Quanti watt occorrono illuminare… ?
per
Quante volte ce lo siamo sentiti chiedere: quanti watt per illuminare la mia …..? Provo ad indicare un possibile modo di valutazione della potenza espressa in watt per illuminare un’area. Partiamo dalla considerazione che conosciamo l’ambiente da illuminare, quindi la sua destinazione di uso e la sua superficie espressa in m 2 ( i metri quadrati da considerare sono quelli sui quali si vuole l’illuminazione, pertanto la superficie della pavimentazione). Sulla base della destinazione d’uso possiamo determinarci il valore di illuminamento necessario, aiutandoci da tabelle che esprimo il valore in lux dell’illuminamento in funzione dell’ambiente. Ad esempio per una zona di passaggio sono consigliati valori di 50-150 lux, e poiché questo valore rientra nel limite dei 200 lux ( a meno di esigenze particolari) possiamo scegliere una lampada di tipo caldo, ovvero con temperatura di colore massimo di 3500°K. Bene quindi conosciamo
l’ambiente
(corridoio=zona
di
passaggio=16 m2) da illuminare, i lux necessari (consideriamo 150) e la temperatura di colore della lampada. A questo punto nota la superficie in m2 , noto il valore dei lux ci possiamo determinare il flusso luminoso , ovvero i lumen che la lampada deve sviluppare utilizzando l’espressione.
Utilizzando le tabelle di corrispondenza resa lm-watt per tipo di lampada, sarà sufficiente dividere i lumen ottenuti per
quelli che il tipo di lampada offre come resa per ogni suo watt, e si ottiene la potenza necessaria per l’illuminamento dell’area.
Dividendo i 2400 lm per i 50 lm/W che offre una lampada CFL da 22 W, otteniamo 48 W necessari, per cui due lampade CFL da 22 W sono sufficienti ad illuminare la nostra area, considerando una lampada LED della potenza di 4W con 320 lm dichiarati dal costruttore, quindi 80 lm/W, nel nostro esempio necessiteremo di 2400 lm/80 = 30 W, un risparmio di ben 18 W rispetto alle lampade CFL, oltre ad i vantaggi che offre la nuova lampada LED : maggiore efficienza, maggiore durata, accensione istantanea, e non contiene mercurio. Ovviamente è fondamentale considerare lampade LED prodotte da costruttori affidabili, che rendano note le caratteristiche elettriche ed illuminotecniche della lampada, infatti non è raro in questi casi ottenere direttamente sulla confezione della lampada il valore di illuminamento in lumen evitandoci così i precedenti laboriosi calcoli.
Luce bianca, calda o fredda ? Oggi si è passati dalla necessità di fare luce negli ambienti a quella di illuminare utilizzando quanto di meglio la tecnologia oggi ci rende disponibile cercando in primis di ottenere il miglior risparmio energetico con un buon rapporto qualità prezzo, cercando le performance migliori per ogni singolo punto luce, ed in genere questo si riduce a considerare la sostituzione delle lampade di ogni corpo illuminante.
Si è passati così, seguendo la tecnologia dalle lampade ad incandescenza, alle lampade fluorescenti per poi passare alle compatte fluorescenti e giungere alle attuali lampade a led, in queste ultime due famiglie di lampade si è così diffusa la necessità di comprendere quale tipo di lampada utilizzare, non solo conoscendo la ben nota grandezza che ne indica il consumo energetico, i famigerati watt; ma anche il tipo di luce emessa …bianca, bianchissima o bianco caldo…? Questa scelta ha fatto si che ci si è trovati a considerare u nuovo parametro, ovvero il tipo di luce bianca che potesse soddisfare la nostra necessità di illuminazione, determinata si dal tipo di ambiente da illuminare, ma altresì dal conoscere la “temperatura di colore della lampada”… eh già perché la luce bianca emessa dalla lampada (oggi le attuali led) non è uguale per tutte, ma … La luce bianca è formata da radiazioni luminose distribuite nello spettro visibile, ovvero seppure in maniera differente contiene tutti i colori; un aspetto da tener presente è che la luce bianca non è tutta uguale in quanto può presentare diverse tonalità e sfumature che dipendono dall’intensità delle singole radiazioni luminose che la stessa luce bianca contiene. Partendo quindi da questa considerazione, per identificare un tipo di luce bianca si dovranno utilizzare adeguati parametri, uno dei più noti è la “temperatura di colore” che definisce appunto la tonalità; in genere si considera una luce calda quanto più tende al rosso, ed una luce bianca quanto più tende al blu. Un po’ di teoria… La temperatura di colore (espressa in gradi kelvin) è quella prodotta da un corpo nero ipotetico quando produce una radiazione luminosa con uno spettro simile a quello considerato. Considerando che ogni radiazione luminosa è conseguenza nell’utilizzo di una determinata quantità di energia acquisita o emessa dagli atomi che costituiscono la
materia, e in questo passaggio si provoca calore, tanto elevato quanto più elevato è il livello energetico, si chiarisce il concetto del corpo nero. Ma è pur vero che la luce ha origine da processi chimici o fisici che inevitabilmente producono calore, al quale si può associare una determinata tonalità ad una certa temperatura. Quindi si può ipotizzare che se ho energia ho luce,e più ho energia maggiore è il calore prodotto. L’aumento della temperatura è conseguenza dell’energia impiegata, ovvero i fotoni emessi hanno un livello energetico sempre più alto, e maggiore è questo livello energetico dei fotoni, più alta è la frequenza secondo la legge di Einstein
è appunto l’energia cinetica dei fotoni espulsi; al crescere della temperatura del corpo riscaldato la lunghezza d’onda della luce emessa diminuisce. La legge di Wien afferma, che la lunghezza d’onda è inversamente proporzionale alla temperatura del corpo che emette luce, e sostiene che il prodotto della temperatura (T) e la lunghezza d’onda è costante (C ) per ogni tipo di radiazione emessa
Il prodotto della temperatura del corpo riscaldato per la lunghezza d’onda della luce emessa vale 2.684, ed occorre aver presente che il corpo nero (inteso come riferimento) è visto come un corpo capace di assorbire la luce che lambisce la sua superficie ed ha una temperatura di colore di 3500 °K al pari della luce del sole che colpisce la superficie terrestre, e che varia in funzione delle ore del giorno, ed alle condizioni metereologiche, ed anche se si consideri una luce diretta od una luce riflessa … parimenti varierà la temperatura di colore, minima in caso di cielo nuvoloso e massima con il cielo chiaro riferendo lo sguardo a nord-ovest , posizione opposta al sole che nasce ad est ed è al massimo al sud.
L’idea di questa rapida sintesi teorica (non me ne vogliano gli Esperti ) è nata dalla necessità di chiarirmi il concetto “temperatura di colore” con il quale si comprende anche il fatto che la luce non sia tutta uguale
Pertanto si dovrà considerare, nella scelta di una lampada, che sia essa di tipo CFL od Alogena o di tipo Led, il valore della temperatura di colore riportato sulle caratteristiche della lampada, in quanto pe rogni tipo di lampada il costruttore avrà determinato un preciso tipo di risposta luminosa, aggiungendo all’interno della lampada particolari gas o elementi che rendano un tipo di luce, per particolari applicazioni o illuminazioni di ambienti, ed ottenendo così, luce di tipo caldo (tra i 2700K e i 3800K) , luce intermedia ( tra i 4000K e i 5500K) e luce di tipo freddo(oltre i 5500K). Ad esempio le lampade allo xeno possono tranquillamente superare i 10.000°K, ora vanno di moda anche nei fari delle moto e delle auto, questo perché si ritiene che la loro emissione di luce sia di tipo più naturale delle lampade alogene o a filamento. …. Quindi come già detto, la scelta di una lampada non può prescindere dalla scelta della tonalità di luce con la quale si vuole illuminare l’area dell’ambiente interessato, ovviamente avendo ben presente la destinazione di uso dell’ambiente. O meglio una cosa è utilizzare un’ambiente per attività sportive, altra cosa è utilizzare l’ambiente per attività tipo lettura, o disegno. Nella scelta ci viene in aiuto la disponibilità di tabelle redatte da studi di professionisti in cui sono riportati valori di temperatura di colore adatti ad ogni condizione perché l’occhio possa lavorare in condizioni quasi naturali. In genere la temperatura di colore va scelta in base all’illuminamento che richiede l’ambiente, anche in questo
caso il valore dell’illuminamento lo si ottiene da tabelle che ne forniscono valori in lux in funzione del tipo di ambiente ,ad esempio
Tabellina utilizzabile,considerando una semplice regolina, ovvero • Luce con tonalità calda (non superiore ai 3500°K) per ambienti con valori di illuminamento in lux pari a 50/200, • Luce con tonalità fredda (4500-5000°K) per ambienti che richiedono oltre i 200 lux di illuminamento In genere si considera una luce con tonalità fredda in ambienti di lavoro, nelle scuole o dove si eseguono attività di precisione tipo disegno o progettazione, mentre si considera una luce con tonalità calda negli ambienti domestici o destinati a soggiorni, tipo strutture alberghiere, bar, ristoranti, sale etc … fermo restando la necessità di specifica tonalità di illuminazione in ambienti o superfici dedicate, immagino ad esempio le discoteche, o sale da ballo o superfici destinati ad esposizioni particolari, tipo espositori di carni o alimenti simili. L’idea di queste due righe è stata quella di riassumere brevemente alcuni aspetti utili alla scelta di un tipo luce per l’ambiente che interessa illuminare, con questo non si è voluto sostituire quanto la normativa ed i testi tecnici dettagliano in miglior modo, e possono essere fonte di approfondimento, oltre che hai link di wikipedia che o inserito nell’esposizione, si consiglia di visitare anche i link di costruttori importanti di lampade e sistemi di illuminazione.
"E' il tempo fisica!"
della
nuova
Non poteva mancare questa notizia dai contenuti molto Italiani … Il titolo riporta la frase con cui ha esordito all’evento il direttore uscente del Cern, Rolf Heuer.Al Cern di Ginevra è stata avviata una nuova fase di sperimentazione attraverso l’ LHC (Large Hadron Collider) il più grande accelleratore di particelle, un anello di ventisette chilometri, con questa nuova fase si vuole capire i misteri della materia, raccogliendo dati prodotti dalle collisioni tra protoni con un’energia di un valore pari a tredicimila miliardi di elettronvolt,un’energia mai raggiunta prima, molto più alta di quella realizzata nella prima fase di sperimentazione. Per approfondimenti:CERN LHC experiments back in business at record energy
Arduino: far diodi led
blinkare
tre
Dopo la prova del banco di lavoro per Arduino con Il primo sketch, eccomi alla realizzazione di un circuito che interessa componenti (sempre di base) esterni alla schedaArduino,
circuito che non ha nulla di particolare se non il primo approccio alla realizzazione di uno sketch per far blinkare (lampeggiare) tre diodi led, che per comodità visiva ho utilizzato di tre colori differenti: il classico semaforo, verde, giallo e rosso. In questa realizzazione si utilizzano i ben noti diodi led classici da 5 mm, per chi volesse conoscerli meglio consiglio questa esposizione: Breve esposizione sui diodi led ed i resistori di polarizzazione, nonchè la famigerata breadboard, con la quale si eseguono i collegamenti fra i vari componenti e la scheda di Arduino. Sui pochi componenti utilizzati non c’è molto da dire, se non rimarcare l’aspetto di polarizzazione dei diodi led, ovvero del fatto che questi necessitano di un resistore dimensionato secondo la legge di ohm per limitare il valore di intensità di corrente caratteristica (If= corrente diretta, in mA) del diodo led, ed indicata nel datasheet considerando il valore di tensione di polarizzazione (Vf=tensione diretta,in V) del diodo led e la tensione di alimentazione (Va, in V) secondo la nota formula:
In questa realizzazione, la tensione di alimentazione del semplice circuito è ancora fornita dalla scheda di Arduino, ed ha il noto valore di 5V, questo perché è ancora considerato possibile gestire l’assorbimento del circuito dai pin della scheda, infatti i diodi led sono polarizzati per un’intensità di corrente di 15 mA (inferiori ai 40mA limite dei pin della scheda) grazie al resistore di 330 ohm.
Hardware….. Il semplice schema è il seguente:
quindi di facile realizzazione, si collegano i diodi ed i resistori come da schema su breadboard e poi si collega questa
alla scheda Arduino nei rispettivi pin…
avendo cura di utilizzare i pin indicati …
a questo punto non resta che collegare la scheda al PC per il caricamento dello sketch.
Software… Dopo aver collegato la scheda al PC si lancia l’IDE per la realizzazione dello sketch…
In questo caso lascio il nome del file di default : sketc_may02c (volendo lo si può cambiare) e verifico che ci sia la comunicazione come indicato in basso a destra, e ora si è pronti per digitare lo sketch partendo dal punto indicato nel void setup. Il primo passaggio di questo sketch è definire le variabili, digitandole in una posizione prima del punto precedente…
Le variabili si riferiscono ai tre pin utilizzati, il Pin9, il Pin10 ed il Pin11 e la variabile Pausa espressa in millisecondi….
lo sketch che realizza il lampeggio dei tre diodi led è il seguente…
prima di caricarlo nella scheda andrà verificato, utilizzando il tasto verifica in alto a sinistra (1)…
si ottiene nella finestra di dialogo in basso (2) dell’IDE la risposta della verifica, se non ci sono errori indicato è ok, e pronta per essere caricata nella scheda con il risultato evidente del lampeggio dei tre diodi led…
di seguito il filmato relativo al lampeggìo dei tre diodi led… http://laboratorioscolastico.altervista.org/wp-content/uplo ads/2015/05/blink-3-diodi-led.mp4 Per verificare l’ampiezza della tensione di alimentazione sui diodi led, fornita dai pin della scheda di Arduino, ho rispolverato il mio vecchio oscilloscopio analogico e settandolo sul canale 1 per la misura in DC, con 5V/div, rilevo il valore in corrispondenza del lampeggio del diodo led sotto misura (DL Verde), avendo collegato la massa della sonda in GND della scheda ed il lato caldo sul pin sotto misura….
il filmato…..
http://laboratorioscolastico.altervista.org/wp-content/uplo ads/2015/05/misura-con-oscilloscopio.mp4
In questa realizzazione ho considerato solo l’aspetto pratico, omettendo l’aspetto teorico di realizzazione dello sketch
relativo al significato delle funzioni utilizzate alla sua realizzazione…che proverò ad esporre successivamente.
…..continua…
Il primo Arduino...
scketch
con
Ora che ho il banco di lavoro (PC and IDE ) Arduino pronto, posso verificare se funziona, ovvero se riesco a comunicare con la scheda attraverso l’IDE, per poi poter trasferire gli scketch nella scheda; pertanto dapprima collego la mia scheda ArduinoUNO al PC utilizzando il cavo di connessione USB Tipo A – USB Tipo B
In questo caso non mi preoccupo di un alimentazione esterna per la scheda, in quanto non prevedo dispositivi esterni di connessione ( gli eventuali shields che vedrò in seguito), pertanto utilizzo la tensione di alimentazione che fornisce la stessa connessione USB, sufficiente per questa verifica.
Ovviamente in questo caso, l’idea è di verificare se c’è comunicazione, per questo si utilizzeranno i diodi led che indicano la trasmissione (Tx) e ricezione (Rx), ed il diodo led (L) che la scheda monta per simulare alcuni “scketch” di prova come vedremo. Fatto ciò non resta che “lanciare l’IDE” attraverso la sua icona di collegamento sul desktop, che mi ero creato nella precedente installazione del software IDE , pertanto cliccando …
il software si avvia per la sua inizializzazione…
per poi aprirmi la finestra per la realizzazione degli “scketch”, ovvero i programmi da trasferire per il funzionamento di Arduino… nella finestra che mi apre, ho annotato i significati dei “pulsanti” presenti, e le aree interessate, ovvero i miei futuri comandi da IDE verso Arduino…
ma al momento l’informazione che mi interessa per prima è quella in basso a destra, che fornisce la porta di comunicazione con la scheda : Arduino Use COM1 , e questa va verificata, pena la mancata comunicazione e quindi l’impossibilità di caricare il nostro scketch di prova… quindi dapprima verifico la mia scheda (tipologia) perché l’IDE è predisposto per le varie schede di Arduino, nel mio caso dovrò settarla per la mia, ovvero ArduinoUNO , portandomi in Strumenti- Scheda- e cerco: Arduino UNO,
poi verifico la mia porta di comunicazione , in Strumenti – Porta – COM4 nel mio caso …
ora dovrei avere tutto pronto, per la prova finale … e come suggerito in ogni manuale, rivista o indicazioni degli esperti, la prima prova di verifica di un microcontrollore o un circuito digitale in genere utilizza un diodo led, in questo caso si tratta di “far lampeggiare il mitico diodo led”, ora per non complicarci troppo la vita per quanto concerne l’hardware, i realizzatori di Arduino hanno ben pensato di mettere a disposizione nella scheda un diodo led di prova (L), e per il software han pensato bene di inserire nell’IDE alcuni “scketch di esempio” che si possono utilizzare per prova, tra cui lo scketch : Blink, che realizza in poche righe di comando il lampeggio del diodo led, e che ora aprirò e caricherò nella scheda per completare la verifica …quindi andrò in File – Esempi – Basic –Blink ….
quindi …
ed ecco il mio primo scketch in prova …e noto in basso a destra il nuovo settaggio della porta COM4…a questo punto mi porto sul pulsante di Carica e trasferisco lo scketch in ArduinoUNO …
durante il Caricamento dello scketch, posso notare i due diodi led sulla scheda Tx ed Rx lampeggiare, a conferma che la comunicazione è ok, e quindi anche il trasferimento dati, infatti dopo un breve istante IDE mio restituisce l’info del caricamento completato…
ed il diodo led (L) sulla scheda di ArduinoUNO …lampeggiaaaa …
l’immagine purtroppo è statica, ma vi assicuro che il lampeggìo c’è e come ….ora prima di smontare il tutto, provo a smanettare sullo scketch, variando il parametro “delay” che come riporta la stessa descrizione rappresenta “turn the led ON “ e “turn the led OFF” …
portandoli a 100 …
verificando così la variazione di lampeggio del diodo led …ottimo … provate !!! …ora posso provare con qualcosa di più interessante….continua …..
Breve descrizione del Diodo LED passando per il diodo a giunzione… L’acronimo LED deriva da Light Emitting Diode, ovvero un diodo emittente luce. Quindi dapprima occorre conoscere cosa sia un diodo, che in breve si può identificare come un dispositivo elettronico a due terminali nominati anodo (A = terminale positivo) e catodo (K =terminale negativo), e si può anche dire che questo componente è di tipo attivo ovvero in funzione del tipo di polarizzazione ai suoi terminali si comporta diversamente nei confronti dell’intensità di corrente: se polarizzato inversamente questo componente blocca il passaggio
di intensità di corrente quindi reagisce attivamente al passaggio di corrente elettrica, e non passivamente come i resistori ad esempio, mentre se polarizzato direttamente lascia passare l’intensità di corrente elettrica. Di seguito il simbolo del diodo, ed i riferimenti dei suoi terminali con un esempio di un diodo tipo 1N4002, si nota la tacca di riferimento che indica appunto il terminale di catodo.
Si è parlato di polarizzazione dei terminali del diodo, con questo termine si intende i riferimenti di alimentazione del diodo, ovvero se si polarizza il diodo direttamente si intende collegare il terminale di anodo al positivo di alimentazione, ed il terminale di catodo al negativo di alimentazione, in questo caso il diodo lascia passare l’intensità di corrente, e la tensione di alimentazione prende il nome di alimentazione diretta, indicata con Vf ovvero Voltage forward. In pratica si può riassumere il comportamento di un diodo in quell di lasciarsi attraversare dall’intensità di corrente elettrica solo in un verso, ovvero quello di polarizzazione diretta, come se fosse un interruttore chiuso; mentre nella polarizzazione inversa blocca il passaggio di intensità di corrente elettrica come un interruttore aperto, questo però vale per un diodo ideale, in pratica nella polarizzazione inversa il diodo è interessato dal passaggio di una piccolissima intensità di corrente detta corrente di fuga. Quanto visto, è per quanto concerne (in breve..) il funzionamento del diodo, che dipende dalla sua fondamentale caratteristica costruttiva, ovvero quella di essere un dispositivo semiconduttore, cioè realizzato da una giunzione di tipo PN, realizzata in un blocchetto di semiconduttore, con il drogaggio delle zone interessate, ovvero sono stati introdotti atomi da un lato di elementi pentavalenti (N) e dall’altro trivalenti (P), nella zona di confine tra le due zone i crea una zona di svuotamento dovuta al fatto che gli
elettroni in eccesso della zona N vanno a colmare le lacune nella zona P, realizzando così una barriera di potenziale negativa sul lato P e positiva sul lato N.
La tensione di alimentazione del diodo, in polarizzazione diretta, perché porti il diodo in conduzione, viene chiamata tensione di soglia (Vs), e la rispettiva intensità di corrente viene detta corrente diretta; nella polarizzazione inversa del diodo la debole intensità di corrente che passa, viene detta corrente di fuga o corrente di saturazione inversa, ovviamente queste grandezze dipendono dal tipo di diodo, o meglio dalle caratteristiche del diodo (tensione di soglia, ed andamento della curva caratteristica di tensione/corrente). Il diodo è un dispositivo di tipo semiconduttore, perché ottenuto da un blocchetto di semiconduttore (silicio o germanio) alle cui estremità attraverso la tecnica detta drogaggio, vengono introdotte delle impurità (atomi trivalenti o pentavalenti) realizzando eccesso di portatori di carica elettrica (elettroni) da un lato e carenza di questi dall’altro (buchi), ottenendo così una zona di tipo N (catodo) zona drogata con atomi pentavalenti (Arsenico, Antimonio, Fosforo), ed una zona di tipo P (anodo) zona drogata con atomi trivalenti (Boro, Gallio, Alluminio). Tra queste due zone si crea un fenomeno, ovvero gli elettroni in eccesso nella zona drogata con atomi pentavalenti vanno a riempire le lacune lasciate dagli atomi trivalenti nella zona P realizzando così una terza zona, ovvero la zona di svuotamento dove non vi sono cariche libere, questa zona risulta come una barriera che isola le due zone P ed N, come una barriera di potenziale che isola la conduzione della giunzione PN e quindi del diodo. Ora per portare il diodo in conduzione, quindi in polarizzazione diretta, bisognerà applicare ai suoi terminali una tensione di alimentazione di valore opposto a quella della barriera di potenziale, ovvero positiva nella zona P, cioè l’anodo e negativa nella zona N cioè il catodo, ed il valore
di questa tensione dovrà superare quello della tensione di soglia Vs. Questa condizione è graficamente rappresentata, nel primo quadrante della caratteristica tensione-corrente di un diodo.
Il valore della tensione che occorre per portare in conduzione un diodo detta tensione di soglia, Vs, per le giunzioni PN in silicio corrisponde a 0,6 V mentre per le giunzioni PN al germanio corrisponde a 0,2 V. Mentre nella polarizzazione inversa , il diodo non conduce in quanto si aumenta la terza zona, la barriera di potenziale; in questo caso si ha il solo passaggio della debole corrente di fuga o corrente inversa (Io) e questo fin quando non si supera con la tensione di alimentazione il valore di tensione di rottura (Vb), con conseguente corrente inversa e rottura della giunzione, valore questo disponibile nei datasheet forniti dai costruttori per ogni tipo di diodo. Bisogna però precisare che alcuni tipi di diodi, noti con il nome di diodi zener sfruttano per il loro funzionamento proprio questo punto di lavoro in corrispondenza della tensione inversa di rottura, o di breakdown, indicata nel terzo quadrante della curva caratteristica tensione-corrente del diodo.
Un altro elemento fondamentale perché il diodo possa lavorare nei suoi parametri caratteristici è la temperatura, che altera il suo funzionamento se assume valori critici, secondo i quali l’intensità di corrente elettrica inversa aumenta e la tensione di soglia diminuisce, causando un malfunzionamento del diodo. A questo punto abbiamo le informazioni essenziali per approcciare il LED, acronimo che deriva da Light Emitting Diode, ovvero diodo emettitore di luce, si capisce quindi che si tratta di un normale diodo a giunzione realizzato per
lasciar passare la luce emessa con la minore attenuazione possibile. Quando il diodo è polarizzato direttamente scorre in esso un’intensità di corrente diretta, generata dal movimento di elettroni che vanno verso la zona P e delle lacune verso la zona N, nella zona di congiunzione vi è la possibilità di ricombinazione di coppie elettrone-lacuna con decadimento dell’energia dell’elettrone, questo significa emettere energia di tipo termica nelle giunzioni PN di normali diodi, mentre nei diodi LED diventa di tipo luminoso.
Ora per sfruttare questa emissione, si realizzano diodo LED con composti particolarmente adatti allo scopo, tipo fosfuro di gallio, arsenurio di gallio etc etc e da opportuni agenti droganti, l’intensità di emissione luminosa dipenderà proporzionalmente all’intensità di corrente elettrica diretta, entro i limiti imposti dal costruttore nelle caratteristiche del diodo LED ed inversamente proporzionale alla temperatura. Quindi per il funzionamento del diodo LED vale quanto già detto per il diodo, con una differenza evidente per l’aspetto costruttivo, a partire dai terminali che pur essendo comunque anodo e catodo, la loro identificazione è possibile grazie ad una tacca di riferimento realizzata sul corpo del diodo LED in corrispondenza del terminale di anodo, o l’individuazione di questi per una lunghezza inferiore rispetto a quella del terminale di catodo. Altra differenza sta nel simbolo di identificazione, che differisce da quello del diodo per la presenza di due freccette che indicano la caratteristica di emissione luminosa.
Nella pratica polarizzazione della tensione diodo LED, ed
occorre aver presente, che per una corretta del diodo LED occorre considerare il valore diretta (Vo o VF) in Volt, specifica di quel il valore limite dell’intensità di corrente
diretta (Io o IF) in mA, facendo attenzione a non superare l’ampiezza limite di quest’ultima grandezza (in genere 20 mA per i diodo LED 5mm) tenendosi al disotto del valore indicato dal costruttore si garantisce una vita lunga al diodo LED. Se consideriamo i diodi led da 5mm più comuni, per ogni tipo di colore disponibile si ha una corrispondente tensione di soglia Vs, che risulta essere tanto più alta quanto minore è la lunghezza d’onda, e questo perché la luce ad alta frequenza la si ottiene con fotoni ad alto livello energetico, prodotti al rientro negli orbitali da elettroni fortemente energizzati che per spostarli occorre una notevole tensione, quindi un basso valore di tensione fornisce poca energia quindi elevata lunghezza d’onda. Rosso … Vs =1,8 V – Giallo= 1,9 V – Arancio = 2,0 V – Verde = 2,0 V – Blu = 3,0 V—Bianco = 3,0 V , ovviamente questi valori di tensione sono generici, l’ideale è avere a disposizione per il diodo led in uso il rispettivo datasheet del costruttore.
Nella pratica i diodi led trovano applicazioni in ogni dispositivo di tipo elettronico sia come indicazione di stato (spia luminosa) che come elemento di illuminamento (lampade led), pertanto per poterli utilizzare al meglio occorre avere un minimo di conoscenze di base del dispositivo in particolare per la loro alimentazione, quindi delle loro caratteristiche. I “parametri elettrici” che caratterizzano un diodo led (datasheet) sono: VF = ovvero la caduta di tensione in polarizzazione diretta, in genere definita dalla tensione di soglia o quella a cui corrisponde un valore di intensità di corrente diretta, questo parametro può essere indicato anche come la massima tensione diretta sopportabile dal diodo led; VR = tensione inversa che si può applicare per un periodo illimitato;
VRRM = è la tensione inversa impulsiva che si può applicare ripetutamente, per la quale il costruttore indica la durata degli impulsi che il diodo può supportare tale tensione, valore utile quando si vuole alimentare il diodo in corrente alternata; IF = intensità di corrente continua supportata in polarizzazione diretta per un periodo illimitato; PTOT = è la potenza massima che il componente può dissipare alla temperatura di lavoro; TjMAX =è la massima temperatura di lavoro del diodo prima della rottura; ϴja = resistenza termica tra la giunzione e l’ambiente esterno, importante se si considera la curva di derating ed il diodo deve lavorare in ambienti caldi; ϴjc =resistenza termica tra giunzione e contenitore, serve per dimensionare il dissipatore nei power led ϴcr =resistenza termica tra contenitore e radiatore, per i led hi power per il dimensionamento del suo radiatore. Quelli visti sono i parametri elettrici di un diodo led, nel datasheet vengono indicati anche i parametri caratteristici illuminotecnici, utili per il dimensionamento per l’aspetto illuminotecnico. Ora vediamo l’utilizzo dei diodi led nella pratica … Si era detto che nel polarizzare direttamente un diodo led è fondamentale mantenere il valore di intensità di corrente diretta entro il limite indicato dal costruttore, per ottenere il giusto flusso luminoso del diodo led e senza che questo si bruci. Per realizzare questo, abbiamo detto che occorre polarizzare il diodo led, significando con questo voler fornire al diodo led il giusto valore di tensione, per portare il punto di lavoro del diodo led in una determinata zona della curva caratteristica, mantenendo il valore di corrente e di tensione nei valori indicati dal costruttore. Prendiamo come esempio un diodo led del diametro di 5 mm, per
il quale vengono indicati i seguenti parametri: VF circa 2V ; ed un’intensità di corrente diretta IF compresa fra i 10 mA ed i 20 mA;
Per limitare il valore di intensità di corrente nel diodo led, prossimo al valore limite, IF ed il valore di tensione diretta VF, indicati dal costruttore, facendo così lavorare correttamente il diodo led, occorre utilizzare un ulteriore dispositivo : un resistore, di adeguata potenza e valore ohmico. Supponiamo di dover alimentare un diodo led, diametro 5 mm, con VF =2V ed IF =20 mA ed avendo a disposizione una tensione di alimentazione di Vcc = 12 V, a questo punto dovremmo dimensionare un resistore per limitare il valore di tensione e di corrente . La questione si risolverà rapidamente applicando la legge di Ohm ,con la tensione espressa in Volt e la corrente in Ampere, si ottiene il valore in Ohm del resistore : sostituendo i valori si ottiene
Che il resistore dovrà avere un valore di resistenza di 500 Ohm, e di potenza pari a
sostituendo i valori si ottiene
Pertanto con un resistore della potenza di ¼ W e di 500 Ohm o valore prossimo commerciale, si potrà polarizzare il nostro diodo led.
Conclusioni. Ora di tutta questa breve esposizione (mi perdonino gli esperti..) sulla giunzione PN, e quindi del diodo Led per l’aspetto prettamente pratico, occorre aver presente che quando si utilizza un diodo Led, è fondamentale conoscere i suoi parametri elettrici (datasheet) per polarizzare direttamente e correttamente il diodo Led, e questo “sempre con un Resistore” per limitare l’intensità di corrente, e fornire la giusta caduta di tensione. Va anche detto, che non sempre il resistore è la soluzione corretta, in quanto occorre considerare la quantità di diodi Led in gioco, il tipo di connessione ed anche il tipo di diodo Led; perché le tipologie di diodi Led in commercio sono diverse e diverse sono le intensità di corrente in gioco. Ad esempio un power Led di alcuni watt di potenza può assorbire fino a 500 mA, con quest’ordine di grandezza il resistore inizia ad avere potenze interessanti, quindi se si va oltre si rischia di realizzare delle stufette limitatrici di intensità di corrente, e questo non è energeticamente conveniente, e l’affidabilità è proprio il caso di dirlo va a farsi friggere… in questi casi si ricorre all’utilizzo di alimentatori elettronici in corrente costante, o dispositivi utili allo scopo. Sulla tipologia di diodi Led, le loro possibili connessioni, e i circuiti di alimentazione se riesco ne parlerò in seguito. Link utili LED… http://it.wikipedia.org/wiki/LED Datasheet Led 3 mm … http://www.farnell.com/datasheets/67052.pdf
Brevi news... compatibili ...
energetico
Una bottiglia di latte compostabile
al 100% in 12 settimane,
sarà presentata all’eXPO 2015 dalla Azienda Granarolo…. fonte : www.chimic.info
Energia dalla buccia di banana, fonte : www.diregiovani.it
Il banco di Arduino...
lavoro,
per
Come per ogni tipo di attività che si vuole svolgere, occorre si avere le conoscenze, ma poi occorre metterle in pratica, e per far questo occorre avere i giusti strumenti e il banco di lavoro. Pertanto dopo avermi chiarito più o meno cosa sia Arduino, e dopo aver visto in breve l’hardware essenziale della scheda di Arduino è giunto il momento di “avviarlo alla pratica”, per questo è necessario si avere la scheda di Arduino (io come già
detto mi sono procurato quella di ArduinoUNO) ma occorre un PC pronto per ospitare il software per Arduino, ovvero l’IDE con il quale poi si andranno a realizzare gli “scketch” che trasferiti in Arduino, questi realizzerà quanto programmato, o almeno dovrebbe … Ora cosa intendo per “PC pronto per ospitare il software IDE ? “,provo ad esporre per step i vari passaggi per rendere la macchina pronta all’uso … Poiché l’IDE richiede sul PC la presenza di Java, la prima cosa da fare è assicurarsi che sia presente ed aggiornata, ricordando che Java vuole almeno 512 MB di RAM disponibile, in quanto ne tende ad utilizzarne a sufficienza… quindi dedichiamo qualche minuto, e per questo utilizzo il link www.java.com verificando se sul mio PC c’è java con la funzione “io ho Java?” proprio proprio dal sito di Java …
una volta lanciato il comando “io ho java”, si dovrà “acconsentire” alla verifica da parte del sito,
che poi ci dirà quale sia, se è presenta, la versione di Java installata nel PC, nel mio caso ad esempio mi ha restituito l’info….
cioè mi indica che ho una versione precedente ed è disponibile la nuova versione, ed ovviamente io accetto ed aggiorno …
una volta cliccato su “accettare e avviare il download… “ si dovrà salvare il file .exe di java …
quando è stato salvato il file occorrerà lanciarlo …
si aprirà la finestra di benvenuti in java e si dovrà cliccare su installa per proseguire l’installazione…
E quindi nella successiva finestra si dovrà accettare le condizioni di utilizzo per eseguire l’installazione e cliccare su avanti, facendo però attenzione ai due flag a sinistra che se sono spuntati autorizzano le installazioni indicate, io ho tolto i flag ….
a questo punto partirà l’installazione con l’indicazione di stato per poi terminare …
Al termine dell’installazione, è necessario riavviare il browser, ed eventualmente verificare nuovamente con la funzione “io ho java?” sul sito di java, io l’ho fatto per curiosità ed infatti ….ora…
Adesso che Java è ok sul mio PC posso preoccuparmi dell’IDE, perché con Arduino non è fornito alcun drive o software in quanto occorre scaricarlo direttamente dal sito http://arduino.cc/en/main/software scegliendo la versione adatta al sistema operativo ospitato sul PC che utilizziamo….
pertanto io seleziono la versione per il SO Windows, e clicco per il download …
e ci appare la finestra per il salvataggio del file.exe …
una volta salvato il file, lo apro e lancio l’eseguibile …
si apre la finestra per l’accettazione del contratto …
si aderisce cliccando su I Agree …e po si eseguono i setup di installazione che si preferiscono per i collegamenti e si clicca su Next…
nella nuova finestra che appare, se si vuole si sceglie un percorso di destinazione differente, (io ho lasciato quello di default) e poi si clicca su Install… e si avvia l’installazione ..
e parte l’installazione dell’ IDE …
in una manciata di secondi avviene l’installazione dell’IDE …
si clicca su Close … et voilà …
ed appare l’icona di Arduino IDE sul desktop del mio PC, ovvero ora ho l’hardware ed il software disponibili all’uso, pertanto il mio banco di lavoro per Arduino è pronto … quindi si può iniziare a “smanettare” ….e le prossime esposizioni
vedranno la formula “smanettare necessa este” …. …..Continua… “Il primo scketch con Arduino”
Arduino, hardware ... Dopo aver visto in breve, cosa sià Arduino, è chiaro che per iniziare occorra l’hardware, ovvero la scheda di Arduino ed alcuni accessori, e poi il software per la realizzazione degli “sketch” ovvero il listato che poi farà girare la nostra realizzazione. Per quanto concerne l’hardware abbiamo già visto che gli elementi fondamentali sono la scheda di Arduino e nel mio caso ho scelto quella di ArduinoUNO immaginando sia sufficiente per iniziare, e poi la famigerata breadboard ed una manciata di componenti discreti, provo ad illustrare questi componenti iniziando dalla scheda di ArduinoUNO. La scheda nasce per essere collegata ed utilizzata con altri dispositivi elettronici, pertanto si immagina di poter collegare direttamente alla scheda qualsivoglia dispositivo, ma in realtà non è proprio così in quanto ArduinoUNO ed ogni altra scheda funziona in bassissima tensione, siamo con ampiezze di 5 V, non sufficienti a pilotare un dispositivo elettronico in genere, altresì anche il carico che può supportare Arduino è molto piccolo, siamo nell’ordine dei 40 mA; pertanto per poter collegare un ipotetico carico alla nostra scheda e quindi poterlo gestire con essa si dovrà utilizzare un ulteriore dispositivo di “interfaccia” quale può essere ad esempio un “relè”, poi vedremo come, questi dispositivi che svolgono anche svariate funzioni anche di
trasduttori vengono detti “shield”. In ogni scheda di Arduino il cuore è il microcontrollore, che nel caso di ArduinoUNO risulta essere l’ATmega328 … della ATMEL.
Flash 32 Kbytes RAM 2 Kbytes Pin Count 28 Max. Operating Frequency 20 MHz CPU 8-bit AVR # of Touch Channels 16 Hardware QTouch Acquisition No Max I/O Pins 26 Ext Interrupts 24 USB Interface No USB Speed No E per chi volesse approfondire il discorso ATmega328 qui trova le 650 pg di info … ..non è il mio caso, almeno per ora … … quello che invece mi interessa è vedere le connessioni verso l’esterno della scheda ed in questo caso ArduinoUNO offre una serie di ingressi e uscite d’ora in poi I/O, di tipo digitale ed analogico. Gli I/O digitali possono assumere tre stati ovvero alto, basso e ad alta impedenza (tri-state) e sono del tipo bidirezionali, ovvero possono passare dalla modalità di ingresso a quella di uscita.
In modalità di uscita assumono il valore logico 0 e 1 queste due condizioni corrispondono ad un valore di tensione rispettivamente di 0 volt e di 5 volt, lo stato ad alta impedenza o tri-state, rende il pin “isolato” a qualsiasi circuito sia collegato, e si utilizza quando si hanno più dispositivi collegati con un filo comune, per scambiare
informazioni, come in un bus dove chi non vuole riceveretrasmettere si mette in modalità tri-state, questa condizione si realizza con delle resistenze di pull-up che si attivano via software, condizione riconosco non molto chiara per un neofita come me, magari al momento dovuto l’approfondirò .. In ingresso un valore di tensione compreso fra 0 e 2,5 volt viene interpretato come uno stato logico 0, mentre dopo i 2,5 volt sino a 5 volt viene interpretato come stato logico 1, considerando sempre questi valori di tensione riferiti al GND che sta per ground ovvero massa. Una nota importante è l’assorbimento massimo che si può richiedere ai pin di I/O che risulta essere di 40 mA massimo per un pin ed un’ampiezza complessiva di 150 mA per tutti i pin, volendo fare un esempio pratico si può pilotare direttamente un diodo led dal pin di Out della scheda, ma non un numero superiore a due altrimenti l’assorbimento eccessivo danneggerebbe la scheda stessa, di qui la necessità di utilizzare carichi.
dei
dispositivi
di
interfaccia
per
pilotare
Quindi riepilogando, un ingresso digitale assume due valori LOW (basso = GND ) ed HIGH (alto = + 5 V) . Il segnale di ingresso analogico,
nella scheda Arduino viene elaborato o meglio “campionato”, ovvero convertito in una sequenza di bit che esprimono l’ampiezza del segnale analogico in ingresso, questo processo viene svolto dal convertitore A/D,
che misura la tensione in ingresso ogni volta che viene interrogato per poi convertirla in un valore binario. In sostanza il segnale analogico viene suddiviso in tanti livelli discreti (scalini) quanti sono i bit disponibili, nel caso di un convertitore ad 8 bit esprimerà 256 valori, se fosse a 16
bit ne esprimerà 65536, e se di 10 bit come nel caso di Arduino i valori che esprime il convertitore A/D sarà di 1020, ovviamente il numero di bit permette una risoluzione migliore della lettura, quindi in ArduinoUNO si possono leggere valori analogici compresi fra 0 e 5V con 1024 livelli discreti, pertanto l’ampiezza di un segnale di 2,5 V corrisponde a 512 mentre 128 corrisponde a 0,625 V è questa la risoluzione di ArduinoUNO. Altro parametro importante nel campionamento di un segnale analogico oltre la risoluzione, è la frequenza di campionamento, ovvero la frequenza con cui la lettura può essere ripetuta. In Arduino la frequenza massima di lettura è di 9 kHz e permette di campionare a 4,5 kHz. L’uscita analogica PWM,
presente in ArduinoUNO utilizza la tecnica Pulse Width Modulation (modulazione dell’ampiezza di i mpulso) per produrre una tensione variabile 0-5 V a step discreti, ovvero un segnale che varia fra 0 e 5 V rispettivamente livello 0 ed 1. Un segnale PWM con Duty Cycle al 10 % fornisce 0,5 V, mentre con il 50% fornisce 2,5 V in ArduinoUNO il PWM è a 8 bit per cui fornisce 256 livelli. Rispolvero un buon vecchio testo di Elettronica per provare a chiarirmi, il concetto della tecnica PWM, e trovo che questa sia una tecnica digitale per ottenere dei segnali analogici, ottenendo una tensione pulsante a frequenza costante,e variando appunto il duty cycle cioè il rapporto tra quando un segnale digitale è alto e il periodo complessivo del segnale, facendo così variare il segnale nel tempo, in definitiva è una tecnica per simulare una variazione di tensione, a step discreti fra i valori 0 e 5 V. Il duty cycle di un onda (quadra o rettangolare ) è il rapporto tra la durata (espressa in secondi) del segnale quando è “alto” ( cioè stato 1) ed il periodo totale del
segnale, è un numero che esprime quanto sia la parte di periodo in cui il segnale è alto. Non ultimo e non meno importante è la porta mini USB di connessione alla porta USB del PC per la programmazione, attraverso il cavo di comunicazione in genere in dotazione con ogni scheda Arduino… con questo cavo si fornisce oltre la connessione di comunicazione verso e da la scheda, anche l’alimentazione necessaria al funzionamento della scheda, anche se è consigliabile utilizzare un’alimentatore esterno attraverso la connessione predisposta allo scopo, ricordando che Arduino accetta come tensioen esterna una tensione continua compresa fra i 7 ed i 12 V, meglio tenersi sui 9V ….
Ora visto quali siano i pin di Arduino per il collegamento con l’esterno di mezzo c’è un ulteriore componente che consente di collegare ArduinoUNO ai vari componenti e senza l’utilizzo di un saldatore, e questi è la breadboard … Sostanzialmente non è nulla di particolare, si tratta di un supporto isolante con dei fori predisposti su delle colonne e delle file da utilizzare per collegare opportunamente i dispositivi che realizzano il nostro circuito. Dal lato lungo, si osservano due colonne sui lati sinistro e destro marcate da due righe una rossa con il segno + ed una blu con il segno -, queste rappresentano le colonne dove inserire i collegamenti di alimentazione, i fori sono collegati in comune in verticale a gruppi di cinque; mentre le due colonne centrali ospitano (in questo caso) 30 file siglate in a-b-c-d-e, ed f-g-h-i-j, ogni fila risulta collegata in orizzontale in comune…forse un immagine può chiarire meglio ..
Per il collegamento fra i dispositivi e la breadboard o per unire tratti di circuito nella bradboard si utilizzano dei conduttori sottili e rigidi , tipo quelli del doppino telefonico per interderci. Gli altri componenti necessari alle prime realizzazioni sono i noti componenti discreti dei circuiti elettronici, quali appunto i resistori, i condensatori, gli induttori per i quali rimando a mie precedenti esposizioni su questi componenti, cliccando sulle scritte si accede all’esposizione: resistori fissi resistori variabili condensatori induttori sui componenti semiconduttori , quali il diodo led, il diodo ed il transistor rimando al momento utile, o aa eventuali mie esposizioni in proposito … Dovrei aver visto più o meno tutto, le funzioni degli specifici pin le vedrò man mano che le incontrerò nelle realizzazioni (se riesco …) ma se ho dimenticato qualcosa (ed è certo …) fatemelo notare che aggiornerò …. ci rileggiamo per il prossimo passo…il software … Continua ……
Arduino … ci provo anch’io … Alla formula “Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco” che campeggia in questo sito io ne aggiungo un’altra che a me piace “smanettare necesse est” è un’espressione che ho fatto mia da quando l’ho letta e presa in prestito da un mio amico, e proprio in virtù di quest’ultima che ho deciso di provare a smanettare anch’io con Arduino … sembrerebbe che sia
una cosa facile e alla portata di tutti, e forse anche per chi come me che viene dai vecchi kit in cui regnavano i componenti discreti, i circuiti stampati e il saldatore a stagno, chi non ricorda le famigerate luci psichedeliche … Pertanto per soddisfare la mia curiosità inizio a raccogliere delle info,su questa piccola schedina “tuttofare (o quasi)” , quindi sotto con qualche rivista, e libro preso in prestito per provare a capire come approcciare e togliermi qualche curiosità ,come ad esempio il “simpatico nome “ del sistema di sviluppo :“perché Arduino?” ,il nome a quanto pare deriva da quello del bar Arduino di Ivrea dove i realizzatori : M.Banzi, D.Cuartiellas, T.Igoe, G.Martino, D.Mellis, del sistema si incontravano per discutere in proposito, e che all’ultimo momento abbiano utilizzato per brevettare la scheda neonata, e quel nome dal 2005 ad oggi sembra che gli abbia portato fortuna, quindi scelta azzeccata. Da profano cerco di capire cosa sia esattamente Arduino, e leggendo, trovo che Arduino è una piattaforma hardware (processori ATMEL) utilizzata per lo sviluppo di oggetti interattivi stand alone, ed è realizzata nella filosofia dell’open-source, pertanto le informazioni hardware sono rese disponibili a tutti, e cosi mi spiego anche il motivo dell’esistenza sul mercato di diversi clone di Arduino con nomi più fantasiosi.
Per l’aspetto software Arduino interagisce con software residenti su PC, ed un proprio ambiente di sviluppo che utilizza una libreria Wiring (ambiente di programmazione opensource ) per semplificare la scrittura di programmi in C e C++ che poi gireranno sulla scheda. Quindi riepilogando, avrei fra le mani una scheda con degli I/O in un ambiente di sviluppo che utilizza una libreria Wiring per la sua programmazione.
Una scheda di Arduino ha un micro-controllor ad 8 bit AVR prodotto dalla Atmel ed altri componenti complementari, la versione ufficiale utilizza i chip della serie AVR mega (ATmega8, ATmega168, ATmega328, ATmega1280) completano la scheda un regolatore di tensione lineare a 5 V ed un oscillatore al quarzo da 16 MHz. La scheda è pre-programmata con u bootloader per il caricamento dei programmi nella memoria flash (presente nel chip), la programmazione avviene per mezzo di una connessione USB grazie ad un implementazione attraverso un chip adattatore USB-seriale (FTD della FTDI), le precedenti versioni utilizzavano la porta RS232 . Per quanto concerne le connessioni con “l’esterno”, quindi sensori, attuatori etc … Arduino presenta una serie di ingressi “I” ed uscite “O” su due connettori femmina con passo 0,1 pollici, e si trovano in commercio una serie di “schede applicative” note con il nome di “shield”. L’ambiente di programmazione integrato (IDE) di Arduino è un applicazione multipiattaforma scritta in Java, ed è derivata dall’ IDE creato per il linguaggio di programmazione Processing e adattato al progetto Wiring, (libreria software C–C++) nato per introdurre alla programmazione hobbysti e neofiti come me ad esempio … L’alimentazione della scheda di Arduino può essere realizzata con un alimentatorino esterno o da una batteria, attraverso il connettore specifico, la scheda accetta un range di tensione di alimentazione da 7 a 12 V, in alternativa la si può alimentare attraverso la porta USB del PC. E’ importante non scendere sotto i 7 volt perché diversamente la scheda non riuscirebbe a fornire in uscita i 5 V, e non oltrepassare i 12 volt per evitare surriscaldamenti dannosi alla scheda.
Altra curiosità è capire quante versioni di Arduino esistano, e stando a quanto ho trovato in rete credo che siano presenti le versioni di: Arduino Uno, ArduinoDue, Arduino Leonardo, Arduino Esplora, Arduino Mega 2560, Arduino Nano e LilyPad Arduino ed altri modelli non identificati (da me ovviamente … ) per applicazioni specifiche, per un totale di dieciannove versioni. A questo punto non resta che provare da neofita questo ritorno al fai da te elettronico mettendo (momentaneamente) da parte il saldatore , i circuiti stampati ed i componenti discreti, e provare con il PC e la scheda di ArduinoUNO, cercando di mettere in pratica e per questo occorrono si altre info, ma anche il materiale necessario, e così mi son procurato da bravo newbie Arduiniano … : ) la scheda versione base (mi è sembrato di capire…) ovvero ArduinoUNO, con l’indispensabile bread board e qualche componente … e si inizia…
Per i più avvezzi la bread board è ben nota per chi non lo è in breve si può dire che si tratta di una basetta sperimentale che consente di realizzare circuiti sperimentali, o prototipi senza la necessità di realizzare un circuito stampato o pcb, e quindi senza dover eseguire saldature; con la bread board si sfruttano le connessioni fra la serie di reofori disponibili utilizzando come collegamenti dei ponticelli con dei sottili fili conduttori, già pronti, o realizzabili con del normale conduttore rigido sottile tipo quello del filo telefonico o dei conduttori dei cavi citofonici … Seppur per me ancora sconosciute singolarmente riporto le caratteristiche principali della scheda che andrò ad
utilizzare ovvero ArduinoUNO. Utilizza il microcontrollore ATmega328, ed ha 14 ingressi/uscite di tipo digitale di cui 6 sono uscite in PWM, un numero di 6 ingressi Analogici, ed una memoria di 32 kB, 2kB SRAM ed 1kB EEPROM, ed una velocità di clock di 16 MHz, una scheda di tutto rispetto per chi come me inizia da principiante, facilitato dalla connessione USB che consente la connessione al PC ed il suo riconoscimento in maniera immediata senza alcuna necessità di configurazione o installazioni aggiuntive.
Continua …………………….
Uno... strano fenomeno…delle lampade a basso consumo (CFL). Da tempo oramai, le gloriose lampade ad incandescenza sono state sostituite dalle tecnologiche lampade CFL (Compact Fluorescent Lamp) ovvero lampade compatte fluorescenti, meglio note come le lampade a basso consumo.
Queste lampade hanno oramai sostituito le vecchie lampade ad incandescenza in virtù del loro basso consumo rispetto ad un’elevata resa luminosa, ma ahimè ad un pari impatto ambientale sfavorevole, ma questo è un altro discorso, magari lo riprenderemo…,ora queste lampade CFL sono in definitiva delle lampade fluorescenti, e come tali hanno bisogno di un
loro alimentatorino per convertire la tensione di rete da alternata in continua e successivamente regolarla in modo da far accendere il tubo fluorescente; o meglio svolge la funzione di innesco del gas all’interno del tubo fluorescente mantenendo poi la lampada accesa facendola lavorare ad una frequenza dell’ordine di decine di chilohertz (kHz) diminuendo così le perdite e stabilizzando la luce e garantendo un buon rendimento, riuscendo così con questa nuova realizzazione a portare la vita di una lampada CFL tra le 5000 e 10000 ore,di graqn lunga superiori a quelle delle oramai abbandonate lampade ad incandescenza. Bisogna però aver presente che i dati relativi alle ore di durata delle lampade CFL sono da interpretare in base al numero di accensioni della lampada caratteristica che di fatto “sollecita” il circuito di alimentazione, al punto che questo tipo di lampade può non essere molto consigliato per ripetute accensioni e brevi durate… in definitiva il funzionamento delle lampade CFL è un po’ come accade nei ballast dei tubi fluorescenti rettilinei.
Questa sintetica (mi perdonino gli esperti) descrizione, ci dovrebbe aiutare a capire il perché di un “fenomeno strano” che si presenta in alcuni punti luce in cui sono utilizzate queste lampade, ed è il fenomeno che a volte si sente lamentare da alcuni utenti : “al buio il mio lampadario a volte emette dei flash pur essendo spento” … ebbene il fenomeno è indirettamente causato proprio dal circuito di alimentazione di questo tipo di lampade, e si presenta grazie ad alcune condizioni di alimentazione del punto luce, o della presenza di un interruttore luminoso. Il primo e più comune caso di questo strano fenomeno, può essere un’errata alimentazione del punto luce, ovvero
contraria a quella suggerita dalla norma: “il conduttore di fase di alimentazione del punto luce va interrotto, mentre il conduttore di neutro va diretto al punto luce” (schema corretto: A); eseguendo il collegamento contrario (schema non corretto: 1A) si fornisce per conduzione capacitiva (conduttori) una seppur minima intensità di corrente necessaria alla carica del condensatore elettrolitico presente nel circuito dell’alimentatore della lampada CFL, condensatore che una volta carico si scaricherà in un istante attraverso il circuito dell’alimentatore che fornirà energia per un istante sufficiente alla lampada per fargli emettere il bagliore equivalente allo strano fenomeno …fermo restando che questo tipo di collegamento sconsigliato dalla normativa rende anche un condizione di rischio all’utente nel momento in cui debba sostituire una lampada su quel punto luce avendo di fatto un lato attivo alla tensione di rete sempre presente sul portalampada !; difetto questo facilmente risolvibile, rispettando quanto prescritto dalla norma, ovvero portando il conduttore di neutro diretto alla lampada ed interrompendo il conduttore di fase con l’interruttore.
Altro caso può essere quando gli interruttori di comando del punto luce sono del tipo illuminato, in questo caso la lampadina di presenza inserita nell’interruttore del punto luce, lascia passare ad interruttore aperto una piccolissima intensità di corrente, che andrà ad alimentare il condensatore elettrolitico presente nel circuito dell’alimentatore, una volta raggiunto un valore di tensione sufficiente il condensatore farà accendere la lampada per un istante pari al rapido tempo di scarica del condensatore e cosi via; difetto questo facilmente risolvibile utilizzando per la lampada di segnalazione un terzo conduttore di alimentazione .
Quindi per quanto possa sembrare semplice la realizzazione di un circuito di comando di un punto luce, ovvero di un’interrotta, non può questa prescindere dalla conoscenza e messa in opera della buona regola dell’arte, che prevede l’applicabilità di quanto le norme suggeriscono per ogni simile realizzazione. Nel caso specifico , fatte salve le considerazioni sulle sezioni dei conduttori, delle protezioni a monte del circuito, risulta importante prima per la sicurezza e poi per la funzionalità l’interruzione del conduttore di fase nell’alimentazione del punto luce; e le corrette considerazioni sui punti di comando luminosi. Disclaimer Quanto rappresentato,testo,immagini e disegni sono frutto di una elaborazione propria e rappresentata a scopo di studio e didattico, pertanto ogni possibile danno a cose o persone per un utilizzo improprio delle informazioni esposte non è responsabilità dell’autore, che declina ogni responsabilità.
Idea per una tesina ... "il semaforo" ... Leggevo della ricerca dei laboratori del Massachussetts Institute Tecnology, meglio noti come MIT di Boston, di combattere l’effetto serra regolando il traffico per ridurre le emissioni dei veicoli e questo utilizzando dei “semafori inrtelligenti”, che svolgeranno una funzione di modulazione ecologica del traffico incrociando e combinando i dati rilevati in un algoritmo dedicato sulle emissioni e
l’andamento degli stessi veicoli nell’area interessata, o città interessata, ovviamente la mole di dati sarà dettagliata, come quella del primo test eseguito simulando il traffico della città di Losanna in Svizzera. Leggendo questa notizia mi è venuta l’idea di come a volte semplici notizie possano diventare fonte di realizzazioni laboratoriali, e perchè no anche spunto per una tesina. La realizzazione di un sistema semaforico vede integrare per l’aspetto tecnico tanto le conoscenze elettrotecniche (impiantistiche) che di automazione (logica in PLC) nonchè elettroniche ed informatiche (programmazione), resta poi semplice allacciare anche il contesto storico se si pensa che il primo semaforo Italiano, installato all’incrocio tra Piazza Duomo, Via Orefici e Via Torino, nell’aprile del 1925 (periodo fascista), per la lingua inglese e la matematica basta un pò di fantasia…ovviamente non dimentichiamoci l’effetto serra che combatteranno i futuristici semafori intelliggenti
Info sull'induttore ... L’induttore, come tutti i componenti elettronici passivi si trova in ogni dispositivo elettronico ed elettrico, con diverse funzioni come ad esempio come impedenza di filtro negli ingressi di alimentazione nei cosiddetti circuiti RFI, o come impedenze negli alimentatori switching, o ancora nei crossover o filtri di circuiti in BF (bassa frequenza) e in
molte altre applicazioni.
Negli schemi elettrici ed elettronici il suo simbolo è indicato da una serie di spire a rappresentare appunto nella sua maniera più semplice un avvolgimento di n spire…mentre la lettera L rappresenta il suo coefficiente e lettera di identificazione …
L’induttore come già detto nella sua forma più comune si trova come un avvolgimento o meglio spirale di n spire avvolto in aria e realizzato con un conduttore unipolare in rame di adeguata sezione ed opportunamente isolato, in genere con della vernice in smalto; nella forma più complessa presenterà un nucleo in genere di materiale ferromagnetico sul quale sono avvolte opportunamente le spire del conduttore. La lettera L indica il valore della sua induttanza e la sua unità di misura è l’Henry, questa rappresenta la proprietà fisica di autoinduzione quando la bobina è percorsa da una intensità di corrente di forma variabile. Costituzione Come abbiamo visto la sua realizzazione seppur necessita di particolare dimensionamento, nella sua parte costruttiva è molto robusta sia elettricamente che meccanicamente pertanto un suo probabile, ma altrettanto remoto guasto è facilmente individuabile, in quanto causato dal cedimento di un altro componente che causa il surriscaldamento per effetto joule della bobina che realizza l’induttore … guasto evidente..
Nella sua semplicità l’induttore si presenta come un avvolgimento di n spire di un conduttore isolato con smalto di sezione adeguata ed avvolto su un supporto di materiale anch’esso isolante, quest’ultimo potrà trovarsi in aria o su
materiale ferromagnetico con elevata permeabilità μ, con quest’ultima possibilità si potranno così avere gli induttori in aria o gli induttori con nucleo, ed in entrambe i casi comunque si avrà per il loro collegamento al circuito sempre i due terminali o reofori. Teoria essenziale …
Il conduttore così avvolto intorno al supporto (nucleo) realizza una bobina composta da un certo numero di spire N , e quando questa è percorsa da un’intensità di corrente I si genera nello spazio circostante un flusso Φ concatenato con il conduttore stesso e legato all’intensità di corrente dalla relazione:
Dove L è il coefficiente di autoinduzione noto come Induttanza del conduttore, il suo valore dipende dalla geometria del conduttore e dalla natura del mezzo (nucleo) in cui ha sede il campo magnetico espressa in H: henry e sottomultipli (mH – μH). Quindi l’induttore è una bobina di N spire avvolte su di un supporto (nucleo: aria o materiale ferromagnetico) che permette di realizzare determinati valori di induttanza L misurata in henry il cui valore può essere ottenuto dalla relazione:
Nel caso in cui l’intensità di corrente che interessa l’induttore sia variabile nel tempo e di valore istantaneo i ,la forza elettromotrice di autoinduzione e che si manifesta nell’induttore assume il valore istantaneo :
l’induttanza L è la capacità di immagazzinare energia elettrica in un campo elettromagnetico, e l’energia W immagazzinata ed associata al campo magnetico vale: Induttore in corrente alternata Una bobina percorsa da un’intensità di corrente con andamento sinusoidale e di una frequenza nota, ai suoi estremi presenta una tensione anch’essa sinusoidale ma sfasata in anticipo di un angolo
rispetto all’intensità di corrente, nella pratica questo sfasamento
sarà di un angolo
minore di 90° detto angolo di perdita della bobina. L’induttore reale pertanto viene rappresentato da un circuito costituito da un’induttanza equivalente del valore Ls ed una resistenza serie del valore Rs questo circuito dà luogo alle due componenti di tensione VR in fase con la corrente ed una componente VL in quadratura in anticipo con la corrente.
Il circuito equivalente dell’induttore può divenire anche di tipo parallelo se si scompone l’intensità di corrente I in una componente in fase con la tensione nella resistenza R P , denominata IR ed una componente in quadratura IL che interessa l’induttanza equivalente LP ; pertanto il circuito equivalente parallelo ed il relativo diagramma delle intensità di correnti diventano:
L’energia dissipata in un periodo vale PT essendo P la potenza attiva assorbita e T il periodo, il fattore di merito Q vale:
per il circuito equivalente serie diventa:
e per il circuito equivalente parallelo:
da queste ultime due espressioni : RSRP = ω2LSLP essendo eguali le impedenze dei due circuiti equivalenti
In una bobina il valore del fattore merito Q sarà senz’altro maggiore dell’unità quindi le precedenti due espressioni diventano RP = RSQ2 LS = LP = L e l’espressione RSRP = ω2LSLP diventa 2
2
RSRP = ω L
Dove L è l’induttanza della bobina. Le resistenze R S e R P rappresentano tutte le perdite che interessano la bobina, anche se in pratica le perdite sono diversamente localizzate e sono : perdite nel conduttore utilizzato dovute alla resistenza propria del conduttore, perdite originate dal dielettrico che fa da supporto alla bobina e nello stesso rivestimento isolante del conduttore perdite per
irradiazione,
per
bobine
di
grandi
dimensioni ed impegnate da frequenze elevate, perdite dovute alla presenza di materiali di tipo metallico vicini , esempio schermi della bobina. parametri caratteristici dell’induttore Sono parametri caratteristici dell’induttore, il fattore di merito Q , la frequenza di risonanza fr,l’angolo di perdita a ,la tolleranza ed il coefficiente di temperatura. Il fattore di merito o di bontà Q viene espresso dal rapporto fra l’energia immagazzinata W e l’energia dissipata P dalla bobina in un periodo ovvero:
Il fattore di merito Q in genere è compreso fra qualche decina ed alcune centinaia, e c’è un campo di frequenze in cui è praticamente costante: questo deve essere il campo di impiego dell’induttore; tanto più le perdite sono basse ovvero R s piccolo, tanto più il Q è alto . Un altro fattore di qualità dell’induttore è l’angolo di perdita ( δ ), riportato a volte in grafici che lo esprimono in funzione della frequenza e dell’induttanza alle quali risulta direttamente proporzionale. La frequenza di risonanza è quel valore di frequenza in cui
l’induttore non opera in maniera corretta ed inizia a comportarsi come un condensatore puro, il valore di questa frequenza si ricavadalla relazione:
La tolleranza è il valore percentuale di scostamento del valore di induttanza L rispetto al suo valore nominale, mentre il coefficiente di temperatura esprime la variazione del valore di induttanza dovuto alle variazioni didimensioni della bobina per effetto delle dilatazioni termiche e delle variazioni di resistività del conduttore. caratteristiche costruttive degli induttori Come già accennato gli induttori possono essere realizzati senza nucleo cioè avvolti in aria o con nucleo avvolti su unsupporto di materiale ferromagnetico. induttori senza nucleo
Sono realizzati da un filo conduttore isolato avvolto su un supporto isolante cavo, le caratteristiche fisiche del filo conduttore sono importanti in quanto dovranno contenere le perdite ohmiche quindi dovranno avere basso valore di resistenza, in alcuni casi (RF) si utilizza come conduttore il filo Litz per ridurre l’effetto pelle alle alte frequenze, costituito da un’insieme di fili sottili, e fra loro intrecciati ed isolati,non ultima la considerazione sul tipo di posa del conduttore che dovrà realizzarel’avvolgimento in modo da ridurre al minimo gli effetti capacitivi che si realizzano fra le spire e creano dei campi elettrostatici in aria e nei dielettrici dell’avvolgimento, gli avvolgimenti più comuni vengono realizzati in: solenoide, è l’avvolgimento più comune e semplice il conduttore isolato viene avvolto in un solo strato su un
supporto di materiale isolante, o semplicemente realizzatocon qualche spira in aria, a più strati, si utilizza nel caso il valore di induttanza richiesto sia alto,pertanto il conduttore isolato viene avvolto in più strati di un numero dipendente dal valore dell’induttanza su di un supporto cilindrico cavo ed anch’esso isolante, a nido d’ape, è una realizzazione complessa degli avvolgimenti sul supporto, avvolgimento toroidale, questo per ottenere campi magnetici di debole intensità fuori dall’induttore, anche in questo caso la realizzazione degli avvolgimenti può avvenire in più strati. induttori con nucleo
L’utilizzo del nucleo determina un aumento del valore di induttanza poiché quest’ultima è proporzionale alla permeabilità magnetica che risulta maggiore nei materiali ferromagnetici, piuttosto che nell’aria;questo a parità di dimensioni di ingombro e i numero di spire. L’aspetto negativo della presenza di un nucleo nell’induttore è relativo ad un aumento delle perdite per correnti parassite indotte nel nucleo ed isteresi magnetica con la conseguente diminuzione del fattore di qualità, anche se con i nuclei in ferrite si riesce ad ottenere elevati valori di permeabilità e basse perdite. I nuclei si possono avere in diverse forme : ad E ad U ad I toroidale. Gli induttori possono essere del tipo assiale per il montaggio
rapido su pcb o anche in tecnologia SMD collegamento serie e parallelo Come per i resistori e di condensatori anche gli induttori possono essere collegati in serie ed in parallelo:
Nel collegamento serie l’induttanza equivalente vale: Lequ = L1 + L2 + ….Ln Nel collegamento parallelo l’induttanza equivalente vale:
formule per il dimensionamento di una bobina in aria Nell’ipotesi
di
dover
costruire
una
bobina
in
aria,l’espressione per determinare il valore di impedenza espressa in μH è di natura empirica si esprime come la formula di Nagaoka:
Valida nel caso di bobine corte con l < 10d e dove n è il numero di spire, d il diametro ed l la lunghezza della bobina espresse in cm , mentre k è il coefficiente correttivo che dipende da d / l ; un’altra espressione maggiormente valida sempre per bobina corte:
Per bobine in aria con avvolgimenti a più strati considerando che l’induttanza dipende dal quadrato del numero di spire
dove è la riluttanza del circuito magnetico una volta ricavato il valore relativo ad uno strato si moltiplica poi il
valore trovato per il quadrato del numero degli strati ottenendo così un valore approssimato, ma indicativo. Per bobine in aria con avvolgimenti a più strati considerando che l’induttanza dipende dalquadrato del numero di spire
dove è la riluttanza del circuito magnetico una volta ricavato il valore relativo ad uno strato si moltiplica poi il valore trovato per il quadrato del numero degli strati ottenendo così un valore approssimato, ma indicativo.
fasce di valori
Si possono distinguere per tre fasce di valori: bassa 0,1—100 μH in questa fascia rientranole bobine per radiofrequenza, media 0,1—100 mH questi valori interessano le bobine di filtro per alimentatori, peri filtri crossover le bobine disoppressione disturbi etc, alta 0,1 H in questa fascia interessano le grosse impedenze ed i trasformatori. come per i resistori ed i condensatori anche per gli induttori ci sono i codici di rispondenza colore/numero per l’identificazione del valore di induttanza espresso in uH
induttore variabile Sono realizzati da un avvolgimento entro il quale si può inserire in profondità variabile un nucleo magnetico, il tipo rappresentato è per applicazioni in RF.
La verifica di un induttore può essere semplicemente eseguita con un multimetro in portata per ohm, misurando ai capi dei suoi terminali si dovrà leggere in genere un bassissimo valore di resistenza (dipende dal tipo di induttore) che da l’idea della continuità dell’avvolgimento che realizza la bobina dell’induttore, diversamente se si misurasse in valore zero di resistenza sta a significare che la bobina è aperta o interrotta pertanto è da sostituire con induttore identico, fermo restando che un induttore guasto in genere risulta abbastanza evidente … Riferimenti per la stesura… Tecnologia Elettronica G.Lotti Vol.1 ed Sovrana. Appunti di TDP.. effetto pelle,filo Litz by wikipedia, sulla bobina di choke by wikipedia.
Info sul "capacitore "... Il condensatore è un componente passivo in grado di accumulare energia elettrica mantenendo una separazione tra cariche elettriche positive e negative. E’ costituito da due superfici metalliche denominate armature, fra le quali è interposto un mezzo isolante chiamato dielettrico che non consente passaggio di corrente al suo interno. A ciascuna armatura è collegato un conduttore, che è il terminale utilizzato per la connessione del componente al circuito. Sugli schemi elettrici è indicato con la lettera C
seguita da un numero progressivo per la sua identificazione, ed il simbolo utilizzato è uno dei seguenti, a seconda che si tratti di condensatore non polarizzato o variabile. Il valore del condensatore viene indicato con il termine “capacità” e la sua unità di misura è il “Farad” simbolo “F”, poiché il valore del farad è molto grande si utilizzano i sottomultipli (frazioni di farad) quali appunto il “millifarad”, mF, ovvero i millesimi di farad, i “microfarad”,µF, ovvero i milionesimi di farad, i “nanofarad”, nF ,cioè i miliardesimi di farad, ed i “picofarad”, pF, ovvero i milionesimi di milionesimi di farad.
Tecnologie costruttive dei condensatori Condensatori fissi I condensatori, come i resistori, possono essere del tipo fisso o del tipo variabile. Per il primo tipo si possono classificare in funzione del dielettrico utilizzato per la loro realizzazione. Da questo punto di vista si hanno le seguenti tipologie di condensatori: condensatori ceramici Utilizzano un materiale ceramico come dielettrico e sono disponibili con due forme geometriche: a tubetto ed a disco
I condensatori ceramici coprono una gamma di capacità che va da qualche pF a qualche centinaio di nF, e sono suddivisi in tre classi: classe I I componenti base del dielettrico sono il biossido di titanio o il titanato di calcio, con l’aggiunta di altri componenti
per rendere ottenere la forma del dielettrico che si vuole. I condensatori di questa classe hanno un’alta stabilità in temperatura ed un basso fattore di dissipazione. Il coefficiente di temperatura (definito più avanti), può essere positivo (P) o negativo (N). Il più stabile è indicato con NP0 = 0ppm/°C , e non subisce variazioni al variare della temperatura, in applicazioni particolari (come segnalato da un’utente) è conveniente valutare attentamente questo parametro sui datasheet forniti dal costruttore indicato attraverso specifico grafico la variazione del coefficiente di temperatura, esempio: 1 datasheet AVX 2 datasheet AVX 3 datasheet AVX Questi condensatori
trovano
applicazione
nei
circuiti
risonanti, per accoppiamento e bypass in alta frequenza, ovvero nei circuiti in cui è richiesta un’elevata stabilità. classe II utilizzano come composto base il titanato di bario con aggiunta di altri composti per ottenere dal dielettrico le caratteristiche desiderate. Questi condensatori hanno un comportamento poco lineare (la carica non è proporzionale alla tensione applicata). La costante dielettrica è superiore a quella dei classe I, il che rende così possibile una miniaturizzazione del condensatore. Trovano applicazioni in bypass e filtri per i quali sia richiesta un’elevata precisione. classe III hanno un dielettrico con spessori molto sottili, per miniaturizzare al massimo le dimensioni. Sono caratterizzati pertanto da bassi valori di tensione nominale. I condensatori a film plastico hanno come dielettrico un film sottile di materiale plastico metallizzato, i più comuni sono. Polistirolo, mylar,
policarbonato,poliestere,teflon,
I condensatori a film plastico sono realizzati con un film di materiale plastico metallizzato, del tipo: polistirolo, mylar, policarbonato, poliestere, teflon. I valori di capacità coperti da questo tipo di condensatori vanno da 1 nF a 1000 nF, presentano una buona stabilità in temperatura, e basse perdite;l’applicazione prevalente di questo tipo di condensatori è nei circuiti di bassa frequenza.
Condensatori elettrolitici questi utilizzano come dielettrico un ossido di metallo che ha delle buone proprietà dielettriche; possono essere del tipo in allumino, ed al tantalio.
In funzione del dielettrico utilizzato a loro volta si distinguono in condensatori elettrolitici in alluminio questi hanno due armature realizzate in lamine di alluminio di cui una è ricoperta da uno strato di ossido Al2O3, ottenuto per elettrolisi collegando il foglio di alluminio da ossidare ad un polo positivo ed al negativo un foglio di rame. L’intensità di corrente che attraversa la soluzione elettrolitica, produce sul foglio di allumino uno strato di ossidazione sottile μm che diverrà il dielettrico del futuro condensatore, di
dimensioni ridotte considerando il sottile strato di dielettrico. L’armatura così realizzata verrà contrassegnata dal segno positivo, rendendo il condensatore elettrolitico un componente polarizzato. Durante la sua installazione si dovranno perciò rispettare le polarità contrassegnate sul componente. Affinché il dielettrico venga rigenerato durante il funzionamento e fra le armature del condensatore, viene inserito un elettrolita. Molta attenzione dovrà essere posta nel rispettare le polarità durante il collegamento nel circuito, poiché in caso contrario si avrà il processo inverso a quello che ha prodotto la formazione di ossido, processo che avviene con un forte passaggio di intensità di corrente che, per effetto Joule, produce un forte surriscaldamento dell’elettrolita il quale si dilata fino a distruggere il condensatore, con l’esplosione di quest’ultimo. Questo condensatori sono realizzati disponendo parallelamente fogli di alluminio ossidati a fogli non ossidati, e alternando con due fogli di carta impregnata di elettrolita (acido borico) arrotolando questi fogli, quindi realizzando un cilindro, e saldando poi i terminali sui fogli di allumino. Il tutto viene racchiuso in un contenitore di alluminio sul quale poi sarà applicata un’ etichetta avvolgente che riporterà le caratteristiche del condensatore e l’indicazione polarità negativa, verso il relativo terminale.
della
Corrente di fuga negli elettrolitici Quando un condensatore viene sottoposto a una tensione continua, fra le sue armature si manifesta un passaggio di una piccola corrente continua di natura ionica che prende il nome di corrente di dispersione o di fuga, la quale aumenta con l’aumentare della temperatura e della tensione di lavoro; viene espressa in μA per μF e viene indicata dal costruttore mediante una costante moltiplicata per la capacità nominale e per la tensione nominale, esempio: 0,03CnVn in mA o μA Nei condensatori elettrolitici per evitare che in seguito ad
un eccessivo sviluppo di gas al suo interno dovuto ad una sovratensione o ad un utilizzo errato esploda viene dotato di una valvola di sicurezza realizzata mediante un punto di rottura posto sul tappo di chiusura del condensatore. Non sono da sottovalutare ai fini della sicurezza durante la manipolazioni i condensatori elettrolitici rimasti carichi facendo molta attenzione che si scarichino dopo un certo periodo di tempo o come in alcuni casi è previsto a mezzo di un opportuno resistore di scarica come nel caso di condensatori di rifasamento nei circuiti di media potenza. I condensatori elettrolitici al tantalio utilizzano il tantalio come conduttore per le armature e come dielettrico il suo ossido Ta2O5 . In genere vengono realizzati con le stesse tecnologie dei condensatori elettrolitici a fogli di allumino, anche se il processo di sinterizzazione consente la realizzazione di condensatori al tantalio di forme diverse. Infatti si possono trovare condensatori a goccia, a cilindro e a parallelepipedo.
La polarizzazione di questi condensatori elettrolitici non li rende fruibili in corrente alternata, anche se per necessità unendo in serie ma in contrapposizione due condensatori polarizzati si ottiene un condensatore non polarizzato:
Di seguito riportati i valori medi di capacità e tensione di lavoro dei vari tipi di condensatori Tipi di condensatori Capacità pF Tensione di lavoro V Mica 5…1 000 200 … 50 000 Ceramici 10…50
000 50 … 2 000 Carta 000 000 Film plastico 000 Elettrolitici …1010
100…1 000 200 … 5 1 000…2 000 50 … 1 000 500 000… 1 1…….5 00
Condensatori Variabili dopo aver visto il condensatore fisso, vediamo il condensatore variabile. Quest’ultimo è realizzato da lamine di alluminio parallele fra di loro e collegate in maniera alternata in una struttura a libro, realizzando così un tanti condensatori in parallelo quante sono le lamine di allumino, che utilizzano come dielettrico l’aria.
I gruppi di armature sono due, di cui uno è fisso e l’altro è mobile attraverso il movimento di un albero al quale sono fissate. Si può così variare la superficie affacciata delle armature, e poiché la capacità è proporzionale a tale superficie, varierà anche il valore della capacità del condensatore. Un particolare tipo di condensatore variabile è il compensatore. E’ un trimmer capacitivo, ovvero un condensatore variabile di piccole dimensioni che viene utilizzato disponendolo in parallelo ad altri condensatori per consentire una regolazione fine delle costanti del circuito in cui è inserito. Come per i resistori variabili, anche per i condensatori variabili si possono avere quelli a variazione “lineare” ed a variazione “logaritmica” di capacità. Le applicazioni di questo tipo di condensatori possono essere i circuiti di
accordo LC, e di compensazione di capacità (compensatori) e taratura di circuiti.
Riconoscimento dei condensatori I codici di identificazione variano a seconda del tipo di condensatore, e dalle dimensioni che offrono più o meno la possibilità di riportare informazioni,anche se in virtù della rilevanza dell’applicazione a cui è destinato il condensatore i parametri che ne caratterizzano il funzionamento sono comunque reperibili nei datasheet forniti dal costruttore. I parametri in genere riportati sono : il valore della capacità la tolleranza la tensione nominale il coefficiente di temperatura In genere il valore della capacità e della tensione nominale sono stampati sul contenitore, mentre il valore della tolleranza è riportato attraverso un codice alfabetico, le sigle maggiormente ricorrenti sono J,K,M che corrispondono alle tolleranze +/-5% , +/-10% , +/- 20%. Codici per la tolleranza nei condensatori
Tolleranza >10 pF: E=+/- 25% , F=+/- 1% , G=+/- 2% , H=+/- 2,5% , J=+/- 5% ,K=+/10% , M=+/- 20% , P= 0 +100% , S= -205+50% , X=-20%+40% , Z=-20% +80% Tolleranza <10pF: B=+/- 1%,
C=+/-0,5,
D=+/-0,25.
Per l’indicazione del valore di capacità nei condensatori di
piccole dimensioni, si ricorre a un codice alfanumerico, dove come punto decimale si utilizza la lettera del sottomultiplo. Ad esempio: Codice —valore
Codice —valore
Codice —valore
− p15 − − − 0,15pF 5n9 − − − 5,9nF 6μ8 − − − 6,8μF − 1p0 − − − 1pF
6n8 − − − 6,8nF 3μ3 − − − 3,3μF
− 1p0 − − − 1pF
6n8 − − − 6,8nF 3μ3 − − − 3,3μF
− 3p3 − − − 3,3pF
15n − − − 15nF
− 150p − − − 150pF
1n0 − 1nF
Qualora nel valore indicativo della capacità non compaia l’indicazione del sottomultiplo, possono presentarsi due casi un numero intero di tre cifre in tal caso il sottomultiplo è il pF, ed il secondo caso in cui compaia un numero decimale in tal caso il sottomultiplo è il μF. Nel caso dell’indicazione con tre cifre , per l’interpretazione del valore capacitivo si dovranno considerare le prime due cifre come significative e la terza cifra come moltiplicatore, qualora invece il valore della capacità è inferiore ai 100 pF il numero è formato da solo due cifre significative senza il moltiplicatore, èil caso dei condensatori ceramici, esempi:
In alcuni condensatori a film plastico si utilizza il codice a colori. Le prime tre strisce indicano il valore della capacità (le prime due il valore significativo e la terza il moltiplicatore, come per i resistori); la quarta indica la tolleranza (nero=+/-20%, bianco=+/-10%, verde=+/-5%); la quinta cifra indica il valore della tensione nominale: marrone = 100V, rosso = 250 V, giallo = 400V, blu = 630V.
esempio. Rosso-nero-giallo-bianco-giallo corrisponde a
Un po’ di teoria sul condensatore Un condensatore elettrico in generale si può pensare come una coppia di conduttori isolati fra di loro fra i quali esiste un campo elettrico. I due conduttori sui quali si distribuiscono le cariche, costituiscono le armature del condensatore; sono separate fra di loro dal vuoto o da un mezzo isolante solido o liquido, il quale costituisce il dielettrico del condensatore. Due lamine piane e metalliche applicate alle facce opposte di una lastra di mica (isolante), costituiscono un condensatore piano con dielettrico solido; allo stesso modo due lastre metalliche, o due conduttori qualsiasi immersi in un liquido (ad esempio olio minerale) costituiscono un condensatore con dielettrico liquido. In pratica ogni corpo conduttore isolato costituisce sempre o può essere assimilato ad un’armatura di un condensatore mentre l’altra armatura è il suolo, e tutti gli altri corpi circostanti poggiati al suolo o connessi a terra. Fra le armature del condensatore si instaura un campo elettrico e sulle stesse iniziano e terminano le linee di forza del campo. Queste linee rappresentano i collegamenti ideali delle singole coppie di cariche elementari di segno opposto che si trovano sulle superfici delle armature contrapposte. La quantità di cariche elementari libere distribuite su ogni armatura costituisce la carica elettrica del condensatore, indicata con Q, e la sua unità di misura espressa in coulomb. (dal nome del fisico francese C.Coulomb1785-1789). La carica elettrica presente sulla superficie dell’armatura positiva, è dunque sempre uguale, in valore assoluto, a quella presente sulla superficie
dell’armatura negativa (induzione completa), e questo valore è la carica Q. Poiché cariche positive e negative si attraggono, tra le due armature si manifesta una forza elettrostatica.
Quando ai terminali di un condensatore viene applicata una ddp V costante, si ottiene sulle relative armature una quantità di elettricità Q che varia da un condensatore ad un altro in virtù della forma, dell’estensione e della posizione reciproca delle armature, nonché della natura del dielettrico interposto fra le armature. In sostanza i condensatori possono presentare una differente capacità. Sperimentalmente si trova che la quantità di elettricità Q e la corrispondente ddp V, crescono e diminuiscono in proporzione. Quindi comunque vari lo stato di carica Q di un condensatore, il rapporto fra la quantità di elettricità Q e la ddp V rimane sempre costante, e costituisce una ben precisa grandezza fisica caratteristica per ogni condensatore, la quale prende il nome di capacità del condensatore che si indica con la lettera C
a capacità di un condensatore esprime la carica elettrica che si ottiene contrappone sulle armature, quando fra queste ultime è presente una ddp di 1 V. La quantità di elettricità Q quando tra le armature esiste una ddp V si trova ovviamente con Q=CV e, altrettanto ovviamente, la ddp V fra le armature del condensatore, note capacità C e carica Q si trova con
.
La capacità C è dunque
cioè coulomb su volt definisce l’unità di misura della capacità del condensatore, unità indicata con F e chiamata farad dal nome del fisico Inglese Faraday.
Nella pratica i condensatori hanno capacità inferiori molto al farad, che rappresenta una capacità molto grande, per cui si utilizzano i sottomultipli: il milionesimo di farad o microfarad indicato con μF:
La geometria costruttiva del condensatore e la capacità La capacità di un condensatore varia a seconda della sua geometria costruttiva e del dielettrico interposto fra le armature. Condensatore Piano (geometria
comunemente
utilizzata)
essa
è
direttamente
proporzionale alla costante dielettrica del dielettrico ed inversamente proporzionale alla loro distanza d, nonché all’area S delle armature affacciate. Quindi
Condensatore cilindrico le due armature sono costituite da due cilindri conduttori, uno interno all’altro. Esempio tipico ne è il cavo coassiale. Può essere considerata la struttura del primo condensatore della storia, noto come la bottiglia di Leyda, da nome attribuito dal fisico francese G.Nollet, il quale diffuse tale dispositivo in seguito alla notizia di un esperimento fatto dal fisico Mussechenbrock di Leyda. Questi infilò un grosso chiodo entro una bottiglia contenente acqua, e lo caricò collegandolo ad una macchina elettrostatica. Tolto il
collegamento con la macchina, toccò il chiodo e ne ricevette una forte scossa. La bottiglia di Leyda è realizzata da un vaso cilindrico di vetro che presenta le superfici esterne ed interne ricoperte di stagnola. I due rivestimenti fanno capo ai rispettivi elettrodi per il collegamento, ed il vetro del vaso funge da dielettrico. La capacità del condensatore cilindrico, indicando con R1 ed R2 i raggi dei due cilindri-armatura e, al solito con costante del dielettrico che li separa, è espressa da
la
Parametri caratteristici dei condensatori sono: Capacità nominale viene stampata sul contenitore stesso in chiaro o attraverso un codice. In commercio sono disponibili valori di capacità che vanno dai μF ai pF, ricordando che: pF = picofarad nF = nanofarad μF = microfarad
Tolleranza è espressa in % ed indica di quanto si discosta il vero valore della capacità da quello nominale. Può essere simmetrica ad esempio .
o asimmetrica esempio
In genere si hanno tolleranze del
,
,
. Nel caso di
condensatori di precisione si arriva anche allo Coefficiente di temperatura rappresenta la variazione in percentuale della capacità rispetto al valore nominale a 25 °C, per ogni grado di variazione di temperatura. Questo valore viene indicato dal costruttore con la sigla TC (temperature coefficient). Volendo considerare le variazioni di capacità dovute alla temperatura, si può ricorrere dall’espressione.
il coefficiente di temperatura può essere positivo (indicato con P) o negativo (indicato con N); ad esempio N150 = -150 ppm/°C ,P100 = +100 ppm/°C. Pertanto questo coefficiente indica di quanto aumenta o diminuisce il valore dellacapacità all’aumentare di un grado della temperatura del condensatore rispetto a 25°C. L’indicazione NP0 indica nessuna variazione della capacità con la temperatura, importante nei casi in cui questa caratteristica sia necessaria Tensione nominale di lavoro è il valore massimo della ddp in volt che si può applicare alle armature del condensatore senza che avvenga la perforazione del dielettrico. Il valore è funzione dello spessore e della rigidità del materiale interposto fra le armature. Vien da se che una riduzione dello spessore per aumentare la capacità, fa si che vi sia una diminuzione della tensione nominale. La rigidità dielettrica è definita come l’intensità del campo elettrico che provoca la perforazionedel dielettrico. Nel caso di un condensatore piano, considerando Emax come valore della rigidità dielettrica, la tensione di rottura è espressa da Vr = Emaxd Resistenza di isolamento
è la resistenza presente fra le due armature introdotta dal dielettrico. Nasce dal fatto che il dielettrico non è un isolante perfetto con una resistività infinita, ma solo molto alta. Il suo valore, analogamente a quella dei conduttori viene espressa dalla relazione del tipo
dove Rp è la resistenza di isolamento, ρ è la resistività del dielettrico, d lo spessore del dielettrico, ed S la superficie del dielettrico. La resistenza di isolamento risulta essere inferiore nei condensatori di elevata capacità, poiché per la loro realizzazione occorrono piccoli spessori e superfici grandi. Il valore della resistenza di isolamento va da qualche MΩ a qualche migliaio di MΩ Collegamento dei condensatori Collegamento in parallelo, due o più condensatori in parallelo danno luogo ad una capacità complessiva: CT = C1 + C2 + C3 + …..CN
CT = C1 + C2 Condensatori in serie due o più condensatori in serie danno luogo ad una capacità complessiva:
In ultimo non bisogna dimenticare la presenza oramai da tempo dei componenti in tecnologia SMD che offre componenti miniaturizzati, per i quali a volte l’identificazione resta al quanto
difficile come nel caso di alcuni condesatori per i quali l’unico metodo di identificazione resta quello dei dati forniti dallo schema elettrico dell’apparecchiatura che li ospita … ovviamente salvo caso in cui sipossano trovare i riferimenti chiari di capacità e polarizzazione direttamente serigrafati sul condensatore stesso. Nelle applicazioni elettroniche i condensatori sono presenti in molti circuiti svolgendo diverse funzioni. Nei circuiti di temporizzazione, viene sfruttata la loro caratteristica di carica e scarica in combinazione con le relative resistenze, per la realizzazione di timer che sfruttano la costante di tempo Τ del circuito RC. Possono essere usati per bloccare la corrente continua, nei circuiti amplificatori o in alcune applicazioni in RF, ed ancora per la realizzazione di oscillatori, nei circuiti crossover, ovvero filtri di frequenze audio. Negli alimentatori svolgono la funzione di livellamento della tensione. Possono anche essere usati come batterie tampone per la memoria di alcuni circuiti elettronici. In elettrotecnica trovano applicazione come compensazione di una reattanza induttiva, ovvero nel il cosiddetto rilassamento. Trovano applicazione anche nei circuiti di avviamento dei motori, e come soppressori di disturbi nei circuiti filtri di rete. Questa raccolta di informazioni (pratiche) sul condensatore, non ha la pretesa di essere esaustiva dell’argomento. Anzi alcuni argomenti trattati andrebbero senz’altro approfonditi, ed alcuni sicuramente sono mancanti. Pertanto eventuali suggerimenti per miglioramenti saranno ben accolti. Riferimenti : Appunti di elettrotecnica, Manuale di Elettronica e Telecomunicazioni 4 ed Hoepli, Wikipedia.
Come realizzare una sonda di temperatura semplice, affidabile, veloce ed economica… L’idea di questa esposizione è quella di presentare un componente attivo che in maniera semplice ed economica consente di realizzare una sonda per la misura di temperatura in gradi centigradi, ottenendo una misura affidabile. In genere nei vari schemi che si possono trovare per realizzare circuiti di misura della temperatura o dispositivi tali, si utilizzano come trasduttori di temperatura gli NTC, o termocoppie di vario genere con relativi circuiti di adattamento-misura, con il componente che andremo a vedere si riesce a semplificare la realizzazione oltre ad avere affidabilità ad un bassissimo costo … stiamo parlando del LM35.
Una vera e propria sonda di temperatura completa che può lavorare da -2°C a + 150°C , e questo fornendo sul proprio terminale di uscita una tensione in mV proporzionale alla temperatura a cui è sottoposto.
L’ampiezza di uscita è del valore di 10 mV per ogni °C rilevato, ad esempio la misura della temperatura di 21°C fornisce in uscita dell’LM35 una tensione con ampiezza pari a 210 mV, vien da se che se applichiamo (senza altri componenti) all’uscita dell ‘ LM35 un ingresso di un multimetro digitale settato in mV, si leggerà un valore di tensione che diviso per 10 ci offre direttamente il valore di temperatura in °C.
Ovviamente il componente essendo di tipo attivo per funzionare avrà bisogno di una tensione di alimentazione, ed anche in questo caso si comporta egregiamente offrendo la possibilità di alimentarlo in tensione continua con un range 4 / 20 V, pertanto si presta bene ad una alimentazione da comuni batterie considerando anche il suo piccolo assorbimento. La misura così ottenuta risulta affidabile, in quanto il dispositivo LM35 risulta tarato in fase di fabbricazione, ed al suo interno sono presenti circuiti di compensazione che fanno si che l’uscita sia lineare e direttamente proporzionale alla temperatura. L’aspetto interessante di questo componente è la sua semplicità di utilizzo ed il bassissimo costo, solo poco più di un euro … pertanto utilissimo nel caso in cui si voglia realizzare una sonda di temperatura in cui si richieda una risposta rapida e proporzionale alle variazioni di temperatura ed a costi , prestandosi bene anche ad eventuali realizzazioni strumentali…
come
nel
caso
di
utilizzi
con
sistemi
a
processore del tipo Arduino … Ovviamente nel datasheet dell’LM35 reperibile nel web, si trovano oltre le info necessarie al suo utilizzo anche eventuali schemi applicativi, quindi perché non dare un’occhiata
La realizzazione, e prova … Per la realizzazione, come si è già letto non presta grosse difficoltà, il materiale necessario è appunto un LM35, un multimetro digitale, ed una batteria di alimentazione, oltre dei morsetti di coccodrillo per realizzare i collegamenti di prova, a meno di non voler utilizzare una bread board. Nel mio caso mi sono aiutato con dei collegamenti volanti con dei morsetti di coccodrillo, e per l’LM35 ho utilizzato uno zoccolo realizzato con un connettorino per pin su PCB, in modo da poter riutilizzare l’LM35 ed evitando di saldare sui sui reofori con il rischio di danneggiarlo …
A questo punto, seguendo le indicazioni del datasheet, quindi dei relativi reofori del semiconduttore ho collegato al +Vs il positivo di alimentazione, prelevando tensione da un pacco batterie di tipo AA 1,5 V x 3, quindi alimentandolo con 9 V, ed al reoforo GND il negativo di alimentazione ed il GND del multimetro, settato in scala mV; mentre sul reoforo di uscita Vout ho collegato il positivo del multimetro. Non appena si fornisce tensione alla sonda, si vede raggiungere il valore della temperatura ambiente (espressa in mV), che si ottiene dividendo per 10 il valore in mV letto sul display del multimetro.
Certamente la lettura eseguita sarà comunque, affetta da errori di natura strumentale, di approssimazione ed errore caratteristico del dispositivo, pertanto nella verifica nulla vieta di raffrontare la misura con uno strumento disponibile di riferimento, in questo caso un semplice “termometro” utilizzando come campione di riferimento la propria temperatura corporea. Così facendo si possono raffrontare le due misure , impegnando sia l’LM35 che la sonda del termometro, ottenendo un raffronto della misura eseguita …
…e si ha modo di apprezzare la precisione dell’ LM35 un semplice, preciso ed economico trasduttore di temperatura … L’idea è quella di presentare per chi non lo conoscesse già, questo componente che consente di realizzare interessanti applicazioni, ed utilizzi anche in altre attività di laboratorio e non, ovviamente l’esposizione sintetica non ha esposto altre possibili applicazioni sicuramente migliorabili con l’ausilio di piattaforme come Arduino o il Rasphberry … questo però lo lascio ai volenterosi o ai Prof. Buon Lavoro.
Riferimenti: datasheet LM35 http://www.ti.com/lit/ds/symlink/lm35.pdf
=
Deviata ed invertita ... in pratica. Dopo l’esposizione teorica degli schemi principali utilizzati negli impianti elettrici civili per comandare un punto luce da uno o più punti: interrotta, dieviata ed invertita ; di seguito provo ad esporre la realizzazione a banco della deviata e dell’invertita, seguendo gli schemi già visti nella precedente esposizione. Dall’interrotta, ovvero il comando di un punto luce da un solo punto utilizzando un interruttore unipolare in serie al conduttore di fase che alimenta la lampada, si è passati alla deviata che utilizzando due deviatori opportunamente collegati consente il comando del punto luce da due punti diversi. Ora procurandoci l’occorrente, ovvero i due deviatori, i relativi supporti le due scatole da incasso (503) del corrugato e del conduttore unipolare per i collegamenti si realizza il circuito avendo presente lo schema della deviata già visto, per ovvi motivi la realizzazione avverrà a banco.
I materiali… Ogni componente utilizzato è contraddistinto da una propria sigla o codice che lo identifica sul relativo catalogo del fornitore, dal quale si potrà risalire a eventuali fogli tecnici, oltre la sigla sul componente vengono anche riportate le caratteristiche elettriche, dove necessario la portata in Ampere e tensione di isolamento in Volt ed eventuali marchi (IMQ), e nel caso di dispositivi di comando risultano avere
dei morsetti di collegamento con le relative sigle di identificazione in numeri e lettere ed eventualmente uno schema di funzionamento. Ovviamente nella scelta dei materiali e la posa in opera, si dovranno tradurre in pratica quanto previsto e suggerito dalla normativa per la realizzazione secondo la regola dell’arte, ovvero la Norma CEI 64/8 madre di tutte le norme, giunta ora alla sua VII ediz. Pertanto i componenti dovranno avere i marchi di certificazione previsti, e le caratteristiche elettriche e meccaniche idonee al tipo di posa e di utilizzo del tipo di impianto che andranno ad utilizzare, quindi come già detto tensione di isolamento in volt adeguata alla tensione nominale di alimentazione, assorbimento in ampere adeguato al tipo di carico che si andrà ad alimentare, e caratteristiche meccaniche in funzione del tipo di ambiente e posa che si vorrà realizzare (posa in esterno piuttosto che in un ambiente interno, quindi grado di protezione IP adeguato…) La scatola da incasso , nota con il nome 503, di forma rettangolare, e maggiormente utilizzata ha dimensioni tali per ospitare un supporto con tre frutti, e risulta essere predisposta per i fori comodamente apribili relativi agli eventuali corrugati o tubi che dovranno interessarla, e le previste graffette sulle quali avvitare i supporti. Sono disponibili scatole per 4 (504), 5 (505), 6 (506) e 7 (507) posti quindi relativi supporti e placche. Per la sua installazione, secondo il tipo di frutto che dovrà ospitare (presa, punto di comando etc) e posizione la norma (CEI 64/8) suggerisce ed obbliga in alcuni casi a rispettare delle quote .
E’ da tener presente seppur utilizzate molto in passato, ed oggi meno, l’esistenza di scatole da incasso tonde, che possono ospitare o dei frutti direttamente previsti per il serraggio in scatola tonda, o dei supporti limitati ad una coppia di frutti.
Il supporto , in policarbonato è quel componente sul quale andranno installati di frutti (in questo caso il deviatore) nelle apposite sedi a scatto, che poi si andrà a fissare sulla scatola incassata utilizzando le previste viti di fissaggio.
Ovviamente sia che si tratti di scatola/supporto tondo o rettangolare, sono disponibili in diverse forme e colori e materiale, le placche per rivestire i frutti installati, variano secondo il costruttore ed il relativo catologo…
Il deviatore , è il dispositivo in grado di commutare due conduttori fra di loro sotto carico, spostando la corrente dal morsetto centrale (linea) su uno dei due morsetti. Presenta tre morsetti per il collegamento, in questo caso siglati con L1 (linea) il morsetto centrale dove andrà collegata la fase, ed 1 e 3 gli altri due morsetti dove andranno collegate le uscite, come indicato anche nello schema serigrafato sul corpo del deviatore, oltre il suo codice identificativo, il marchio IMQ ed il marchio CE e le sue caratteristiche di portata di 16 A e di 230V della tensione di isolamento. Nel collegamento del deviatore è fondamentale individuare il morsetto centrale, in quanto determina lo scambio del conduttore di fase (vedere schema), questo è possibile riferendosi allo schema del deviatore o alla siglatura dei morsetti (per il centrale C o L) o a volte la posizione disassata sta ad indicare la posizione del morsetto centrale. Non ultimo da ricordare che il deviatore essendo un estensione dell’interruttore, può anche sostituire un interruttore, utilizzando il morsetto centrale (L1) ed uno dei due morsetti di uscita, seppur questa soluzione non sia economicamente conveniente.
Seppur meritano una trattazione più ampia, in breve vediamo i tubi ed i conduttori utilizzati nella posa e realizzazione di questi impianti.
I tubi e canaline utilizzati negli impianti elettrici civili possono essere di tipo aperto o chiuso e possono avere diversi profili, ed il loro scopo è quello di offrire una adeguata protezione meccanica ai conduttori dell’impianto elettrico. Quelle che si utilizzano in posa per gli impianti civili sono del tipo a sezione circolare, e di diverse sezioni e realizzati in materiale termoplastico isolante. Possono essere rigidi (piegati solo attraverso apposito attrezzo), pieghevoli (possono essere piegati a mano) e flessibili (normalmente soggetto a piegamenti) e di tipo leggero (L) e pesante (P) e di tipo liscio o spiralato. Come per ogni dispositivo anche per i tubi vi è un codice di identificazione normato composto da diverse cifre, dodici od almeno quattro cifre, che indicano le caratteristiche: meccaniche, temperatura di trasporto, utilizzo ed installazione, caratteristiche elettriche , grado di protezione IP, resistenza alla propagazione della fiamma. In genere queste caratteristiche sono meglio specificate nel catalogo del fabbricante . I tubi flessibili (corrugato) utilizzati per posa sottotraccia di impianti elettrici, offrono una determinata resistenza meccanica allo schiacciamento, e si possono utilizzare anche di diversi colori per poter identificare immediatamente le linee interessate al servizio specifico: Nero – forza motrice , Verde – linee telefoniche, Bianco – cavi coassiali per PC, Azzurro – citofonia e videocitofonia, Blu– energia solare, Marrone – luce di emergenza ed allarme, Lillà – filodiffusione e hi fi.
Sui tubi ci torneremo con un’altra esposizione, ma è bene ricordare ora che, come anche la norma suggerisce debbano avere caratteristiche meccaniche di resistenza allo
schiacciamento, di resistere al calore ed al fuoco e di avere le superfici interne atte a non danneggiar ei conduttori, oltre a garantire una sfilabilità dei conduttori, ed “è vietato realizzare giunture di conduttori o morsetti all’interno dei tubi”.
I conduttori , lo sappiamo sono l’elemento che assicurano la conduttività elettrica fra i dispositivi che realizzano l’impianto elettrico, e come gli altri dispositivi hanno anche loro le proprie caratteristiche elettriche. Ora senza scendere nel dettaglio (magari in un’altra esposizione) occorre considerare per la scelta del conduttore fondamentalmente che abbia la giusta tensione di isolamento in volt in riferimento a quella nominale dell’impianto elettrico, e la giusta sezione in mm2 per supportare la portata in ampere richiesta dal carico, in questo caso la/le lampada/de del punto luce. Pertanto la tensione di isolamento la si evince dalle caratteristiche del conduttore, come pure la sezione, che per i punti luce si attesta su quella di 1,5 mm2 , fermo restando che per tratti di conduttore diverse dai punti luce con carichi diversi occorre procedere ad un corretto dimensionamento della sezione con tutte le considerazioni che la norma prevede.
Altra caratteristica da non sottovalutare è quella del colore del conduttore, in merito alla quale occorre aver presente che la norma obbliga il rispetto del colore azzurro per il conduttore di neutro, e del colore giallo-verde per il conduttore di protezione; mentre indica il marrone-nero-grigio per i conduttori di fase e gli altri colori per utilizzo libero, come il bianco, il rosso. Ovviamente un utilizzo corretto dei colori facilità l’individuazione dei conduttori in fase di cablaggio di verifica e di manutenzione degli impianti, sul codice dei colori la norma CEI 16-4 ne è il riferimento come anche la parte 5 della CEI 64-8 con richiami alla CEI EN 60446 e alla tabella UNEL 00722 “identificazione
delle anime dei cavi”. Nel nostro caso si è utilizzato il colore azzurro per conduttore di neutro, il colore marrone per il conduttore fase, ed i colori nero per le uscite dei deviatori ed grigio come fase alla lampada, ed il giallo-verde per conduttore di protezione.
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Installazione Ora dopo la breve illustrazione dei componenti, schema alla mano realizziamo il circuito di deviata. Schema:
Posizioniamo le due 503 per i due punti di comando ed il portalampada come punto luce, ed infiliamo i conduttori necessari al cablaggio …
Dopo aver preparato i supporti ed i relativi deviatori, si esegue il cablaggio secondo lo schema, pertanto nel primo deviatore DEV1 nel centrale L1 si collegherà il conduttore marrone di fase, e alle sue uscite 1-3 con i conduttori neri si andrà alle uscite 1-3 dell’altro deviatore DEV2 e da questi con il centrale L1 si collegherà il conduttore grigio che diventerà la fase del punto luce ovvero della lampada. Il conduttore azzurro di neutro, ed il conduttore giallo verde di protezione andranno direttamente al punto luce.
Qualora si presenti la necessità di eseguire delle giunzioni interne alla scatola, si consiglia di utilizzare dei morsetti isolati in luogo del classico nastro isolante , i primi garantiscono un miglior serraggio-isolamento nel tempo oltre ad una miglior verifica se necessaria nel tempo.
A questo punto eseguito il cablaggio, ed una verifica dei collegamenti confrontandosi con lo schema elettrico, si possono fissare i supporti sulle scatole…e prima di dare tensione al circuito occorre ricordare che : in questo circuito è presente la tensione di rete di 230 V 50 Hz, pertanto occorre porre molta attenzione sulla sicurezza, quindi dispositivi di protezione differenziale a monte dell’alimentazione ed eseguire ogni tipo di lavoro “in assenza di tensione” il rischio elettrico è pericoloso e non perdona !!! Non eseguire questi lavori se non si hanno tutte le conoscenze sulla sicurezza per il rischio elettrico !!!
Quindi chiuso il tutto e prese le dovute misure di sicurezza si passa alla verifica a caldo, ovvero si provano i due punti di comando, potendo cosi verificare che dal deviatore 1 e 2 è possibile accendere-spengere il punto luce.
A questo punto volendo aggiungere un terzo punto di comando per il punto luce si dovrà aggiungere un ulteriore dispositivo di comando, ovvero l’invertitore . Pertanto come prima cosa “si toglie tensione al circuito elettrico” , e poi si dovrà aggiungere una ulteriore 503, e
predisporre i conduttori per il cablaggio e la realizzazione, avendo presente il nuovo schema di invertita … La nuova disposizione vede inserita una nuova scatola incasso, con un nuovo supporto sul quale andrà fissato nostro invertitore, quindi si predispone la scatola incasso, e si infilano i nuovi conduttori necessari collegamento come da schema individuando gli ingressi (L1 L2) e le uscite (1 -2 ) del nuovo invertitore …
ad il da al ed
L’invertitore che già conosciamo, ha quattro terminali di
collegamento ( L1-L2 ed 1-2) rispettivamente entrata del DEV1 ed uscita al DEV2 …
come del resto serigrafato sullo stesso invertitore. A questo punto non resta che eseguire il cablaggio, come sempre seguendo lo schema funzionale, quindi avremo i due conduttori neri 1-3 da DEV1 che andranno in L1-L2 dell’invertitore INV , e le sue uscite 1-2 saranno i due nuovi conduttori grigi che andranno in 1-3 di DEV2, dal quale il nuovo conduttore di uscita che porterà la fase al punto luce sarà il nero da L1 di DEV2 …
si vede meglio nel particolare….
Si ottiene così la possibilità di comandare il punto luce da un eventuale terzo punto, con il semplice ausilio di un invertitore…. ricordando che in questo circuito è presente la tensione di rete di 230 V 50 Hz, e che “ il rischio elettrico è pericoloso e non perdona !!!” occorre porre molta attenzione sulla sicurezza, quindi accertarsi della presenza del dispositivo di protezione differenziale a monte dell’alimentazione ed eseguire ogni tipo di lavoro “solo in assenza di tensione” . Non eseguire questi lavori se non si si è sicuri e non si hanno tutte le conoscenze sulla sicurezza per il rischio elettrico !!!
Questo tipo di comando di un punto luce, viene utilizzato in ambienti interni dove ci è la necessità di accendere-spengere un punto luce da diverse zone o passaggi, il numero di punti di comando può senz’altro variare utilizzando deviatori ed invertitori, come ? … provare può essere un buon esercizio …
Nella pratica quando i punti di comando di un punto luce sono diversi e distanti si preferisce utilizzare un comando a relè, che consente di sfruttare “n pulsanti in parallello” e quindi portare nei vari punti solamente due conduttori ed un cablaggio più semplice, ed utilizzando relè adatti si può scegliere sul punto luce anche quanti e quali elementi far accendere passando per un numero di pressioni del pulsante…. magari se interessa si potranno vedere anche queste soluzioni …
Disclaimer : quanto rappresentato in questa esposizione, testo, immagini e disegni sono frutto di una elaborazione propria e rappresentata a scopo si studio e didattico, pertanto ogni possibile danno a cose o persone per un utilizzo improprio delle informazioni dell’esposizione non è responsabilità dell’autore che declina ogni responsabilità.
Uno “stand piccolo…
alone”…
in
..qualche info… Un impianto fotovoltaico, altro non è che un impianto elettrico in cui specifici dispositivi elettronici opportunamente assemblati e cablati consentono di sfruttare l’energia prodotta dall’irraggiamento solare per produrre energia elettrica, sfruttando l’effetto fotovoltaico. Gli specifici componenti sono: i ben noti pannelli fotovoltaici costituiti da un insieme di “celle fotovoltaiche” che per mezzo dell’effetto fotovoltaico, producono energia elettrica, poi abbiamo,poi in funzione del
tipo di impianto (stand alone o grid connect) si possono incontrare: il regolatore di carica che gestisce appunto la carica a riposo dell’altro componente appunto le batterie necessarie per mantenere energia in assenza di illuminamento, ed il convertitore DC/AC o Inverter che converte la corrente continua (direct current) prodotta dal sistema fotovoltaico in corrente alternata (alternative current) per utilizzo dei comuni dispositivi elettronici. Dopo i pannelli fotovoltaici (quadro di campo) e dopo il regolatore di carica (quadro utente) ci sono due quadri elettrici di gestione dell’impianto fotovoltaico, interruttori automatici di potenza, e dispositivi di interfaccia. Si
è
detto
che
i
dispositivi
presenti
in
un
sistema
fotovoltaico possono variare in funzione della sua tipologia,infatti gli impianti fotovoltaici possono essere di due tipi : grid connect o stand alone. Nel
sistema
grid
connect
l’impianto
fotovoltaico
può
alimentare un impianto utilizzatore e al contempo riversare nella rete elettrica la quantità di energia che ha in eccesso.
In questo tipo di impianto si avranno altri dispositivi, quali i “misuratori di energia elettrica”, cioè dei contatori che eseguono la telettura dell’energia prodotta dall’impianto fotovoltaico (d’ora in avanti PV ) e di quella scambiata con la rete di energia elettrica, il tutto secondo un contratto utente stipulato con il Gestore Servizi Elettrici GSE il quale gestisce la distribuzione commerciale dell’energia elettrica , da non confondere con il distributore (ENEL) che si occupa di quella fisica. Oltre ai dispositivi di misura, sono presenti altri dispositivi di sezionamento, quali l’interruttore generale automatico magnetotermico (DG), che separa l’impianto utilizzatore dalla rete; il dispositivo di interfaccia ovvero un ulteriore interruttore che separa l’impianto PV dal resto
dell’utilizzatore, controllato da un sistema di protezione di interfaccia (SPI) che in caso i valori di tensione (>20%) e frequenza (tolleranza 0,6%-0,2%) siano fuori dai valori consentiti, interviene in tempi rapidi (0,1 s) il dispositivo SPI aprendo il DI. Un ulteriore dispositivo è l’ interruttore automatico che separa l’intero campo o parte dal resto dell’impianto (DDG). Fermo restando il fatto che gli impianti di tipo “grid connetct” richiedano una trattazione più ampia per molti aspetti, quanto brevemente riportato vuole solo rendere l’idea di questi impianti, che consentono all’utente di utilizzare l’energia prodotta dai pannelli PV, e di cedere sulla rete elettrica quella in eccesso, o contrariamente all’occorrenza prelevarne in caso di necessità. …ed ora stand alone … Differente invece è l’impianto PV di tipo “stand alone” o in isola, quello che interessa questa presentazione, e che consente di utilizzare in autonomia la quantità di energia elettrica che il sistema PV produce, risulta essere di realizzazione più semplice e non necessita di dispositivi di interfaccia con la rete elettrica, pertanto lo schema risulterà altresì semplificato.
L’impianto PV stand alone, è il tipo considerato nella realizzazione di questa breve presentazione, dove si vuole mostrare la realizzazione di un “piccolo impianto stand alone” realizzato con i dispostivi che andiamo ad illustrare : utilizza un pannello PV della potenza di 5,5 Wpp
Una verifica, seppur spannometrica dei parametri fondamentali del pannello PV, va fatta, del resto è facilmente eseguibile in condizioni di illuminamento max, (ore 12 00 bellissima
giornata di sole con pannello in verticale che non è il max…) aiutandosi con un multimetro digitale, portandolo in portata Vdc si può misurare la tensione a vuoto Voc portanto il pannello in condizioni di max illuminamento:
e misurando la corrente di corto circutio Isc con il multimetro in portata Adc con fondo scala 10 A si potrà misurare
per poi confrontarle con i dati di targa del pannello, è un modo per verificare l’attendibilità dei dati di targa. questo piccolo impianto stand alone, viene dall’idea di avere disponibile una luce di cortesia notturna in un preciso punto ed energeticamente autonoma,utilizzando allo scopo come punto luce un power led con caratteristiche di alimentazione 12 V 0,5 A,
pertanto non necessita di dispositivo inverter. La polarizzazione del diodo led è ottenuta per mezzo di un resistore dimensionato in funzione della tensione diretta Vf del diodo (3V) e dell’intensità di corrente If (50 mA) scelta, pertanto considerando 12 V la tensione Va di alimentazione il resistore Rled si dimensiona con l’espressione nota come la legge di Ohm per i circuiti elettrici :
e la sua potenza in watt sarà
quindi un resistore da 1/2 W 180 ohm risponde alle nostre
necessità … Sarà
presente
un
ulteriore
dispositivo
che
gestirà
l’accensione-spegnimento della lampada al crepuscolo: un interruttore crepuscolare, autocostruito (…lo so, esistono già belli
che
pronti,
autocostruirtelo…
ma )
vuoi
mettere
utilizzando
il
piacere
famigerato
di
circuito
integrato NE555 ed una fotoresistenza come sensore
che comanderà in accensione la lampada quando sarà buio, alimentandola dall’energia presa da una batteria,
che durante il giorno sarà caricata dal pannello PV, fase questa controllata da un ultimo dispositivo il “regolatore di carica”, che come suggerisce il nome stesso ha il compito di caricare la batteria senza sovraccaricarla, e fare in modo che la sua scarica non sia eccessiva, quindi protegge la batteria, ed al contempo protegge il pannello PV da possibili correnti di ritorno. Su questo dispositivo ci torneremo con una successiva trattazione, per ora ci è sufficiente sapere che la sua utilizzazione è prevista per impianti di poco costo e con piccole batterie
quindi il nostro schema diventerà :
o meglio….
Il funzionamento dell’impianto è molto semplice, quando il pannello è illuminato, di giorno, genera un determinato valore di tensione continua, che servirà a caricare la batteria, e
per evitare che questa si sovraccarichi si inserisce fra i due il regolatore di carica che protegge al contempo il pannello PV, evitando che dalla batteria possa tornare tensione verso il pannello fotovoltaico, perché al buio questo non essendo illuminato si comporta come una resistenza e verrebbe danneggiato se alimentato dalle batterie e quest’ultime verrebbero scaricate, il regolatore di carica in tal senso svolge una funzione di “diodo di blocco”, durante la notte, quindi con il buio interviene il sensore del crepuscolare che attiva l’uscita della tensione di alimentazione dal regolatore di carica, e quindi dalla batteria verso il power led che si accenderà, fino al successivo intervento del crepuscolare , ovvero all’alba che rilevando la luce aprirà il circuito di alimentazione verso il power led spengendolo, così da consentire al pannello PV di ricaricare la batteria attraverso il regolatore di carica. ..da non trascurare… Non è questo il caso essendo un piccolissimo impianto dimostrativo, ma occorre precisare che negli impianti stand alone è necessario inserire tra il/i pannello/i PV un interruttore bipolare per poter aprire l’alimentazione verso l’impianto in caso di necessità o guasto, è altresì importante inserire sul positivo delle batterie una protezione di sovraccarico o cortocircuito quale ad esempio i fusibili, e nel caso si abbia la necessità di collegare più stringhe di pannelli in parallelo è consigliabile inserire un diodo di blocco in ogni stringa, ed infine una protezione attraverso SPD andrebbe considerata verso il regolatore di carica. Ci rientriamo con i consumi e la ricarica ?… Si sarebbe dovuto far prima della realizzazione, uno studio di fattibilità o prestazione del piccolo impianto per vedere l’energia necessaria del pannello PV e della batteria, per soddisfare l’alimentazione necessaria al led per il tempo richiesto ; ma avendo fatto delle considerazioni a spanne prima (errato…non fatelo …
), al contrario lo faccio ora
come verifica. La produzione di energia del pannello fotovoltaico dipende da diversi elementi, semplificando consideriamo solamente il grado di irraggiamento medio ovvero la quantità di luce che arriva sul pannello PV medio nel mese è una dato reperibile da tabelle come quella presente nel sito http://clisun.casaccia.enea.it nel quale preleviamo il dato che ci interessa, ovvero di 5522 MJ/m2 che dividendolo per 3,6 otterremo 1533,8 kWh/m2 ,questo dato sta ad indicare che con un pannello di superficie utile di 1m2 potrà produrre in un anno fino a 1533,8 kWh/m2 per il suo rendimento, questo in teoria. Ora il pannello che ho utilizzato ha una superficie utile 2
(celle PV) pari a 0,04 m ed un rendimento pari a 8,7%, pertanto la sua produzione teorica sarà anno O meglio di 14,52 Wh al giorno, che se dividiamo per i watt del pannello (5,5W) otteniamo 2,6 h al giorno di insolazione massima sul nostro pannello. Da non trascurare che questi parametri considerano il pannello PV su piano orizzontale e con inclinazione corretta verso il sole. La batteria che ho utilizzato fornisce una tensione di 12V ed ha una capacità di 2,3 Ah, in una giornata di insolazione massima per 2,6 h accumulerà 0,832 A o 14,4 Wh. In questi calcoli non si è tenuto conto della caduta di tensione che offre il regolatore di carica ed eventuali perdite di energia da parte della batteria per possibili problemi di temperatura considerando che la sua energia è generata per mezzo di un processo elettrolitico a cui la temperatura non concorre al processo di carica. Il diodo led che si è utilizzato come luce di cortesia, si è scelto di pilotarlo con una intensità di corrente di 0,05 A
alla tensione di 12 V che per 14 h di utilizzo equivale ad una potenza assorbita di 8,4 W, fermo restando che si tratta di un power led che in regola dovrebbe essere polarizzato con una intensità di corrente pari a 0,350 A perché renda il massimo, ma in questo caso la sua intensità luminosa è sufficiente allo scopo: luce di cortesia. Quindi considerando i risultati, e ammesso di non aver fatto errori nei calcoli e nelle valutazioni, il sistema dovrebbe illuminare nelle ore notturne e ricaricarsi nelle ore diurne. Ovviamente questa esposizione è a puro titolo hobbystico e didattico pertanto per le specifiche valutazioni ed approfondimenti rimando la trattazione al Prof. di Laboratorio o al singolo interessato, e comunque resto a disposizione per eventuali
correzioni,
suggerimenti
e/o
miglioramenti
dell’esposizione e della realizzazione. Nell’esposizione si è fatto riferimento ad alcuni contenuti di Wikipedia e di altri link citati nell’esposizione.In una prossima esposizione cercherò di illustrare meglio i componenti del sistema PV stand alone.
News ... Higgs
after
bosone
di
Rubbia,dopo il bosone di Higgs “Se fossi un giovane e mi spiegassero che dell’universo conosciamo solo un misero 5% mi getterei subito nell’impresa di capire il 95 rimanente”
fonte news : http://www.repubblica.it/scienze/2015/03/12/news/rubbia_il_bos one_di_higgs_e_solo_il_primo_passo_ora_affronteremo_l_universo _oscuro_-109338540/ fonte immagine:http://it.wikipedia.org/wiki/Meccanismo_di_Higgs
2 – Potenziometri e reostati,trimmer… comunque resistori variabili …
Il resistore variabile, è un resistore in cui è possibile variare il suo valore di resistenza. Esso è costituito da tre reofori, due (A,B) dei quali fanno capo alla resistenza ed il terzo (C ) noto con il nome di “cursore” è quello attraverso il quale si varia il valore di resistenza. Agendo attraverso il cursore sull’elemento resistivo si andrà a variare una delle tre grandezze fisiche che determinano il valore in ohm della resistenza, in questo caso si tratta della lunghezza “l” dell’elemento resistivo. Ricordando la legge di Ohm per i conduttori elettrici, dall’espressione:
Si può comprendere come avendo costante il valore di resistività del materiale “ ϱ “ ed il valore della sezione “S” variando la lunghezza dell’elemento resistivo si ottiene
appunto una variazione di resistenza “R”, questo concetto può restare più chiaro se si pensa ad un resistore variabile a filo, in cui l’elemento resistivo è realizzato da un conduttore di lega resistiva (es costantana) isolato ed avvolto su di un supporto cilindrico isolante, e sulla lunghezza del supporto è fatto scorrere un cursore a contatto con le spire nella parte superiore non isolata dell’elemento resistivo. Il cursore cosi portandosi a contatto con un numero di spire variabile, varierà altresì la lunghezza dell’elemento resistivo, variando così la resistenza fra i punti A e C del reostato. Di seguito una rappresentazione del reostato, e del simbolo elettrico
Ora nell’esempio citato, il tipo di resistore variabile noto come reostato trova applicazioni per utilizzi di precisione, o in circuiti di potenza, mentre nei circuiti elettronici in genere, dove si ha la necessità di variare la resistenza da valori di 0 ohm a determinati valori di ohm, si utilizzano dei resistori variabili di diverse dimensioni e tipologie sia per la loro realizzazione strutturale che per l’elemento resistivo utilizzato, pur restando valido il concetto sopra esposto di variazione del valore di resistenza, come nel caso del trimmer e del potenziometro in cui l’elemento resistivo è uno strato di materiale depositato su un supporto di bachelite in una forma circolare…
Due categorie di resistori variabili I resistori variabili si possono pensare in due categorie, quelli in cui la variazione di resistenza è di tipo manuale (reostati, trimmer, potenziometri) variando come già visto la posizione di un cursore (lineare o rotativo) e quelli in cui la variazione avviene in virtù di un altro parametro fisico che può essere l’intensità luminosa di una luce
(fotoresistori) o la temperatura di una fonte di calore (termistori) che incidono sull’elemento resistivo sensibile alle variazioni di luce o temperatura. Trimmer e potenziometri Nei circuiti elettronici e quindi nei dispositivi elettronici in genere, si incontrano come resistori variabili i “trimmer “ ed i potenziometri i primi necessari per tarature ed i secondi per regolazioni di segnali, questi ultimi possono essere di tipo rotativo (come ad esempio l’immagine precedente) noti con il nome di “potenziometri” o di tipo lineare noti con il nome di “slider”, questi ultimi ad esempio molto utilizzati nei dispositivi mixer audio, di seguito in foto
Potenziometri Se si considera l’aspetto costruttivo, possono essere realizzati con elemento resistivo di diverso tipo: a strato, a filo; possono essere del tipo doppi; e con interruttore o senza; e la loro regolazione resistiva può essere di tipo lineare (A) o di tipo logaritmica (B), la loro installazione è prevista sempre a pannello per una regolazione del segnale o grandezza fisica attraverso una manopola fissata sul cursore del potenziometro. Un altro tipo di potenziometro utilizzato per regolazioni “fine” è il tipo multigiro, che offre una regolazione sempre di tipo rotativa ma con una variazione più accurata ed agendo sempre su un cursore, di seguito in foto Il valore resistivo dei potenziometri è solitamente stampigliato sulla scocca o sul corpo dello stesso potenziometro , ed è indicato per esteso tipo: 4700 , o seguendo il noto codice letterale per i resistori, con l’aggiunta di due lettere A o B a seconda che la regolazione sia di tipo lineare o logaritmica. Questa indicazione si trova maggiormente impiegata nei potenziometri per applicazioni audio, tipo gli slider …
La lettera A indica una variazione del valore ohmico di tipo lineare, mentre la lettera B la variazione è di tipo logaritmica, per quest’ultima pensate al nostro udito che ha una sensibilità nei confronti della potenza sonora di tipo logaritmico, questo significa che per percepire un raddoppio della potenza sonora questa dovrà essere quadruplicata, ecco per cui si utilizza la variazione logaritmica nei potenziometri per applicazioni audio. La struttura di un potenziometro di tipo rotativo, può esser chiara dall’immagine di una sua “dissezione” in cui vengono messi a nudo i suoi elementi costitutivi…
Nel caso di un potenziometro a filo la struttura risulta essere molto chiara, in quanto si nota chiaramente l’elemento resistivo realizzato dal filo conduttore di lega avvolto sul supporto isolante ed il cursore strisciante sulla parte non isolata che andrà a variare la lunghezza dell’elemento resistivo… L’elemento resistivo in un potenziometro può essere realizzato a strato del tipo a base di carbone depositato, o a base di carbone stampato, può essere realizzato a filo con filo metallico avvolto , sottile o spesso,o con strato tipo cermet. Mentre i supporti possono essere di tipo plastico per piccole potenze, e di tipo ceramico per potenze elevate.
L’elemento resistivo è avvolto su di un supporto di materiale isolante e di forma toroidale per un arco di circa 300°, il filo viene isolato mediante verniciatura a smalto e la parte superiore in contatto con il cursore strisciante viene scoperta per consentire il contatto elettrico. Trimmer A differenza dei potenziometri questi resistori variabili,
sono di dimensioni ridotte, sono sempre installati su pcb, e possono essere del tipo verticale od orizzontale, per il tipo di installazione, e la loro regolazione avviene per mezzo di un ulteriore cacciavite o asta dedicata, in quanto la loro regolazione avviene per taratura del dispositivo, quindi una volta impostato il valore di resistenza necessario non è previsto un successivo o comunque a breve tempo intervento di regolazione o taratura. Anche in questo caso è possibile avere il tipo multigiro che consente attraverso una vite senza fine di eseguire più giri e quindi offrire una regolazione più precisa. Nei trimmer il morsetto centrale rappresenta quello collegato al cursore.
La codifica del valore ohmico indicata sui trimmer è differente da quella vista per i potenziometri, è composta da una cifra che non indica il valore reale di resistenza, ma esso è composto da tre cifre, l’ultima cifra indica il numero di zeri da aggiungere al valore composto con le cifre precedenti per ottenere il valore ohmico reale del trimmer. Esempio la cifra stampigliata 102 il valore di 10 a cui aggiungere due zeri, quindi il valore di resistenza massimo del trimmer sarà di 1000 ohm, e non di 102 ohm ! Un po’ di teoria sui collegamenti …. Un potenziometro è tale quando è collegato per ottenere un partitore di tensione. Seguendo lo schema riportato, la tensione V2 di uscita dipende dalla tensione di ingresso V1 secondo la posizione del cursore in riferimento al terminale comune C, quindi in questa applicazione si è ottenuto una variazione di tensione.
Il reostato invece è tale quando è collegato per ottenere una variazione di corrente. Seguendo lo schema (a) riportato i
punti di collegamento sono due, ed a volte si utilizza anche collegare al cursore il terminale inutilizzato dell’altro lato resistivo (b)
Nella pratica questi resistori variabili trovano molteplici applicazioni, in genere si può affermare che i trimmer trovano utilizzo nei dispositivi elettronici per correzioni e/o tarature, quindi una volta impostati non vengono ritoccati a meno di successive tarature e la loro variazione di resistenza viene eseguita per mezzo di opportuni cacciaviti isolati, fanno poi la differenza i trimmer multigiro che come già detto offrono un range di regolazione più ampio quindi una regolazione fine o più precisa. I potenziometri invece si trovano installati su pannellature, e sono a disposizione di operatori del dispositivo che li ospita e si prestano a continue regolazione di un segnale elettrico, attraverso la rotazione di una manopola nel caso di quelli rotativi, ed in alcuni casi offrendo anche la possibilità di comandare un interruttore, mentre nel caso di quelli lineari ovvero gli slider la regolazione avviene spostando una levetta lungo la corsa dello slider. Anche per il potenziometro esiste la versione multigiro quindi anche in questo caso la possibilità di dell’ampiezza della grandezza.
una
regolazione
fine
Altra differenza sostanziale fra il trimmer ed il potenziometro sta nell’ampiezza del segnale che si può controllare, ovvero i potenziometri seppur limitati all’ordine di centinaia di milliampere (per quelli a filo) possono regolare segnali con ampiezze maggiori rispetto ai trimmer. Si potrebbe ancora proseguire trattando nello specifico i materiali utilizzati per la realizzazione degli elementi resistivi, ma credo interessi relativamente ai fini pratici per la valautazione di funzionamento e utilizzo di
potenziometri e trimmer , fermo restando la necessità di conoscenze tecniche che non ho sugli aspetti costruttivi del materiale resistivo…
Contatore di energia elettrica ... è conforme ? La notizia apparsa tempo fa sul web non è recente, ma non credo sia male ricordarla,si riferisce alla possibilità per qualche malcapitato ed ignaro utente enel di essere in possesso di un contatore elettronico per la misura di energia elettrica consumata, che sembrerebbe non risulti conforme alla normativa, se non in possesso dei requisiti richiesti, facilmente riscontrabili dai simboli serigrafati sullo stesso contatore, come indicato dagli articoli linkati in basso. Quindi considerando la non difficoltosa verifica, un’occhiatina non guasta, o un eventuale ricerca di info in merito, magari facendosi aiutare dal proprio elettricista in caso di consumi irregolari verificati dapprima dal proprio elettricista . fonti ed approfondimenti: Luce e bollette…kataweb Enel …contatori Contatori elettronici..class action Manuale contatore elettronico monofase enel
Elettronews dal web ... Interessanti dati Istat,nella 7a edizione di “Noi Italia” dove si possono leggere dati interessanti sui diversi aspetti del nostro paese:economici,ambientali,sociali ….ed energetici. In Italia si ha un consumo di energia procapite inferiore alla media europea, mentre un aumento del consumo di energia elettrica è aumentatonel settore della agricoltura e del terziaro altresì è diminuito nell’industria e nel domestico. La produzione lorda di energia elettrica ha subito una flessione, mentre aumenta la quota del consumointerno lordo di energia ottenuta da fonti rinnovabili…… fonte: http://noi-italia.istat.it/ Il primo Transistor al Silicene è tutto Italiano !!! Istituto di microelettronica e microsistemi del Consiglio nazionale delle ricerche (Imm-Cnr) di Agrate Brianza,con un team dell’Università del Texas, ha realizzato il primo transistor su silicene, soluzione che promette evoluzioni innovative per la nanoelettronica. fonte :http://www.cnr.it/cnr/news/CnrNews?IDn=3181 e http://www.imm.cnr.it/content/power-rf-devices-and-passive-com ponents-high-performance-power-electronics
CFL vs LED ... Nell’ottica del risparmio “energetico” relativamente all’impianto di illuminazione sfruttando quanto la tecnologia e il mercato ci rende disponibile ed accessibile, ho intrapreso l’attività di sostituzione di tutte le lampade (o meglio la maggior parte) compatte a basso consumo (d’ora in avanti CFL=Compact Fluorescent Lamp) installate nei punti luce di casa, sostituendole con le attuali lampade a Led*. Ovviamente questo si è reso possibile grazie alla consistente presenza sul mercato delle lampade a led, con conseguente aumento dell’offerta che le rende oggi economicamente abbordabili. La scelta si è orientata, tralasciando i prodotti cosiddetti “cineserie”, considerando un prodotto di fascia media con buone caratteristiche , ovvero rispondente alle conformità RoHS, CE, ERP , flusso luminoso privo di raggi UV, ed appartenenti ad una classe di efficienza energetica A+ ed un costo abbordabile, aiutato dalla quantità di lampade in gioco da sostituire che mi ha aiutato a strappare qualche sconticino …. per ovvi motivi non riporto la marca del prodotto acquistato,che a mio umile avviso mi ha fornito un ottimo rapporto prezzo/qualità, a conferma di quest’ultimo quello di avere per ogni lampada un proprio certificato di garanzia di due anni come un normale dispositivo elettronico, e la disponibilità sull’involucro della lampada Led di “tutte” le caratteristiche elettriche ed illuminotecniche curve comprese, e vi assicuro che non tutti forniscono queste informazioni a corredo della lampada. Ovvio che prima dell’acquisto una lampada Led è stata testata
in una stanza appunto contro una CFL ….
Veniamo al punto. ..i watt …
La scelta di questo cambiamento, manco a dirlo è stato il risparmio energetico, o meglio nei consumi valutato semplicemente considerando le potenze (W) in gioco con le lampade CFL rispetto a quelle Led che avrei (ho) installato. Considerando i punti luce con lampade CFL che sarei andato a sostituire la potenza totale installata in watt corrispondeva a 343 W, che paragonato ai punti luce ad incandescenza offriva già un considerevole risparmio. Ora mantenendo lo stesso numero di lampade installate nei punti luce ma utilizzando le lampade a Led, la potenza complessiva installata risulterà essere (è) pari a 104 W … ben 239W di potenza risparmiati, e vi pare poco ? Ora se vogliamo considerare questo abbattimento in termini energetici, si dovrà considerare l’unità di misura dell’energia elettrica il kWh, cioè il consumo di 1000 W in un ora, quindi avremmo 0,239 kWh, ora supponendo il costo del kWh in 0,20 cent di euro, potremmo dire di aver ottenuto un risparmio pari a 4,78 euro/h valore puramente indicativo, in quanto si immagina di avere tutte le lampade dell’appartamento accese, condizione impossibile, ma se si considera anche un solo punto luce il risparmio c’è ed è considerevole nel tempo. …funzionalità…
Ora fatto salvo l’evidente risparmio energetico, altro aspetto da non sottovalutare è quello della funzionalità delle attuali lampade led, le quali rispondono immediatamente alla loro accensione, ovvero non hanno bisogno di nessun minimo tempo per arrivare a regime per produrre tutto il loro flusso luminoso, le lampade LED sono ad accensione istantanea, e questa loro caratteristica le rende meglio performanti sulla loro durata in funzione del numero di accensioni, con un
On/Off >15000 contro il valore medio di On/Off 6000 delle lampade CFL. Il numero di On/Off è determinate per la durata delle lampade ma lo è altrettanto anche la loro durata in ore di funzionamento, che per una lampada Led si attesta su valori di 20000 ore, contro le 8000 ore per le lampade CFL. …sicurezza ambientale …
Il termina che ho coniato di “sicurezza ambientale” viene dall’idea di vedere la lampada Led più sicura rispetto ad una lampada CFL , questo perché durante la fase di installazione/sostituzione un eventuale caso in cui la lampada dovesse rompersi, come ben sappiamo nel caso della lampada CFL si dovranno apportare degli accorgimenti per il recupero della lampada rotta, ovvero raccogliere le parti rotte senza utilizzare aspirapolveri, evitando durante la raccolta di respirare la polvere che si sta raccogliendo ed avere cura di smaltire nei centri RAEE la lampada rotta (questo vale anche per le lampade non rotte ma guaste) e tutto questo perché nella lampada CFL è presente all’interno del tubo fluorescente una percentuale di mercurio ! Nel caso della lampada Led questo non è necessario in quanto non è presente mercurio, rimane comunque lo smaltimento delle lampade Led guaste sempre presso un centro RAEE. L’ assenza di mercurio e di piombo nelle lampade Led le rende verso l’ambiente molto meno inquinanti, e meno difficili da smaltire. …inquinamento tensione di rete…
Altro termine da me coniato, per indicare come le caratteristiche costruttive degli alimentatori inseriti all’interno delle lampade CFL contribuiscano in alcuni casi a creare disturbi sulla rete di alimentazione dell’impianto elettrico che possano poi inficiare con altri dispositivi elettronici. Questi disturbi noti con il termine tecnico di “armoniche” sono proprie degli alimentatori elettronici che alimentano i tubi fluorescenti delle lampade CFL in quanto alimentando il
tubo in step di avviamento riscaldamento e regime lavorano con valori di frequenza elevati, seppur essendo presente dei circuiti antidisturbo RFI, altro aspetto per scegliere lampade di qualità. Ovviamente questo aspetto non si presenta nel caso di una lampada Led che pur utilizzando alimentatori elettronici non ha bisogno di preaccensioni, ma di un alimentatore che garantisca una corrente di alimentazione costante. …misurando…
In virtù di quest’ultimo aspetto, incuriosito dalla qualità delle lampade CFL e per pura curiosità ho voluto testare i consumi di alcune lampade CFL confrontando le misura con una misura su una lampada Led. Una volta realizzato un semplice supporto per lampade con attacco E27 ed E14 ho eseguito la misura di assorbimento utilizzando una pinza amperometrica :
Le misure sono state eseguite utilizzando una pinza amperometrica AIIGSUN EM305 A in portata 2 A, e per ogni misura si sono attesi i due minuti canonici per considerare eventuale riscaldamento della lampada sottomisura, per il calcolo della potenza si è considerato un fattore di potenza pari cos ϕ= 0,8.
Ora considerando che senza alcun dubbio si siano introdotti degli errori di misura dovuti allo strumento ed alla procedura, vien da se che in alcuni casi per approssimazione si possano considerare validi i valori di potenza indicati sulle lampade per alcune di tipo E14, mentre per le lampade di tipo E27 pur aspettando i tempi canonici di riscaldamento le misure sono state al disotto di quelle dichiarate, pur avendo per scrupolo utilizzato un ulteriore strumento di misura di tipo TRUE RMS al fine di avere la misura con certezza al massimo. Altro aspetto interessante è che utilizzando lo
stesso metodo di misura delle lampade CFL con la lampada Led, quest’ultima ha fornito il valore di assorbimento misurato molto vicino a quello indicato sulla lampada stessa. E questo a mio avviso sta ad indicare senz’altro il corretto valore indicato da parte del costruttore, ma altresì un circuito di alimentazione elettronico ben realizzato, e tale da non falsare la misura con possibili disturbi introdotti in rete. Conclusioni.
La sostituzione delle lampade CFL con le lampade Led ha senza alcun dubbio apportato un risparmio nei consumi, e nei costi considerando la maggior durata delle lampade a led, oltre ad avere delle lampade con accensione istantanea e senza grossi problemi di smaltimento, oltre ad aver eliminato eventuali disturbi radio e sulla rete causati dalle lampade CFL . Quindi in sostanza posso affermare che sia il caso di prendere in considerazione la nuova tecnologia led per l’illuminazione di ambienti, ottenendo da subito un concreto risparmio energetico ed una illuminazione più efficiente, avendo però cura di scegliere bene le lampade.
*LED= light emetting diode, diodo a emissione di luce, è un dispositivo semiconduttore di tipo P-N (diodo) che produce luce ad alta efficienza e di lunga durata grazie al movimento di elettroni in seno al materiale.
1- Resistori fissi, tutto o quasi ... Il resistore è il primo componente passivo che si incontra
quando si inizia lo studio dei circuiti elettrici, sia in regime di corrente continua che in corrente alternata.
Se non fosse per G. Ohm… Il resistore, è quel dispositivo passivo che dal punto di vista elettrico, rappresenta la costante si proporzionalità tra la tensione e l’intensità di corrente elettrica, la grandezza fisica caratteristica è detta resistenza elettrica e si misura in Ohm,
, prende il nome proprio dal fisico e
matematico tedesco Georg Ohm http://it.wikipedia.org/wiki/Georg_Ohm che scoprì appunto la proporzionalità fra corrente elettrica e la tensione elettrica determinando quella oggi nota a tutti gli Elettrotecnici come la “Legge di Ohm”, fondamentale nello studio dei circuiti elettrici. La resistenza è indicata con la lettera R ed il suo simbolo elettrico può essere
Serie e in derivazione o parallelo…
Il resistore inserito in un circuito elettrico alimentato alla tensione V da un generatore, collegato in serie ad un generico utilizzatore sarà attraversato dalla stessa intensità di corrente I in ampere (A) assorbita dall’utilizzatore, e che determinerà ai capi del resistore una caduta di tensione Vr in volt (V) , data dall’espressione
La grandezza fisica indicata con R rappresenta la “resistenza elettrica” valore costante (trascurando condizioni ambientali e di lavoro particolari) che il resistore offre all’intensità di corrente che lo attraversa, ed è espressa in ohm.
Il caso esposto in precedenza considerava l’inserimento del resistore in serie ad un generico utilizzatore, ma come è noto dalla teoria dei circuiti elettrici il resistore può essere anche connesso in derivazione ad un generico utilizzatore, in questo caso il resistore sarà sottoposto ai suoi capi alla stessa tensione di alimentazione V in volt (V) , che si avrà ai capi dell’utilizzatore, e questa differenza di potenziale determinerà nel resistore un passaggio di intensità di corrente Ir in ampere (A) data dall’espressione
Anche in questo caso la grandezza fisica indicata con R rappresenta la “resistenza elettrica” che il resistore offre ai capi del generatore di tensione al quale è alimentato in derivazione il generico utilizzatore. Quindi, il resistore resistenza elettrica
indica il componente, mentre la è la caratteristica fisica del
componente, che risponde alla ben nota Legge di Ohm, che stabilisce la proporzionalità fra le grandezze di tensione in Volt ed intensità di corrente in Ampere, che determinano il funzionamento del circuito elettrico e forniscono per ogni caso specifico il valore della resistenza in Ohm.
Quando si devono collegare in parallelo due resistori R1 ed R2, la formula per il calcolo della resistenza equivalente del parallelo è
Per più resistori l’espressione diventa
Quando invece si collegano in serie due o più resistori in
serie il valore della resistenza equivalente serie è data dalla somma delle singole resistenze costituenti il ramo serie
Si è detto che il resistore offre una resistenza elettrica all’intensità di corrente che lo attraversa, e questo avviene realizzando il componente in virtù della relazione:
nella quale le grandezze fisiche costruttive di lunghezza “l” espressa in m, la sezione “S” espressa in m 2 e la resistività del materiale “ ϱ“ espressa in ohm .metro del resistore, ne determinano il valore della costante R, questo perché in genere si può immaginare un resistore costituito da un supporto isolante, sul quale è stato avvolto un conduttore elettrico (es.rame) con una propria resistività elettrica e di determinata lunghezza e sezione; nella pratica si trovano resistori di piccole dimensioni e con diversi valori di resistenza e potenza, ottenuti utilizzando accorgimenti su particolari materiali e tecniche costruttive. Ora lasciando la teoria dei circuiti elettrici, a chi ha competenze per poterla illustrare a dovere (non è il mio caso) provo a presentare il componente con un approccio più pratico ,iniziando dai valori caratteristici da cui dipendono i resistori ed è bene aver presente in fase di scelta dei componenti… Fattori specifici dei resistori: -coefficiente di temperatura
È indicato dai costruttori con la sigla TC ed è espresso in ppm/°C, ovvero parti millesimali rispetto al valore misurato alla temperatura ambiente, se si considerano piccole variazioni di temperatura DT il valore del resistore dipende in maniera lineare dalla temperatura secondo la relazione
In cui α è il coefficiente di temperature espresso in °C-1 e dipende dalla qualità del materiale impiegato e dalla temperatura di riferimento t0 in cui il resistore assume il valore R0. Il coefficiente di temperatura può essere negativo o positivo e questo fenomeno viene utilizzato per realizzare i termistori NTC ed PTC, -coefficiente di tensione
È un fattore molto importante per la realizzazione particolari resistori noti con il nome di varistori. particolari resistori si manifestano variazioni del valore resistenza al variare della tensione applicata ai terminali
di In di di
questi resistori, e queste variazioni seguono un andamento molto complesso, ma considerando un piccolo intorno della tensione di riferimento V0 si può scrivere
In cui Kv è il coefficiente di tensione del resistore espresso in ppm/V, -potenza nominale
È il valore di potenza espresso in watt (W) che il resistore può supportare e quindi dissipare in specifiche condizioni di lavoro, e senza che si alterino le caratteristiche dello stesso resistore, si considera in genere ambiente in aria secca a 25°C. La dissipazione di potenza genera un aumento di temperatura nel resistore rispetto alla temperatura ambientale, e questa dissipazione diminuisce all’aumentare della temperatura ambiente. I costruttori forniscono per ogni tipologia di resistore una curva caratteristica dell’aumento di temperatura DT del resistore in funzione della potenza dissipata, nota come curva di derating. Il valore di potenza che il resistore è chiamato a dissipare occorre considerarlo in fase di applicazione del componente e
quindi di dimensionamento in quanto è di fondamentale importanza per la durata e l’efficienza del componente, per questo esistono in commercio resistori con diversi tagli di potenza, dal valore piccolo di ¼ di W fino ai 5 W per pcb ed oltre per applicazioni particolari, si pensi ad esempio resistori per applicazioni industriali che lavorano nell’ordine di qualche migliaio di watt.
-tensione nominale
Questo valore in genere compreso tra i 100 ed 750 V, indica il valore di tensione applicabile al resistore per il quale si dissipa la potenza nominale pari a
Fermo restando la disponibilità sul mercato di resistori con tensione nominale superiore ai valori su indicati, e questo per indicare che anche il valore della tensione di isolamento è un fattore caratteristico di questo componente (come per tutti gli altri componenti elettronici del resto) molto determinante, perché se sottovalutato può generare malfunzionamenti del componente, -caratteristica resistenza/frequenza
E qui il discorso si fa interessante, in quanto entra in gioco una grandezza fisica, ovvero la “frequenza” che in particolari circuiti rende la scelta del resistore non semplice, perché il resistore inserito in questi circuiti non può più essere rappresentato come una resistenza pura bensì con una componente capacitiva ed induttiva, in pratica si dovrà rappresentarlo con uno schema molto riduttivo del tipo:
La capacità C è quella rappresentata fra i terminali del resistore e quella distribuita, mentre l’induttanza L è quella dell’elemento resistivo e dei terminali del resistore, il valore dell’impedenza Z vista ai terminali del componente vale:
pertanto il resistore verrà utilizzato in un campo di frequenze Ω<>R quindi 2
ω LC<<1 in queste condizioni si avrà per l’impedenza
essendo ωRC<<1 e a maggior ragione (ωRC)2<<1 l’espressione diventa
In sostanza il resistore o dipolo si comporta come una resistenza equivalente
ed una reattanza
collegate in serie. Ora le condizioni di funzionamento che si possono avere sono due, ed esattamente: –
il dipolo assume un comportamento ohmico induttivo per
cui si avrà – il dipolo assume un comportamento ohmico capacitivo per cui si avrà –
Questo aspetto del comportamento di un resistore alle alte frequenze, deve preoccupare quando il componente dovrà lavorare in circuiti elettrici in cui sono in gioco valori di frequenza interessanti, tipo i circuiti in Radio Frequenza in cui la reattanza capacitiva ed induttiva sono determinate proprio dalla frequenza, e aspetto determinante sarà la tipologia costruttiva del resistore, come ad esempio sarà maggiormente sentito l’effetto induttivo in un resistore a filo piuttosto che in uno ad impasto, e via dicendo; per cui nella pratica questi aspetti occorre averli presente e considerarli al momento opportuno, -tensione di rumore
Per questa caratteristica si parla di effetto Johnson , ovvero in conseguenza dell’agitazione termica il movimento caotico degli elettroni liberi nella sezione di un conduttore produce fluttuazioni di tensione ai capi del conduttore stesso di valore medio nullo. Il valore efficace della tensione di rumore Vf varia secondo la frequenza, pertanto se il rumore (noise) , ha una densità spettrale costante prende il nome di rumore bianco, in questo caso il valore efficace della tensione dipende dall’intervallo di frequenza considerato, il valore efficace della tensione di rumore vale:
K è la costante di Boltzman, mentre T è la temperatura del conduttore ed R la sua resistenza ed
l’intervallo di
frequenza considerato. Quindi in ogni resistore è presente un generatore di tensione di rumore Vn, ed esistono dei diagrammi current noise che forniscono la tensione di rumore in µV /V funzione del valore nominale della resistenza in ohm forniti dai costruttori .
-stabilità
Questa caratteristica trova a dover lavorare determinano variazioni indica con il grado di della resistenza ed il Anche in questo caso i
è determinante quando un resistore si in condizioni ambientali variabili, che permanenti del valore di resistenza, si stabilità il rapporto fra la variazione suo valore iniziale. costruttori forniscono dei diagrammi in
cui delle curve descrivono il rapporto in funzione delle ore e giorni di funzionamento in particolari condizioni di lavoro , oppure indicano tale variazione in funzione di particolari condizioni di lavoro.
-temperatura massima di lavoro
E’ quel valore di temperatura massimo oltre il quale il resistore subisce danneggiamenti strutturali, ed è un valore indicato dal costruttore in genere compreso in un range ad esempio -55…+155°C -tolleranza
Va detto che i valori di resistenza dei resistori disponibili in commercio sono unificati in base alle normative IEC, ma va anche detto che il valore di resistenza in ohm indicato sul
resistore non coincide con quello in pratica misurato sullo stesso, ma sarà più o meno vicino a quello teorico (indicato), cioè nella pratica si ha un determinato grado di precisione del resistore. Pertanto nella pratica si considera una tolleranza espressa in percentuale che indica la deviazione massima del valore reale ohmico dal suo valore nominale, ed il valore di tolleranza è riportato anch’esso sul corpo del resistore, i valori di tolleranza standard sono ±20%
± 10%
± 5%
± 2%
± 0,5%
Ovviamente nella pratica questa caratteristica ha la sua importanza in virtù dell’applicazione del resistore , infatti un resistore con resistenza di 10 kΩ ± 5% il suo valore si discosterà di più o meno di 500 Ω, che non è poco, pertanto si potrebbe considerare un resistore con tolleranza più bassa. Pertanto vien da se che anche il costo del resistore salirà in maniera inversamente proporzionale a quello della tolleranza, per il quale si avranno maggiori valori disponibili di resistenza. Le serie di resistori disponibili sul mercato in base al valore di tolleranza sono indicate con : E6 (±20% ) / E12(±10%)
un’applicazione tipo di
/ E24(±5%) / / E192(±0,5%)
E48(±2%)
/ E96(±1%)
un resistore può essere quella di polarizzazione di un diodo led. Il diodo led è un dispositivo semiconduttore in quanto realizzato da una giunzione di semiconduttori di tipo P ed N, e perché sia correttamente alimentato è necessario che lo sia in corrente, ovvero si dovrà limitare l’intensità di corrente di alimentazione perché il diodo led non si danneggi, e qui ci viene in aiuto il nostro resistore connesso in serie all’alimentazione del diodo led, ovviamente il resistore dovrà essere opportunamente dimensionato. Ora iniziamo dal nostro diodo led, che nel caso specifico è un
diodo led da 5mm con intensità luminosa 2000 mcd e colore 6000k, quindi un diodo led ad alta luminosità luce fredda con un’angolazione di illuminamento di 20..25° ed una potenza massima di 80 mW, la sua intensità di corrente massima diretta If =30 mA e la sua tensione diretta di alimentazione è di Vf = 3,2..3,8 V A questo punto abbiamo tutte le info necessarie per utilizzare e polarizzare correttamente il diodo led. La tensione di alimentazione disponibile è Va= 12V superiore a quella richiesta dal diodo led, pertanto si dovrà far cadere la parte eccedente sul nostro resistore che dovrà essere attraversato dall’intensità di corrente diretta If per polarizzare correttamente il diodo led, sceglieremo questo valore entro il valore massimo pari a If =20 mA in modo da garantire una lunga durata al diodo led. Ora applicando la ben nota legge di Ohm ci andiamo a ricavare il valore di in ohm del nostro resistore:
e di potenza P Calcolate le caratteristiche del nostro resistore, andremo a prendere quello disponibile in commercio più vicino al valore ottenuto, nel caso specifico quello disponibile nel cassetto … ovvero quello di 470 ohm ed ¼ W … alimentare il nostro diodo led…
Un altro aspetto da resistore. Ora è considerevole, dai molto complessa in
con il quale andremo ad
considerare, è come individuare il nostro noto che per i resistori di potenza 5 W in su, la loro identificazione non è quanto le caratteristiche sono riportate
sul resistore in chiaro, pertanto interpretarle non è molto difficoltoso, mentre per i resistori da ¼ w fino ai 2W l’interpretazione delle caratteristiche va fatta per mezzo del codice RETMA ovvero un codice di colori che assegna ad ogni colore un valore a seconda della posizione in cui si trova sul corpo del resistore. Infatti i resistori hanno serigrafato sul loro corpo una serie di anelli, in genere sono quattro e leggendo partendo da sinistra verso destra si assegnano ai primi due anelli le cifre del valore in ohm della resistenza, mentre la terza cifra rappresenta il moltiplicatore di zeri, e la quarta cifra ovvero il quarto anello rappresenta la tolleranza in percentuale, nei resistori con cinque anelli colorati, i primi tre forniranno il valore numerico mentre il quarto sarà il moltiplicatore ed il, quinto la tolleranza …ovviamente la codifica dei colori-valori va fatta secondo la tabella RETMA…
Ovviamente nella valutazione/lettura del valore in ohm di un resistore si dovranno aver presenti gli eventuali multipli e sottomultipli noti delle unità di misura. Mentre per quanto concerne la distinzione della potenza del resistore ci si dovrà affidare da un punto di vista pratico alla conoscenza dei componenti valutandone le dimensioni:
Nei resistori di potenza leggere le caratteristiche non è complicato, si utilizza un codice alfanumerico ,noto come codice British Standard 1852 ad esempio la lettera R viene utilizzata per indicare la virgola, tipo 2R7 sta per 2,7 ohm, mentre la potenza è chiaramente indicata in W ad esempio 5 W, la tolleranza viene indicata utilizzando delle lettere specifiche
Un esempio di codice in chiaro alfanumerico ce lo mostra resistor portandoci un resistore con il valore stampigliato …
Oltre le caratteristiche dei resistori occorre conoscere anche il tipo di resistore, in quanto si differenziano anche per tecnologie costruttive, innanzitutto vediamo quali sono gli elementi costitutivi di un resistore
Il supporto dell’elemento resistivo in genere è realizzato con delle ceramiche o vetro o diversamente del materiale plastico, comunque supporti che presentano una elevata robustezza meccanica, una elevata resistenza di isolamento ed un coefficiente di dilatazione termica uguale o superiore a quello dell’elemento resistivo e del rivestimento del resistore e non ultimo particolari caratteristiche dielettriche fondamentali qualora il resistore dovesse essere utilizzato in circuiti ad alta frequenza. L’elemento resistivo, è la parte fondamentale del resistore in quanto realizza la resistenza elettrica, e caratterizza il tipo di resistore , si possono avere infatti resistori -resistori a strato sottile -resistori -resistori -resistori -resistori
a strato spesso cermet a impasto a filo avvolto
I reofori altro non sono che i terminali di collegamento del resistore al circuito, e sono collegati all’elemento resistivo attraverso degli appositi cappucci saldati. Il rivestimento di protezione, che caratterizza l’aspetto esterno del resistore e sul quale poi verrà serigrafato il codice o le caratteristiche del componente, è realizzato con
un tubo di materiale isolante e meccanicamente robusto, o con diversi strati di vernice isolante o smalti vetrosi. I resistori a strato sottile o a film sottile , hanno l’elemento
resistivo realizzato da una sottile pellicola di materiale conduttore in genere films metallici o ossidi di metallo o polvere di carbone ,depositata su un supporto di ceramica. Nonostante i processi produttivi consentano di realizzare film sottili, si è appurato che utilizzare film più spessi si migliora la stabilità del resistore, ottenendo comunque valori elevati di resistenza utilizzando tecniche di spiralizzazione del film. Questa tecnica consiste nell’incidere lo strato resistivo in maniera elicoidale, mettendo a nudo il supporto realizzando cosi uno strato aspirale, ottenendo a parità di dimensioni un valore di resistenza maggiore. Questo tipo di resistori, comunemente noti come resistori a strato sono considerati come componenti di semi-precisione o di precisione. Il tipo a strato metallico richiede una tecnica costruttiva complessa e risultano essere i migliori di quelli a carbone che per contro sono maggiormente resistenti ai sovraccarichi I resistori a strato spesso o film spesso sono realizzati con miscele di polvere di vetro e metallo (argento, palladio ,titanio ,nitrato di titanio , e carburo di tantalio) contenuti in un legante o in una pasta organica, ed applicata su un substrato di cilindro di allumina o stearite per immersione e velocità controllata in modo da regolare lo spessore del film, e portati ad una temperatura tr i 900°C ed i 1100°C, gli elementi resistivi spiralizzati sono rivestiti con un involucro stampato in resina epossidica e in un involucro al silicone. Questo tipo di resistori trova maggiore impiego dove sia necessario smaltire molto calore, hanno una eccellente risposta in frequenza ma una stabilità inferiore a quelli a film sottile. Il resistore cermet , è un particolare tipo di resistore con supporto in materiale ceramico nel quale vengono depositati per mezzo di stampa serigrafica dei materiali resistivi, a
base di metalli nobili, di loro ossidi e di leganti ceramici e vetrosi dispersi in un veicolo resinoso, la cottura avviene alla temperatura compresa tra gli 800-1000°C. Questo tipo di resistori offrono un vasto campo di temperatura di lavoro (-55/160°C) ed un eccellente rapporto potenza dissipabilesuperficie, un TCR tra +/- 25-100 ppm/°C ed una vasta gamma di valori ohmici, una tensione di isolamento fino a 3000 V ed un rivestimento protettivo resistente ai solventi, ed hanno la caratteristica di dissipare potenza in dimensioni ridotte. Nei resistori ad impasto l’elemento resistivo è costituito da polvere di carbone o grafite e resine sintetiche mescolate con materiali inerti in proporzioni secondo il valore di resistenza da realizzare, la sua realizzazione consta di un elemento resistivo cilindrico a cui vengono applicati i due reofori e ricoperto da una custodia isolante ad esempio un tubetto di ceramica bloccata agli estremi con del cemento anch’esso isolante. Il loro impiego non è molto vasto, in quanto presentando una elevata rumorosità ed una scarsa risposta in frequenza sono stati sostituiti da quelli a film sottile. I resistori a filo presentano il loro elemento resistivo realizzato da un filo metallico avvolto su un supporto isolante piatto o cilindrico, questo filo metallico in genere è costituito da una lega metallica tipo -nichel-rame. Manganina e costantana con coefficiente di temperatura vicino allo zero ed utilizzate per resistori di precisione -nichel-cromo. Utilizzata per resistori di elevata potenza -nichel-cromo-alluminio. Utilizzata per resistori di elevata resistenza -nichel-cromo-ferro, utilizzata per le serie di resistori più economici. L’utilizzo della lega è giustificato dalla sua resistenza più elevata rispetto ai metalli puri, permettendo cosi di realizzare dimensioni di resistori più contenuti, a parità di resistenza. Sono dei resistori molto costosi e vengono utilizzati dove occorrono prestazioni non raggiungibili con i
resistori a strato. I resistori a filo si suddividono in tre categorie -a filo smaltati per potenze medie ed alte 12-100W, l’elemento resistivo è avvolto su supporto isolante e protetto da smalti vetrosi non infiammabile per temperature di lavoro fino a 400°C, utilizzando una tecnica di avvolgimento detta bifilare si ottengono anche dei tipi antinduttivi. -a filo cementati per potenze da 2-20W, l’elemento resistivo in nichel-cromo o in rame-cromo è avvolto su un supporto tubolare ceramico e coperto da uno strato di cemento per resistere alle alte temperature oltre a fornire una elevata resistenza meccanica, possono sopportare sovraccarichi di breve e lunga durata. -a filo di precisione per potenze da 0,25-2W, l’elemento resistivo avvolto è realizzato in maniera accurata al punto da essere utilizzati particolarmente in apparecchiature professionali dove la qualità e l’affidabilità sono fondamentali, raggiungono tolleranze fino allo 0,005% per potenze di 2W max ed una vasta gamma di valori di resistenza. Senza tralasciare i resistori a filo con dissipatore metallico o corazzati per potenze fino a 300 W e dimensioni molto contenute, ovviamente questo tipo di resistori va installato su strutture adeguate tipo il telaio della macchina o dispositivo che l’ospiterà. Ultima nota è relativa ad un riferimento fondamentale che vale per ogni componente elettronico da cui trarre ogni informazione utile ed è il suo “datasheet” fornito dal costruttore con tutte le informazioni tecniche necessarie relative al componente, ad esempio per un resistore: http://html.alldatasheet.com/html-pdf/167973/SHARMA/RS11-1SLAS H2W-22K/690/3/RS11-1SLASH2W-22K.html scaricabile dal sito: alldatasheet, dove è possibile reperire il datasheet di ogni tipo di componente elettronico. Una piccola considerazione ….
In un circuito elettrico il resistore è quel componente passivo grazie al quale, attraverso il suo valore caratteristico di resistenza espressa in Ohm, ci consente di introdurre una caduta di tensione in volt se inserito in serie ad un carico, realizzando così un abbassamento di tensione ai capi dello stesso carico; oppure se collegato in parallelo al carico di derivare una parte dell’intensità di corrente in ampere, diminuendola ai capi del carico. In entrambi i casi si dovrà considerare la potenza che il resistore dovrà smaltire in modo da dimensionarne correttamente la sua in watt. Quest’ultima grandezza rende più o meno plausibile l’utilizzo di un resistore come abbassatore di tensione o limitatore di corrente, valutando correttamente l’eventuale spreco di energia che dissiperà il resistore. Ovvero se è il caso o meno di realizzare “una stufetta” per abbassare qualche volt ad un generico carico, valutando alternative che l’elettronica analogica ci offre come l’utilizzo di dispositivi semiconduttore in genere. ….continua ...
Il "Salvavita" nome fuorviante ,per indicare un interruttore differenziale.... “Salvavita” non è un nome tecnicamente corretto …alcuni casi particolari Si era detto in una delle prime esposizioni come il nome
“salvavita” affidato a suo tempo all’interruttore differenziale, non rappresenti correttamente la sua funzione, questo proprio per i limiti operativi propri dell’interruttore differenziale. L’interruttore differenziale quando interviene interrompe l’alimentazione al circuito in protezione ma non salvaguardia dalla “scossa” che in quanto tale il corpo umano avverte come fenomeno di elettrocuzione e reazioni fisiche conseguenti. L’interruttore differenziale non interviene in caso di contatto diretto in cui non siano presenti correnti di dispersioni verso terra, ovvero il caso di contatto accidentale con fase e neutro ,condizione in cui l’elemento determinante è proprio la speranza che ci sia una corrente di dispersione verso terra per garantire l’intervento dell’interruttore differenziale, con un tempo però proporzionale alla corrente di dispersione Id e non a quella che attraverserebbe il corpo umano Ie.
Ci sono poi da considerare alcune condizioni limite relative ai circuiti a valle circuitali, tipo:
del
differenziale,
quindi
limiti
-neutro accidentalmente a massa; un utenza alimentata da una linea monofase, quindi fase F e neutro N, nel momento in cui il neutro entra accidentalmente in contatto con una struttura metallica che presenta un elevato valore di resistenza verso terra, l’intensità di corrente If verso terra risulterà praticamente nulla essendo il conduttore di neutro già a potenziale circa zero, pertanto questa condizione non sarà in grado di generare uno squilibrio fra le correnti It ed In al punto da far intervenire l’interruttore differenziale. Una persona che accidentalmente entrasse in contatto con la fase F ed la struttura metallica verrebbe interessato da una corrente I2 di elettrocuzione (la I3 potrebbe risultare nulla se il soggetto si trovasse su una pedana isolante), quindi con la I3=0 la I2 si richiuderebbe al centro stella del trasformatore in cabina quasi totalmente attraverso il conduttore di neutro
(meno la piccola If) e lo squilibrio delle correnti di linea non sarebbe sufficiente a far intervenire l’interruttore differenziale. Comunque anche se intervenisse il suo intervento sarebbe relativo alla piccola parte di I3 e non a quella I2 che ha interessato il soggetto. Questa condizione evidenzia l’importanza di installare il differenziale tenendo conto e prevenendo ogni possibile contatto accidentale della linea con una qualsiasi struttura metallica.
-sommatoria delle correnti verso terra; in un sistema trifase protetto a monte da un interruttore differenziale si possono senza difficoltà verificare delle correnti verso terra.
L’intervento dell’interruttore differenziale sarà determinato da un’intensità di corrente I pari alla somma vettoriale delle correnti di guasto
Se una persona venisse in contatto diretto con un conduttore di fase (L2) la corrente di elettrocuzione Ie e quella differenziale Id= I’+Ie , somma vettoriale, assumono l’andamento:
Perché si eviti questa condizione, e cioè che le correnti di dispersione su due fasi possano diminuire l’efficienza dell’interruttore differenziale nel caso di contatto diretto della seconda fase, si dovrà evitare il collegamento di più utilizzatori monofasi sotto un interruttore differenziale quadripolare. Non è da sottovalutare anche le intensità di correnti di dispersione di alcune utenze elettroniche, tipo saldatrici, computer, comunque dispositivi con raddrizzatori di corrente
che possono alterare o compromettere il corretto funzionamento dell’interruttore differenziale, in tal senso si dovrà prevedere un dispositivo di protezione differenziale dedicato alla tipologia di carico specifica. -Insensibilità per guasti a monte; seppur possa sembrare banale, va però considerato questo aspetto, ovvero che un interruttore differenziale non può intervenire per dispersioni che interessano dispositivi collegati a monte dello stesso interruttore differenziale. Esempio: uno stabile con impianto di terra comune, gli appartamenti A e B sono protetti rispettivamente con un interruttore automatico ed un interruttore differenziale magnetotermico, qualora si verifichi una dispersione nell’appartamento A, l’impianto di terra e quindi anche le masse metalliche dell’appartamento B assumeranno una tensione di contatto Vf.
L’interruttore
differenziale
non
potrà
intervenire,
trattandosi di semplice tensione, e gli utenti dell’appartamento B , consci di esser protetti dal loro interruttore differenziale potranno invece subire un’elettrocuzione toccando una delle qualsiasi parti metalliche collegate a terra (esempio elettrodomestico), non solo ma il differenziale non potrà intervenire anche in seguito ad un elettrocuzione indiretta subita da un utente dell’appartamento A. -circolazione o sommatoria di più correnti di guasto;
Nel caso di un contatto verso masso per difetto di isolamento di due utilizzatori monofase alimentati da una linea trifase, e si suppongano le correnti verso terra di valore inferiore alla soglia di intervento degli interruttori differenziali, si determina la circolazione di una corrente di guasto I
alimentata alla tensione V di fasi L1 ed L3, provocando l’intervento di uno od entrambe gli interruttori differenziali. -protezione a valle dei trasformatori; in questo caso l’installazione di un trasformatore differenziale ha senso solamente se si collegherà a terra la parte centrale dell’avvolgimento secondario del trasformatore fornendo così alla eventuale corrente di guasto verso terra la possibilità di circolare
-transitori di corrente; sono fenomeni che caratterizzano a volte interventi intempestivi dell’interruttore differenziale per la sua elevata sensibilità caratterizzata dalla presenza del suo elemento fondamentale quale appunto il toroide; ad esempio si può manifestare durante un passaggio Y/D (passaggio stella triangolo in fase di avviamento di motori asincroni di media e grossa potenza), in questi casi nel rispetto delle norme si può prevedere l’utilizzo di interruttori differenziali a tempo di intervento ritardato. Bibliografia Quanto esposto è frutto di una rielaborazione di contenuti del testo di riferimento di Officina Elettromeccanica. M.Pirini 1a ediz.1983, a mio avviso utili in quanto chiariscono alcuni aspetti pratici nella quotidianeità dei guasti elettrici relativi agli impianti civili.
5 Interruttore differenziale : considerazioni sul coordinamento e la messa in servizio. Il coordinamento dell’interruttore differenziale con altri dispositivi di protezione dell’impianto elettrico (magnetotermici) si osserva che la portata amperometrica del differenziale non dovrà essere uguale o superiore a quella dei dispositivi presenti, avendo sempre ben presente che la “portata nominale amperometrica” dei dispositivi (int.differenziale e magnetotermici) dovrà esser fatta in funzione della massima corrente di assorbimento dell’impianto che si dovrà proteggere; mentre qualora fossero presente dei fusibili di protezione la portata amperometrica dell’interruttore differenziale non dovrà essere superiore a quella dei fusibili. Il numero di interruttori differenziali da installare a protezione di un impianto elettrico, non segue una precisa regola in quanto la valutazione va fatta di caso in caso in virtù delle esigenze-tipologie di impianto; pertanto non è difficile incontrare impianti elettrici ad uso civile in cui la linea luce e forza motrice sia alimentata dalle due distinte protezioni magnetotermiche a valle di un unico interruttore differenziale. Si ricorda inoltre la necessità di avere nella protezione di un impianto elettrico civile con impianto di terra con una resistenza di
Questo fermo restando la possibilità offerta dagli interruttori differenziali di realizzare una possibile protezione a gradini impiegando interruttori differenziali con caratteristiche di intervento differenti, e in casi specifici, in genere impianti industriali, dove è necessario si impieghino interruttori con correnti di intervento differenti, ad esempio nel caso di particolari macchine operatrici. Una messa in servizio di un interruttore differenziale a protezione di un impianto elettrico ad uso civile andrebbe accompagnata da una verifica o meglio misura della resistenza di terra dell’impianto, ma essendo questa a volte non realizzabile per mancanza di strumentazione , la verifica di funzionamento del dispositivo di protezione va comunque eseguita, ed in genere si realizza con alcune semplici prove: -verifica della protezione con il circuito di prova dell’interruttore differenziale; una volta installato l’int. differenziale lo si alimenta e senza aver collegato nulla a valle dello stesso si preme il pulsante di test verificarne il suo intervento e quindi la sua efficienza
per
-verifica della protezione sotto carico; in questa prova si verifica il funzionamento dei carichi collegati all’impianto elettrico con l’int. differenziale che alimenta l’impianto stesso, ovviamente se tutti i punti luce-prese funzionano, l’interruttore differenziale è efficiente -verifica di isolamento dell’impianto elettrico; si interviene sull’impianto elettrico andando ad aprire tutto gli interruttori dei singoli punti luce, e staccare tutte le spine di tutti gli elettrodomestici o carichi collegati alle prese di forza motrice, quindi quando si è certi di non avere alcun carico sull’impianto elettrico si chiude l’interruttore differenziale e se questi rimane chiuso significa che nell’impianto elettrico non c’è alcuna dispersione, a questo punto si procederà ad inserire i carichi sulle prese e a chiudere gli interruttori luce in una zona alla volta, fino a
completare le zone verificando eventuale intervento dell’interruttore differenziale. Vien da se che se durante una di queste manovre dovesse intervenire l’interruttore differenziale questo indicherà una dispersione verso terra della parte di impianto interessata all’ultimo carico inserito, o probabilmente al carico stesso. L’utilizzo dell’interruttore differenziale in un impianto elettrico consente di prevenire eventuali correnti di dispersione che potrebbero dar luogo a condizioni di pericoli per le persone e cose: -potrebbero ad esempio per effetto joule e quindi sopraelevazione di temperatura in un determinato punto generare un principio di incendio magari alimentate dalla presenza di materiali potenzialmente infiammabili, -le correnti di dispersione sono anche un consumo inutile di energia elettrica da non sottovalutare; ad esempio in un impianto con tensione verso terra di 230 V, una dispersione di 0,6 A nell’arco delle 24h si concretizzerebbe in che diverrebbe una cifra ancor più interessante se la si considera nell’arco di un anno, ecco quindi che il buon interruttore differenziale si è ben ripagato da solo !! -non ultima la sua semplicità di installazione anche in impianti esistenti e senza protezione differenziale, garantirebbe quanto visto anche ad impianti datati senza stravolgere l’impianto elettrico stesso.