Numero 3
Progetto Rorschach
Scrittori A n onim A
WWW.ANONIMASCRITTORI.IT
i Racconti di Marzo
Sommario
Massimiliano Lanzidei
2
Carlo Miccio
3
Graziano Lanzidei
7
Il Progetto è semplice. Si chiama Rorschach come le figurine che gli psichiatri usano per entrarti dentro la testa, perché il metodo è quello.
Piermario De Dominicis
12
Rita Debora Toti
13
Angelo Zabaglio
13
Euridice
14
Emiliano Vitelli
17
Fernando Bassoli
20
Si prende un’immagine e si racconta quello che viene in mente, a ruota libera, di getto o riflettendo, correggendo e vivisezionando.
Fabio Mazza
21
Nient’altro.
Francois De Gerard
23
Ci sono 12 immagini in cantiere e un mese di tempo ognuna per raccontare…
Rorschach 2004 / Marzo
A n o nimA scrittori Anonima Scrittori è un l a b o r a t o r i o i n c ui s i c o n d u c o n o e s p er i m e n ti letterari. I vari progetti cui stiamo dando vita hanno il fine di liberare energie creative. Stimolarci a uscire da quella pigrizia mentale che a volte ci impedisce di sederci davanti a una pagina bianca con una penna in mano. I progetti di Anonima Scrittori si basano essenzialmente su una serie di vincoli: temporali, di lunghezza, di ispirazione … nella consapevolezza che il concetto di limite, lungi dall’inibire la creatività, può esserne stimolo e opportunità. D’altronde: cosa c’è di meglio dall’approssimarsi di una scadenza per spronarci a terminare un lavoro?
Un’idea. La pagina bianca. La sfida.
C r e dits
Progetto Rorschach Disegni:
Rorschach è progetto di Scrittori. E’ partito 2004.
nel
il primo Anonima Gennaio
Ai cinque partecipanti al progetto (i cosiddetti “ r e s i de nt i ” ) è s t a t o consegnato un disegno, la macchia: hanno un mese di tempo per scrivere un racconto, una poesia, un saggio o qualsiasi altra cosa venga loro in mente ispirandosi a quel disegno. Alla fine del mese dovranno consegnare i loro manoscritti che verranno pubblicati sul sito ed in forma cartacea e riceveranno un’altra macchia.
Cristina Govi Scrittori residenti: Piermario De Dominicis Graziano Lanzidei Massimiliano Lanzidei Carlo Miccio Rita Debora Toti Scrittori Fuori Quota: Barbara Amerio Sara Di Trapano Angelo Zabaglio
D o v e trovarci
www.anonimascrittori.it
[email protected] Anonima in Rete:
Chiunque voglia inviare lavori basati sulle nostre macchie può farlo attraverso il sito o l’email
[email protected] e i contributi entreranno a far parte della sezione Fuori Quota.
Riccardo Lanzidei Versione cartacea: Libreria “Le Nuvole” - Galleria Pennacchi—Latina Libreria “Come un Romanzo” Via don Morosini—Latina Pub “Heaven” - Piazza Santa Maria Goretti—Latina Pub Solentiname—Lungomare Vittorio Emanuele II, 13— Sanremo
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ANONIMA SCRITTORI
Rorschach / Marzo Solo un’altra storia d’amore di Massimiliano Lanzidei
L’ultima cosa che vidi prima di svenire fu il maledetto tulipano. E quella maledetta pianta grassa che mi ondeggiava davanti allo sguardo velato di sangue. Paesaggio livido e sanguigno sullo sfondo delle mie percezioni retiniche. Poi il buio. Quando mi risvegliai mi resi conto di aver sognato orrendi mostri striscianti. Dinosauri repellenti dotati di lingue sibilanti e corpacci umidi e viscidi. Vomitai sul tavolo. La cameriera fece un cenno all’uomo dietro al bancone che mi afferrò per il colletto della camicia, mi sollevò di peso e mi accompagno fino all’uscita del pub. L’aria fresca mi fece subito bene. Ruttai. Il barista mi scaraventò contro un bidone della spazzatura dove rimasi afflosciato ad aspettare che l’entrata del bar smettesse di ruotarmi davanti agli occhi. Quando l’ondeggìo si fu quasi stabilizzato vidi uscire la cameriera con in mano un’inverosimile quantità di carta accartocciata che intuii fosse servita alla pulizia del tavolo che avevo imbrattato. Buttò tutto nel bidone. Il coperchio risuonò plastico e metallico allo stesso tempo nella mia testa. Mi alzai e mi sporsi quasi per intero all’interno del secchione e frugai a tentoni finché non raggiunsi l’involto umido. Sorrisi quando le mie dita rintracciarono il tulipano ancora quasi intatto. Era solo leggermente storto. Lo annusai... NU M E R O 3
Lo osservai in controluce, poi lo addentai. Sulla corolla: strappando a metà tutti i petali: li sentii scricchiolare tra i denti e freddi sulla lingua. Poi li sputai a terra. Mi guardai intorno, respirai a fondo e risi. - Cazzo, - disse soddisfatto allontanandosi dalla scrivania mentre rileggeva le ultime righe sul monitor del computer, cazzo, questo sì che è un finale come si deve... E così la fine c’era: adesso toccava all’inizio. Si riavvicinò alla tastiera del portatile. “Ero solo quella sera in quel cazzo di pub: m’avevano rimasto solo quei quattro cornuti: e quella ragazza l’avevo già notata qualche volta: quando si alzò per venire dalla mia parte ebbi una sensazione di già visto. - Ciao, - mi disse,- questa è per te – porgendomi un foglio di carta e uscendo dal locale seguita dal mio sguardo a pesce bollito. Era una poesia intitolata Il tulipano narcisista. Era la prima volta che qualcuno scriveva qualcosa per me.” Così era fatta: c’era l’inizio, c’era la fine: a chi poteva interessare tutto quello che sarebbe successo in mezzo? ...dedicato a Serena, vera Musa ispiratrice.
Explicit Lyrics ovvero della percezione di se stessi attraverso le parole del proprio oggetto d’amore
sala è corredata di una quindicina di tavoli, una televisione che nessuno guarda sintonizzata sulla CNN, ed un acquario che corre lungo tutta una parete, luminoso e curato nei minimi dettagli. Pesci multicolori si aggirano tra piante marine e rocce effervescenti, l’acqua è pulitissima e la temperatura interna indica 29°. La sala è mezza vuota, o mezza piena se preferite, una famigliola radical-chic, un paio di coppiette e una squadra di calcetto femminile al termine dell’allenamento. Su un tavolo adiacente all’acquario, totalmente soggiogata dal movimento dei pesci dentro l’aquario, siede una ragazza sui trent’anni, completamente sola, con la borsetta appoggiata sulla sedia accanto. Davanti a se una scodellina di aperitivo cinese al ginepro, praticamente intonsa. La gente si domanda distrattamente cosa faccia una donna sola davanti ad un acquario così grande, e lo stesso fa lo staff in idoma mandarino, lanciando sguardi distratti ai sottotitoli in inglese della CNN. Lei avverte la curiosità dei presenti, ma non se ne cura e continua ad osservare i pesci. Che a loro volta si sentono osservati e si avvicinano al vetro per fissarla intensamente negli occhi. La ragazza a volte ride di gusto alle espressioni dei pesci, ma cerca di non darlo a vedere. Un giovane vestito da impiegato ministeriale entra nel ristorante, guarda la donna sola assorta nell’aquario, e sorride divertito avvicinandosi al tavolo. Lei si accorge della presenza di lui e si volta. Lui si abbassa a baciarla sul collo. COLPO DI SCENA : la donna non è sola, era soltanto in attesa del cavaliere. La folla mormoreggia un po’, e una cameriera cinese in divisa si avvicina con una secondo aperitivo al ginepro. Lui si siede sulla sedia di fronte a lei, l’acquario posizionato di fianco ad entrambi, ora. Tra di loro, un vaso cinese con dentro 3 (tre) tulipani di plastica arancione. Nel vaso c’è acqua vera, ma i fiori sono comunque di plastica.
di Carlo Miccio
“Come è andata la giornata?” domanda lei raccogliendo il menù porto dall’inserviente cinese.
Interno sera, ristorante cinese, una folla di inservienti in divisa scorrazzano fra i tavoli riempiendo la sala di fonemi cinesi incomprensibili alla clientela. La
“Una chiavica…”mormora lui scrollando le spalle e fissando un punto inesistente nella trama della tovaglia.
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Rorschach 2004 / Marzo “Perché una chiavica?” incalza lei, con un tono reso ancora allegro dall’espressione dei pesci nell’acquario
da solo 4 mesi e si fa capire bene in Italiano vuol dire che è una donna intelligente….”
“Margaret mi ha fatto un megacazziatone oggi…’sta grandissima stronza inglese che non è altro….”
Lui la fulmina con occhi di bragia, e per un attimo tra i due galleggia un silenzio sospeso carico di dubbi. “Mi fa sedere nel suo ufficio – riprende lui – e mi dice che è successa una cosa moooooolto spiacevole. E mi ricorda che la visione di materiale pornografico durante l’orario di lavoro è strictly forbidden, fermamente proibita.”
“Margaret la nuova direttrice del personale, quella di Londra?” Lui non risponde, semplicemente si limita a scuotere la testa in segno d’assenso. “Mi avevi detto che era carina, una donna piacente e ben vestita , per essere un inglese…” Lui solleva il capo dalla tovaglia: “Adesso che c’entra che sia una donna piacente? Comunque è una stronza puritana del cazzo” sibila via con rabbia “Puritana? – chiede lei – Puttana o puritana, insomma?” “Non ho detto puttana – alza la voce lui – ho detto stronza- puritana- del cazzo!” Ormai il suo nervosismo è fin troppo evidente. In quel momento arriva la cameriera a prendere gli ordini: i due elencano nomi cinesi incomprensibili con la sicurezza che solo l’abitudine può dare. La cameriera sorride e si allontana. “Insomma, mi dici che è successo?” domanda lei, allungando la mano sul tavolo per accarezzare la mano di lui. “E’ successo che verso le tre, appena rientrati dal pranzo, passa Marisa e mi dice che la Capa vuole vedermi. Io vado in ufficio convinto che volesse parlarmi di quel lavoro a Trieste, invece appena entro la guardo in faccia e capisco che è incazzatissima. Mi dice di sedermi e poi inizia a parlare.” “In italiano o in inglese?” domanda lei, e la domanda lo fa alterare ancora di più: “Ma che cazzo te ne frega in italiano o in inglese, non mi ricordo neanche più…..” “Ma parla bene l’italiano Margaret?” “Si insomma, direi di si, con me parla sempre mezza e mezza, inizia la frase in Italiano e poi la finisce in Inglese…ma comunque, non è importante….” “Si che è importante -dice lei – se è qui
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“Pornografia? Quale pornografia?” la voce di lei adesso è attenta e totalmente calata nella narrazione di lui. Ha staccato la mano da quella del consorte e gingilla nervosamente con il gambo di uno dei tulipani di plastica arancione. “E, appunto, anch’io le ho chiesto: quale pornografia? E lo sai che mi risponde questa deficiente anglosassone? Mi dice che è stato fatto un controllo random nei computer della rete aziendale e che nel mio avevano trovato materiale pornografico..” “COSA!!!!” strilla lei, il tono della voce così alto da raggiungere gli altri tavoli, mentre la cameriera si avvicina con un vassoio di involtini primavera e relative salse. Sullo sfondo, la CNN sta trasmettendo le immagini di ragazzini palestinesi che prendono a sassate un carroarmato dell’esercito israeliano. Sotto le immagini una scritta veloce di cui si percepisce soltanto la parola progress. La cameriera si allontana augurando buon appettito. “Cosa???Pornografia??Nel tuo computer in ufficio??? Ma che sei matto???” adesso il tono della voce di lei era leggermente ansioso, si respirava nel suo alito la confusione che avvolgeva ogni suo pensiero.Lui la guarda noncurante, anzi quasi offeso:
“Ti hanno licenziato?” domanda secca lei “Non mi hanno licenziato, cazzo, stai zitta almeno cinque minuti, per l’amor del fottutissimo cielo”. Adesso è il tono di lui a tradire nervosismo: aveva passato una giornata a cercare di spiegarsi, e neanche ora ci stava riuscendo, con sua moglie mentre mangiavano nel loro ristorante cinese preferito..e poi aveva anche notato che il vaso ripieno di fiori di plastica era colmo di acqua vera, e la cosa misteriosamente lo disturbava assai… “Insomma – riprende aggressivo – ad un certo punto domando alla stronza che cosa cazzo c’era dentro questa pornografia, che cosa aveva trovato, foto, filmini, disegni…e sai che mi risponde la stronzissima?” “No, dimmelo tu” Adesso è lui a dettare i tempi del racconto, improvvisamente si sente sicuro, e si concede un paio di secondi di pausa per inforcare un secondo involtino, prima di interrompere il silenzio. “Pornotetris. Stava parlando del Pornotetris, sta repressa vittoriana del cazzo…” esclama con gusto lui, e dal tono della voce si capisce che implicitamente si attende tutta la comprensione della moglie. Che invece continua a non capire,e chiede: “Cos’è il pornotetris?” In quel momento arriva la cameriera con nuove portate, wanton in brodo e noodles al pollo e gamberoni, che sentendo le parole di lei inizia a ridere e a ripetere “polnotetlis, polnotetlis, hi hi hi”, per riallontanarsi poi verso le cucine, sempre ridacchiando tra se e se. Lui attacca solenne la sua spiegazione:
“Se mi lasci parlare 5 minuti di seguito – dice lui agguantando un involtino – forse riesco a spiegarmi”.
“Dai, te lo ricordi il tetris? Quel
“Comincia” dice lei, versandosi dell’acqua minerale nel bicchiere.
forme e colori diversi che cadono giù
“Insomma, mi dice che ho del materiale pornografico nascosto nel computer e io dico: Ma stiamo scherzando vero? Non può essere. Ma lei continuava a scuotere la testa, che mi avevano beccato e tutto ciò era contrario alla politica aziendale…..”
videogioco dove ci sono mattoncini di sempre più velocemente, e tu li devi sistemare su un unico livello, e così fai punti e vai avanti???dai che ci abbiamo anche giocato insieme, sul computer di tuo fratello, l’anno scorso a pasquetta…
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo è probabilmente il videogioco più
porno…”
famoso del mondo, ha nutrito i
La cameriera sembra sintonizzata sulla parola Porno, perché puntuale risbuca fuori con 2 porzioni di pollo alle mandorle adagiate su un letto di riso alla cantonese
polpastrelli di almeno 4 generazioni di ragazzini, tra cui la nostra, e anche quella di tuo fratello, e questa mi viene a rompere le scatole per il pornotetris…” “Ok, - fece lei sconcertata, inforcando i noodles strafritti nell’olio di soya – che c’entra il Tetris con il porno?” “C’entra che due giorni fa sul sito di Repubblica c’era questa nuova versione, che si chiama Pornotetris. In pratica invece dei mattoncini ci sono dei pupazzetti in sagome da kamasutra, e tu devi incastrare loro invece che i mattoncini. Tutto qua. E’ un videogioco, innocentissimo videogioco, l’ho scaricato dal sito di Repubblica, mica Analsex.com,poi per farmi una risata, ho fatto un paio di partite, l’ho schiantato fino all’ultimo livello, quando esce la scitta “ORGASMO MULTIPLO”, e poi me lo sono dimenticato li dentro. E poi, oggi, hanno fatto una delle solite ricerche del cazzo, con parole chiavi, tipo sesso, porno, pompini etc etc : allora se c’hai il pornotetris il server ti segnala all’ufficio personale, ma se invece dentro il pc c’hai il filmino di biancaneve che si fa stantuffare dai 7 nani, allora non risulta niente, perché nano non è un termine offensivo, o almeno, non è vietato…..capito?”
“Blavi, blavi, polno, polno, mio malito mai polno, semple dolmile lui, lui stanco e vole dolmile” Lui se la guarda stupefatto: eccone un’altra che non ha capito un cazzo e deve dire la sua…la voce della moglie lo distoglie da alcune violente riflessioni sul kung fu. “Non ci posso credere che ti sei fatto beccare col porno nel computer, ma che sei un ragazzino segaiolo????” Adesso lui si inizia a scaldare veramente: “Ma falla finita pure te…insomma mi sono alzato dalla sedia e l’ho guardata negli occhi a Margaret, …...” “E’ una bella donna vero?” l’interrompe lei, ricevendo di rimando un’occhiataccia di sdegno dal consorte, che riprende: “L’ho guardata negli occhi e le ho detto, in inglese: Margaret, ma che razza di idea di pornografia hai tu?” “E lei?”
“Insomma – rispose lei sconsolata - ho capito che ti scarichi le cose porno da internet…”
“Non mi ha risposto, e allora ho incalzato, le ho chiesto se secondo lei c’erano persone al mondo che potessero “realmente” eccitarsi con il pornotetris, e poi le ho chiesto se per caso lei non si eccitava con quel cazzo di giochino…”
“E’ proprio quello che mi ha detto
“NNNNNNNNNNOOOOOOOOO?!?!? ……”
Margaret, quella stronza di Margaret Anderson…insomma, le ho detto, fai la seria, è solo un video-gioco, serve solo a farsi due risate e rilassarsi, ma quale porno, ma lei no, inflessibile, mi guarda fissa negli occhi e mi dice “I think is porno, and it’s not allowed in here…” “Che vuol dire allowed?”domanda lei “Permesso, not allowed vuol dire che non è permesso, perché secondo lei è
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“Si invece,e poi ho iniziato ad urlare e a dirgli che era una repressa anglosassone del cazzo, e che tutta la cultura di cui era impregnata il suo paese si basa sulla repressione sessuale, e che attraverso ciò impediscono alla gente di essere quel che vorrebbero veramente essere, e non sono capaci di manifestare le loro vere emozioni a meno che non si bevono una decina di pinte, e che…” “Davvero le hai detto questo?” La domanda di lei arriva con un tono piatto, neutro e senza emozioni
“Certo” risponde coinciso lui, convinto di aver finalmente raggiunto l’oggetto della sua ansia comunicativa, esprimere quel senso di tradimento che si stava vivendo addosso da quel pomeriggio, quando era stato accusato di essere un pornografo solo per esseresi rivelato curioso su una nuova dimensione del videogioco più venduto ed emulato al mondo negli ultimi venti anni… “Certo” pensa lui, però non così lei, che a sua volta inizia a deformare il tono della sua voce con modi astiosi ed epiteti sempre più marcatamente volgari: “Certo un cazzo, questi ti danno un lavoro, e un computer per lavorarci, e tu ti ci scarichi dentro pornografia: ma che sei rincoglionito????” Lei stenta a credere a quello che è successo, ma il punto era che neanche lui ci crede, ma tutte e due intimamente dentro di loro sanno che il fatto è veramente successo, è R-E-A-LT-A’. E pian pianino le loro alterazioni crescono, simmetriche ma opposte, strillano sempre di più, aumentando il volume e l’astio nei loro toni di voce. “Che cazzo c’entra: mi danno un lavoro ed un computer???Fino a prova contraria sono io che presto il mio lavoro, il mio cervello, e lo faccio anche bene, ed in regola con i tempi, per cui ho tutto il diritto di spendere 5 minuti su un videogioco…” “Un videogioco pornografico…” “Un videogioco, cazzo, serve a videogiocare, non a masturbarsi…e comunque il mese scorso con il mio lavoro ho fatto ricavare all’azienda dieci volte di più di quello che loro mi pagano di stipendio..dieci volte capisci, il mio lavoro gli costa 100 ma gli produce mille, e poi mi trattano come un ragazzino segaiolo…ma quando ce l’avevo il tempo di fargli guadagnare tutti quei soldi se passavo il giorno a scaricarmi il filmini di Sylvia Saint????” “Chi è Sylvia Saint?” “Una nota pornostar, ecco chi è Sylvia Saint” “Nota non certo a me: tu come fai a conoscere i nomi delle pornostar????” La discussione lentamente ma inesorabilmente si assesta sui binari di un’incomprensione totale: lei si
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo domanda che bisogno abbia mai suo marito di ricorrere alla pornografia, lui dal canto suo non riesce a capire come mai la moglie non veda l’evidenza dell’ingiustizia che gli era stata perpetrata, e non riesce a smettere di pensare un pensiero sconvolgente: ma sua moglie, che razza di persona pensava che lui fosse? Cosa amava di lui, che cosa l’aveva veramente fatta innamorare, almeno all’inizio….e come faceva a far coincidere quell’idea di lui con quella dell’impiegato sporcaccione che usa internet per scaricarsi il porno??? Ma era possibile che lei davvero pensasse questo di lui? Ma era possibile che incomprensioni del genere potessero davvero accadere fra loro? Ma era possibile che magari lui fosse davvero uno sporcaccione, e che nella sua fallocratica miopia non se ne fosse mai accorto? Sente il bisogno di uscire da quell’opprimente immagine di se, le accuse e i dubbi di sua moglie lo stanno sgretolando dentro più di quanto potesse sgretolarlo quel licenziamento che poi, alla fine, non c’era più stato, perché Margaret aveva concluso dicendo “Not this time, non questa volta” ….. “Ma fammi capire una cosa – si sforza di proseguire lui- ma tu non ti incazzeresti se il tuo preside mettese il naso nel tuo cassetto in sala dei professori?” Lei lo guarda distratta, un’altra volta assorbita dai pesci nell’acquario, e risponde che lei comunque non tiene giornaletti pornografici nel cassetto a scuola. “Non era pornografia, cazzoooo, era il tetris, solo un’altra sfacciata, goliardica versione del videogioco più popolare del mondo…non ti ecciterebbe giocarci…” “A me comunque non mi eccitano i film pornografici” taglia corto lei, che probabilmente film pornografici però non ne aveva mai visti, pensa lui. La cameriera si ripresenta con un contorno di alghe fritte mentre tra i due aleggia un silenzio denso come un macigno: “non essele tliste plima di polno, dopo si, ma plima no….” Pronuncia questa frase con il tono da massima confuciana che solitamente li faceva ridere sempre tutt’e due, quando ordinavano pollo fritto in agrodolce..ma
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stavolta no, non li fa ridere. In quel momento la CNN sta trasmettendo un servizio sule finali NBA, e lui nota che le ponpon girl sono molto più pornografiche dei pupazzetti del pornotetris: chissà se Margaret guarda mai la CNN…… Lui si sente avvolto in quel genere di tristezza che di solito avvolge i comuni mortali dopo esposizione ininterrotta alle news per più di due ore, quando vi hanno raccontato tutto e tutti, dalla guerra al fantacalcio, da Saddam a Michael Jackson, senza però riuscire a spiegare nulla …..sente il bisogno, la necessità assoluta, l’imperativo categorico, di spiegarsi, di essere capito, di essere certo che tutti gli altri, ma soprattutto sua moglie, capiscano che la pornografia non è davvero un suo hobby….e quindi dopo un po’ riprende a parlare: “Ma scusa, non riesci davvero a vedere che lo sconfinamento nella virtualità esorcizza del tutto la perversione del pornografico?” “Parla italiano con me – rispose acida lei – che sennò non ti capisco…..” “Pensaci un po’…-dice lui fissandola negli occhi - se mettono l’acqua vera ai fiori finti magari allora anche i pesci nell’acquario sono di plastica. Intendo dire… nella Società dello Spettacolo tutto è intrattenimento e per questo l'intrattenimento deve essere continuamente hackerato, sabotato, ridefinito. Anche Baudrillard lo dice……” Un urlo strozzato di lei lo interruppe al suono della parola: Baudrillard (pronuncia bo-dri-gliard): “Basta, mi hai rotto i coglioni con queste menate, tu baudrillard e la rivoluzione elettronica, e poi le paranoie del controllo, e la parola che è un virus, ed il contagio sociale, e tutte quelle altre stronzate con cui ti nutri dalla mattina alla sera…ma non puoi guardarti le partite alla tele come tutti gli altri, cazzo??? Ho sposato una persona che vive di pippe mentali, anzi no, magari qualcuna vera con il pornotetris te la sarai anche fatta…” Una repressione sorda, nata chissà
quando, anima la sua voce, come una gelosia cieca ed immateriale contro chissà quale nemico….un nemico nel quale lui di certo non si riconosce: possibile??? pensa lui. “Ah, sono tutte cazzate allora, hai appena scoperto che sei sposata da due anni con un pippaiolo debosciato di 40anni, e non sei contenta, però fino all’altra sera c’eri anche tu a giocare al simulatore di orgasmi, al tamagotchi Co.Co.Co. e a tutti gli altri videogames concettuali su www.molleindustria.it, o sbaglio? E alla scommessa su www.delirouniversale.com sulla morte del papa, li ci hai puntato dieci euro veri, non virtuali, o sbaglio???? O sbaglio?” La rabbia gli strozza le parole in gola, epperò si sforza di continuare.“Un marito virtuale, ecco cosa ti sei sposata vero, un deficiente tardoadolescenziale che lavora in una ditta di merda, con una manager ottusa, in un settore in crisi, e si fa le pippe davanti al computer…ma chi cazzo credevi di sposarti? Dimmelo ora, chi cazzo pensavi di sposarti????” Lei è stanca ed oramai anche un po’ imbarazzata, tamburella le dita sul tavolo rimestando con lo sguardo il risotto multicolore nel piatto del marito. In televisione parte uno spot: cartaigienica, ma la musica è sparata a volume assassino: è la voce di Elvis che canta “Love Me Tender”. Per un attimo sulla guancia di lei brilla un luccichio sospetto: “Senti, finiamola qui- dice lei -, riparliamone a casa, adesso calmiamoci, finiamola” . E poi aggiunge: “Game over, ok? GAME - OVER”.
Game Over, proprio così, dice Game Over per chiudere il discorso, ed il discorso finisce li. I due si alzano e tutto quel che rimane è una tovaglia sporca, qualche briciola e un vaso pieno di acqua e fiori di plastica. Nota dell’Autore: per verificare da voi stessi, il Pornotetris si scarica clikkando qui: okkio, che lo.zip file pesa 1.8 mega. http://www.shadowgate.it/files/pornot etris.zip Buona partita☺
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo Amore perfetto di Graziano Lanzidei
per fare come l’altre fanno. E’ bisogna oggi portare
ritoccata da poco. “Di quali reati contro il SignorenostroDio si sono macchiati questi peccatori?”
(Roma, 1493)
Gli occhi drieto e non davanti,
Dentro quella cella l’ambiente era soffocante. L’umidità si condensava sulle pietre e, gocciolando a terra, formava un acquitrino che si mischiava con urina e feci. Il pagliericcio che costituiva il giaciglio su cui riposare era completamente fradicio. Una donna tossiva continuamente e due uomini parlottavano vicini.
né così possi un guardare:
Però noi facciam senza
“Esattamente Magister”.
“Basta! Non mi concentro a dovere! Devo ricordare una canzone da dedicare al mio amico” gridò Timoteo guardando con occhi severi la povera donna che stava piegata sul pagliericcio tenendo una mano all’altezza dello sterno.
Di questo nostro ire addietro
“Verranno interrogati secondo le tecniche illustrate dal Mallus Maleficarum domani mattina appena il sole si sarà destato” sussurrò sottovoce alla guardia in maniera tale che anche i prigionieri sentissero.
“Non posso farci niente – quasi biascicò la donna – E’ da parecchio tempo che mi trovo in queste condizioni”. Il terzo cercava di far finta di nulla, da un lato la pena per la donna e dall’altro la gioia che quel bel ragazzo gli volesse dedicare una canzone. All’improvviso Timoteo con il piede gettò uno schizzo di acquamistomerdaepiscio sulla donna, in segno di disprezzo. “Spero che la tua fine sia vicina, non ti sopporto più” avvicinandosi e sussurrandogli queste parole all’orecchio. “Che tu sia maledetto” lei cercò di gridare con quanto fiato aveva in gola. “Alessandro… cosa ne pensi? La vogliamo uccidere noi? … magari guadagniamo il perdono da parte degli Inquisitori” disse Timoteo facendo l’occhiolino al suo compagno di cella. “Ma… io… non me la sento…” ed iniziò a piangere combattuto com’era tra il terrore di trovarsi in mano all’Inquisizione, la pena per la donna malata e il fascino irresistibile di quell’uomo. “Ah! Ecco! Mi viene in mente una canzone del mio amico Lorenzo… di Firenze…” e prese a cantare “Le cose al contrario vanno Tutte, pensa a ciò che vuoi: come il gambero andiam noi,
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traditor siamo tutti quanti; tristo è che crede a sembianti chè riceve spesso inganno.
È s’intende, oggi ognun l’usa: questo è ‘l modo consueto chi lo fa, dunque, stia cheto; noi sentiam che tutti il fanno. “E’ dedicata proprio ai sodomiti come te, Alessandro” disse ammiccando Timoteo. Dentro la cella calò il silenzio dovuto all’imbarazzo ed alla rabbia. L’avrebbero ucciso loro, iniziò a pensare Alessandro che non aveva gradito granchè la dedica. Il perdono da parte dell’Inquisizione l’avrebbe guadagnato comunque, no? Sentirono un rumore di passi che si faceva sempre più vicino. Passi di diversi uomini. Alessandro e la donna si alzarono e si misero al fianco di Timoteo, schiacciati al muro. Nei loro sguardi puro terrore. Arrivò un uomo armato. Iniziò a scrutare l’interno cella. “Uscite dall’ombra, peccatori. Sta arrivando l’Inquisitore della Santa Sede”. Nessuno si mosse. Tutti gli sguardi si concentrarono su Timoteo. Come se attendessero una sua mossa. “Uscite dall’ombra. Questa ritrosia verrà considerata prova inconfutabile delle accuse a vostro carico!” Alessandro e la donna fecero un balzo in avanti. Timoteo stava inginocchiato a terra a cospargersi il corpo con l’acqua lorda che stava sul pavimento. Si rialzò lentamente e si avvicinò alle inferriate quasi ringhiando. Dopo qualche istante arrivò l’inquisitore nella sua tunica bianca e marrone. La tonsura era abbastanza evidente, quasi fosse stata
“La Santa Inquisizione ha portato davanti alla giustizia divina un sodomita, tal Alessandro da Benevento, e due persone dedite alle pratiche di stregoneria, Timoteo da Vienna e Camarilla da Roma”. “Tutti servi, ognuno a modo suo, del Maligno, mi sembra di capire”.
Alessandro tremava come una foglia, Camarilla iniziò a piangere singhiozzando mentre Timoteo aveva dipinto sul volto un ghigno da animale in gabbia. L’inquisitore fece un cenno sbrigativo alla guardia armata e, prima di andarsene, gettò un fiore all’interno della cella. “Il solo amore perfetto è quello verso Dio. Credo che questo fiore orientale possa donarvi la giusta ispirazione per ritrovare la strada del Signore”. (LATINA, 2004) All’interno della Questura la tensione si tagliava con il coltello. L’omicidio Labanti aveva scosso tutti i poliziotti in servizio. La mobilitazione per trovare il colpevole era stata massiccia ed era durata tutta la notte. In quella città non erano abituati a delitti di inaudita violenza. Dopotutto non era quella «la città che dormiva» come l’aveva definita il Commissario Capo, Marco Tinigri, alle nuove reclute? In quel momento entrò il portiere del palazzo in cui la famiglia Labanti abitava ormai da anni per un interrogatorio. “Commissario è arrivato il portiere!” “Arrivo subito, Otinetti, fallo accomodare”. Tinigri stava finendo di assaporare una sigaretta, la prima dopo tanti anni. Continuava a fumarla affacciato alla
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Rorschach 2004 / Marzo finestra fissando le macchine che passavano ed i movimenti nei negozi di fronte. Non riusciva a togliersi dalla mente il ricordo del corpo straziato della donna. Un corpo quasi totalmente privo di sangue, preso a morsi un po’ ovunque, le dita rattrappite per il dolore e lo sguardo fisso in una espressione di terrore. Scosse la testa. Spense la sigaretta nel posacenere. Si avviò nell’altra stanza. “‘Ngiorno Commissà“ fece il portiere sorridendo. Un’espressione che si tolse subito dal volto appena riuscì a focalizzare l’aria turbata di quello che l’avrebbe dovuto interrogare. “Buongiorno Signor Braga – mormorò Tinigri – si è ripreso?” “Be… diciamo di si… conoscevo la signora Labanti ma nun me sarei mai immaginato che potesse fa ‘sta fine” “In che senso?” “Ner senso che la signora non usciva quasi mai de’ casa. Non riesco a capì perché l’hanno ammazzata!” “A questo ci pensiamo noi. L’abbiamo chiamata per sapere i movimenti avvenuti ieri all’interno del palazzo”. “Che je devo dì… ieri pioveva e c’è stato un viavai continuo. Er marito de la signora è uscito presto de’ casa… fa il ricercatore alla CDS… quell’associazione pe’ donà ‘r sangue…- Tinigri prese un foglio di carta, tirò fuori la penna dalla giacca pronto a segnare qualsiasi informazione – la moje me pare che fosse annata a fa la spesa…che potevano esse… le 10 e mezza… le undici… perché a quell’ora io me stavo a vedè un telefirm su Itaia 1… - iniziò a grattarsi la testa – Ah! Mo che me ce sta a fa pensà… me ricordo che… mentre stavano a fa la pubblicità me pare che era rientrata co’ n’artra persona… se conoscevano… perché lei stava a ride… - Tinigri seguiva con attenzione – e so’ saliti coll’ascensore… - volse lo sguardo verso il basso - poi la signora non l’ho mai più rivista. Viva intendo”. “Si ricorda com’era fatta la persona con cui stava la signora? Cosa stava facendo? L’aiutava a portare la spesa, per esempio?” “Era un signore molto alto, biondo, muscoloso… m’o’ ricordo bene…
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giacca e cravatta… ed era veramente pallido… pallidissimo da fa paura… pe’ me quello ar mare nun c’è mai annato…”
gambe levate. Dentro quella cella, con quell’umidità e con la condizione in cui versavano sembrava una proposta come un’altra. Da valutare.
Tinigri rimise la penna in tasca e si alzò dalla sedia dietro la scrivania. Volse lo sguardo verso Otinetti.
“Come fai a togliermi il sangue? Non ci sono le sanguisughe…”
“Continua tu… io vado nel mio ufficio. A proposito, chiama uno per l’identikit così proviamo a concludere qualcosa almeno entro questa mattina”. Rientrò nel suo ufficio. Mosse leggermente il mouse per interrompere lo screensaver. Si accomodò. Nei plichi di fogli e cartelle ai suoi lati cercò il materiale relativo al caso Labanti. Il rapporto provvisorio della Scientifica, ad esempio. Da qualche parte doveva esserci qualche straccio di indizio, no? Squillò il telefono. “Commissario? Ha telefonato il Centro Donatori Sangue… vorrebbero conferire per il caso Labanti… nella loro sede…” (ROMA, 1493) All’esterno pioveva e tuonava. Dalle fessure in alto continuava a gocciolare l’acqua e la situazione, sul pavimento, era peggiorata molto. A peggiorare erano state anche le condizioni di Camarilla che, ormai, non riusciva più nemmeno a dormire a causa della tosse. Alessandro versava in condizioni mentali disperate mentre Timoteo stava perdendo la sua proverbiale arroganza, come se si stesse affievolendo lentamente. “Non resisto... Non dormo da diversi giorni e nessuno ci inquisisce. Non è questa la dimostrazione che non sono una strega? Sarei guarita da sola, no?” “Camarilla… un rimedio… volendo… ci sarebbe…” sussurrò Timoteo che stava abbandonato sul suo pagliericcio in un cantuccio, all’ombra. “Quale?” domandò incuriosita la donna tra un colpo di tosse e l’altro. “Vuoi dormire? Basta soltanto toglierti un po’ di sangue. Calma l’organismo… talmente tanto… che potrebbe permetterti di riposare”. La donna aveva l’aria riflessiva. La proposta di Timoteo, in condizioni di normalità, l’avrebbe fatta ridere di buon cuore o l’avrebbe portata a fuggire a
“Ci penso io… un morso al collo… in mancanza delle sanguisughe…” Alessandro faceva finta di dormire… non riusciva nemmeno lui a riposare dentro quell’umidissimo letamaio. Ascoltava in silenzio quasi terrorizzato. Timoteo negli ultimi giorni gli era tornato simpatico. Si era calmato ed era sembrato anche più affabile. “Un morso al collo?” aveva domandato quasi inorridita Camarilla “Sono un medico… se non avevo sanguisughe a disposizione dovevo inventarmi qualche cosa, no? Mi si sono sviluppati, nel tempo, anche gli incisivi… Guarda?” e mostrò la sua strana dentatura “Perché non mi hai aiutato prima se sei un medico?” la donna sembrava avere l’aria offesa. “Pensavo che migliorassi spontaneamente… non credevo che la situazione sarebbe peggiorata così tanto” ed il tono dell’uomo sembrava tra i più sinceri che avessero mai sentito. La donna mostrò il collo a Timoteo reclinando lentamente la testa da una parte. Passarono solamente una manciata di secondi e l’uomo si avventò sulla giugulare della donna e prese a succhiare per quelli che sembrarono, almeno ad Alessandro, minuti lunghissimi. Finita l’operazione la donna venne adagiata sul pagliericcio, addormentata. “L’hai uccisa?” chiese piagnucolando Alessandro. “No. Sta dormendo. Non voglio uccidere nessuno. Voglio aiutarvi” “Puoi aiutare anche me?” “Si. Posso aiutare anche te” Alessandro si mise a sedere sul pagliericcio e mostrò il collo a Timoteo. Quest’ultimo si avventò con meno foga su Alessandro. Il beneventano provò un piacere sublime sia perché l’uomo lo stava “baciando” sul collo sia perché
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Rorschach 2004 / Marzo provava una sensazione di abbandono corporeo. Piacere che lo fece sentire realmente e consapevolmente colpevole delle accuse fatte dalla Santa Inquisizione a suo carico. Timoteo abbandonò anche lui sul pagliericcio in uno stato di sonno profondo. Sorridendo. (LATINA, 2004) La sede del CDS si trovava in una lussuosa villa in centro città. Ad aver telefonato in Questura era stato il Presidente della Fondazione, Presidente anche di una multinazionale importante. Tinigri, prima di recarsi, si era informato. Aveva scoperto che la CDS era una fondazione che, in breve tempo, aveva soppiantato le vecchie associazioni di donatori del sangue. Una fondazione privata che viveva soltanto con i finanziamenti di una multinazionale. C’era anche un loro spot, ci aveva fatto caso da poco, che girava per tutte le televisioni. Iniziava con un tulipano che stava morendo cadendo verso terra, quasi adagiandosi. Sul fondo, viola e blu la facevano da padroni mischiandosi e contorcendosi. Appena visibili dei rami secchi. All’improvviso una goccia di sangue cade in terra. Il tulipano inizia a rivivere ed a riprendere colore. I colori dello sfondo diventano quelli di un’estate meravigliosa. Giallo, rosso, verde, azzurro. Fuori campo una voce calda, sensuale e femminile dice:«Dona la vita anche tu». Dissolvenza. Fermo immagine del logo. Un tulipano stilizzato. CDS. “Commissario, la stavo aspettando” Tinigri venne preso alla sprovvista. Fece un balzo. “Mi dispiace di averla spaventata. Piacere Riccardo Pagliaroli, VicePresidente della CDS. Il Presidente Costantino non la può ricevere oggi. Ci siamo noi dello staff, comunque, e le daremo tutta l’assistenza possibile”. Il VicePresidente aveva tutta l’aria di essere un uomo di scienza. Occhiali rotondi, faccia a triangolo rovesciato, capelli ricci leggermente più lunghi del normale e aria assolutamente mite. Si sedettero all’interno di una sala riunioni molto elegante. Moquette, tavolo in legno pregiato e sedie in pelle.
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“Per quale motivo mi avete convocato qui?” “L’abbiamo convocata presso la nostra sede perché il signor Labanti, che sta arrivando in aereo da Madrid, è un nostro dipendente” “E con questo? Avete qualche informazione che può esserci utile e che fa riferimento alla vostra fondazione?” “Non propriamente. Sappiamo che qualcuno vuole cercare di fare del benchmark scorretto nei nostri confronti…” Tinigri lo guardava sconcertato, l’uomo continuava imperterrito come se stesse leggendo una ricetta “abbiamo dovuto istituire un corpo di polizia privata e stiamo avviando delle indagini”. “Non credete nel lavoro della polizia?” il Commissario avrebbe voluto gridare, strillare, puntargli la pistola, prenderlo a sberle ma doveva mantenere la calma. “No. Non intendevo questo. Mi perdoni se le ho dato un’impressione sbagliata. Crediamo nelle istituzioni. Tutte. Indistintamente. La nostra è, se vogliamo, un’azione preventiva. Dobbiamo sapere cosa succede per preservare la nostra fondazione da qualsiasi attacco esterno…” “Siete una fondazione di donatori di sangue… non riesco ad immaginare chi possa esservi nemico” il tono era veramente stupito. “Se ho parlato esponendomi così tanto è perché siamo sicuri dei dati in nostro possesso. Il sangue è un bene primario, prezioso e c’è qualcuno che vorrebbe lucrarci senza fare troppa attenzione alle leggi che regolano il mercato. Noi della CDS dobbiamo tutelarci”. “Ho capito… Posso parlare con qualcuno della vostra polizia…privata per vedere a che punto sono arrivate le vostre indagini?” “Certo” e pigiò un tasto sull’interfono “Puoi far venire il signor Ferrucci?” e rivolgendosi nuovamente al commissario “Sa… dall’esterno sembra tutto pacifico, calmo. Noi, invece, dobbiamo fare i conti con una associazione criminale, tutti i giorni”. “Potevate rivolgervi alla polizia… ed evitare magari che ci andassero di mezzo altre persone”
Pagliaroli ebbe uno scatto d’ira, subito represso. Si aprì la porta alle spalle del commissario. Entrò un biondo, muscoloso, pallidissimo ma che non corrispondeva all’identikit dell’assassino. “Commissario Tinigri le presento il signor Ferrucci, Capo della nostra vigilanza”. Dopo i convenevoli di rito entrarono subito nel vivo della discussione. “L’indagine privata come procede?” chiese con un velo d’ironia Tinigri. “Sappiamo da quali ambienti viene il colpevole. Fa parte di una organizzazione criminale che vuole entrare clandestinamente nel traffico del plasma”. (ROMA, 1493) L’Inquisitore aveva preso l’abitudine di passare ogni giorno alla cella dei 3 detenuti alle prime luci dell’alba e aveva anche preso l’abitudine di rinviare l’interrogatorio al giorno dopo. Come segno del suo passaggio lanciava sempre quel fiore dalla vaga forma di un turbante. Era sempre accompagnato da due guardie armate. Solitamente dopo qualche tempo inziavano a provenire, da un posto lontano, grida di dolore che facevano accapponare la pelle. Camarilla, lentamente, si stava riprendendo dalla sua malattia ed aveva attribuito, erroneamente, questa sua guarigione ai “baci” di Timoteo. Alessandro, invece, il gesto di Timoteo aveva iniziato a fraintenderlo. Aveva pensato che, forse, quella era tutta una messinscena per ottenere il massimo dalla situazione e sfogare una segreta attrazione fisica nei suoi confronti. Per ricambiare il gesto d’affetto aveva preso a toccarlo nelle parti intime quando si avvicinava per i suoi “baci”. Giunse anche il momento degli interrogatori. Strazianti per chi li subiva. L’Inquisitore si era rivelato, con quei modi rassicuranti da fervente cattolico, un grande conoscitore di torture, sia fisiche che mentali. Alessandro, per esempio, era stato sodomizzato ripetutamente con un ferro incandescente mentre Camarilla aveva subito delle ferite gravi al seno attraverso l’utilizzo di due pinze gigantesche. Ogni volta tornavano
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Rorschach 2004 / Marzo stremati da questi interrogatori. Timoteo, invece, non sembrava assolutamente provare dolore ed ogni volta che veniva messo alla Garrota guardava con occhi gelidi il suo aguzzino. Un giorno, però, all’ennesima prova della Garrota, Timoteo iniziò a strillare cogliendo di sorpresa tutti. Credevano di avere davanti il Diavolo in persona ed invece… “La prova che Dio è con noi” sussurrò all’orecchio dell’aguzzino l’Inquisitore. Le grida sovrastarono quelle di Alessandro e Camarilla che, nella cella, si stavano contorcendo dal dolore. “Timoteo, servo del Maligno, il tuo signore ti ha abbandonato?” “NO” uscì una voce strozzata “il mio Signore… è anche il suo…” “Stai dicendo il falso. Il mio Dio è il Signore dei Cieli, il tuo è il signore degli Inferi”. “NO!” e le grida risuonarono nuovamente in maniera potente rimbombando all’interno di quello stanzone costellato di oggetti infernali. “Vuoi confessare la tua adorazione per il diavolo? Vuoi gridarla ai quattro venti? Solo così puoi avere salva la vita” e rivolto all’aguzzino “Apri le finestre! Fai entrare il Sole!” “NO” gridò ancora Timoteo “Confesso tutto. Confesso tutto”. “In nomine patrii…” “Sono quei due nelle mie celle a … - e l’affanno ebbe il sopravvento – ad avermi corrotto… non volevo… ma mi hanno costretto… con qualche sacrilegio....” “E allora perché strillavi?” insinuò l’Inquisitore “Perché il Diavolo… stava uscendo dal mio corpo” sibilò dolorosamente Timoteo che aveva l’aria stremata. “Vuoi confessare che quel sodomita e quella strega hanno fatto un sacrilegio su di te… incantandoti… - l’Inquisitore stava cercando di ragionare – E allora le accuse che gravano su di te e che ti hanno portato davanti alla giustizia del Signore?” “Questo sacrilegio dura da parecchio tempo… e mi aveva portato a fare cose
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indicibili nel mio villaggio… la vicinanza, poi, aveva reso il tutto di una potenza ancora più vincolante del solito”.
debita distanza. L’ultima cosa che sentì quest’ultimo fu il TAC della catena che cedeva di schianto. Poi divenne cibo per vampiro.
“Hai salvato la tua anima. Ti sei guadagnato la vita, lo sai? I due complici verranno condannati al rogo – sentenziò solennemente l’Inquisitore – l’esecuzione è prevista per domani mattina – si voltò verso l’aguzzino e non cosciente del proprio tono cercò di bisbigliare – domani mattina prepara il rogo per quei due e domani pomeriggio preparalo per lui. L’ingenuità e la debolezza di spirito non possiamo tollerarle… è come spalancare la porta dell’anima al Demonio”.
(LATINA, 2004)
Timoteo ascoltò tutto in gran silenzio. Tornò in cella. Rimase in silenzio recitando la parte del sofferente. I due si stavano lentamente riprendendo dai dolori. “Ci salveremo?” chiese Alessandro sdraiato a pancia in sotto “Domani saremo tutti salvi” sussurrò Timoteo Durante l’esecuzione dei due, che l’avevano maledetto dalla Piazza tra le urla di giubilo del pubblico, Timoteo era rimasto in silenzio. Aveva capito molte cose durante quel soggiorno. Loro e gli umani potevano convivere sotto lo stesso tetto: quello del mondo. Dovevano, però, mischiarsi. La vendetta. L’odio. La follia. Potevano annientarli. L’Inquisizione aveva bruciato parecchi di loro. Li aveva presi da soli. Li aveva fatti indebolire esponendoli al sole e facendogli mancare il sostentamento. Li aveva bruciati. La sua fortuna era stata convivere in quella cella con due umani. Una fortuna che non poteva dimenticare in fretta. Avrebbe riunito i suoi fratelli in una Congrega. Camarilla. In nome di un sentimento provato che non sapeva qualificare. Un sentimento che aveva fatto fatica a reprimere proprio il giorno dell’esecuzione. “Tocca a te!” Negli occhi di Timoteo nessuna sorpresa. L’avevano incatenato, mani e piedi, con le spalle al muro. L’aguzzino si avvicinò. Timoteo ebbe uno scatto fulmineo. Tentò di tirare un pugno in faccia all’aguzzino che si era tenuto a
Il Commissario Tinigri aveva preso a girovagare per la città durante la notte insieme ad alcune guardie della CDS. Le prove tradizionali” non c’erano. Le deposizioni non avevano portato ad alcuna pista. Quella era l’unica via: seguire le indicazioni della polizia privata. Era entrato nel mondo della perversione notturna di quella città, che aveva considerato, sbagliando, sempre troppo tranquilla. Feste a base di droga, sesso e alcol. Violenze gratuite tra bande... Quella sera, all’interno di un locale che dovevano controllare, un gruppo stava suonando musica HipHop. Lui stava battendo il tempo sul tavolino con il vigilantes biondo della CDS, tal Girolamo Giovanni, che sembrava completamente insensibile al ritmo incessante. Due tavoli più in là una banda di persone. Erano Loro, almeno una parte di Loro. All’improvviso un ragazzo con il berretto ben calato in testa si alzò in piedi, scostò il giubbotto, prese qualcosa dalla tasca interna. Si avviò verso il palco con un braccio disteso lungo il fianco. A pochi passi dal gruppo musicale (composto da 3 persone) iniziò a fare fuoco. Gli spari rimbombarono nelle orecchie di tutti. Nel locale tutti si avviarono follemente verso l’uscita quasi camminando uno sull’altro. Tinigri e il poliziotto privato rimasero seduti. Finita l’esecuzione quelli del tavolino si avvicinarono ai corpi delle vittime ed iniziarono a raccogliere il sangue a terra con le dita e presero a leccarne la punta, quasi fosse Nutella. Tinigri a vedere quella scena prese a respingere rumorosamente conati di vomito che montavano con sempre maggiore intensità. Si girarono tutti nella loro direzione. “Un Castigatore!” Il biondo prese velocemente la pistola all’interno della giacca cacciando un «Maledizione» a denti stretti. I 3, in un baleno, cercarono di guadagnare l’uscita. Uno di loro venne trafitto alle spalle da un proiettile. Cascò a terra. Iniziò a bruciare.
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Rorschach 2004 / Marzo “Cosa cazzo hai fatto! Cosa cazzo hai fatto!” Tinigri prese a gridare. “Ci avrebbero sparato loro” disse lui quasi a giustificarsi “CHE CAZZO DI PROIETTILI HAI USATO?” a Tinigri non importava della sorte di quel cristo, non di quello almeno. “Proiettili in dotazione alla polizia privata della CDS” rispose con sicurezza Girolamo “Devo dichiararti in arresto…” nel mentre tirò fuori la pistola e gliela puntò contro “Puoi avere tutti i porti d’arma che ti pare, quei proiettili non sono legali, ad occhio e croce” “E’ meglio che vieni in sede con me” il tono del poliziotto privato si era fatto gelido. “Che fai mi arresti?” “Vieni con me, stronzo!” anche il biondo puntò la pistola. Tinigri lasciò partire il colpo che trafisse alla spalla Girolamo, quest’ultimo arretrò di qualche passo. Per qualche secondo fuoriuscì del sangue. Qualche secondo ancora e sulla mascella di Tinigri arrivò, velocissima, una botta terrificante con il calcio della pistola che gli fece perdere i sensi. Si risvegliò all’interno di una macchina che correva sulla statale, stava sul sedile posteriore insieme a due energumeni che non lo perdevano di vista un momento. Stavano andando fuori città. Era buio. A destra della superstrada che stavano percorrendo c’era un bosco fitto. Dopo poco entrarono in una piccola città. Arrivarono davanti ad una discoteca. Andarono nel privè e poi da lì entrarono, attraverso una porticina a specchio, in un ampio locale popolato di giovani e meno giovani. Ballavano una musica incessante il cui ritmo, grazie alla potenza delle casse, ti entrava nello stomaco e ti faceva vibrare cuore e polmoni. Alcuni erano impregnati di sudore, altri, invece, sembrava fossero appena entrati. Si agitavano tutti, indistintamente. Il biondo si fermò, controllò l’orologio e fece cenno agli altri di lasciare il Commissario. Tinigri controllò all’interno del giubbotto. Niente. Si erano presi tutto l’armamentario, com’era ovvio.
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Il deejay iniziò ad aumentare il ritmo della musica. La gente iniziò ad agitarsi sempre più velocemente. Qualcuno sembrava avere gli occhi rigirati. Lo stesso deejay agitò un braccio con il dito indice puntato in aria. Tutti si fermarono, quasi con il fiato sospeso. Velocemente il dito schiacciò un tasto gigante sulla parete. La musica si fermò. Le luci si accesero. Si iniziarono a vedere dei fili trasparenti ovunque. Correvano sul soffitto. Correvano per terra, sotto il pavimento trasparente in plexiglas. Correvano anche fino alle casse. Tutti insieme iniziarono a colorarsi di rosso. Velocemente. La musica riprese. Le luci ripresero la loro azione stroboscopica. Erano rosse, come il fuoco, come il sangue. All’improvviso, di nuovo silenzio. Qualche secondo di silenzio irreale. La gente, comunque, continuava ad agitarsi, una parte in maniera convinta, con gli occhi chiusi, quasi in estasi, altri per puro spirito imitativo, con gli occhi sgranati aspettando di vedere cosa stesse per succedere. Dalle casse, dal soffitto e dal pavimento iniziò a schizzare sangue. Sangue ovunque. Con quell’odore tipico che ti entrava nelle narici. Sangue sui vestiti, sulla pelle. Dopo pochi istanti anche Tinigri era fradicio. Alcuni continuavano a ballare estasiati, con la bocca aperta a bere il plasma. Altri, invece, terrorizzati cercavano una via d’uscita, altri ancora vomitavano, altri, per terra, giacevano svenuti. Il biondo e gli altri si erano messi intorno al Commissario in cerchio, a mo’ di protezione. Successe l’irripetibile. Iniziò un massacro irreale e sistematico. Una parte degli avventori di quella discoteca ultraclandestina iniziò a mangiare tutti gli altri avventori. In un attimo tutti stavano addosso a tutti e mordevano e mangiavano e bevevano sangue come bestie affamate ed inferocite. Tinigri vide una ragazza che si era nascosta dietro le casse, sottraendosi a quei momenti di follia pura. Stava tremando. Per un attimo gli occhi del Commissario e della ragazza si incrociarono. Un uomo rasato con dei grossi tatuaggi persino sul cuoio capelluto sentì l’odore della sua paura. Come una bestia iniziò ad annusare nella direzione della ragazza. Aveva appena finito di massacrare e sbranare e dissanguare un cinquantenne dall’aspetto giovanile. La prese con una forza sovrumana per i
capelli ma la prima volta gli si spezzarono tra le dita. La seconda, invece, venne sollevata di peso e portata davanti alla cassa. L’uomo/ bestia la spogliò con foga. La sdraiò a terra. Le divaricò le gambe e prese a bere il sangue dalla sua figa, mordendogliela e strappandone pezzi di carne. Le grida di dolore della giovane si sovrapposero a tutte le altre. Dopo poco svenne. Dalla figa l’uomo rasato e tatuato passò a tutto il resto del corpo con la stessa passione. Non c’era nulla di sessuale in quello che aveva fatto. Era una furia. Irrefrenabile. Portarono il Commissario Tinigri via da quell’immondo macello di carne umana. “E’ il nostro Capodanno. Il Capodanno della Camarilla”. Tinigri non aveva la forza per fare nulla. Né gridare, né reagire, né vomitare. Era completamente inerme. I due energumeni, difatti, lo stavano trascinando di peso. A parlare era sempre il biondo, Girolamo, che aveva il tono di chi voleva giustificarsi. “Adesso capirà tutto, Commissario, la stiamo portando dal Presidente”. “Non capirò mai la ragione di quello che è successo lì dentro” le parole sembravano provenire dagli anfratti più nascosti dell’anima di Tinigri, ancora sottochoc. Il poliziotto privato prese a sorridere con un ghigno che veniva riflesso nello specchietto retrovisore. Tinigri chiuse gli occhi, voleva assentarsi per un po’. Si risvegliò per il rumore del brecciolino schiacciato dalla macchina. La villa era immensa. C’erano anche i nomi delle vie. Davanti la casa c’era piazzale Alessandro da Benevento. Il cuore del Commissario, nonostante quel riposo, riprese a battere insistentemente. Entrarono nella villa. Si ritrovarono subito all’interno di un immenso salone. All’altra estremità un uomo dietro la scrivania. “Ti stavo aspettando” e la voce rimbombò in tutta l’enorme stanza. “Aspettavo con ansia l’ora di rivedere la tua faccia di merda, Timoteo”. “Magister… non sei cambiato affatto dopo tanti secoli”. “No. Abbiamo un conto in sospeso io e
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Rorschach 2004 / Marzo te, ricordi? Dopo tanti secoli sono riuscito a trovarti.” “Sono contento. Per una volta il tuo Dio ti ha dato una mano, no?” Tinigri iniziò a sorridere. Erano terminate tutte le finzioni. Aveva organizzato quasi 600 anni di vita per ritrovarsi, prima o poi, faccia a faccia con Timoteo. Aveva visto o fatto morire un po’ di persone per quello scopo. Creature del Signore che erano state sacrificate all’interno di un disegno divino. Nessuna condanna dell’Inquisizione poteva non essere eseguita. Lui era lì per questo. Il soldato del Signore. “Voglio eseguire la condanna” e appena finito di parlare prese a picchiare selvaggiamente i due energumeni più il biondo. In poche mosse i 3 erano stesi a terra in una gigantesca pozza di sangue. Con le mani unite a formare una ciotola il Magister prese a raccogliere il plasma per portarselo alle labbra. Si rigirò verso Timoteo con le mani ed il mento sporco di sangue “Siamo soli Timoteo”. “Lo vedi? Ora sei uguale a me. Quando si rincorre il male, alle volte, si rischia di diventare il male stesso, Magister. Non c’è più nulla di umano. Solo rancore. Rancido rancore covato nei secoli. Come esiste l’amore perfetto esiste anche l’odio perfetto. Il tuo nei miei confronti, ad esempio”. Il Commissario inquisitore iniziò a escogitare qualche piano. Stava riflettendo. Aveva preso dalla tasca un tulipano. Lo rigirava fra le dita. Timoteo, intanto, lo osservava con aria distaccata. Aveva ottenuto quello che voleva. “Non senti quel morso alla gola che ti prende ogni volta che si fa sentire la sete? Eh Magister? Non lo senti?” “…” “L’amore perfetto obnubila la mente dell’umanità, Magister” in mano aveva un piccolissimo telecomando. Spinse l’unico tasto presente. Dal soffitto iniziò a provenire uno stridio fastidioso. Il Magister ebbe soltanto il tempo di guardare in alto. Una pioggia di argento fuso gli piovve addosso. Le carni del commissario presero a bruciare. In pochi secondi rimase soltanto il tulipano, in terra, a ricordare il
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passaggio del Magister “Amore perfetto ed odio perfetto sono prerogative della divinità, caro Magister. Agli esseri imperfetti obnubilano la mente”. (ROMA, 1493) Timoteo era riuscito a fuggire dal carcere completamente incustodito. Le vie della città erano quasi deserte. Cercava di camminare il più velocemente possibile ma il sole stava facendo un pesante effetto di indebolimento. La determinazione, comunque, era più forte di qualunque ostacolo. Doveva scappare ma, per l’ultima volta, voleva rivedere Camarilla e Alessandro. Tra le viottole intorno alla piazza delle esecuzioni rimediò un vestito e del cibo grazie ad un viandante, poi abbandonato morto in un angolo buio. Coperto, mascherato e rinvigorito dall’abbondante pasto si avvicinò al rogo dei suoi due “amici”. La pila ancora bruciava. Al di là del fuoco era chiaramente visibile il palo e la forma umana delle persone, morte, che vi erano legate. La gente avrebbe seguito lo spettacolo fin quando non si fossero spente le fiamme da sole. In prima fila il Magister quasi in estasi mistica, sul viso riflessi i colori del rogo che erano anche i colori del dolore e della morte. Si avvicinò silenziosamente. Intorno grida di giubilo miste a preghiere. Arrivato alle spalle mormorò all’orecchio dell’Inquisitore. “L’amore perfetto obnubila la mente dell’umanità, Magister” quest’ultimo non ebbe nemmeno il tempo di girarsi. Timoteo morse il collo dell’inquisitore cercando di mettere in pratica la Generazione. Finita l’operazione si dileguò. Giusto il tempo di allontanarsi a sufficienza e la folla si accorse di quanto successo all’Inquisitore Generale di Roma. Spontaneamente si organizzò una sorta di caccia all’uomo, si doveva dare una risposta forte al Male, così era stato gridato dagli altri Inquisitori. Gli uomini iniziarono a massacrarsi vicendevolmente. Il sangue prese a scorrere per le vie. Le case dei potenziali sospetti vennero incendiate. Vennero regolati i vecchi conti. Vecchie ripicche, odi privati. Timoteo ringraziò per tanta gentilezza. Cibo senza fatica. Cibo che, dopo poco, iniziò a fargli anche schifo perché frutto di una follia collettiva. L’amore perfetto.
Cunctator di Piermario De Dominicis
Tulipani. Su un davanzale di una via un po’ miserabile, messi a mollo in un vaso di vetro azzurrino, di quelli da poco prezzo. Non particolarmente freschi, non particolarmente sfioriti. Mi ero infilato nella città vecchia e avevo appena comprato le sigarette da un tabaccaio il cui negozio, sopravvissuto ad ogni modernità, sembrava in bianco e nero. Pubblicità di trent’anni prima appese alle pareti, di un bianco incerto. Addirittura quelle di una marca, certamente estinta di tabacco da fiuto. Uscito da lì fui risucchiato dai vicoli che si incrociavano senz’ordine, pareva fossero loro ad inseguir la gente, gente fitta fitta che camminava con piglio frettoloso. Esibire tanta fretta era senz’altro una posa collettiva. La mia sensazione era che tutti disponessero di moltissimo tempo da perdere e che in realtà stessero passeggiando, godendosi sia il sole abbacinante che l’ombra continua e netta delle case che divideva la strada come un tratto preciso di righello. Stando dalla parte del sole eri immerso in un’impressione violenta d’insieme, vedevi colori e movimenti guizzare, sfuggiti alla luce fortissima. L’ombra ti restituiva la vista, ne recuperavi con sollievo il dettaglio. Quello, non era un giorno come un altro per me. Avrei dovuto infatti prendere una decisione importante. Che fosse così importante, di quelle che ti cambiano per sempre la vita e che hanno il potere di modificare anche l’esistenza altrui, mi aveva permesso di prendere tempo fino a quel momento. Tempo che tuttavia scadeva quel giorno e si legava ad un’azione che dovevo assolutamente fare. Avevo ancora qualche ora.
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Rorschach 2004 / Marzo La mattina ero uscito di casa inebetito da una notte irta di spine. Avevo preso il caffè al solito bar e a Fernando, il gestore, con cui parlavo di cose trascurabili ma essenziali al nostro rito quotidiano, avevo risposto meccanicamente, senza un minimo di testa né cuore. Avevo poi seguito le mie gambe, apparentemente decise, fino a trovarmi nella città vecchia.
E il tacco sinistro – quello della mia nera scarpa preferita –
Non ci mettevo piede da vent’anni ma evidentemente la mia assenza prolungata era stata ben tollerata dato che nulla, ma proprio nulla, era cambiato da come ricordavo.
- Le lagrime egoiste e di incenso -
Attorno a me il flusso delle persone scorreva impetuoso, senza soste. Le urla dei fruttivendoli e i richiami dei pescivendoli di tanto in tanto inchiodavano qualcuno a contrattare. Dai negozi di stoffe pendevano pezze colorate coi vistosi cartellini dei prezzi. La crisi demografica, almeno in quel quartiere poteva dirsi scongiurata: teste e gambe di bambino ovunque. Spesso capitava che una signora o l’altra ne riacciuffasse uno e serrandolo ben bene si immettesse di nuovo nella corrente incessante. Io seguivo la gente, a caso camminai per molte ore. Conobbi schiene, gambe, scarpe, gonne, calzoni, calze e sandali fino a quando, guardando l’orologio, fui certo che fosse ormai troppo tardi per decidere, tardi per agire e tardissimo per rimandare. I giochi erano fatti. la mia vita sarebbe rimasta immutata, la solita vita. Non mi dispiacque. Ciò che non accade, in effetti accade.
Forse vedendoti inciamperò di Rita Debora Toti
perdendo un già incerto equilibrio
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Chissà se reggerà Ho mani diverse – dislessica come tanti in amore E guardando lontano Ne tengo una – polso e bracciale Come unico legame che so E non conta come tutto ritorna o il caso che fa il resto diverso perché resta il vetro e la tenda d’anelli d’argento restano i passi che abbiamo fatto e poi – ancora ! la mia piccola masochista – quella che gira per tre volte l’anello e soltanto una la parola quella che piange e sorride quella dalla dolce confusione – quella che non lascio e che tengo Come le ossa e i capelli Questo unico legame – oh questo unico bagliore ! che so.
Craxi è morto ma don Alfio ascolta ancora “Like a Virgin” di Angelo Zabaglio Liberi come tanti Craxi sparsi per il mondo. Liberi come petali nel vento sporchi di catrame e calpestati da pneumatici bucati da un ramo caduto da un pino situato nel giardino del nostro vicino il cui figlio è il nostro migliore amico arrestato per favoreggiamento alle nove e 46 di un sabato mattina di Gennaio freddo che ricorda ghiaccio e circoli di polo organizzati da Forza Italia. Riunioni familiari con salatini dolci e cornetti alla crema serviti da Lino Banfi. Musiche di Crivelli e note sparse sopra un foglio viola. I piccoli fori ricevono querele e anime immense si modificano il contorno di
spinaci da Platinette, mentre la Pivetti prega il Signore che l’orchestra della Corrida non crei danni all’ascolto del suo programma. Lo incontrai all’uscita del bar degli studenti di Roma tre, pioveva grandine color nebbia. “Perché non entri?” gli dissi. “Non posso entrare con l’ombrello aperto!” mi rispose. Questa considerazione non è sbagliata, pensai nel vento. Una confezione di pasta trafilata al bronzo mi ricorda che le elezioni sono vicine. È in questo marasma che il giovane anziano naviga senza remi e senza bussola e senza permesso di soggiorno e senza casa e senza la minima idea e senza senso. Il giovane anziano è pronto per il duello con l’anziano giovane, non molto simile a lui. Entrambi hanno acquistato almeno un numero de “Il giornalino” all’età di sette anni ed ora espongono la bandiera della Pace come segno di rivolta. Per protesta fumano erba e si assumono pochissime responsabilità come il protagonista di American Beauty. Entrambi odiano la televisione ma quando capita ammirano il capitalismo creato dalla pubblicità con i modermi tessarati al Fascismo (Luca e Paolo, Claudio Bisio, Enrico Bertolino, Fabio Fazio) Il sonnambulo doveva andare in bagno ma il gabinetto del dottor Caligari era occupato, si recò quindi nella più vicina sagrestia. In quel tempo si svolgeva la sagra dell’ostia Antica, dove decine di curati con il raffreddore, assolvevano dai peccati centinaia di bambini che masticavano bruschette con olio molto saporito. Nel clima di festa, la perpetua si esibiva nel numero magico della sparizione del calice d’oro. Sei volte su undici, l’esperimento non riusciva ma le mamme applaudivano lo stesso, seguite dai figli, dalle nonne, dai padri, dai nonni, dalle figlie e dai rimanenti ospiti paganti. Nella gioiosa folla di preganti, anche donne sicule in lutto, la più anziana tra loro recava una fascia rossa al braccio e dirigeva le preghiere. In sagrestia intanto era esposto il nuovo calendario con Madonna in dodici pose molto audaci,
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo la nota pop star era diventata l’idolo di don Carlo, un prete che venerava le patatine fritte e la buona musica anni 80. Questi aveva sempre votato DC , anche se con un passato di brigatista nero. I suoi ex compagni terroristi ora sono al vertice di una nota multinazionale che controlla l’80 per cento (quindi l’800) del mercato di campo dei fiori a Roma. In cima alla classifica ci sono i gladioli seguiti da garofani, crisantemi e rose gialle. Tra di loro era presente anche una spia orientale reduce del Vietnam, un certo Gon. “Sai Gon?! Siamo ancora a Saigon! Altre tre ore di viaggio e arriviamo all’albergo non preoccuparti” gli disse la moglie per rincuorarlo. Lei era un’hostess dell’Alitalia con la passione del modellismo e del sadomaso. Si fece tre anni nel carcere di Poggio Reale per aver stuprato un pony del circo Orfei. La famiglia di circensi li sorprese in atteggiamenti equivoci nel camerino del quadrupede, lei con in mano una Lido rossa, lui disteso sul pavimento, sfinito. Maionese sparsa in terra, del Domopak e pacchi di fazzolleti aperti sulla scrivania. Alla vista di tale scena, il guardiano che aprì la porta del camerino, rimase alquanto scioccato, cominciando così ad ululare e telefonare ad amici e parenti per informarli che la sera stessa a Porta a Porta ci sarebbe stato come ospite il rappresentante del partito Umanista. I parenti, insospettiti, avvertirono prontamente la polizia che giunse nel luogo dell’accaduto in meno di quattro ore. Per sbaglio arrestarono il pony che fu condannato a tre anni con due sole condizioni: nessuna condizionale e nessun condizionatore. Durante l’ora d’aria Silvestro (questo era il nome dell’animale) era solito gettare oggetti vecchi dal balcone del carcere. Una mattina colpì per sbaglio il portiere della prigione. Nei suoi guantoni furono ritrovate le chiavi del cancello ed i detenuti riuscirono a scappare verso la libertà. Il giorno seguente era prevista un’amnistia ma la donna straniera non si presentò in orario accettabile e venne rimborsato il
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biglietto ai presenti, accorsi da ogni parte del mondo, tranne che da Tor Pignattara e Spinaceto per traffico insostenibile. Chi ne approfittò fu un giovane e volenteroso bambino di colore negro che, con acqua, sapone e stoffa, iniziò a pulire vetri di automobili. Gli affari andarono così bene che il suo padrone poté acquistare altri dodici schiavi ai quali amputare dita o qualsiasi altra parte visibile all’occhio nobile dei buoni di cuore razionale. “Cosa hai chiesto a Babbo Natale, oh figliolo?” ed il pargolo cinese, ridendo come una zanzara prima di iniettare veleno nella pelle di un’ottantenne con le vene varicose, rispose: “Voglio Barby cannibale, la casa d’appuntamenti di Barby, Ken travestito ma la confezione con il pneumatico da bruciare ed il palo della luce, Barby dolce Flebo, poi voglio Ken soldato in Iraq, Ken carabiniere in missione in Irak ma la confezione con la bara finta e la bandierina italiana, poi voglio Big Jim terrorista in modo da poter dare la colpa a qualche anarchico quando morirà Ken carabiniere, poi voglio 33 pacchetti di figurine Panini della serie “Ex terroristi divenuti intellettuali” e l’ultimo libro di Angelo Zabaglio”. Babbo Natale riuscì a portare al bambino ogni cosa tranne il Big Jim terrorista (era esaurito in ogni negozio del globo). In compenso gli portò il burattino di Papa Luciano che però, in meno di un mese, si ruppe gettandosi dalla finestra di un commissariato e l’uccisione di Ken carabiniere rimase un mistero insoluto agli occhi del bambino. Oggi quel fanciullo ha 46 anni, è sposato con una donna molto intelligente, lavora come grafico pubblicitario e nel tempo libero prega in latino, affinché suo figlio termini con successo l’università e si trovi un lavoro lontano dai suoi occhi verdi come una bottiglia di birra nel mare limpido delle 6 del mattino di un’estate senza nuvole, ma con numerosi gabbiani che, volendo, possono spiccare il volo verso Sud, senza preoccupazione di un ritardo ferroviario, di un incidente autostradale o di un proiettile di qualche buon cacciatore cristiano
cattolico. Angelo Zabaglio (ringrazio come sempre il dadaista Andrea Coffami per la revisione, i consigli ed i massaggi ai piedi)
Orfeo—Lo sguardo beffardo: lo specchio e la sua immagine di Euridice Non ho una donna da un secolo, oramai. Al punto che mi si stanno atrofizzando… i sensi. Non ho MAI avuto fortuna con le donne. Eppure non si può dire che io non mi sia dato da fare. Ho sempre architettato con cura le mie strategie, i miei piani d’attacco. Io sono un tipo previdente, che pensa a tutto. Profumo, barba, profilattici, mutande maculate… Non mi manca mai nulla. Sono sempre armato per la battaglia…ma non ho mai sparato nemmeno una cartuccia. O meglio, se ho sparato, ho sempre sparato a vuoto. Per delle circostanze specifiche di cui vi parlerò tra poco, ho coltivato con cura il mio vocabolario in campo sessuale. Un po’ grazie agli amici, che se non sanno qualcosa, ricorrono comunque a una buona dose d’inventiva, e un po’ grazie al dizionario medico di mio padre. So che stavate pensando anche a delle fonti più “specialistiche”: ebbene, di quelle ne faccio incetta da sempre. Ma in quei casi alle parole non ho mai badato troppo. Fatto sta che da alcuni mesi ho scoperto di essere un buon praticante di onanismo. Se solo un anno fa me lo avesse detto qualcuno, io l’avrei preso a schiaffi, giuro! Onanista a chi??? Te lo faccio vedere io chi è l’onanista! Su, dai, calati i calzoni, scemo! Vediamo chi è il vero onanista tra noi due!… Insomma, credo abbiate capito che per me essere onanisti significava avercelo piccolo. ‘O nanista… E nel mio caso…beh, lasciamo stare, ché altrimenti mi deprimo ulteriormente.
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo Vi stavo dicendo appunto che, pur non avendo una donna da un’eternità, la mia erudizione erotica ultimamente si è affinata in modo sorprendente. Saprei dirvi almeno due o tre sinonimi per ogni termine “tecnico” di cui abbiate conoscenza. Sì, la penso anch’io come voi: a che vale sapere tutte queste cose se poi alla teoria non si unisce un bel tirocinio pratico??? Ok, siamo d’accordo: il mio è un talento sprecato. Ma certe conoscenze possono evitarvi delle situazioni mooolto spiacevoli. Parola mia. Non c’è da scherzarci, ragazzi. Ora, vi ho detto che non ho mai avuto fortuna con le donne. Ma c’è stato un giorno in cui, forse per qualche straordinaria congiunzione astrale, chissà, o per l’avvicinarsi del periodo elettorale (in cui tutto ciò che sembra impensabile diventa possibile, come per opera di un intervento divino), la mia condizione luttuosa sembrò dover mutare le sue sembianze terrorifiche. Vi parlo di una sera in cui, ispirato forse da un film di Tinto Brass di cui avevo scrupolosamente osservato la locandina passeggiando per strada, mi decisi a entrare in un locale, determinato a mettere in gioco tutto il mio sex appeal. Per incoraggiare la mia timida mascolinità, decisi di sbottonarmi i primi bottoni della camicia; osservai che dal torace faceva capolino un ciuffo di pelacci crespi. Mi umettai i palmi delle mani con un po’ di saliva, e le passai su quel ciuffetto ispido, nel tentativo di addomesticarlo un poco. Mi annusai. Dalle ascelle proveniva un odore acre di sudore. Beh, poco male, pensai: alluvionerò le donne con i miei feromoni! Ero davvero disperato. Entrai nel locale come fossi stato Humphrey Bogart in Casablanca. Mi accostai a una colonna, e mi ci appoggiai, con tutta la disinvoltura che avevo a disposizione. Ben poca, a dire il vero. Palleggiavo tra le mani una sigaretta accesa destinata a consumarsi per autocombustione… L’avevo sottratta dal pacchetto di mio padre, furtivamente. Quella sigaretta avrebbe dovuto segnare il mio tempo massimo di conquista… Sì, avete ragione: va bene l’ottimismo, ma una sigaretta forse era un po’ troppo
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poco per tentare l’impresa… E infatti alla fine avevo preso tutto il pacchetto.
qualche donna. Candy Candy, dove sei? Stavo cercando la mia crocerossina…
Avevo scelto un locale che fosse il più buio e fumoso possibile, per far passare inosservata la sporgenza più grande del mio corpo: un gigantesco brufolo che proprio quella sera era spuntato a dispetto sulla mia fronte lucida. Prima di uscire, avevo cercato di camuffarlo con il fondotinta di mia sorella, ma più tentavo di coprirlo, più il brufolo si arrossava finendo col dominare incontrastato sul mio volto basito. Lo lasciai vincere: pensai che quel residuo pubere avrebbe potuto attrarre qualche donna matura in cerca di giovani “stalloni”. Ma io non mi sentivo né giovane né tantomeno uno stallone... piuttosto, potevo somigliare a un porcospino.
Dovevo aver sfoderato uno sguardo talmente disperato che quella donna cominciò a fissarmi. Riassunsi la postura bogartiana e riaccesi la sigaretta, ingoiando pure un po’ di fumo… cosa che mi fece tossire per un quarto d’ora circa. Stavo quasi per morire soffocato nel tentativo di non tossire convulsamente e di mantenere quel tono dignitoso che con tanta fatica stavo cercando di ostentare quando finalmente la donna si alzò e si diresse verso di me. Gridai al miracolo. Si avvicinò, senza dire nulla. Prese la mia sigaretta, fece un tiro, e lentamente fece uscire il fumo dalle sue labbra carnose.
Nel locale c’erano tantissime donne. Una più bella dell’altra. Lanciavo sguardi a tutte, con l’occhio truce da “uomo bello e impossibile”. Cercai di estrarre dalla memoria tutti i consigli di quel corso sulla seduzione che anni fa mia sorella aveva trovato in allegato a Riza Psicosomatica, e che casualmente mi era capitato di ascoltare cinque o sei volte, quando in casa non c’era nessuno. Cosa diceva il tizio della cassetta? Dai, ricordati… Diceva che… Con desolazione notai che il pacchetto di sigarette si era quasi svuotato completamente. La spalla appoggiata sulla colonna di finto marmo cominciava a dolermi. I peli sul torace si erano tutti intirizziti, e stavo attento a non avvicinarvi la sigaretta per paura che potessero incendiarsi. Sentivo il brufolo pulsare sulla fronte… Lo immaginavo fiammeggiante come un faro che guida il sentiero dei naviganti nella notte. Maledissi Tinto Brass e tutte le sue locandine lussuriose. Una… due… Tre sigarette in tutto. La speranza era quasi del tutto morta. Lanciai l’ultimo implorante sguardo a una donna seduta al bancone. La fissavo come un cane bastonato. Se non aveva funzionato la tattica del macho - pensaiforse quella della supplica poteva muovere l’animo soccorrevole di
Ci mancava pure il fumo passivo! – borbottai tra me e me mentre sempre più inutilmente cercavo di trattenermi dal tossire. Tentai comunque di ricompormi. Deglutii, e le sorrisi come un ebete. “Io mi chiamo Chantal” disse lei. “ E tu?” “Io…io…mi chiamo Tinto” Giuro che non lo dissi per mentire! E’ che mi sembrava di non ricordare più niente, nemmeno il mio nome. L’unica cosa che mi riusciva di ricordare era la locandina del film di Tinto Brass, che ora avevo ripreso a osannare con tutto l’entusiasmo di cui è capace un povero uomo miracolato. “Senti, Tinto: a me non va di stare a tergiversare. Mi piaci. E vorrei trascorrere la notte con te.” In quel momento, riacquistai tutta la fede che col tempo mi sembrava di aver smarrito… “Esiste!... Sì, Dio esiste!” esultai dentro di me. Ci dirigemmo in auto verso casa sua. Guidava lei. Io le ero seduto di fianco, mentre tentavo di annusarmi l’alito. Sul cruscotto c’era un foglio con un disegno… “Ti piace? L’ho disegnato io” disse Chantal. Io feci cenno di sì, mentre cercavo di rinverdire quei tenui ricordi scolastici di storia dell’arte… Chiedo solo un nome, pietà! un nome di un pittore, di uno
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo scultore, di un qualcheduno che possa venirmi in soccorso per poter intrattenere una conversazione!…
ultima volta ( e Dio sapeva quanto ciò fosse vero!) oppure doveva trattarsi di un classico esemplare di
Avvicinandomi a lei inevitabilmente mi cadde l’occhio sulla, o meglio, nella scollatura…
Ma io avevo in mente tutt’altro, in quel momento… E l’unico ricordo che stava riemergendo prepotente dai miei anni di scuola era una parola latina…
“ o nanista”, perché altrimenti la “faccenda” non si spiegava.
Tette piccole ma sincere, mi dissi con fare da intenditore.
Salimmo a casa sua. L’ansia stava crescendo a dismisura, al punto che dovetti andarmene in bagno.
Non so come, ma da un momento all’altro mi ritrovai steso e ammanettato alla spalliera del letto. Chantal mi guardava come una gatta, seduta sopra di me. Mi guardava, senza fare nulla. Ridacchiai nervosamente.
Com’era?... Ah, sì: l’ “ARS AMANDI”! A questo ricordo si aggiungeva quello delle riviste che io e il Beppi ci passavamo sottobanco… Va beh, ci siamo capiti. … “Pino…no...Poncho…nemmeno…Peppe …Sì, forse era Peppe! Mmmmhhh, no, mi sa di no… PEDRO!!! Ecco come si chiamava: Pedro!!! PEDRO PICASSO!” Così mi rassicurai, illudendomi che finalmente avrei potuto sostenere qualsiasi conversazione di arte… Si sa, l’intellettuale esercita sempre un certo fascino. Sette anni di liceo dovevano pur servire a qualcosa! Mentre io mi arrovellavo le meningi in cerca di reminiscenze sedimentate come le ere geologiche, Chantal aveva iniziato a parlarmi del suo disegno. “ Quello l’ho dipinto tre settimane fa. Ho voluto rappresentare la forma e la sostanza delle cose. Illustrare l’apparenza e l’inganno, perché ciò che sembra in un modo spesso si rivela solo la superficie visibile delle cose. Troppo spesso ci soffermiamo alla prima impressione, senza indagare oltre la forma manifesta della realtà” Ecco, ti pareva: avevo rimorchiato un trans! Mi sembrava troppo bello per essere vero! Accidenti a me, all’idea bislacca che avevo avuto quella sera, a Tinto Brass, ai suoi culi, a Pedro Picasso e compagnia bella! Intanto Chantal aveva fermato l’auto. La guardai “un po’ più giù”, cercando di notare se ci fosse qualche indizio capace di rivelarmi la “forma manifesta della realtà”… Macché uomo e uomo! Gente, a me quella sembrava una donna in tutti i sensi! E se fosse stato un uomo, beh, poteva voler dire solo due cose: o che era trascorso troppo tempo dalla mia
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“E’ lì in fondo a sinistra”, mi disse Chantal, che intanto aveva messo della musica di sottofondo. “Adesso calmati…ODDIO!... ODDIO, NON CI POSSO CREDERE!... Suvvia, calmati, che altrimenti rischi di fare cilecca… E chissà quando ti ricapita una situazione simile!” Feci di tutto per calmarmi un po’. “Piuttosto, pensa a quello che devi fare… Allora, l’alito: com’è? Puzza?” Dio, una vera fogna! Roba da non credere! Mi guardai intorno in cerca del dentifricio. Me ne misi un po’ sul dito indice, e strofinai energicamente: denti, lingua, palato, tonsille, faringe, laringe, epiglottide… Per poco non vomitai. “ E ora: le ascelle?” Per quelle c’era davvero ben poco da fare. “Va beh, l’uomo ha da puzzà!” , mi dissi. E i profilattici??? Merda! Dov’erano? li avevo presi oppure erano rimasti dentro il marsupio dell’uomo tigre???
Cosa aveva in mente? Le braccia cominciavano a formicolarmi. Tutt’a un tratto mi venne in mente quel film dove lui viene legato e seviziato da una donna… Sì, bravi, proprio quello: Misery non deve morire. Cominciai a temere di essere capitato nelle mani di una pazza. Mi rassicurai soltanto quando lei, sensualmente, cominciò a baciarmi il torace… Sì, mi baciò anche il fantomatico ciuffetto di pelacci crespi che ben conoscete… Però, non si punse. Credo. Lentamente, continuando a baciarmi, scese sempre più giù, fino ad arrivare sotto l’ombelico. “Oh, quando lo dico al Beppi creperà d’invidia!!” pensai soddisfatto tra me e me. Mentre continuavo a ringalluzzirmi, Chantal si bloccò e mi sussurrò: “Cosa vorresti che ti facessi ora?”
“ah, eccoli qui! Tutti presenti all’appello: extrasensibili, lubrificati., iperresistenti, ritardanti per lui stimolanti per lei, piacere intenso, colorati, verde smeraldo, rosso carminio, nero…no, quello nero no, perché snellisce… che si illuminano al buoi, zebrati, a pois, lana fuori cotone sulla pelle, gusto fragola, gusto arancio, tuttifrutti, tropicale, gusto lungo…
Oh, Beppi, Beppi, mi chiede cosa vorrei che mi facesse? Ma tutto, baby, tutto!
Ah, no, quelle erano le Brooklin…
Ma non volevo azzardare troppo. Con un po’ di indecisione, balbettai:
“Tinto, va tutto bene?” “Sì, eccomi…arrivo” Stavo sudando come un’idrovora! Nonostante le mie più rosee speranze, Chantal era ancora vestita. Mi avvicinai verso di lei, gongolando come un idiota e sfoderando un sorriso da vero imbecille. Dovevo fare davvero pena.
Questo fu quello che pensai. “Beh…insomma…fa tu” fu quello che invece più codardamente le dissi. “Dai, non esser timido: dimmi ciò che desideri, e io esaudirò i tuoi sogni…” W ALADINO, W LE LAMPADE E W I GENI! – pensai esultante.
“se… se ti va…mi piacerebbe che…che…” Eddai, parla scemo! “Che…mi piacerebbe che…che mi baceresti…Ah, no, scusa: volevo dire baciassi!” Ci mancava pure la grammatica, cazzo!
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo Lei era un’artista, era una che sicuramente conosceva Pedro Picasso, e io che combinavo? Mi mettevo pure a sbagliare i verbi?!? Ma Chantal sembrò non preoccuparsene. L’unica cosa che fece fu di insistere con quella domanda:
Deglutii... Avevo capito a cosa si riferiva. Non sono mica scemo. Solo che non sapevo come si dicesse… Quando a una donna si fa un…una … insomma, quando le si bacia lì…come si dice??? Il vuoto assoluto. Ero in preda al panico.
“TI PREGO COSA, EH? MA TI VEDI??? DOV’E’ FINITA ORA LA TUA SPAVALDERIA?” Ma quale spavalderia??? Proprio io, la cui audacia più grande si è sempre risolta nel bagno di casa! Dio mio, mi sembrava di trovarmi in un incubo. Chantal intanto se n’era andata in un’altra stanza. Ritornò con un paio di forbici in mano.
“Sii più esplicito, dai: a cosa stai pensando ora?”
Chantal intanto insisteva:
Ero un po’ confuso. Insomma, cosa voleva? Una parola più ardita, forse? Sì sì, era quello che voleva! Ah, avevo davanti a me una vera linfatica…No, non linfatica…linf…linfocita? No, nemmeno… Ah, sì, ecco cos’era: una linfomane!...
Vieni in mio soccorso, Beppi, ti prego! Il Beppi era, per certi versi, l’ “intellettuale” del gruppo: chi meglio di lui avrebbe saputo suggerirmi la “parolina magica”?
Quando mi risvegliai, mi ritrovai steso su una panchina del parco, con la gente che passeggiava e che continuava a guardarmi divertita.
Niente. Ancora il vuoto assoluto.
Ma cosa cazzo avete da ridere??? pensai irritato.
“Io starei pensando a un bocch…”
Mi sembrava che Chantal si stesse innervosendo.
Mi fulminò con lo sguardo. “No, non volevo dire quello. Scusami, Chantal, scusami!...” Non ci stavo capendo più nulla. “Tinto, continua: cosa stavi dicendo? che ti piacerebbe cosa?”
“Allora, cosa dovrei chiederti, io?”
“E allora, non sai dirmelo?” “No…è che io…io…Guarda, ce l’ho sulla punta della lingua, giuro!” EUREKA! Ecco come si dice! “Slinguazzo!” le dissi trionfante.
Ma cosa diavolo voleva sentirsi dire, insomma??? Più chiaro di come ero stato non potevo essere… O no? Improvvisamente mi illuminai! Lei era un’artista, no? Sicuramente stava cercando un uomo colto, dalla terminologia ricercata… Mica le solite corbellerie! Ah, che donna sublime era! Si eccitava con i termine eruditi, forbiti… E io ne conoscevo uno, un tempo… Un termine latino, uno dei pochi che avevo imparato da ragazzo. Quale occasione migliore di quella per sfoggiare la mia cultura umanitaria? …cioè, volevo dire, umanistica?
A Chantal si iniettarono gli occhi di sangue.
“ Mi piacerebbe una…fellatio!”
“SIETE DEI LURIDI MASCHILISTI CHE PENSANO CHE IL MONDO RUOTI INTORNO A LORO! DEI DEMENTI CHE CREDONO CHE LE DONNE ESISTANO SOLO PER SODDISFARE I LORO VIZI!”
Bravo, bravo, ti meriti un bacio ragazzo: te lo sei ricordato! Lo vedi? Dimmi, lo vedi che tu sei sempre stato portato per le lingue straniere, eh? Erano i professori che non hanno mai saputo comprenderti! Avrei potuto continuare così per ore, autocongratulandomi e compiacendomi per quell’ impareggiabile vocabolario che avevo saputo sfoggiare fino a quel momento. “E se io ti chiedessi di fare altrettanto con me, eh? Cosa dovrei chiederti di farmi?”
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“COSA HAI DETTO??? RIPETILO, SE HAI IL CORAGGIO!!!” “Niente, io non volevo dire quello…è che… è che…” “Lo sai cosa siete voi uomini, eh? LO SAI? SIETE DEI FALLOCRATI! ECCO COSA SIETE!” “Fachè?” balbettai. Ma lei non mi considerò. Comunque non doveva essere un complimento…
Ero paralizzato, dal terrore, dalle manette e dal fatto che mentre parlava Chantal mi strizzava i “gioielli di famiglia”, e più si arrabbiava più me li strizzava. Per poco non mi fece diventare un soprano… Con le lacrime agli occhi cominciai a implorarla: “Ti prego, Chantal, ti prego!”
Mi sentivo tutto intorpidito. Non era come nei film, in cui uno si risveglia e non si ricorda più cosa gli sia successo. No. Io mi ricordavo tutto. E ringraziavo il cielo di essere ancora vivo. Solo, non riuscivo a capire come ci fossi finito, lì, in quel parco. Pensai che dovevo essere svenuto. Oddio, le forbici!!! Terrorizzato, indirizzai lo sguardo verso il basso. COSA??? Non ci potevo credere! (finale “democratico”: scegliete voi come far terminare il racconto. Suggerirei di impiegare il forum del sito www.anonimascrittori.it per inviare i vostri finali) (Ringrazio Fabietto per avermi suggerito alcuni miglioramenti e tutti i miei amici uomini per avermi fornito degli ottimi pretesti di ispirazione: che Dio vi benedica!) SOUNDTRACK. OVERTURE.
Universi paralleli di
Emiliano Vitelli
Esistono momenti (secondi, giorni, anni) in cui si percepisce una sensazione strana. Una sensazione interiore ed intima di vuoto: qualcosa che non funziona nella propria esistenza. Senti la necessità di ascoltare un suono che sia in sintonia con il tuo stato d'animo, una musica martellante, forse un rumore. Quella vibrazione che riesce
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo a raccontare i tuoi incubi e che riesce a disegnare i tuoi pensieri più intimi. I nervi sono tesi e così anche l'animo. Apri gli occhi ed inizi la giornata con quella tensione che per un istante percepisti un millisecondo prima che cominciasse il nuovo millennio. Un inizio, una foto, il telefono suonare. Devo rispondere? E' una faccenda seria, come un cancro terminale. E sta giungendo la fase finale Comincia a crescere ed io comincio a fantasticare.." ISPETTORE PALOMA . UN FINALE. <
>. Era stato sempre un elemento a suo favore, pensava. D'altra parte il crescente nervosismo dell'emerito Prof.Cherokee Abdullah Silkh non dipendeva solamente dalla situazione in cui si era cacciato. Oltre la sua arguzia (ah! come gli piaceva definirsi arguta ed usare quel termine mentre parlava) inevitabilmente la sua carta vincente era stata sempre il suo aspetto fisico. Carmen Paloma era definita da tutti una donnuccia flaccida, fisicamente irritante e decisamente sovrappeso, ma portava con sè uno sguardo, quello sguardo!, inquisitore, pungente e camaleontico. Uno sguardo che, semplicemente, insinuava. Gli uomini non potevano resitergli quando decideva di farsene uno ed i criminali entravano in un tunnel di nervosismo nevrotico che li poneva in inevitabile soggezione. Forse il mondo l'avrebbe trattata da donna insignificante se non fosse stato per quello sguardo che insinuava: offensivo ed imbarazzante. <>. L'ispettore Paloma sentendo per la decima volta la frase urlata in tono di sfida, si mosse verso la fonte di quel rumore. Evitava sempre di chiamare, nominare, scrivere (salvo che negli atti ufficiali che doveva compilare al Dipartimento di Polizia) o anche accusare, una persona per nome e cognome: per lei era "il soggetto". Riteneva che comportandosi in tal modo distruggeva qualsiasi filo di contatto, per quanto fiebile fosse, che per pura casualità potesse sorgere tra lei ed il perseguito. Oltretutto, non poteva nascondere a se stessa che di fatto
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adorava utilizzare nei suoi discorsi una terminologia astratta e asessuata, cosa che la riusciva a far sentire superiore anche a Dio, anzi al "Soggetto che starebbe lì su". Aspetto fisico, sguardo ed uso dei termini astratti: una combinazione devastante. Imbarazzante per chi ne era oggetto...per la vittima. <> sghignazzava sempre tra sè, sopratutto quando era a lavoro. <> ordinò. <<...e butti via argutamente la chiave>> mormorò, sicura, nella sua testa. P R O C U R A D E L L A REPUBBLICARAPPORTO DELL'ISPETTORE C. PALOMA AL PUBBLICO MINISTERO PROCEDENTE Criminale: Prof.Cherokee Abdullah Silkh Giudizio: colpevole Prove: 1) Avvocato Stanislao Kesser Da Silva trovato morto; 2) A t t e ggi a m e n t o n e r vo s o e n on conciliante del fermato. Provvedimento Arresto e traduzione presso la più vicina casa circondariale dello Stato; sentenza di colpe volez za; pro c esso per direttissima da celebrarsi quando possibile; condanna da determinarsi in quella sede a cura del Pubblico Ministero procedente. ISPETTORE Carmen Paloma NOBEL. <> Non poteva fare a meno di sorridere a quell'affermazione. Come poteva, lui, considerare che fosse realmente possibile pronunciare una frase di quella portata? Da giovane, anzi da giovanissimo gli avevano dato il nobel per la fisica. Il giorno della premiazione era stato introdotto ai presenti come il "Profeta della nuova fisica". Ancora ventitreenne, sulla base di precisi calcoli e percorsi logici inequivoci aveva trovato la conferma scientificamente provata dell'esistenza di universi paralleli. Ora, la teoria, elaborata da Hugh Everett III e successivamente ripresa e ampliata da Bryce De Witt, non era più un'audace costruzione del mondo quantico. Tuttavia il nobel gli era stato consegnato anche per un'altro motivo.
Con la sua teoria veniva destrutturato definitivamente il principio di causaeffetto. Questo poteva essere ristretto all'attività di accadimenti concreti riferentisi ai mondi newtoniani, tale principio però saltava completamente nel momento in cui si affrontava la natura sul piano subatomico e su quello universale cosmologico. Le fluttuazioni quantiche, confermavano i suoi studi, si pongono come un rumore di fondo che disturba il lavoro del nostro cervello. Le azioni dei neuroni a livello celebrale non sono determinate nè da noi stessi nè da qualcos'altro, esse semplicemente non sono deteriminate: non c'è causa-effetto, ma solo casualità. Il principio di indeterminazione di Heisenberg escludendo la possibilità di calcolare contemporaneamente posizione e velocità di una particella ha come conseguenza che il neurone, allo stato naturale, non ha oggettivamente nè posizione nè velocità. Esso può mettersi in moto o no, quello che la mente fa è cercare di determinare un evento (il moto) e non un'altro (il non moto). Non esiste allora nessuna scelta. L'evento si verifica se noi lo osserviamo e ciò in quanto noi diveniamo parte dell'universo a cui appartiene quella casualità. Quell'istante è quello in cui si formano le infinite casualità e quindi gli infiniti universi. Grazie per il Nobel!!!!! <> Non c'è presente, nè passato e nè futuro, essi esistono in un tutto inseparabile. DISPERAZIONE. <> Non poteva urlare...non ne aveva la forza; non poteva muoversi...non ne aveva la forza; non poteva ragionare e razionalizzare...non ne aveva la forza. Avrebbe voluto fermare il suo cervello, quel maledetto coso non la smetteva di bombardarlo di stimoli elettrici. In questi momenti si sentiva una cavia in balia della sua stessa mente che andava completamente alla deriva...almeno avesse potuto sapere quale... Quel nero...quello spaventoso nero cresceva. <> Arrivava senza avvertire, rimaneva quanto voleva e poi da un momento
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Rorschach 2004 / Marzo all'altro spariva, senza lasciare traccia e per fortuna, fino ad oggi, senza fare vittime. <> Era anche questo che lo mandava ai matti: non potersi preparare, non potersi organizzare per tempo. Avrebbe potuto non fissare appuntamenti con i clienti, cancellare quelli già presi; poteva non andare in tribunale e farsi sostituire. Ma così, di punto in bianco, si sentiva incatenato. Dalla realtà esterna che lo costringeva ad agire, a prendere delle decisione, a fare delle scelte; dal suo intimo che gli impediva il controllo del più insignificante neurone, quasi si attivassero senza una causa. Certo che la sua fama di imbattibile e spietato avvocato non poco lo metteva in imbarazzo quando, solo, si guardava allo specchio e vedeva il nulla. Il vuoto. Era imbarazzante sopratutto ora che difendeva due fra le personalità più odiate al mondo, i due potenti che per decenni avevano governato a suon di guerre preventive. Lui, l'avvocato Stanislao Kesser Da Silva, anche questa volta era stato troppo bravo. Ormai era sicuro, come lo erano tutti, che i giudici del Tribunale Penale Internazionale gli avrebbero dato ragione e avrebbero mandato assolti i suoi assistiti. Ma ora era stanco, vuoto e solo. Ore 11:38 PM. Lo studio è vuoto. L'avvocato Stanislao Kesser Da Silva esce chiudendosi la porta alle spalle. Guarda con difficoltà le scale che dovrà scendere. <> si chiese. <> si chiese. <> si chiese. <> si chiese. Occhi rossi, lacrime. Buio e silenzio. Un passo, un'altro passo. Nero, passi, silenzio, silenzio, silenzio... SCELTE. Per Cherokee Abdullah Silkh la ricerca
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scientifica aveva una sua ragion d'essere solo se i suoi obiettivi venivano costantemente relazionati alla realtà politica e sociale: non aveva senso pensare universi paralleli senza pensare simultaneamente a realtà politiche e sociali parallelle. Tracciare queste relazioni biunivoche era divenuta ben presto una necessità e pertanto, un giorno, decise che come portava avanti i suoi studi per rivoluzionare il mondo scientifico, così doveva agire per rivoluzionare il mondo sociale. Una scelta che lo aveva avvicinato agli ambienti eversivi (o di lotta rivoluzionaria, dipende dai punti di vista) fino a divenire un dirigente d'azione della Comunità Dormiente. In ogni caso, pensava, a qualunque universo lui, o meglio il suo Ioosservatore, appartenesse doveva tener fede agli accordi presi con la Comunità. Quel lurido infame doveva scomparire da questa terra e doveva essere la mano di Cherokee Abdullah Silkh a portare a termine l'operazione: qualunque cosa fosse successa, qualsiasi ispettore di polizia lo avesse ricercato, chiunque non si fosse fermato davanti alla fama di cui godeva l'emerito Prof. Cherokee Abdullah Silkh. <>. La scelta ormai era stata fatta. L'universo in cui viveva, aveva deciso, era l'unico vivibile, l'unico osservabile. "La Scelta", una volta osservata, aveva istantaneamente cancellato ogni ansia ed ogni incubo. Era lì nel buio in attesa che qualcosa si muovesse, che l'obiettivo, il bastardo, uscisse dalla porta del suo fottuto studio. Sapeva che aveva di fronte un uomo senza scrupoli, freddo, vigile e senza esitazioni. Lui invece era stato sempre un emotivo, solo "La Scelta" lo aveva trasformato. La imponente consapevolezza di quell'atto di autodeterminazione era stata come una rinascita, sapeva che la realtà è caso, che il mondo è tale in quanto in tal modo viene osservato. Si era convinto che quello in cui viveva era l'unico
mondo possibile. Niente universi paralleli, niente salti spazio temporali, niente singolarità casuali da attraversare. Le infinite combinazioni di ogni singolo universo, consideravano sempre un elevato numero di persone sfruttate e allora inutile pensare al resto: combattiamo ora e subito! Cigolii. Buio e silenzio. Un passo, un'altro passo. Nero. Passi, silenzio, silenzio, silenzio... ISPETTORE PALOMA . UN ALTRO FINALE. <>. Era stato sempre un elemento a suo favore, pensava. D'altra parte il crescente nervosismo dell'emerito Prof.Cherokee Abdullah Silkh non dipendeva solamente dalla situazione in cui si era cacciato. Oltre la sua arguzia (ah! come gli piaceva definirsi arguta ed usare quel termine mentre parlava) inevitabilmente la sua carta vincente era stata sempre il suo aspetto fisico. Carmen Paloma era definita da tutti una donnuccia flaccida, fisicamente irritante e decisamente sovrappeso, ma portava con sè uno sguardo, quello sguardo!, inquisitore, pungente e camaleontico. Uno sguardo che, semplicemente, insinuava. Gli uomini non potevano resitergli quando decideva di farsene uno ed i criminali entravano in un tunnel di nervosismo nevrotico che li poneva in inevitabile soggezione. Forse il mondo l'avrebbe trattata da donna insignificante se non fosse stato per quello sguardo che insinuava: offensivo ed imbarazzante. <>. L'ispettore Paloma sentendo per la decima volta la frase urlata in tono di sfida, si mosse verso la fonte di quel rumore. Evitava sempre di chiamare, nominare, scrivere (salvo che negli atti ufficiali che doveva compilare al Dipartimento di Polizia) o anche accusare, una persona per nome e cognome: per lei era "il soggetto". Riteneva che comportandosi in tal modo distruggeva qualsiasi filo di contatto, per quanto fiebile fosse, che per pura casualità potesse sorgere tra lei ed il
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Rorschach 2004 / Marzo perseguito. Oltretutto, non poteva nascondere a se stessa che di fatto adorava utilizzare nei suoi discorsi una terminologia astratta e asessuata, cosa che la riusciva a far sentire superiore anche a Dio, anzi al "Soggetto che starebbe lì su". Aspetto fisico, sguardo ed uso dei termini astratti: una combinazione devastante. Imbarazzante per chi ne era oggetto...per la vittima. <> sghignazzava sempre tra sè, sopratutto quando era a lavoro. Ore 5:27 AM. Questa volta però era in difficoltà. E' vero il soggetto-avvocato era sparito da ore. L'ultimo soggetto che lo aveva visto era stato il collaboratore che se ne era tornato a casa verso le 10:00 PM e lo aveva lasciato solo a studio . Diceva che spesso l'avvocato rimaneva a meditare per un po' da solo, ma quella notte si era persa ogni traccia. E' vero, avevano fermato un soggetto a 100 metri dallo studio, che era stato identificato come quella specie di genio un po' indiano, un po'arabo ed un po' nativo americano che veniva chiamato Profeta della nuova fisica! <> SOUNDTRACK, CHIUSURA. Sai che non esiste un rimedio, devi resitere. Il mondo dei tuoi pensieri è colorato di blu e nero. Questa sensazione non è tristezza è la tensione che senti per l'impotenza e l'impossibilità di controllare il tuo destino, di scegliere la tua esistenza. Desideri cercare un senso, però per trovarlo non basta avere un obiettivo perchè è necessario conoscere la strada per raggiungerlo e devi avere la forza per percorrerlo quel sentiero. Il tempo trascorre, continui a cercare una musica che sia in sintonia con il tuo stato d'animo. I tuoi pensieri sono ancora blu e neri. Incontri personaggi che non puoi evitare, che devi affrontare. Vorresti fuggire anche se tu sai che la polizia karmica non ti può prendere perchè desidera solo metterti paura...e tu hai paura: Questo è quello che otterrai quando avrai a che fare con noi. Per un minuto mi perdo in me stesso...."
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Sei a casa, sei sotto le coperte e finalmente puoi chiudere gli occhi. Varchi la soglia della tua mente, un'altro mondo, un'altro universo. I pensieri corrono, i suoni si accavallano, suoni come pennelli: rosso, verde, bianco, azzurro, viola, marrone...Di più, di più, ce ne sono sempre di più. Calma, tranquillizzati. Ora riposa, perchè non sai in quale universo ti sveglierai domani.
Onanismi lessicali di Fernando Bassoli
Muschioso rappreso sbrullato rancoroso rancido malessere blando. Bip. Parole immote aggrovigliate percotendo elusive sviando annebulate e flaccide esitabonde tremolanti castrazioni sperdendo sibilando fibrillanti roride intorpidite dipanando orlate ronzanti sussulti frusciando quasi folate di venticiattolone sfollanti cumuli lanuginosi di nubi farfuglianti nel chiarore livido sfumante tra la penombra azzurrata degradazioni di luci untose sbrilluccicanti rischiarano oscillazioni labili filiformi e volubili incerate trepidanti ma in fondo chete scemanti nei vicolacei circoletti a raggiera vagando mollicci melliflui sussulti. Blop. Blando malessere r an c ido ra nc or os o s br u l la to rappreso muschioso. Miciattolando fioche folli fiammelle nell’aere illividito addensandosi cupe pendule. Ops.
Mosaico di un aspirante alcolista di Fabio Mazza “”Come ti puzza il culo!!!!” disse la vacca al mulo: “Sarà la tua puzza di cacca!!!!” rispose il mulo alla vacca…Oh me misero…me tapino…quanto è grossa la mia sequoia…trallallero trallallà…figaro qua…figaro là…”. È così che conobbi Strego. All’interno del parco “Mussolini” barcollava da un albero all’altro intonando frasi senza senso con una
sigaretta in bocca, una bottiglia in una mano e il pisello nell’altra. Cercava di pisciare nella direzione giusta, ma era talmente sbronzo che riusciva solo a centrarsi le scarpe. In quella torrida serata di luglio non avevo proprio nulla da fare: i miei amici musicisti non suonavano, il portafoglio era semivuoto, e quanto alle donne…beh, lasciamo perdere… La mia storia con Dorotea era finita da tre settimane. Per sempre. Nessun’altra donna. Nessun altro uomo. Semplicemente l’amore che una mattina si sveglia e delira così, senza una ragione. L’amore che non dura. L’amore che muore perché non è eterno. Eppure lei, il mio Angelo dai lunghi capelli rossi, io l’avevo amata davvero… Trascorsi le prime settimane ad ubriacarmi tutte le sere. A vomitare. Ad ascoltare vecchie canzoni di Nick Drake. A rileggere le sue lettere. A rivedere le nostre foto. A piangere. A masturbarmi… La classica routine di un uomo abbandonato. Dopo 20 giorni decisi di uscire. Eravamo io ed un insano desiderio di morte. Una coppia perfetta!! Ero lucido. E la lucidità della mia mente mi permise di elaborare tra i miei pensieri una tristissima e quanto mai contorta danza di numeri. Erano 4 ore che non mi tiravo una sega. 8 che non parlavo con nessuno. 16 che non dormivo. 20 che non bevevo alcool. Quasi 48 che non toccavo cibo. Quasi 100 che non guidavo. Quasi 150 che non lavoravo. Quasi 500 che non parlavo con Dorotea. Quasi 600 che non la vedevo. Quasi 700 che non sorridevo. Quasi 800 che non tenevo una donna tra le braccia… Sì…800 ore non sono poi molte, sono più o meno 34 giorni. Come dimenticare quel momento? Immagini che si ripetevano nella mente centinaia di volte al giorno, come un film che si conosce a memoria. Avevamo appena finito di fare l’amore, quella notte. Poi lei raccolse le ginocchia al mento. Sembrava una bambina in cerca di protezione. Di
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Rorschach 2004 / Marzo tenerezza… L’abbracciai con la dolcezza di sempre, la dolcezza che in quei momenti spesso mi dimostrava lei per prima…ma appena sfiorai la sua pelle, mi accorsi immediatamente che c’era qualcosa che non andava. “Cos’hai?” le chiesi. Non mi rispose. La osservavo sotto la sola luce di una candela…Dio, quant’era bella con quello sguardo triste! Era magnificamente bella! Accarezzai il suo viso, e con una ciocca dei suoi capelli le asciugai gli occhi imbevuti di pianto. Tenevo le mani tra i suoi capelli e con la mia fronte toccavo la sua. Vedevo le lacrime nascere dai suoi occhi e morire tra le labbra. E’ lì che la baciavo… Baciavo le sue lacrime e non dimenticherò mai quel sapore così amaro. Era veleno! 800 ore prima… Quel “film” ormai mi tormentava da 34 giorni. In ogni istante della giornata. Dall’alba al tramonto. Stavo male. E in quei casi si cerca sempre un pretesto per stare peggio. Le probabilità che un bolide grande quanto il Texas si schiantasse contro la mia città causando l’estinzione umana in pochi mesi erano praticamente nulle. Dovevo accontentarmi di molto meno. O semplicemente dovevo essere meno egoista. Così aspirai ad una fine più “individuale”. Speravo in un brutto incontro: un teppista, una banda di nazi armati di catene, un balordo con la pistola, un qualsiasi rappresentante della feccia umana, felice di massacrarmi di botte e di farmi sputare sangue… Era l’01:35 circa… ancora un po’ troppo presto per quel tipo d’incontri. Accesi il televisore per uno “zapping”. Immagini altamente culturali: pornocasalinga vista davanti, il kamasutra in videocassetta alla “fantastica” offerta di 73.00 €, Selen vista da dietro, Maurizia Paradiso che consigliava “Mandingo” per delle
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erezioni mai viste, il culo di Selen (primo piano), poppe astronomiche (roba da far vomitare anche il masturbatore più incallito!), sesso, sesso, sesso e ancora sesso… Continuai a giocare con il telecomando fino a quando qualcosa di veramente interessante non catturò la mia attenzione. MTV: Chris Cornell dei Soundgarden stava cantando a squarciagola “Jesus Christ pose”; sembrava un moderno Messia avvelenato con il mondo, con tutto e con tutti. Proprio come me. Nell’ordine su una grande croce si alternavano un fantoccio woodoo, una bella ragazza dagli occhi bendati e lo scheletro di una mezza specie di “Terminator”. Un concentrato di suoni condito da immagini subliminali e provocatorie. Un efficace strumento di tortura per cardinali fascisti e borghesi benpensanti. A quel punto spensi il televisore: ero pronto per la mia impresa. Uscii di casa a piedi. Direzione: il parco “Mussolini”. Erano anni che non lo vedevo di notte, forse dai tempi dell’Arcadia. Quando “chiudevamo” quel locale, le serate finivano quasi sempre ai giardini di fronte, davanti ad una bottiglia di vino, ad una canna, ad una chitarra o ad un jambè…e se poi c’era Foffo nelle vicinanze, allora si andava a casa di qualcuno a cucinare il suo bel guanciale che teneva costantemente custodito in macchina…. e se fuori c’erano 33°, beh questo era solo un dettaglio. Iniziai a girovagare per il parco ricordando i vecchi tempi: l’Arcadia, Foffo, il Vicolo Cieco, i Senzabenza, i goal di Robby Baggio ai mondiali del ’94, i Traffic Jam, il “Demone Blu”, le Teste di Legno, il Miro’s Pub, Caterina e il suo violino, la “Pantera” del ‘90, il Marsigliese, Nicoletti, San Masseo e tutto il resto. Dorotea. Tutto il resto. Dorotea. Tutto… I giardini erano quasi deserti. Qualche extracomunitario ubriaco forse, ma nessuno corrispondeva al soggetto che stavo cercando. Deluso, mi sedetti su una panchina ed accesi la trentaseiesima sigaretta della giornata. È a quel punto che incontrai quell’uomo.
Dopo aver finito di pisciarsi sulle scarpe, mi venne incontro chiedendo una sigaretta. “Ma come? Non vedi che ne hai una accesa in bocca???” avrei dovuto dirgli. Non lo feci. Anzi gli diedi tutto il pacchetto. “Tieni!” gli dissi “ne sono rimaste solo 4, ma puoi tenerle…credo di aver fumato abbastanza per oggi…”. Le prese soddisfatto. Il lampione più vicino era ad una ventina di metri. La sua luce mi permise di riconoscere un uomo di 45-50 anni, di corporatura robusta ma non molto alto, dai capelli grigi di media lunghezza e la barba incolta. “Posso sedermi qui?” mi chiese umilmente: “Perdonami….ma non ce la faccio proprio ad arrivare all’altra panchina…”. Rimasi colpito dalla sua gentilezza. Insomma: era pur sempre un “barbone” o una cosa del genere. Avevo già avuto incontri di quel tipo e ormai avevo capito che quella vita, la loro vita, non poteva permettersi la gentilezza. Era un lusso troppo grande. Quell’uomo non si reggeva in piedi. Lo aiutai a sedersi su quella panchina. Puzzava da fare schifo: una ripugnante miscela di vomito, alcool, piscio, sudore, merda… “Ti ringrazio…Posso sapere il tuo nome?” mi disse. “Micky…” gli risposi. “Sei un guerriero, Micky! si vede dai tuoi occhi…sei vero…proprio come Attila…”. Attila…che cazzo centrava Attila?!?! Capii immediatamente che avevo a che fare con un povero pazzo. Un pazzo innocuo: i suoi occhi esprimevano tutto tranne la violenza o l’odio… Non era proprio quello che stavo cercando, non era come incontrare “Gianluchino”, Leo lo zingaro, il Negro o gli altri delinquenti che in quel periodo bazzicavano la mia città, ma forse l’incontro con un vagabondo sarebbe stato altrettanto violento per la mia anima.
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Rorschach 2004 / Marzo Forse mi avrebbe fatto ugualmente male. Decisi di parlare con lui: “Tu invece, come ti chiami?”. “Puoi chiamarmi Strego…” mi rispose. Strego (e chissà qual era il suo vero nome) doveva avere sicuramente qualche rotella fuori posto…molto probabilmente un acido gli aveva spappolato parte del cervello durante la fase lisergica degli anni ’70, quando era leader dei METEORA, gruppo progressive rimasto conosciuto soltanto nella scena musicale bolognese. A quanto pare quel nome non gli portò molta fortuna… In realtà la nostra conversazione non durò molto. Mi disse che il giorno seguente avrebbe fatto qualcosa di “veramente strepitoso” e che se ne avevo voglia me ne avrebbe parlato la sera stessa al bar della stazione, magari davanti a qualche birra… Mi disse che negli ultimi mesi viveva tra Latina e Latina Scalo e che in primavera aveva fatto la comparsa per un documentario sul medioevo che stavano girando a Sermoneta. “Dovevi vedermi…” mi disse “ero bellissimo, col mio arco e le mie frecce. Ero un arciere!”. Alla fine di quella frase il vino gli risalì tutto in una volta e cominciò a vomitarsi addosso. Quando finì lo aiutai a coricarsi sulla panchina. Dopo pochi minuti si addormentò piangendo. Nel sonno ripeteva continuamente una specie di mantra: “avrei ricoperto il tuo corpo con petali di rose…avrei ricoperto il tuo corpo con petali di rose…avrei ricoperto il tuo corpo con petali di rose… “. Decisi di tornare a casa. Dormii ininterrottamente per 13 ore, disertando il lavoro ancora una volta. Sicuramente cercarono di contattarmi un’infinità di volte, ma il mio cellulare era disperso da tempo immemorabile, e quanto al telefono di casa, era stato distrutto durante una mia fase di isterismo alcolico. Forse mi avevano già licenziato… Feci colazione alle 6.30 del pomeriggio
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con una spremuta di arancia, una vodka gelata, una brioche, ed una vodka gelata. Qualche ora dopo mangiai uno squallido piatto di pasta in bianco. Infine decisi di andare alla stazione a trovare Strego. Prelevai 100 € dal Bancomat: se qualche giorno prima il mio conto era vicino allo zero, adesso stava veramente franando. “Vai, Strego!” pensai dentro di me: “stasera offro io…”. Dopo una settimana risalii a bordo della mia Alfa 33 grigio ardesia del ’91. “Una vera macchina da coatto!!!” mi diceva sempre Foffo, anche quando era quasi nuova…Io l’ho sempre adorata. Arrivai alla stazione poco prima di mezzanotte e al bar ordinai la terza vodka della giornata. Chiesi informazioni al ragazzo che serviva dietro al bancone. <> mi disse: <>. Il cameriere mi raccontò “quella cosa strepitosa” di cui la sera prima Strego fece solo un vago accenno. Per me Strego non era più un pazzo. Era un poeta, forse l’unico che abbia mai incontato… Chiesi al cameriere una bottiglia di Martini Bianco, bella fredda. Risalii in macchina e cominciai a correre senza meta con una mano al volante e l’altra al Martini. Poi mi diressi a Roma. Sulla Pontina sfiorai diverse volte i 190 km orari. Poco prima dell’EUR la bottiglia era finita… Girai per il quartiere delle puttane: alcune erano africane, molte dell’est…non so perché ero arrivato lì, non avevo mai pagato per scopare e non avevo alcuna intenzione di farlo quella sera. Una ragazza mi costrinse a fermarmi. <>. Avrà avuto 20 anni, forse meno… era bellissima, dal corpo esile e i capelli lunghi e neri. Indossava una
microgonna di pelle nera, dalla quale si intravedeva un perizoma rosso, gli stivali alti fino al ginocchio dello stesso colore ed una magliettina aderente corta fino all’ombellico… La feci salire in macchina. <> mi disse: <>. Glieli diedi e le chiesi dove dovevo andare. <>. Mi fece fermare ad una traversa di via dell’Umanesimo. <>. “Qui” era tra un bidone della spazzatura ed una campana per la raccolta differenziata. Cominciò a spogliarsi mettendo in mostra i suoi seni, piccoli ma ben fatti. L’abbracciai e tentai di baciarla come fino a poco tempo prima facevo con un’altra. <<….e no bello!! Questo non lo puoi proprio fare…E’ la prima volta con una di noi, vero? Guarda: si fa così…>>. Mi sbottonò la camicia e poi i pantaloni. Iniziò ad accarezzarmi il torace e a leccarmi. Poi scese sempre più giù: cominciò a manipolarlo con le mani e con la lingua. Me lo prese in bocca… Rimasi inerme. <> mi chiese. <> le risposi con un infinito imbarazzo. <>. <>. Aprì lo sportello e se ne andò via, lasciandomi così: vicino ad un bidone della spazzatura, con 60 € in meno ed un cazzo morto in mezzo alle gambe. Mi sembrava di nuotare in un oceano di merda… Continuai a girare per le vie di Roma finchè la macchina mi lasciò a piedi, senza benzina. Era quasi l’alba. Entrai in un bar. Il primo che trovai aperto. Ordinai una vodka gelata. Doppia. Avevo due strade di fronte a me.
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Rorschach 2004 / Marzo Berla tutta in un sorso e poi ordinarne un’altra e dopo un’altra ancora… Oppure lasciare il bicchiere lì intatto. Pagare ed andarmene… EPILOGO La mattina precedente, Strego si era alzato da quella panchina. Dopo due ore di elemosina riuscì a comprarsi due cartoni di Tavernello. Nel primo pomeriggio li aveva già finiti. Successivamente andò in un nascondiglio che conosceva solo lui. Indossò un costume medievale, quel costume che forse in un modo o nell’altro era riuscito a far sparire dal set, a Sermoneta, qualche mese prima. Con sé teneva pure l’arco. Gli mancavano solo le frecce. Vagò per il centro della città così, vestito da arciere medievale e con un elmo in testa. Fuori il termometro toccava i 37°. Si fermò a Piazza del popolo, di fronte alla torre dell’orologio. A pochi metri dalla fontana iniziò a far scoccare l’arco contro il quadrante dell’orologio. Senza frecce. Tendeva l’arco e lasciava la presa. Non fece in tempo a lanciare la nona delle sue frecce immaginarie che in lontananza già si sentiva il suono di una sirena. Due portantini scesero dall’ambulanza e gli misero la camicia di forza, un terzo gli fece un’iniezione. Strego non oppose alcun tipo di resistenza. Da allora in città non lo vide più nessuno. Dedicato a tutti quelli che sono ancora fermi di fronte a “quel” bicchiere.
Ora Basta! di Francois De Gerard
Si avvisano i lettori che questa storia contiene elementi violenti, pornografici e blasfemi. Se hai meno di 18 anni clicca EXIT e levati dal cazzo. LOCATION: studio medico dott. Solli
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ORE: 16:00 del 4 marzo 2004 Mi ha detto che le macchie di Roscharch sono una stronzata. Certo, tu me le mostri per “vedere” meglio dentro di me, ma quando ne ho parlato con lui mi ha raccontato una strana storia. Ti va di parlarne? Certo, sono qui per questo. Lui racconta che Roscharch si era fatto di erba e assenzio e beveva il caffè con degli amici in un bar. Era il 1921. La base sporca della tazza aveva disegnato cerchi di caffè su un tovagliolo*. Lui li guardò a lungo e poi disse: “cazzo, ci vedo le olimpiadi!”.
Ma torniamo alla macchia che ti ho dato: cosa ci hai visto? Hai avuto 3 giorni per pensarci.Ci vedo una rosa, una rosa piegata in giù come se volesse raccogliere qualcosa o raggiungere l’acqua. Ma è fresca, non appassita, potrebbe essere piegata dal vento forte. E l’hai mostrata a lui? Sì… Ti va di dirmi cosa ha detto? Ci ha visto il mostro di Loch Ness che nuota in fondo al lago di notte come se una telecamera lo riprendesse dal basso. Devi smettere di vederlo, credimi, per il tuo bene.
Tu credi a questa storia o pensi che se la sia inventata? Non so, ha molta fantasia, ma potrebbe essere vero, sa un sacco di cose. Non è che magari lo ami troppo e quindi attribuisci un valore eccessivo a quello che dice? Anche questo forse è vero. Sai, sono confusa anche sui suoi sentimenti nei miei confronti. Cosa ti ha spinto a questa osservazione? E’ la prima volta che lo dici. Ieri eravamo al telefono ed io ero giù. Avevamo discusso parecchio e stavo piangendo. Quando lui ha sentito i miei singhiozzi ha detto: “non chiedermi il perché, ma mi è venuta voglia di farmi una sega micidiale ”
La fine del racconto di Francois de Gerard e tutti gli altri contributi relativi alla macchia di marzo su:
www.anonimascrittori.it
Questo tizio è psicopatico. No, davvero, non scherzo. Dovresti cominciare seriamente a pensare che è un pericolo o può comunque diventarlo.
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