167, TUIR a quanto disposto dall’articolo 110, comma 11, TUIR in merito alla indeducibilità dei costi black-list, consentendo al contribuente la dimostrazione delle esimenti previste nel comma 5 dell’articolo 167 in via preventiva o successivamente, in fase di eventuale controllo. In quest’ultima ipotesi, la norma stabilisce che l’avviso di accertamento di imposta o maggiore imposta non può essere notificata se prima non viene concesso al contribuente un termine di 90 giorni per presentare le prove utili a dimostrare che, nel caso di specie, ricorra una delle suddette esimenti. L’amministrazione, oltre a concedere al contribuente il tempo per fornire la dimostrazione richiesta dalla norma, ha l’onere di motivare l’avviso di accertamento, qualora ritenga non idonee le prove addotte. La modifica normativa rende, pertanto, facoltativa la presentazione l’interpello per la disapplicazione della disciplina CFC prevedendo che, salvi i casi in cui tale disciplina sia stata applicata ovvero non lo sia stata per effetto dell’ottenimento di una risposta favorevole all’interpello, il socio residente controllante deve comunque segnalare nella dichiarazione dei redditi la detenzione di partecipazioni in questione. Analoghe modifiche sono state estese anche all’ipotesi di partecipazioni in soggetti residenti o localizzati in Stati o territori non black list alle quali risulta applicabile la disciplina CFC, contenuta nel comma 8-bis dell’articolo 167 del TUIR. In relazione a tali ipotesi è, inoltre, previsto che un mediante provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate siano
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indicati criteri per determinare con modalità semplificate l’effettivo livello di tassazione applicato alla società estera. L’omessa segnalazione in dichiarazione del possesso di partecipazioni di controllo rientranti nell’ambito applicativo della disciplina CFC non preclude al contribuente la possibilità di dimostrare la sussistenza delle esimenti; tuttavia, tale omissione comporta l’irrogazione della sanzione prevista nel nuovo comma 5 dell’articolo 8 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471. La norma in esame modifica, altresì, il comma 6 dell’articolo 167 al fine di stabilire che, nella determinazione del reddito dei soggetti esteri controllati, si applicano tutte le regole di determinazione del reddito complessivo previste per le imprese residenti (anche non comprese nel TUIR), ad eccezione della disposizione riguardante la rateizzazione delle plusvalenze, già prevista dalla norma vigente. Viene garantita, in questo modo, una maggiore equivalenza della base imponibile del reddito estero, imputato per trasparenza in capo al socio italiano, rispetto a quella del reddito prodotto in Italia, ferma restando la modalità separata di tassazione del primo. Come anticipato, la norma, inoltre, abroga il regime di tassazione per trasparenza delle società collegate di black-list di cui all’art. 168, TUIR. Rispetto a quest’ultima previsione (abrogazione art. 168, TUIR) si può esprimere un giudizio senza dubbio positivo: la norma non ha, infatti, una giustificazione ragionevole, considerando che il soggetto residente in Italia non avendo il controllo del soggetto estero, non può agevolmente porre in essere pratiche elusive attuate mediante partecipazioni nelle predette società. Medesima soddisfazione non si può, tuttavia, esprimere per l’intervento sulle restanti disposizioni su cui l’art. 8 in commento interviene: riteniamo, in primo luogo, che debbano essere introdotti metodi semplificati di individuazione delle CFC di white list introducendo il confronto con l’aliquota nominale e non con l’aliquota di tassazione effettiva. Si ricorda, inoltre, che Confindustria aveva sollecitato un intervento anche sull’altra esimente disciplinata dal comma 5-bis dell’art. 167, TUIR: secondo la vigente formulazione, tra i proventi di tipo passivo sono inclusi anche quelli derivanti da prestazioni di servizi a favore di società del gruppo che, invece, dovrebbero essere eliminati dal concetto di passive income sulla considerazione che la prestazione di servizi a favore di società del gruppo o di terzi, in sé considerata presuppone necessariamente lo svolgimento di una attività (e quindi non possono considerarsi passive income i proventi derivanti da tali attività). Una proposta specifica che è stata oggetto di discussione consiste, inoltre, nell’eliminazione della nozione di “altro ente” con riferimento ai soggetti controllati (art. 167, comma 1, lett. a), TUIR); si evidenzia, infine,
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l’opportunità di eliminare la "tassazione separata" dei redditi della CFC imputati per trasparenza. Le disposizioni descritte si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo in commento.
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Articolo 9 - Spese di rappresentanza La norma interviene sull’art. 108, comma 2, TUIR. La norma, nella sua formulazione originaria, prevede che le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo di imposta di sostenimento se rispondenti ai criteri di congruità ed inerenza stabiliti con decreto del MEF, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse, del volume dei ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa e dell’attività internazionale dell’impresa. L’art. 1 del Decreto MEF 19 novembre 2008 ha introdotto una definizione delle spese di rappresentanza disponendo che si considerano inerenti, sempre che effettivamente sostenute e documentate, le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare - anche in via potenziale - benefici economici per l’impresa, ovvero sia coerente con le pratiche commerciali di settore; il decreto reca, poi, una elencazione esemplificativa di alcune tipologie di spese di rappresentanza. Nel descritto contesto normativo, il decreto legislativo in commento interviene scindendo i requisiti di inerenza e congruità: in particolare, mentre il requisito dell’inerenza viene sempre demandato al decreto ed è legato alla natura e alla destinazione delle spese; circa la congruità è lo stesso art. 108, comma 2, come novellato, a fissare i criteri, ovvero le percentuali di spese deducibili, commisurate all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica: la modifica risponde a finalità di organicità della norma ed è coerente con la sistematizzazione già conteuta nel decreto MEF 19 novembre 2008 che aveva già legato il criterio dell’inerenza alle finalità delle spese e quello della congruità ai ricavi. La nuova norma, inoltre, individua soglie più alte di deducibilità: nella prima formulazione della norma, l’intervento in aumento delle soglie di deducibilità era previsto solo per i ricavi e proventi eccedenti 10 mln di euro; nelle more della redazione del testo definitivo, Confindustria ha sollecitato un intervento sulla soglia di deducibilità delle spese di rappresentanza per ricavi e proventi fino a 10 mln di euro, al fine di favorire anche le imprese di più ridotte dimensioni; tale richiesta è stata accolta e pertanto, nella versione delle norme approvata dal CdM, le soglie di deducibilità delle spese in questione sono così ridefinite: a) 1,5% (in luogo del vigente 1,3%) dei ricavi e altri proventi fino a euro 10 milioni; b) 0,6% (in luogo del vigente 0,5%) dei ricavi ed altri proventi per la parte eccedente euro 10 milioni e fino a 50 milioni; c) 0,4% (in luogo del vigente 0,1%) dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente 50 milioni.
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La misura della deducibilità delle spese di rappresentanza, così come modificata dalla previsione di cui al comma precedente, può essere ulteriormente variata con il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze di cui al secondo periodo del comma 2 del medesimo articolo 108. Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto. La modifica normativa esaminata poteva essere utile occasione per semplificare gli oneri documentali richiesti per la deducibilità delle c.d. “spese per ospitalità clienti”: in relazione a tali spese, il citato DM 19 novembre 2008 attualmente richiede di recuperare i dati relativi "alle generalità" dei clienti, gravando le imprese di un adempimento particolarmente oneroso (si pensi alle necessarie procedure di traslitterazione per i clienti di cittadinanza asiatica) e del tutto inutile ai fini del contrasto all'evasione.
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Articolo 10 - Liste dei paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni e coordinamento black list La norma abroga il vigente articolo 168-bis che prevede l’individuazione, tramite decreto ministeriale di due liste, una (comma 1) relativa a Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni (utilizzata ai fini delle seguenti norme: artt. 10, comma 1, lettera e-bis), 73, comma 3, e 110, commi 10 e 12-bis, TUIR; art. 26, commi 1 e 5, art. 27, comma 3-ter, DPR 600/1973; art. 10-ter, commi 1 e 9, L. 23 marzo 1983, n. 77; artt. 1, comma 1, e 6, comma 1, del D.Lgs. 1º aprile 1996, n. 239; art. 2, comma 5, D.L. 25 settembre 2001, n. 351); l’altra (comma 2) relativa all’individuazione dei Stati e territorio che consentono un adeguato scambio di informazioni e nei quali il livello di tassazione non è sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia (utilizzata ai fini dell’applicazione delle disposizioni contenute negli artt. 47, comma 4, 68, comma 4, 87, comma 1, 89, comma 3, 132, comma 4, 167, commi 1 e 5, e 168, comma 1, TUIR, nonché negli artt. 27, comma 4, e 37-bis, comma 3, DPR n. 600/1973). La disposizione, di fatto, non è stata mai attuata. Il comma 2 reintroduce all’articolo 6 del D.lgs. n. 239/1996 il criterio secondo cui la lista comprende Stati e territori che “consentono un adeguato scambio di informazioni” (cosiddetta white-list), nonché all’articolo 11 le disposizioni che conferiscono al Ministro il potere di emanare più decreti contenenti la white-list e le modifiche alla stessa che, nel corso del tempo, si renderanno necessarie. Il comma 3 dispone che tutti i riferimenti alla lista di cui al comma 1 dell’articolo 168-bis del TUIR, presenti in norme introdotte o modificate a seguito dell’introduzione di tale articolo, devono intendersi come riferiti ai decreti di cui alla lettera c), comma 4, articolo 11 del decreto legislativo numero 239 del 1996. In effetti, le norme citate nello stesso comma 1 dell’articolo 168-bis, che viene abrogato con le disposizioni in commento, ove ancora vigenti, fanno testualmente rifermento all’articolo 168-bis e, quindi, detto rinvio opera correttamente alla luce delle disposizioni introdotte dal comma 3. Il comma 4 reca una disposizione di coordinamento resa necessaria dall’abrogazione del comma 2 dell’articolo 168-bis del TUIR in base alla quale il luogo del decreto previsto da tale ultima disposizione si deve fare riferimento al decreto ministeriale e al provvedimento del Direttore dell’Agenzia emanati ai sensi dell’articolo 167, comma 4, TUIR. Tali disposizioni si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto.
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Articolo 11 - Sospensione della riscossione della tassazione in caso di trasferimento all’estero La norma interviene modificando l’art. 166, TUIR prevedendo la sospensione della tassazione in uscita anche in caso di trasferimento di una parte o della totalità degli attivi, aventi ad oggetto un’azienda o un ramo d’azienda, da una stabile organizzazione in Italia di una società estera verso altro Stato della UE o appartenente allo SEE. Nell’assetto vigente, l’art. 166 non specifica se la sospensione della tassazione in uscita possa trovare applicazione anche nei casi di trasferimento di una parte o della totalità degli attivi aventi ad oggetto un’azienda o un ramo d’azienda: la mancata precisazione ha dato adito ad incertezze interpretative su cui lo schema di decreto legislativo in commento interviene, in aderenza, peraltro, ai principi ribaditi dalla Corte di giustizia UE C-38/106, sentenza del settembre 20128. La norma interviene, inoltre, sull’art. 179, TUIR, introducendo una apposita disciplina per le ipotesi di trasferimenti intracomunitari di sede all’estero che conseguono solo indirettamente da altre operazioni straordinarie (fusioni, scissioni e conferimenti). Per tali trasferimenti è introdotto un regime di tax deferral analogo a quello regolato dall’art. 166, comma 2-quater, TUIR. La decorrenza di entrambe le previsioni è fissata al periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo in commento
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La Corte di Giustizia UE ha considerato la repubblica portoghese inadempiente rispetto agli obblighi derivanti dall'articolo 49, Trattato 25 marzo 1957, in relazione agli articoli 76 A e 76 B del codice portoghese dell'imposta sulle persone giuridiche (Código português do Imposto sobre o Rendimento das Pessoas Colectivas), applicabili in caso di trasferimento, da parte di una società portoghese, della sua sede statutaria e della sua direzione effettiva in un altro Stato membro o in caso di trasferimento, da parte di una società non residente in Portogallo, di una parte o della totalità degli attivi collegati ad una stabile organizzazione portoghese dal Portogallo verso un altro Stato membro, che prevedono che la base imponibile dell'esercizio nel corso del quale si è prodotto il fatto generatore includa tutte le plusvalenze latenti relative agli attivi di cui trattasi, ma non le plusvalenze latenti derivanti da transazioni puramente nazionali.
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Articolo 12 - Trasferimento della residenza nel territorio dello Stato La norma disciplina il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato da parte di soggetti non residenti esercenti imprese commerciali, prevedendo regole diverse in base allo Stato. Appare opportuno il riconoscimento operato dalla norma del valore normale delle attività e passività trasferite, anche in assenza dell'applicazione di una exit tax, quando lo stato di provenienza sia incluso nella lista di cui all’art. 11, comma 4, lett. c) D.lgs. n. 239/1996. Negli altri casi, in assenza di accordo ai sensi del nuovo articolo 31-ter, D.P.R. n. 600/1973, il valore fiscale delle attività e passività trasferite è pari per le attività, al minore tra il costo di acquisto, il valore di bilancio e il valore normale, e per le passività, al maggiore tra questi. Per la determinazione del valore normale si applica l’art. 9, TUIR. La relazione illustrativa precisa che la norma trova applicazione anche ai casi cc.dd. di esterovestizione. E’ demandata ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate l’individuazione dei metodi di segnalazione dei valori delle attività e delle passività oggetto di trasferimento. La decorrenza della norma è fissata al periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto in esame.
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Articolo 13 - Perdite su crediti L’art. 13 ridisegna il regime fiscale, ai fini Ires, delle rinunce ai crediti da parte dei soci. Nel dettaglio, sia per le operazioni di rinuncia diretta a crediti originariamente sorti in capo al socio, sia per le ipotesi precedute dall’acquisto del credito (o della partecipazione) da parte del socio (o del creditore), il nuovo regime qualifica fiscalmente “apporto” la sola parte di rinuncia che corrisponde al valore fiscalmente riconosciuto del credito. A tal fine, il socio è tenuto a fornire alla partecipata, con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, una comunicazione relativa al valore fiscale del credito; in assenza di tale comunicazione, il medesimo valore fiscale è assunto pari a zero, con la conseguenza che il debitore assoggetta a tassazione tutta la sopravvenienza attiva. Viene così equiparata l’operazione di apporto da parte del socio e successivo saldo e stralcio del debitore partecipato con il creditore con l’operazione di previa acquisizione del credito da parte del socio e successiva rinuncia Una disciplina analoga è prevista per le ipotesi di conversione del credito in partecipazioni, sia se realizzate mediante sottoscrizione dell’aumento di capitale con compensazione sia se effettuare meditante altre operazioni, a prescindere dai regimi contabili adottati dai soggetti coinvolti. Le disposizioni contenute nel comma 4-bis non hanno natura antielusiva, per cui non sono suscettibili di disapplicazione. Nei casi contemplati dal medesimo comma 4-bis, comunque, trovano applicazione le previsioni di riduzione o eliminazione della tassazione della sopravvenienza attiva del debitore in presenza delle procedure concorsuali o situazioni similari previste dal nuovo comma 4-ter per le riduzioni dei debiti delle imprese in difficoltà Il comma 4- ter introduce una distinzione tra le procedure di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio e le procedure di concordato di risanamento; nel primo caso, la sopravvenienza attiva è totalmente detassata mentre nelle restanti ipotesi, non costituisce sopravvenienza attiva la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all'art. 84, TUIR senza considerare il limite dell’ottanta per cento, e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui al comma 4 dell’art. 96, TUIR. La norma interviene, altresì, a correggere la’art. 101, comma 5, TUIR nella parte in cui, in tema di deducibilità delle perdite, attribuisce rilevanza “automatica” solo a quelle realizzate nel contesto di accordi di ristrutturazione dei debiti omologati ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942, come già previsto per le procedure concorsuali.
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Nella attuale formulazione, la norma non tiene conto di analoghi accordi previsti da legislazioni di Stati esteri (es. la procedura fallimentare di ristrutturazione societaria c.d. "Chapter 11" prevista dal Federal Bankruptcy Code degli Stati Uniti d'America9) Il mancato riferimento a procedure estere equivalenti, pertanto, avrebbe potuto mettere in dubbio la possibilità per il creditore italiano di dedurre le perdite su crediti derivanti dallo stralcio parziale o totale dei debiti disposto nell’ambito di procedure concorsuali estere. A tal fine, la norma in commento introduce nell’art. 101, comma 5 del TUIR, il riferimento alle “procedure estere equivalenti” alle procedure concorsuali, prevedendo che la presunzione dei requisiti di certezza e precisione operi a decorrere dalla data di ammissione alla procedura stessa. Nel medesimo comma è stato altresì inserito il riferimento ai piani di risanamento attestati da un professionista indipendente e qualificato di cui all’art. 67, comma 1, lett. d), del R.D. n. 267/1942; pertanto, viene chiarito che anche le perdite su crediti conseguenti all’esecuzione di tali piani sono automaticamente deducibili a decorrere dalla data di iscrizione nel registro delle imprese. La lettera c) dell’articolo 13 mira invece a fornire certezza agli interpreti nell’individuazione, anzitutto, del periodo di competenza ai fini della deducibilità fiscale delle perdite su crediti. Con specifico riferimento alle perdite su crediti di modesta entità, l’intervento accoglie un orientamento già espresso dall’Amministrazione finanziaria che ha riconosciuto che il termine dei sei mesi dalla scadenza, previsto dalla norma per i crediti di modesta entità, va cosndierao unicamente come momento a partire dal quale la perdita può essere fiscalmente dedotta, considerato che la stessa diviene effettivamente deducibile dal reddito d’impresa solo nell’esercizio in cui è imputata a conto economico (eventualmente, anche a titolo di svalutazione). Lo stesso criterio viene adottato anche in relazione alle perdite su crediti vantate nei confronti di debitori assoggettati a procedure concorsuali (o ad esse equiparate). Viene comunque stabilito che la predetta deduzione non è ammessa allorché l’imputazione a conto economico avvenga in un periodo addirittura successivo a quello in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla vera e propria cancellazione del credito dal bilancio (ad es., per effetto della cessione del credito a terzi o per avvenuta prescrizione dello stesso ovvero la stipula di un accordo di saldo e stralcio). 9
La procedura del Chapter 11 prevede la predisposizione di un piano di rimborso dei debiti intero o parziale per consentire al debitore di continuare la gestione delle attività e di riorganizzare l'impresa. Il piano di ristrutturazione viene convalidato dal tribunale fallimentare che ammette l'impresa alla procedura solo quando valuta che l’impresa stessa abbia la possibilità di superare la fase di illiquidità senza causare un pregiudizio ai creditori, ottenendo un risultato superiore alla immediata liquidazione dell'impresa.
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Incertezze interpretative sorgono anche in relazione alla deducibilità delle svalutazioni di crediti imputate in bilancio in presenza delle condizioni individuate dal comma 5, che ne consentono la deducibilità “in ogni caso” ovvero al verificarsi degli elementi certi e precisi così come specificati dal medesimo comma; il secondo periodo del nuovo comma 5-bis prevede che la mancata deduzione – in tutto o in parte – come perdite fiscali delle svalutazioni contabili dei crediti nell’esercizio in cui già sussistevano i requisiti per la deduzione non costituisce violazione del principio di competenza fiscale, sempreché detta deduzione avvenga non oltre il periodo d’imposta in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla vera e propria cancellazione del credito dal bilancio. La modifica del comma 4 dell’articolo 88 del TUIR concerne, in sostanza, la non rilevanza delle sopravvenienze attive relative a riduzioni di debito operate in procedure estere equivalenti agli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis della legge fallimentare. Ciò per le stesse motivazioni indicate a commento dell’art. 101, comma 5, TUIR. Le nuove disposizioni si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto.
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Articolo 14 - Esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti La norma mira ad introdurre nel nostro ordinamento la c.d. branch exemption, ossia la possibilità che in capo ad un’impresa residente nel territorio dello Stato non assumano rilevanza fiscale gli utili e le perdite realizzati dalle sue stabili organizzazioni all’estero, da determinarsi in ogni caso con i criteri di cui all’articolo 152 del TUIR; il sistema dovrebbe consentire di ridurre le complicazioni per la tassazione dell’utile mondiale. Secondo la disciplina delineata, l’opzione per il regime di branch exemption è irrevocabile e va esercitata per tutte le stabili organizzazioni della medesima impresa (approccio all in, all out) , a condizione che non siano localizzate in Stati o territori inclusi nel decreto e nel provvedimento emanati ai sensi dell’articolo 167, comma 4, TUIR. Ai sensi del comma 4, la CFC rule viene estesa alle stabili organizzazioni di un’impresa residente, che in ogni caso hanno la possibilità di chiedere la disapplicazione della stessa ai fini dell’adozione della branch exemption. . Il comma 5 disciplina il regime transitorio, ossia l’eventuale passaggio dall’attuale regime dell’imputazione dei redditi della stabile organizzazione, con riconoscimento del credito per le imposte assolte all’estero, al regime dell’esenzione. A fine di consentire alle imprese di adeguare i propri sistemi contabili al nuovo regime, gli è riconosciuta la possibilità di esercitare l’opzione per la branch exemption entro il secondo periodo d’imposta successivo a quello di entrata in vigore della norma, con effetto dal periodo d’imposta successivo. Non è tuttavia chiaro come di debba operare nel caso di creazione di una stabile organizzazione estera dopo l’esercizio dell’opzione. Il comma 6 introduce una specifica regolamentazione della c.d. recapture delle perdite che si avvia quando l’impresa intende passare al metodo dell’esenzione e in passato ha “importato” perdite fiscali dalla propria stabile organizzazione. La disposizione, in particolare, prevede che l’impresa debba ricalcolare il reddito della stabile organizzazione nei cinque periodi d’imposta precedenti a quello di effetto dell’opzione e se dalla relativa somma algebrica risulta una perdita fiscale, nonostante la vigenza della branch exemption, gli utili successivamente realizzati dalla stabile organizzazione sono tassati in Italia fino al riassorbimento di detta perdita. Dall’imposta dovuta si detraggono le eventuali eccedenze positive di imposte sul reddito assolte all’estero dall’impresa in relazione al reddito ivi prodotto dalla medesima stabile e memorizzate ai sensi dell’articolo 165, comma 4, TUIR. Il comma 7 prevede una disposizione antielusiva volta ad evitare che venga aggirato il “recapture” delle perdite descritto, non solo in vigenza del
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periodo transitorio. Al riguardo sono disciplinate a titolo esemplificativo due fattispecie. Quella di cui alla lettera a) disciplina l’ipotesi in cui l’impresa, che non ha esercitato l’opzione per la branch exemption ed abbia importato perdite dalla sua stabile organizzazione, trasferisca la medesima stabile o parte della stessa ad altra impresa del gruppo, che, in previsione degli utili futuri della stabile, eserciterà l’opzione la branch exemption. La fattispecie di cui alla lettera b), invece, riguarda il caso in cui l’impresa cedente abbia optato per la branch exemption e per evitare il recapture delle perdite, trasferisca la stabile organizzazione o parte della stessa ad altra impresa del gruppo, che in seguito al trasferimento eserciterà l’esenzione. In entrambe le fattispecie, l’impresa cedente deve indicare nell’atto di trasferimento se, nei cinque periodi d’imposta precedenti, ha importato dalla stabile organizzazione trasferita o da una parte della stessa una perdita fiscale netta, che in seguito al trasferimento passerà all’impresa acquirente per assumere rilevanza ai fini dell’eventuale opzione per la branch exemption da parte di quest’ultima. Il comma 10 disciplina le modalità di determinazione del reddito della stabile organizzazione in vigenza della branch exemption, prevedendo che questo vada determinato secondo i principi e i criteri indicati nell’art. 152, TUIR. Il comma 11 riconosce al contribuente la possibilità di interpellare l’Agenzia delle entrate in merito all’esistenza di una sua stabile organizzazione estera. La decorrenza delle nuove disposizioni è fissata per il periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto; nel frattempo, sarà necessario intervenire su alcune lacune della descritta disciplina. In particolare, sarebbe opportuno rivedere l’approccio all in, all out e determinare con precisione la procedura da seguire nei casi di costituzione di nuove stabili organizzazioni dopo l’esercizio dell’opzione per il regime in parola. Nulla è disciplinato, inoltre, ai fini dell’Irap. In termini generali, si osserva, inoltre che la scelta di adottare una income exemption e non tax exemption non è pienamente condivisibile anche perché potrebbe essere non pienamente conforme con i principi della Corte di Giustizia sul trattamento delle società estere.
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Articolo 15 - Credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero L’art. 15 interviene sul testo dell’art. 165, TUIR, prevedendo modifiche al regime del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero, al fine di eliminare le attuali disparità di trattamento tra contribuenti. Ne risulta una estensione a tutti i contribuenti delle disposizioni contenute nei commi 5 e 6 dell’articolo 165, TUIR che invece, attualmente, sono applicabili solo ai redditi d’impresa prodotti all’estero tramite una stabile organizzazione. Si tratta delle previsioni in tema di: (i) detraibilità delle imposte estere nel periodo in cui il reddito estero concorre al reddito complessivo in Italia, purché le medesime imposte estere siano state pagate a titolo definitivo entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al primo periodo d’imposta successivo; (ii) possibilità di riporto in avanti ed indietro delle eccedenze di imposta estera rispetto all’imposta italiana. La norma detta, inoltre, una previsione interpretativa in merito all’ambito di applicazione del disposto dell’art. 165 tanto alle imposte coperte da convenzione quanto ad ogni altra imposta o tributo estero, purché si tratti di imposte sui redditi, lasciando al contribuente la facoltà di presentare istanza di interpello (ai sensi dell’art. 11, Statuto del contribuente) nei casi di incertezza. Le nuove disposizioni si applicando a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo in esame.
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