PROCEEDINGS Congresso ANEMGI ONLUS
GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON
DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
ROMA, 12-13-14 SETTEMBRE 2007 - Hotel CAVALIERI HILTON - Via Cadlolo, 101
Associazione per la NeUroGastroenterologia e la Motilità Gastrointestinale (ANEMGI ONLUS) ANEMGI V.le M. Pilsudski, 118 - 00197 Roma Tel. / Fax +39 068078303 - e-mail:
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ANEMGI is a non-profit organization devoted to the promotion of research, education and care of visceral dysfunctions in patients with nervous system alterations. ANEMGI ONLUS
President Enrico S. Corazziari Public relations Emanuela Crescini
NeUroGastroenterologia Is the official publication of the Associazione per la NeUroGastroenterologia e la Motilità Gastrointestinale (ANEMGI)
NeUroGastroenterologia attempts to bridge the gap between research and patient care by transferring scientific advances from different competences and disciplines to those entrusted with the management of patients with visceral disorders and alterations of the nervous system. The aim of the Journal NeUroGastroenterologia is to publish topics which are relevant for specialists, family practitioners and other health personnel involved in this multidisciplinary area. Material to be published includes: editorials, review articles, original articles, case reports. Editor Enrico S. Corazziari
MESSAGGI Publisher Edizioni
MESSAGGI s.r.l. Via G. Sismondi, 44 - 20133 Milano Tel.+39 0276110205 Fax +39 027381635 - e-mail:
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NeUroGastroenterologia - Reg. Trib. Roma n. 15 dell’11/1/1995 - Quarterly - © 2007 MESSAGGI s.r.l. - Direttore Responsabile: Enrico S. Corazziari
GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
“Lo stato di sofferenza, non la condizione patologica, guida l’approccio al paziente con disturbi cronici”
“What matters in chronic disorders is the patients’ suffering, not the disease entity”
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BENVENUTO Enrico Stefano Corazziari Dipartimento di Scienze Cliniche Università “Sapienza”, Roma La più grande sfida per i sistemi sanitari dei paesi industrializzati è la capacità di affrontare il continuo aumento delle malattie croniche che progredisce parallelamente a quello delle potenzialità terapeutiche e della durata della vita. Le malattie croniche gastrointestinali (GI), oltre a rappresentare una gran parte di queste condizioni cliniche, hanno aspetti distintivi e peculiari di un apparato che, per avere la maggior estensione a contatto con l’ambiente esterno, è dotato del più grande sistema immunitario e un sviluppatissimo sistema nervoso. Non è sorprendente quindi che le condizioni ambientali, fisiche e sociali, e quelle psicologiche abbiano un ruolo determinante nell’iniziare e nel mantenere disturbi e malattie croniche GI. I disturbi cronici GI non sono solo numerosi, e ciascuno di essi ad elevata prevalenza, ma arrecano un considerevole grado di sofferenza individuale come conseguenza di un alterato stato di salute. La sofferenza non è necessariamente l’espressione diretta delle lesioni anatomopatologiche o delle alterazioni funzionali ma, piuttosto, il risultato finale dell’interazione tra alterazione anatomo-funzionale con il comportamento alimentare ed evacuativo con effetti sullo stato di salute, sulle relazioni sociali e sugli atteggiamenti psicologici. Lo stesso stato di sofferenza cronica e la eventuale presenza di pregressi o concomitanti eventi stressanti spesso giustificano un alterato comportamento da malattia che porta il paziente a ricercare continuo aiuto medico, mantiene la cronicizzazione del disturbo, riduce lo stato di benessere e la risposta al trattamento. In considerazione di tutti questi fattori, l’effetto delle malattie croniche GI sullo stato di salute non può essere valutato semplicemente sulla base dei sintomi, segni o alterazioni anatomo-funzionali ma anche sulla valutazione della qualità della vita che racchiude in un'unica misura diversi aspetti della condizione di salute. La gestione dei pazienti con malattie croniche differisce notevolmente da quella dei pazienti con malattie acute non solo nell’approccio diagnostico e terapeutico iniziale ma specialmente durante il successivo decorso quando si devono affrontare le problematiche della ricaduta, della prevenzione delle complicanze, del trattamento a lungo termine, e ancor più, della gestione del paziente. Il modello biomedico centrato sulla identificazione e rimozione dell’evento causale è di solito soddisfacente per una condizione acuta che sia il medico che il paziente considerano reversibile con uno stato di sofferenza limitato ad un tempo definitivo, ma non per una condizione cronica nella quale i fattori causali non sono sempre identificabili e/o l’armamentario terapeutico non è in grado di risolvere definitivamente il disturbo. Nelle malattie croniche l’obiettivo della terapia non e necessariamente la guarigione ma ad esempio, il contenimento o l’arresto della progressione di malattia, la remissione dei sintomi, la prevenzione o il trattamento di una recidiva o di una complicanza. Inoltre nei disturbi cronici, l’interazione tra le alterazioni anatomiche e funzionali con lo stato psicologico, il comportamento da malattia e le condizioni socio-ambientali consigliano di avere un approccio medico secondo il modello biopsicosociale che non si limiti a considerare solo la malattia o il disturbo, ma valuti lo stato di sofferenza, di disabilità e delle aspettative riguardo allo stato di sofferenza cronica e agli effetti sulle relazioni sociali, sull’attività fisica e sul comportamento emozionale. Nella gestione terapeutica del decorso delle malattie croniche è importante non creare aspettative illusorie, ma stabilire, insieme al paziente. obiettivi credibili che siano effettivamente raggiungibili. Se si considera che la causa di maggior insuccesso terapeutico è solitamente la mancata compliance è essenziale motivare il paziente, coinvolgendolo e responsabilizzandolo nel suo trattamento. Aspetto quindi fondamentale e prioritario nella gestione terapeutica di una malattia cronica è pertanto quello di educare il paziente sulla storia naturale, sulla terapia, sul comportamento da avere durante il decorso. È con piacere che vi porgo il benvenuto a partecipare al Congresso “Approccio al Paziente con Disturbi Cronici Gastrointestinali” promosso dall’ ANEMGI-ONLUS (ASSOCIAZIONE PER LA NEUROGASTROENTEROLOGIA E LA MOTILITÀ GASTROINTESTINALE). L’ANEMGI-ONLUS ha promosso questo congresso con l’intento di fornire informazioni, critiche ed aggiornate, utili per la gestione dei pazienti affetti dalle malattie gastrointestinali croniche più rilevanti in termini di prevalenza e di gestione terapeutica, quali la malattia da reflusso gastroesofageo, la dispepsia funzionale, il morbo di Crohn, la rettocolite ulcerosa, il morbo celiaco, la dispepsia funzionale, la sindrome dell’intestino irritabile e la stipsi cronica. Particolare risalto si è voluto dare alla stipsi cronica per richiamare l’attenzione su una condizione di malattia ufficialmente non riconosciuta in Italia, talvolta vilipesa, sottovalutata per lo stato di sofferenza che può causare in molti pazienti, e di difficile gestione terapeutica. Mi auguro che questo Congresso serva a suscitare maggiore comprensione per la sofferenza causata dalle malattie croniche GI e maggiore interesse sull’importante aspetto della loro gestione terapeutica. Desidero infine ringraziare il coordinatore Emanuela Crescini, senza la quale non ci sarebbe stato questo evento e la possibilità di essere qui riuniti, e tutti voi per la vostra partecipazione al Congresso. Enrico Stefano Corazziari
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ANEMGI ONLUS Associazione per la NeUroGastroenterologia e la Motilità Gastrointestinale
GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON
DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI ROMA, 12-13-14 SETTEMBRE 2007 Hotel CAVALIERI
HILTON Via Cadlolo, 101
John Ratner, “Medicine Man”, 1989
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ANEMGI ONLUS Associazione per la NeUroGastroenterologia e la Motilità Gastrointestinale
GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON
DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI ROMA, 12-13-14 SETTEMBRE 2007 Hotel CAVALIERI
HILTON Via Cadlolo, 101
PRESIDENTE Professor Enrico S. Corazziari Coordinatore Emanuela Crescini
FACULTY Altomare D, Alvaro D, Angelico M, Annibale B, Anti M, Ardizzone S, Attili AF, Badiali D, Baldi F, Barbara G, Basilisco G, Bassotti G, Bazzocchi G, Bazzoli F, Biondi M, Bonamico M, Campieri M, Caprilli R, Cervigni M, Chiarioni G, Cicala M, Corazza GR, Corazziari E, Corsetti M, Costamagna G, Cucchiara S, Cuomo R, De Giorgio R, Delle Fave G, Di Lorenzo C, Di Stefano M, Graziottin A, Habib FI, La Torre F, Montesani C, Müller-Lissner S, Neri M, Pace F, Pallone F, Pallotta N, Papi C, Pescatori M, Picarelli A, Piretta L, Prantera C, Ravelli AM, Ricci GL, Scarpignato C, Severi C, Staiano A, Stanghellini V, Tonelli F, Vantini I, Vecchi M, Vernia P, Whorwell PJ Per informazioni
www.messagginter national.org/Roma2007
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Messaggi International srl Viale Piave 40/B - 20129 Milano
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[email protected] www.messaggi-events.org www.messagginternational.org 6
GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Programma
Programma e Proceedings
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ANEMGI ONLUS Associazione per la NeUroGastroenterologia e la Motilità Gastrointestinale
GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON
DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI ROMA, 12-13-14 SETTEMBRE 2007 - Hotel CAVALIERI HILTON Via Cadlolo, 101 ROMA, 12 SETTEMBRE 2007 PROGRAMMA 12 SETTEMBRE 2007 ore 13.00 - 14.50 REGISTRAZIONE PARTECIPANTI ore 14.50 - 15.00 APERTURA LAVORI Enrico S. Corazziari 12 SETTEMBRE 2007 ore 15.00 - 20.15 Presidente Attili AF, Roma ore 15.00 - 17.10 ➤ MAL ATTIA DA REFLUSSO GASTROESOFAGEO Moderatore Delle Fave G, Roma • Storia naturale Pace F, Milano • Quando indagare Cicala M, Roma • Terapia farmacologica Cuomo R, Napoli • La strategia clinica nei non responders Baldi F, Bologna • L’Esofago di Barrett Costamagna G, Roma • La MRGE nel bambino Ravelli AM, Brescia
Coffee Break ore 17.10 - 17.40 Presidente Piretta L, Roma ore 17.40 - 18.45 ➤ GASTRITI CRONICHE Moderatore Bazzoli F, Bologna • Storia naturale e complicanze Annibale B, Roma • Tavola Rotonda Terapia dell’Infezione HP Bazzoli F, Annibale B, Severi C Presidente Ricci GL, Roma ore 18.45 - 20.15 ➤ DISPEPSIA FUNZIONALE Moderatore Stanghellini V, Bologna • Definizione (Criteri di ROMA III) Stanghellini V, Bologna • Storia naturale Corsetti M, Milano • Tavola Rotonda Terapia Pallotta N, Corsetti M, Cuomo R, Stanghellini V
Light Buffet Dinner ore 20.30 8
ROMA, 13 SETTEMBRE 2007 PROGRAMMA 13 SETTEMBRE 2007 ore 8.30 - 18.15 Presidente Alvaro D, Roma ore 8.30 - 13.15 ➤ MAL ATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI M. CROHN Moderatore Caprilli R, Roma • Storia naturale Papi C, Roma • Evoluzione delle lesioni del tenue Pallotta N, Roma • Terapia tradizionale Campieri M, Bologna • Immunomodulatori Ardizzone S, Milano • Terapia biologica Pallone F, Roma • Terapia chirurgica Tonelli F, Firenze • Terapia nei bambini Cucchiara S, Roma
Coffee Break ore 10.50 - 11.55 RET TOCOLITE ULCEROSA Moderatore Prantera C, Roma • Storia naturale e prevenzione delle complicanze Prantera C, Roma • Terapia delle recidive moderate/severe Vernia P, Roma • Terapia della Colite distale e della Proctite Vecchi M, Milano • Terapia chirurgica Montesani C, Roma
Light Buffet Lunch ore 13.15 - 14.45 Presidente Angelico M, Roma ore 14.45 - 18.15 ➤ DISTURBI FUNZIONALI INTESTINALI Moderatore Barbara G, Bologna SINDROME INTESTINO IRRITABILE ALVO ALTERNO - DIARREA (C riteri di ROMA III) • Storia naturale Neri M, Chieti • Quando indagare Basilisco G, Milano • Probiotici - Simbiotici Bazzocchi G, Imola • Antibiotici Di Stefano M, Pavia • Antispastici Badiali D, Roma
Coffee Break ore 16.45 - 17.15 • Terapia continua, intermittente, al bisogno Whorwell PJ, Manchester, UK DISTURBI FUNZIONALI INTESTINALI NEL BAMBINO Di Lorenzo C, Columbus, Ohio, USA
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ANEMGI ONLUS Associazione per la NeUroGastroenterologia e la Motilità Gastrointestinale
One day Meeting on
CONSTIPATION ILLNESS ROMA, SEPTEMBER 14, 2007, ore 8.30 - 19.00 Hotel CAVALIERI
HILTON Via Cadlolo, 101
John Ratner
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ANEMGI ONLUS Associazione per la NeUroGastroenterologia e la Motilità Gastrointestinale
One day Meeting on
CONSTIPATION ILLNESS ROMA, SEPTEMBER 14, 2007, ore 8.30 - 19.00 Hotel CAVALIERI
HILTON Via Cadlolo, 101
ROMA, 14 SETTEMBRE 2007 PROGRAMMA 14 SETTEMBRE 2007 ore 8.30 - 19.00 ➤ CONSTIPATION ILLNESS ore 8.30 - 10.15 Chairman Corazziari ES, Roma CLINICAL PRESENTATION • Functional constipation and constipation-predominant IBS Corazziari ES, Roma EPIDEMIOLOGY Bassotti G, Perugia ECONOMIC BURDEN AND IMPACT ON QUALIT Y LIFE Scarpignato C, Parma PATHOPHYSIOLOGY • Large bowel transit, defecation Habib FI, Roma
Coffee Break ore 10.15 - 10.45 ore 10.45 - 13.15 CONSERVATIVE THERAPY Chairman De Giorgio R, Bologna • Water Anti M, Viterbo • Bowel training Chiarioni G, Verona • Round Table Laxatives: Bulking Agents, Osmotics, Stimulants, Probiotics and Symbiotics Corazziari ES, Badiali D, Bassotti G, Bazzocchi G, Staiano A • Neuropsychological treatment Biondi M, Roma
Light Buffet Lunch ore 13.15 - 14.30
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One day Meeting on CONSTIPATION ILLNESS
ore 14.30 - 15.15 GASTROINTESTINAL AND GYNECOLOGICAL COMORBIDIT Y Chairman Cervigni M, Roma • Constipation and gynecological disorders Stanghellini V, Bologna, Graziottin A, Milano ore 15.15 - 17.20 CLINICAL APPROACH and MANAGEMENT Chairman Vantini I, Verona • In children Staiano A, Napoli • In old age Vantini I, Verona • Intractable constipation Müller-Lissner S, Berlin, D • Secondary irreversible constipation Badiali D, Roma • Round Table Surgery Altomare D, Bari, Cervigni M - La Torre F - Pescatori M, Roma
Coffee Break ore 17.20 - 17.45
ore 17.45 - 18.30 ➤ M. CELIACO Moderatore Corazza GR, Pavia • Controllo della dieta e prevenzione delle complicanze Bonamico M, Roma • Screening delle popolazioni a rischio Picarelli A, Roma ore 18.30 - 19.00 • CONCLUSIONS • ECM Credits Evaluation test for Italian Medical Doctors
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Letture
• Indice • Sommario
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APPROACH TO THE PATIENT WITH DISORDERS OF INTESTINAL FUNCTION
Indice Pagina
MAL ATTIA DA REFLUSSO GASTROESOFAGEO
01 • STORIA NATURALE DELL A MRGE F. PACE Dipartimento di Scienze Cliniche - UO di Gastroenterologia, Ospedale “L. Sacco”- Milano
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02 • MAL ATTIA DA REFLUSSO GASTRO-ESOFAGEO: QUANDO INDAGARE? M CICALA Università Campus Bio-Medico di Roma - Policlinico Universitario Campus Bio-Medico Roma, Italia 24 03 • TERAPIA FARMACOLOGICA DELL A MAL ATTIA DA REFLUSSO GASTROESOFAGEO CUOMO R. Gastroenterologia, Dipartimento di medicina clinica e sperimentale Università degli Studi di Napoli “Federico II” 26 04 • MAL ATTIA DA REFLUSSO GASTRO ESOFAGEO LA STRATEGIA CLINICA NEI NON-RESPONDERS FABIO BALDI, RICCARDO SOLIMANDO Motility Unit, Dept. of Gastroenterology and Internal Medicine S. Orsola-Malpighi University Hospital - BOLOGNA (Italy) 05 • L’ESOFAGO DI BARRET T COSTAMAGNA G Università Cattolica del S. Cuore - Unità Operativa di Endoscopia Digestiva Chirurgica Policlinico Universitario “A. Gemelli” Roma, Italia
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allegato
06 • GASTROESOPHAGEAL REFLUX DISEASE (GERD) IN INFANCY AND CHILDHOOD ALBERTO RAVELLI Gastrointestinal Pathophysiology and Digestive Endoscopy, University Department of Pediatrics, Children’s Hospital - Spedali Civili, Brescia (Italy)
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GASTRITI CRONICHE
07 • GASTRITI CRONICHE STORIA NATURALE E COMPLICANZE BRUNO ANNIBALE Malattie del’Apparato Digerente e de Fegato - Ospedale Sant’Andrea II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Universita’ “La Sapienza “ Roma
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08 • TERAPIA DELL’INFEZIONE DA HELICOBACTER PYLORI CAROLA SEVERI Università di Roma “La Sapienza “ Roma, Italia
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GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Indice Pagina 09 • COMORBILITÀ GASTROINTESTINALI E GINECOLOGICHE REL AZIONE TRA STIPSI E APPARATO GENITALE FEMMINILE VINCENZO STANGHELLINI Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia - Università di Bologna
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10 • DISPEPSIA FUNZIONALE - DEFINIZIONE (CRITERI DI ROMA 3) VINCENZO STANGHELLINI, ROSANNA COGLIANDRO, ALEXANDRA ANTONUCCI, LUCIA FRONZONI Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia - Università di Bologna
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11 • DISPEPSIA FUNZIONALE - TERAPIA - PROCINETICI VINCENZO STANGHELLINI, ROSANNA COGLIANDRO, LUCIA FRONZONI, ALEXANDRA ANTONUCCI Dipartimento di Medicina interna e Gastroenterologia - Università degli Studi di Bologna
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12 • LA STORIA NATURALE DELL A DISPEPSIA FUNZIONALE MAURA CORSETTI, MD, PHD Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Università Vita-Salute San Raffaele IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
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13 • IL RUOLO DEI FARMACI ANTIDEPRESSIVI, DELLE TERAPIE PSICOLOGICHE E DELLE TERAPIE ALTERNATIVE NELL A DISPEPSIA FUNZIONALE MAURA CORSETTI, MD, PHD Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Università Vita-Salute San Raffaele IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
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14 • TERAPIA ANTISECRETORIA GASTRICA DELL A DISPEPSIA CUOMO R. Gastroenterologia, Dipartimento di medicina clinica e sperimentale Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
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15 • DISPEPSIA FUNZIONALE: TAVOL A ROTONDA: TERAPIA N. PALLOTTA Dipartimento di Scienze Cliniche, Università “Sapienza”, Roma
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MAL ATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI
16 • STORIA NATURALE DELL A MAL ATTIA DI CROHN C. PAPI, A. ARATARI, B. DE PASCALIS UOC Gastroenterologia Ospedale S. Filippo Neri, Roma
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17 • MAL ATTIA DI CROHN: EVOLUZIONE DELLE LESIONI DEL TENUE PALLOTTA N, ABDULKAIR HASSAN N, GUAGNOZZI D, VINCOLI G, CORAZZIARI E Dipartimento di Scienze Cliniche, Università “Sapienza”, Roma
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GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Indice Pagina 18 • RUOLO DEGLI IMMUNOMODUL ATORI CONVENZIONALI NEL TRATTAMENTO DELLE MAL ATIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI ARDIZZONE SANDRO Cattedra e Divisione di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva Ospedale “L. Sacco”, Azienda Ospedaliera - Polo Universitario Università degli Studi di Milano - Milano
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19 • LE TERAPIE BIOLOGICHE NELL A MAL ATTIA DI CROHN. F. PALLONE Dipartimento di Medicina Interna - Cattedra di Gastroenterologia, Università Tor Vergata, Roma
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20 • LA MAL ATTIA DI CROHN - TERAPIA CHIRURGICA FRANCESCO TONELLI Prof. ordinario di Clinica Chirurgica - Dipartimento di Fisiopatologia Clinica Università di Firenze
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21 • MAL ATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI MAL ATTIA DI CROHN: TERAPIA NEI BAMBINI SALVATORE CUCCHIARA Unità di Gastroenterologia e Epatologia Pediatrica Sapienza Università di Roma, Policlinico Universitario Umberto I, Roma
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22 • STORIA NATURALE DELL A COLITE ULCEROSA COSIMO PRANTERA Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini-Roma
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23 • RET TO COLITE ULCEROSA: TERAPIA DELLE FORME MODERATE-GRAVI PIERO VERNIA Gastroenterologia A, Dipartimento di Scienze Cliniche - Università di Roma La Sapienza.
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24 • TERAPIA DELL A COLITE ULCEROSA DISTALE E DELL A PROCTITE LUISA SPINA, LUCA PASTORELLI, FLAMINIA CAVALLARO, CAMILLA CISCATO EUGENIO TONTINI, MAURIZIO VECCHI Unità Operativa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese (MI) e Università degli Studi di Milano.
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DISTURBI FUNZIONALI INTESTINALI
25 • STORIA NATURALE DELL A SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE: FORME A PREVALENTE DIARREA E MISTE MATTEO NERI Dipartimento di Medicina Interna e Scienze dell’Invecchiamento Sezione di Medicina Interna e Gastroenterologia - Università G. D’Annunzio, Chieti, Italia
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GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Indice Pagina 26 • SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE CON ALVO ALTERNO-DIARREA (CRITERI DI ROMA III). QUANDO INDAGARE. GUIDO BASILISCO Gastroenterologia. IRCCS Fondazione Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena. Milano
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27 • CONSTIPATION ILLNESS CONSERVATIVE THERAPY: PROBIOTICS AND SYMBIOTICS GABRIELE BAZZOCCHI Montecatone Rehabilitation Institute - Università di Bologna, Imola
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28 • SINDROME INTESTINO IRRITABILE: ALVO ALTERNO-DIARREA PROBIOTICI E SIMBIOTICI GABRIELE BAZZOCCHI, PATRIZIA BRIGIDI* Rehabilitation Institute - Imola *Dipartimento di Scienze Farmaceutiche - Università di Bologna
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29 • ANTIBIOTICI MICHELE DI STEFANO, GINO ROBERTO CORAZZA Clinica Medica 1, Università di Pavia, Fondazione IRCCS Policlinico “S.Matteo”, Pavia.
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30 • I FARMACI ANTISPASTICI NELL A TERAPIA DELL A SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE DANILO BADIALI Dipartimento di Scienze Cliniche - Università La Sapienza, Roma
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31 • TREATMENT OF IRRITABLE BOWEL SYNDROME: CONTINUOUS, INTERMIT TENT OR ON DEMAND PJ WHORWELL Professor of Medicine and Gastroenterology - University of Manchester, UK
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32 • FUNCTIONAL GASTROINTESTINAL DISORDERS IN CHILDREN CARLO DI LORENZO, MD Division of Pediatric Gastroenterology, Children’s Hospital of Columbus, The Ohio State University, Columbus, Ohio, U.S.A.
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M. CELIACO
33 • MORBO CELIACO CONTROLLO DELL A DIETA E PREVENZIONE DELLE COMPLICANZE MARGHERITA BONAMICO, MONICA MONTUORI, RAFFAELLA NENNA Dipartimento di Pediatria “Sapienza” Università di Roma
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GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Indice Pagina 34 • CELIAC DIESASE: SCREENING OF AT RISK POPUL ATIONS ANTONIO PICARELLI, MARCO DI TOLA, MARCO GRECO Dipartimento di Scienze Cliniche - Università di Roma “La Sapienza”, Italia
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CONSTIPATION ILLNESS
35 • STIPSI FUNZIONALE E SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE CON STIPSI PRESENTAZIONE CLINICA ENRICO STEFANO CORAZZIARI Dipartimento di Scienze Cliniche - Università “Sapienza”, Roma
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36 • STIPSI CRONICA: EPIDEMIOLOGIA GABRIO BASSOTTI, MARINA MARIANO Cattedra di Gastroenterologia, Clinica di Gastroenterologia ed Epatologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Perugia
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37 • CONSTIPATION: ECONOMIC BURDEN AND IMPACT ON QUALIT Y OF LIFE CARMELO SCARPIGNATO Laboratory of Clinical Pharmacology Department of Human Anatomy Pharmacology & Forensic Sciences, University of Parma, Italy
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38 • PATOFISIOLOGA: TEMPO DI TRANSITO, EVACUAZIONE FORTUNÉE IRENE HABIB, ROBERTO CAPPUCCIO, LAURA CANDELORO Dpt di Scienze Cliniche Università di Roma, Sapienza
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39 • STIPSI -TERAPIA CONSERVATIVA L”ACQUA” MARCELLO ANTI Unità Operativa Gastroenterologia, Viterbo
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40 • CONSTIPATION ILLNESS CONSERVATIVE THERAPY: BOWEL TRAINING G. CHIARIONI Divisione di Riabilitazione Gastroenterologica dell’Università di Verona, Azienda Ospedaliera di Verona, Centro Ospedaliero Clinicizzato 37067 Valeggio sul Mincio, Verona 96 41 • I L ASSATIVI NELL A TERAPIA DELL A STIPSI CRONICA ENRICO STEFANO CORAZZIARI Dipartimento di Scienze Cliniche - Università “Sapienza”, Roma 42 • TAVOL A ROTONDA: I L ASSATIVI LASSATIVI FORMANTI MASSA DANILO BADIALI Dipartimento di Scienze Cliniche - Università “La Sapienza”, Roma
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GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Indice Pagina 43 • LAXATIVES: BULKING AGENTS, OSMOTICS, STIMUL ANTS, PROBIOTICS AND SYMBIOTICS ROSSELLA TURCO E ANNAMARIA STAIANO Dipartimento di Pediatria, Università “Federico II”, Napoli
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44 • TRATTAMENTO PSICOFARMACOLOGICO E PSICOTERAPICO DELL A STIPSI MASSIMO BIONDI E DARIA PIACENTINO UOC Psichiatria e Psicofarmacologia Clinica Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica Policlinico Umberto I° Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
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45 • REL AZIONE TRA STIPSI E APPARATO GENITALE FEMMINILE ALESSANDRA GRAZIOTTIN Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica - H. San Raffaele Resnati, Milano
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46 • CONSTIPATION ILLNESS: CLINICAL APPROACH AND MANAGEMENT IN CHILDREN CATERINA STRISCIUGLIO E ANNAMARIA STAIANO Dipartimento di Pediatria, Università “Federico II”, Napoli
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47 • LA STIPSI CRONICA NELL’ANZIANO ITALO VANTINI Dipartimento di Scienze Biomediche e Chirurgiche Cattedra e U.O. di Gastroenterologia - Università degli Studi di Verona
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48 • INTRACTABLE CONSTIPATION STEFAN MÜLLER-LISSNER, MD Professor of Medicine, Humboldt University - Department of Internal Medicine
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49 • STIPSI CRONICA SECONDARIA IRREVERSIBILE DANILO BADIALI Dipartimento Scienze Cliniche - Università La Sapienza, Roma
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50 • CAUTEL A NELL A CHIRURGIA DELL A OSTRUITA DEFECAZIONE MARIO PESCATORI Unità di Colonproctologia, Villa Flaminia, Roma - Centro Chianciano Salute, Chianciano Terme
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51 • INQUADRAMENTO DELL A STIPSI DI INTERESSE CHIRURGICO DONATO F ALTOMARE Dipartimento dell’Emergenza e Trapianti d’Organo - Università di Bari
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GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Letture STORIA NATURALE DELL A MRGE
TABELLA 1 - Tasso di progressione da NERD a forme erosive
F. PACE Dipartimento di Scienze Cliniche UO di Gastroenterologia Ospedale “L. Sacco”- Milano
Autore (anno)
N° di soggetti
Schindlbeck (1992) Isolauri (1997) McDougall (1998) Bayerdorffer (2004) Labenz (2006) Kawanishi (2006)
16 30 17 588 1717 47
I dati di storia naturale sulla MRGE sono piuttosto incompleti, nonostante la malattia abbia una elevata prevalenza nella popolazione generale ed un notevole impatto sulla qualità di vita nei pazienti affetti. In particolare, è fortemente dibattuto se la malattia sia evolutiva, cioè preveda un aggravamento dei sintomi e delle lesioni endoscopiche (se presenti) nel tempo o se tenda a permanere allo stadio con cui si presenta inizialmente, in assenza di adeguata terapia. Vi è infatti chi descrive la malattia come costituita da sottogruppi tra loro non comunicanti (forme non-erosive, forme erosive e forme complicate da metaplasia intestinale) e sostanzialmente stabili nel tempo 1, e chi come uno spettro continuo in cui ogni fase tende spontaneamente a progredire 2. Tale divergenza ha una significativa ripercussione clinica: infatti, secondo i sostenitori della prima tesi, ad esempio, lo screening per la ricerca di metaplasia intestinale esofagea è totalmente inutile in chi risulta non affetto da tale complicanza ad una endoscopia-indice; ed ancora, la necessità di una terapia personalizzata in funzione del dato endoscopico è infondata. Dall’altra parte, se la malattia è progressiva, è ipotizzabile che la terapia (in particolare di mantenimento) deve essere individualizzata in base al dato endoscopico e possibilmente protratta molto a lungo per evitare lo sviluppo di lesioni ex novo in soggetti con sintomi da reflusso. Nel seguente articolo si prenderanno brevemente in esame i dati disponibili di storia naturale della MRGE, iniziando dai soggetti con forme erosive, esaminando poi quelli relativi ai soggetti con esofagite erosivo-ulcerativa e concludendo con quelli relativi allo sviluppo di esofago di Barrett o adenocarcinoma esofageo a partire da forme non complicate. For me non erosive Il nostro è probabilmente stato il primo studio di storia naturale condotto su un gruppo di pazienti con sintomi da reflusso e assenza di esofagite, cosiddetti pazienti con NERD 3; dopo 6 mesi, 5 dei 33 pazienti costituenti la popolazione in studio e sottoposti a terapia con antiacidi e/o procinetici, ma non antisecretivi sviluppava una esofagite erosiva. Un successivo studio 4, che estendeva il periodo di osservazione, ha ulteriormente indicato la tendenza alla progressione verso lo sviluppo di esofagite nella grande maggioranza dei soggetti: infatti, dei 29 pazienti ancora rintracciabili dopo circa 10 anni dal reclutamento iniziale, 28 presentavano ancora sintomi da RGE e nei 18 che hanno accettato di ripetere la endoscopia , l’89% mostrava una esofagite. In letteratura esistono pochi altri studi condotti su soggetti con NERD, elencati nella tab. 1 5; da tali studi si può estrapolare che all’incirca il 10% per anno dei pazienti con NERD svilupperà esofagite erosiva, un dato molto simile a quello ricavato da una recente meta-analisi condotta su 22 studi 6 da Fullard et al, e che individua un range di progressione annua da NERD ad esofagite compreso tra 0% e 30%.
Durata follow-up 3 anni 19.5 anni 3 - 4.5 anni 0.5 anni 2 anni 5 anni
% sviluppo esofagite 25 17 24 5 25.6 36.2
Terapia antisecretiva Si No Si Si (on demand) Si (anche IPP) No (non IPP)
For me erosive Il quesito è se le forme meno severe, corrispondenti ai gradi A e B sec. Los Angeles, progrediscono verso i gradi di maggiore severità (in assenza di appropriata terapia). Poiché nella maggior parte delle nazioni non è considerato etico privare pazienti con sintomi ed esofagite del trattamento antisecretivo, gli studi disponibili sono molto limitati, oppure sono stati effettuati prevedendo comunque un trattamento medico (si tratta quindi di studi di storia “naturale” modificata dalla terapia). Essenzialmente, sono disponibili 4 lavori 5, illustrati nella tab. 2. Nel complesso, mancano dati di storia naturale intesa in senso autentico (cioè in assenza di terapia), mentre quelli disponibili mostrano un discreto tasso di progressione dell’esofagite lieve verso forme di esofagite severa. Nella review sopra citata di Fullard e coll, il tasso annuo di progressione viene stimato in un range compreso tra 1% e 22% 6. TABELLA 2 -Tasso di progressione da forme erosive lieve a forme severe Autore (anno)
N° di soggetti
Schindlbeck (1992) Ollyo (1993) Manabe (2002) Labenz (2006)
8 701 105 1512
Durata follow-up 3 anni 5 anni 5.5 anni 2 anni
% progressione esofagite 12.5 23 10.5 1.6
Terapia antisecretiva Si (anche IPP) Si (anche IPP) No Si (anche IPP)
Progressione verso l’esofago di Barrett (o adenocarcinoma) Esiste un solo studio, a nostra conoscenza 7, condotto su pazienti con NERD 7 che mostra la possibilità di una progressione da NERD verso l’esofago di Barrett (EB); tale studio si riferisce a 2 su 34 pazienti con sintomi tipici e endoscopia normale che sviluppano EB dopo un periodo medio di 35 mesi. Nella più volte citata rassegna di Fullard vengono riportati 5 studi complessivi, relativi a pazienti con esofagite, in terapia medica o chirurgica, che sviluppano EB, con un tasso di progressione annuo stimato dagli autori tra 1% e 13% 6. È peraltro possibile che pazienti con NERD o esofagite sviluppino un adenocarcinoma esofageo, in assenza di una intercorrente diagnosi di EB; ad esempio, Lagergren et al 8 hanno dimostrato che il rischio di sviluppo di adenocarcinoma è molto più correlato alla durata e alla severità della MRGE che alla presenza di EB, che gli autori ritengono un passo frequente, ma non indispensabile, nello sviluppo del tumore, osservazioni peraltro confermate da altri autori, tra cui M. Conio 9 che in uno studio retrospettivo individua numerosi casi di adenocarcinoma non preceduti da una diagnosi di EB.
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Letture Conclusioni Se si considerano i valori massimi riportati in una recente metaanalisi, il 30% di pazienti con NERD ogni anno sviluppa una esofagite, il 22% di pazienti con esofagite lieve sviluppa un’esofagite severa, e circa il 13% di pazienti con esofagite sviluppa un esofago di Barrett. Questi dati, anche se indicano che la progressione è una possibilità e non la regola generale nella MRGE, contraddicono l’ipotesi di segregazione in sottogruppi non comunicanti di Fass e coll 1. Una conseguenza logica di ciò è la necessità di periodiche rivalutazioni endoscopiche (e dunque anche di una diagnosi iniziale), dopo sospensione di terapia, e/o la necessità di uno screening endoscopico dell’esofago di Barrett, atti ritenuti superflui dalla maggioranza delle attuali linee-guida sulla gestione del paziente con MRGE e verso le quali, ovviamente, dissentiamo 10. BIBLIOGRAFIA 1. Fass R, Ofman JJ. Gastroesophageal reflux disease: should we adopt a new conceptual framework? Am J Gastroenterol 2002;97:1901-9 2. Pace F, Bianchi Porro G. Gastroesophageal reflux disease: a typical spectrum disease (a new conceptual framework is not needed). Am J Gastroenterol 2004;99:946-9 3. Pace F, Santalucia F, Bianchi Porro G. Natural history of gastrooesophageal reflux disease without oesophagitis. Gut 1991;32:845-8 4. Pace F, Bollani S, Molteni P, Bianchi Porro G. Natural history of gastro-oesophageal reflux disease without oesophagitis (NERD)- a reappraisal 10 years on. Digest Liver Dis 2004;36:111-5 5. Pace F, Pallotta S, Vakil N. Gastroesophageal reflux disease is a progressive disease. Dig Liv Dis 2007;39:409-14 6. Fullard M, Kang JY, Neild P, Poullis A, Maxwell JD. Systematic review: does gastro-oesophageal reflux disease progress ? Aliment Pharmacol Ther 2006;24:33-45 7. Bajbouj M, Reichenberger J, Neu B. A prospective multicenter clinical and endoscopic follow-up study of patients with gastroesophageal reflux disease. Z Gastroenterol 2005;43:1303-7 8. Lagergren J, Bergstrom R, Lindgren A, Nyren O. Symptomatic gastroesophageal reflux as a risk factor for esophageal adenocarcinoma. N Engl J Med 1999;340:825-31 9. Conio M, Cameron AJ, Romero Y, Branch CD, Schleck CD, Burgart LJ, et al. Secular trends in the epidemiology and outcome of Barrett’s oesophagus in Olmsted County, Minnesota. Gut 2001, 48:304-9 10. Pace F, Manes G, Conio M, Bianchi Porro G. Pretreatment endoscopy – Pro & Contra: endoscopy is needed before treatment in all patients with gastroesophageal reflux disease. Endoscopy 2006; 38:271-5
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MAL ATTIA DA REFLUSSO GASTRO-ESOFAGEO: QUANDO INDAGARE?
M CICALA Il riconoscimento dell’elevata prevalenza e rilevanza clinica della malattia non-erosiva e delle manifestazioni extra-esofagee così come della loro ridotta risposta alla terapia medica ed i recenti avanzamenti tecnologici nelle tecniche diagnostiche per il reflusso gastro-esofageo inducono a riconsiderare l’iter diagnostico della malattia da reflusso 1,2. È importante sottolineare la rilevanza di un’anamnesi esaustiva e per quanto possibile chiara. Il ricorso a criteri condivisi e quindi ad univoche misure di efficacia della terapia anti-secretiva è cruciale e non sempre scontato. Avremo il più delle volte di fronte un/una paziente sofferente ed insoddisfatta della scarsa attenzione dei dottori al suo malessere, che spesso ha difficoltà a distinguere la pirosi ed il regurgito (ossia i sintomi tipici, molto sensibili e specifici di malattia così come stabilito dai consensi internazionali) dai sintomi dispeptici, spesso associati; può non essere facile per il paziente distinguere l’efficacia delle terapie già tentate rispettivamente sui sintomi tipici e non; non di rado, infine, il paziente sarà già stato classificato, e a volte irrimediabilmente, come affetto da malattia da reflusso dallo specialista otorino o pneumologo che non trova altre spiegazioni a probabili, ma non ancora certi, sintomi extra-esofagei. Il rischio di mal-classificare il paziente, dando uguale peso a sintomi specifici, atipici e extraesofagei è sempre più segnalato in letteratura e porta spesso a problemi di gestione clinica. Diversi trials prospettici e controllati confermano, nel sospetto di MRGE, l’utilità nella diagnosi di un trattamento empirico con PPI. Senza dubbio il PPI test è il I step diagnostico perché in assenza di sintomi d’allarme, nella maggioranza dei casi la malattia è definita dai sintomi (NERD) e l’obiettivo della terapia è la risoluzione dei sintomi. Inoltre, stabilire precocemente la risposta del paziente alla terapia è utile nella successiva gestione clinica e il PPI test dimostra di possedere la miglior performance in termini di costo/beneficio. La sensibilità del test è riportata da due studi importanti essere di circa il 75% (tra il 68 e l’80%) nei confronti dei risultati congiunti endoscopici e pH metrici (non poco, perchè identifica un maggior numero di pazienti); va tuttavia considerato che il risultato positivo non consente una diagnosi di precisione, a volte utile per ottimizzare la terapia, e che una risposta negativa non può escludere con certezza la diagnosi. È opportuno anche sottolineare l’importanza di eseguire il test correttamente, cercando di verificare, tra l’altro, l’aderenza del paziente alla terapia prima di etichettarlo, erroneamente, non responder. Più della durata è l’entità della soppressione acida gastrica e quindi esofagea ad essere direttamente correlata alla risoluzione dei sintomi, e maggiore è l’esposizione acida esofagea maggiore sarà la risposta alla terapia medica. Infine, nei più importanti trials pubblicati, in due settimane i pazienti con malattia non erosiva (NERD) raggiungono i livelli di risposta degli erosivi solo con dosi maggiori (l’esofago acido-sensibile di Watson) 3,4. Quando la gastroscopia? Dai dati di storia naturale sappiamo dell’importanza di identificare le complicanze della malattia da reflusso per pianificare al meglio il trattamento e il follow-up, e l’en-
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Letture doscopia è il gold standard a questo scopo; siamo certamente consci del fatto che avremo relativamente poche possibilità di trovarci di fronte alle complicanze erosive, sopratutto se il paziente ha da poco smesso un ciclo di terapia anti-secretiva o con H2-antagonisti e, nell’inocazione all’esame endoscopico vanno tenuti presenti l’invasività e il costo. Le più recenti linee-guida ci ribadiscono che la esofagogastroduodenoscopia è appropriata in caso di scarsa/ mancata risposta ai PPI sui sintomi tipici, se il paziente ha un età superiore a 50 anni e con storia familiare di cancro gastrico, se il paziente riferisce sintomi cronici/ricorrenti da oltre 5 anni, perché sintomi cronici e di lunga durata aumentano significativamente il rischio di Barrett e di adenocarcinoma esofageo. È mandatoria, senza indugi, in presenza di concomitanti sintomi d’allarme - Disfagia, calo ponderale non intenzionale, anoressia, vomito ricorrente, anemia, melena, ematemesi – 1. Ruolo e timing della pH-metria ambulatoriale. È l’unica metodica in grado di misurare quantitativamente l’esposizione esofagea all’acido e, ancora più importante, per documentare, in maniera non empirica, il nesso di causalità tra reflusso e sintomo, misurabile con indici di significatività. Documentare o escludere l’esistenza di un reflusso acido patologico può essere importante in presenza di sintomi atipici o extra-esofagei, nei casi di incompleta o mancata risposta ai PPI ma anche nella gestione dei pazienti con endoscopia negativa candidati all’intervento chirurgico o a procedure endoscopiche 1,2. Anche in assenza di un profilo patologico di pH (50% dei casi nei NERD) potremmo riscontrare una significativa relazione acido-sintomo, nei cosidetti casi di esofago ipersensibile. Dati di una recente metanalisi mostrano, difatti, che, rispetto alla malattia erosiva e ancora di più rispetto all’esofago di Barrett, i pazienti non-erosivi presentano in minor percentuale un’esposizione patologica dell’esofago all’acido e presentano una percentuale di associazione sintomo-reflusso (valutata in termini di symptom-index) simile ai pazienti con Barrett e più alta rispetto ad quella della esposizione patologica, un diverso trend che li testimonia più sensibili al reflusso acido 5. Il più recente impiego della pH-metria in corso di trattamento con PPI è tuttora oggetto di discussione: se, da un lato, vorremmo, nel paziente con endoscopia negativa, oggettivare la presenza di acido patologico o la relazione reflusso-sintomo, quindi eseguire l’esame senza trattamento, dall’altra, nel nostro sfortunato paziente resistente ai PPI ci interesserà sapere se il farmaco ha funzionato in termini di soppressione dell’acidità gastro-esofagea o se i sintomi atipici non sono associati a reflusso. La pH-metria in corso di terapia può guidarci nella scelta di trattamenti più aggressivi, un unica avvertenza è che in letteratura mancano dati consistenti del profilo esofageo di pH durante terapia in pazienti che hanno risposto alla terapia e ce ne sono ancora pochi nei pazienti non responder. C’è, da poco, la possibilità, attraente, di utilizzare un sistema telemetrico, wireless che offre diversi vantaggi. La mancanza di un sondino nel naso aumenta la soddisfazione e compliance del paziente e, interferendo meno sulle attività quotidiane (l’esercizio fisico, è dimostrato, aumenta di tre volte l’esposizione acida esofagea), ci fornisce una immagine più accurata e reale sul profilo di esposizione acida. La possibilità di registrazione per 48-72 ore aumenta sensibilmente la percentuale di pazienti con esposizione patologica (12%), riducendo, inevitabilmente, la specificità del test, ma, soprattutto, offre maggiori opportunità di stabilire l’associazione sin-
tomo-reflusso, come indicato da uno studio che identifica meglio l’associazione in 48 rispetto a 24 ore, in maniera statisticamente significativa per i sintomi atipici (dolore toracico) 6. PH-impedenzometria esofagea: l’impedenzometria intraluminale rileva le variazioni di resistenza al passaggio di corrente elettrica attraverso coppie di elettrodi adiacenti, posizionate lungo un catetere. È in grado di distinguere la direzione anterograda (transito del bolo) e retrograda (reflusso) del contenuto intraluminale, la sua composizione (liquido/gas) e, associando un elettrodo rilevatore di pH, di distinguere il contenuto in acido del reflusso. L’impiego della pH-impedenzometria è, al momento, limitato ai pazienti resistenti alla terapia con PPI a dosi piene ed ai pazienti con prevalenti sintomi atipici o extra-esofagei. Nel primo caso l’esame, eseguito in corso di terapia, può mostrare un’associazione sintomo-reflusso debolmente acido che non è evidenziabile alla sola pH-metria ambulatoriale, con un guadagno diagnostico di circa il 17% se consideriamo sintomi tipi ed atipici insieme 7,8. Un altro studio multicentrico 9 eseguito su pazienti con sintomi (tipici e atipici) resistenti ai PPI ha recentemente mostrato che i reflussi debolmente acidi sono responsabili della maggioranza dei sintomi (regurgito) in questo gruppo di pazienti. Infine, uno studio pH-impedenzometrico eseguito nei pazienti non-erosivi ha mostrato una loro maggiore percezione, rispetto ai pazienti con esofagite erosiva, dei reflussi debolmente acidi e che la presenza di gas nel reflusso aumenta significativamente la sua percezione, soprattutto in assenza di un profilo pH-metrico patologico 10. Quest’ultima osservazione conferma l’utilità diagnostica della pH-impedenzometria in casi selezionati e la sua maggiore accuratezza rispetto alla sola pH-metria delle 24 ore. FIGURA 1 - Profilo pH-metrico delle 24 ore e associazione sintomoreflusso nelle diverse forme di MRGE 5
BIBLIOGRAFIA 1. J Dent, J Brun, A Fendrick, et al. An evidence-based appraisal of reflux disease management-the Genval Workshop Report, Gut 1999; 44(Suppl 2): S1–S16. 2. Hirano I, Richter JE. ACG practice guidelines: esophageal reflux
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GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Letture testing, Am J Gastroenterol 2007;102(3):668-85. 3. Schenk BE, Kuipers EJ, Klinkenberg-Knol EC et al. Omeprazole as a diagnostic tool in gastroesophageal reflux disease, Am J Gastroenterol 1997;92(11):1997-2000 4. Watson RG, Tham TC, Johnston BT et al. Double blind cross-over placebo controlled study of omeprazole in the treatment of patients with reflux symptoms and physiological levels of acid reflux--the "sensitive oesophagus". Gut 1997;40(5):587-90. 5. Tack J, Fass R. Review article: approaches to endoscopic-negative reflux disease: part of the GERD spectrum or a unique acid-related disorder? Aliment Pharmacol Ther 2004;19 Suppl 1:28-34. 6. Prakash C, Clouse RE. Value of extended recording time with wireless pH monitoring in evaluating gastroesophageal reflux disease. Clin Gastroenterol Hepatol. 2005;3(4):329-34. 7. Zerbib F, Roman S, Ropert A et al. Esophageal pH-impedance monitoring and symptom analysis in GERD: a study in patients off and on therapy. Am J Gastroenterol 2006; 101(9):1956-63. 8. Bredenoord AJ, Weusten BL, Timmer R, et al. Addition of esophageal impedance monitoring to pH monitoring increases the yield of symptom association analysis in patients off PPI therapy. Am J Gastroenterol 2006;101(3):453-9. 9. Mainie I, Tutuian R, Shay S, et al. Acid and non-acid reflux in patients with persistent symptoms despite acid suppressive therapy: a multicentre study using combined ambulatory impedance-pH monitoring. Gut 2006 Oct;55(10):1398-402. 10. Emerenziani S, Sifrim D, Habib FI, et al. Presence of gas in the refluxate enhances reflux perception in non-erosive patients with physiological acid exposure of the oesophagus. Gut 2007, in press.
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TERAPIA FARMACOLOGICA DELL A MAL ATTIA DA REFLUSSO GASTROESOFAGEO
CUOMO R. Gastroenterologia, Dipartimento di medicina clinica e sperimentale, Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Introduzione Negli ultimi venti anni sono stati fatti progressi sostanziali nella comprensione e nel trattamento della malattia gastroesofagea (MRGE) soprattutto dovuti allo sviluppo ed alla larga applicazione della endoscopia, delle tecniche di studio del reflusso gastroesofageo (pHmetria, impedenzometria) ed alla disponibilità di efficaci farmaci anti secretori. Nel trattamento della MRGE, alcune linee guida raccomandano modificazioni dello stile vita in associazione ad un iniziale schema terapeutico empirico, mentre altri studi dimostrano scarsi benefici di tali modificazioni. Di conseguenza la farmacoterapia rappresenta il primo livello di approccio della MRGE. La scelta della terapia medica si incentra su diversi fattori, tra i quali giocano un ruolo rilevante la severità dei sintomi e la presenza di complicazioni, oltre all’efficacia ed alla sicurezza dei farmaci. Benché l’efficacia di antiacidi ed acido alginico non è stata definitivamente provata in trial clinici, questi agenti farmacologici sono utili, nella pratica clinica, nel trattamento della MRGE con sintomi lievi. Gli agenti procinetici possono essere utili nella terapia della MRGE aumentando la pressione dello sfintere esofageo inferiore, accelerando la clearance gastrica e stimolando la peristalsi esofagea. D'altronde la presenza di eventi avversi correlati al loro uso, particolarmente riferiti alla cisapride, farmaco che è stato ritirato dal commercio perché responsabile di casi letali di aritmia cardiaca, ha fortemente ridotto il ruolo degli agenti procinetici nel trattamento della MRGE. Gli agenti inibitori della secrezione acida sono diventati i farmaci di scelta per la MRGE. Sia gli antagonisti del recettore H2 per l’istamina (H2-RA) che gli inibitori della pompa protonica (IPP) sono efficaci per trattare la MRGE. Gli IPP garantiscono la più veloce risoluzione dei sintomi ed una guarigione più rapida dell’esofagite con un bassa probabilità di effetti collaterali. La inibizione acida nel management della MRGE Il monitoraggio del pH nelle 24 ore ha permesso di evidenziare una diretta correlazione tra il grado e la durata dell’esposizione acida esofagea e la severità del danno mucosale esofageo 1, 2. Un pH intraesofageo di 4 è considerato il limite tra il normale ed il patologico, di conseguenza la guarigione dal danno mucosale esofageo è correlata con la capacità di mantenere il pH intragastrico e quindi quello intresofageo al disopra di 4 per la maggior parte delle 24 ore 1. Gli H2-RA hanno una breve durata di azione, variabile tra 4 ed 8 ore, e quindi è necessario somministrarli più volte nelle 24 ore. Inoltre questi farmaci determinano una scarsa inibizione della secrezione acida postprandiale e presentano anche una frequente comparsa di tolleranza, con una riduzione della inibizione secretoria, a dosi standard entro due settimane in cui il farmaco è stato somministrato in maniera ripetuta 3,4. Viceversa, gli IPP controllano efficacemente la secrezione acida
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Letture basale e quella stimolata dal cibo e determinano una più duratura soppressione acida paragonata a quella degli H2-RA. Inoltre questi farmaci non presentano fenomeni di tolleranza probabilmente perché il loro sito di azione è rappresentato dalla pompa protonica che è l’elemento terminale del meccanismo responsabile della secrezione acida e quindi non suscettibile di fenomeni compensatori 5. IPP vs H2-RA: evidenz e cliniche Gli IPP si sono dimostrati più efficaci degli H2-RA nel risolvere i sintomi i sintomi di reflusso e nel guarire l’esofagite erosiva. L’analisi di 33 studi randomizzati su più di 3000 pazienti mette in evidenza che la risoluzione dei sintomi può essere anticipata nell’83% dei casi trattati con IPP contro il 60% dei pazienti trattati con H2-RA, mentre l’esofagite erosiva guarisce nel 78% dei casi contro il 50% dei pazienti rispettivamente 6. La MRGE è una condizione cronica recidivante e la sospensione del trattamento determina una ricomparsa dei sintomi entro 6 mesi in circa il 90% dei pazienti con esofagite e nel 75% dei pazienti con una malattia endoscopicamente negativa. Gli H2-RA sono meno efficaci degli IPP nel mantenere la remissione della MRGE. Un trial ha dimostrato una più alta percentuale di pazienti in remissione dopo 12 mesi di trattamento con omeprazolo (72%) che con la ranitidina (45%) 7. Strategie di trattamento della MRGE con sintomi tipici Il management della MRGE con sintomi tipici (pirosi e rigurgito) prevede degli obiettivi a breve e lungo termine. Tra gli obiettivi a breve termine si identificano la rapida ed efficace risoluzione dei sintomi e la guarigione delle lesioni (erosioni ed ulcere) oltre alla prevenzione delle complicanze 8. Per questa fase del management gli orientamenti provenienti dalle linee guida internazionali individuano nella terapia “step-down” la migliore strategia per i pazienti con esofagite 9. Questo schema prevede di iniziare con gli agenti farmacologici più potenti (IPP) per poi ridurre gradualmente l’intensità del trattamento per mantenere il paziente in remissione 10. Vantaggio potenziali della terapia “step-down” sono la più rapida guarigione delle lesioni, la massima efficacia nella risoluzione dei sintomi ed un più rapido miglioramento della qualità di vita del paziente. Gli obiettivi a lungo termine, invece, sono il controllo sintomatologico (completa scomparsa dei sintomi) ed il mantenimento della guarigione delle lesioni 11. Criterio di valutazione del controllo della guarigione dell’esofagite è la risoluzione della sintomatologia che è altamente predittiva del miglioramento delle lesioni 12. I criteri enunciati sono di carattere generale, ma la scelta del trattamento dipende dalla severità dei sintomi e dal grado di danno mucosale. Nei pazienti in cui non è stata praticata l’endoscopia, oppure con endoscopia negativa (NERD) o con esofagite di basso grado è indicato un trattamento con IPP a basse dosi 9. In tali condizioni e con l’obiettivo di un contenimento dei costi un’attraente opzione per la terapia a lungo termine è il dimezzamento della dose di IPP. Tuttavia i pazienti con NERD hanno una bassa risposta alla terapia con IPP paragonati a pazienti con esofagite erosiva. In una review sistematica su 7 differenti trials la percentuale di risposta, dopo 4 settimane di trattamento con IPP, era del 56% nei pazienti con esofagite erosiva e del 37% dei pazienti con NERD 13.
Il trattamento sul lungo periodo dovrebbe tener conto delle preferenze e delle opinioni del paziente. Proprio su queste considerazioni che viene anche suggerita la terapia “on-demand” (uso episodico del farmaco per trattare una recidiva sintomatologica), che potrebbe rappresentare un ragionevole approccio nei pazienti con sintomi lievi e sporadici oppure con una malattia endoscopica di basso grado 14. Questo schema di trattamento potrebbe essere una valida opzione per trattamenti sul lungo periodo per i pazienti con NERD 15. Nella malattia con esofagite severa la principale terapia è rappresentata da IPP e nel caso di scarsa risposta agli schemi iniziali è necessario un graduale incremento della dose. L’approccio “stepdown” sul lungo periodo sembra non idoneo a prevenire la recidiva della esofagite e complicanze come le stenosi. Poiché la esofagite di grado moderato-severo spesso recidiva, non è consigliabile la sospensione del trattamento 16. Strategie di trattamento della MRGE con sintomi e xtraesofagei I trial clinici effettuati per valutare il trattamento di pazienti con manifestazioni extraesofagee della MRGE, particolarmente l’asma, la tosse e le modificazioni della voce, sono pochi, non controllati e non valutano il mantenimento sul lungo periodo. Comunque i dati di questi studi sostengono l’idea che la MRGE con sintomi extraesofagei debba essere trattata con alte dosi di agenti farmacologici, principalmente IPP, per lunghi periodi di trattamento per raggiungere la completa remissione dei sintomi. Una recente review della Cochrane di 12 studi controllati randomizzati condotti su pazienti con manifestazioni polmonari e sospetta MRGE, dimostra che non vi sono miglioramenti sintomatologici dell’asma con il trattamento per la malattia da reflusso gastroesofageo 17. Dati più convincenti sono stati dimostrati nel trattamento della tosse correlata al reflusso gastroesofageo. Per esempio in un trial controllato contro placebo ha dimostrato una risoluzione della tosse nel 35% dei casi trattati con omeprazolo per 2 settimane contro nessuno dei soggetti trattati con placebo 18. Un approccio al trattamento della MRGE con sintomi extraesofagei, nella pratica clinica, è cominciare con un dosaggio pieno di IPP due volte al giorno per 2-3 mesi 19. L’esperienza clinica suggerisce che il 70% di questi pazienti può rispondere alla terapia, ma diversi soggetti richiedono trattamenti anche più lunghi per raggiungere risultati ottimali. I pazienti che hanno risultati iniziali buoni ma incompleti dovrebbe proseguire con la terapia per almeno altre 4-8 settimane per verificare se vi è un ulteriore miglioramento. Se a questo punto del trattamento la remissione dei sintomi e la guarigione non è raggiunta è utile valutare un pHmetria delle 24 ore durante la terapia per stabilire se la soppressione acida intragastrica è efficace. Questa valutazione può anche essere fatta con la pH-impedenzometria per stabilire se il reflusso ha caratteristiche non acide. BIBLIOGRAFIA 1. Bell NJV, Burget D, Howden CW, Wilkinson J, Hunt RH. Appropriate acid suppression for the managemente of gastroesophageal reflux disease. Digestion 1992;51(Suppl 1):59-67. 2. Fiorucci S, Santucci L, Chiucchiu S, Morelli A. Gastric acidità and gastroesophageal reflux patterns in patients with esophagitis.
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MAL ATTIA DA REFLUSSO GASTRO ESOFAGEO. LA STRATEGIA CLINICA NEI NON-RESPONDERS.
FABIO BALDI, RICCARDO SOLIMANDO Motility Unit, Dept. of Gastroenterology and Internal Medicine S. Orsola-Malpighi University Hospital - BOLOGNA (Italy) I sintmi tipici da reflusso GE (pirosi,rigurgito) sono molto specifici e sono considerati un marker clinico affidabile della malattia da RGE. Per questa ragione ai pazienti con sintomi da RGE viene generalmente prescritta una terapia empirica con IPP per 4-8 settimane a dosi standard. Una mancata risposta, parziale o totale, al trattamento si può verificare nel 10-40% dei casi ed il tasso di risposta più basso è stato riportato nei pazienti con la malattia da reflusso non- erosiva (NERD). Da una revisione sistematica della letteratura si ricava che il tasso di risposta sintomatica è mediamente del 36.7% nei pazienti con NERD e del 55% in quelli con esofagite erosiva 1. La prima cosa da fare nei pazienti con scarsa risposta alla terapia è valutare la compliance del paziente e le modalità di assunzione del farmaco. Da uno studio di popolazione su un campione piuttosto ampio si ricava che solo il 55% dei pazienti con GERD assumono il loro IPP tutti i giorni per 4 settimane, come prescritto, e che il 37% di essi assumono il farmaco solo per 12 giorni, o meno, nell’arco del mese. 2 Inoltre, per ottenere un miglior controllo dell’acidità gastrica, gli IPP dovrebbere essere assunti prima del pasto ma, secondo un recente studio, molti medici generici e gastroenterologi non ritengono che la relazione col pasto sia importante e non forniscono istruzioni appropriate al paziente 3. Dopo questa prima tappa, necessaria ma spesso trascurata, i medici per lo più raddoppiano la dose giornaliera di IPP e generalmente ottengono un ulteriore incremento (fino al 15%) nel tasso di risposta. A questo punto quei pazienti che non rispondono alla terapia possono essere considerati dei veri “non-responders” e costituiscono una categoria più difficile da gestire perché spesso richiedono un approfondimento diagnostico con indagini specialistiche. La prima indagine da eseguire in questi pazienti, se non già effettuata precedentemente, è un’endoscopia delle prime vie digestive per escludere la possibilità di una malattia peptica refrattaria o, meno probabilmente, di una patologia neoplastica. Comunque la maggior parte di questi pazienti ha un esame endoscopico normale e quindi diviene necessario procedere con uno studio diretto del reflusso GE. Esso può essere eseguito nella maniera tradizionale con una pHmetria esofagea di 24 ore (in assenza di terapia) o con una pHmetria combinata esofago-gastrica (in corso di terapia). Più recentemente è divenuta disponibile una tecnologia che, combinando la misura del pH con quella dell’impedenza endoluminale, da la possibilità di misurare tutte le componenti del materiale refluito (liquido, gas, acido, debolmente acido, non-acido) e può essere eseguita anche in corso di terapia. Per questi motivi la pH-impedenziometria è attualmente considerata l’esame di scelta nei pazienti non-responders 4. Dopo aver eseguito lo studio del reflusso si possono verificare sostanzialmente tre possibilità: 1) i sintomi sono ancora dovuti alla presenza di reflusso acido; 2) i sintomi sono dovuti alla presenza di reflusso non-acido od a bassa acidità e 3) i sintomi non sono dovuti al reflusso GE.
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Letture Se la pHmetria esofagea mostra la presenza di un reflusso acido patologico dobbiamo considerare i seguenti aspetti: a) metabolismo degli IPP e b) persistenza di acidità gastrica notturna. Il principale enzima responsabile del metabolismo degli IPP è l’isomero 2C19 del citocromo p450 (CYP2C19) ed il polimorfismo genetico di questo enzima influenza la concentrazione plasmatica, e quindi la capacità di inibire la secrezione acida, di questi farmaci. Dal momento che i metaboliti degli IPP sono farmacologicamente inattivi , questi farmaci possono risultare potenzialmente meno efficaci nei cosiddetti “rapidi metabolizzatori”. Al contrario, nei pazienti cosiddetti “scarsi metabolizzatori” si può osservare un aumento fino a cinque volte della concentrazione plasmatica di omeprazolo, pantoprazolo e lansoprazolo 5. Comunque studi recenti hanno evidenziato che non c’è una stretta correlazione tra il genotipo enzimatico e l’esposizione esofagea all’acido o l’entità dei sintomi dovuti al reflusso 6. Solo una minoranza di pazienti con MRGE severa sono refrattari al trattamento a causa di un rapido metabolismo degli IPP. Il secondo aspetto da considerare è l’esistenza della cosiddetta finestra acida notturna (NAB) definita come presenza di un pH gastrico inferiore a 4 per almeno un’ora durante la notte in pazienti che assumono IPP a dose doppia giornaliera 7. Questo fenomeno è osservato molto frequentemente sia nei pazienti con MRGE che nei soggetti normali e viene ritenuto responsabile di malattia refrattaria particolarmente nei pazienti con sintomi notturni. Per questo motivo è stata proposta in questi pazienti una strategia terapeutica che comprende l’aggiunta di antagonista dei recettori H2 prima della notte 8. Più recentemente è stato osservato che la somministrazione serale di una nuova formulazione di omeprazolo (omeprazolo a rilascio immediato) è in grado di controllare più rapidamente il pH gastrico notturno e di ridurre più efficacemente il fenomeno del NAB rispetto ad esomeprazolo e lansoprazolo 9. Resta il fatto che la correlazione tra NAB ed i sintomi dei pazienti con malattia refrattaria è tuttora oggetto di discussione. D’altro canto, se i sintomi appaiono correlati ad un reflusso “fisiologico” bisogna ipotizzare l’esistenza di un cosiddetto esofago ipersensibile od irritabile. L’origine dei sintomi in questo particolare sottogruppo di pazienti può essere molteplice e la risposta alla terapia con IPP dipende strettamente dalla responsabilità del reflusso acido nel determinismo dei sintomi 10. Studi eseguiti con distensione meccanica dell’esofago e stimolazione elettrica hanno suggerito l’esistenza in questi pazienti di una ridotta soglia di sensibilità 11. La seconda possibilità è che i sintomi siano dovuti ad un reflusso non-acido. Uno studio pubblicato Tack et al. nel 2004 12 ha suggerito che il reflusso di contenuto duodenale possa svolgere un ruolo importante nei pazienti con MRGE che rispondono poco alla terapia con IPP. Più recentemente studi effettuati con la pHimpedenziometria hanno evidenziato che dal 7 al 23% dei pazienti in trattamento con IPP a dose doppia giornaliera possono avere pirosi associata con reflusso a bassa acidità o non acido 13,14. Ciò conferma precedenti osservazioni che i sintomi classici da reflusso possono essere causati anche da un refluito non acido 15. L’eziologia della pirosi è stata investigata sia con studi sperimentali che clinici ed è stato dimostrato che un’attivazione dei nocicettori può avvenire anche ad un pH maggiore di 4 16. Diversi meccanismi, oltre al reflusso acido, sono stati proposti per l’origine dei sintomi,
come lo stimolo chimico indotto da enzimi proteolitici o dalla bile e lo stimolo meccanico indotto dalla distensione o dalla contrazione esofagea. L’entità della distensione esofagea indotta dal reflusso, che non è influenzata dalla somministrazione di IPP, è stata recentemente indicata come un possibile meccanismo patogenetico nei pazienti con sintomi persistenti 17. La strategia terapeutica in questi pazienti con sintomi dovuti a reflusso a bassa acidità o non acido è tuttora controversa. Alcuni studi suggeriscono che l’aggiunta di baclofen, 20 mg tid, ai farmaci antisecretori può ridurre il numero degli episodi di reflusso a bassa acidità 18 come pure l’esposizione esofagea al contenuto duodenale ed i sintomi ad essa correlati 19. Sfortunatamente l’uso del baclofen nella pratica clinica è limitato da una serie di effetti neurologici indesiderati, come confusione, vertigini e sonnolenza. La chirurgia antireflusso può risultare molto efficace nei pazienti in cui è stato dimostrato che il reflusso è la causa dei sintomi. Uno studio recente 20 ha mostrato che 13 su 14 pazienti con una documentata correlazione tra sintomi e reflusso a bassa acidità risultavano asintomatici ad un controllo eseguito mediamente 14 mesi dopo la fundoplicatio. Analogamente, anche le procedure endoscopiche antireflusso sono state proposte nei pazienti non-responders agli IPP ma il ruolo della terapia endoscopica della MRGE rimane ancora da definire. Infine, il medico può concludere che i sintomi non sono dovuti al reflusso e quindi che la diagnosi inziale era sbagliata. Ciò può accadere in alcuni pazienti con acalasia e con esofago non dilatato o in pazienti con dispepsia e rallentato svuotamento gastrico. Tutti questi pazienti generalmente hanno una sindrome clinica complessa in cui il rigurgito più che la pirosi rappresenta il sintomo dominante. Un’altra possibilità è che nell’approccio diagnostico iniziale non sia stata colta la correlazione tra i sintomi ed il reflusso durante lo studio di 24 ore. La nuova tecnologia con il posizionamento di una capsula radioptelemetrica nell’esofago distale (la cosiddetta pHmetria senza fili o BRAVO system) può almeno in parte superare questo problema dal momento che il monitoraggio può durare anche per più di 2 giorni e può così aumentare il numero di episodi sintomatici disponibile per la correlazione con il reflusso 21.
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Letture 10.
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In conclusione, la vera non risposta alla terapia, cioè la non risposta alla somministrazione di IPP a dose doppia giornaliera, si verifica in una minoranza di pazienti (5-15% dei casi). La pHmetria 24 ore, combinata con l’impedenziometria e con la bilimetria, può aiutare a scegliere l’approccio corretto nei casi difficili. Gli IPP ad alte dosi, da soli od in associazione con antidepressivi, e la fundoplicatio risultano efficaci nella grande maggioranza dei casi. BIBLIOGRAFIA 1. Dean BB,Gano AD jr, Knight K et al. Effectiveness of proton pump inhibitors in nonerosive reflux disease. Clin Gastroenterol Hepatol 2004;2:656:64. 2. The Gallup Organization. Gallup Study of the Consumer’s use of stomach relief products. Princeton NJ: The gallup Organization, 2000. 3. Barrison AF,Jarbe LA,Weinberg MD et al. Patterns of proton pump inhibitors in clinical pratice. Am J Med 2001;111:469-73. 4. Tutuian R and Castell DO. Review article: complete gastrooesophageal reflux monitoring-combined pH and impedance. Aliment Pharmacol Ther 2006;24(suppl.2):27-37. 5. Furuta T,Shirai N,Watanabe F et al. Effect of cytochrome P4502C19 genotypic differences on cure rates for gastroesophageal reflux disease by lansoprazole. Clin Pharmacol Ther 2002;72:453-60. 6. Egan LJ,Myhre GM,Mays DC et al. CYP2C19 pharmacogenetics in the clinical use of proton pump inhibitors for gastro-oesophageal reflux disease: variant alleles predict gastric acid suppression, but not oesophageal acid exposure or reflux symptoms. Aliment Pharmacol Ther 2003;17:1521-18. 7. Peghini PL, Katz PO,Bracy NA et al. Nocturnal recovery of gastric acid secretion with twice daily dosing of proton pump inhibitors. Am J Gastroenterol 1998;93:763-7. 8. Orr WC,Harnish MJ. The efficacy of omeprazole twice daily with supplemental H2 blockade at bedtime in the suppression of nocturnal oesophageal and gastric acidity. Aliment Pharmacol Ther 2003;17:1553-8. 9. Katz PO,Koch FK,Ballard ED et al. Comparison of the effects of immediate-release omeprazole oral suspension, delayed-release lansoprazole capsules and delayed-release esomeprazole capsules on
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Letture GASTROESOPHAGEAL REFLUX DISEASE (GERD) IN INFANCY AND CHILDHOOD
ALBERTO RAVELLI Gastrointestinal Pathophysiology and Digestive Endoscopy, University Department of Pediatrics, Children’s Hospital Spedali Civili, Brescia (Italy) Definition and demographics GERD is one of the conditions that most frequently cause referral to a pediatric gastroenterologist. Regurgitation is the typical manifestation of GERD, but in infancy it is mostly a physiological event related to uncomplicated gastroesophageal reflux (GER) and indeed occurs at least once daily in 50-67% of infants 1-4 months of age. Regurgitation perceived by parents as a problem usually because of greater frequency and/or volume, crying or fussiness and arching during meals - is most often reported (23% of cases) at 6 months of age. In the absence of obvious or objective pathologic manifestations such as growth impairment, pain, respiratory symptoms, etc., the term functional regurgitation should be used, for which no intervention is needed apart from parental reassurance. Clinical manifestations Infantile GERD results in a number of problems including reduced food intake with inadequate weight gain, peptic esophagitis, aspiration and reactive airway disease with pneumonia, cough, wheezing, apnea spells and bradycardia (Table I). TABLE I. Clinical manifestations of pediatric gastroesophageal reflux disease Typical
Atypical
Infants Effortless regurgitation of meal Fussiness, crying, back arching during and after meals Prolonged hiccups during and after meals Inadequate weight gain or failure to thrive
Children and adolescents Heartburn Regurgitation of acid
Apnea Bradycardia spells Cough, wheezing Recurrent pneumonia Colicky behavior Dysphagia Stridor Sandifer’s syndrome
Dysphagia Non-cardiac chest pain Nocturnal cough, wheezing Recurrent pneumonia Hoarseness Chronic sinusitis Esophageal stricture Barrett’s esophagus Adenocarcinoma
GERD may also occasionally present with the Sandifer’s syndrome, characterized by extreme back arching and/or dystonic movements of the head and neck. In older children and adolescents GERD is similar to adult GERD (Table I) and heartburn, acid or sour taste in the mouth are typical symptoms. In this age group, atypical presentations of GERD include dysphagia, nocturnal cough, persistent asthma, recurrent pneumonia and ENT manifestations such as hoarseness and chronic sinusitis. The most
severe complications of GERD such as esophageal stricture and intestinal metaplasia (Barrett’s esophagus) are fortunately rare in childhood. Their overall prevalence is estimated in <10% of untreated children with GERD, and esophageal adenocarcinoma has never been described in patients <15 years of age. Pathophysiolog y In infants and children of any age, the major mechanism underlying GERD is transient lower esophageal sphincter relaxation (TLESR). Other factors that may favor GER in infants and children are defective anatomical support such as that produced by a hiatus hernia, defective esophageal motility (with reduced esophageal clearance of acid) and reduced mucosal protection. Three main factors may differentiate the pathophysiology of infantile GERD from that of adults: increased meal size/gastric volume ratio, decreased gastric compliance and delayed gastric emptying. When TLESRs occur in infants, the refluxate easily exceeds the esophageal volume resulting in obvious regurgitation. Differential diagnosis The variability of GERD symptoms and the shorter duration of medical history may account for a broad differential diagnosis, especially in newborns and small infants (Table II). TABLE II. Differential diagnosis of pediatric gastroesophageal reflux disease Regurgitation and vomiting Metabolic disease Raised intracranial pressure (brain tumors, meningitis, hydrocephalus, etc.) Intestinal obstruction (malrotation, pyloric stenosis) Pseudo-obstruction (achalasia, gastroparesis, small intestinal myopathy/neuropathy) Food allergy/Eosinophilic gastroenteropathy Drugs, toxins Respirator y manifestations (wheezing, cough, stridor, apnea) Anatomical abnormalities (tracheo-esophageal fistula) Foreign body Reactive airway disease/Asthma Laryngomalacia Extrinsic compression (vascular ring) Apnea unrelated to GERD (central, obstructive) Pain (hear tbur n, chest pain, cr ying, colicky behavior) Peptic ulcer disease/Gastritis Chest bone pain (costochondritis) Mediastinal/Pleural pain Dysphagia unrelated to GERD Cardiac pain Neurologic manifestations (Sandifer’s syndrome) Dystonic reactions to drugs (e.g. metoclopramide) Metabolic disease Torticollis (myogenic, traumatic) Dysphagia unrelated to GERD Peptic ulcer disease
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Letture In patients with vomiting and regurgitation, metabolic, neurological or structural GI abnormalities such as intestinal malrotation, hypertrophic pyloric stenosis and esophageal atresia should be considered, together with the possibility that reflux may be secondary to cow’s milk allergy. Pain may be related to esophagitis as well as other gastrointestinal or extra-intestinal disease. Respiratory symptoms are a major diagnostic challenge, because they may be a manifestation of GERD but primary lung disease may also cause or worsen GER. Eosinophilic esophagitis may present in infants and children with clinical features indistinguishable from those of GERD and cannot be correctly identified unless endoscopy with biopsy is carried out. Diagnostic approach There are two major diagnostic problems in pediatric patients with GERD symptoms: 1) in cases of typical manifestations, one has to establish whether GERD is primary or secondary to another underlying disorder; 2) in cases of atypical manifestations, one must ascertain that reflux is the cause. There is no “best test” and clinical judgement should always be applied, depending upon the clinical presentation (Figure 1). FIGURE I. Simplified diagnostic and therapeutic approach to GERD
Imaging techniques. Barium contrast study may exclude anatomical abnormalities such as hiatus hernia, intestinal malrotation or pyloric stenosis in patients with vomiting, or vascular rings, esophageal strictures and tracheo-esophageal fistula in patients with atypical manifestations. Barium fluoroscopy can be used to assess swallowing, nasopharyngeal reflux, aspiration and esophageal peristalsis. Scintigraphy is useful for detecting postprandial GER, measuring gastric emptying and documenting aspiration. Intra-esophageal pH monitoring. This test has a few major indications: 1) demonstration of a chronological relationship between refluxes and atypical symptoms; 2) detection of occult GER in patients with unexplained respiratory symptoms; 3) objective measurement of acidic reflux during or following anti-reflux therapy. Endoscopy with biopsy. The main indications for endoscopy in children with GERD symptoms are: 1) identification and grading of esophagitis and 2) evaluation and exclusion of other upper gastrointestinal disease. Targeted endoscopic biopsies are always recommended, as erosive esophagitis is much less common in pediatric than in adult patients, and other GI disease (e.g. eosinophilic
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esophagitis, H. pylori gastritis, food allergy) often do not produce overt endoscopic abnormalities. Esophageal manometry. Esophageal manometry is an invasive and cumbersome procedure that requires considerable cooperation from the patient and the information provided is not helpful in the routine evaluation of GERD. The role of manometry is thus limited to the assessment of esophageal motility prior to surgery in patients with refractory GERD. Intraesophageal impedance measurements. Whereas pH monitoring has the major limitation of not detecting neutral/alkaline reflux, impedance probes can detect reflux irrespective of composition and pH. Prolonged impedance measurement can thus be particularly useful in patients who have unexplained respiratory symptoms but normal endoscopy and pH study. Treatment Lifestyle modifications. The role and modality of positional treatment is controversial in infants with GERD. The 30° anti-Trendelenburg prone position is the most efficacious in reducing regurgitation, but the increased risk of sudden infant death syndrome (SIDS) reported in association to the prone position make it difficult to recommend. For older children, postural recommendations are the same as for adults, i.e. avoiding slouching postures and recumbent position immediately after meals and elevate the level of the head during sleep. Dietary measures. Thickened formula - either adjunct of dry rice cereal or carob flour to standard formula or anti-regurgitation (“AR”) formula - may reduce regurgitation. Foods and medications that are acidic or reduce LES tone (citrus fruit, gaseous drinks, tomato, chocolate, aminophylline, Calcium-channel blockers, prostaglandins, etc.) should be avoided or reduced to a minimum. Drugs. The current pharmacological mainstay of anti-reflux therapy are anti-secretory drugs. They include H2-receptor antagonists such as ranitidine (5-10 mg/kg daily in two or three divided doses) and the more powerful proton pump inhibitors (PPIs) such as omeprazole (0.7-3.3 mg/kg daily in one or two divided doses). They can reduce GERD symptoms by reducing gastric acid secretion and thus acid-related esophageal stimulation, pain and injury. Patients who will have the greatest benefit from complete acid suppression are those with chronic respiratory disease and those with neurological disability. The dopamine receptor antagonist domperidone (0.1-0.4 mg/kg before each meal) is the most commonly used prokinetic. Domperidone has no effect on LES pressure, but may be helpful in that it accelerates gastric emptying. Both PPIs and domperidone have an excellent efficacy and safety profile, and can be used for long periods of time in patients with severe GERD. Surgery. The main aim of anti-reflux surgery is to provide a complete barrier to GER and definitive protection of the airway. The Nissen fundoplication is extremely effective in preventing reflux in that it increases LES pressure and the fundal wrap acts as an unidirectional valve. Laparoscopic techniques have also rendered the procedure much less invasive, although complications such as the gas bloat syndrome, wrap herniation and small bowel obstruction are not negligible. Nutritional support techniques such as continuous gastrostomy or jejunostomy feeding may allow some
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Letture infants to outgrow severe forms of regurgitant GERD while treating associated swallowing disorders and failure to thrive. Anti-reflux surgery should be considered when maximal medical therapy has failed, when PPI’s are not tolerated or when it becomes clear that the patient will depend on a lifelong pharmacological therapy, REFERENCES 1. Orenstein SR, Izadnia F, Khan S. Gastroesophageal reflux disease in children. Gastroenterol Clin North Am 1999;28:947-69. 2. Nelson SP, Chen EH, Syniar GM, Christoffel KK. Prevalence of symptoms of gastroesophageal reflux during infancy: a pediatric practice-based survey. Arch Pediatr Adolesc Med 1997;151:569-72. 3. Kawahara H, Dent J, Davidson G. Mechanisms responsible for gastroesophageal reflux in children. Gastroenterology 1997;113:399408. 4. Orenstein SR. Update on gastroesophageal reflux and respiratory disease in children. Can J Gastroenterol 2000;14:131-5. 5. Ravelli AM, Milla PJ. Vomiting and gastroesophageal motor function in children with disorders of the central nervous system. J Pediatr Gastroenterol Nutr 1998;26:56-63. 6. Iacono G, Carroccio A, Cavataio F, et al. Gastroesophageal reflux and cow’s milk allergy in infants: a prospective study. J Allergy Clin Immunol 1996;97:822-7. 7. Kelly KJ, Lazenby AJ, Rowe P, Yardley JH, Perman JA, Sampson HA. Eosinophilic esophagitis attributed to gastroesophageal reflux: improvement with an amino acid-based formula. Gastroenterology 1995;109;1503-12. 8. Vandenplas Y, Belli D, Benhamou P, et al. A critical appraisal of current management practices for infant regurgitation: recommendations from a working party. Eur J Pediatr 1997;156:343-57. 9. Israel DM, Hassall E. Omeprazole and other proton pump inhibitors: Pharmacology, efficacy, and safety, with special reference to use in children. J Pediatr Gastroenterol Nutr 1998;27:568-79. 10. Hassall E. Antireflux surgery in children. Pediatrics 1998;101:467-8.
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GASTRITI CRONICHE Storia Naturale e Complicanz e
PROF. BRUNO ANNIBALE Malattie del’Apparato Digerente e de Fegato Ospedale Sant’Andrea II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Universita’ “La Sapienza “ Roma I pazienti, i medici, gli endoscopisti, ed i patologici hanno differenti concetti di cosa sia la gastrite cernica . Alcuni pensano che sia un sintomo complesso e difficilmente spiegabile, altri la considerano come un aspetto endoscopico dello stomaco, altri ancora usano questo termine per descrivere una infiammazione microscopica. Il termine gastrite cronica dovrebbe essere usato solo per descrivere un danno della mucosa gastrica documentato dalla presenza di infiltrato infiammatorio (linfo-monociti e/o granulociti neurofili) 1. La gastrite cronica, nella stragrande maggioranza dei casi, è dovuta all’infezione da H. pylori. È essenziale ricordare che non esiste correlazione tra quadro gastroscopico e quello istologico. Pertanto,il campionamento bioptico è ritenuto parte essenziale dell’indagine gastroscopica, a prescindere dall’aspetto macroscopico della mucosa gastrica. La gastrite cronica è, dunque, una diagnosi istologica che dimostra la presenza di infiammazione acuta e/o cronica della mucosa gastrica nella zona dove èstato effettuato il prelievo bioptico. L’adeguato campionamento bioptico sia dell’antro che del corpo/fondo è l’unico mezzo diagnostico che ci permette di classificarela correttamente . Un gruppo di esperti nel campo della patologia gastrica ha stabilito un sistema di valutazione, il Sydney System, che prevede una categorizzazione delle principali variabili istologiche: cellule dell’infiammazione acuta e cronica, presenza di atrofia e metaplasia intestinale, valutazione della presenza nella biopsia del H. pylori. Questa classificazione ci permette una sorta di misura di “staging” della gastrite ma dovrebbe essere sempre integrata dalla classificazione per localizzazione topografica 2. Nella Figura 1 è riportata la possibile evoluzione della gastrite H pylori-correlata, ed in particolare le tre localizzazioni che come vederemo tra breve possono avere espressioni cliniche differenti. Pertanto, la storia naturale e le implicazioni terapeutiche differiscono tra gastrite cronica e quella cronica atrofica. FIGURA 1
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Letture La presenza di atrofia e la sua sede topografica non ha una valenza formale ma è clinicamente utile perché definisce condizioni fisiopatologiche completamente differenti fra di loro. Infatti quando si parla di gastrite cronica atrofica comunemente non si distingue la sede e la distribuzione del processo atrofico e ciò determina qualche confusione. Per gastrite cronica atrofica si intende la riduzione e/o la scomparsa delle ghiandole gastriche oxintiche o piloriche e la loro sostituzione con epitelio intestinale (metaplasia intestinale) o pilorico (metaplasia pseudopilorica). La gastrite atrofica del corpo-fondo (GCA), è caratterizzata oltre che da modificazioni istologiche di vario grado, da profonde modificazioni di ordine fisiopatologico. L'atrofia della mucosa ossintica determina infatti sia una diminuzione delle cellule parietali (producenti acido cloridrico) che delle cellule principali (producenti il pepsinogeno). Nei pazienti affetti da GCA, data la scarsità di sintomi specifici, la diagnosi di atrofia gastrica del corpo-fondo è stata associata tout court alla diagnosi di anemia perniciosa (AP) che, rappresentando il gruppo caratterizzato dal danno ossintico più avanzato, è più facilmente individuabile per le sue evidenti manifestazioni ematologiche e/o neurologiche. Il rischio di complicanze neoplastiche sia endocrine ( carcinoide di tipo I) sia epiteliali ( displasia ed adenocarcinoma) interessa sia l ‘AP che gli atrofici non perniciosi 3. Al contrario l’atrofia dell’antro ha scarse consequenze sulla fisiologia dello stomaco. Nella malattia ulcerosa duodenale la gastrite atrofica dell’antro interessa circa il 30-40 % dei pazienti ma normalmente non c’è evoluzione verso la progressione al corpo. È stato infatti calcolato che il rischio di avere un cancro dello stomaco è più basso negli ulcerosi duodenali che nella popolazione generale (RR 0.6; CI 0.4-0.7). Questi dati epidemiologici rafforzano il concetto che senza riduzione della funzione secretoria delle ghiandole ossintiche (secrezione acida e acido ascorbico) non c’è rischio di adenocarcimoma. 4. È stato dimostrato che l’infezione da H. pylori gioca un ruolo importante nell’induzione della GCA 5,6. Il motivo per cui alcuni pazienti con gastrite da H pylori sviluppano lesioni di tipo peptico, o sono effettivamente a maggior rischio di neoplasie, non è del tutto noto. Appare però ben chiaro che alcuni fattori hanno un’ importanza decisiva nel determinare l’outcome dell’infezione. Oltre a fattori individuali di ordine genetico ( polimorfismo IL-1 beta) e ad altri legati al ceppo batterico il più importante è probabilmente rappresentato dalla estensione della gastrite a tutto lo stomaco. Il riscontro istologico della gastrite cronica H pylori relata non trova in effetti delle precise corrispondenze cliniche. Solo una minima percentuale di pazienti sviluppa, di solito,in assenza di sintomi, una gastrite estesa al corpo gastrico (pangastrite o gastrite multifocale) o limitata ad esso (gastrite del solo corpo). L’infiammazione della mucosa del corpo puo’ provocare un‘alterazione funzionale permanente o momentanea con conseguente riduzione della secrezione di acido cloridrico e del pH intragastrico . Questo sottogruppo di pazienti, vista la diminuita capacità di secernere acido, ha minori probabilità di presentare dei sintomi o un’ulcera duodenale. Inoltre sembra evidente che proprio i soggetti con pangastrite o gastrite limitata al corpo siano a lungo termine a maggior rischio di adenocarcinoma gastrico. Occorre anche considerare che l’evoluzione verso l’atrofia sia dell’antro che del corpo/fondo non è un processo ineluttabile. Infatti se è stato chiari-
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to da tempo che la gastrite cronica Hp-relata tende a rimanere a vita, è pur vero che una piccola percentuale di pazienti (0.3% /anno) ha una guarigione spontanea della gastrite e quindi non evolve verso l’atrofia. D’altro canto è stato osservato come la prevalenza di atrofia gastrica e di metaplasia intestinale aumenti del 1-2% per anno di età nei soggetti con gastrite cronica Hp-relata. Sembra inoltre certo che l’evoluzione dalla forme piu’ lievi di atrofia a quelle piu’ severe e quindi più estese sia un fenomeno tempo-dipendente oltre che legato alla virulenza del ceppo batterico. Le manifestazioni cliniche della gastrite cronica da H. pylori sono in genere povere di sintomi. Infatti, la gastrite cronica, sia essa superficiale o atrofica, solo antrale o estesa al corpo/fondo, è nella maggior parte dei casi clinicamente silente. Il 10-20% dei soggetti si può presentare con una sindrome dispeptica, vale a dire con disturbi quali dolore epigastrico che spesso recede con l’assunzione di cibo o può comparire a digiuno o con un fastidio localizzato in epigastrio caratterizzato da sensazione di ripienezza postprandiale, sazietà precoce, sensazione di distensione epigastrica e gonfiore addominale. Questi ultimi disturbi, che solitamente sono riconducibili ad alterazioni funzionali dell’attività motoria gastrica e che sono presenti in circa il 25% della popolazione generale, non sono, peraltro, specifici per la gastrite. L’anemia perniciosa che consegue alla presenza di gastrite cronica atrofica del corpo/fondo (GCA) è il prototipo di tale alterazione del processo fisiologico. Recentemente è stato dimostrato che nel 45% dei pazienti con gastrite cronica atrofica l’unico sintomo di presentazione può essere l’anemia sideropenica e che nella ricerca delle cause di anemia sideropenica ini pazienti asintomatici dal punto di vista gastrointestinale, la CGA rappresentava il 27% e la gastrite cronica superficiale da H. pylori rappresentava il 18 % dei pazienti con di anemia sideropenica . Attualmente, dunque, un programma di diagnosi e sorveglianza della GCA può essere considerato anche come un programma di diagnosi precoce del cancro dello stomaco. A tal fine nel corso dell’esame gastroscopico, un numero di prelievi bioptici che soddisfi i criteri richiesti dal Sydney system, ovvero almeno cinque biopsie della mucosa (2 nell’antro, 2 nel corpo fondo e 1 a livello dell’angulus) è auspicabile. In questo modo, la sensibilità dell’esame per l’identificazione di lesioni precancerose (metaplasia e displasia epiteliale) è superiore al 95% Riguardo al timing del follow-up dellai GCA, il primo follow-up ad un intervallo di tempo di 4 anni è sufficientemente sicuro per sorvegliare l’insorgenza di lesioni precancerose sia per quanto riguarda quelle epiteliali sia quelle endocrine ( carcinoide di tipo I) 7,8. BIBLIOGRAFIA 1. Lee EL, Feldman M. Gastritis and other gastropathies. In: Sleisenger & Fordtran’s Gastrointestinal and Liver Disease: pathophysiology, diagnosis, management. Feldman M, Friedman LS, Sleisenger MH, editors. 7th edition, Philadelphia, Saunders; 2002: 810-27. 2. Rugge M, Genta RM. Staging and grading of chronic gastritis. Human Pathology 2005; 36: 228-33. 3. Lahner E, Bordi C, Cattaruzza MS, Iannoni C, Milione M, Delle Fave G,Annibale B. Long-term follow-up in atrophic body gastritis patients: atrophy and intestinal metaplasia are persistent lesions
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Letture 4.
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TERAPIA DELL’INFEZIONE DA HELICOBACTER PYLORI
CAROLA SEVERI Malgrado i primi tassi di eradicazione dell’infezione da H.pylori ottenuti con la triplice terapia con gli inibitori della pompa protonica si attestassero intorno al 90%, i risultati ottenuti nella pratica clinica negli ultimi anni sono invece più deludenti presentando un’efficacia del 74-76% (Lee KM et al. 1999, Vergara M et al. 2003). La ridotta risposta è stata imputata a molteplici fattori tra cui l’aumentata resistenza agli antibiotici, i fattori di virulenza del batterio, una scarsa compliance dei pazienti (Laine L et al. 2000; Gerritz MM et al. 2006). Questa minore efficacia delle terapie eradicanti rende difficoltosa la gestione dei pazienti per i quali l’eradicazione viene fortemente consigliata (Malfertheiner P et al. 2007). Tra questi vi sono i pazienti con gastrite da H.pylori che si estende al corpo gastrico per l’aumentato rischio di sviluppo di adenocarcinoma (Uemura N et al. 2001). L’estensione dell’infezione al corpo gastrico causa infatti una importante inibizione della secrezione acida gastrica, evento cardine nella carcinogenesi gastrica (Derakhshan MH et al. 2006). L’influenza del pattern di gastrite associata ad infezione di H.pylori non è stata però oggetto di studi specifici nella valutazione dei tassi di eradicazione. Altra situazione clinica in cui un’efficace terapia eradicante risulta essenziale è quella dei pazienti obesi che devono essere sottoposti a terapia chirurgica bariatrica. Infatti attualmente la gran maggioranza dei colleghi chirurghi richiede l’eradicazione dell’infezione prima di sottoporre i pazienti a bypass intestinale in quanto si è osservato che l’infezione è associata ad una maggiore incidenza
di ulcere e disturbi dispeptici post-operatori (Ramaswamy A et al. 2004), la cui gestione clinica risulta complicata dalle difficoltà di esecuzione dell’endoscopia dopo tali interventi (Stellato TA et al. 2003). Anche i tassi di eradicazione nella popolazione degli obesi, nei quali la prevalenza dell’infezione si attesta tra il 24 ed il 67% (Csendes a et al. 2007), non sono stati oggetto di studio. Dato che l’obesità è stata considerata un fattore di rischio indipendente per un mancata risposta alla terapia antivirale nelle epatiti croniche, è possibile che questo fattore possa influire anche in corso di terapia eradicante. Per tale motivo abbiamo recentemente valutato i tassi di eradicazione ottenuti con triplici terapie standard sia nei pazienti con pangastrite che nei pazienti obesi trattati presso gli ambulatori del Dipartimento di Scienze Cliniche del Policlinico Umberto I e del Dipartimento delle Malattie dell’Apparato Digerente e del Fegato dell’Ospedale S. Andrea di Roma. Per quanto riguarda i pazienti con diagnosi istologica di pangastrite abbiamo valutato i tassi di eradicazione ottenuti con una triplice terapia standard (inibitore di pompa protonica per 2 settimane e 2 antibiotici per 1 settimana) e quelli ottenuti con un simile schema di triplice terapia nella quale l’inibitore della pompa protonica è stato sostituito con il bismuto. L’ipotesi dello studio è stato quello che in questi pazienti, nei quali l’infezione inibisce profondamente la secrezione acida gastrica, l’uso degli inibitori della pompa protonica possa risultare superfluo mentre l’uso del bismuto, per il suo potere battericida, l’assenza di resistenza da parte del H.pylori e la sua azione citoprotettiva, potrebbe migliorare l’efficacia della terapia eradicante. Nei pazienti con pangastrite i tassi di eradicazione ottenuti con la terapia con gli inibitori della pompa protonica è risultato essere di circa il 50% (27/54) mentre quello ottenuto con il bismuto di circa il 91% (50/55). L’analisi multivariata non ha dimostrato nessun influenza del sesso, età, fumo sui tassi di eradicazione dei 2 gruppi studiati. Per quanto riguarda invece i tassi di eradicazione riscontrati nei pazienti obesi, abbiamo intrapreso uno studio pilota per valutare i tassi di eradicazioni ottenuti con una triplice terapia con Pantoprazolo (40mg/die per 2 settimane) associato, nei primi 7 giorni, ad amoxicillina (1g x 3/die) e claritromicina (250mg x 3/die) in un gruppo di 43 paz.obesi (BMI>25) rispetto a quelli ottenuti in un equivalente gruppo di pazienti normopeso. Nel gruppo degli obesi il tasso di eradicazione è stato del 54.7% mentre nel gruppo di controllo è stato raggiunto l’80%. L’analisi multivariata non ha identificato nessun altro fattore di rischio, oltre il BMI, per spiegare la differenza nei tassi di eradicazione. Infatti né l’età, il sesso, il fumo sono risultati significativamente differenti tra i pazienti eradicati e quelli non eradicati. Questi dati preliminari sembrano indicare che oltre ai fattori già noti anche l’indice di massa corporea ed il pattern di gastrite possano concorrere alla riduzione dell’efficacia delle terapie eradicanti e debbano essere considerati fattori predittivi negativi che dovrebbero essere tenuti in considerazione nei futuri studi. BIBLIOGRAFIA 1. Csendes A, Burgos AM, Smok G et al. Endoscopic and histologic findings of the foregut in 426 paatients with morbid obesity. Obes.
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COMORBILITÀ GASTROINTESTINALI E GINECOLOGICHE – REL AZIONE TRA STIPSI E APPARATO GENITALE FEMMINILE
VINCENZO STANGHELLINI Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia Università di Bologna Da tempo è nota l’elevata prevalenza del sesso femminile tra i pazienti affetti da disturbi digestivi funzionali in generale e da stipsi in particolare, nei paesi occidentali 1-5. I reali motivi per cui il sesso femminile sembra rappresentare un fattore predisponente allo sviluppo di patologie digestive funzionali non sono stati definiti con certezza. Tuttavia recenti acquisizioni hanno dimostrato l’importanza clinica della co-morbilità tra stipsi e patologie ginecologiche, oltre ad identificare possibili meccanismi fisopatologici comuni. Come noto esistono 3 tipi principali di stipsi che sono caratterizzati da meccanismi fisiopatologici distinti e che possono essere identificati sulla base dei tempi di transito intestinali e della sede dell’eventuale rallentamento: con transito normale o rallentato solo nei distretti più distali del grosso intestino (pazienti che lamentano evacuazioni incomplete e/o difficoltose) (stipsi espulsiva o dischezia); con transito rallentato lungo tutta la cornice colica (o inertia coli); e una forma che comprende entrambi i difetti sopradescritti contemporaneamente. Ne esiste anche un quarto tipo che non appartiene precisamente al capitolo “stipsi” rappresentato dalla variante stitica della sindrome del colon irritabile (IBS) in cui il transito è rallentato prevalentemente a carico delle porzioni sinistre del grosso intestino a causa di eccessive contrazioni stazionarie che avvengono a livello del sigma in questo tipo di pazienti. Tutti questi tipi di stipsi si associano, verosimilmente attraverso meccanismi almeno in parte non coincidenti, con patologie ginecologiche. Stipsi, gravidanza e ormoni sessuali. La stipsi è particolarmente frequente nelle donne in età fertile e, in modo particolare durante la gravidanza 6. Inoltre è esperienza comune di molte donne presentare marcate modificazioni dell’alvo durante le diverse fasi del ciclo mestruale 7. In media, né il tempo di transito gastrointestinale totale né il peso delle feci sembrano variare nelle diverse fasi del ciclo 7, mentre l’emissione di feci più soffici osservata in alcune donne all’inizio del ciclo sembra attribuibile ad iperincrezione locale di prostaglandine 8, 9. Lelevata prevalenza della stipsi in gravidanza e in modo particolare durante l’ultimo trimestre di gestazione (11-38%) potrebbe avere genesi multifattoriale: elevati livelli di progesterone, effetto meccanico dell’utero gravido, cambiamenti nello stile di vita (esercizio, dieta, aumento ponderale). Il tempo di transito oro-cecale è ritardato durante la gravidanza, rispetto al periodo pot-partum 10, suggerendo quindi che gli elevati livelli ormonali raggiunti in gravidanza possano in realtà influenzare le funzione neuromuscolari dell’apparato digerente. Le pazienti con stipsi idiopatica di grado severo mostrano una riduzione dei livelli circolanti di tutti gli ormoni di tipo steroideo che peraltro potrebbe essere attribuibile ad alterazioni della circolazione enteroepatica di tali ormoni 11. La gestione clinica della stipsi in gravidanza pone problematiche particolari a causa a
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Letture causa del fatto che l’impiego della maggior parte dei lassativi è sconsigliato in tale condizione. Recenti linee guida internazionali 1 indicano nel macrogol la terapia di prima scelta qualora semplici cambiamenti della abitudini di vita risultino inefficaci, in quanto priva di effetti collaterali sia per la madre che per il feto. Stipsi, dolore pelvico e dispareunia/vaginismo. Sia la stipsi idiopatica 12 che la variante stitica di IBS 13 si associano a dispareunia e vaginismo. I meccanismi che legano stipsi, dolore pelvico e dispareunia/vaginismo sono sostanzialmente di due tipi. A) Dissinergia/distonia dei muscoli del pavimento pelvico. Questo primo tipo è collegato alla stipsi di tipo espulsiva. Sia l’ipertono che l’ipotonia dei muscoli del pavimento pelvico possono essere chiamati in causa come meccanismi patogenetici. Quest’ultima infatti si associa a sindrome del perineo discendente, responsabile a sua volta di dolori alla sfera ginecologica sia durante i rapporti sessuali che spontanei 12. B) Flogosi mucosa con conseguente ipersensibilità viscerale. Questo secondo meccanismo fisiopatologico può predisporre qualsiasi tipo di stipsi a sviluppare dispareunia/vaginismo, anche se è verosimile che la variante stitica di IBS sia più frequentemente coinvolta. Dati recenti indicano che l’infiltrato infiammatorio cronico che caratterizza la mucosa intestinale della maggior parte dei pazienti affetti da IBS è caratterizzata da mastociti localizzati in vicinanza delle terminazioni nervose di tipo afferente, e che la loro densità è strettamente correlata a severità e frequenza del dolore addominale 14. Meccanismi pressoché identici sembrano essere alla base dei problemi ginecologici associati a disturbi digestivi, tanto che attivazione mastocitaria e proliferazione delle terminazioni nervose sensoriali vengono considerati criteri anatomopatologici con valore diagnostico per vestibolite. Anche l’ipersensibilità viscerale e l’ipereccitabilità del sistema nervoso centrale, a sua volta condizionata da fattori psicosociali, sembrano essere meccanismi fisopatologici comuni a sindromi dolorose intestinali 16 e ginecologiche 17. In entrambi i casi è possibile che la stasi protratta del contenuto intestinale e della relativa carica microbica con numerose componenti potenzialmente patogene possa altresì svolgere un importante ruolo patogenetico 18. Studi recenti hanno dimostrato che un adeguato trattamento della stipsi permette di ottenere la guarigione anche di vulvovaginiti e di prevenirne le, altrimenti frequenti, recidive 19. Stipsi ed interventi chirurgici ginecologici. Le pazienti affette da stipsi e/o IBS vanno più frequentemente di altre incontro ad interventi chirurgici di tipo ginecologico. Nonostante la prevalenza di IBS nella popolazione generale oscilli tra 10 e 15%, questa sale a circa 50% tra le pazienti che si recano dal ginecologo per dolori pelvici e ad oltre il 30% tra quelle ricoverate in reparti di chirurgia a causa di dolori pelvici di natura da determinare 20, 21. Uno studio retrospettivo riporta una prevalenza di isterectomie tripla e di colecistectomie addirittura quadrupla in pazienti con IBS rispetto ad un gruppo di controllo affetto da malattia infiammatoria intestinale 22. In uno studio simile la presenza di dolore pelvico che le pazienti stesse attribuiscono a problemi ginecologici è risultato in grado di influenzare le scelte dei chirurghi più in soggetti con IBS che con IBD 23. Sia le appendicectomie che le isterectomie non determinano alcun vantaggio clinico significativo ed in
alcuni casi si associano all’aggravamento dei sintomi 24. Si ritiene pertanto che gli intereventi chirurgici vengano effettuati a causa di diagnosi errate. Tale sospetto è indirettamente confermato dai normali risultati delle indagini istologiche condotte sulle appendic asportate 21, e dai simili risultati ultrasonografici ottenuti in pazienti con e senza severa stipsi cronica idiopatica 25. Una diagnosi corretta e quindi un appropriato approccio terapeutico si impongono al fine di salvaguardare la salute delle pazienti ed ottenere significative riduzione dei costi sanitari. BIBLIOGRAFIA 1. Barbara L, Corinaldesi R, Gizzi G, Stanghellini V, Eds. Chronic constipation. Philadelphia: Saunders, 1996 2. American Gastroenterological Association medical position statement: guidelines on constipation. Gastroenterology 2000;119:1761-1778 3. Connell A, Hilton C, Irvine G, Lennard-Jones J, Misiewics J. Variation of bowel habit in two popuulation samples. BMJ 1965;2:1095-1099 4. Sandler R, Drossman D. Bowel habits in young adults not seeking health care. Dig Dis Sci 1987;32:841-845 5. Longstreth G, Thompson W, Chey W, Houghton L, Mearin F, Spiller R. Functional bowel disorders. Gastroenterology 2006;130: 1480-1491 6. Tytgat GN, Heading RC, Müller-Lissner S, Kamm MA, Schölmerich J, Berstad A, Fried M, Chaussade S, Jewell D, Briggs A. Contemporary understanding and management of reflux and constipation in the general population and pregnancy: a consensus meeting. Aliment Pharmacol Ther. 2003 Aug 1;18(3):291-301 7. Whitehead W, Cheskin LJ, Heller BR, Robinson JC, Crowell MD, Benjamin C, Schuster MM. Evidence for exacerbation of irritable bowel syndrome during menses. Gastroenterolgy 1990 ;98 :14851489 8. Kamm MA, Farthing MJ, Lennard-Jones JE . Bowel function and transit rate during the menstrual cycle. Gut 1989; 30: 605– 8. 9. Hinds JP, Stoney B, Wald A . Does gender or the menstrual cycle affect colonic transit? Am J Gastroenterol 1989; 84: 123– 6. 10. Wald A, Van Thiel DH, Hoechstetter L, et al . Effect of pregnancy on gastrointestinal transit. Dig Dis Sci 1982; 27: 1015– 8. 11. Kamm MA, Farthing MJ, Lennard-Jones JE, et al . Steroid hormone abnormalities in women with severe idiopathic constipation. Gut 1991; 32: 80– 4. 12. Sobhgol S, Charndabee S. Rate and related factors of dyspareunia in reproductive age women: a cross-sectional study. Int J Impoten Res 2007;19:88-94 13. Whorwell PJ, McCallum M, Creed FH, Roberts CT. Non-colonic features of irritable bowel syndrome. Gut. 1986;27:37-40. 14. Barbara G, Stanghellini V, De Giorgio R, Cremon C, Cottrell GS, Santini D, Pasquinelli G, Morselli-Labate AM, Grady EF, Bunnett NW, Collins SM, Corinaldesi R. Activated mast cells in proximity to colonic nerves correlate with abdominal pain in irritable bowel syndrome. Gastroenterology. 2004;126:693-702. 15. Bornstein J, Goldschmid N, Sabo E. Hyperinnervation and mast cell activation may be used as histopathologic diagnostic criteria for vulvar vestibulitis. Gynecol Obstet Invest. 2004;58:171-8. 16. Barbara G, De Giorgio R, Stanghellini V, Cremon C, Salvioli B,
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DISPEPSIA FUNZIONALE - Definizione (criteri di Roma 3)
VINCENZO STANGHELLINI, ROSANNA COGLIANDRO, ALEXANDRA ANTONUCCI, LUCIA FRONZONI, Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia Università di Bologna Un’elevata percentuale di pazienti con disturbi digestivi funzionali lamenta sintomi che I medici comunemente attribuiscono alla regione gastroduodenale. Alcuni lamentano singhiozzo con o senza aerofagia, altri nausea e vomito croici idiopatici con o senza syndrome del vomito ciclico, o ruminazione. Tuttavia la maggior parte di questo tipo di pazienti è affetta da dispepsia funzionale Il termin dispepsia è poco conosciuto dai pazienti e interpretato in vario modo da medici e ricercatori di diversa estrazione culturale. I precedenti Citeri di Roma (Roma II) definivano la dispepsia come dolore o “discomfort” (fastidio) centrati nella parte superiore dell’addome e distinguevano sottogruppi distinti sulla base della presenza o meno di dolore o discomfort predominanti con i termini di “ulcer-like” dysmotility-like” o “indeterminata” 1. Tale definizione ha incontrato alcuni problemi nella sua applicazione clinica: a) il termine discomfort è stato interpretato in modo non univoco (nonostante una chiara definizione nei criteri di Roma II) ed alcuni rcercatori lo hanno considerato indicativo di una forma di dolore lieve 2; b) il termine “predominante” non è definito uniformemente tra vari ricercatori; d) esiste una ampia variabilità delle manifestazioni cliniche nei pazienti dispeptici con importanti sovrapposizioni tra le varie manifestazioni cliniche 3; e) l’esistenza stessa della dispepsia come entità a sé stante non è stata confermata in studi sulla popolazione generale 4-7; f ) anche studi fisiopatologici hanno confermato l’eterogeneicità dei pazienti dispeptici dimostrando l’esistenza di correlazione tra alcuni meccanismi fisiopatologici e sintomi specifici, ma non con la dispepsia in generale 8-12; g) alcuni studi hanno dimostrato che l’analisi di un sintomo predominante permette di identificare sottogruppi di pazienti con caratteristiche demografiche e fisiopatologiche distinte 10-13, ma questi dati non sono stati confermati in studi successivi 14, 15. Per tali motive I criteri di Roma 3 16 consigliano di mantenere il termine dyspepsia funzionale per scopi clinici, ma di sostituirlo con termini che più precisamente distinguano diversi sottogruppi fino ad ora considerati parte della dyspepsia: a) sitomi indotti dall’ingestione del pasto (Postprandial Distress Syndrome o PDS) caratterizzata da: ripienezza postprandiale e/o sazietà precoce che possono essere accompagnat da bloating, nausea o eruttazioni eccessive; , b) dolore epigastrico epigastric pain (Epigastric Pain Syncrome o EPS) caratterizzata da: dolore e/o bruciore epigastrico che non sono irradiati al torace, né modificati dal passaggio di feci o gas, né hanno caratteristiche del dolore biliare; c) nausea cronica idiopatica (Chronic Idiopathic Nausea o CIN), caratterizzata da nausea in assenza di vomito frequente. Inoltre, a differenza di quanto prodotto in numerosi lavori scientifici degli ultimi anni 17-19, ma in accordo con quanto già chiaramente indicato dai criteri di Roma II 1, anche Roma III propone di considerare la pirosi come suggestiva di patologia da reflusso gastro-esofageo e di escludere anche il dolore retrosternale dall’elenco dei sintomi dispeptici. Uno studio recente conferma l’esistenza di PDS, EPS e CIN come entità nosologiche distinte
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Letture con sovrapposiszioni statisticamente inferiori a quanto atteso 20. Studi di fisiopatologia e terapia sono ora necessary per confermare il valore clinico di tale proposta. BIBLIOGRAFIA 1. Talley NJ, Stanghellini V Heading RC, Koch KL, Malagelada JR, Tytgat GNJ. Functional gastroduodenal disorders. Gut 1999a; 45 (suppl. II) 37-42. 2. Stanghellini V. Review Article: pain versus discomfort - is differentiation clinically useful? Aliment Pharmacol Ther. 2001 Feb;15(2):145-9. 3. Talley NJ, Weaver AL, Tesmer DL, Zinsmeister AR. Lack of discriminant value of dyspepsia subgroups in patients referred for upper endoscopy. Gastroenterology 1993; 105:1378-1386. 4. Agreus L, Svardsudd K, Nyren O, et al. Irritable bowel syndrome and dyspepsia in the general population: overlap and lack of stability over time. Gastroenterology 1995; 109:671-80. 5. Kwan AC, Bao TN, Chakkaphak S, Chang FY, Ke MY, Law NM, Leelakusolvong S, Luo JY, Manan C, Park HJ, Piyaniran W, Qureshi A, Long T, Xu GM, Xu L, Yuen H. Validation of Rome II criteria for functional gastrointestinal disorders by factor analysis of symptoms in Asian patient sample. J Gastroenterol Hepatol. 2003 Jul;18(7): 796-802. 6. Whitehead WE, Bassotti G, Palsson O, Taub E, Cook III EC, Drossman DA. Factor analyisis of bowel symptoms in US and Italian populations. Dig Liv Dis 2003; 35:774-83. 7. Camilleri M, Dubois, D, Coulie B, Jones, M, Stewart, W.F., Sonnenberg, A., Stanghellini, V., Tack, J., Talley, N.J., Kahrilas, P., Whitehead, W., and Revicki, D. Results from the US upper gastrointestinal study: prevalence, socio-economic impact and functional gastrointestinal disorder subgroups identified by factor and cluster analysis. Clin. Gastroent. Hep. 2005, in press. 8. Stanghellini V, Tosetti C, Paternico A, et al. Risk indicators of delayed gastric emptying of solids in patients with functional dyspepsia. Gastroenterology 1996;110:1036-1042. 9. Perri F, Clemente R, Festa V, Annese V, Quitadamo M, Rutgeerts P, Andriulli A. Patterns of symptoms in functional dyspepsia: Role of Helicobacter pylori infection and delayed gastric emptying. Am J Gastroenterol 1998;93:2082-2088. 10. Sarnelli, G., Caenepeel, P., Geypens, B., Janssens, J., and Tack, J. (2003). Symptoms associated with impaired gastric emptying of solids and liquids in functional dyspepsia. Am. J. Gastroenterol. 98: 783-8. 11. Tack J, Piessevaux H, Coulie B, Caenepeel P, Janssens J. Role of impaired gastric accommodation to a meal in functional dyspepsia. Gastroenterology 1998; 115: 1346-52. 12. Tack J, Caenepeel P, Fischler B, Piessevaux H, Janssens J. Symptoms associated with hypersensitivity to gastric distention in functional dyspepsia. Gastroenterology 2001;121:526-35. 13. Stanghellini V, Tosetti C, PaternicoÁ A, et al. Predominant symptoms identify different subgroups in functional dyspepsia. Am J Gastroenterol 1999; 94: 2080-5. 14. Karamanolis G, Caenepeel P, Arts J, Tack J. Association of the predominant symptom with clinical characteristics and pathophysiological mechanisms in functional dyspepsia. Gastroenterology
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DISPEPSIA FUNZIONALE - TERAPIA - PROCINETICI
VINCENZO STANGHELLINI, ROSANNA COGLIANDRO, LUCIA FRONZONI, ALEXANDRA ANTONUCCI Dipartimento di Medicina interna e Gastroenterologia Università degli Studi di Bologna La terapia della dispepsia funzionale è stata oggetto di numerose reviews cui si rimanda per una bibliografia aggiornata 1,2. L’elevata frequenza della sintomatologia dispeptica nella popolazione generale rende impossibile sottoporre ogni paziente a indagini strumentali costose ed invasive. Numerosi studi evidenziano che, fra i pazienti che lamentano una sintomatologia dispeptica severa, sottoposti ad indagine endoscopica, meno del 50% hanno lesioni organiche. Da questa esperienza nasce l’esigenza di sottoporre i pazienti dispeptici, in prima istanza, ad un’anamnesi accurata ed a un attento esame clinico e a riservare le indagini strumentali solo ai pazienti che presentano sintomi o segni clinici suggestivi della presenza di una sottostante patologia organica ed ai pazienti verso i quali fallisce l’approccio empirico e che presentano una ricorrente sintomatologia dispeptica. La meta-analisi di studi clinici sull’ impiego della terapia farmacologica nel trattamento della dispepsia funzionale ha dimostrato la maggior efficacia dei farmaci sia antisecretivi che procinetici rispetto al placebo, con una migliore risposta sintomatologia a questo secondo gruppo di farmaci 3. Tuttavia va sottolineata l’estrema eterogeneità degli studi presenti in letteratura legata a vari fattori, fra cui: la non concorde ed unanime definizione della dispepsia funzionale e quindi i criteri di inclusione dei pazienti; la differente valutazione dei sintomi; l’assenza di un adeguato pe-
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Letture riodo di wash-out tra i trattamenti farmacologici in alcuni studi cross-over; il breve periodo di follow-up; l’elevata risposta positiva al placebo (30-60% dei pazienti con dispepsia funzionale). Bisogna inoltre considerare che la maggior parte dei pazienti ricorre all’automedicazione e non viene perciò inclusa negli studi clinici: c’è il rischio quindi che i pazienti inclusi negli studi clinici condotti nei centri di riferimento siano in realtà non-responder alle terapie comunemente impiegate dai medici di medicina generale.
nale alimentare. L’unico farmaco appartenente a questa classe attualmente in commercio è l’eritrocina il cui uso nella pratica clinica è limitato non solo a causa dell’effetto antibiotico, ma anche a causa della rapida tachifilassi cui va incontro in caso di trattamenti protratti.
PROCINETICI/ANTIEMETICI Sebbene una meta-analisi degli studi clinici controllati abbia dimostrato per i farmaci procinetici un vantaggio terapeutico del 46% nei confronti del placebo 3, è importante sottolineare che oltre il 60% dei pazienti dispeptici non presenta un quadro oggettivabile di gastroparesi né di anomalie motorie dell’intestino tenue. I procinetici possono agire sulla motilità gastrointestinale attraverso uno o più dei seguenti meccanismi farmacologici: 1) direttamente o indirettamente promuovendo il tono colinergico; 2) antagonizzando i neurotrasmettitori ad azione inibitoria (dopamina); 3) mimando l’azione noncolinergica-nonadrenergica di ormoni che stimolano la motilità 4) modulando recettori serotoninergici. Numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia di farmaci antidopaminergici quali metoclopramide e clebopride nel controllo sia della gastroparesi che dei sintomi in pazienti con dispepsia. Tuttavia, il loro uso è limitato dalla possibile comparsa di effetti collaterali dovuti al passaggio del farmaco attraverso la barriera ematoencefalica (sonnolenza, eccitazione, tremori). Anche il domperidone è stato valutato in diversi studi clinici. Esso non presenta generalmente effetti collaterali extrapiramidali, dal momento che il passaggio del farmaco attraverso la barriera ematoencefalica è pressoché nullo, ma circa il 7% dei pazienti inclusi nei trials clinici ha presentato iperprolattinemia con conseguente galattorrea, ginecomastia e mastalgia. La levo-sulpiride, un neurolettico che stimola a basse dosi la motilità gastrica e colecistica probabilmente attraverso un meccanismo antidopaminergico, rappresenta uno dei pochi psicofarmaci per i quali esistono studi controllati che dimostrano una superiorità rispetto al placebo nel controllo dei sintomi in pazienti con dispepsia funzionale. La itopride è una molecola con caratteristiche non troppo dissimili da quelle del domperidone attualmente in vendita in Giappone che si è dimostrato molto valido nella terapia della dispepsia, ma purtroppo questi risultati non sono stati confermati in studi successivi. Il procinetici più efficace nella terapia della dispepsia è stato sicuramente la cisapride, peraltro oggi ritirata dal commercio in tutti i paesi occidentali. Si tratta di un derivato benzamidico in grado di aumentare la motilità dell’intero tratto gastrointestinale, facilitando il rilascio di acetilcolina dalle terminazioni nervose del plesso mioenterico mediante stimolazione dei recettori 5-HT4. La prucalopride è un farmaco con caratteristiche cliniche simili a quelle della cisapride, apparentemente priva dei noti effetti collaterali di cardiotossicità che è tuttora in corso di sperimentazione e si spera possa presto divenire disponibile per il trattamento dei pazienti dispeptici. I motilidi costituiscono una classe di farmaci in grado di interagire con i recettori per la motilina presenti sul muscolo liscio del ca-
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BIBLIOGRAFIA
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LA STORIA NATURALE DELL A DISPEPSIA FUNZIONALE
MAURA CORSETTI, MD, PHD Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Università Vita-Salute San Raffaele IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. Introduzione Circa la metà dei pazienti visitati dagli specialisti gastroenterologi si presenta con sintomi riconducibili a disturbi funzionali del tratto gastroenterico 1. Considerando l’alta percentuale di pazienti con disturbi funzionali afferenti agli ambulatori, diversi studi hanno cercato di chiarire I diversi aspetti di queste patologie a partire dalla loro prevalenza fino alla patogenesi dei sintomi e al possibile trattamento degli stessi 2. Tuttavia diverse difficoltà hanno complicato il compito dei ricercatori. In primo luogo, i pazienti che giungono all’attenzione del medico di medicina generale o dello specialista sono solo una parte di quelli realmente affetti dal disturbo funzionale 3. E’ inoltre verosimile che la popolazione osservata nei diversi ambiti della medicina sia differente. In secondo luogo le definizioni utilizzate per identificare questi pazienti sono cambiate più volte nel corso degli ultimi 2. Questo fattore è stato particolarmente rilevante per I pazienti con dispepsia funzionale e ha modificato la popolazione di pazienti inclusa negli anni nei diversi studi. Considerando queste difficoltà nello studio dei disturbi funzionali del tratto gastroenterico è facile comprendere il motivo per cui poco sia noto riguardo alla storia naturale della dispepsia funzionale. Una miglior conoscenza della storia naturale di questi disturbi funzionali potrebbe aiutare a comprendere i meccanismi fisiopatologici alla base degli stessi e a sviluppare strategie di lungo termine per il trattamento di questi disturbi.
GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Letture Gli studi condotti sulla storia naturale della dispepsia funzionale Una revisione sistematica sugli studi condotti sulla storia naturale della dispesia funzionale ha valutato gli studi condotti fino al 2001 4. In questa revisione, sono stati applicati diversi criteri di inclusione degli studi quali: la presenza di una precisa definizione della dispepsia funzionale, la presenza di indagini per escludere cause organiche della dispepsia, la definizione di un preciso followup. Sono stati esclusi studi che avessere incluso più del 50% dei pazienti con assunzione di terapie specifiche per la dispepsia funzionale. Con questi criteri di inclusione ed esclusione sono risultati 13 studi che avessero valutato la storia naturale della dispepsia funzionale, di cui sette retrospettivi e sei prospettici. Due di questi erano stati condotti su pazienti afferenti agli ambulatori dei medici di base, gli altri in centri di riferimento specialistici. La numerosità del campione degli studi variava tra 35 e 209 pazienti. Il follow-up era di 1.5-10 anni negli studi prospettici e 5-27 anni nei retrospettivi con una mediana di 5 anni. La valutazione dei sintomi al follow-up era ottenuta nell’92-98% dei pazienti negli studi prospettici e nel 67-82% di quelli retrospettivi. La revisione ha dimostrato che l’assenza di una definizione riconosciuta tra gli autori in letteratura non permetteva di definire correttamente la prevalenza della dispepsia funzionale, in particolare a causa del fatto che molti degli studi esaminati includeva pazienti con malattia da reflusso gastroesfageo nella popolazione dei dispeptici. Tuttavia la prevalenza variava tra 5% e 12% quando la definizione di dispepsia si restringeva a pazienti con dolore epigastrico. Inoltre l’assenza di studi condotti sulla popolazione non forniva informazioni sulla storia naturale di questo disturbo funzionale. Questi studi infatti includevano solo pazienti con dispepsia funzionale seguiti durante un periodo di tempo variabile, introducendo così la possibilità di un referral bias. Tuttavia il dato che questi studi delineavano era che circa metà dei pazienti con dispepsia migliorava o diventava asintomatico nel corso degli anni. La revisione sistematica suggeriva inoltre che nessun fattore di rischio appariva consistente tra gli studi per la prognosi della dispepsia funzionale. Recentemente due studi hanno valutato la storia naturale di alcuni disturbi funzionali tra I quali la dispepsia funzionale utilizzando come popolazione di studio la popolazione generale in due paesi differenti 5, 6. Uno studio, prospettico, è stato condotto in Svezia, con un follow-up dei pazienti di un anno e di 7 anni, su un numero di 1290 soggetti all’arruolamento, di 1260 ad un anno e di 1065 a 7 anni, e con una percentuale di risposta ad un questionario validato dei sintomi durante tutte e tre le sucessive valutazioni del 79% 5. I criteri utilizzati per definire I pazienti con disturbi funzionali del tratto gastroenterico in questo studio sono stati I criteri di Roma II. I risultati dello studio hanno dimostrato che circa il 50% dei soggetti riportava sintomi all’arruolamento e che I sintomi di questi soggetti potevano essere ricondotti ad una diagnosi di sindrome dell’intestino irritabile (IBS) nel 9% dei casi, di dispepsia funzionale nel 12% dei casi e di malattia da reflusso gastroesofageo (GERD) nel 5%, mentre nei I restanti casi I sintomi non rientravano nelle tre definizioni soprariportate e venivano pertanto inclusi nella categoria di pazienti con sintomi minori. Ad un anno e sucessivamente a sette anni di follow-up le percentuali rimanevano invariate per I pazienti con GERD, per I soggetti asintomatici e per quelli con sintomi minori. Nei pazienti con IBS il
55% rimaneva tale, il 3% sviluppava GERD, l’8% sviluppava dyspepsia, il restante 34% diventava asintomatico o sviluppava sintomi minori. Nei pazienti con dispepsia il 30% rimaneva tale, il 20% sviluppava IBS, 11% sviluppava GERD, il restante 40% diventava asintomatica o sviluppava sintomi minori. L’altro studio, prospettico, è stato condotto negli Stati Uniti, con un follow-up di 12 anni con almeno due valutazioni nell’arco del follow-up, su un numero di 1365 soggetti all’arruolamento, e con il 58% dei soggetti che avevano risposto ad un questionario validato durante tutte e due le valutazioni 6. I criteri utilizzati per definire I pazienti con disturbi funzionali del tratto gastroenterico in questo studio sono stati I criteri di Roma II leggermente modificati. I risultati dello studio hanno dimostrano che circa il 40% dei soggetti riportava sintomi all’arruolamento e che I sintomi di questi soggetti riconducevano ad una diagnosi di IBS nel 8% dei casi, di dispepsia funzionale nel 2% dei casi, di stipsi funzionale nel 4% dei casi, di diarrea funzionale nel 6% dei casi, di dolore addominale nel 20% dei casi. A 12 anni di follow-up, nei pazienti con IBS un terzo diventava asintomatico e due terzi rimaneva tale. Nei pazienti con diarrea o stipsi funzionale, la metà diventava asintomatico e un’altra metà rimaneva tale. Nei pazienti con dolore addominale il 20% rimaneva tale, il 42% diventava asintomatico e I restanti cambiavano categoria di disturbo funzionale. Tra I pazienti asintomatici il 36% sviluppava un disturbo funzionale. Tra I pazienti con dispepsia il 25% sviluppava IBS, il 25% dolore addominale e il 50% diventava asintomatico. Globalmente il numero di pazienti che riportava la comparsa di sintomi era maggiore di quella che riportava la scomparsa degli stessi. Infatti solo due quinti dei pazienti riferivano una completa risoluzione dei sintomi. Riguardo ai fattori di rischio individuati per I cambiamenti dei sintomi, un elevato punteggio per la somatizazzione e il sesso femminile risultavano fattori predittivi per sviluppare o cambiare sintomi nel corso del follow-up. In entrambi gli studi la valutazione della possibile influenza svolta dalla assunzione di una terapia specifica per il disturbo funzionale non è stata specificatamente considerata, anche se viene ritenuta poco probabile in considerazione della scarsa efficacia terapeutica dimostrata nei diversi studi nei disturbi funzionali in generale. Riguardo il probabile ruolo di patologie organiche che potessero spiegare I sintomi dei pazienti, questo è stato parzialmente valutato dallo studio svedese che ha riportato che il 16% dei pazienti non aveva mai eseguito una gastroscopia, mentre l’8% aveva eseguito l’esame endoscopico con riscontro di una patologia organica nel 3% dei casi. Inoltre nel 33% di 150 soggetti, selezionati random nella casistica ad un anno di follow-up, era stata riscontrata la presenza di Helicobacter Pylori e in un caso la presenza di malattia celiaca. Conclusioni Gli studi condotti sino ad oggi sulla storia naturale della dispepsia funzionale dimostrano che I pazienti affetti da questo disturbo sono una piccola percentuale di quelli affetti da disturbi funzionali. I pazienti che all’esordio si presantano con sintomi riconducibili a dispepsia funzionale nel corso degli anni diventano asin-
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GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Letture tomatici oppure sviluppano sintomi che suggeriscono un distrubo funzionale del tratto gastroenterico inferiore. I fattori che sembrano predisporre allo permanere dei sintomi di dispepsia e allo sviluppo di disturbi del tratto gastroenterico inferiore sono il sesso femminile e un elevato livello di somatizzazione. Il rischio di sviluppo di patologie organiche in questi pazienti sembra basso, ma ulteriori studi dovranno chiarire questo aspetto. Le terapie attualmente disponibili per trattare I disturbi di questi pazienti non sembrano in grado di influenzare la storia naturale della dispepsia, ma considerando l’alta percentuale di pazienti che nel corso degli anni sviluppa un associazione con altri disturbi funzionali del tratto gastroenterico, gli sforzi dei ricercatori dovrebbero essere concentrati alla ricerca di farmaci che possano trattare I meccanismi patofisiologici che sembrano accomunare questi disturbi funzionali. BIBLIOGRAFIA 1. Switz DM. What the gastroenterologist does all day. A survey of a state society’s practice. Gastroenterology 1976; 70: 1048-50. 2. Talley NJ, Zinsmeister AR, Melton LJ, III. Irritable bowel syndrome in a community: symptom subgroups, risk factors, and health care utilization. Am J Epidemiol 1995; 142: 76-83. 3. Drossman D, Corazziari E, Delvaux M, Spiller R, Talley NJ, Thompson WG et al. The functional Gastrointestinal Disorders Rome III. 3rd ed. Degnon Associates, 2006. 4. El-Serag HB, Talley NJ. Systematic review: the prevalence and clinical course of funvtional dyspepsia. Aliment Pharmacol Ther 2004; 19: 643-654. 5. Agreus L, Svardsudd K, Talley NJ, Jones MP, Tibblin G. Natural history of gastroesophageal reflux diseaseand functional abdominal disorders: a population-based study. Am J Gastroenterol 2001; 96: 2905-2914. 6. Halder SLS, Locke GR, Schleck CD, Zinsmeister AR, Talley NJ. Natural history of functional gastrointestinal disorders: a 12-year longitudinal population-based study. Gastroenterology 2007.
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li affetti da altri disturbi funzionali del tratto gastroenterico, il 50% del lavoro del gastroenterologo 2. Più di metà dei pazienti affetti da dispepsia funzionale assume una terapia farmacologica per i propri sintomi 3. La dispepsia funzionale comporta quindi un grande dispendio per le risorse economiche dei paesi occidentali. La patogenesi dei sintomi non è nota ma diversi meccanismi fisiopatologici sono stati implicati nella genesi dei sintomi. Tra questi alterazioni sensitivo-motorie del tratto gastroenterico superiore, pregresse infezioni ma anche fattori psicologici e alterazioni del cosidetto “brain-gut” axis. Oggetto della presentazione è il trattamento di pazienti con dispepsia funzionale che non abbiano risposto ad eradicazione dell’Helicobacter Pylori, ad adeguata terapia con farmaci soppressori dell’acidità gastrica o a farmaci modulatori della motilità e sensibilità gastrica. In questi pazienti le opzioni terapeutiche sono rivolte alla modulazione di quel “brain-gut axis” che regola il processamento delle sensazioni dal tratto gastroenterico fino alla corteccia cerebrale. Tra questi si riconoscono i farmaci antidepressivi, le terapie psicologiche e le terapie cosidette alternative. Il beneficio della terapia con farmaci antidepressivi nella dispepsia funzionale rimane poco documentato. Uno studio con disegno cross-over ha dimostrato che l’aminotriptilina potrebbe migliorare i sintomi di questi pazienti 4. Tuttavia mancano studi randomizzati e controllati con placebo che dimostrino l’efficacia di questi farmaci nella dispepsia funzionale. Una meta-analisi ha concluso che non vi sono sufficienti evidenze che i trattamenti cosidetti psicologici possano funzionare nei pazienti con dispepsia funzionale 5. Tuttavia l’ipnoterapia è stata dimostrata superiore alla terapia con farmaci soppressori dell’acidità gastrica e alla terapia di supporto in questi pazienti 6. Allo stesso modo la terapia psicodinamica o cognitiva hanno dimostrato un potenziale beneficio in questi pazienti 5, anche se limiti metodologici degli studi non permettono di trarre conclusioni sull’effetto reale di queste terapie nella dispepsia funzionale. Infine esistono dati che sembrerebbero dimostrare l’effetto di un fototerapico (Iberogast) nel trattamento della dispepsia funzionale 7. BIBLIOGRAFIA
IL RUOLO DEI FARMACI ANTIDEPRESSIVI, DELLE TERAPIE PSICOLOGICHE E DELLE TERAPIE ALTERNATIVE NELL A DISPEPSIA FUNZIONALE
MAURA CORSETTI, MD, PHD Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Università Vita-Salute San Raffaele IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. La dispepsia funzionale è un disturbo comune che riconosce una prevalenza variabile tra il 4% e il 25% della popolazione nei paesi occidentali 1. I pazienti con dispepsia funzionale rappresentano il 5% del lavoro del medico di medicina generale e, insieme a quel-
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1. Talley NJ, Fett SL, Zinsmeister AR, Melton LJ 3rd. Gastrointestinal tract symptoms and self-reported abuse: a population-based study. Gastroenterology 1994; 104: 1040-1049. 2. Fisher RS, Parkman HP. Management of nonulcer dyspepsia. N Engl J Med 1998; 339: 1376-1381. 3. Haycox A, Einarson T, Eggleston A. The health economic impact of upper gastrointestinal symptoms in the general population: results from the Domestic/International Gastroenterology Surveillance Study (DIGEST). Scand J Gastroenterol Suppl 1999; 231: 38-47. 4. Mertz H et al. Effect of amitriptyline on symptoms, sleep, and visceral perception in patients with fuctional dyspepsia. Am J gastroenterol 1998; 93: 160-165. 5. Soo S et al. A systematic review of psychological therapies for nonulcer dyspepsia. Am J Gastroenterol 2004; 99: 1817-1822. 6. Calvert EL et al. Long-term improvement in functional dyspepsia
GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Letture using hypnotherapy. Gastroenterology 2002; 123: 1778-1785. 7. Melzer J, Rosch W, Reichling J et al. Meta-analysis: phytotherapy of functional dyspepsia with the herbal drug preparation STW 5 (Iberogast). Aliment Pharmacol Ther 2004; 20: 1279-1287.
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TERAPIA ANTISECRETORIA GASTRICA DELL A DISPEPSIA
CUOMO R. Gastroenterologia, Dipartimento di medicina clinica e sperimentale, Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Introduzione L’approccio terapeutico della dispepsia è polimorfo dovendo considerare le differenti cause patogenetiche della dispepsia e tra queste il possibile ruolo dell’acido. Nella pratica clinica gli inibitori della pompa protonica sono largamente prescritti nella dispepsia funzionale e si rilevano spesso efficaci sui sintomi, anche se la correlazione tra l’acidità gastrica e la dispepsia funzionale ha ancora molteplici quesiti. Il miglioramento della dispepsia funzionale con farmaci antisecretori che incrementano il pH gastrico, può essere correlato ad una marcata sensibilità della mucosa gastrica e duodenale all’ambiente acido 1-3 ed una dimostrata normalità del livello basale della secrezione acida confermerebbe questa ipotesi 4. L’analisi della sola sensibilità gastrica all’acido non ha rilevato differenze significative tra i pazienti dispeptici e quelli non dispeptici mentre l’analisi del sottogruppo con dispepsia pseudoulcerosa ha evidenziato questo tipo di anomalia sensitiva 1,5. Inoltre le interazioni tra le anomalie sensitivomotorie in corso di dispepsia e l’acidità gastrica sono dimostrate anche dall’incremento della sensibilità gastrica alla distensione che è inversamente proporzionale al pH gastrico 6. La maggiore sensibilità all’acido sarebbe in relazione ad una stato di infiammazione mucosale che è stata anche ipotizzata come secondaria all’infezione da Helicobacter pylori, ma uno studio su un numero consistente di soggetti con dispepsia non ha dimostrato un ruolo di questa infezione nell’incrementare la sensibilità alla distensione gastrica 7. Inoltre nel caratterizzare la sintomatologia dispeptica bisogna considerare la frequente sovrapposizione tra la stessa dispepsia e la malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) che genera anche dubbi sulla identificazione delle due sindromi come entità definite singolarmente o espressione di una comune patogenesi 8. D’altronde, in un altro studio è stato dimostrato che pazienti con una sovrapposizione tra MRGE senza esofagite e dispepsia la severità dei sintomi dispeptici non è correlata con l’esposizione acida esofagea ed il miglioramento con terapia antisecretoria è indipendente da quello dei sintomi esofagei 9. La terapia con inibizione della secrezione acida Alla luce di queste considerazioni patogenetiche sul ruolo dell’acido nella dispepsia ed in particolare nella forma pseudoulcerativa è entrato nella pratica medica l’uso empirico degli antisecreto-
ri (inibitori di pompa protonica - IPP ed anti-H2) seguito da una successiva valutazione della risposta al trattamento. Nel caso di mancata risposta alla terapia empirico si suggerisce di praticare l’esame endoscopico mentre per i pazienti guariti sarebbe logico proseguire il trattamento. In questo caso vi è la possibilità di dover proseguire la terapia con IPP per lungo tempo facendo emergere una questione di ordine economico. Inoltre, tra le considerazione a sfavore di un trattamento non adeguatamente supportato da informazioni strumentali, vi è anche quella che gli IPP possono guarire momentaneamente un’ulcera che può recidivare alla sospensione della terapia e complicarsi. Infine esiste un rischio di un effetto “rebound” della secrezione acida appena il trattamento con IPP o anti-H2 viene interrotto e le cui conseguenze anatomopatologiche non sono del tutto conosciute 10. Per quanto riguarda la tipologia dei farmaci attivi nella dispepsia come antiacido, diversi autori hanno dimostrato una efficacia degli IPP superiore a quella degli anti-H2, degli alginati e del placebo. Tuttavia è da segnalare che in molti di questi studi esiste un “bias” di selezione della casistica dovuto ad una non corretta distinzione tra dispepsia e malattia da reflusso gastroesofageo. Se si applicano criteri di Roma II, nella selezione dei pazienti, i risultati diventano più discordanti. Uno studio cinese, metodologicamente corretto, anche in relazione al fatto che in questa popolazione la prevalenza di malattia da reflusso gastroesofageo è molto bassa ha mostrato che non ci sono differenze significative tra il lansoprazolo 15 mg, il 30 mg ed il placebo nella dispepsia funzionale senza distinzioni di sottogruppi 11. Ma quando si definiscono i sottogruppi la dispepsia pseudoulcerosa appare ricavare un reale beneficio dal trattamento con antisecretori. Infatti, in diversi studi, l’efficacia dell’omeprazolo è risultata particolarmente rilevante unicamente nella dispepsia pseudoulcerosa. In particolare quattro grossi studi in doppio cieco hanno permesso di confermare questi risultati (Bond, Opera, Encore e Pilot) 12–14. L’efficacia dell’omeprazolo somministrato per 4 settimane risultava superiore al placebo nello studio Bond ma non in quello Opera. Sommando i risultati di entrambi gli studi, risultavano asintomatici il 38.2% dei pazienti nel gruppo trattato con omeprazolo da 20 mg, il 36% dei pazienti trattato con la formulazione da 10 mg ed il 28.2% dei pazienti trattati con il placebo 12. In questi studi l’analisi dei sottogruppi della dispepsia dimostrava una efficacia dell’omeprazolo simile a quella del placebo nella dispepsia “dismotilitylike”, mentre rimaneva statisticamente significativa negli altri gruppi. Lo studio Encore ha monitorato un certo numero di pazienti che avevano fatto parte dello studio Opera durante i tre mesi successivi alla sospensione degli inibitori di pompa o del placebo, mantenendo la condizione di doppio cieco per i ricercatori. In questo studio si è dimostrato che i pazienti che avevano risposto alla terapia con IPP mostravano un minore consumo di farmaci antidispeptici, un minor numero di visite mediche ed un miglioramento della qualità di vita 14. Lo studio scandinavo Pilot ha valutato l’efficacia dell’omeprazolo a doppio dosaggio verso il placebo per 2 settimane ed ha dimostrato che il farmaco determinava una percentuale di soggetti asintomatici del 32% contro il 14% del placebo 13. Uno studio tedesco multicentrico non ha dimostrato differenze significative tra gli IPP ed il placebo nella dispepsia, ma applican-
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Letture do i criteri di efficacia degli studi Bond ed Opera si potevano evidenziare gli effetti positivi degli IPP sui sintomi dispeptici 15. In questi 4 studi condotti con l’omeprazolo si è anche valutato che la dose efficace di farmaco da somministrare è 20 mg. Questa conclusione è confortata soprattutto dalla sintomatologia (Gastrointestinal Symptom Rating Scale) che appare significativamente migliorata nei pazienti trattati con 20 mg rispetto a quelli con 10 mg, mentre non sembrano esserci differenze nella qualità di vita (Psycological General Well Being). Alla luce delle conclusioni di questi studi sembra logico stabilire che il trattamento iniziale della dispepsia possa essere caratterizzato dalla somministrazione di omeprazolo 20 mg al giorno per 4 settimane ed è chiaro che l’efficacia dell’omeprazolo viene estrapolata anche per gli altri IPP. I dati provenienti dagli studi sull’efficacia degli IPP nella dispepsia sostengono, quindi, la validità del trattamento nella dispepsia, ma la risposta al farmaco è limitata solo ad una parte dei soggetti affetti da questa patologia. D’altronde la sempre più pressante richiesta di limitare i costi di gestione della malattia cercando percorsi appropriati e con vantaggiosi rapporti di costo/efficacia ha spinto diversi ricercatori a studi in grado di predire l’efficacia della terapia con IPP con brevi trattamenti. Infatti, due recentissimi studi hanno valutato l’efficacia dell’esomeprazolo nel predire, ad 8 settimane, nella dispepsia, i veri “responders” alla terapia dopo una settimana di trattamento 16, 17. Nel primo studio è stata valutato un trattamento per 1 settimana con esomeprazolo a 40 ed 80 mg verso il placebo, mentre nell’altro studio era confrontata solo l’efficacia del dosaggio a 40 ed 80 mg. Il primo era condotto in centri di riferimento specialistico e dopo che i pazienti avevano eseguito una esofagogastroduodenosopia che escludeva segni endoscopici di malattia da reflusso, mentre il secondo era realizzato con l’aiuto dei medici di medicina generale che selezionavano pazienti solo su base sintomatologica. Entrambi gli studi stabiliscono una ridotta capacità di un trattamento di 1 settimana con esomeprazolo nel predire una risposta sintomatologica ad 8 settimane, mentre evidenziano una chiara differenza di efficacia terapeutica ad 8 settimane, concludendo quindi sulla necessità di prolungare la terapia fino a 4 o 8 settimane. Tra gli antisecretori, l’altra classe di farmaci che potrebbe presentare interesse per il trattamento della dispepsia è quella degli anti-H2. Numerosi studi sono stati condotti su questi farmaci ma la gran parte di essi ha dimostrato solo scarsi vantaggi nella dispepsia. Due metanalisi hanno dimostrato solo un modesto guadagno terapeutico rispetto al placebo 18, 19. Infine, gli altri farmaci antiacidi come gli alginati ed i sucralfati, ad oggi, non hanno nessuna prova di efficacia in questa patologia.
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DISPEPSIA FUNZIONALE: TAVOL A ROTONDA: TERAPIA
DR.SSA NADIA PALLOTTA Dipartimento di Scienze Cliniche, Università “Sapienza”, Roma La dispepsia è una sindrome eterogenea molto frequente nei Paesi Occidentali, responsabile di più di 1/4 delle visite ambulatoriali gastroenterologiche. I sintomi sono generalmente riferiti all’epigastrio, ma non sono specifici e non predicono né la presenza di lesioni della parete né di alterazioni delle funzioni esofago-gastroduodenali. In circa 2/3 dei pazienti dispeptici sottoposti ad EGDS non è rilevabile alcuna alterazione strutturale e la dispepsia è definita in tale caso funzionale (DF). Più della metà dei pazienti affetti da DF sono sottoposti nel corso della vita a trattamento farmacologico e studi a lungo termine indicano che in più dell’80% i sintomi tendono ad essere persistenti e in 1/3 dei casi sono responsabili di assenza dal lavoro o dalla scuola 1. Nel tentativo di sviluppare terapie mirate alla normalizzazione dei possibili meccanismi patofisiologici implicati nella genesi dei sintomi, i pazienti sono stati suddivisi, a scopo di ricerca, in sottogruppi sintomatologici, dapprima (Criteri di Roma I) sulla base di associazioni sintomatologiche, successivamente sulla base del sintomo prevalente (Criteri di Roma II). In base ai Criteri di Roma I e II, i pazienti sono stati dunque classificati come affetti da dispepsia simil-disfunzione motoria o simil-ulcerosa o non specifica, secondo l’associazione/predominanza di sintomi suggestivi di alterazioni motorie o della sensibilità gastroduodenale, quali la sazietà precoce, il senso di ripienezza postprandiale o la nausea, del dolore epigastrico o in assenza di associazione/predominanza di sintomi, rispettivamente. Tale approccio, pur avendo guadagnato popolarità nella pratica clinica, non si è però rivelato utile nell’identificazione di strategie terapeutiche efficaci a causa: 1. dell’ampia sovrapposizione e fluttuazione/variazione nel tempo dei sintomi dispeptici nell’ambito sia dei diversi sottogruppi che nell’ambito di altri disordini gastrointestinali molto comuni come la SII e la MRGE. 2. dell’insufficiente evidenza che ci sia un’associazione tra sintomi e possibili fattori patogenetici specifici. 3. del fatto che l’identificazione di alterazioni funzionali, quali il rallentato svuotamento gastrico/l’alterazione dell’accomodazione gastrica, l’ ipersensibilità viscerale non si è tradotta in un miglioramento della risposta sintomatologica a specifici trattamenti.
4. della buona risposta al placebo. 5. del fatto che i trials sono a breve termine a fronte di un disturbo cronico e non è noto quanto a lungo duri la remissione dei sintomi nei pazienti che rispondono. Con i Criteri di Roma III recentemente si è passati da un approccio basato sui sintomi a quello basato sui possibili meccanismi patofisiologici ed i pazienti sono stati classificati in 2 principali categorie, sindrome postprandiale e dolore epigastrico 2. Nell’attesa della validazione di tale classificazione con futuri trials clinici, a tutt’oggi le strategie terapeutiche sono state indirizzate alla correzione delle alterazioni dei vari meccanismi fisiopatologici 3 che si è presupposto contribuiscano alla genesi dei sintomi quali: 1. 2. 3. 4.
l’ipersensibilità all’acido l’infezione da HP e l’infiammazione, le alterazioni motorie gastro-duodeno-digiunali, l’ipersensibilità viscerale dovuta ad alterazioni a livello delle afferenz e periferiche, a fattori psicosociali e/o ai nutrienti.
I fattori negativamente associati ad un’efficace risposta al trattamento sono la durata dei sintomi maggiore di 2 anni, il basso livello educazionale, la presenza di vulnerabilità psicosociale, la coesistente infezione da HP, l’uso di aspirina, la storia di pregressa malattia peptica, il precedente trattamento dei sintomi da RGE, la coesistenza di SII. Analogamente a quanto avviene con i pazienti affetti da altri disturbi GI funzionali (DFGI) la risposta a qualsiasi trattamento si intenda perseguire non può prescindere dalla buona relazione medico-paziente, mirata all’educazione ed alla rassicurazione del paziente. La normalità dell’esame endoscopico determina una riduzione del 60% della richiesta di intervento medico e diminuzione o sospensione della terapia farmacologica. Il suggerimento di modificare la dieta è più aneddotico che stabilito su evidenze scientifiche e si basa sull’assunto che i pasti sopratutto quelli grassi siano associati temporalmente alla comparsa dei sintomi. Al contrario recentemente si è visto che circa il 50% dei pazienti con DF sintomatici sono asintomatici dopo un normale pasto di 1050 Kcal 4. La valutazione dell’efficacia del trattamento farmacologico della DF non può prescindere dalla considerazione della buona rispo sta al placebo che è compresa tra il 13% ed il 73% per trattamenti della durata di 2-8 settimane 5-7. Due recenti lavori indicano che la risposta al placebo è associata ad un normale BMI ma non ad altre variabili demografiche, né alla severità dei sintomi, né alla presenza di rallentato svuotamento gastrico né di alterazioni della sensibilità gastrica. Non diversamente dai farmaci attivi il placebo indurrebbe una remissione dei sintomi in sottogruppi di pazienti indipendentemente dalla normalizzazione dei meccanismi patofisiologici alterati. I fattori che sembrano influenzare la risposta al placebo sono la durata dello studio, il numero di visite ed il numero dei pazienti inclusi. La risposta al placebo si stabilizza, infatti, intorno al 40% con l’aumentare della durata del trattamento e del numero dei pazienti inclusi nello studio,. Ciò pone l’accento sull’importanza della storia naturale della malattia che influenza la risposta ai vari trattamenti. Tipicamente i pazienti presentano una fluttuazione nel tempo della severità dei sintomi e ta-
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Letture li fluttuazioni tendono a stabilizzarsi intorno ad una media. È verosimile che il paziente si rivolga al medico nel momento di maggiore severità e che per questo abbia maggiore probabilità di entrare in un trial. Conseguentemente la probabilità che la severità si riduca spontaneamente è elevata ed è indipendente dal trattamento effettuato Il ruolo della cura dell’iinfezione da HP rimane controverso. Due recenti meta-analisi indicano un modesto beneficio rispetto al placebo nei pazienti con prevalente dolore epigastrico e sintomi da reflusso GE (36% vs 30%, RRR=8%; 95% CI:3-12%; NNT=18). Anche se l’eradicazione del batterio riduce il rischio di sviluppare l’ulcera peptica (3% vs 8%) dal punto di vista clinico occorre considerare che l’infezione si sta riducendo nella maggior parte dei paesi occidentali e che la probabilità di avere un miglioramento dei sintomi con la terapia eradicante è inferiore al 50%. Al contrario nei pazienti non studiati, di età inferiore ai 55 anni, senza sintomi e/o segni di allarme se l’infezione da HP nella popolazione è >20% la strategia test-and-treat può essere vantaggiosa nell’ottica del rapporto costo-beneficio. I farmaci attivi sulla secrezione acida determinano una riduzione dei sintomi in più del 35% dei pazienti. Anche se non è stata dimostrata, nei pazienti con DF, una maggiore secrezione di acido è possibile che normali concentrazioni di acido determinino ipersensibilità viscerale attraverso l’attivazione di meccano-recettori a livello dell’esofago/stomaco/duodeno. Due recenti meta-analisi indicano un beneficio degli anti-H2 rispetto al placebo (RRR=22%; 95%CI:7-35%; NNT=8), anche se la superiorità è probabilmente dovuta alla scarsa qualità metodologica degli studi. Anche per gli IPP somministrati per 2-8 settimane è stato recentemente dimostrato un modesto seppure significativo beneficio rispetto al placebo (33% vs 23%, RRR=0,86, 95%CI:0,78-0,95%; NNT=9) nei pazienti che presentano dolore epigastrico e/o anche sintomi da reflusso. Appare, quindi, evidente che la terapia volta alla riduzione della secrezione acida risulta efficace qualora siano presenti sintomi da RGE e dolore epigastrico. Il dolore epigastrico pur essendo il sintomo cardine della definizione di dispepsia è il sintomo atipico più frequente della MRGE e talora può essere il sintomo prevalente. E’ probabile dunque che la maggior parte dei pazienti con DF che rispondono al trattamento con IPP abbiano, di fatto, una MRGE. Il dolore epigastrico è associato alla pirosi nel 69% dei pazienti con MRGE e il trattamento con IPP determina in più dell’80% dei casi regressione di entrambi. Nonostante la mancanza di correlazione tra alterazioni motorie antro-fundiche e dello svuotamento gastrico e sintomi dispeptici, numerosi sono stati i tentativi effettuati con i far maci procinetici e con i far maci attivi sulla accomodazione gastrica. Circa il 40% dei pazienti con DF presentano un rallentato svuotamento gastrico, ma la normalizzazione dello svuotamento gastrico non è associato al miglioramento dei sintomi. Questo assunto è ben illustrato dall’osservazione che l’eritromicina pur accelerando lo svuotamento gastrico provoca addirittura un peggioramento dei sintomi dispeptici. I procinetici sono farmaci appartenenti a diverse classi farmacologiche che hanno in comune la capacità di attivare la motilità gastrointestinale. Le principali classi farmacologiche impiegate sono: 1) antidopaminergici (Domperidone, Metoclopramide, Itopride), 2) 5-HT4 agonisti (Cisapride, Tegaserod, Renzapride, Mosapride), 3) Motilidi (Eritromicina, ABT-220).
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Una recente meta-analisi suggerisce che come classe i procinetici presentano un beneficio rispetto al placebo (RRR pari al 50%). La maggior parte dei trials sono stati però condotti utilizzando la cisapride e l’efficacia è verosimilmente da mettere in relazione al fatto che gli studi negativi non sono stati pubblicati. Anche se in circa il 40% dei pazienti con DF si è rilevata la presenza di un’alterazione del riflesso dell’accomodazione la relazione con i sintomi, soprattutto con la sazietà precoce, è molto dibattuta ed al momento mancano studi controllati sull’efficacia dei farmaci che agiscono rilasciando il fondo gastrico (Sumatriptan, Sildenafil). Sono stati condotti pochi trials con gli antidepressivi nei pazienti con DF. Due recenti studi dimostrano un’efficacia maggiore della desipramina rispetto al placebo nell’analisi per protocollo (73% vs 49%, NNT=4) e dell’amitriptilina. L’osservazione che il beneficio clinico non correla con cambiamenti della percezione a livello gastrico suggerisce che l’effetto analgesico degli antidepressivi è verosimilmente mediato a livello corticale. Singoli studi suggeriscono un beneficio clinico delle terapie psicologiche in combinazione con quelle farmacologiche rispetto alla sola terapia medica nei pazienti con DF, tuttavia, sono ancora insufficienti le evidenze che supportano l’uso delle terapie psicologiche nei pazienti con DF. Infine da una recente revisione della letteratura emerge che almeno 44 prodotti di erboristeria sono stati variamente impiegati nel trattamento della DF, soprattutto la menta piperita ed il cumino con beneficio rispetto al placebo (17 studi controllati, 60-95% vs 30-55%). Anche la combinazione di erbe (iberogast) e la capsaicina si sono rilevati più efficaci del placebo. In conclusione a causa della eterogenicità dei sintomi e dei meccanismi patofisiologici proposti e della loro variabilità nel tempo, al momento le terapie disponibili sono efficaci solo in sottogruppi di pazienti. La classificazione dei pazienti in base ai sintomi non si è rilevata vantaggiosa nell’individuare trattamenti specifici efficaci e i possibili vantaggi della recente classificazione in base ai Criteri di Roma III devono ancora essere confermati. La buona relazione medico-paziente basata sull’educazione e rassicurazione può essere la strategia più efficace così come la valutazione e il trattamento di eventi stressanti accaduti nel corso della vita che possono avere in tali pazienti un effetto negativo sulla percezione dello stato di benessere. BIBLIOGRAFIA 1. Talley NJ, Vakil N, and the practice parameters committee of the American College of Gastroenterology. Guidelines for the management of dyspepsia. Am J Gastroenterol 2005;100:2324-2337. 2. McNally MA, Talley NJ. Current treatments in functional dyspepsia. Current Treatment Options in Gastroenterology 2007;10:157-168. 3. Saad RJ, Chey WD. Review article: current and emerging therapies for functional dyspepsia. Aliment Pharmacol Ther 2006;24:475-492. 4. Pallotta N, Pezzotti P, Corazziari E. Relationship between antral distension and postprandial symptoms in functional dyspepsia. WJG 2006;21:6982-91. 5. Mearin F, Balboa A, Zarate N, Cucala M et al. Placebo in functional dyspepsia: symptomatic, gastrointestinal motor, and gastric sensorial responses. Am J Gastroenterol 1999;94:116-125. 6. Talley NJ, Locke GR, Lahr BD et al. Predictors of the placebo
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fiammatorio, stenosante, fistolizzante), dalla gravità di malattia (lieve, moderata, severa), dalla risposta ai trattamenti farmacologici (sensibile, dipendente, refrattaria), dalla frequenza dell’alternanza delle fasi sintomatiche e di remissione clinica, dalla necessità di ricorrere ad interventi chirurgici, e dal’eventuale sviluppo di recidiva post-operatoria (Figura 2). FIGURA 1 - Storia naturale della malattia di Crohn.
STORIA NATURALE DELL A MAL ATTIA DI CROHN
C. PAPI, A. ARATARI, B. DE PASCALIS UOC Gastroenterologia Ospedale S. Filippo Neri, Roma Si definisce storia naturale di una malattia il decorso della malattia stessa a partire dal suo esordio biologico fino alla sua risoluzione (guarigione, disabilità permanente o morte). Ovviamente questo modello di studio è difficilmente applicabile negli studi di prognosi: quasi sempre la fase preclinica di una malattia non è diagnosticabile e l’esordio della malattia coincide di solito con la diagnosi che viene posta in fase sintomatica. Secondo una definizione alternativa, la storia naturale dei una malattia è il suo decorso in assenza di trattamento specifico 1. Questo modello può essere rappresentato dal braccio placebo dei trials clinici controllati. Tuttavia anche il placebo ha un suo effetto terapeutico quantificabile. In una recente metanalisi, di trials clinici terapeutici nella malattia di Crohn, la remissione clinica cumulativa indotta dal placebo è del 18% (95%CI 14%-24%) 2. Inoltre la durata della maggior parte dei trials clinici è limitata nel tempo (18-24 mesi) e questo non consente di valutare end points clinicamente rilevanti quali il rischio di chirurgia e di recidiva, il rischio di cancro, la mortalità. Nella pratica, quello che noi definiamo storia naturale è in realtà il decorso e la prognosi della malattia dal momento in cui questa viene diagnosticata, fino alla sua risoluzione (guarigione, disabilità permanente o morte). La storia naturale della malattia di Crohn è caratterizzata da un esordio biologico in cui una serie di fattori ambientali (fumo di sigaretta, antigeni batterici ecc), in individui geneticamente predisposti, determina una alterazione del sistema immune mucosale che comporta, in una fase definibile pre-clinica, alterazioni della permeabilità intestinale, un alterato rapporto dell’intestino con la flora microbica, l’espressione di citochine pro-infiammatorie e di molecole di adesione, con conseguente attivazione non-controllata del sistema immune mucosale fino allo sviluppo delle lesioni intestinali. Questa fase pre-clinica, in cui oggi non è ancora possibile porre diagnosi di malattia, è seguita dalla fase clinica con la comparsa dei sintomi e delle alterazioni di laboratorio e strumentali che consentono la diagnosi di malattia in base a criteri ben definiti. L’esordio della malattia coincide con la diagnosi e gli studi di decorso hanno per obiettivo la valutazione di alcuni end points rilevanti quali l’attività e la remissione, il fabbisogno di steroidi e immunosoppressori, il rischio di chirurgia e recidiva, la qualità della vita, il rischio di cancro e la mortalità (Figura 1). La fase clinica della malattia di Crohn è influenzata dalla localizzazione di malattia (ileale, colica, ileo-colica), dal comportamento clinico (in-
FIGURA 2 - Decorso clinico della malattia di Crohn.
Da un punto di vista metodologico uno studio di prognosi deve avere alcuni requisiti fondamentali: deve essere uno studio di popolazione su casi incidenti per evitare il bias di selezione, devono essere adottati criteri diagnostici standard, il follow up deve iniziare al momento della diagnosi, deve essere priospettico e sufficientemente lungo per valutare determinati end points; almeno l’80% dei pazienti inclusi deve avere un follow up completo. Gli end points clinicamente rilevanti che vengono valutati negli stui-
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Letture di di decorso e prognosi sono la probabilità di attività remissione, il rischio di complicanze, la necessità di ricorrere agli steroidi, la necessità di intervento chirurgico, il rischio di recidiva post-operatoria, il rischio di cancro, la mortalità. Il decorso clinico della malattia di Crohn può essere distinto in remissione clinica stabile, malattia recidivante con attività intermittente, malattia cronicamente attiva. Comunemente l’attività di malattia è più elevata nel primo anno, quando circa l’80% dei pazienti presenta malattia in fase attiva, mentre negli anni successivi questa proporzione si riduce e circa la metà dei pazienti è in remissione clinica stabile. Tale dato è verosimilmente legato alla necessità di chirurgia che nel corso del primo anno di malattia è circa il 35%. È stato comunque calcolato che un paziente con malattia di Crohn trascorre, dal momento della diagnosi, la maggior parte del suo tempo di vita in remissione clinica indotta o farmacologicamente o chirurgicamente, e che le fasi di malattia attiva in trattamento medico o chirurgico incidono meno del 10% sugli anni attesi di vita 3. Nei primi 7 anni di malattia il 20% dei pazienti presenta una malattia cronicamente attiva, il 13% è in remissione clinica stabile ed il 67% ha un decorso recidivante. In realtà il tipo di decorso nel tempo è influenzato dal’attività di malattia nei primi 3 anni dalla diagnosi: l’attività di malattia nei primi 3 anni dalla diagnosi è infatti il più importante fattore predittivo del decorso futuro. Inoltre si può affermare che un paziente in remissione clinica da 1 anno ha l’80% di probabilità di restare in remissione clinica l’anno successivo, e che, se un paziente presenta una riacutizzazione clinica durante il primo anno di osservazione, egli ha il 70-80% di probabilità di avere una riaccensione clinica anche l’anno successivo 4. Al contrario, l’età, il sesso, la localizzazione, i sintomi alla diagnosi, il tempo intercorso tra l’esordio dei sintomi e la diagnosi, la terapia effettuata alla diagnosi (salicilati, steroidi, chirurgia) non sembrano correlare con il decorso successivo di malattia. Per quanto riguarda i fattori ambientali che influenzano il decorso clinico, il fumo di sigaretta è sicuramente il più rilevante. Esso è sia un fattore di rischio per lo sviluppo della malattia, sia un fattore prognostico negativo (maggior numero di riaccensioni cliniche, maggiore sviluppo di complicanze intestiali, minore risposta all’infliximab, maggiore necessità di immunosoppressori e di chirurgia, più frequente recidiva post-operatoria) 5. La malattia di Crohn ha un comportamento clinico che tende ad essere evolutivo nel tempo. La classificazione di Vienna per la prima volta ha definito il comportamento clinico in ordine di gravità (infiammatorio > stenosante > fistolizzante). Il comportamento clinico non è stabile ma cambia nel tempo. Alla diagnosi infatti circa l’80% dei pazienti ha una forma non-complicata di malattia, mentre dopo 10 anni di follow-up circa la metà dei pazienti presenta complicanze stenosanti e/o fistolizzanti. La probabilità cumulativa di andare incontro a complicanze fistolizzanti nel decorso della malattia supera il 50% a 12 anni 6 (Figura 3). Sono state descritte alcune alterazioni a livello di vari loci genetici associate al comportamento clinico (locus IBD1-NOD2 associato con la localizzazione ileale ed il comportamento clinico stenosante, locus IBD5 associato con la malattia perianale, locus IBD3-complesso HLA associato con la localizzazione colica e le manifestazioni extra-intestinali).
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Circa la metà dei pazienti con malattia di Crohn necessità di steroidi nel corso della malattia, la maggior parte entro il primo anno dalla diagnosi. In realtà nei centri di riferimento la percentuale di pazienti che necessità di trattamento steroideo sale fino al 6080% 7. Prima dell’introduzione degli immunosoppressori e delle terapie biologiche la necessità di steroidi era associata ad un rischio di chirurgia del 38% entro l’anno, indipendentemente dalla risposta iniziale, e anche oggi il fabbisogno di terapia steroidea si associa con un decorso clinico sfavorevole nei 5 anni successivi ed è pertanto considerato un fattore prognostico negativo 8. FIGURA 3 - Probabilità cumulativa di decorso senza complicanze fistolizzanti nella malattia di Crohn 6
La necessità di chirurgia resettiva è un evento quasi inesorabile nella malattia di Crohn. Il ricorso alla chirurgia è dovuto all’insorgenza di comnplicanze stenosanti o fistolizzanti, alla refrattarietà alla terapia medica o, più frequentemente, a una combinazione di queste indicazioni. Pur se con differenti tassi di chirurgia nei vari Paesi Europei, la probabilità di chirurgia aumenta progressivamente nel tempo (22-44% nel primo anno e 38-96% dopo 15 anni dalla diagnosi). Sebbene un recente studio danese abbia evidenziato una riduzione negli ultimi anni del numero di interventi chirurgici entro il primo anno di malattia, negli ultimi 30 anni la necessità di chirurgia non sembra essersi ridotta nonostante si sia osservato un crescente e precoce impiego degli immunosoppressori 9. Questo maggior ricorso alla terapia conservativa, pur non modificando il tasso cumulativo di chirurgia, ha in parte modificato il timing chirurgico. Dagli anni 70 ad oggi, infatti, si è osservata una riduzione degli interventi in urgenza/emergenza ed un aumento degli interventi in regime di elezione. Tale dato dovuto ad un prolungato trattamento conservativo è però risultato associato ad un parallelo aumento di complicanze gravi prima dell’intervento (perforazione, occlusione, peritonite) 10. Il corretto “timing” dell’intervento chirurgico resta quindi un argomento ancora molto dibattuto. In un nostro recente studio (dati non pubblicati) il “timing” della chirurgia (precoce o tardiva) non sembra influenzare nel lungo termine il decorso della malattia in termini di necessità di reintervento. Tuttavia, almeno nella malattia ilea-
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Letture le, la chirurgia recettiva precoce (al momento della diagnosi o comunque entro i 6 mesi dalla diagnosi) sembra prolungare la remissione clinica postchirurgica. La chirurgia non è comunque curativa, ma è seguita da un alto rischio di recidiva post-operatoria. Un anno dopo l’intervento, infatti, circa il 70% dei pazienti presenta nuove lesioni nell’ileo preanastomotico (recidiva endoscopica), dopo 5 anni il 20-60% dei pazienti sviluppa nuovamente sintomi (recidiva clinica) ed il 1550% necessita di ulteriore chirurgia per lo sviluppo di complicanze intestinali o di malattia refrattaria alla terapia medica (recidiva chirurgica) 11. L’astensione dal fumo è probabilmente l’intervento terapeutico più efficace per la prevenzione della recidiva. Per quanto riguarda il rischio di cancro, a differenza di quanto si riteneva in passato, anche la malattia di Crohn, come la colite ulcerosa, si associa ad un aumento del rischio di cancro del colonretto di 1,9 volte, e anche ad un maggior rischio di sviluppo di neoplasie del piccolo intestino (RR=27) e di linfomi tipo Hodgkin (RR=4), anche se queste ultime sono comunque evenienze rare 12,13. La malattia di Crohn ha un decorso prevalentemente favorevole, ma è comunque gravata da un piccolo ma significativo aumentato rischio di mortalità (SRM 1,5) che è strettamente legato alla malattia il cui decorso non si è sostanzialmente modificato negli ultimi 40 anni 14. CONCLUSIONI Il decorso della malattia di Crohn è favorevole nella maggior parte dei pazienti. Può essere influenzato da fattori genetici e da fattori esogeni fra cui il più rilevante appare il fumo. L’astensione dal fumo è forse la misura più efficace per ridurre il rischio di riaccensione e di recidiva postoperatoria. Circa il 60% dei pazienti con malattia di Crohn necessita di un intervento chirurgico entro 10 anni dalla diagnosi. Il rischio di cancro colorettale è simile a quello osservato nella colite ulcerosa. La malattia di crohn si associa a un piccolo ma significativo incremento di mortalità rispetto a quella attesa. BIBLIOGRAFIA 1. Moum B. Medical treatment: does it influence the natural course of inflammatory bowel disease? Eur J Intern Med. 2000;11(4):197-203. 2. Su C, Lichtenstein GR, Krok K, Brensinger CM, Lewis JD.A metaanalysis of the placebo rates of remission and response in clinical trials of active Crohn's disease. Gastroenterology. 2004;126(5):1257-69. 3. Silverstein MD, Loftus EV, Sandborn WJ, et al. Clinical course and costs of care for Crohn's disease: Markov model analysis of a population-based cohort. Gastroenterology 1999;117(1):49-57. 4. Munkholm P, Langholz E, Davidsen M, Binder V. Disease activity courses in a regional cohort of Crohn’s disease patients. Scand J Gastroenterol 1995;30:699–706. 5. Cottone M, Roselli M, Orlando A, et al. Smoking habits and recurrence in Crohn’s disease. Gastroenterology 1994;106:643-48. 6. Papi C, Festa V, Fagnani C, Stazi A, Antonelli G, Moretti A, Koch M, Capurso L. Evolution of clinical behaviour in Crohn's disease: predictive factors of penetrating complications. Digest Liver Dis 2005 ;37(4):247-53.
7. Veloso FT, Ferreira JT, Barros L, Almeida S. Clinical outcome of Crohn's disease: analysis according to the Vienna classification and clinical activity Inflamm Bowel Dis 2001;7(4):306-13. 8. Beaugerie L, Seksik P, Nion-Larmurier I, Gendre JP, Cosnes J. Predictors of Crohn's disease. Gastroenterology. 2006;130(3):650-6. 9. Cosnes J, Cattan S, Blain A, Beaugerie L, Carbonnel F, Park R, et al. Long-term evolution of disease behaviour of Crohn’s disease. Inflamm Bowel Dis 2002;8:244–50. 10. Siassi M, Weiger A, Hohenberger W, Kessler H. Change in surgical therapy for Crohn’s disease over 33 years: a prospective longitudinal study. Int J Colorectal Dis 2007;22(3):319-24 11. Rutgeerts P, Geboes K, Vantrappen G, Kerremans R, Coenegrachts JL, Coremans G. Natural history of recurrent Crohn's disease at the ileocolonic anastomosis after curative surgery. Gut 1984;25(6):665-72. 12. Jess T, Gamborg M, Matzen P, Munkholm P, Sorensen TI. Increased risk of intestinal cancer in Crohn's disease: a meta-analysis of population-based cohort studies. Am J Gastroenterol. 2005;100(12): 2724-9. 13. Bebb JR, Logan RP. Review article: does the use of immunosuppressive therapy in inflammatory bowel disease increase the risk of developing lymphoma? Aliment Pharmacol Ther. 2001;15(12):1843-9 14. Canavan C, Abrams KR, Mayberry JF. Meta-analysis: mortality in Crohn's disease. Aliment Pharmacol Ther. 2007;25(8):861-70.
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MAL ATTIA DI CROHN: EVOLUZIONE DELLE LESIONI DEL TENUE
PALLOTTA N, ABDULKAIR HASSAN N, GUAGNOZZI D, VINCOLI G, CORAZZIARI E Dipartimento di Scienze Cliniche, Università “Sapienza”, Roma La malattia di Crohn (MC) è una malattia infiammatoria cronica intestinale ad eziopatogenesi multifattoriale, che può interessare qualsiasi tratto dell’apparato gastrointestinale (GI). L’interessamento a tutto spessore della parete e la variabilità della localizzazione delle lesioni danno luogo ad un ampio spettro di manifestazioni cliniche ciascuna delle quali può richiedere un diverso approccio diagnostico e terapeutico. L’andamento clinico della MC, diverso tra i vari pazienti per decorso e localizzazione, è caratterizzato da remissioni e riaccensioni con elevata tendenza alla recidiva dopo resezione chirurgica del tratto interessato. In base alla manifestazione clinica al momento della diagnosi 1 i pazienti con MC sono stati divisi in tre diverse categorie: 1) pazienti con malattia penetrante/fistolizzante caratterizzata dalla presenza di fistole (B3); 2) pazienti con malattia fibrostensosante caratterizzata da un andamento fibrotico-cicatrizzante (B2); pazienti che non rientrano nelle precedenti categorie con malattia non-stenosante/non-fistolizzante (B1). Queste distinzioni non sono però sempre nette ed il comportamento della malattia può cambiare nel tempo, soprattutto per la categoria non-stenosante/non-fistolizzante indicando che l’evoluzione del tipo di lesione non è uniforme né prevedibile.
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Letture La conoscenza della storia naturale della malattia e dell’evoluzione delle lesioni sono influenzate: 1. dalla diagnosi spesso tardiva rispetto al tempo di insorgenza dei sintomi (in media 7,7 anni). 2. dalla mancanza di una relazione univoca tra presenza ed entità delle lesioni anatomiche e sintomi. 3. dai trattamenti medici, chirurgici ed endoscopici e dallo sviluppo ed utilizzo negli ultimi anni delle terapie biologiche. Inoltre benché sia clinicamente noto che le lesioni intestinali possono variare nel tempo per sede, estensione e tipo, a causa della mancanza in passato di tecniche diagnostiche non invasive, poco costose e largamente accessibili, a tutt’oggi non è nota la loro evoluzione per quanto riguarda: 1. la progressione dell’estensione di ciascuna lesione intestinale. 1. il progressivo coinvolgimento di diverse sedi e tratti intestinali. 2. lo sviluppo delle complicanze quali stenosi e fistole entero-enteriche che sono spesso clinicamente asintomatiche. Pertanto la valutazione dell’evoluzione della malattia si è basata sulla determinazione, in larga parte retrospettiva, dei sintomi piuttosto che sull’evoluzione delle lesioni intestinali 2-5. In circa il 60% dei pazienti con MC è necessario l’intervento chirurgico 6 ed in mancanza di modelli animali, i pazienti sottoposti a resezione del tratto intestinale malato rappresentano un modello di studio, seppure non perfetto, dell’evoluzione della malattia. Gli studi finora effettuati sono tuttavia eterogenei a causa della variabile definizione di recidiva, endoscopica, istologica o clinica 7. Quando la definizione di recidiva si basa sull’endoscopia il 73% dei pazienti presenta lesioni della mucosa ad 1 anno dell’intervento e l’85% a 3 anni ma soltanto il 20% ed il 34% rispettivamente, ha sintomi. A parte dunque l’osservazione che la presenza delle lesioni della mucosa non è associata alla recidiva dei sintomi, è da sottolineare che l’esame endoscopico è limitato alla valutazione della sola superficie mucosa, dei tratti prossimali (stomaco e duodeno) e distali (colon ed ileo terminale) gastrointestinali a fronte di una malattia che è transmurale e che può interessare variamente tutto il tratto GI. L’ecografia intestinale dopo assunzione di contrasto orale (SICUS), confrontata alla radiologia convenzionale ed alla chirurgia, si è dimostrato avere un’accuratezza diagnostica paragonabile alla chirurgia nella valutazione dell’estensione delle lesioni intestinali, del numero delle sedi coinvolte, del diametro endoluminale intestinale e di conseguenza della valutazione della presenza e del numero delle stenosi 8-10. I risultati preliminari dello studio longitudinale (48±24 mesi) nel corso del quale ad intervalli regolari ed indipendentemente dalla presenza delle riaccensioni cliniche della malattia e della comparsa di complicanze, 94 pazienti sono stati sottoposti ad esame SICUS e a controlli clinici e di laboratorio ed endoscopici indicano che: 1. in circa il 50% dei pazienti la lesione localizzata all’ileo terminale o pre-anastomotico rimane stabile o si riduce in risposta alla terapia con infliximab e/o immunosoppressori, mentre per quella localizzata nel tratto superiore l’estensione aumenta in circa il 70% a parità di durata della malattia e trattamenti farmacologici. 2. all’inclusione nello studio il 60% dei pazienti presenta 1 o più stenosi ed il 30% era stato già in precedenza sottoposto ad in-
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tervento chirurgico per la presenza delle complicanze. Nei pazienti con stenosi l’estensione della malattia è maggiore rispetto a quelli senza. 3. 13/30 pazienti che non avevano stenosi all’inclusione sviluppano 1 o più stenosi e la comparsa delle stenosi è associata alla progressione dell’estensione della malattia 4. dei 31 pazienti sottoposti ad intervento chirurgico durante lo studio il 50% circa presenta entro 18±15 mesi dall’intervento recidiva e durante il successivo follow-up medio di circa 4 anni l’analisi della variazione dell’estensione della recidiva nel tempo ha mostrato tranne che per 1 paziente in terapia cronica con infliximab, che la lesione tende ad aumentare nel tempo. In conclusione fino ad oggi gli studi effettuati allo scopo di valutare l’andamento della MC si sono basati essenzialmente sui sintomi o sulla comparsa delle lesioni endoscopiche nei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico. L’impiego di metodiche diagnostiche non invasive consente oggi di descrivere l’evoluzione delle lesioni della MC e i risultati del primo studio longitudinale su un numero sufficientemente cospicuo di pazienti indicano che le lesioni del tratto intestinale superiore tendono ad estendersi maggiormente delle lesioni localizzate a livello dell’ileo terminale, che nel 50% dei pazienti le lesioni tendono a rimanere stabili limitatamente al periodo di follow-up, che la presenza delle stenosi si associa ad una maggiore estensione e progressione della lesione intestinale e che il 50% dei pazienti operati presenta entro 1 anno e mezzo recidiva. BIBLIOGRAFIA 1. Gasche C, Scholmerich J, Brynskov J et al. A simple classification of Crohn’s disease: report of the working party for the world congress of gastroenterology, Vienna 1998. Inflammatory Bowel Disease 2000;6:8-15. 2. Munkholm P. Crohn’s disease occurrence, course and prognosis. An epidemiologic cohort study. Dan Med Bull 1997;44:287. 3. Loftus EV, JR. The epidemiology and natural history of Crohn’s disease in population-based patient cohorts from North America: a systematic review. Aliment Pharmacol Ther 2002; 16: 51-60. 4. Freeman H J. MD. Natural history and clinical behaviour of Crohn’s disease extending beyond two decades. J Clin Gastroenterol 2003; 37 (3): 216-219. 5. Hurst RD, Molinari M, Chung TP et al. Prospective study of the features, indications, and surgical treatment in 513 consecutive patients affected by Crohn’s disease. Surgery 1997;122:661. 6. Whelan G, Farmer RG, Fazio VW et al. Recurrence after surgery in Crohn’s disease. Relationship to location of disease and surgical indication. Gastroenterology 1985;88.1826-33. 7. Penner RM, Madsen KL, Fedorack RN. Postoperative Crohn’s Disease. Inflamm Bowel Dis 2005;8:765-777. 8. Pallotta N, Baccini F, Corazzieri E. ultrasonography of the small bower.after oral administration of anechoin contrast solution. Lancet 1999;353 (9157);985-986. 9. Pallotta N, Tomei E, Viscido A, et al. Small Intestine Contrast Ultrasonography an Alternative to Radiology in the assessment of Small Bowel Diease. Inflamm Bowel Dis 2005,11:146-153).
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Letture 10. Calabrese E, La seta F, Buccellato A, et al. Crohn’s Disease: A comparative study of Transabdominal Ultrasonography, Small intestine Contrast Ultrasonography, and Small Bowel Enema. Inflamm Bowel Dis 2005; 11:139-145.
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RUOLO DEGLI IMMUNOMODUL ATORI CONVENZIONALI NEL TRATTAMENTO DELLE MAL ATIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI
ARDIZZONE SANDRO Cattedra e Divisione di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva Ospedale “L. Sacco”, Azienda Ospedaliera - Polo Universitario Università degli Studi di Milano - Milano INTRODUZIONE Il ruolo degli immunosoppressori convenzionali (azatioprina (AZA) o 6-mercaptopurina (6-MP), methotrexate (MTX) e cyclosporina A (CyA) nel trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI): è noto da molti anni. Cio’ che oggi è importante conoscere è se questi farmaci possono essere utilizzati nelle prime fasi della malattia infiammatoria cronica intestinale. Prima di rispondere a questo importante quesito, in un’epoca caratterizzata da novità terapeutiche importanti per le MICI, quali quelle rappresentate dall’impiego delle cosiddette terapie biologiche, è di fondamentale importanza rispondere ad altri quesiti preliminari: 1. quali pazienti sono candidati a terapie mediche più aggressive delle più comunemente utilizzate [(steroidi, salazopirina (SASP), acido 5-aminosalicilico (5-ASA)]? 2. sono gli ummunosoppressori convenzionali efficaci nel trattamento delle MICI? 3. in quali precise situazioni cliniche trovano gli immunosoppressori tradizionali specifica indicazione? La conoscenza della storia naturale delle MICI, dei risultati dei trials clinIci controllati e delle linee guida, stilate dalle Società di Gastroenterologia, ci permetterà di dare risposta ai suddetti quesiti. QUALI PAZIENTI SONO CANDIDATI A TERAPIE MEDICHE PIÙ AGGRESSIVE DELLE PIÙ COMUNEMENTE UTILIZZ ATE? Tutti gli studi di storia naturale delle MICI disponibili mostrano come la maggior parte dei pazienti portatori di MICI è affetta da forme ad andamento cronico-intermittente, caratterizzate da fasi di attività alternate a fasi di quiescenza della malattia. In particolare, in uno studio di coorte danese, nel quale oltre 200 pazienti portatori di malattia di Crohn (MC) sono stati seguiti per oltre 25 anni dal momento della prima diagnosi, è stato osservato che in circa il 55% dei pazienti, la malattia rimane in remissione clinica. Del rimanente 45%, il 30% circa dei pazienti soffre di una malattia attiva ed il 15% circa una forma solo lievemente attiva (Figura 1). Analogamente, nella colite ulcerosa (CU), in studio di coorte sempre danese, nel quale oltre 1000 pazienti affetti da CU sono stati seguiti per un peri0o di 25 anni dal momento della prima diagnosi, è stato osservato ch il 65% dei pazienti resta in remissione, il 20% circa soffre di una forma cronico-intermitente e che il 10%-15% circa dei pazienti presenta una malattia cro-
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Letture nicamente attiva 2 (Figura 2).
.FIGURA 3 - Probabilità cumulativa di chirurgia nella MC 3.
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FIGURA 1 - Decoroso clinico di una coorte di oltre 200 pazienti affetti da MC seguiti 25 anni dal momento della prima diagnosi 1.
FIGURA 2 - Decoroso clinico di una coorte di 1161 pazienti affetti da CU seguiti per 25 anni dal momento della prima diagnosi 2.
Come è possibile dedurre da questi studi, la gran parte dei pazienti, fino ad oltre il 65% dei pazienti, puo’ essere trattata con farmaci anti-infiammatori (SASP, 5-ASA orale e topico, e steroidi orali), una percentuale nettamente inferiore necessita di terapia steroidea sistemica, mentre una proporzione attorno al 10%-20% dei pazienti deve essere trattata non solo con steroidi sistemici, ma anche con imunosoppressori convenzionali (AZA/6-MP, MTX, CyA) e terapie biologiche (infliximab). Dunque, solo una piccola quota di pazienti affetti da MICI ha bisogno di un terapia medica piu’ aggressiva. Un altro particolare aspetto da considerare nella scelta degli immunosoppressori convenzionali, come farmaci di prima scelta nel trattamento delle MICI, è costituito dall’elevato tasso di chirurgia nei pazienti affetti da MC. Come è noto, i pazienti affetti da MC sono a rischio di complicanze intestinali (stenosi, fistole e/o ascessi) suscettibili di terapia chirurgica. Cosi’, molti dei pazienti vanno incontro ad uno o piu’ di un intervento chirurgico e, come è possibile dedurre dalla Figura 3, la probabilità cumulativa di chirurgia nella MC può raggiungere l’80% dopo 20 anni di malattia
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Va, infine, tenuto presente di primo l’outcome della terapia steroidea sistemica nei pazienti affetti da MICI, come ulteriore elemento di valutazione per la scelta degli imunosoppresori convenzionale come farmaci di primo impiego. In uno studio di coorte Americano 4, coinvolgente 173 pazienti affetti da MC e 185 con CU, è stato valutato l’outcome ad un mese e ad un anno di un sottogruppo di pazienti (74 con MC e 63 con CU) trattati per la prima volta con un ciclo di terapia steroidea sistemica. La figura 4 mette in evidenza che ad un mese dall’inizio della terapia steroidea, il 58% e il 54% dei pazienti affetti, rispettivamente da MC e CU, ottiene remissione clinica completa della malattia, il 26% e il 30% una risposta parziale, mentre nessuna risposta terapeutica è stata ottenuta nel 16% dei pazienti affetti sia da MC e CU. Molto interessanti questi dati quando valutati ad un anno (Figura 5). Si osserva, così, che dopo il primo ciclo di terapia steroidea sistemica, una prolungata risposta è apprezzabile solo nel 32% e nel 49% dei pazienti affetti rispettivamente con MC e CU, mentre il 28% dei pazienti con MC e il 22% di quelli affetti da CU sviluppano un profilo di malattia cortico-dipendente. Si è osservato, inoltre, che il tasso di chirurgia ad un anno, si correla con quello di risposta clinica, raggiungendo il 90%-92% in entrambi i gruppi di pazienti che non avevano ottenuto remissione clinica ad un mese dall’inizio della terapia steroidea sistemica (Tabella 1). FIGURA 4 - Outcome ad un mese della terapia steroidea sistemica in pazienti affetti da MC e CU 4.
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Letture FIGURA 5 - Outcome ad un anno della terapia steroidea sistemica in pazienti affetti da MC e CU 4.
TABELLA 1 - Tasso di chirurgia ad un anno nei due gruppi di pazienti, stratificato per tipo di risposta clinica ad un mese dall’inizio del trattamento con steroidi sistemici 4.
Riassumendo, risulta chiaro dai dati sopra esposti che esistono pazienti con MICI che, portatori di una forma cronicamente attiva (steroido-dipendenti e steroido-resistenti) o, come nel caso dei pazienti affetti da MC, sono esposti ad un elevato rischio di uno o piu’ interventi chirurgici nel corso della loro storia clinica, possono necessitare di una terapia medica diversa da quella piu’ comunemente impiegata (salicilati) e più aggressiva, nei quali è ipotizzabile, già al momento della diagnosi, l’impiego di farmaci ad attività immunosoppressiva. SONO GLI UMMUNOSOPPRESSORI CONVENZIONALI EFFICACI NEL TRATTAMENTO DELLE MICI? AZ ATIOPRINA/6-MERCAPTOPURINA Il primo studio che ha documentato il modo convincente l’efficacia degli analoghi delle tiopurine nel trattamento della MC è stato pubblicato nel 1980 5. In questo studio controllato verso placebo, in cui i pazienti sono stati trattati con 6-MP per via orale alla dose di 1.5mg/kg/die per un anno, si è osservata una risposta clinica nel 67% dei pazienti trattati con il farmaco attivo verso l’8% dei pazienti in terapia con placebo. La 6-MP è risultata superiore
al placebo sia nell’indurre remissione clinica della malattia, che nel favorire la chiusura delle fistole e la riduzione del fabbisogno di corticosteroidi. Il tempo medio di risposta al trattamento è stato di .1 mesi nell’81% dei pazienti trattati ha risposto in 4 mesi. I risultati di questo studio sono stati confermati da successivi trias clinici ed, in particolare, da 2 metanalisi degli studi in doppio-cieco, controllati verso placebo 6-8, nelle quali è stato riscontrato un Odds Ratio (OR) di 3.09 (CI95% 2.45-3.91) a favore dell’AZA nel trattamento dei pazienti con MC attiva. Per quanto concerne l’efficacia dell’AZA nel mantenimento della remissione clinica, queste meta-analisi evidenziano un vantaggio nell’uso di tale farmaco, con una percentuale di risposta del 67% rispetto al 53% ottenuto con placebo (OR 2.27, CI95% 1.76-2.93). L’efficacia terapeutica, unitamente all’effetto risparmio del consumo di steroide, della 6-MP è stata valutata in uno studio randomizzato, controllato verso placebo della durata di 18 mesi, in bambini con prima diagnosi di MC, in fase di attività moderata o severa. La contemporanea somministrazione di 6-MP e prednisone ha permesso di ottenere un tasso di remissione ed una riduzione del consumo di steroide significativamente più elevati che nel gruppo placebo 9. La 6-MP e l’AZA sono state valutate nella profilassi della recidiva post-operatoria. Nel 2004 sono stati pubblicati 2 importanti studi, di cui uno proveniente dal nostro Istituto, nei quali l’efficacia della 6-MP e dell’AZA sono stati confrontati con il 5-ASA e il placebo nel prevenire la recidiva endoscopica, radiologica, clinica e chirurgica in pazienti affetti da MC, sottoposti ad uno o piuù interventi chirurgici. Nel primo, 131 pazienti operati per MC sono stati trattati, in condizioni di doppia cecità, con 6-MP 50 mg/die, 5-ASA (Pentasa) 3g/die o per 2 anni 10. Mentre la 6MP si è dimostrata significativamente più efficace del placebo nel prevenire gli episodi di recidiva clinica, radiologica ed endoscopica, nessuna differenza statisticamente significativa è emersa tra 6-MP e5-ASA nella prevenzione della recidiva clinica. Tuttavia, la 6-MP è risultata superiore al 5-ASA nel prevenire la recidiva endoscopica. Và osservato che in questo studio è stata impiegata una dose piuttosto bassa di 6-MP, che è stato applicato un indice arbitrario e non valicato di valutazione dell’attività clinica, con riflessi negativi sulla definizione di remissione/recidiva clinica, che un’elevata percentuale di pazienti non ha concluso lo studio e che, infine, curiosamente e contrariamente a quanto riportato dagli studi finora pubblicati, è stata osservata un tasso di recidiva clinica significativamente più elevato di quella endoscopica. Nel nostro studio, effettuato in aperto e coinvolgente 143 pazienti affetti da MC sottoposti a chirurgia conservativa (stritturoplastica e/o resezione intestinale di minima), l’efficacia dell’AZA, alla dose di 2mg/kg/die, è stata confrontata con quella del Pentasa, alla dose di 3g/die, nel prevenire la recidiva clinica e chirurgica in un periodo di osservazione di 2 anni 11. Al termine del previsto periodo di trattamento, nessuna differenza statisticamente significativa è emersa tra i 2 trattamenti nel prevenire gli episodici recidiva clinica e chirurgica. Tuttavia, dopo aver stratificato i pazienti in base al numero di interventi chirurgici, è emerso che l’AZA è significativamente più efficace del Pentasi nel prevenire la recidiva clinica e, sebbene in maniera non statisticamente significativa per l’esiguità del campione, anche la recidiva chirurgica (Tabella 2). TABELLA 2 - Tasso di recidiva clinica e chirurgica in pazienti affet-
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Letture ti da MC, trattati con AZA 2 mg/kg/die o Pentasa 3 g/die, stratificati in base alla presenza di precedenti interventi chirurgici (SI) o meno (NO) 11.
qualora sia stato necessario ricorrere ad un ulteriore ciclo di terapia steroidea, oltre a quello iniziale, per la persistenza dei sintomi clinici e dell’attività endoscopica, o alla colectomia. Come outcome secondario sono state considerate le modificazioni del indice di Powell-Tuck e di Baron, a 3 e 6 mesi. Al termine dello studio, una quota significativamente più elevata di pazienti trattati con AZA ha ottenuto successo terapeutico, rispetto a quelli trattati con 5-ASA (Tabella 3). In 4 pazienti in AZA e 3 del gruppo 5-ASA si è resa necessaria la colectomia. TABELLA 3 - Outcome dei pazienti cob CU steroide-dipendnte, trattati con AZA 0 5-ASA 25.
Contrariamente a quanto osservato nella malattia di Crohn, il ruolo degli analoghi dell’AZA/6-MP nella terapia della CU è controverso. Esistono 7 studi clinici controllati, nei quali pazienti affetti da CU attiva, steroide-dipendente o in remissione, sono stati trattati con AZA a dosi variabili da 1.5 a 2.5 mg/Kg/die e per periodi di 1-12 mesi 12-18. In generale, dai risultati forniti da questi studi è possibile concludere che nella CU, l’AZA è efficace nel ridurre il fabbisogno di steroide e nel mantenere la remissione, mentre meno definito è il suo ruolo nell’indurre remissione nei pazienti con malattia cronicamente attiva, refrattaria alla terapia steroidea sistemica. Se gli studi controllati sopra riportati giungono a conclusioni non del tutto definitive circa l’esatto ruolo terapeutico dell’AZA/6-MP nel trattamento della CU, esistono studi retrospettivi non controllati che al contrario dimostrano come la terapia con AZA/6-MP sia efficace nell’indurre e nel mantenere la remissione nei pazienti con CU steroide-dipendente, e steroide-resistente, nel ridurre il fabbisogno di steroidi e nell’evitare la colectomia 19-24. Recentemente, è stato pubblicato uno studio controllato 25, effettuato nel nostro Istituto, nel quale 72 pazienti affetti da CU steroide-dipendente attiva, sono stati randomizzati a ricevere, in condizioni di singola cecità, AZA (2 mg/kg/die) o 5-ASA (3.2 g/die) per un periodo di 6 mesi. Tutti i pazienti, inoltre, al momento dell’arruolamento sono stati trattati con una dose standard di mprednisolone (40 mg/die, a scalare fino alla sospensione), per un periodo di 3 mesi. I pazienti sono valutati clinicamente, in condizioni basali e ogni mesi, mentre la valutazione endoscopica è stata effettuata sia all’inizio dello studio che dopo 3 e 6 mesi. L’attività clinica è stata valutata mediante l’indice di Powell-Tuck 26 modificato, mentre quella endoscopica con lo score di Baron 27. L’outcome primario dello studio è stato espresso come successo terapeutico, inteso come induzione della remissione clinica ed endoscopica e sospensione dello steroide, o come fallimento terapeutico,
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Per quanto riguarda, invece, l’andamento dell’indice di PowellTuck e di Baron, occorre sottolineare alcuni aspetti. Relativamente all’indice di attività clinica, nessun differenza statisticamente significativa è emersa tra i due trattamenti, dopo 3 e 6 mesi di terapia. Tuttavia, va osservato che mentre i pazienti trattati con AZA, concluso il primo ciclo di terapia steroidea, mantengono la remissione clinica continuando ad assumere solo AZA, senza quindi ricorrere ad un ulteriore ciclo di trattamento steroideo, i pazienti del gruppo 5-ASA, per mantenere lo stato di remissione, necessitano ancora di terapia steroidea oltre a quella iniziale (Figura. 6). FIGURA 6 - Modificazioni dell’indice di Powell-Tuck 26.
Al contrario, per quanto riguarda l’indice di Baron, una differen-
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Letture za statisticamente significativa è emersa, tra i due gruppi di trattamento, sia dopo 3 che 6 mesi di terapia, suggerendo che i pazienti trattati con AZA, diversamente a quanto osservato nel gruppo 5-ASA, sono in grado di ottenere la remissione clinica e di sospendere lo steroide, grazie alla capacità dell’AZA di indurre remissione non solo clinica, ma anche endoscopica (Figura 7). FIGURA 7 - Modificazioni dell’indice di Baron 27.
I risultati di questo studio dimostrano che l’AZA è in grado di indurre remissione clinica ed endoscopica, e di sospendere il cortisone nei pazienti affetti da CU cortico-dipendente. METHOTREXATE In letteratura sono stati pubblicati diversi studi che hanno analizzato l’efficacia del MTX, a breve e lungo termine, nel trattamento della MC refrattaria. Dai dati della letteratura emerge che il MTX favorisce sia l’induzione della remisione clinica che il mantenimento della stessa. In particolare, in uno studio Nord Americano 28 141 pazieti afetti da MC cortico-dipendente e coreico-resistente sono stati trattati con MTX 25 mg alla settimana, per 16 settimane. Il farmaco è stato somministrato per via intramuscolare. Al termine del previsto perido di trattamento, la proporzione di pazienti che ha conseguito e mantenuto la remissione clinica pur sospendendo lo steroide è stata significativamente superiore nel gruppo trattato con il farmaco attivo (39% verso 19%). Coerente con tale risulato è stato il riscontro di valori di CDAI ed indici infiammatori significativamente inferiori, per tutta la durata dello studio, nei pazienti in terapia con MTX. Lo stesso gruppo ha successivamente effettuato uno studio volto a valutare l’efficacia del MTX nel mantenere la remissione in quei pazienti (n.o 73) che l’avevano ottenuta sempre MTX 29. Il farmaco è stato somministrato sempre via intramuscolare, ma alla dose di 15 mg alla settimana. Dopo 40 settimane, il 65% dei pazienti in trattamento con il farmaco attivo era in remissione clinica verso il 39% ei pazienti trattati ocn placebo (p=0.04), con una riduzione del rischio di recidiva del 26.1%. Il fabbisogno di corticosteroidi nei pazienti che hanno presentato una riacutizzazione sintomatica della malattia è risultato significativamente inferiore nel gruppo in MTX (28% verso 58%, p=0.01). Nessuna differenza è stata dimostrata tra AZA e MTX nell’unico studio disponibile su pazienti affetti da
MC cronicamente attiva 30. Sono pochi gli studi nei quali è stata valutata l’efficacia del metotrexate nel trattamento della CU refrattaria. Mentre nell’unico studio controllato, doppio-cieco 31, nessuna differenza statisticamente significativa è emersa tra MTX (somministrato per via orale, alla dose di 15 mg alla settimana, per 9 mesi), due altri studi in aperto 34-35, hanno suggerito che il MTX puo’ svolgere un ruolo nei pazienti affetti da CU refrattaria, intolleranti all’AZA o nei quali quest’ultima si sia rivelata inefficace 32-33. Sono, quindi, necessari ulteriori studi al fine di meglio definire l’esatta collocazione del MTX nel trattamento della CU. CYCLOSPORINA Del tutto inefficace nella MC 34-35, la CyA si è dimostrata efficace come “rescue therapy” nel trattamento della CU severa. Nell’unico piccolo trial controllato verso placebo, la CyA, somministrata alla dose di 4 mg/kg/die in vena, è risultata significativamente piu’ efficace del placebo nel ridurre il tasso di colectomia in pazienti affetti da CU severa e che non avevano risposto al trattamento convezionale steroideo (“schema di Oxford”) 36 (Figura 8). Successivamente, questi risultati sono stati riprodotti presso altri centri, nei quali sono state adottate formulazioni orali di CyA 37 o dove il farmaco è stato direttamente confrontato con i corticosteroidi 38. Infine, in uno studio controllato 39, il dosaggio di 2 mg/kg/die di CyA è risultato altrettanto efficace della dose iniziale di 4 mg/Kg/die, associandosi ad un minore tasso di effetti collaterali 39. Tuttavia, è stato anche osservato che una volta ottenuta la remissione, molti dei pazienti vanno comunque incontro ad un elevato tasso di recidiva, già nel corso del primo anno (67%), e a colectomia negli messi successivi al trattamento acuto 40-41. FIGURA 8 - Efficacia della CyA i.v, come “rescue therapy”, nel trattamento della CU severa refrattaria 36.
IN QUALI PRECISE SITUAZIONI CLINICHE TROVANO GLI IMMUNOSOPPRESSORI TRADIZIONALI SPECIFI CA INDICAZIONE? La risposta quest’ultima domanda è fornita dalle linee guida for-
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Letture mulate dalle Società di gastroenterologia piu’ accreditate. Esse si fondano su vari livelli di evidenza supportati dai risultati dai trias clinici controllati 42-44. Azatiorpina/6-mercaptopurina Poiché il trattamento a lungo termine con corticosteroidi è controindicato dallo sviluppo di eventi avversi anche severi, l’AZA, alla dose variabile di 2-3 mg/kg/die o la 6-MP, alla dose di 1.5 mg/kg/die, sono armaci di prima scelta nei pazienti affetti da MICI (MC e CU) con profilo di malattia cortico-dipendente e cortico-resistente, in fase di attività, come anche nella terapia di mantenimento della remissione. Essi, inoltre, trovano specifica indicazione nei bambini con prima diagnosi di MICI, cio’ allo scopo di assicurare lunghi periodi di remissione, in assenza di terapia steroidea , cosi’ da favorirne la crescita. L’AZA/6-MP possono essere farmaci di primo impiego in quelle forme di MC di Crohn, con esordio particolarmente aggressivo (presenza, alla prima diagnosi, di malatia peri-nale, necessità di steroidi sistemici, giovane età) ed ancora nelle forme di malattia fistolizzante. Controverso, al momento attuale, è il loro impiego nella prevenzione della recidiva post-oparatoria di Crohn. Tuttavia, in pazienti che hanno già subito un intervento chirurgico, l’AZA è risultato significativamente più efficace del 5-ASA nel prevenire la recidiva clinica e chirurgica. Methotrexate Il MTX ha le stesse indicazioni dell’AZA/6-MP nel trattamento della MC. Tuttavia, esso deve essere impiegato in quelle forme di malattia resistente all’AZA/6-MP o in quei pazienti nei quali le tiopurine non siano state tollerate. Una volta ottenuta remissione, il MTX è efficace anche nel prevenire gli episodi di recidiva. Nessuna evidenza solida esiste, al momento, circa l’efficacia di questo farmaco nel trattamento della CU o nella prevenzione della recidiva post-operatoria nei pazienti afetti da MC. Cyclosporina A Unica indicazione all’impiego della CYA, come “rescue therapy”, è la CU severa refrattaria alla terapia medica tradizionale. BIBLIOGRAFIA 1. 2. 3. 4. 5.
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LE TERAPIE BIOLOGICHE NELL A MAL ATTIA DI CROHN.
PROF F. PALLONE Dipartimento di Medicina Interna Cattedra di Gastroenterologia, Università Tor Vergata, Roma La malattia di Crohn (MdC) e la rettocolite ulcerosa (RCU) sono malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), frequentemente debilitanti che colpiscono circa 1 milione di persone negli Stati Uniti e in Europa. Esse sono caratterizzate da un decorso clinico cronico remittente, influenzato attualmente dall’utilizzo dei farmaci a disposizione. I pazienti con MdC frequentemente vanno incontro ad intervento chirurgico; circa il 20% dei pazienti richiede la chirurgia entro 3 anni dalla diagnosi 1 e circa il 70% a 15 anni, con una elevata tendenza alla recidiva dopo resezione chirurgica del tratto colpito 2. L’insorgenza in giovane età della MdC, la conseguente influenza sulla attività sociale e lavorativa dei pazienti 3, i costi di ospedalizzazioni e di interventi chirurgici, gli effetti collaterali delle terapie croniche non biologiche tradizionali come i corticosteroidi, che presentano un ampio spettro di morbilità conosciute, hanno indotto in questi anni lo sviluppo di nuove, potenzialmente più efficaci, terapie. L’era delle terapie biologiche è stata inaugurata dall’Infliximab, inizialmente indicato per la MdC e successivamente per la RCU. L’Infliximab è un anticorpo monoclonale chimerico, immunoglobulina G, il cui bersaglio è il tumor necrosis factor · (TNF-α). Il TNF è una citochina proinfiammatoria con un’ampia gamma di effetti, che includono l’up-regolazione di molecole di adesione responsabili del reclutamento locale del linfociti circolanti, induzione di metalloproteinasi di matrice presenti nella lamina propria, attivazione di altre linee proinfiammatorie, formazione di granulomi 4. L’Infliximab è risultato essere efficace per il trattamento della MdC refrattaria e fistolizzante. Sulla scia di questo successo, altre terapie anti TNF-α sono state valutate, tra cui l’adalimumab e il certolizumab pegol, ed i più nuovi farmaci che hanno come target l’inibizione selettiva di molecole di adesione (es. natalizumab), anticorpi anti interleuchina 12, anticorpi anti interferon gamma, e molti altri. Inoltre, i dati raccolti dallo studio di altre malattie (es. artrite reumatoide) e anche dai dati estrapolati dagli studi sulle MICI indicano che le terapie biologiche o almeno le terapie anti-TNF-α possono non solo curare i sintomi ma anche modificare la storia naturale della malattia 5. L’entusiasmo di un più ampio utilizzo e più precoce impiego è stato mitigato dall’evidenza che le terapie biologiche possono essere associate ad eventi avversi significativi e alcune volte fatali. Le terapie anti-TNF-· aumentano il rischio di infezioni, tra cui la tubercolosi e altre infezioni determinate da patogeni intracellulari. Più recentemente, particolare attenzione si è rivolta ai dati riguardanti l’aumentato rischio di linfomi, soprattutto il linfoma epato-splenico a cellule T. L’anticorpo monoclonale verso l’α4 integrina, natalizumab, è stato associato allo sviluppo di una rara ma devastante condizione neurologica, la leucoencefalopatia multifocale progressiva. Indicazioni per la terapia biologica nella MdC.
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Letture Il bisogno delle terapie biologiche è determinato dall’attività di malattia, dalle complicanze, e dalla risposta alla terapia di mantenimento. La terapia biologica è generalmente considerata quando la MdC presenta un’attività moderata-severa nonostante le terapie concomitanti quali aminosalicilati, corticosteroidi, e/o immunomodulatori o se i corticosteroidi o gli immunomodulatori sono controindicati, non tollerati, o inefficaci 6. La terapia biologica è altresì indicata se pazienti con MdC sono steroido-dipendenti o refrattari ai corticosteroidi e/o agli immunomodulatori o a trattamento precedente con altri biologici. Pazienti con complicanze quali fistole o manifestazioni extraintestinali possono ottenere particolare beneficio dalla terapia biologica. Gli scopi del trattamento includono l’induzione e il mantenimento della remissione clinica, l’induzione e mantenimento della chiusura delle fistole, la guarigione mucosale, l’eliminazione dei corticosteroidi REFERENZE 1. Wolters FL, Russel MG, Stockbrugger RW. Systematic review: has disease outcome in Crohn’s disease changing during the last four decades? Aliment Pharmacol Ther 2004;20:483-96. 2. Rutgeerts P, Geboes K, Vantrappen G, et al. Natural history of recurrent Crohn’s disease at the ileocolonic anastomosis after curative resection. Gut 1984;25:665-72. 3. Binder V, Hendriksen C, Kreiner S. Prognosis in Crohn’s diseasebased on results from a regional patient group from the county of Copenhagen. Gut 1985;26:146-50. 4. Scallon BJ, Moore MA, Trinh H, et al. Chimeric anti-TNF monoclonal effector functions. Cytokine 1995;7:251-59. 5. Hommes D, Baert F, van Assche G, et al. Management of recent onset of Crohn’s disease: a controlled, randomised trial comparing step-up and top-down therapy. Gastroenterology 2005;129:370. 6. Hanauer SB, Sandborn WJ, and practice parameters committee of the American college of Gastroenterology. Management of Crohn’s disease in adults. Am J Gastroenterol 2001;96:635-43.
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LA MAL ATTIA DI CROHN - TERAPIA CHIRURGICA
FRANCESCO TONELLI Prof. ordinario di Clinica Chirurgica Dipartimento di Fisiopatologia Clinica Università di Firenze La malattia di Crohn (MC) è una patologia infiammatoria cronica intestinale caratterizzata da un decorso clinico non prevedibile e da un’elevata incidenza di recidiva dopo asportazione delle lesioni. In base alla localizzazione in genere si distingue la MC del tenue, del colon o del tratto ileocolico. La classificazione di Vienna suddivide la MC in forme prevalentemente infiammatorie, stenosanti o perforanti. Queste ultime a loro volta possono essere distinte in perforazioni acute (e pertanto causa di una peritonite diffusa), subacute con formazione di ascessi o croniche con reperti di fistole interne od esterne 1. Circa l’80% dei pazienti con MC necessitano di intervento chirurgico durante la loro vita e circa il 50% di questi vanno incontro ad un ulteriore intervento chirurgico per recidiva a distanza in media di 20 anni dall’intervento precedente 2-4. Tali percentuali sono in rapporto sia alla sede della malattia, essendo più elevate nella localizzazione ileale od ileocolica che in quella colica o digiunoileale, che alla diversa forma di MC essendo più frequente nei casi di forme perforanti che in quelle stenosanti. L’indicazione all’intervento è nella maggior parte dei casi d’ elezione e viene posta in base all’insorgere di crisi subocclusive, ascessi addominali o pelvici, ritardo di crescita, malnutrizione, refrattarietà o resistenza alla terapia medica e presenza di displasia o cancro. I casi da operare in urgenza sono meno del 5% rappresentati da emorragie, peritoniti, coliti acute severe, megacolon tossico od occlusioni non risolvibili con la terapia corticosteroidea. Gli obiettivi fondamentali dell’intervento chirurgico sono da una parte quello di ridurre al minimo i possibili rischi operatori dall’altra quello di evitare sia stomie definitive che sequele postoperatorie permanenti dovute a malassorbimento per riduzione della superficie assorbente intestinale. Per fare fronte a tale obiettivo è necessario un’attenta programmazione dell’intervento che dovrebbe scaturire dal periodico monitoraggio gastroenterologico del paziente, ma anche da uno scambio di opinioni con il chirurgo. Il timing chirurgico ideale dovrebbe essere prima dell’insorgenza di complicanze acute, di grave malnutrizione, di cancro. Questo è spesso difficile da indicare poiché le lesioni possono aggravarsi rapidamente od i quadri evidenziati dalle indagini diagnostiche non essere facilmente interpretabili o predittivi della situazione. Con il passare del tempo esiste comunque una progressione delle lesioni crohniane, in particolare a carico dello spessore della parete intestinale; abbiamo osservato che questo incremento si accompagna all’insorgenza della perforazione e può essere quindi motivo per accelerare l’intervento chirurgico. Nel caso che il paziente giunga all’intervento in condizioni gravi vuoi per fenomeni settici che per malnutrizione il primo obiettivo è quello di correggere la sepsi (ad esempio drenando raccolte ascessuali) e la malnutrizione mediante nutrizione artificiale e solo in un secondo momento eseguire l’intervento. Questo comportamento consente di ridurre le complicanze postoperatorie, di evitare interventi in più tempi dovuti all’opportunità di eseguire
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Letture stomie temporanee e protettive e di ridurre la percentuale di interventi resettivi piuttosto che di stricturoplastica. Entrando in merito agli interventi chirurgici chi si accinge ad operare dovrebbe avere esperienza non solo di resezione intestinale ma anche di tecniche conservative che si pongano l’intento non di asportare le lesioni, ma semplicemente di risolvere le stenosi presenti. Tali tecniche vanno applicate particolarmente in casi che presentino molteplici e diffuse stenosi o che abbiano già subito ampie resezioni e siano quindi a rischio che un’ulteriore resezione scateni una sindrome da intestino corto. Non sempre gli esami diagnostici preoperatori sono in grado di stabilire con sicurezza e precisione l’entità e la diffusione delle lesioni, né evidenziare la presenza di fistole. Pertanto l’esplorazione chirurgica deve accertare e precisare sia la sede che il tipo di MC ed eventualmente variare il programma preoperatorio. L’opportunità di un intervento di stricturoplastica è facilmente intuibile: si riesce a risolvere le complicanze della MC senza asportare intestino e senza incorrere in maggiori complicanze postoperatorie o in maggiore incidenza di recidiva 5,6. Infatti anche se non sono mai stati eseguiti studi clinici controllati la percentuale di recidiva non si discosta da quella che si osserva dopo resezione 7,8. Per le localizzazioni coliche della MC si presenta il problema di scegliere l’intervento che offra il miglior risultato funzionale, non comporti complicanze settiche a breve distanza, eviti una stomia permanente e garantisca una buona continenza. Le opzioni demolitive che vanno dalla colectomia parziale alla proctocolectomia totale, dipendono dalla sede e dal grado di infiammazione. La conservazione del retto o di tratti di colon va preferita anche se può esporre ad un maggior rischio di recidiva a distanza. In caso di MC che coinvolga diffusamente il grosso intestino e non si accompagni a malattia ileale e/o perianale si apre il problema se preservare o meno la continenza eseguendo una anastomosi ileo-pouchanale. Nella maggior parte dei casi nei quali si è eseguito questo tipo d’intervento, la malattia non aveva chiare stigmati crohniana e rientrava nel gruppo delle cosiddette coliti indeterminate. In questi casi le opinioni sono alquanto discordanti con i fautori di questa procedura che riportano una bassa incidenza di complicanze e rimozione della pouch e quelli più numerosi che ritengono non giustificato l’intervento data l’alta incidenza di fallimento ed il rischio di successive grosse demolizioni di intestino tenue e sono dell’opinione che esso vada proposto solo nei casi di colite indeterminata con aspetti clinico-patologici più simili alla colite ulcerosa che alla MC 8,9. Un motivo non trascurabile per porre l’indicazione chirurgica è legato al rischio che un carcinoma insorga sulle lesioni crohniane. Il rischio per le localizzazioni coliche di MC è molto simile a quello per colite ulcerosa; la presenza di lesioni stenosanti può impedire una corretta sorveglianza endoscopica. Inoltre anche nel tenue può insorgere un carcinoma con una incidenza notevolmente superiore a quella della popolazione generale. È molto difficile arrivare alla diagnosi prima dell’intervento chirurgico e riconoscere il cancro anche in sede di laparotomia. L’approccio mini-invasivo laparoscopico viene impiegato anche per la MC, preferibilmente in casi selezionati, a sede nell’ileo terminale o nel colon destro, senza fistole complesse o masse voluminose e fisse. I vantaggi sono quelli di una minore ospedalizzazione e talora di una più precoce canalizzazione; gli svantaggi i tem-
pi operatori più lunghi, le possibili riconversioni ed i maggiori costi. Non vi sono sostanziali differenze nelle complicanze postoperatorie e nelle recidive a distanza tra tecnica open o laparoscopica 10. Quanto al risultato cosmetico esso dipende dall’eseguire o meno un approccio totalmente laparoscopico piuttosto che laparo-assistito e dalla sede e lunghezza dell’incisione eseguita con tecnica open. Le valutazioni sulla qualità di vita dei pazienti operati per MC dimostrano che non vi sono differenze a breve e lungo termine riguardo alla tecnica chirurgica eseguita in laparoscopia od ad addome aperto. BIBLIOGRAFIA 1. Greenstein AJ, Lachman P, Sachar DB et al. Perforating and nonperforating indications for repeated operations in Crohn’s disease: evidence for two clinical forms. Gut 1988;29:588-89. 2. Olaison G, Sjodahl R, Tagesson C. Glucocorticoid treatment in ileal Crohn’s disease: relief of symptoms but not endoscopically viewed inflammation. Gut 1990;31:325-28. 3. Lock MR, Farmer RG, Fazio VW et al. Recurrence and reoperatio for Crohn’s disease: the role of disease location in prognosis. N Engl J Med 1981;304:1586-88. 4. Pallone F, Borivant M, Stazi MA et al. Analysis of clinical corse of postoperative recurrence in Crohn’s disease of the distal ileum. Dig Dis Sci 1992;37:215-19. 5. Tonelli F, Ficari F. Strictureplasty in Crohn’s disease: surgical option. Dis Colon Rectum 2000;43:920-26. 6. Tonelli F, Fedi M, Paroli GM, Fazi M Indications and results of sidetoside isoperistaltic strictureplasty in Crohn’s disease. Dis Colon rectum; 2004;47:494-501. 7. Fernhead NS, Chowdhury R, Box B et al. Long-term follow-up of strictureplasty for Crohn’s disease. Br J Surg 2006;93:475-82. 8. Fichera A, Lovadina S, Rubin M et al Patterns and operative treatment of recurrent Crohn’s disease: a prospective longitudinal study. Surgery 2006;140:649-54. 9. Braveman JM, Schoetz DJ, Marcello PW et al The fate of the ileal pouch in patients developing Crohn’s disease. Dis Colon Rectum 2004;47:613-19. 10. Milsom JW, Hammerhofer KA, Bohm P et al Prospetive randomized trial comparing laparoscopic vs conventional surgery for refractory ileocolic Crohn’s disease. Dis Colon Rectum 2001;44:1-8.
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Letture MAL ATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI Malattia di Crohn: Terapia nei Bambini
SALVATORE CUCCHIARA Unità di Gastroenterologia e Epatologia Pediatrica Sapienza Università di Roma, Policlinico Universitario Umberto I, Roma Gli obiettivi del trattamento della malattia di Crohn (MC) in età pediatrica sono di indurre la remissione della malattia, promuovere la crescita attraverso una nutrizione appropriata e la soppressione del processo infiammatorio, mantenere la remissione e, quindi una buona qualità di vita al bambino, e ridurre la probabilità di interventi chirurgici 1. Storicamente il management delle malattie infiammatorie intestinali (MICI) si è basato su farmaci quali steroidi, 5-ASA, immunomodulatori, antibiotici. L’introduzione degli inibitori del TNF·, come l’infliximab (IFX), ha notevolmente modificato l’approccio terapeutico alla MC, agendo su target specifici del processo infiammatorio alla base della malattia 2. Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia dell’IFX in adulti con MC moderata-severa, sia nell’induzione che nel mantenimento della remissione 3,4,5. Studi open-label suggeriscono che la risposta all’IFX in età pediatrica è paragonabile a quella dell’adulto 6,7. Nella maggior parte degli studi condotti in età pediatrica, il farmaco era utilizzato in pazienti cortico-dipendenti o resistenti alle terapie convenzionali, la maggior parte dei quali già in terapia immunosoppressiva (6-MP, AZA, MTX) 8 e somministrato secondo classici schemi induttivi (tempo 0, 2 e 6 settimane) e in seguito di mantenimento, ogni 8 settimane, alla dose di 5 mg/kg. Un miglioramento clinico significativo è stato riscontrato dal 52 al 100% dei pazienti trattati e i cortisonici venivano interrotti in circa l’80% dei pazienti dopo 24-30 settimane dall’inizio delle infusioni di IFX 9,10,11. Baldassano et al 7 hanno effettuato uno studio in doppio cieco in 21 bambini di età compresa tra 11 e 17 anni affetti da MC severa (PCDAI all’avvio dello studio >30) refrattaria ad altre terapie convenzionali, randomizzati per ricevere IFX a dosi differenti (1, 5 o 10 mg/kg/settimana alla settimana 0). In tutti, a prescindere dal dosaggio di IFX, si notava un miglioramento del PCDAI ed una riduzione di VES e PCR già alla prima settimana di trattamento, la riduzione del PCDAI era in media del 50% rispetto alla base, già a partire dalla seconda settimana di terapia. Tutti durante lo studio ottenevano un miglioramento clinico e il 48% otteneva la completa remissione clinica della malattia. Nel raggiungimento della remissione clinica i pazienti trattati con 5 e 10 mg/Kg avevano una migliore risposta rispetto a quelli trattati con 1 mg/Kg. Uno studio più esteso è stato pubblicato da Hyams et al nel 2007 su Gastroenterology 12. Si è trattato di uno studio multicentrico, randomizzato, open-label mirato a valutare l’efficacia e la sicurezza di IFX su bambini affetti da MC moderata-severa (studio REACH). La popolazione era costituita da 112 bambini di età compresa tra 6 e 17 anni con un PCDAI all’avvio dello studio >30. I pazienti ricevevano un regime di induzione di 5 mg/Kg/dose alla settimana 0, 2 e 6. Quattro settimane dopo (settimana 10) veniva effettuata una valutazione clinica (risposta clinica definita come una riduzione del PCDAI di almeno 15 punti). I pazienti
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che rispondevano alla fase di induzione (PCDAI ridotto di almeno 15 punti alla settimana 10) venivano randomizzati per la fase di mantenimento in due gruppi: 5 mg/Kg ogni 8 settimane alle settimane 14, 22, 30, 38, 46 o 5 mg/Kg ogni 12 settimane alle settimane 18, 30, 42. Dei 112 pazienti entrati nello studio e che avevano ricevuto la fase di induzione, 103 (92%) venivano randomizzati per la fase di mantenimento, l’88% dei pazienti presentava una risposta clinica alla fase di induzione, il 58% alla decima settimana era in completa remissione clinica. Nella valutazione dello schema di mantenimento, si notava una maggior percentuale di risposta clinica nei pazienti che ricevevano infliximab ogni 8 settimane vs 12 settimane (63% vs 33%). Veniva effettuata anche una valutazione della statura dei pazienti mediante calcolo dello z-score (misura della deviazione dell’altezza del paziente rispetto all’altezza media di una popolazione di bambini di sesso ed età corrispondenti). La media dello z-score dei pazienti all’avvio dello studio era – 1.5. Lo score migliorava in maniera statisticamente significativa alla settimana 30 e 54 (incremento medio dello z-score di 0.5). Diversi studi hanno valutato l’effetto di IFX sulla crescita, dimostrando che il farmaco può migliorare la velocità di crescita, soprattutto se somministrato prima della pubertà 13,14. Borrelli et al hanno effettuato uno studio in 18 bambini con MC severa (PCDAI > 30) per valutare l’efficacia di IFX sulla risposta clinica (remissione clinica, ovvero PCDAI < 10), sulla guarigione mucosale (riduzione dello score endoscopico ed istologico di almeno il 50% rispetto all’avvio dello studio) e sul pattern di crescita (valutazione di altezza e peso dopo 6 mesi dall’avvio della terapia mediante z-score) (15). A 6 mesi si notava un significativo aumento dello z-score sia per l’altezza che per il peso. Tale incremento era significativo nei pazienti sottoposti sia a schema di induzione che di mantenimento rispetto a quelli sottoposti solo alla fase di induzione. Per quanto riguarda i primi due obiettivi, anche in questo studio si dimostrava l’efficacia di IFX nel miglioramento clinico (riduzione del PCDAI <10 in 10/18 pazienti), ma in modo ancor più significativo si dimostrava l’efficacia del farmaco nell’indurre il miglioramento dell’infiammazione sia nell’ileo che nel colon (riduzione significativa dello score endoscopico ed istologico). Una remissione dell’infiammazione veniva ottenuta in 12/18 pazienti dopo 8 settimane dalla prima infusione. L’efficacia dell’IFX nella chiusura di fistole perianali è stata valutata e confermata in 2 studi condotti in età pediatrica. 11,15. Gli effetti collaterali a breve termine sono poco frequenti e per lo più costituiti da reazioni infusionali allergiche il cui rischio aumenta quanto più lungo è il tempo intercorso tra le reinfusioni per lo sviluppo di anticorpi antichimerici (HACA). Stephens et al 11 hanno condotto uno studio retrospettivo valutando tutte le infusioni di IFX effettuate presso il Children’s Hospital di Philadelphia tra il 1998 e il 2001. Tutti ricevevano IFX a dosi di 5 mg/Kg/dose con uno schema di induzione variabile (in media due infusioni nelle prime 2 settimane per pazienti con malattia luminale, tre infusioni ai tempi 0, 2, 6 settimane per quelli con malattia fistolizzante), tutti i pazienti effettuavano contemporaneamente terapia con immunosoppressori (6-MP/AZA o MTX). Diversi pazienti ricevevano infusioni multiple (una media di 3). Nel 23% dei pazienti venivano riscontrate reazioni infusionali (ipossiemia, tachicardia, ipotensione, nausea/vomito, febbre, vampate di
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Letture calore, brividi). Tali reazioni non precludevano comunque successive infusioni del farmaco. Non venivano riscontrate reazioni da ipersensibilità ritardata anche in pazienti che non avevano ricevuto infusioni di IFX per lunghi periodi (superiori a 6 mesi). In pazienti con un intervallo significativo dall’ultima infusione (2-4 anni), reazioni da ipersensibilità ritardata erano più comuni (25% dei casi). Venivano riportate infezioni severe dopo l’infusione del farmaco in un ristretto numero di pazienti, dimostrando una buona sicurezza globale dell’IFX anche in età pediatrica. Non veniva riportato alcun caso di malignità nel follow-up dei pazienti. Nel 2004 Friesen et al hanno pubblicato uno studio che valutava la sicurezza di IFX in 111 bambini affetti da MICI condotto su un elevato numero di infusioni (594). Reazioni infusionali si ricontravano nell’1.5% di tutte le infusioni 4. Per quanto riguarda l’incidenza di infezioni sistemiche severe, nei vari studi sono stati riportati occasionali decessi e la possibile riaccensione di un infezione tubercolare 17. Poco ancora si conosce sulla sua tossicità a lunga scadenza (possibilità di sviluppo di linfoma epatosplenico a cellule T 18 in pazienti sottoposti a terapia contemporanea con infliximab e immunososppressori). BIBLIOGRAFIA 1. Cucchiara S, Morley-Fletcher A. "New drugs: Kids come first": Children should be included in trials of new biological treatments. Inflamm Bowel Dis 2007;13:1165-9. 2. Mamula P, Markowitz JE, Baldassano RN. In.ammatory bowel disease in early childhood and adolescence: special considerations. Gastroenterol Clin North Am. 2003;32:967-995. 3. Targan SR, Hanauer SB, van Deventer SJ et al. A short term study of chimeric monoclonal antibody cA2 to tumor necrosis factor · for Crohn’s disease. Crohn’s disease cA2 Study Group. N Engl J Med 1997;337:1029-35 4. Sands BE, Anderson FH, Bernstein CN et al. Infliximab maintenance therapy for fistulizing Crohn’s disease. N Engl J Med 2004;350:876-885 5. Hanauer SB, Feagan BG, Lichtenstein Gr et al. Maintenance infliximab for Crohn’s disease: the ACCENT I randomised trial. Lancet 2002; 359:1541-9 6. Hyams JS, Markowitz J, Wylie R. Use of infliximab in the treatment of Crohn’s disease in children and adolescent. J Pediatr 2000;137: 192-196 7. Baldassano R, Braegger CP, Escher JC, et al. Infliximab (REMICADE) therapy in the treatment of pediatric Crohn’s disease. Am J Gastroenterol 2003;98:833-838 8. Pappa HM, Semrin G, Walker TR. Pediatric inflammatory bowel disease. Curr Opin Gastroenterol. 2004;20:333-340. 9. Kugathasan S, Werlin SL, Martinez A. Prolonged duration of response to infliximab in early but not late pediatric Crohn’s disease. Am J Gastroenterol. 2000;95:3189-3194. 10. Wewer V, Riis L, Vind I. Infliximab dependency in a national cohort of children with Crohn’s disease. J Pediatr Gastroenterol Nutr. 2006;42:40–45. 11. Stephens MC, Shepanski MA, Mamula P. Safety and steroid-sparing experience using infliximab for Crohn’s disease at a pediatric inflammatory bowel disease center. Am J Gastroenterol 2003;98:104-
111. 12. Hyams JS, Crandall W, Kugathasan S, Griffiths A, Olson A, et al. Induction and maintenance infliximab therapy for the treatment of moderate-to-severe Crohn’s Disease in children. Gastroenterology 2007;132:863-873 13. Borrelli O, Bascietto C, Viola F. Infliximab heals intestinal inflammatory lesions and restores growth in children with Crohn’s disease. Dig Liver Dis. 2004;36:342–347. 14. Walters TD, Gilman AR, Griffiths AM. Infliximab therapy restores normal growth in children with chronically active severe Crohn disease refractory to immunomodulatory therapy. J Pediatr Gastroenterol Nutr. 2005;40:646. (Abstract). 15. Cezard JP, Nouaili N, Talbotec C. A prospective study of the efficacy and tolerance of a chimeric antibody to tumor necrosis factors (remicade) in severe pediatric Crohn’s disease. J Pediatr Gastroenterol Nutr.2003;36:632– 636. 16. Friesen CA, Calabro C, Christenson K. Safety of infliximab treatment in pediatric patients with inflammatory bowel disease. J Pediatr Gastroenterol Nutr. 2004;39:265–269. 17. Jacobstein DA, Markowitz JE, Kirschner BS. Premedication and infusion reactions with infliximab: results from a pediatric inflammatory bowel disease consortium. Inflamm Bowel Dis. 2005;11:442-446. 18. Rosh JR, Gross T, Mamula P, Griffiths A, Hyams J. Hepatosplenic T-cell lymphoma in adolescents and young adults with Crohn’s disease: a cautionary tale? Inflamm Bowel Dis 2007;13:1024-30.
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Letture STORIA NATURALE DELL A COLITE ULCEROSA
RET TO COLITE ULCEROSA: TERAPIA DELLE FORME MODERATE-GRAVI
COSIMO PRANTERA Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini-Roma La storia naturale della colite ulcerosa, ovvero qual’è il decorso nel tempo di una malattia cronica non trattata, non è mai stata descritta. Una felice intuizione anni fa suggerì di studiare i gruppi trattati con placebo in vari studi clinici. Ciò avrebbe permesso di valutare cosa accade nel decorso di una colite ulcerosa se il paziente non riceve alcuna medicina. Purtroppo i pazienti placebo inclusi in un trial rappresentano una popolazione selezionata abbastanza malata da essere inclusa in uno studio, ma in condizioni cosi’ discrete che permettano di essere osservati per un certo periodo di tempo senza essere curati. I dati che comunque venivano da questa analisi di 11 trials riguardavano un totale di 185 pazienti con colite ulcerosa attiva. I gruppi placebo ottenevano un miglioramento spontaneo tra il 8% ed il 52% ed endoscopico tra il 26% ed il 59% in un lasso di tempo tra 15-42 giorni. 174 pazienti venivano da 6 studi di mantenimento di durata tra i 6-12 mesi. La remissione veniva mantenuta tra il 25% ed il 51%. La mucosa normale e la rettoscopia al momento dell’arruolamento, una estensione limitata ed il trattamento prima dell’immissione nello studio erano fattori predittivi di risposta. Poichè la colite ulcerosa è una malattia multifattoriale esistono molti tipi di colite, differenziati per attivita, estensione e severita’ di malattia. L’incidenza varia tra i 3 ed I 25 individui/anno ogni 100.000 abitanti con una prevalenza tra i 120-270 pazienti ogni 100.000. Nel 1996 uno studio italiano ha riportato una incidenza di 9.6/100.000 casi per anno con una prevalenza di 121 casi ogni 100.000 abitanti. La malattia colpisce frequentemente individui tra 15-25 anni di età. Un secondo picco di incidenza, spesso registrato tra I 50-60 anni appartiente probabilmente ad una popolazione adulta di exfumatori. La severità di malattia, valutata con l’indice di Truelove-Witts, e l’estensione dell’infiammazione ne condizionano il destino. Le forme lievi elimitate vengono raramente operate (meno del 10%), mentre le forme severe, in genere estese, vengono operate fino al 30% dei casi. Cira l’80% dei pazienti con colite ulcerosa, comunque, può condurre una vita assolutamente normale. Solo il 20% può essere parzialmente o gravemente inibito nelle sue capacita’ lavorative e di vita sociale. ■
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PIERO VERNIA Gastroenterologia A, Dipartimento di Scienze Cliniche Università di Roma La Sapienza. Nella colite ulcerosa, diversi criteri sono stati proposti per la definizione di “malattia moderata” o “grave”. Per la loro semplicità, quelli più utilizzati nella pratica clinica sono ancora i criteri proposti da Truelove e Witts oltre 50 anni orsono 1 (Tabella 1). Negli Stati Uniti vengono invece più spesso utilizzati il Disease Activity Index proposto da Lichtiger 2 o il Mayo Scoring System 3 (Tabella 2). TABELLA 1 - Classificazione di Truelove e Witts NUMERO DELLE SCARICHE FEBBRE (°C) TACHICARDIA (x/min) ANEMIA (Hb) VES (mm/h)
LIEVE <4 <37 Normale > 11 <20
MODERATA 4-6 37-37.8 Intermedia 11-10.5 20-30
GRAVE >6 > 37.8 > 90 < 10.5 > 30
TABELLA 2 - Mayo Scoring System NUMERO DELLE SCARICHE
1 = 1-2 evacuazioni oltre il normale 2 = 3-4 evacuazioni oltre il normale 3 = 5 o più evacuazioni oltre il normale SANGUINAMENTO RETTALE 1 = tracce di sangue in metà delle evacuazioni 2 = sangue evidente la maggior parte delle evac. 3 = evac. Anche di solo sangue ENDOSCOPIA 1 = eritema, edema, fragilità moderata della mucosa 2 = eritema marcato, fragilità, scomparsa dei vasi, erosioni 3 = sanguinamento spontaneo, ulcerazioni VALUTAZIONE DEL MEDICO 1 = malattia lieve 2 = malattia moderata 3 = malattia grave Malattia lieve < 4, moderata 5-8, grave >8.
Tutti questi sistemi di classificazione si basano, sia pure attribuendo un peso differente ai diversi parametri, in primo luogo sul numero delle evacuazioni giornaliere e sulla presenza di sangue nelle feci. A questi sono variabilmente aggiunti altri parametri clinici (tachicardia, febbre), di laboratorio (VES, leucocitosi, PCR, emoglobina), endoscopici o una valutazione globale del medico. Si tratta quindi di criteri di valutazione pratici, facilmente applicabili a scopi clinici, ma non esenti da critica se applicati in maniera rigida. Infatti un paziente con una proctite cronicamente attiva, anemico e con un elevato numero di evacuazioni rischia di essere classificato come affetto da malattia grave, mentre al contrario un paziente all’esordio di un attacco acuto di pancolite, nel quale il numero delle evacuazioni sia basso per un quadro incipiente di ileo paralitico, applicando acriticamente i criteri di classificazione potrebbe essere considerato affetto da colite moderata.
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Letture TRATTAMENTO Prima di iniziare il trattamento, se possibile anche nelle forme gravi, dovrebbe essere esclusa la presenza di agenti infettivi (Campylobacter, Salmonella, Yersinia, Shigella,) di amebiasi e della infezione da citomegalovirus. Una colonscopia con biopsie è cruciale per fornire informazioni su gravità ed estensione delle lesioni. Anche nel caso di malattia grave l’esame va comunque eseguito, soprattutto quando esistano dubbi diagnostici, ma dovrà essere limitato al retto-sigma ed essere effettuato senza la preparazione abituale e senza insufflazione di aria, per minimizzare il rischio di indurre un megacolon tossico. Il trattamento delle for me moderate è ambulatoriale e si basa sulla intensificazione della terapia delle forme lievi: mesalazina per via orale (2.4-4.8 g/die), da associare se del caso ad un cortisonico a bassi effetti sistemici (beclometasone dipropionato, 10-15 mg/die). Gli stessi farmaci trovano una utile applicazione anche se somministrati per via topica, così da garantire la massima concentrazione intraluminale e tissutale 4 dei principi attivi ( mesalazina 2-4 g/die, associati o meno a beclometasone dipropionato 3-6 mg/die). Quando la estensione della malattia sia limitata al retto-sigma o alle porzioni più distali del colon discendente la somministrazione dei farmaci può avvenire solo per via topica. I cortisonici tradizionali, dotati di maggiore attività antinfiammatoria, ma anche gravati da una maggiore prevalenza di effetti indesiderati, vanno riservati ai casi che non abbiano risposto alla terapia iniziale e vengono impiegati per via orale o sistemica. In caso di persistenza dei sintomi può essere considerato l’uso di farmaci immunosoppressori (azatioprina, 6-mercaptopurina). Complessivamente circa il 10% dei pazienti con una attacco acuto di colite presentano una for ma grave di malattia. Si tratta di una condizione responsabile, in assenza di trattamento, di una mortalità che in passato si aggirava intorno al 20-30% nei malati ospedalizzati. Tali valori si sono drasticamente ridotti con l’uso dei cortisonici e nei Centri di riferimento è compresa tra 0 e 5% da quando si è affermata la strategia basata su un breve periodo di terapia medica intensiva seguita, in caso di fallimento, da un precoce ricorso alla chirurgia. Va però ricordato che una recente rivalutazione dei pazienti con colite grave ricoverati in Gran Bretagna in Ospedali Generali di Distretto ha mostrato valori assai più elevati (24%), indicando l’importanza che questi pazienti vengano seguiti da specialisti esperti in queste malattie, possibilmente in strutture dedicate 5. Il trattamento ormai consolidato delle forme gravi si basa innanzitutto sulla ospedalizzazione in ambiente specialistico. Il paziente deve essere accuratamente valutato all’ingresso per diagnosticare eventuali complicanze o i segni premonitori della insorgenza delle stesse. Va poi monitorizzato con controlli ogni 12-24 ore. La terapia di attacco si basa tradizionalmente sull’impiego di cortisonici sistemici (idrocortisone 100 mg/6 ore o metilprednisolone 40-80 mg/die), su un supporto nutrizionale parenterale e la attenta reintegrazione di acqua ed elettroliti. La risposta al trattamento è però insoddisfacente o incompleta nel 40-50 % dei casi. In tal caso deve essere considerata la opzione chirurgica che se consente di azzerare quasi la mortalità, comporta inevitabilmente un prezzo in termini di qualità di vita, di problemi psicologici e di ridotta fertilità femminile. Le opzioni disponibili in questo sottogruppo di pazienti negli ultimi decenni si sono andate allargando
ed alla chirurgia precoce si sono affiancate strategie di trattamento medico che vanno sotto il nome di “rescue therapy”. Fino dagli anno 90 con questo obiettivo si è affermata la ciclosporina, un inibitore della calcineurina che interferendo con la funzione dei T linfociti riduce la attività infiammatoria. La risposta a breve termine del trattamento per via endovenosa alla dose di 25 mg/kg (per mantenere la concentrazione plasmatica tra 100 e 400 ng/ml), consente di limitareil ricorso alla chirurga al 25-35% dei casi. Successivamente i pazienti possono essere trattati ambulatorialmente, somministrando il farmaco sotto forma di microemulsione orale. Nel medio termine però la riduzione della necessità di chirurgia va diminuendo, fino ad attestarsi su valori analoghi a quelli osservati dopo terapia cortisonica. In tempi più recenti la “rescue therapy” si è basata sull’impiego di farmaci biologici. La maggior parte degli studi controllati disponibili si riferisce al primo farmaco introdotto, l’infliximab, un anticorpo monoclonale diretto contro il TNF · . Una recente analisi della Cochrane Collaboration, analizzando la efficacia del farmaco nei pazienti refrattari al trattamento convenzionale suggerisce che l’infusione di 1-3 dosi di infliximab (5 mg/kg) è moderatamente efficace nell’indurre remissione clinica, nel favorire la riparazione della mucosa e ridurre il ricorso alla chirurgia 6. Una analisi critica dei dati disponibili fa tuttavia notare che una larga parte dei dati disponibili, sia per quanto riguarda la ciclosporina, sia per quanto riguarda l’infliximab, si riferisce a casistiche nelle quali sono stati inseriti pazienti di gravità variabile, da moderata a grave, talora accomunando pazienti assai gravi a pazienti ambulatoriali con malattia cortisone resistente/dipendente. Nei pochi studi disponibili nei quali sono stati inseriti solo pazienti con malattia “fulminante”, come quello di Jarnerot 7, la riduzione del ricorso alla chirurgia , pur presente (47% vs 69% con placebo), non si è dimostrata pari alle aspettative. In uno studio retrospettivo pubblicato recentemente 8, il 66% dei pazienti con colite grave che ha impiegato l’infliximab come “rescue therapy” ha evitato l’intervento chirurgico a breve termine, ma a prezzo di un 5.2% di eventi avversi gravi ed 1 decesso su 39 pazienti trattati. Il problema degli effetti collaterali, sia nel caso della ciclosporina che dell’infliximab va sempre preso attentamente in considerazione valutando il rapporto costo-beneficio della rescue therapy, perché non possiamo dimenticare che il termine di paragone, in termini di mortalità, è rappresentato da quello 0-3% che si è raggiunto con la tradizionale terapia intensiva, seguita in caso di fallimento, da un intervento chirurgico precoce. Va infine tenuto presente che i fattori predittivi di mancata risposta alla “rescue thearpy” sono la ipoalbuminemia < 3 g/dl all’arruolamento, < a 3.4 g/dl dopo 3 giorni di trattamento ed il ricorso alla rescue therapy entro i cinque giorni dall’inizio del trattamento intensivo. In pratica si tratta degli stessi parametri già identificati 40 o 50 anni or sono per predire l’esito di un attacco di colite grave 9. Vale a dire che i pazienti che non rispondono al trattamento sono quelli più gravi e dunque proprio quelli nei quali una risposta favorevole sarebbe maggiormente auspicabile. Altri possibili approcci terapeutici nei pazienti con colite grave che non rispondano alla terapia tradizionale sono rappresentati dal tacrolimus, leucocitaferesi e dai nuovi farmaci biologici, per i quali i dati disponibili sono ancora insufficienti. In attesa di ulteriori sviluppi, è saggio provare a trattare i pazienti con i farmaci di
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Letture più documentata efficacia, ma facendo bene attenzione quando necessario, a non procrastinare inutilmente l’intervento chirurgico. BIBLIOGRAFIA 1. Truelove SC,Witts LJ.Cortisone in ulcerative colitis: final report on a therapeutic trial. Br Med J 1955;ii:1041-8. 2. Lichtiger S, Present DH, Kornbluth A et al Cyclosporine in severe ulcerative colitis refractory to steroid therapy. N Engl J Med 1994; 330: 1841-5. 3. Schroeder KW, Tremaine WJ, Iilstrup DM Coated oral aminosalicylic acid therapy for mild to moderately active ulcerative colitis: a randomised study. N Engl J Med 1987; 317: 1625-9. 4. Frieri G Pimpo MT Palumbo MA Rectal and colonic mesalazine concentration in ulcerative colitis: oral vs. oral plus topical treatment. Aliment Pharmacol Ther. 1999;13:1413-7. 5. Stenner JMC, White P, Gould SR. Audit of the management of severe ulcerative colitis in a DGH. Gut 2001;48:A87. 6. Lawson MM, Thomas AG, Akobeng AK Tumor necrosis factor alfha blocking agents for induction of remission in ulcerative colitis: review. The Cochrane Collaboration 2007. 7. Jarnerot G, Hertervig E, Friis-Liby I et al. Infliximab as rescue therapy in severe to moderately severe ulcerative colitis: a randomized, placebo-controlled study. Gastroenterology 2005;128: 1805-11. 8. Lees CW, Heys D, Ho t et al A retrospective analysis of the efficacy and safety of infliximab as rescue therapy in acute severe ulcerative colitis. Aliment Pharmacol Ther 2007; 26: 411-9. 9. Lennard-Jones JE, Ritchie JK, Hilder W et al. Assessment of severity in colitis: a preliminary study. Gut 1975;16:579-84.
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TERAPIA DELL A COLITE ULCEROSA DISTALE E DELL A PROCTITE
LUISA SPINA, LUCA PASTORELLI, FLAMINIA CAVALLARO, CAMILLA CISCATO, EUGENIO TONTINI, MAURIZIO VECCHI Unità Operativa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese (MI) e Università degli Studi di Milano. INTRODUZIONE La colite ulcerosa è una malattia infiammatoria cronica intestinale, che colpisce in tutto o in parte il colon, ad eziologia sconosciuta e patogenesi complessa, caratterizzata da un andamento tipicamente cronico e recidivante, con periodi di riacutizzazione sintomatologica che si alternano a fasi di quiescenza clinica 1. La gestione terapeutica della malattia, che si avvale di varie categorie di farmaci, è mirata al controllo e alla regressione delle fasi acute e al prolungamento dello stato di quiescenza. Il tipo di approccio terapeutico viene in genere scelto in base alla presenza ed alla intensità della fase di acuzie clinica ed alla estensione del processo infiammatorio nel colon. Attualmente, con il termine di colite ulcerosa distale si intendono quelle forme di malattia in cui il coinvolgimento infiammatorio non supera, nella sua estensione in senso prossimale, la flessura splenica. La rettocolite ulcerosa è una patologia cronica il cui decorso è tipicamente caratterizzato dall’alternarsi di fasi di attività e di fasi di quiescenza. La terapia ha quindi un duplice scopo, quello di indurre la remissione (terapia della fase acuta) e quello di mantenerla (terapia di mantenimento). TERAPIA DELL A FASE ACUTA Dal punto di vista pratico, può essere utile distinguere l’attività della rettocolite ulcerosa in lieve, moderata, grave e fulminante, secondo i criteri di Truelove e Witts. Oltre che dall’attività clinica di malattia, l’approccio terapeutico nei pazienti affetti da rettocolite ulcerosa è dettato anche dall’estensione della stessa; conoscere l’estensione della malattia è quindi importante per decidere quale farmaco e quale sua formulazione può essere più efficace nel singolo paziente. La forma lieve-moderata di rettocolite ulcerosa in genere non richiede il ricovero ospedaliero; i farmaci di prima scelta per il trattamento di queste forme sono gli aminosalicilati, per la loro documentata efficacia e per la bassa probabilità di effetti collaterali. Per il trattamento per via orale, esistono diverse formulazioni di mesalazina, rivestite da una molecola inerte, in grado di trasportare il principio attivo fino al colon dove viene rilasciato secondo diverse modalità. Il rilascio può essere pH-dipendente a livello colico o tempo-dipendente a livello ileo-colico. In alcune formulazioni il rilascio colico viene ottenuto attraverso il legame azotato della mesalazina con altre molecole o con se stessa. Numerosi trial clinici hanno dimostrato che le preparazioni orali di aminosalicilati sono significativamente più efficaci del placebo e sono in grado di indurre la remissione clinica nel 40-80% dei pazienti in 4-8 settimane. L’effetto terapeutico sembra essere in qualche modo dose-dipendente, visto che un dosaggio di mesalazina al di sotto dei 2 g/die ha un vantaggio terapeutico dubbio rispetto al placebo.
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Letture Oltre alle diverse formulazioni orali a rilascio controllato, sono state sviluppate anche diverse preparazioni di mesalazina per uso rettale (supposte, gel, schiume e clismi). Esse sono destinate al trattamento delle forme distali, definite come un interessamento di malattia che non superi la flessura splenica. La scelta della preparazione è dettata dall’estensione della malattia e dalle preferenze del paziente; occorre ricordare a questo proposito che le supposte di mesalazina, data la loro limitata diffusione, possono essere utilizzate solo per il trattamento delle proctiti o delle proctosigmoiditi distali. Gli studi in letteratura riportano che l’induzione della remissione clinica si ottiene nel 70-80% dei pazienti dopo 4-6 settimane di trattamento per via topica. Il fatto che le preparazioni topiche si diffondano fino alla flessura splenica e che abbiano un effetto più rapido rispetto alle formulazioni orali potrebbe farle considerare come trattamento di scelta delle forme distali. La mesalazina in supposte, in dosi di 500 mg due volte al dì, risulta particolarmente efficace nel trattamento della proctite. In generale, con il trattamento topico l’effetto sembra essere tempo-dipendente piuttosto che dose-dipendente. Nonostante l'elevata efficacia della terapia con gli aminosalicilati, una parte di pazienti risulta refrattaria al regime scelto. In un sottogruppo di questi pazienti la remissione clinica può essere ottenuta con un trattamento protratto a lungo; tuttavia questo approccio può richiedere molto tempo e allora conviene ricorrere all’uso di corticosteroidi tradizionali o dei più recenti corticosteroidi a bassa biodisponibilità, entrambi disponibili sia per il trattamento per os sia per il trattamento per via rettale. Non abbiamo però ancora dati sull’impiego di questi farmaci a lungo termine; se infatti da un lato il farmaco viene catabolizzato quasi interamente al primo passaggio epatico, dall’altro si tratta di molecole molto potenti con notevole affinità per i recettori degli steroidi. Nel caso si decida di ricorrere alla terapia topica con corticosteoridi, sono quindi da preferire i nuovi corticosteroidi a bassa biodisponibilità, con una somministrazione serale topica di beclometasone dipropionato (3 mg/die). Nel trattamento delle forme distali sembra che l’associazione di beclometasone dipropionato topico e di aminosalicilati topici possa portare un notevole beneficio terapeutico. Se la modificazione della terapia topica non è ancora in grado di indurre la remissione, si deve ricorrere ad un trattamento con steroidi sistemici per os: occorre utilizzare il dosaggio pieno di prednisone (50 mg/die) o di metilprednisolone (40 mg/die) per circa quattro settimane e successivamente procedere alla lenta diminuzione del dosaggio (tapering) fino allo svezzamento completo. Il trattamento con i nuovi corticosteroidi a bassa biodisponibilità (beclometasone dipropionato 5-10 mg/die) sembra essere efficace e gravato da effetti collaterali di minore entità rispetto agli steroidi tradizionali, ma i dati della letteratura non sono ancora esaustivi in questa direzione. La formulazione orale di budesonide attualmente disponibile è invece caratterizzata da un rilascio ileo-ciecale ed è pertanto più indicata nella malattia di Crohn ileo-colica o nelle forme estese di colite ulcerosa. In generale, la terapia con i corticosteroidi è in grado di indurre la remissione clinica nel 70-80% dei pazienti. Nel caso in cui nemmeno la terapia con corticosteroidi sia in grado di indurre la re-
missione clinica nelle forme lievi-moderate di rettocolite ulcerosa, in genere il primo passo che si effettua è quello di modificarne la via di somministrazione, ed, eventualmente anche il dosaggio. Si passa pertanto dalla somministrazione orale alla via intramuscolare o alla via endovenosa. TERAPIA DI MANTENIMENTO In generale, la terapia di mantenimento è indicata in tutti i pazienti con diagnosi certa di colite ulcerosa in cui si sia riusciti a indurre la remissione dopo una fase di acuzie, indipendentemente dall’estensione di malattia. Infatti, numerosi studi dagli anni ’80 ad oggi hanno dimostrato che la somministrazione orale continuativa di salazopirina (al dosaggio di 2 g/die) o di mesalazina, ad un dosaggio compreso tra 1,6 e 2,4 g/die (o di altri aminosalicilati a dosaggio equivalente) è in grado di ridurre significativamente il numero delle riacutizzazioni di malattia rispetto al trattamento con placebo 2. In una recente review sistematica su questo argomento, il rischio relativo di riaccensione è risultato di 0.47 (con intervalli di confidenza 0.36-0.62) nei pazienti trattati con mesalazina. Negli studi di confronto tra salazopirina e mesalazina la review suggerisce un vantaggio terapeutico lieve, ma statisticamente significativo, della salazopirina. Sorprendentemente, non sono invece state osservate differenze che raggiungessero la significatività statistica nella incidenza di effetti collaterali tra questi due tipi di trattamento. Nonostante alcune osservazioni suggeriscano che questo vantaggio terapeutico possa essere soprattutto evidente nei primi 2 anni di trattamento, ci sembra tuttavia consigliabile programmare tempi di trattamento assai più lunghi (e anche di durata indefinita) in considerazione dell’ottimo profilo di sicurezza della mesalazina e del suo possibile ruolo come agente chemioprofilattico della neoplasia colorettale. Poiché è da tempo nota la spiccata efficacia della terapia con mesalazina topica (per clismi o supposte) nel trattamento delle fasi attive della colite ulcerosa distale, questo tipo di trattamento è stato proposto anche come terapia di mantenimento di queste forme. In effetti, gli studi di confronto della terapia topica con placebo e con terapia orale nel trattamento di mantenimento della colite ulcerosa distale ne hanno mostrato una significativa superiorità terapeutica 3. Come negli studi effettuati sui pazienti in fase acuta, l’efficacia della terapia topica non sembra correlata alla dose di farmaco contenuta nel clisma; se efficace, essa può essere anche modulata in somministrazioni bi o trisettimanali. In alcuni studi è stata proposta anche la terapia combinata, orale e topica, nella terapie di mantenimento. E’ ovvio che il maggior limite di un approccio terapeutico topico alla terapia di mantenimento risiede nella compliance del paziente, che comunque si è dimostrata adeguata nella maggior parte degli studi eseguiti su questo argomento. Questo limite non sembra evidenziarsi soprattutto nei pazienti con proctite ove la terapia di mantenimento con supposte di mesalazina è molto efficace e ben tollerata. Non vi sono tuttavia dati sufficienti a valutare se l’utilizzo della sola terapia topica sia meno protettivo della terapia orale sulla diffusione prossimale della colite distale, evento che può osservarsi sino al 40 % dei pazienti in un folow-up di 10 anni. La terapia di mantenimento con corticosteroidi, anche quelli caratterizzati da bassa biodisponibilità, non dovrebbe essere presa in
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Letture considerazione, in considerazione della loro scarsa efficacia e dell’elevato numero di effetti collaterali ad essi associato. Nei pazienti con numerose riacutizzazioni nonostante la terapia di mantenimento con aminisalicilati deve essere presa in considerazione la possibilità di una terapia di mantenimento con azatioprina (al dosaggio di 2-2,5 mg/Kg/die) o 6-mercaptopurina (1-1,5 mg/Kg/die). Un approccio di questo tipo è auspicabile anche nei pazienti affetti da forme steroido-dipendenti o steroido-ressitenti e nei pazienti in cui è stata indotta la remissione dopo un episodio grave o fulminante, peraltro molto raro nelle forme distali di malattia. La terapia con questa categoria di immunosoppressori può essere protratta per anni. I pazienti devono eseguire periodici e regolari esami ematochimici allo scopo di identificare eventuali effetti tossici a carico di fegato, midollo osseo e pancreas. In ogni caso, i dati più recenti sembrano escludere che l’azatioprina e la 6mercaptopurina incrementino in maniera significativa il rischio di neoplasie, infezioni ricorrenti e effetti teratogeni. In rari pazienti, non responsivi a nessuno di questi approcci, sono proponibili altre terapie quali la leucaeresi, l’infliximab, il metotrexate e altro. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE In conclusione, la maggior parte dei pazienti con colite ulcerosa distale può essere mantenuta in quiescenza clinica con terapie, orali o topiche, a base di mesalazina. Nei pazienti che mostrino una resistenza a questo tipo di approccio, si può ricorrere a terapie combinate con mesalazina orale e topica, o in un approccio terapeutico “step-up” che in genere permette di mantenere il controllo clinico della malattia, a farmaci immunosoppressori quali la azatioprina, la 6-mercaptopurina, il metotrexate o alle più recenti terapie biologiche BIBLIOGRAFIA 1. Hanauer SB. Medical therapy for ulcerative colitis 2004. Gastroenterol 2004;126: 1582-92. 2. Katz S. Update in medical therapy of ulcerative colitis: newer concepts and therapies. J Clin Gastroenterol. 2005;39: 557-69. Erratum in: J Clin Gastroenterol 2005 Oct;39: 843. 3. Baumgart DC, Sandborn WJ. Inflammatory bowel disease: clinical aspects and established and evolving therapies. Lancet 2007; 369:1641-57. 4. Sutherland L, Macdonald JK. Oral 5-aminosalicylic acid for maintenance of remission in ulcerative colitis. Cochrane Database Syst Rev. 2006 Apr 19;(2):CD000544. 5. Marshall JK, Irvine J. Putting rectal 5-aminosalicylic acid in its place: the role in distal ulcerative colitis. Am J Gastroenterol 2000; 95:1628–1636. 6. Vecchi M, Saibeni S, Devani M, de Franchis R. Review article: diagnosis, monitoring and treatment of distal colitis. Aliment Pharmacol Ther, 17 (suppl.2): 2-6, 2003. 7. Timmer A, McDonald JW, Macdonald JK. Azathioprine and 6mercaptopurine for maintenance of remission in ulcerative colitis. Cochrane Database Syst Rev. 2007 Jan 24;(1):CD000478.
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STORIA NATURALE DELL A SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE: FORME A PREVALENTE DIARREA E MISTE
PROF. MATTEO NERI Dipartimento di Medicina Interna e Scienze dell’Invecchiamento Sezione di Medicina Interna e Gastroenterologia Università G. D’Annunzio, Chieti, Italia La Sindrome dell’Intestino Irritabile IBS) è una condizione assai frequente nella popolazione generale, nella quale si riscontra in una proporzione variabile dal 5% al 20%, ed è tra le più frequenti cause gastroenterologiche di consultazione sia nell’ambito della medicina generale che specialistica. Sebbene tanto frequente, solo un terzo di coloro che ne presentano i sintomi nella popolazione consulta un medico di medicina generale; questi invia allo specialista circa il 20% dei suoi pazienti e di questi solo una piccola parte entra i studi clinici o epidemiologici. Sotto il profilo epidemiologico e della storia naturale dell’IBS-D e IBS-M/A sono da riconoscere due punti critici principali e limitativi della conoscenza, estensibili anche ad altre forme di IBS: La difficoltà nel riconoscere la stabilità e la affidabilità della diagnosi, ed il riconoscimento di una embricazione patogenetica con forme di colite specifica di tipo infiammatorio. Per quanto riguarda il primo punto, ricordiamo come il variare della definizione di IBS nel tempo spesso identifichi pazienti differenti a seconda dei criteri adoperati e le differenze geografiche nella prevalenza di questa malattia rendano difficile formulare una visione unitaria sulla storia naturale della malattia; a ciò si aggiungano la difficoltà di definire le forma alternanti o miste che non esistevano prima di Roma III; la frequente sovrapposizione con altre malattie funzionali, in particolare la dispepsia; la transizione nel tempo verso altre forme di malattie funzionali a dispetto della stabilità della prevalenza nella popolazione; la scarsità di informazioni sulla frequenza, intensità e durata delle accensioni e spegnimenti della malattia; la possibile differenza tra studi nella popolazione generale, che hanno il vantaggio di prescindere dalla richiesta di attenzione medica, verso gli studi sui pazienti reali che offrono la possibilità di cosa avviene nella medicina pratica. Sebbene si ritenga che gli IBS-M/A rappresentino un terzo di questi pazienti, studi recenti hanno identificato che la loro prevalenza cambia a seconda del setting nel quale sono stati effettuati gli studi (Population-based vs. office-based e, tra questi, distinguendo tra MMG e Gastroenterologi). Inoltre, gli IBS-M/A presentano le più elevate proporzioni di sintomi rispetto agli altri due gruppi di pazienti, con una frequenza di accensioni e remissioni che va mediamente da 1 a 3 giorni. Infine questo sottogruppo presenta il tasso di conversione più elevato, giacché solo la metà di essi è ancora misto dopo tre mesi di osservazione e, quando converte, tende a migrare nel gruppo degli stiptici. La embricazione con la dispepsia funzionale è assai frequente (dal 20% allo 80%, a seconda del setting dello studio), giustificata anche dalla tipica comparsa dei sintomi di IBS nel periodo postprandiale; la presenza di minor numero e gravità di sintomi dispepti-
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Letture ci, ed in particolare la minor frequenza della sazietà precoce e del senso di replezione postprandiale distingue gli IBS-D dagli IBSC. La transizione dei pazienti all’interno di gruppi di disturbi digestivi funzionali è stata riscontrata i diversi studi; il più recente e più esteso, della durata di circa 12 anni, ha concluso che in questo intervallo di tempo solo 1/5 dei pazienti con IBS-D presenta le stesse caratteristiche dell’ingresso; mentre il 35% risulta asintomatico, i rimanenti sono transitati verso altre forme funzionali. Una volta formulata diagnosi di IBS, essa è sicura; gli studi sulla storia naturale della malattia, sia prospettici che retrospettivi e di durata variabile da 2 a 32 anni, indicano che in solo il 2% dei pazienti la diagnosi è stata modificata; la diagnosi di neoplasia, in particolare, è stata formulata a distanza di molti anni da quella di IBS. Alcuni autori sostengono che i pazienti con diagnosi di IBS formulata nell’ambito della medicina generale siano a maggior rischio di manifestare un carcinoma colorettale o una IBD che la popolazione generale. Sul primo punto, è chiaro che la sicurezza della diagnosi dipende anche dalla accuratezza anamnestica nell’identificare segni e sintomi di allarme nonché degli esami laboratoristici e strumentali effettuati. Per il secondo punto, è vero che gli studi più recenti tendono a d identificare tra i pazienti con IBSD alcuni nei quali una patologia infiammatoria anamnestica (IBS postinfettivo) o frustra (Malattia celiaca, Allergia alimentare, dismicrobiotismi, IBD) possa esserne il momento patogenetico. La epidemiologia clinica ha certamente stabilito il ruolo della dissenteria bacillare come causa della comparsa di IBS-D nei soggetti colpiti in una proporzione superiore ad un terzo. La comparsa di IBS-D in questi pazienti è legata alla severità della manifestazione infettiva iniziale, e spesso si accompagna alla simultanea presenza di dispepsia a, a conferma della unicità patogenetica in molti pazienti portatori delle due condizioni. La malattia celiaca ed il suo rapporto con l’IBS-D è più controverso, e si basa su evidenze di associazione non confermate universalmente. Studi recenti peraltro indicano la efficacia della dieta aglutinata sul miglioramento dei sintomi di IBS-D nei soggetti DQ2positivi cui si accompagna una riduzione del titolo anticorpale IgG-TGA, e la presenza nei pazienti celiaci di una ipersensibilità viscerale analoga a quella dei soggetti con IBS che scompare dopo dieta aglutinata. Infine, se dal punto di vista prognostico è rilevante che dei pazienti con IBS-D postinfettivo oltre la metà sia ancora sintomatico dopo sei anni dalla sua comparsa, uno studio prospettico ad un anno dimostra che pur persistendo i sintomi i pazienti tendono a considerasi migliorati dalla consultazione iniziale, forse per riduzione della vigilanza verso i disturbi intestinali. Ci attendiamo nei prossimi anni una migliore definizione della epidemiologia e della storia naturale della malattia anche grazie alla recente introduzione dei criteri di Roma III. BIBLIOGRAFIA 1. Drossman DA et al. Gastroenterology 2005;128:580-589. 2. Dunlop SP et al. Am J Gastroenterol 2003;98:1578-83.
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Guilera M et al. Am J Gastroenterol 2005:100:1-11. Halder SLS et al. Gastroenterology, in press. Neal KR et al. Gut 2002;51:410-3. Marshall JK et al. Gastroenterology 2006 ;131 :446-60. Mearin F et al. Aliment Pharmacol Ther 2007;23:815-26. Sanders DS et al. Lancet 2001;358:1504-8. Wang LH et al Gut 2004;53:1098-101. Whahnschaffe U et al. Clin Gastroenterol Hepatol 2007;5:844-50.
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SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE CON ALVO ALTERNO-DIARREA (CRITERI DI ROMA III). QUANDO INDAGARE.
GUIDO BASILISCO Gastroenterologia. IRCCS Fondazione Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena. Milano Introduzione. La sindrome dell’intestino irritabile è una alterazione funzionale dell’intestino caratterizzata da dolore o fastidio addominale ricorrente al meno tre giorni al mese negli ultimi tre mesi (con esordio da al meno 6 mesi) che migliora con la defecazione e si associa a cambiamenti nella frequenza o nella forma delle feci 1. I pazienti affetti dalla sindrome sono caratterizzati da oggettive alterazioni dell’alvo 2. Sulla base del tipo di alvo predominante i pazienti possono essere classificati in sottogruppi con stipsi o diarrea. Diversamente dalle precedenti classificazioni, i criteri di Roma III stabiliscono che il tipo di alvo del paziente debba essere identificato non attraverso i sintomi riferiti, ma attraverso l’uso di scale visive per la forma delle feci come la scala di Bristol 3. L’uso di questa scala insieme a un questionario che registri le variazioni dei sintomi nel tempo sono necessari per una più precisa definizione dei pazienti. La sindrome dell’intestino irritabile viene diagnosticata principalmente attraverso la raccolta dei sintomi che la caratterizzano, ma in presenza di sintomi di allarme devono essere eseguite alcune indagini mirate ad identificare eventuali malattie organiche. Scopo della presentazione sarà quello di riassumere le modalità per una più corretta raccolta dei sintomi che caratterizzano la sindrome e quindi le indagini necessarie a stabilire una diagnosi. Raccogliere i sintomi. Una corretta raccolta dei sintomi che definiscono la sindrome è il primo passo per identificare la malattia. E molto importante, al fine di distinguere tra la sindrome dell’intestino irritabile e una malattia organica, che i sintomi siano ricorrenti da più di sei mesi. Inoltre devono essere raccolti i sintomi di accompagnamento che supportano la diagnosi e includono: una alterata frequenza dell’alvo: a) < 3 evacuazioni la settimana, b) > 3 evacuazioni al giorno, una forma delle feci non normale: c) a blocchi o dure, d) molli o acquose, la presenza di sintomi associati all’evacuazione
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Letture quali: e) lo sforzo per defecare e f ) l’urgenza, e anche: un senso di evacuazione incompleta, l’ emissione di muco, e un senso di gonfiore addominale 1. I criteri di Roma III stabiliscono che la forma delle feci debba essere definita attraverso l’uso di una scala visiva come la scala di Bristol1. Questa necessità deriva dal fatto che l’identificazione del tipo di alvo (diarroico o stitico) da parte del paziente è spesso fallace. La “diarrea” riportata dal paziente riflette solo nel 39% dei casi alterazioni di frequenza o di forma delle feci o la presenza del sintomo di urgenza 4. La definizione di diarrea attraverso il peso, la viscosità e il contenuto in acqua delle feci appare difficilmente praticabile ed è fortemente influenzata da fattori dietetici e geografici5. Definire la diarrea attraverso la forma delle feci presenta invece diversi vantaggi 5. Per la maggior parte dei pazienti la presenza anche di una sola scarica di feci molli è “diarrea” mentre solo un terzo la riferisce in presenza di un aumento della frequenza dell’alvo, suggerendo quindi che la variazione di forma sia più clinicamente rilevante della variazione di frequenza. Inoltre la forma delle feci si correla meglio della frequenza dell’alvo al tempo di transito colico suggerendo quindi che alterazioni della forma riflettano oggettive variazioni della funzione del colon. Va sottolineato però che la valutazione della forma delle feci necessita dell’uso di scale visive, come quella di Bristol, poiché l’uso di descrittori verbali non è affidabile, in particolare per le feci descritte come molli o semi-formate ed è soggetto a maggiori errori legati alla capacità di ricordare. Sulla base di queste considerazioni la caratterizzazione della forma delle feci nei pazienti con sospetta sindrome dell’intestino irritabile deve essere eseguita utilizzando la scala di Bristol dove il numero 1-2 indica feci dure o a blocchi e il numero 6-7 indica feci molli o liquide. I pazienti con feci di tipo 1-2 della scala di Bristol per più del 25% delle evacuazioni vengono classificati “con alvo stitico”, i pazienti con feci di tipo 6-7 vengono classificati “con alvo diarroico” mentre quelli che hanno più del 25% delle evacuazioni con entrambe le forme vengono classificati “con alvo misto”. Vengono invece definiti IBS con alvo alterno quelli che in un anno siano passati almeno una volta da un alvo stitico a un alvo diarroico o viceversa 6. In conclusione appare evidente come per una corretta classificazione del paziente con sindrome dell’intestino irritabile sia necessario predisporre un questionario corredato di una scala di Bristol, in cui la forma delle feci in relazione ai sintomi del paziente sia registrata nel tempo 5. Stabilire la diagnosi. La verifica dei criteri di Roma nel paziente è il primo passo per la diagnosi. Infatti in assenza di sintomi di allarme per una malattia organica, la presenza dei criteri di Roma ha un valore predittivo positivo per la diagnosi del 98-100% 7. Ma quali sono i sintomi di allarme 7,8 che ci devono far sospettare una malattia organica alla base dei sintomi ? I sintomi sono l’età di esordio maggiore di 50 anni, il sesso maschile, la presenza di sangue nelle feci, una breve storia dei sintomi (<6 mesi), il calo ponderale, sintomi durante la notte, una storia familiare di cancro del colon o di malattia infiammatoria idiopatica, il recente uso di antibiotici e un esame obiettivo anormale. Altre caratteristiche che possono essere utili nel distinguere i pazienti con sindrome dell’intestino irritabile da quelli organici includono 9: avere sintomi non precedentemente spiegati o sintomi multipli, avere paura del cancro, avere i sintomi da
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più di sei mesi e aggravati dallo stress e non sentirsi meglio rispetto ai diversi sintomi dopo la visita. In presenza di sintomi compatibili con la diagnosi di sindrome dell’intestino irritabile, quale è la probabilità pre-tests di una diagnosi alternativa. Solo la malattia celiaca è più frequente nei pazienti, mentre la probabilità a priori di altre diagnosi differenziali non si discostano da quelle nella popolazione generale 10. Pertanto che esami devono essere richiesti nei pazienti con sintomi tipici per la sindrome dell’intestino irritabile? In pazienti di età inferiore a 50 anni e senza sintomi di allarme possono essere richiesti un emocromo, la PCR e gli anticorpi anti-endomisio insieme alle immunoglobuline IgA. Il dosaggio del TSH può essere richiesto in quanto, come nella popolazione generale può identificare, con prevalenza non trascurabile, alterazioni della funzione tiroidea potenzialmente curabili. Il paziente va comunque rassicurato anticipando che gli esami risulteranno molto probabilmente normali. Verrà quindi iniziato il trattamento e il paziente verrà rivalutato a una visita di controllo. In presenza di una sintomatologia atipica, in assenza di miglioramento alla visita di controllo, o in presenza di sintomi di allarme verrà presa in considerazione l’esecuzione di ulteriori tests 10,11, pur consapevoli che la resa diagnostica di queste indagini rimane comunque bassa. La colonscopia potrà rivelare nel giovane una malattia infiammatoria intestinale idiopatica e nell’anziano una neoplasia. L’ecografia dell’addome può essere presa in considerazione in presenza di sintomi atipici. La ricerca dei parassiti nelle feci va riservata a casi selezionati. Il breath test al lattosio può essere riservato ai pochi pazienti che consumano più di 240 ml di latte/die, in quanto una associazione tra l’assunzione di lattosio e i sintomi non è stata dimostrata per assunzioni di quantità di lattosio inferiori a quelle contenute in 240 ml di latte anche in pazienti intolleranti al lattosio. Posta in questo modo, la diagnosi di sindrome dell’intestino irritabile sembra essere sicura in quanto meno del 2% dei pazienti sviluppa una malattia organica a 5 anni dalla diagnosi12. Conclusioni L’identificazione dei pazienti con sindrome dell’intestino irritabile richiede l’uso di questionari che includano la scala di Bristol per la valutazione della forma delle feci. La diagnosi in assenza di sintomi di allarme si basa principalmente sulla ricerca dei sintomi caratteristici della sindrome mentre la resa diagnostica di eventuali esami di approfondimento è bassa. BIBLIOGRAFIA 1. Longstreth GF, Thompson WG, Chey WD, Houghton LA, Mearin F, Spiller R. Functional bowel disorders. Gastroenterology 2006; 130: 1480-1491. 2. Heaton KW, Ghosh S, Braddon FEM. How bad are the symptoms and bowel dysfunction of patients with the irritable bowel syndrome? A prospective, controlled study with emphasis on stool form. Gut 1991;32:73-79. 3. O’Donnell LJD, Virjee J, Heaton KW. Detection of pseudodiarrhoea by simple clinical assessment of intestinal transit rate. Br Med J 1990;300:439-440. 4. Talley NJ, Weaver AL, Zinsmeister AR, Melton III LJ. Self-reported
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Letture 5. 6.
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diarrhea: what does it mean? Am J Gastroenterol 1994;89:11601164. Campbell E, Spiller RC. Symptoms of diarrhoea. In: Corazziari E: Diarrhoeal illness. 2006 Messaggi International. Milano. Italy. Drossman DA, Morris CB, Hu Y, Toner BB, Diamant N, Laserman J, et al. A prospective assessment of bowel habit in irritable bowel sindrome in women: defining an alternator. Gastroenterology 2005; 128: 580-589. Vanner SJ, Depew WT, Paterson WG, DaCosta LR, Groll AG, Simon JB, Djurfeldt M. Predictive value of the Rome criteria for diagnosing irritable bowel syndrome. Am J Gastroenterol 1999; 2912-2917. Hammer J, EslickGD, Howell SC, Altiparmak E, Tallej NJ. Diagnostic yeld of alarm features in irritable bowel syndrome and functional dyspepsia. Gut 2004; 53: 666-672 Thompson WG, Heaton KW, Smyth GT, Smyth C. Irritable bowel syndrome in general practice: prevalence, characteristics, and referral. Gut 2000; 46: 78-82. Cash BD, Schoenfield P, Chey WD. The utility of diagnostic tests in irritable bowel syndrome patients: a systematic review. Am J Gastroenterol 2002; 97: 2812-2819. Hamm LR, Sorrells SC, Harding JP, Northcutt AR, Heath AT, Kaple GF et al. Additional investigations fail to alter the diagnosis of irritable bowel syndrome in subjects fulfilling the Rome criteria. Am J Gastroenterol 1999; 94: 1279-1282. Camilleri M, Heading RC, Thompson WG. Consensus report: clinical perspectives, mechanisms, diagnosis and management of irritable bowel syndrome. Aliment Pharmacol Ther 2002; 16: 1407-1430.
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CONSTIPATION ILLNESS CONSERVATIVE THERAPY: PROBIOTICS AND SYMBIOTICS
GABRIELE BAZZOCCHI Montecatone Rehabilitation Institute - Università di Bologna, Imola Si definiscono “probiotici” preparazioni contenenti microrganismi vivi, perfettamente tipizzati sul piano tassonomico che, una volta assunti in adeguate quantità, sono in grado di modificare la microflora residente in una determinata sede dell’ospite, esercitando in questo modo un benefico effetto per l’ospite stesso. Come si vede, molti prodotti del commercio, non hanno queste precise caratteristiche: è giusto quindi iniziare a distinguere tra veri e propri “farmaci” probiotici e generici prodotti con “fermenti”. Anche tra i probiotici, bisognerebbe ormai iniziare a specificare che non tutti sono uguali: differenti gruppi batterici hanno effetti differenti e solo di una minoranza dei ceppi batterici conosciuti si è testato l’effetto sulla stipsi e più in generale sui disordini funzionali intestinali 1. “Prebiotici” sono quei componenti dei cibi che ingeriamo che inducono effetti benefici nell’ospite stimolando selettivamente la crescita e/o particolari attività metaboliche di una o comunque poche specie batteriche della flora residente del colon. L’effetto benefico dei prebiotici può derivare sia dalla inibizione della proliferazione di microrganismi nocivi sia dalla stimolazione di microrganismi benefici. In questo senso intesa, anche le fibre alimentari ed il lattulosio devono essere considerati delle sostanze con un meccanismo d’azione “prebiotico”. Si chiamano “simbiotici” prodotti contenenti sia probiotici che molecole ad effetto prebiotico. Il razionale per la preparazione di questi prodotti è che la presenza dei prebiotici da una parte migliora la sopravvivenza dei batteri probiotici assunti per os durante il passaggio attraverso le prime vie digestive, e dall’altra favorisce la colonizzazione di questi nel colon, sia stimolando la crescita degli stessi batteri probiotici introdotti, sia di specie residenti che possono collaborare all’attecchimento della flora transeunte. La stipsi funzionale riconosce molteplici meccanismi eziopatogenetici: a questo disturbo, che interessa strati significativi della popolazione dei paesi ad alto tenore di vita, si può arrivare attraverso varie vie che coinvolgono la contrattilità della parete intestinale, i meccanismi della percezione viscerale, il trasporto dei contenuti endoluminali, fluidi e gas, e quindi le modalità di espulsione di questi. Per poter discutere del ruolo di prebiotici, probiotici e simbiotici nel trattamento della stipsi, deve essere tenuto presente il ruolo della microflora del colon in relazione alla regolazione delle sue funzioni motorie ed al trasporto delle feci. Il microbiota intestinale è rappresentato da oltre 400 diversi gruppi batterici che vanno a formare una biomassa che può arrivare a pesare 1.5 kg, praticamente un secondo fegato costituito da 100.000 miliardi di cellule procariotiche 2. È interessante ricordare come nei pazienti con stipsi sia stata riscontrata una proporzionale riduzione sia dell’acqua che della componente solida delle feci 3. L’efficacia terapeutica delle fibre alimentari solubili sulla stipsi, in particolare dello psyllium, presenta un livello di evidenza 2 e di raccomandazione B, alla pari di solo altri tre prodotti: lattulosio,
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Letture Polietilglicole (PEG) e Tegaserod 4. Se come si è detto, anche il lattulosio di fatto si comporta come un prebiotico, e se si tiene conto che anche lo stesso PEG è efficace nella stipsi in quanto interviene modificando il contenuto endoluminale piuttosto che agire direttamente sulla parete del viscere, ne emerge che la stipsi da disfunzione del colon è un problema primitivamente di alterazione dell’ecosistema intestinale, e non di dismotilità, come invece vi sono evidenze che sia per le stipsi secondarie a disfunzioni endocrine, a malattie neurologiche, a disgenetismi e patologie congenite. In altre parole solo il Tegaserod si configura come terapia efficacie nella stipsi agendo direttamente sui meccanismi della contrattilità di parete: tutti gli altri presidi efficaci intervengono prima battuta su fenomeni endoluminali. Anche per i prebiotici una azione benefica sulla stipsi è stata avanzata da vari lavori 5,6. Per le fibre insolubili le evidenze di efficacia non sono così chiare 7. L’azione terapeutica delle fibre, così come quella dei prebiotici più strettamente intesi (oligosaccaridi e inulina), è quella di aumentare il volume fecale attraverso un incremento della biomassa intestinale: contrariamente a quella che è un’opinione ancora assai radicata, nei pazienti, ma anche negli stessi medici, che l’efficacia dei prebiotici sia legata ad un effetto di “bulking” conseguenza di un richiamo di acqua prodotto dalle molecole polisaccaridiche di cui sono costituite, in realtà la loro azione favorente l’evacuazione deriva dal fatto che esse costituiscono il principale substrato metabolico per la microflora fermentativa del colon. I poli- e di-saccaridi prebiotici, in quanto non attaccabili dai normali enzimi digestivi dell’uomo, e quindi non assorbibili, attraversano inalterati il tenue e giungono nel colon dove vengono utilizzati solo da alcuni tipi di batteri residenti, stimolandone la moltiplicazione a scapito di quella di altri. Questa crescita batterica interessa prevalentemente batteri fermentativi che hanno azioni benefiche attraverso la produzione di vari metaboliti. In questo modo, la loro crescita rappresenta di fatto un processo di “produzione” della massa fecale. L’intestino cieco infatti, può essere considerato un vero e proprio bioreattore anaerobico, dove i carboidrati prebiotici vengono fermentati, in particolare dai bifidi e dai lattobaccilli, mentre bacteriodi, clostridi ed enterobatteri non mostrano incrementi significativi 8. Una parte della biomassa accresciuta dall’arrivo delle fibre con l’affluente ileale, attraverso il trasporto nel grosso intestino ed in seguito ai processi di riassorbimento e di “mixing” del contenuto che avvengono nei vari segmenti colici, va a costituire dal 60 all’80% del peso secco delle feci. La fermentazione dei prebiotici da parte di bifidi e lattici comporta la produzione di acidi grassi a catena corta e gas; inoltre anche la deconiugazione degli acidi biliari viene incrementata: ne consegue una stimolazione della motilità propulsiva, un’accelerazione del transito colico ed una regolarizzazione dell’assorbimento di fluidi ed elettroliti da parte del colon, tutti effetti favorenti la risoluzione di una condizione di stipsi 9. A tal proposito possiamo speculare che la progressiva inefficacia dei lassativi nel trattamento della stipsi cronica, per cui il paziente è spinto ad aumentarne il dosaggio, consegua proprio al depauperamento progressivo della microflora indotto dall’azione di questi, con quindi la sempre maggiore difficoltà a formare una quantità di feci adeguata ad essere trasportata ed espulsa in tempi accettabili. L’aumento del dosaggio dei lassativi ed il loro irrazionale impiego senza eventualmente un concomitante uso di simbiotici, innesca un
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circolo vizioso da cui molti pazienti non riescono più ad uscire. Nella stessa logica della azione dei prebiotici si colloca quella dei probiotici e quindi dei simbiotici nella stipsi. Gli effetti sono però meno studiati e gli studi controllati sono ancora pochi. I lavori che evidenziano un benefico effetto di preparazioni probiotiche o simbiotiche sui sintomi della stipsi, associati o meno a quelli dell’IBS, sono riportati in Tabella 1. TABELLA 1 - Studi con evidenze di effetti terapeutici di preparazioni probiotiche e simbiotiche sulla stipsi, nell’adulto ed in età pediatrica. Autore O’Mahony L Whorwell PJ Koebnick C Colecchia A Amenta M Bu LN Bekkali N
Probiotico Bifidobacterium infantis Bifidobacterium infantis Lactobacillus casei Shirota Bifidobacterium longum W11 Bifidobacterium longum W11 Lactobacillus casei rhamnosus Mixture
Referenza Gastroenterology 2005; 128: 541-551 Am J Gastroenterol 2006; 101; 1581-90 Can J Gastroenterol 2003; 17: 655-9 Minerva Gastroenterol Dietol 2006; 52: 349-58 Acta Biomed 2006; 77: 157-62. Pediatr Int 2007; 49: 485-90 Nutrition J 2007; 6: 17
Un recentissimo studio multicentrico in doppio cieco ha dimostrato l’efficacia di un latte fermentato contenente Bifidobacterium animalis sulla health-related QoL, sul bloating e sulla frequenza della evacuazione in 274 adulti con IBS predominanza stipsi 10: si può concludere che ormai questo approccio terapeutico basato su preparazioni capaci di modificare gli equilibri dell’ “ecosistema” intestinale e di incrementare il volume della flora batterica anaerobia, si sta configurando tra i più efficaci nel trattamento delle turbe dell’alvo su base funzionale. REFERENZE 1. Rigel-Kulka T, Ringel Y. Probiotics in irritable bowel syndrome: has the time arrived? Gastroenterology 2007; 132: 813-6. 2. Bengmark S. Probiotics and Prebiotics in prevention and treatment of gastrointestinal diseases. Gastroenterol Intl 1998; 11 (Suppl 1): 4-7. 3. Aichbichler BW, Wenzl HH, Santa Ana CA, Porter JL, Schiller LR, Fordtran JS. A comparison of stool characteristics from normal and constipated people. Dig Dis Sci 1998; 43: 2353-62. 4. Ramkumar D, Rao SSC. Efficacy and safety of traditional medical thetapies for chronic constipation: systematic review. Am J Gastroenterol 2005; 100: 936-71. 5. Guarner F. Inulin and oligofructose: impact on intestinal diseases and disorders. Br J Nutr 2005; 93 (Suppl 1): S61-S65. 6. Nyman M. Fermentation and bulking capacity of indigestible carbohydrates: the case of inulin and oligofructose. Br J Nutr 2002; 87 (Suppl2): S163-S168. 7. Bijkerk CJ, Muris JWM, Knottnerus JA, Hoes AW, De Wit NJ. Systematic review: the role of different types of fibre in the treatment of irritable bowel syndrome. Aliment Pharmacol Ther 2004; 19: 245-51. 8. Cummings JH, Macfarlane GT. Gastrointestinal effects of prebiotics. Br J Nutr 2002; 2 (Suppl 2): S145-S151. 9. Binder HJ, Mehta P. Short-chain fatty acids stimulate active sodium and chloride absorption in vitro in the rat distal colon. Gastroenterology 1989; 96: 989-96.
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Letture 10. Guyonnet D, Chassany O, Ducrotte P, Picard C, Mouret M, Mercier CH, Matuchansky C. Effect of fermented milk containing Bifidobacterium animalis DN-173 010 on the health-related quality of life and symptoms in irritable bowel syndrome in adults in primary care: a multicentre, randomized, double-blind, controlled trial. Alimet Pharmacol Ther 2007; 26: 475-86.
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SINDROME INTESTINO IRRITABILE: ALVO ALTERNO-DIARREA PROBIOTICI e SIMBIOTICI
GABRIELE BAZZOCCHI, PATRIZIA BRIGIDI* Rehabilitation Institute - Imola *Dipartimento di Scienze Farmaceutiche Università di Bologna Durante la vita intrauterina, il feto vive in un ambiente totalmente sterile. La nascita segna l’inizio di un contatto, fin dal passaggio nel canale vaginale e poi con l’allattamento al seno, con i microorganismi del corpo materno e dell’ambiente. Si verifica così la colonizzazione del tubo digerente che, in alcune settimane, vede il prolificare di oltre 400 differenti specie di batteri che raggiungono concentrazioni di 200 miliardi di cellule per grammo di contenuto endoluminale a livello del colon. Questi batteri rivestono completamente la mucosa intestinale per una superficie pari a quella di un campo da tennis e vivono a stretto contatto con essa, secondo una composizione ed una dislocazione stabile in tutta la razza umana, e che è il frutto di una selezione naturale avvenuta nel corso di migliaia di anni, in sintonia con il processo evolutivo dell’Homo Sapiens. La composizione della flora intestinale è peculiare per ciascun individuo, rispecchiando differenze inter-soggetti come le impronte digitali. A differenza quindi della superficie più estesa che ci separa dal mondo esterno, rappresentata dalla parete degli alveoli polmonari che però è sterile, sulla seconda superficie di separazione, la mucosa intestinale, è, per così dire, “spalmata” una enorme e variegata quantità di cellule batteriche, funghi e protozoi, che costituiscono un unicum dal punto di vista ecologico. Le iterazioni tra le componenti di questo ecosistema generano la caratteristica “infiammazione fisiologica” della mucosa intestinale, rappresentata dall’infiltrato linfo-monocitario uniformemente presente nella lamina propria. Questo costituisce un esempio chiaro di come tra l’enorme carica antigenica presente nel lume e la risposta immologica che costantemente da essa viene stimolata, si instauri un equilibrio di forze che da una parte ottiene un’efficace protezione contro la stessa, ma dall’altra influenza i fenomeni della tolleranza e modulazione immunitaria in senso sistemico. Le Malattie Infiammatorie Intestinali, Colite Ulcerosa ed il Morbo di Crohn, rappresentano certamente il paradigma di cosa può accadere a livello intestinale quando questo equilibrio si rompe, ma è possibile speculare, ed in alcuni casi vi sono
sono già suggestive evidenze sperimentali, che anche le dermatiti atopiche ed herpetiforme, l’artrite reumatoide e quelle forme cosidette “enteropatiche”, Il Lupus Eritematoso, fino alla Sclerosi Multipla sono tutte patologie nella cui patogenesi entrano alterazioni di questo ecosistema 1,2. È stato detto, per dare una spiegazione alla comparsa delle “Western diseases”, che i geni umani, adattatisi nell’arco di milioni di anni in relazione agli spartani stili di vita dei nostri antenati paleolitici, hanno malamente tollerato le profonde modificazioni che sono occorse durante l’ultimo segmento evolutivo e, in particolare, da pochi decenni a questa parte nelle zone più ricche del pianeta. Certamente le abitudini alimentari costituiscono il campo dove più drammatico è stato il cambiamento, ma, considerando quanto fin qui detto, anche le modalità di parto (cesareo contro vaginale) e di allattamento (artificiale contro al seno), l’uso/abuso degli antibiotici, sono altri fattori che possono avere contribuito allo scardinamento dell’equilibrio tra le due biologie che coesistono a livello intestinale: il mondo procariotico ed il mondo eucariotico che si fronteggiano, interfacciano a livello della mucosa scambiandosi certamente messaggi ed intervendo sui reciproci meccanismi di regolazione. È generalmente accettato che i sintomi della Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) derivano da anormalità della funzione intestinale in senso di alterata percezione viscerale, dismotilità e anormalità della barriera epiteliale. Vi sono numerose prove che la rottura degli equilibri dell’ecosistema intestinale giochi un ruolo eziopatogenetico nella disfunzione intestinale dell’IBS. A parte evidenze dirette per un’associazione tra variazioni della microflora del colon e manifestazioni dell’IBS 3,4, vi è il dato che i paesi dove l’IBS ha una massima incidenza sono proprio quelli dove negli ultimi cinquant’anni si sono verificati enormi cambiamenti delle abitudini alimentari, sia in senso qualitativo sia di ridotto apporto di cibi contenenti batteri frutto di processi fermentativi. Sono stati modificati i rapporti quantitativi degli alimenti con un sostanziale aumento in zuccheri raffinati, grassi insaturi e sodio a scapito di fibre vegetali, minerali, lipidi di membrana, vitamine ed antiossidanti. L’avvento dei frigoriferi ha portato ad una scomparsa dei processi fermentativi presenti sui cibi che consumiamo, fenomeno prima di essi inevitabile e che comportava che i nostri antenati ingerissero molti più batteri “buoni”, i probiotici, di quanto non facciamo noi oggi. Queste modificazioni associate all’atteggiamento culturale dei nostri giorni che esige una pulizia estrema di cibo, degli ambienti e del nostro stesso corpo, hanno sicuramente favorito uno squilibrio della flora batterica intestinale, di certi processi metabolici e la proliferazione di alcuni gruppi batterici piuttosto che altri. C’è una considerevole massa di evidenze che l’IBS post-infettivo sia associato ad un persistente e subdolo stato infiammatorio della mucosa del colon. Più in generale ora si pensa ad una associazione tra IBS e una immunoattivazione: anche un solo episodio di entero-colite frutto di una aggressione batterica produce una risposta infiammatoria locale che può portare ad una attivazione delle mastcellule e quindi a ipersensibilità viscerale per fenomeni di alterata permeabilità epiteliale 5. L’uso di antibiotici è stato messo in relazione all’esordio di una sintomatologia riferibile ad IBS. D’altro canto, l’efficacia di un antibiotico come la neomicina su IBS-like sintomi supporta in modo molto forte che questi fossero sostenuti da un overgrowth di certi ceppi batterici nel tenue 6.
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Letture Il ripristino di alterati equilibri della microflora intestinale potrebbe quindi essere un effetto utile al fine del controllo dei sintomi di IBS; l’impiego di probiotici ed anche di prebiotici capaci di ottenere questo obiettivo riconosce quindi un razionale ben fornito di considerazioni teoriche. I probiotici in particolare potrebbero agire in quanto dotati di azioni antibatteriche e antivirali, intervenendo quindi sul decorso di forme post-infettive di IBS. In secondo luogo alcuni probiotici hanno mostrato indubbie capacità antinfiammatorie a livello della mucosa intestinale, per cui potrebbero inibire l’attivazione immuno-mediata dei neuroni enterici, motori e sensitivi, riducendo il flusso neuronale tra intestino e SNC 7. Modificazioni della composizione della flora batterica intestinale indotte da probiotici, prebiotici e simbiotici potrebbero poi regolarizzare la funzionalità intestinale direttamente, attraverso la crescita di lattobacilli e bifidi normali commensali o la soppressione di patogeni, oppure indirettamente, attraverso la riduzione di attività infiammatorie stimolate da patogeni o di processi putrefattivi o fermentativi nocivi. Infine probiotici e prebiotici, intervenendo sul volume, la composizione del materiale fecale, la produzione di gas e la secrezione del muco, potrebbero influenzare il rapporto tra parete intestinale e suo contenuto e quindi modulare sintomi quali stipsi e diarrea. Gli studi che hanno testato l’effetto di preparazione probiotiche sui sintomi di IBS sono pochi ed i risultati ottenuti sono difficilmente comparabili tra di loro per diversità di disegno sperimentale, tipo di probiotico impiegato e suo dosaggio. I più recenti sono riportati in Tabella 1. TABELLA 1 - Studi con evidenze di effetti terapeutici di preparazioni probiotiche e simbiotiche sul IBS alvo alterno e diarrea. Autore Kim HJ Kim HJ Nobaek S Kajander K Niv E Tsuchiya J Sen S Bausserman M Niedzielin K O’Sullivan MA O’Mahony L Whorwell PJ
Probiotico Mixture (VSL#3) Mixture (VSL#3) Lactobacillus plantarum Mixture Lactobacillus reuteri Simbiotic Lactobacillus plantarum Lactobacillus GG Lactobacillus plantarum Lactobacillus GG Bifidobacterium infantis Bifidobacterium infantis
Referenza Neurogastroenterol Motil 2005; 17; 687-96. Aliment Pharmacol Ther 2003; 17: 895-904. Am J Gastroenterol 2000; 95: 1231-8. Aliment Pharmacol Ther 2005; 22: 387-94. Clin Nutr 2005; 24: 925-31. Chin J Dig Dis 2004; 5: 169-74. Dig Dis Sci 2002; 47: 2615-20. J Pediatr 2005; 147: 197-201. Eur J Gastroenterol Hepatol 2001; 13: 1143-7. Dig Liver Dis 2000; 32: 302-4. Gastroenterology 2005; 128: 541-551. Am J Gastroenterol 2006; 101; 1581-90.
I risultati di questi studi sono contrastanti in particolare perché modificavano solo alcuni dei sintomi dell’IBS: o il dolore oppure le turbe dell’alvo oppure il bloating. Gli ultimi due studi controllati hanno invece dimostrato che il bifido batterio impiegato, e non il Lattobacillus salivarius, pure testato, influenzavano positivamente i sintomi cardinali dell’IBS, con un guadagno terapeutico >20% rispetto al placebo. A tutt’oggi solo una esperienza ha mostrato un effetto positivo di una miscela di probiotici sul IBS predominanza-diarrea e sulla diarrea funzionale secondo i criteri di Roma, valutando contemporaneamente la presenza della flora probiotica transeunte nelle
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feci dei pazienti e le modidificazioni di attività enzimatiche di origine batterica quali l’ureasi e l’alfa galattosidasi 8,9. Da tutto quello fin qui discusso, si può ben comprendere il perché di un dato ormai acquisito: le fibre solubili come lo psyllium sono efficaci non solo nella stipsi, ma anche nella diarrea cronica su base disfunzionale 10. REFERENZE 1. Tancrede C. Role of human microflora in health and disease. Eur J Clin Microbiol Infect Dis 1992; 11: 1012-5. 2. Bengmark S. Probiotics and prebiotics in prevention and treatment of gastrointestinal diseases. Gastroenterol Intl 1998; 11 (Suppl1): 4-8. 3. Kassinen A, Krogius-Kurikka L, Mäkivuokko H, Rinttilä T, Paulin L, Corander J, Malinen E, Apajalahti J, Palva A. The fecal microbiota of irritable bowel syndrome patients differs significantly from that of healthy subjects. Gastroenterology 2007;133:24-33. 4. Malinen E, Rinttilä T, Kajander K, Mättö J, Kassinen A, Krogius L, Saarela M, Korpela R, Palva A. Analysis of the fecal microbiota of irritable bowel syndrome patients and healthy controls with real-time PCR. Am J Gastroenterol. 2005 ;100: 373-382. 5. Gui XY. Mast cells,: a possible link between psychological stress, enteric infection, food allergy and gut hypersensistivity in the irritable bowel syndrome. J Gastroenterol Hepatol 1998; 13: 980-9. 6. Pimentel M, Chow EJ, Lin HC et al. Eradication of small intestinal bacterial overgrowth reduce symptoms of irritable bowel syndrome. Am J Gastroenterol 2000; 95: 3503-6. 7. McCarthy J, O’Mahony L, O’Callaghan et al. Double blind, placebo controlled trial of two probiotic strains in interleukin 10 knockout mice and mechanistic link with cytokine balance. Gut 2003; 52: 975-80. 8. Brigidi P, Vitali B, Swennen E, Bazzocchi G, Matteuzzi D. Effects of probiotic administration upon the composition and enzymatic activity of human fecal microbiota in patients with irritable bowel syndrome or functional diarrhea. Res Microbiol 2001; 152: 735-41. 9. Bazzocchi G, Gionchetti P, Almerigi PF et al. Intestinal microflora and oral bacteriotherapy in irritable bowel syndrome. Digest Liver Dis 2002; 34: S48-S53. 10. Qvitzau S, Matzen P, Madsen P. Treatment of chronic diarrhoea: loperamide versus ispaghula husk and calcium. Scand J Gastroenterol 1988; 23: 1237-40.
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GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Letture ANTIBIOTICI
MICHELE DI STEFANO, GINO ROBERTO CORAZZA Clinica Medica 1, Università di Pavia, Fondazione IRCCS Policlinico “S.Matteo”, Pavia. L’approccio terapeutico della sindrome dell’intestino irritabile rappresenta un vivace argomento di dibattito in quanto a tutt’oggi pochi rimedi hanno mostrato una incoraggiante efficacia nella pratica clinica. Verosimilmente, il polimorfismo fisiopatologico della condizione è la causa di tale inefficacia e una migliore caratterizzazione clinica dei pazienti potrebbe permettere la prescrizione di terapie maggiormente mirate. L’uso degli antibiotici ha recentemente acquisito una rilevanza maggiore in quanto ad alterazioni della composizione quali-quantitativa della flora batterica intestinale è stato attribuito un importante ruolo nella fisiopatologia dei sintomi funzionali che caratterizzano il quadro clinico dell’IBS. Tuttavia, il meccanismo precipuo attraverso il quale l’alterazione della flora batterica batterica induce l’insorgenza di sintomi non è ancora ben definito. Se da un lato esistono evidenze che suggeriscono lo sviluppo di una flogosi parietale a basso grado di attività 1, è indubbio che una un’alterazione della composizione della flora batterica intestinale possa produrre una modificazione della attività metabolica intraluminale. Una conseguenza facilmente valutabile è rappresentata dalla presenza di una eccessiva quantità di gas intraluminale, una alterazione che può rendersi responsabile dello sviluppo di alcuni sintomi funzionali quali meteorismo, dolore/discomfort addominale, flatulenza. Essenzialmente due meccanismi possono essere ritenuti responsabili dell’accumulo di gas intraluminale: un difetto di espulsione del gas, anche normalmente prodotto, legato ad un disordine motorio dell’intestino ed un incremento della produzione che supera la capacità di espulsione. In un gruppo di pazienti con IBS, diversi anni fa, fu dimostrata una minore capacità di espulsione di gas perfuso a livello del tenue, rispetto a volontari sani 2 e, più recentemente, è stato dimostrato che tale alterazione va attribuita ad un difetto dell’attività motoria propulsiva del gas perfuso esclusivamente a livello dell’intestino tenue, senza alterazioni rilevabili a livello dell’ileo terminale e del colon 3. Tali risultati suggeriscono che in pazienti con IBS il gas prodotto a livello del piccolo o del grosso intestino segue un destino differente. Nel tratto superiore, attraverso le reazioni biochimiche legate alla digestione del cibo ingerito, viene prodotta una rilevante quantità di gas 4 il cui management può essere difficoltoso in pazienti con IBS, caratterizzati da un disordine motorio del tenue che, teoricamente, può essere ritenuto responsabile anche della relazione temporale tra assunzione del cibo e insorgenza di meteorismo postprandiale. Al contrario, il colon sembra essere in grado di gestire la propulsione ed espulsione del gas in maniera efficace. Esistono pochi dati sulla composizione della flora batterica intestinale in pazienti con IBS. In campioni fecali è stata segnalata una ridotta concentrazione di lactobacilli, bifidobacteria e coliformi e la presenza di specie non rilevabili in campioni di volontari sani (Pseudomonas, Proteus, Enterobacter liquefaciens, Aerobacter ed Eubacteria) 5.
Più recentemente, tali risultati sono stati solo parzialmente confermati ed in pazienti con IBS variante diarrea è stata segnalata una minore concentrazione di lactobacilli rispetto a pazienti con IBS variante stipsi, senza, tuttavia, differenze tra i due sottogruppi di pazienti con IBS ed i volontari sani 6. Un altro recente lavoro, invece, non ha mostrato differenze nella composizione della flora batterica del colon tra IBS e volontari sani, ma ha segnalato una instabilità della flora batterica maggiormente pronunciata in pazienti con IBS 7. Non esiste, pertanto, a tutt’oggi una visione definitiva del problema. La presenza di alterazioni della composizione della flora batterica può essere comunque indirettamente ipotizzata in quanto tali alterazioni si traducono in una differente produzione di gas a livello del colon. In pazienti con IBS che seguono una dieta standardizzata è stato dimostrato un aumento della produzione di gas rispetto a volontari sani, correggibile mediante la riduzione dell’introito con la dieta di materiale fermentabile 8. Tale approccio era in grado di ridurre anche la severità della sintomatologia dei pazienti. Al contrario, la supplementazione della dieta con lattulosio, metilcellulosa o psyllium ha dimostrato che solo la flatulenza è da considerarsi un sintomo gas-relato: se la supplementazione di lattulosio induce solo un aumento dello score per la flatulenza, un significativo incremento dello score per il meteorismo è inducibile sia con la supplementazione di lattulosio che con quello di fibre: pertanto, sia l‘aumentata produzione di gas sia lo stato di riempimento dell’intestino (supplementazione in fibra non fermentabile) e, quindi, la tensione di parete sono in grado di produrre meteorismo 9. È stato, infatti, recentemente dimostrato che un aumento della tensione parietale rappresenta lo stimolo per l’insorgenza di sintomi 10. La contrazione isometrica del muscolo dell’apparato gastrointestinale contro un pallone intraluminale mantenuto a volume costante risulta percepito più frequentemente in particolare quando la forza della contrazione è aumentata da uno stimolo farmacologico 11. È possibile, pertanto, ipotizzare che in occasione di un aumento del contenuto intraluminale di gas, tali condizioni vengano riprodotte in vivo e si possa generare dolore. L’arrivo a livello del colon di carboidrati non assorbibili introdotti con la dieta induce un aumento dei processi di fermentazione con produzione di acqua, acidi grassi a catena corta e diversi gas, fra i quali anidride carbonica, idrogeno, metano e solfiti. Una porzione di tali gas, proporzionale alla quota prodotta, viene riassorbita dalla mucosa intestinale e veicolata ai polmoni attraverso il circolo per essere espulsa con il respiro. Tale meccanismo rende possibile la monitorizzazione della fermentazione colonica attraverso il breath test 12. Recentemente è stato dimostrato che l’escrezione cumulativa media di idrogeno con il respiro dopo somministrazione orale di un carboidrato non assorbibile è significativamente più elevata in pazienti con meteorismo rispetto a volontari sani 13. Considerando i singoli dati, tuttavia, un considerevole overlap dei risultati tra pazienti e controlli suggeriva che, oltre alla produzione di gas a livello intestinale, altri fattori sono sicuramente importanti nella fisiopatologia del sintomo meteorismo in pazienti con IBS. In altre parole, se sicuramente in un sottogruppo di pazienti la produzione eccessiva di gas è rilevante ai fini fisiopatologici, in un altro sottogruppo vanno considerati altri meccanismi. Tale risultato ha una decisa importanza in termini terapeutici, in quan-
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Letture to la somministrazione di modulatori della composizione della flora batterica intestinale mirata alla riduzione della fermentazione batterica ha un senso solo nel primo sottogruppo di pazienti. L’approccio terapeutico in presenza di normale produzione di gas diventa un rilevante challenge clinico in quanto non abbiamo indicazione del preciso meccanismo fisiopatologico alla base del sintomo. A tal proposito abbiamo recente dimostrato che in un sottogruppo di pazienti con IBS e rilevante sintomatologia meteorica, caratterizzati da normale produzione di gas intestinale, è presente una ipersensibilità alla distensione meccanica del retto-sigma 14. Ovviamente la somministrazione di modulatori della flora batterica intestinale non ha mostrato effetto alcuno sulla severità del meteorismo in questi pazienti, mentre ha indotto un significativo miglioramento in pazienti con iperproduzione di gas e normale sensibilità viscerale 15. Un problema non ancora risolto è rappresentato dalla scelta del farmaco. La scelta di un antibiotico non assorbibile può essere effettuata basandosi sulla simile espressività clinica dell’IBS con la sindrome da contaminazione batterica del tenue, caratterizzata da una eccessiva produzione di gas a livello del piccolo anziché del grosso intestino, legata alla anomala presenza di un eccessivo numero di batteri a tale livello. Non esistono dati conclusivi circa il rapporto fisiopatologico tra contaminazione batterica del tenue e IBS, recentemente suggerito, anche sulla base di dati preliminari che hanno mostrato una piccola percentuale di pazienti con più di 105 colony forming units nell’aspirato digiunale 16. In conclusione, la terapia antibiotica può avere un ruolo nel trattamento dei sintomi dell’IBS ma attualmente esistono evidenze favorevoli solo in quel sottogruppo di pazienti che mostrano una eccessiva produzione di gas intestinale. Pertanto, i pazienti candidati a tale approccio vanno accuratamente selezionati. Il razionale dell’impiego degli antibiotici è rappresentato dalla modulazione della composizione della flora batterica al fine di ridurre i processi fermentativi. La disponibilità di antibiotici non assorbibili con un favorevole profilo di tollerabilità rappresenta, quindi, un notevole vantaggio. BIBLIOGRAFIA 1. Khan WI, Collins SM. Gut motor function: immunological control in enteric infection and inflammation. Clin Exp Immunol 2006;143:389-97. 2. Serra J, Azpiroz F, Malagelada JR. Impaired transit and tolerance of intestinal gas in the irritable bowel syndrome. Gut 2001;48:14-9. 3. Salvioli B, Serra J, Azpiroz F, Lorenzo C, Aguade S, Castell J, Malagelada JR. Origin of gas retention and symptoms in patients with bloating. Gastroenterology 2005;128(3):574-9. 4. Suarez F, Levitt MD. Intestinal gas. In: Feldman M, Friedman LS, Sleisenger MH, eds. Sleisenger & Fordtran’s gastrointestinal and liver disease: pathophysiology, diagnosis, management. Philadelphia, PA: Saunders, 2002.155-163. 5. Balsari A, Ceccarelli A, Dubini F, Fesce E, Poli G. The fecal microbial population in the irritable bowel syndrome. Microbiologica 1982;5:185-194. 6. Malinen E, Rinttila T, Kajander K, Matto J, Kassinen A, Krogius L, Saarela M, Korpela R, Palva A. Analysis of the fecal microbiota of
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Letture I FARMACI ANTISPASTICI NELL A TERAPIA DELL A SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE
DANILO BADIALI Dipartimento di Scienze Cliniche Università La Sapienza, Roma Gli antispastici costituiscono un gruppo eterogeneo di farmaci, accomunati dalla capacità di inibire l’attività motoria intestinale, spontanea e/o stimolata. La loro indicazione nel trattamento della Sindrome dell’Intestino Irritabile (SII) trova fondamento nell’ipotesi che i sintomi siano generati da alterazioni dell’attività motoria intestinale, soprattutto a livello del colon. Questo meccanismo patogenetico, dimostrato in alcuni studi, è però valido per un sottogruppo di pazienti e più probabilmente rappresenta un co-fattore responsabile in modo variabile nella genesi della sintomatologia. I farmaci miorilassanti indicati per il trattamento della SII possono essere distinti in: • Anti-colinergici ad azione anti-muscarinica (M3) • Derivati dell’ammonio quaternario con azione di blocco dei canali del calcio • Spasmolitici (papaverinosimili) • Agonisti periferici delle enkefaline La validità della loro indicazione terapeutica è controversa e anche i lavori di revisione non sono sempre concordi nelle conclusioni 1-3. Ampiamente utilizzati e studiati in Europa, negli USA sono approvati soltanto due anticolinergici (ioscina e diciclomina), che presentano attività sistemica e quindi fastidiosi effetti collaterali. L’American College of the Gastroenterologyts, in una recente revisione, ha concluso che non ci sono dati sufficienti per sostenere l’efficacia degli antispastici, in commercio in Nord America, nel trattamento della SII 4. La difficoltà nel valutare la loro efficacia, nonostante i numerosi lavori presenti nella letteratura internazionale dipende da molteplici fattori. La diagnosi di SII comprende soggetti con caratteristiche diverse, soprattutto per quanto riguarda l’alvo; non sempre gli studi hanno tenuto presente questa differenziazione e molti (anche se ben condotti) sono stati eseguiti prima che fosse proposta una definizione standardizzata basata sui sintomi per la diagnosi della sindrome. Gli studi eseguiti, conseguentemente, non si riferiscono a pazienti omogenei. Nei disturbi funzionali cronici è riportata un’elevata risposta al placebo (~50%), quindi per valutare l’efficacia di un farmaco sono necessari trials prolungati nel tempo e con arruolamento di un ampio campione di pazienti. Infine essendo la sindrome costituita da più sintomi, la risposta terapeutica si esplica differentemente su ognuno di loro con un risultato complessivo che può dipendere, nella valutazione, dalla sensazione e/o dall’importanza che il singolo paziente attribuisce ad un determinato sintomo. Recentemente un ampio lavoro di meta-analisi 3 ha preso in considerazione 216 lavori eseguiti su farmaci antispastici, 68 dei quali eseguiti tra il 1993 e il 1999; in questa analisi sono stati compresi lavori pubblicati su riviste scientifiche europee, non di lingua inglese (francese, tedesco, italiano), non considerati da altre revisioni. La meta-analisi, confermando conclusioni degli stessi autori
precedentemente pubblicati, riporta un effetto terapeutico statisticamente significativo rispetto al placebo per sei molecole: cimetropio bromuro e ioscina (anticolnergici), mebeverina (papaverinosimile), otilonio bromuro e pinaverio bromuro (derivati dell’ammonio quaternario), trimebutina (agonista periferico delle enkefaline). Da questa meta-analisi si deduce che questi antispastici ottengono un miglioramento complessivo della sintomatologia nel 56% dei pazienti rispetto, al 38% del gruppo trattato con placebo (p<0.001), con una differenza massima osservata per il cimetropio bromuro (31%) e minima per la ioscina (11%). Valutando i diversi sintomi della SII, gli antispastici si sono dimostrati più efficaci del placebo nel trattamento del dolore addominale (miglioramento: 53% vs 41%; p<0.00.001), ma non per la distensione addominale né le alterazioni dell’alvo. L’efficacia terapeutica di questi farmaci è sostenuta peraltro da studi eseguiti in vitro e in vivo, che hanno dimostrato la loro capacità di modificare la risposta motoria del colon a stimoli di varia origine. L’otilonio bromuro 5, il pinaverium bromuro e il cimetropio bromuro riducono la risposta motoria del colon dopo pasto in pazienti affetti da SII, ma non in soggetti di controllo. La trimebutina, che presenta affinità simile per i recettori oppioidi mu (μ) delta (δ) e kappa (κ) possiede le stesse qualità ed inoltre si è osservato che riduce il tempo di transito nei pazienti con SII-stipsi prevalente 6. La mebeverina, è in grado di ridurre i movimenti di massa nel colon ascendente in soggetti resi diarroici mediante somministrazione di lattulosio 7. Questi studi dimostrano che gli effetti degli spasmolitici sull’intestino dipendono grandemente dal livello di attività funzionale nel quale esso si trova. L’azione di normalizzazione indotta dai farmaci sembra più evidente se esso si trova in una condizione di spasmo o di ipermotilità. Il limite di questi farmaci è costituito dagli effetti indesiderati, dovuti all’azione anticolinergica, e che sono: secchezza delle fauci, ridotta lacrimazione, ritenzione urinaria, stipsi. La selezione di molecole selettive per i recettori M3 e scarsamente assorbibili come i derivati quaternari d’ammonio e la mebeverina, ha limitato la presenza di tali disturbi. Nella terapia della SII un ruolo proprio è attribuito ai farmaci in grado di modificare la sensibilità viscerale. La trimebutina, ad esempio presentando affinità anche per il recettore kappa (κ) ottiene anche un aumento della soglia nocicettiva viscerale. Recentemente, mediante studi con barostato 8, è stato osservato che l’otilonio bromuro non modifica la percezione di distensione a livello retto-sigmoideo, ma per indurre dolore, a parità di volume, è sufficiente una minore pressione intra-luminale. Questa osservazione sembra suggerire che questo farmaco possa agire anche innalzando la soglia di percezione del dolore. Non ci sono indicazioni standardizzate per l’uso differenziato dei diversi farmaci secondo sottogruppo di pazienti, anche se alcuni studi sembrano indicare che quelli a maggior effetto spasmolitico, come la mebeverina o i calcio-antagonisti possano trovare maggiore indicazione nelle forme di SII diarrea prevalente. In proposito la mebeverina e il pinaverium bromuro sono stati testati in pazienti con SII diarrea-prevalente ottenendo una riduzione delle evacuazioni giornaliere e, per quanto riguarda il secondo, un accorciamento del tempo di transito intestinale 9. D’altra parte gli anti-colinergici e gli agonisti delle enkefaline sembrano potersi preferire in situazioni nelle quali il dolore è il sintomo predominante.
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Letture Nonostante la loro efficacia terapeutica, questi farmaci modificano scarsamente la storia naturale della malattia. È stato osservato che pazienti in terapia cronica con mebeverina, presentavano comunque un aumentato ricorso a visite ed esami medici di ambito gastroenterologico, e una maggiore spesa farmaceutica, anche se questa in gran parte dovuta all’uso di lassativi. Essi inoltre non sembrano migliorare, a medio e lungo termine, le ripercussioni sul lavoro e attività sociali, che invece sono avvantaggiate se al trattamento con antispastici si associa una terapia cognitivo-comportamentale 10. In conclusione gli antispastici costituiscono un gruppo eterogeneo di farmaci che riducendo con meccanismi diversi la risposta motoria intestinale risultano efficaci nella terapia della SII, soprattutto per quanta riguarda il dolore addominale. Modificano scarsamente le alterazioni dell’alvo, per cui frequentemente devono essere associati ad altri farmaci (soprattutto lassativi). Non cambiano la storia naturale del disturbo e necessitano quindi di somministrazioni ripetute, regolate dalla presentazione dei sintomi. BIBLIOGRAFIA 1. Camilleri M. Review article: clinical evidence to support current therapies of irritable bowel syndrome. Aliment Pharmacol Ther 1999;13 Suppl 2:48-53 2. Jailwala J, Imperiale TF, Kroenke K. Pharmachologic treatment of the irritable bowel syndrome: a systematic review of randomized, controlled trials. Ann Intern Med 2000;133:136-147. 3. Poynard T, Regimbreau C, Benhamou Y. Meta-analysis of smooth muscle relaxants in the treatment of irritable bowel syndrome. Aliment Pharmacol Ther 2001;15:355-361. 4. ACG. American College of Gastroenterology Functional Gastrointestinal Disorders Task Force. Evidence-based position statement of on the management of irritable bowel syndrome in North America. Am J Gastroenterol 2002;97(11 Suppl.):S1-5. 5. Baldi F, Longanesi A, Blasi A, Monello S, Cestari R, Missale G, Corazziari E, Badiali D, Pescatori M, Anastasio G, et al. Clinical and functional evaluation of the efficacy of otilonium bromide: a multicenter study in Italy. Ital J Gastroenterol. 1991;23 (Suppl 1):60-63. 6. Corazziari E. Role of opioid ligands in the irritable bowel syndrome. Can J Gastroenterol. 1999;13 Suppl A:71A-75A. 7. Washington N, Ridley P, Thomas C, Spiller RC, Watts PJ, Wilson CG. Mebeverine decreases mass movements and stool frequency in lactulose-induced diarrhoea. Aliment Pharmacol Ther. 1998;12:583-8. 8. Czimmer J, Suto G, Kiraly A, Mozsik G. Otilonium bromide enhances sensory thresholds of volume and pressure in patients with irritable bowel syndrome. J Physiol Paris. 2001;95(1-6):153-6. 9. Lu CL, Chen CY, Chang FY, Chang SS, Kang LJ, Lu RH, Lee SD. Effect of a calcium channel blocker and antispasmodic in diarrhoeapredominant irritable bowel syndrome. J Gastroenterol Hepatol. 2000;15:925-930. 10. Kennedy T, Jones R, Darnley S, Seed P, Wessely S, Chalder T. Cognitive behaviour therapy in addition to antispasmodic treatment for irritable bowel syndrome in primary care: randomised controlled trial. BMJ, doi:10.1136/bmj.38545.505764 (10 August 2005)
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TREATMENT OF IRRITABLE BOWEL SYNDROME: CONTINUOUS, INTERMIT TENT OR ON DEMAND
PJ WHORWELL Professor of Medicine and Gastroenterology University of Manchester, UK Key words: IBS Treatment No single treatment suits every patient with IBS and consequently the way management is delivered and timed is dependent on the symptoms suffered by a particular individual. The current mainstays of management are: • Patient education • Dietary manipulation • Antispasmodics • Antidiarrhoeals • Laxatives • Antidepressants • Probiotics • Behavioural treatments Education is essential so that the patient fully understands the nature of their condition and what can and cannot be expected in terms of symptom relief. Cure is not possible but this does not mean that IBS is untreatable and considerable improvement should be achievable in a significant proportion of sufferers. Follow up should be offered as this serves to reassure the patient as well as confirming that the condition is legitimate and not just a trivial psychological disturbance. All patients want to know what to do about their diet and something as simple as reducing insoluble dietary fibre can often have striking effects especially if a patient is consuming considerable amounts of fibre 1, 2. If this approach results in improvement then it probably needs to be adhered to indefinitely. Antispasmodics are largely anti-cholinergic or anti-smooth muscle and vary considerably in efficacy between individuals although overall the evidence points towards them being beneficial 3. Finding the right one for a patient is often a process of trial and error and occasionally combining an anti-smooth muscle and an anti-cholinergic together is worth trying in a refractory individual. These drugs are best used on an as necessary basis as continuous use can lead to tachyphalaxis. If the IBS is characterised by diarrhoea, then anti-diarrhoeals are indicated and loperamide is the most popular choice especially as it has virtually no central effects and also improves anal tone 4. Administering a low dose on a regular basis is often better than taking a higher dose intermittently as the latter course of action can result in an alternating bowel habit. Another cause of an alternating bowel habit is due to a constipated bowel spontaneously clearing out or the excessive use of laxatives in constipation. In this situation anti-diarrhoeals usually make the situation worse and it may be that low dose laxatives are indicated. If the bowel habit is truly alternating then antidiarrhoeals can be used in an 'as necessary' fashion. In patients with constipation, laxatives should be employed using the same principles that apply to the use of antidiarrhoeals 4. A regular low dose is far more preferable than the
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Letture intermittent induction of a large catharsis and preparations such as polyethylene glycol or sodium picosulphate can be used long term without fear of them 'damaging' the bowel. Antidepressants, particularly of the tricyclic variety 5, are extremely useful in the management of IBS and probably should be used more often. Patients are frequently very reluctant to take such medications suspecting that the physician is using them because he thinks they are depressed. It is therefore important that the patient is made aware that they are being used for their additional effects on the gut and that the dose used is well below that used for depression. These drugs cannot be used in an intermittent or on demand fashion and it is important to point out to the patient that long term use is often necessary. A whole range of herbal, homeopathic and dietary approaches of questionable efficacy and often considerable cost are advocated for use in IBS. However, there is increasing evidence that probiotics may have utility 6 although they vary enormously in terms of their different activities and just because one helps it does not mean that a different one will necessarily be beneficial. These organisms do not usually colonise the gut so they need to be taken long term not only for the benefits to accrue, but also to maintain any improvement. If all else fails, then behavioural therapies are worth considering and the choice often depends on availability rather than necessarily which one is most effective. There is evidence that psychotherapy, cognitive behavioural therapy and hypnotherapy can relieve the symptoms of IBS 7 although there have been no comparisons between these treatment approaches to establish whether one may be superior to another. There has not been much work on whether their benefits are sustained although hypnotherapy has been shown to keep people well for at least five years 8 whereas this does not seem to be the case for the other two treatments. This may partly be due to the fact that hypnotherapy patients are given a audio tape or CD with which to practise thus reducing the need to go through further courses of treatment. In conclusion, the treatment of IBS needs tailoring to the patient with some medications being used on demand and others in a continuous manner. Whether, on demand or continuous, most approaches need to be used on a long term basis. REFERENCES 1. Francis CY, Whorwell PJ. Bran and irritable bowel syndrome: time for reappraisal. Lancet 1994;344(8914):39-40. 2. Bijkerk CJ, Muris JW, Knottnerus JA, Hoes AW, de Wit NJ. Systematic review: the role of different types of fibre in the treatment of irritable bowel syndrome. Aliment Pharmacol Ther 2004;19(3): 245-51. 3. Jailwala J, Imperiale TF, Kroenke K. Pharmacologic treatment of the irritable bowel syndrome: a systematic review of randomized, controlled trials. Ann Intern Med 2000;133(2):136-47. 4. Agrawal A, Whorwell PJ. Irritable bowel syndrome: diagnosis and
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FUNCTIONAL GASTROINTESTINAL DISORDERS IN CHILDREN
CARLO DI LORENZO, MD Division of Pediatric Gastroenterology, Children’s Hospital of Columbus, The Ohio State University, Columbus, Ohio, U.S.A. Functional gastrointestinal disorders (FGID) are conditions that describe clusters of symptoms related to a disorder in function at the level of the gastrointestinal tract or in the central processing of information originating from the gastrointestinal tract. Calling such conditions “functional” constitutes a problem. And the problem is that nobody knows for sure what functional means. Some of these conditions were previously called “idiopathic”, “chronic”, “simple”, “recurrent”, “nonulcer”, other poorly descriptive terms which were equally difficult to interpret for patients, families and physicians alike. Making a diagnosis of “recurrent diarrhea” or “chronic constipation” would be almost insulting nowadays. Usually that is what the patient tells the physician at the beginning of the visit as the reason for coming to see the doctor! The term “functional” should provide an opportunity for a discussion that needs to emphasize the current understanding of gut motor and sensory function and brain-gut interaction. Calling such disorders “dysfunctional” may indeed be more appropriate but current habits make it unlikely that the name will be changed. The current uncertainties in definition continue to contribute to biases from health care providers and societal stigma towards these conditions. If one cannot see or touch the abnormality, then is must “not be real”. People “believe” inflammation but often dismiss abnormal function. Pediatric FGID include entities that are peculiar to children, such as infantile regurgitation or infantile rumination and others that are found in adults as well, such as irritable bowel syndrome (IBS) or functional dyspepsia. As a whole, FGID are probably even more common in children than they are in adults. Interestingly,
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Letture the prevalence of some of the most common conditions, such as functional abdominal pain, functional dyspepsia, and functional constipation seems to remain constant in different countries characterized by diverse health care structure, diet and socioeconomic status (Table 1). Recent studies have demonstrated that FGID have also a significant impact on the quality of life of affected children and their families with the duration of symptoms inversely correlating with the quality of life 9, 10. TABLE 1 - Prevalence of pediatric FGID 20% of 4 mo/o infants regurgitate at least 4 times/day 1 Infant colic: 5-19% of infants 2 Cyclic vomiting: 1.9% of school age children 3 Aerophagia: 9% of institutionalized mentally retarded population 4 Functional dyspepsia: 5-20% of school age children 5 IBS: 14% of high school children 5 Abdominal migraine: 1-4% of children 6 Functional constipation: 5-30% of children 7 Fecal incontinence: 2% of 11 year old 8
Despite recent progress in our understanding of pathophysiologic mechanisms underlying some forms of FGID, no biologic marker exists yet to allow a definitive diagnosis of FGID. Based on recent studies using the electronic barostat, it has been suggested that the finding of rectal hyperalgesia is very suggestive for IBS 11, while the presence of rectal and gastric hyperalgesia characterizes children with functional abdominal pain 12. The barostat is an instrument which has now been used in children of all ages in order to evaluate gastric and rectal function (sensitivity to changes in pressure and tonic changes in response to ingestion of a meal). Normal values of rectal sensitivity in response to isobaric distension have been published in children 13. The use of pressures instead of volumes obviates the problem of taking into account organs of different size. The specificity and sensitivity of barostat testing in making a diagnosis of IBS in children has not been established yet, but based on studies in adults it is unlikely that more than 2/3 of children with IBS will have hyperalgesia. Other biologic markers described in adults, such as the increased number of activated mastcells found in proximity to sensory nerves in severe forms of pain predominant FGID 14, or the abnormal regional central activation in response to painful stimuli in adult patients with IBS 15 have not been studied yet in children with FGID. Children with functional dyspepsia have been found to have an increased number of “activated” eosinophils in the duodenum but the clinical relevance of this observation is still unclear 16 Thus, much like in the field of psychiatry, another discipline with rare biologic markers of specific diseases, one needs to rely on clusters of symptoms to make a positive diagnosis. The alternative to this strategy is an often fruitless attempt to rule out all other organic diseases that may present with similar symptoms. This and the ability to have more homogeneous criteria to enroll patients in research studies constitute the reasons for the development of symptoms based criteria. Such criteria have been called the “Rome criteria”. When the pediatric Rome criteria (Rome II) were first
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published in 1999, they were based on expert opinion and consensus rather than empiric data 17. This reflected a dearth of well-designed published studies in this field. A recent technical review of the published literature in children with chronic abdominal pain identified no study that could be labeled as level A (best quality) evidence 18. Studies aimed at evaluating the applicability of the pediatric Rome criteria in clinical practice found that many children with constipation were not captured by using the published criteria 19. Using a validated pediatric gastrointestinal questionnaire it was found that the criteria for functional abdominal pain were very restrictive, due to the requirement for “continuous” pain “interfering with activities” to be present 20. Another study evaluated the reproducibility of the pediatric Rome II criteria. For this purpose 10 pediatric gastroenterologists and 10 pediatric gastroenterology fellows were provided with 20 clinical vignettes 21. There was total diagnostic agreement among all pediatric gastroenterologists in only 2 of the 20 vignettes. The agreement in diagnosis was greater than 50% in only 7 of the 20 cases. The average percentage of agreement per clinical case was 45%, revealing an inadequate agreement. Attendings and fellows did not differ in rate of agreement. Thus, new criteria based on expert opinion and evidence accrued since the Rome II criteria were developed and were recently published 22 . Time (and hopefully a plethora of scientific data!) will tell if the Rome III criteria represent real progress. It continues to be the subject of substantial debate whether the Rome criteria are a useful tool for clinical practice or their utility remains confined to the research environment. It may be argued that the recent FDA approval of drugs for the treatment of FGID is at least in part due to the ability to enroll more homogeneous patients in clinical studies. Their usefulness in clinical practice has been suggested by at least one adult study in which no organic disease was found in patients fulfilling the Rome criteria for IBS in the absence of alarm signs 23. No such studies exist yet in pediatrics. In the past 5 years, there has been a tremendous increase in the number of investigators with an interest in pediatric FGID resulting in improved quality and higher quantity of studies in the field. The role of early life events, genetics, and environment on the development of FGID is beginning to be clarified. A study using a twin registry suggested that both genetics and the environment play a role in the development of IBS, with the environment being a stronger predictor than genetics 24. There is an increasing attention to the role that early life events have in the development of a variety of FGID. An animal model of neonatal stress has ben developed in rats by separating the newborn animal from the mother for several hours every day. The baby rat ends up developing visceral hyperalgesia later on in life 25. A provocative study from Sweden has recently suggested that passing a nasogastric catheter in newborns may predispose to the development of IBS in adults 26. New, less invasive diagnostic techniques aimed at evaluating the pathophysiologic mechanisms associated with subtypes of FGID, such the water load test, SPECT scanning, the use of C13-labelled meals to investigate gastric function have been validated in children and are beginning
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Letture to be used in research studies 27, 28, 29. Treatment: There is no uniformly successful treatment or cure for pain predominant FGID. Once the diagnosis of a functional disorder has been made, it is essential to emphasize the benign aspects of the condition in order to effectively reassure the patient and the family of its significance. It is particularly useful to mention conditions that the family may be familiar with, such celiac disease, Crohn’s disease, diverticulitis, colon cancer, gastric ulcer and specifically explain why the patient’s age, symptoms and physical examination are not consistent with any of those entities. Establishing an effective physician-patient-family relationship is key to success of the treatment and a limited amount of targeted testing may lead to more “effective” reassurance. Alleviating rather than eliminating symptoms is one of the main goals in caring for patients with FGID, with the objective being improving quality of life rather than complete well being. It is also helpful to discuss the role of emotions on gastrointestinal function and how mental health specialists are often needed to improve coping and alleviate pain at the beginning of the patient-physician encounter rather than at the end of a lengthy and often fruitless work-up. Reassurance. The family and the patient should be very clearly being told that the physician believes that the symptoms are “real” and that an organic or progressive disease is not present. They should be told that the problem is a common one and that many other children with the same conditions are seen every day in Clinic. Comparisons with other common and benign entities such as headaches and muscle or menstrual cramps may help. The family should be discouraged from reinforcing the symptoms by allowing the child to miss school and leisure activities. Patients with perceived low self-worth and academic competence may find the relief of responsibility as a benefit of the pain experience 30; meanwhile patients with adequate perception of their self-worth may become frustrated by their inability to keep up with their peers. The parents attitude towards the pain experience should be balanced, showing support and understanding, but being aware that excessive attention to the painful experience and missing activities may reinforce the symptoms 27. Psychosocial stressors at home or school should be addressed. It is often useful to communicate with the school nurse or teacher in order to address these issues 31. Diet. A detailed dietary history may identify factors that patients may feel as aggravating or provoking the symptoms. In a large study of adults with IBS 32, symptoms improved in almost 50% after an exclusion diet, indicating that a significant proportion of IBS patients could benefit from dietary manipulation. Data regarding dietary intolerance in children with FGID are scant. Lebenthal at al. 33 found a similar prevalence of lactase deficiency in children with recurrent abdominal pain and in a control group of children with similar ethnic background. Lactose-free elimination diet resolved symptoms in a similar percentage of patients in the lactose absorber and in the lactose malabsorbers. High-fiber diets have been long used in adult IBS patients but there are no similar data in pediatrics and accomplishing a substantial increase in fiber consumption especially in young children may be difficult.
Medications. Although studies in adults and anecdotal experience seem to suggest that some patients find relief by using anticholinergics such as hyoscyamine, dicyclomine or others that may modify intestinal tone and motility, such data are not available for pediatric FGID. These agents are best used on a sporadic basis, whenever the symptoms are present much like analgesics are used for headaches. An additional option for treating chronic abdominal pain is the use of tricyclic antidepressants (TCA). The analgesic effects of TCA and other antidepressants are independent of their effects on depression, and this information should be shared with the family and the patient. These agents seem to be especially effective in diarrheapredominant patients and those with disturbed sleep when slowing intestinal transit and the side effects of sleepiness may be of therapeutic value. Selective serotonin re-uptake inhibitors, such as citalopram, paroxetine, fluoxetine, or sertraline also seem to have therapeutic value in relieving symptoms in some adult patients with FGID. In an open-label pediatric study of children with chronic abdominal pain, citalopram was found to significantly improve ratings of abdominal pain, anxiety, depression, other somatic symptoms, and functional impairment compared with baseline 34. There is currently much interest in clinical gastrointestinal pharmacology focused on serotonin (5HT) receptors. 5-HT4 agonists such as tegaserod have been developed for treatment of patients with IBS and constipation. A pediatric study looking at the effect of polyethylene glycol 3350 with and without tegaserod in adolescents with constipation predominant IBS, showed that the laxative alone improved stooling but not pain and addition of tegaserod resulted in alleviation of pain as well 35. Other interventions. Despite the interventions described above, some patients will continue to experience symptom leading to an interest in alternative therapies such as diet supplements, probiotics, and cognitive behavioral interventions. Peppermint oil has long been recognized as a spasmolytic agent that relaxes gastrointestinal smooth muscle relieving pain. In a randomized, double-blind controlled trial, 42 children with IBS were given pH-dependent, enteric-coated peppermint oil capsules or placebo. After 2 weeks, 75% of those receiving peppermint oil had reduced severity of pain associated with IBS. There have been two recent studies exploring the possible benefit of probiotics in children with pain predominant FGID 37, 38. Neither study provided enough convincing evidence to recommend the use of probiotics to treat childhood FGID. The study by Gawronska et al. found a clinically significant benefit in relieving pain, but only in a subset of children with IBS and only by reducing the frequency but not the severity of pain. The authors also reported a beneficial effect in only 25% of patients, lower than the 40% placebo effect that is commonly reported in most clinical trials of patients with FGID. Another alternative therapeutic strategy for patients with significant pain is to use hypnotherapy or psychotherapy. A technical review of the North American Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition found evidence that cognitive-behavioral therapy may be useful in improving pain and disability outcome in the short-term in children with functional abdominal pain 18. Two randomized
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Letture controlled trials 39, 40 evaluated the efficacy of a cognitive-behavioral program and a cognitive-behavioral family intervention for the treatment of nonspecific abdominal pain. In the first study, the treated group improved faster and a larger proportion of subjects were completely pain-free by 3 months’ follow-up. In the second study, the children and mothers who were taught coping skills had a higher rate of complete elimination of pain, lower levels of relapse at 6 and 12 months’ follow-up, lower levels of interference with their activities as a result of pain, and parents reported a higher level of satisfaction with the treatment. In chronic cases of severe refractory pain, referral to specialized treatment centers for an interdisciplinary pain management approach may be the most efficient method of treating visceral pain associated disability 41. Prognosis is often determined by the parents ability to comply with the treatment plan. In a retrospective analysis of a cohort of children aged <16 years fulfilling the Rome II diagnostic criteria for FAP 42, poor outcome was associated with refusal to engage with psychological services, involvement of more than three consultants, lodging of a manipulative complaint with hospital management by the child’s family, and lack of development of insight into psychosocial influences on symptoms.
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MORBO CELIACO CONTROLLO DELLA DIETA E PREVENZIONE DELLE COMPLICANZE
MARGHERITA BONAMICO, MONICA MONTUORI, RAFFAELLA NENNA Dipartimento di Pediatria “Sapienza” Università di Roma Il morbo celiaco (MC) rappresenta una patologia su base autoimmune, caratterizzata da atrofia dei villi ed iperplasia delle cripte della mucosa dell’intestino tenue. Si tratta di una tipica malattia multifattoriale in cui è necessario da un lato la componente ambientale (i cereali contenenti glutine come frumento, orzo e segale assunti con la dieta) e dall’altro la presenza di un particolare assetto genetico (gli eterodimeri HLA DQ2 e DQ8, presenti nel 90-95% dei celiaci); al momento però ancora ci sfugge l’elemento che scatena la malattia, un virus secondo una recente ipotesi. La MC può presentarsi con segni e sintomi a carico dell’apparato gastroenterico (celiachia tipica) o in forma subclinica, con sintomi extraintestinali o in forma asintomatica; in tutti i pazienti comunque sono presenti lesioni della mucosa duodeno-digiunale. La diagnosi della malattia infatti si basa proprio sulla dimostrazione delle caratteristiche lesioni istologiche su frammenti di mucosa prelevati preferibilmente in corso di endoscopia 1. Dopo aver comunicato la diagnosi del MC al paziente e ai genitori, i bambini a seconda dell’età possono essere o meno presenti, si passa ad illustrare la terapia, che consiste nella dieta priva di glutine (Tabella 1). TABELLA 1 - Dieta senza glutine: cereali, tuberi, semi ed altre fonti di amido PERMESSI RISO MAIS PATATE LEGUMI NOCCIOLE CASTAGNE ARACHIDI GRANO SARACENO SOIA TAPIOCA MIGLIO SESAMO CARRUBA MANIOCA SORGO QUINOA RISO INDIANO Da Kupper C. (Gastroenterology 2005) modificata.
VIETATI FRUMENTO ORZO SEGALE FARRO KAMUT TRITICALE
Questo colloquio rappresenta un momento delicato, che necessita di spazio e tempo adeguati per illustrare la malattia, i principi su cui si basa la dieta e le complicanze cui si può andare incontro se non la si segue. La dieta deve essere non solo aglutinata, ma anche adeguata alle esigenze nutrizionali di quel determinato paziente, che sono diverse a seconda dell’età e della situazione nutrizio-
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Letture nale preesistente. Bisogna infatti tener presente che se alla diagnosi un celiaco può presentare segni di malnutrizione, non sono eccezionali i casi di obesità e d’altra parte la stessa dieta priva di glutine può mettere a rischio di soprappeso e di obesità, perché i cibi per celiaci, proprio per aumentarne la palatabilità, possono avere un contenuto eccessivo in grassi saturi e in saccarosio. La dieta inoltre non deve trascurare le esigenze scolastiche, lavorative, sociali ed i gusti del paziente. Un dietologo esperto può offrire un valido supporto per la messa a punto di una dieta “su misura” e per individuare eventuali errori durante il follow-up. Un ruolo attivo nel migliorare le conoscenze e la terapia del MC viene svolto dall’Associazione Italiana Celiachia. Alcune recenti disposizioni legislative vanno incontro alle esigenze dei celiaci. La legge n. 123 del 4 luglio 2005, che riconosce il MC come malattia sociale, recita all’articolo 4 “…ai soggetti affetti da celiachia è riconosciuto il diritto all’erogazione gratuita dei prodotti dietoterapeutici senza glutine. Con decreto del Ministero della Salute sono fissati i limiti massimi di spesa”. Le somme erogate mensilmente variano a seconda dell’età e del sesso, riconoscendo un contributo maggiore ai soggetti di sesso maschile dai 10 anni in su. Non sono molti i Paesi al mondo in cui il Servizio Sanitario sia così generoso, ma certo il supporto di cui godono i celiaci in Italia dovrebbe facilitare una dieta ben controllata. Sempre all’articolo 4 della legge già citata viene presa in considerazione il problema dei pasti fuori casa: ”…Nelle mense delle strutture scolastiche e ospedaliere e nelle mense delle strutture pubbliche devono essere somministrati, previa richiesta degli interessati, anche pasti senza glutine….”. Anche la recente applicazione nel nostro Paese della normativa europea riguardante l’etichettatura degli alimenti, in cui la presenza di glutine deve essere segnalata, contribuisce ad agevolare la messa a punto di una dieta controllata. Se da un lato una maggior frequenza di celiachia si osserva nei familiari dei pazienti celiaci, nei soggetti con sindrome di Down e di Turner, dall’altro esistono evidenze che tra le complicazioni di una celiachia di lunga durata trovino posto patologie dell’osso, sterilità, prole con basso peso alla nascita, cardiomiopatia dilatativa idiopatica, endocrinopatie e neoplasie (Tabella 2). TABELLA 2 - Complicanze del morbo celiaco • Patologie autoimmuni (diabete mellito insulinodipendente, tiroidite, epatite autoimmune, colangite sclerosante, LES, vitiligine, alopecia) • Osteoporosi • Patologie della sfera genitale (ritardo puberale, sterilità, poliabortività, nascita di figli pretermine) • Cancro (linfoma non-Hodgkin, carcinoma orofaringeo ed esofageo) • Diarrea • Dolori addominali • Anemia • Patologie del Sistema Nervoso (epilessia con calcificazioni cerebrali, alterazioni della sostanza bianca, neuropatie) • Patologie cardiache (cardiomiopatia dilatativa idiopatica) • Ulcere dell’intestino tenue • Atrofia splenica
E sono proprio le ultime due quelle che vengono più spesso riscontrate nei celiaci in cui non esiste un buon controllo della dieta, che rappresenta non solo la terapia, ma anche la possibilità ef-
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fettiva di prevenirne le complicanze. Il MC rappresenta infatti l’unico esempio di patologia autoimmune in cui esista una terapia eziologia: la dieta senza glutine. Non è sempre facile ottenere una buona aderenza alla dieta. Sono in gioco fattori diversi, come l’età: infatti se in età preadolescenziale una famiglia informata e motivata è in grado di far seguire bene la dieta al bambino celiaco, un adolescente può rifiutarsi di seguire le regole bene accettate negli anni precedenti, come del resto avviene in altre patologie, ad esempio il diabete, in cui è richiesta la stretta aderenza a prescrizioni dietetiche. Tuttavia proprio in età adolescenziale nei soggetti che non controllano la dieta il rischio che si verifichino patologie autoimmuni si accentua 2. L’autonomia raggiunta in questa fase della vita può portare a scelte alimentari scorrette, come un’eccessiva assunzione di proteine e di grassi a discapito dei carboidrati complessi e questo comportamento tende ad accentuarsi proprio nei ragazzi celiaci che sono più attenti a controllare la dieta. La tabella 3 mostra la compliance alla dieta aglutinata di adolescenti riportati in alcuni studi. Anche le modalità con cui si è giunti alla diagnosi di celiachia possono giocare un ruolo nell’accettazione della dieta. Infatti se il paziente presentava sintomi chiaramente riferibili alla malattia che sono scomparsi con la dieta non è difficile che vengano accettate le limitazioni relative. È anche abbastanza facile, ma non facilissimo, mettere a dieta un soggetto asintomatico che faccia parte di un gruppo a rischio, che ben conosce la celiachia, come un familiare di un paziente celiaco. Ben diverso è il discorso per gli adolescenti asintomatici individuati mediante screening, come mostra lo studio di Fabiani e coll. 4 , in cui solo un quinto dei celiaci diagnosticati in età adolescenziale a distanza di alcuni anni era ancora a dieta (Tabella 3). TABELLA 3 - Aderenza alla dieta negli adolescenti celiaci AUTORE
Pazienti N.
Dieta stretta N. %
Kumar PJ et al 102 57 (Gut, 1985) Greco L et al (Ital J Gastroenterol 306 223 Hepatol, 1997) Mariani P et al 47 30 (JPGN 1998) Fabiani E et al 251 5 (J Ped, 2000) 222 15 Hopman E et al 111 72 (JPGN 2006) 1 Adolescenti individuati nel corso di uno screening 2 Bambini con celiachia sintomatica
Strappi N. %
Dieta libera N. %
55.9
36
36.3
9
8.8
73
46
15
37
12
64
14
30
3
6
20 68
7 5
28 22.7
13 1
52 4
65
36
33
2
2
Quali sono i mezzi che abbiamo a disposizione per controllare la dieta del celiaco? In primo luogo il colloquio e il diario alimentare ci permettono di conoscere direttamente dal paziente l’accettazione, gli strappi occasionali, che generalmente si verificano fuori casa, o il rifiuto della dieta. Il diario alimentare, che registra tutte le assunzioni di cibo che si sono verificate durante 3 o 4 giorni, costituisce uno strumento molto utile per controllare non solo l’assenza di glutine, ma anche l’adeguatezza della dieta seguita
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Letture in termini di valore calorico e contenuto in macro e micronutrienti. Abbiamo inoltre a disposizione dei mezzi più obbiettivi delle informazioni che possiamo ricavare direttamente dal paziente: i livelli ematici degli autoanticorpi correlati alla celiachia (anticorpi antiendomisio-EMA- e anticorpi anti-transglutaminasi -Ab antitTG). Generalmente nei soggetti a dieta senza glutine questi anticorpi progressivamente diminuiscono sino a normalizzarsi 5. Esistono tuttavia evidenze che in adulti celiaci a dieta senza glutine, asintomatici e con sierologia negativa, sono ancora presenti lesioni a carico dei villi intestinali “e una mancata guarigione istologica nella celiachia rappresenta un fattore di rischio per future, gravi complicazioni” 6. Se però la possibilità che si verifichino complicanze, come osteoporosi, neoplasie e sprue refrattaria, correla con la persistenza delle lesioni della mucosa intestinale, dovremmo poter ripetere periodicamente in tutti i celiaci la biopsia intestinale, procedura accettata nell’adulto. Nel bambino però considerazioni di ordine etico impediscono tale approccio invasivo ed infatti i protocolli diagnostici hanno progressivamente ridotto il numero delle biopsie necessarie per la diagnosi 1. Le metodiche di laboratorio, in particolare gli EMA, non sono in grado di svelare l’assunzione di piccole quantità di glutine assunte ripetutamente, come segnalato da Troncone 7. Ecco allora la necessità di tests più sensibili, che siano in grado di svelare la mancata aderenza alla dieta aglutinata, anche nel caso di strappi occasionali. La determinazione degli Ab anti-tTG in fase fluida, con metodo radioimmunologico (RIA), appare attualmente il test più sensibile sia per la diagnosi 8 che per il follow-up della celiachia 5,9. Come per lo screening, anche per il follow-up sarebbero auspicabili tests di più agevole esecuzione pratica e, perché no, un test sulla saliva. Il nostro gruppo ha infatti già dimostrato che è possibile determinare con la metodica RIA gli Ab anti-tTG nella saliva 10, un fluido che può essere raccolto facilmente, in modo non invasivo, permettendo così di evitare il prelievo venoso, poco gradito, specie in età pediatrica. Questa metodica è risultata molto sensibile, anche più degli EMA, sia alla diagnosi (94.5% verso 92.7%) che nei bambini a dieta priva di glutine da 6-12 mesi (65,8% verso 29,3% del test sulla saliva); il test RIA sulla saliva dimostra una performance paragonabile all’ELISA sul siero 9. Questi sono i mezzi che abbiamo a disposizione per controllare l’aderenza alla dieta, alcuni fruibili da tutti, altri disponibili per il momento solo presso alcuni laboratori di ricerca. Resta comunque l’obiettivo che tutti gli sforzi debbano essere fatti per motivare i pazienti a rinforzare la stretta aderenza alla dieta senza glutine. Su questa linea si inserisce il Progetto attualmente in corso con il Comune di Roma su 5000 scolari dei primi due anni della scuola dell’obbligo, che si propone di valutare se bambini asintomatici, individuati con il test sulla saliva e diagnosticati con la biopsia, possano aderire tempestivamente ad una dieta ben controllata, con la prospettiva di raggiungere il bersaglio di crescita e di prevenire le complicanze della celiachia, tra cui quelle autoimmuni in età evolutiva sono le più temibili.
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GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Letture CELIAC DIESASE: SCREENING OF AT RISK POPUL ATIONS
ANTONIO PICARELLI, MARCO DI TOLA, MARCO GRECO Dipartimento di Scienze Cliniche, Università di Roma “La Sapienza”, Italia.
Tra i soggetti a rischio di sviluppare la MC, possono essere annoverati i familiari di primo e di secondo grado di pazienti celiaci, i pazienti affetti da sindromi genetiche (sindrome di Down, sindrome di Turner e sindrome di Williams) ed i pazienti affetti da patologie autoimmuni (tabella 2). TABELLA 2 - Patologie autoimmuni associate alla MC
La malattia celiaca (MC) è un disordine autoimmune caratterizzato da una risposta T-mediata diretta contro il glutine la cui ingestione provoca, in individui geneticamente predisposti, atrofia dei villi intestinali ed iperplasia delle cripte del Lieberkühn. Tale quadro istologico recede dopo eliminazione dell’agente causale dalla dieta 1. I continui sviluppi nel campo della ricerca e la disponibilità di test diagnostici a sempre più alta sensibilità e specificità, quali gli anticorpi anti-endomisio (EMA), anti-transglutaminasi tessutale (anti-tTG) e la tipizzazione HLA, hanno permesso di definire la celiachia come la malattia immuno-mediata più frequente del mondo occidentale 2. In Italia la prevalenza della MC è stimata essere di 1 caso su 106 3 mentre, in Europa, varia tra 1:85 (Ungheria) e 1:500 (Croazia e Germania), con un valore medio di circa 1:220 2-4. Negli Stati Uniti tale valore è stimato essere di 1 caso ogni 133 persone 5. Sebbene il principale organo bersaglio della MC sia l’intestino tenue, le manifestazioni cliniche possono essere sia di tipo intestinale che extra-intestinale. Lo spettro clinico è pertanto eterogeneo, variando anche con l’età del paziente, la durata e l’estensione della malattia e con la concomitanza di una o più patologie associate 1. Nella sua forma classica, la MC può presentarsi con: anoressia e vomito, distensione e dolori addominali, ipotrofia muscolare, astenia, perdita di peso e steatorrea. Nelle forme cosiddette atipiche, la sintomatologia dipende spesso dall’interessamento di organi ed apparati diversi dall’intestino (tabella 1). TABELLA 1 - Sintomi extra-intestinali associati alla MC Sede Odontostomatologica Der matologica Emopoietica
Endocrinologica
Epatica Locomotoria Neurologica Psichiatrica Altre
Sintomi e segni Ipoplasia dello smalto Afosi Dermatite erpetiforme Anemia sideropenica Disordini della coagluazione Ipopituitarismo secondario Amenorrea Oligospermia Ridotta fertilità Poliabortività Ipertransaminasemia Osteopenia ? osteoporosi Artralgie/Artriti Epilessia Depressione Schizofrenia Clubbing
Caratteristiche Ulcere ricorrenti nel cavo orale Lesioni cutanee; depositi di IgA ?Sideremia; ?ferritina; ?Hb; ?MCV; ?folati; ?vitamina B12 ?Vitamina K ?GH ? ?crescita ? bassa statura ? ? ?; ? ? ?Transaminasi; esiti istologici ?Ca2+; ?vitamina D; ?turn-over osseo Calcificazioni endocraniche occipitali
Unghie a “vetrino d’orologio”
Legenda: IgA = immunoglobuline di classe A; Hb = emoglobina; MCV = volume corpuscolare medio eritrocitario; GH = ormone della crescita; ? = sesso femminile; ? = sesso maschile; Ca2+ = ione calcio.
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Patologia associata Cardiomiopatia dilatativa Deficit selettivo di IgA Diabete mellito insulino-dipendente Epatiti autoimmuni Lupus eriematoso sistemico Malattia di Addison Sindrome di Sjogren Spondiloartropatie Tiroidite di Hashimoto
Predisposizione HL A DR4 predisponente; DR3 protettivo DR3-DR7/DQ2 DQ2; DQ8 DR3/DQ2 DR3 DR3/DQ2; DR4/DQ8 DR3/DQ2 DR4 DQ2
Le conoscenze scientifiche attuali non consentono di identificare un nesso di casualità tra la MC e un così alto numero di patologie autoimmuni. Sebbene dopo dieta aglutinata non sia stato documentato sempre un miglioramento clinico delle patologie suddette, l’evidenza che esse si presentino più frequentemente in età adulta suggerisce chiaramente l’esistenza di una relazione con la durata di esposizione a tale antigene alimentare 6. Operare una diagnosi precoce e porre i pazienti in trattamento dietetico diventa, quindi, una procedura consigliabile. L’ampio spettro dei sintomi e l’estrema varietà delle patologie associate permettono di definire quindi la MC come un complesso disordine di tipo autoimmune, coinvolgente più organi ed apparati, non più definibile semplicemente come una sindrome da malassorbimento. Recentemente, la MC è stata infatti designata come “il grande imitatore” 7. Protocollo diagnostico e di screening Il protocollo diagnostico della MC, stabilito da una commissione internazionale nel 1990 8, prevede una fase di screening basata sulla ricerca di anticorpi circolanti specifici( EMA e anti t-TG) e una fase di diagnosi basata sulla valutazione istologica di un frammento bioptico di mucosa duodenale (figura 1). Gli EMA, di classe IgA, presentano una specificità del 100% con una sensibilità variabile dall’86 al 100% 9. Gli anticorpi anti-tTG di classe IgA, misurati con tecnica quantitativa immunoenzimatica basata sull’uso di tTG ricombinante umana, ha comportato un miglioramento delle performance diagnostiche 9, pur rimanendo casi di falsa positività in associazione ad alcune condizioni quali il morbo di Crohn, la colite ulcerosa e la cardiomiopatia dilatativa. L’esame istologico deve documentare l’atrofia dei villi intestinali insieme con l’iperplasia delle cripte a dieta contenente glutine e ritorno alla normalità (rapporto villo/cripta ?3:1) dopo dieta priva di glutine 1. L’esame istologico presenta, comunque, alcuni limiti: • casualità del prelievo bioptico, il quale potrebbe avvenire in zone dell’intestino in cui la lesione non è evidente (atrofia
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Letture patchy) o è del tutto assente (celiachia latente); • problemi tecnici (orientamento e taglio del pezzo bioptico); • dipendenza dall’osservatore (soggettività della lettura). Per tentare di ovviare ai limiti di cui sopra, all’esame istologico è stato recentemente affiancato un metodo di elevata sensibilità e specificità: l’esame colturale. Questo prevede la coltura, in un opportuno terreno, di frammenti bioptici di mucosa intestinale sia in presenza che in assenza di glutine, al fine di valutare l’eventuale produzione degli EMA/t-TG. Si tratta di un test che sta assumendo un ruolo di primaria importanza nel protocollo diagnostico della MC, soprattutto nei casi in cui, sia per mancanza di dati clinici evidenti che di prelievi bioptici adeguati per l’esame istologico, la diagnosi iniziale potrebbe risultare dubbia 11. Poiché la MC soddisfa i cinque criteri stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità necessari per giustificare un’operazione di screening di popolazione ad ampio raggio 12, indagini future di questo tipo sarebbero di grande utilità. I cinque criteri di cui sopra possono essere riassunti come qui di seguito: 1. l’identificazione precoce della MC può essere difficoltosa; 2. con una prevalenza di circa 1%, la MC è un disordine particolarmente comune, causante una morbidità sostanziale nella popolazione generale; 3. i test di screening per la MC sono altamente sensibili e specifici; 4. è disponibile un trattamento semplice ed efficace (la dieta priva di glutine); 5. se non diagnosticata, la MC può incrementare il rischio di complicazioni difficili da trattare, come il linfoma intestinale. FIGURA 1 - Protocollo diagnostico della malattia celiaca
Nel nostro centro di ricerca e studio della MC è partita un’indagine che, al momento, vede coinvolta sia una popolazione scolastica (studenti della III media) che di anziani (ultra settantenni) se-
lezionati nel territorio della regione Lazio. Le popolazioni in oggetto sono state invitate a sottoporsi ad un prelievo ematico sul quale effettuare l’esame di screening specifico: anti-tTG, sia di classe IgA che IgG e, in caso di positività, esame di conferma con la determinazione degli EMA di classe IgA ed IgG1. Dati preliminari sembrano confermare l’alta prevalenza della MC nell’ambito della regione Lazio, in particolare fra i bambini con almeno uno o tutti e due i genitori di provenienza estera, suggerendo che il fenomeno dell’immigrazione potrebbe contribuire ad incrementare la prevalenza della MC in Italia. Il proseguimento del presente studio offrirà elementi di chiarezza sulla reale prevalenza della MC nel territorio italiano, allo scopo di stabilire interventi di politica sanitaria corretti e socialmente utili. BIBLIOGRAFIA 1. Fasano A, Catassi C. Current approaches to diagnosis and treatment of coeliac disease: an evolving spectrum. Gastroenterology 2001;120:636-51. 2. Accomando S, Cataldo F. The global village of celiac disease. Dig Liver Dis 2004;36:492-8. 3. Tommasini A, Not T, Kiren V, Baldas V, Santon D, Trevisiol C, Berti I, Neri E, Gerarduzzi T, Bruno I, Lenhardt A, Zamuner E, Spano A, Crovella S, Martellossi S, Torre G, Sblattero D, Marzari R, Bradbury A, Tamburlini G, Ventura A. Mass screening for celiac disease using antihuman transglutaminase antibody assay. Arch Dis Child 2004;89:512-5. 4. Vancikova Z, Chlumecky V, Sokol D, Horakova D, Hamsikova E, Fucikova T, Janatkova I, Ulcova-Gallova Z, Stepan J, Limanova Z, Dvorak M, Kocna P, Sanchez D, Tuckova L, Tlaskalova-Hogenova H. The serologic screening for celiac disease in the general polulation (blood donors) and in some high-risk groups of adults (patients with autoimmune diseases, osteoporosis and infertility) in the Czech republic. Folia Microbiol (Praha) 2002;47:753-8. 5. Fasano A, Berti I, Gerarduzzi T, Not T, Colletti RB, Drago S. Prevalence of celiac disease in at-risk and not-at-risk groups in the United States: a large multicenter study. Arch Intern Med 2003;163:286-92. 6. Ventura A, Magazzu G, Greco L. Duration of exposure to gluten and risk for autoimmune disorders in patients with celiac disease. SIGEP Study Group for Autoimmune Disorders in Celiac Disease. Gastroenterology 1999;117:297-303. 7. Duggan JM. Celiac disease: the great imitator. MJA 2004;180:5246. 8. Walker-Smith JA, Guandalini S, Schmitz J, Shmerling DH, Visakorpi JK. Revised criteria for diagnosis of celiac disease. Arch Dis Child 1990;65:909-11. 9. Hill ID. What are the sensitivity and specificity of serologic tests for celiac disease? Do sensitivity and specificity vary in different populations? Gastroenterology 2005;128:S25-32. 10. Picarelli A, Di Tola M, Sabbatella L, Mastracchio A, Trecca A, Gabrielli F, Di Cello T, Anania MC, Torsoli A. Identification of a new celiac disease subgroup: antiendomysial and antitransglutaminase antibodies of IgG class in the absence of selective IgA deficiency. J Intern Med 2001;249:181-8. 11. Picarelli A, Di Tola M, Sabbatella L, Anania MC, Calabrò A, Renzi
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Letture D, Bai JC, Sugai E, Carroccio A, Di Prima L, Bardella MT, Barisani D, Ribes-koninckx C, Donat Aliaga E, Gasparin M, Bravi E, and the multicenter organ culture system study group. Usefulness of the organ culture system in the in vitro diagnosis of celiac disease: a multicenter study. Scand J Gastroenterol 2006;41:186-90. 12. Fasano A. Celiac disease - how to handle a clinical chameleon. N Engl J Med 2003;348:2568-70.
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STIPSI FUNZIONALE E SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE CON STIPSI PRESENTAZIONE CLINICA
ENRICO STEFANO CORAZZIARI Dipartimento di Scienze Cliniche Università “Sapienza”, Roma La stipsi è la manifestazione sintomatica di un alterato atto defecatorio e/o di una ridotta frequenza dell’alvo. Quando è cronica e non causata da alterazioni organiche, la stipsi viene considerata, secondo i criteri diagnostici di Roma III, come l’espressione di tre differenti condizioni: 1) Stipsi funzionale, 2) Sindrome dell’intestino irritabile con stipsi (SII-S), e 3) Disordini funzionali della defecazione 1. Sono queste tre condizioni clinicamente differenti? La condizione “Disordini funzionali della defecazione” ha una presentazione clinica non differente da quella della stipsi funzionale e può essere identificata solo con test di funzione anorettale 1; pertanto solo la stipsi funzionale e la SII-S si distinguono sulla base di criteri clinici. Criterio diagnostico essenziale per la Stipsi Funzionale (SF) è la presenza, sia per i criteri di Roma II 2 e Roma III 1, di almeno due delle seguenti condizioni: sforzo defecatorio, sensazione d’incompleto svuotamento rettale, sensazione di blocco dell’evacuazione, ricorso a manovre manuali per facilitare l’evacuazione, meno di tre evacuazioni alla settimana, feci caprine dure, isolate o ammassate insieme. Criterio diagnostico essenziale per la SII è la presenza di dolore/fastidio addominale che migliora con la defecazione o è associato con un cambiamento nella frequenza dell’alvo e, per i criteri di Roma III della SII-S, con un cambiamento nella forma/consistenza delle feci che appartengono al grado 1 e 2 della classificazione di Bristol ovvero caprine, dure, isolate o ammassate insieme. Condizioni che fanno parte integrante dei criteri di Roma II, e di supporto clinico ai criteri di Roma III, per la diagnosi di SII-S, ma che non consentono di differenziarla dalla stipsi funzionale sono: meno di tre evacuazioni alla settimana, feci caprine dure, isolate o ammassate, sforzo defecatorio, senso di incompleto svuotamento rettale. Il dolore fastidio/addominale caratterizzante la SII, può essere presente anche nella SF. In uno studio multicentrico Italiano 3, il dolore addominale era riferito dal 76% dei pazienti con SF. Pertan-
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to la SF si differenzia facilmente dalla SII quando l’alterazione dell’alvo non si associa a dolore fastidio addominale, mentre risulta più difficile distinguere le due condizioni quando la SF si accompagna a dolore o fastidio addominale. Un ulteriore aspetto clinico che viene usato per distinguere la SF dalla SII-S è l’andamento nel tempo della frequenza dell’alvo che rimane costante nella prima condizione e può variare nella seconda. Studi longitudinali hanno dimostrato che nella SII-S questa variabilità dell’alvo, da stitico a diarroico avviene in una minoranza (14-29%) dei casi, mentre nella maggioranza di essi o rimane invariato o si alterna con periodi di normalità. 4-5
È utile differenziare clinicamente la SF dalla SII-I ? Le alterazioni dell’alvo non differiscono nelle due condizioni e il loro trattamento non è diverso se non nei casi con alvo alterno. La presenza di dolore/fastidio addominale nei pazienti con stipsi rende difficilmente differenziabili le due condizioni. È peraltro rilevante tentare di distinguere il dolore/fastidio addominale secondario, da quello soltanto associato, all’alterazioni dell’alvo o alla ritenzione di feci valutando la relazione temporale tra dolore/fastidio addominale e alterazioni dell’alvo. L’analisi della presentazione clinica si rivela utile per interpretare l’origine del dolore/fastidio addominale ed indirizzare opportunamente la terapia. Se ad es. il dolore/fastidio addominale insorge e/o è modificato dalla defecazione dopo diversi giorni senza evacuazione, è verosimilmente attribuibile alla ritenzione fecale e alla distensione addominale. In altri pazienti con stipsi l’evacuazione può essere stimolata proprio nel tentativo di rimuovere il dolore addominale o il ricorso ad uno stimolo evacuatorio, sia esso fisico che farmacologico, può causare dolore/fastidio addominale. Se il dolore/fastidio addominale risulta secondario alla ritenzione fecale scopo della terapia è quello di regolarizzare l’alvo; se secondario agli stimoli evacuatori lo scopo è di eliminarli o variarli. Se il dolore/fastidio addominale non è dovuto a ritenzione fecale, la terapia sarà indirizzata alla risoluzione sia della stipsi che del disturbo addominale. Può la presentazione clinica della stipsi predire l’alterazione fisiopatologica sottostante? La ridotta frequenza dell’alvo (tre o meno evacuazioni alla settimana) correla con un rallentato transito intestinale, ma non predice in quale tratto del crasso avviene il rallentamento. D’altra parte non vi è relazione tra entità del rallentamento del transito e manifestazioni cliniche che possono variare da lievi, risolventesi con aumento delle fibre dietetiche, ad invalidanti, non rispondenti alla terapia conservativa con necessità di intervento chirurgico di colectomia. La presenza di dolore addominale non ha relazione con il tempo di transito che risulta parimenti o normale o alterato in una popolazione di pazienti con SF e dolore addominale 3. I sintomi di alterata defecazione non correlano né con i test di valutazione della funzione anorettale né con il tempo di transito né con il dolore/fastidio addominale. La presenza di sintomi SII correla con quella di ipersensibilità colorettale 6. Diversi studi riportano che un alterato stato psicologico e una peggiore qualità di vita si riscontrano più frequentemente nei pazienti con transito normale e disfunzione anorettale 7.
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Letture Quando la stipsi assume rilevanza clinica e richiede strategie diagnostiche e terapeutiche mirate? Per stipsi cronica intendiamo la manifestazione sintomatica di un’alterazione dell’atto evacuatorio avvertito come difficile o insoddisfacente e/o una ridotta frequenza dell’alvo che perdura da almeno sei mesi 1. Tuttavia il quadro clinico del paziente con stipsi può essere più complesso della definizione perché all’alterazione della defecazione si associano spesso altri sintomi, quali distensione, gonfiore e dolore addominale, sensazione di malessere generale, che possono essere altrettanto, se non addirittura più, invalidanti dei disturbi dell’alvo. La gravità della condizione clinica determina se approfondire l’iter diagnostico e se aumentare l’aggressività e la complessità del trattamento. Generalmente, se di grado lieve e/o con presentazione intermittente, la maggior parte di chi ne è affetto ricorre, traendone vantaggio, a variazione della dieta, aumentando il contenuto di fibre, e all’uso di lassativi. In una percentuale minore di pazienti, tuttavia, per la persistenza nel tempo e il grado di severità, il disturbo può configurare di per sé una condizione cronica ed invalidante di sofferenza, che richiede l’intervento del medico e la necessità di un trattamento continuativo. Le alterazioni dell’alvo e i disturbi intestinali interferiscono, infatti, sulle abitudini quotidiane, ritmi lavorativi, impegno sociale, alimentazione 8. In definitiva il quadro clinico della stipsi cronica non è soltanto determinato dalle caratteristiche dell’alvo ma anche da come queste ultime influenzano ed interagiscono con le abitudini, le attività giornaliere, il comportamento e le reazioni psicologiche del singolo. La rilevanza clinica della stipsi cronica sarà quindi espressione del grado di disagio e sofferenza del paziente e potrà variare da lieve a grave, ed essere, in alcuni casi, del tutto invalidante. Non esistono, peraltro, metodi standardizzati basati sui sintomi per misurare il grado di severità della stipsi e un sistema pratico per valutare la gravità della stipsi è quello di verificare quanto i disturbi interferiscano con l’attività quotidiana del paziente. Condizioni di stipsi clinicamente rilevante e tali da richiedere strategie diagnostiche e terapeutiche mirate sono: 1) La presenza di disturbi che interferiscono significativamente con l’attività quotidiana. 2) La persistenza dei disturbi per mancata o insoddisfacente risposta alla terapia dietetico-comportamentale e ai lassativi. La risposta insoddisfacente alla terapia può riferirsi ad uno scarso o mancato effetto sull’alvo per insufficiente normalizzazione della frequenza o delle modalità dell’evacuazione ovvero per l’aggravarsi, il persistere o il comparire di altri sintomi quali il dolore e la distensione addominale, il senso di peso gravativo in regione pelvi-perineale, il tenesmo. Ad esempio, l’aumento di fibre nella dieta o l’uso di lassativi può portare alla normalizzazione dell’alvo ma anche causare distensione o dolore addominale. In questa condizione si colloca anche la stipsi severa e quella cosiddetta intrattabile di cui è affetto quel 20% circa dei pazienti che, nei trial clinici controllati, non rispondono alle terapie conservative 4,9,10. 3) Insorgenza o rischio di complicanze quali ad esempio ragade anale, disturbi emorroidari,ulcera solitaria del retto, ostruzione o perforazione intestinale da fecaloma.
4) Necessità di evitare sforzi eccessivi nell’atto evacuatorio, ad esempio nei pazienti con insufficienza cardiorespiratoria. 5) Incapacità di autogestire l’alvo per deficit cognitivi o menomazioni fisiche. BIBLIOGRAFIA 1. Drossman DA, Corazziari E, Delvaux M, et al. Functional Gastrointestinal Disorders. ROME III 2006. Degnon Ass Va. USA. 2. Drossman DA, Corazziari E, NJ Talley et al. The Functional Gastrointestinal Disorders. ROME II 2000. Degnon Ass Va. USA. 3. Corazziari E, Bausano G, Torsoli A, et al. Italian cooperative study on chronic constipation. In: Wienbeck M, editor. Motility of digestive tract. New York: Raven Press;1982:523-5. 4. Rao SSC, Seaton K, Miller M et al. Rondomized controlled trial of biofeedback, sham feedback, and standard therapy for dyssynergic defecation. Clin Gastroenterol Hepatol 2007;5:331-338. 5. Drossman DA, Morris CB, Hu Y et al. A prospective assessment of bowel habit in irritable bowel syndrome in women: defining an alternator. Gastroenterology 2005;128:580-589. 6. Mertz H, Naliboff B, Mayer EA. Symptoms and physiology in severe chronic constipation. Am J Gastroenterol 1999;94:131-8. 7. Rao SSC, Kinkade K, Schulze K et al. Do psychological profiles and quality of life (QOL) differ in patients with dyssynergia and slow transit constipation (STC)? Gastroenterology 2005;128:783. 8. Drossman DA, Li Z, Andruzzi E, et al. U.S. householder survey of functional gastrointestinal disorders. Prevalence, sociodemography, and health impact. Dig Dis Sci 1993;38:1569-80. 9. Corazziari E, Badiali D, Bazzocchi G, et al. Long-term efficacy, safety and tolerability of low daily doses of isosmotic polyethylene glicol electrolyte solution (PMF-100) in the treatment of functional chronic constipation. Gut 2000;46:522-6. 10. Chiarioni G, Whitehead WE, Pezza V, et al. Biofeedback is superior to laxatives for normal transit constipation due to pelvic floor dyssynergia. Gastroenterol 2006;130:657-664.
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Letture STIPSI CRONICA: EPIDEMIOLOGIA
GABRIO BASSOTTI, MARINA MARIANO Cattedra di Gastroenterologia, Clinica di Gastroenterologia ed Epatologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Perugia La stipsi cronica è un sintomo caratterizzato da defecazione insoddisfacente, che deriva da riduzione della frequenza defecatoria, difficoltà nell’emissione delle feci, o da entrambi questi fattori 1. Questo sintomo viene riportato piuttosto frequentemente dai pazienti, si pensa che rappresenti il sintomo gastrointestinale più comune, e si calcola che solo negli Stati Uniti venga lamentato a oltre quattro milioni di persone. Le basi fisiopatologiche della stipsi cronica sono di natura multifattoriale, e possono comprendere alterazioni dell’attività motoria intestinale, della sensibilità viscerale, della muscolatura del tratto gastrointestinale, e del sistema nervoso enterico 2. La stipsi cronica viene considerata separatamente dalla sindrome dell’intestino irritabile se i sintomi non sono associati ad alternanza del pattern defecatorio (cioè, stipsi alternata a diarrea); la stipsi, comunque, può essere associata o meno a dolore addominale, che in ogni caso non è il disturbo prevalente (altrimenti è probabile si tratti di intestino irritabile). Non esiste un criterio universalmente accettato di definizione della stipsi cronica, ed esistono dei limiti ai tre tipi di definizioni comunemente impiegate per gli studi di popolazione: 1) la definizione auto-riportata (non definita) può variare di significato a seconda del soggetto in questione; 2) non è possibile definire la prevalenza della stipsi sulla base della frequenza defecatoria, dato che il valore soglia per questo parametro è stato generalmente selezionato in maniera arbitraria (consenso delfico) e senza riferimento ad alcuno standard di significato clinico. In pratica, mancano quasi del tuto studi su questa variabile nelle varie popolazioni; 3) anche il limite superiore del tempo di transito intestinale “normale” è stato generalmente definito in modo arbitrario, basato su pochi studi, per cui valgono le stesse considerazioni del punto 2. Per questi motivi, il criterio di selezione più frequentemente usato negli studi epidemiologici sulla stipsi cronica è quello dell’auto-definizione, anche se si tratta di un criterio improprio, dal momento che non riflette alcun criterio scientifico per definire sia gli aspetti clinici che i meccanismi della stipsi 3. Va comunque tenuto presente che negli ultimi anni si è cercato di ovviare a questo problema usando definizioni più oggettive, quali quelle stabilite dai Working Team Reports per i Criteri di Roma (I, II e III), anche se gli studi condotti con questi criteri sono a tutt’oggi una minoranza. Inoltre, va notato che solamente per gli USA esistono studi multipli sull’argomento ed i dati disponibili per molte nazioni provengono generalmente da uno-due studi. Comunque, in base a quanto presente in letteratura è possibile fare alcune considerazioni di massima (perlopiù basate sugli studi multipli degli autori statunitensi). La prevalenza della stipsi cronica riportata nei vari studi varia tra circa il 2% ed il 27%, anche se la maggio parte degli autori stimano una prevalenza intorno al 10-15% 1. Queste differenze nella prevalenza di stipsi cronica riflettono probabilmente sia le diffe-
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renze di impostazione dei vari studi nell’ottenere i dati (ad esempio, interviste faccia a faccia verso questionari inviati per posta) che le variazioni di definizione basate sui sintomi (ad esempio, vari criteri di auto-definizione della stipsi verso i criteri di Roma I, II o III) 1. La stipsi cronica è stata riscontrata essere associata a diversi fattori. Per esempio, le donne riportano essere affette da stipsi con una frequenza doppia rispetto agli uomini, ed è stato ipotizzato che questa maggiore prevalenza di stipsi nel sesso femminile possa essere dovuta alla maggior prevalenza di dissinergia del pavimento pelvico nelle donne 1. Comunque, il rapporto uomini:donne nella stipsi cronica varia nel corso della vita. Ad esempio, i bambini mostrano un’incidenza di stipsi aumentata rispetto alle bambine, e questo rapporto si inverte dopo l’adolescenza, quando le donne iniziano a lamentare stipsi molto più frequentemente degli uomini. Nelle età più avanzate si osserva la tendenza a ritornare ad un rapporto uomo:donna di 1:1. Altri fattori associati alla stipsi sono una condizione socioeconomica di basso livello (ad esempio, negli Stati Uniti la stipsi è più frequente nelle persone con un reddito annuo inferiore ai 20.000 dollari), una razza differente da quella bianca ed un’età avanzata (oltre i 65 anni). Questi fattori possono essere dovuti a cause diverse: la maggior frequenza di stipsi nelle persone anziane potrebbe ad esempio riflettere l’aumentata prevalenza di cause secondarie di stipsi (un’aumentata prevalenza di diabete mellito, Morbo di Parkinson ed altre malattie neurologiche, incremento del consumo di farmaci costipanti, quali molti antidepressivi, antiipertensivi, diuretici, etc, maggiore frequenza di allettamento) che si verifica con l’aumento dell’età. Va comunque tenuto presente che a tutt’oggi non esistono dati definitivi che suggeriscano che la muscolatura del colon si atrofizzi con l’invecchiamento, per cui viene raccomandato che una stipsi di nuova insorgenza in un soggetto anziano vada comunque investigata 1. La stipsi cronica è presente in circa un terzo dei pazienti anziani, ma questo non si riflette nell’alterazione della fisiologia intestinale di queste persone; infatti, il 95% di essi defeca tra le tre volte al giorno e le tre volte alla settimana, in maniera analoga a quanto riportato per le popolazioni cosiddette “normali”. Inoltre, i tempi di transito intestinale, sono normali in questi soggetti. Il sintomo primario riportato dalle persone anziane per definire la stipsi è lo sforzo alla defecazione (straining). L’auto-definizione di stipsi nelle persone anziane, soprattutto nelle donne, si correla poi a tutta una varietà di sintomi psicologici, compresa la depressione. L’aumentata prevalenza di stipsi cronica nei soggetti di razza differente dalla bianca potrebbe riflettere differenti comportamenti alimentari, un’area ancora poco esplorata e che sicuramente merita ulteriori indagini 1 . Infine, è interessante notare come ’associazione di stipsi e condizioni socioeconomiche di basso livello sembra essere l’esatto opposto di quello che avviene per la sindrome dell’intestino irritabile, che appare associata a condizioni socioeconomiche di livello più elevato 4. Per quanto riguarda l’uso dei lassativi nei pazienti con stipsi cronica, è interessante notare che circa il 12% di essi riferisce di non assumere alcun tipo di lassativo e circa il 30% di non poter defecare senza prendere continuamente un lassativo; comunque, non è stata riportata alcuna correlazione tra uso di lassativi e frequenza defecatoria osservata dopo la sospensione dei lassativi stessi 5.
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Letture La stipsi cronica appare essere frequentemente associata ad altri disordini motori e sensitivi del tratto gastrointestinale, disordini che comprendono la dispepsia funzionale, la pirosi funzionale e, particolarmente, la malattia da reflusso gastro-esofageo: va ricordato, infatti, che il 30% circa dei pazienti con malattia da reflusso lamentano anche stipsi cronica 1. Questa sovrapposizione di sintomi ha fatto ipotizzare a molti ricercatori l’esistenza di meccanismi fisiopatologici comuni a questi disordini funzionali 6, ipotesi che sicuramente merita di essere ulteriormente esplorata in futuro. Per quanto riguarda la storia naturale della stipsi cronica, non esistono ancora in letteratura studi di popolazione sull’argomento. Uno studio, condotto in un piccolo gruppo di pazienti con stipsi cronica (34 soggetti), ha riportato che uno solo di essi era senza sintomi dopo 2 anni di follow-up. Un altro studio, condotto in un’area limitata degli Stati Uniti (Olmsted County, Minnesota), ha descritto una sorveglianza di popolazione per sintomi gastrointestinali funzionali, indagati in due occasioni separate a distanza di 12-20 mesi. Questo studio ha mostrato che la prevalenza di stipsi cronica era del 17.4%, e che il 90% circa di questi soggetti ancora riferivano sintomi simili all follow-up dopo 12-20 mesi 7. L’incidenza dei sintomi di stipsi cronica era all’incirca quattro per 100 persone-anno durante il follow-up. È infine interessante notare come la stipsi può essere un sintomo appreso: volontari sani che sopprimevano volontariamente lo stimolo alla defecazione presentavano poi ridotto peso delle feci e diminuzione della frequenza defecatoria, associate ad un prolungamento del tempo di transito intestinale segmentale nel colon destro e nell’area retto-sigmoidea 8. Complessivamente, comunque, i dati epidemiologici sulla stipsi cronica sono piuttosto carenti, sia per quanto riguarda la quantità che la qualità degli studi stessi. In particolare, questo argomento specifico necessita di: 1) studi con disegno appropriato che prendano in considerazione la storia naturale della stipsi cronica; 2) studi volti ad investigare l’impatto della stipsi cronica sulla qualità di vita dei pazienti; 3) studi che possano stabilire perché alcuni fattori di rischio, quali il sesso, la razza, lo stato socioeconomico e l’età sono associati ad una prevalenza aumentata di stipsi cronica; 4) studi che possano definire meglio i sintomi e quindi le sottopopolazioni di pazienti affetti da stipsi cronica.
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Letture CONSTIPATION: ECONOMIC BURDEN AND IMPACT ON QUALIT Y OF LIFE
CARMELO SCARPIGNATO Laboratory of Clinical Pharmacology Department of Human Anatomy Pharmacology & Forensic Sciences, University of Parma, Italy Constipation is a prevalent condition leading to self-medication and medical consultation. Approximately 15% of the adult population in western countries suffers from constipation. The prevalence in North America ranges between 4% and 28%, being 2 to 3 times more frequent in women than in men, independently of the method of assessment used 1, 2. Episodes become more frequent with increasing age, this trend being continuous in women and more marked in men older than 60 years 2. Being the prevalence dependent on definition and methods used, comparison between countries is difficult. In this connection, a recent international survey 3 investigated by means of a standard questionnaire the prevalence of self-defined constipation in the community of 7 Countries [USA, UK, Germany (GE), France (FR), Italy (IT), Brazil (BR), and South Korea (SK)]. On average, 12.3% of subjects reported constipation during the last 12 months. The prevalence of constipation was lowest in Germany (5%), UK (8%) and Italy (8%) and highest in the USA (18%), France (14%), Brazil (17%) and South Korea (17%). As expected, females had a higher probability of constipation than men [O.R.=2.43 (95% C.I.: 2.18-2.71)]. Except for SK, and to a lesser extent BR, people 60 years and older had a higher probability of constipation than people <30 yrs [O.R.=1.47; (95% C.I.: 1.25-1.73)]. This study has shown that the majority (approx. 80%) of the respondents who consider themselves constipated fulfilled both Rome II and III criteria 4. Epidemiological studies suggest that the presence of constipation may be related to socio-economic factors and is more prevalent in low compared to high-income groups in the same country. Subjects with higher education are less often affected than individuals with lower education and urban dwellers less so than those living in rural areas 2. Nutrition, physical activity or hormonal changes, on the other hand, apparently do not play a major role 5. Relatively few studies have systematically explored economic impact of constipation; the majority of them are limited, both in terms of quantity and timeliness. Cost-of-illness analyses generally include both direct costs (e.g. costs of physician visits, hospitalizations, procedures and medications) and indirect costs (e.g. costs of OTC treatments, missed wages due to absenteeism and restricted activity days, costs of caregiver). The existing evidence [for review see 6] suggests that constipation represents an economic burden for the patient and healthcare provider. Resource utilization associated with the diagnosis and management of constipation is a significant cost driver, whereas constipation prevention programs have demonstrated cost savings. The more recent analysis of use of health care resources and cost of care for adults with constipation was performed on patients enrolled in the California Medicaid program 7. The total direct health care costs for patients with constipation for the 15-month period examined was $18,891,008
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($246/patient). Within 12 months of the first physician visit for constipation, 5657 of 105,130 patients had hemorrhoids and 2288 had intestinal impaction or obstruction. Approximately 0.6% of patients were admitted to the hospital for constipation; the total cost was $1,433,708 ($2993/admission). These data clearly show that adults seeking treatment for constipation account for significant health care resource use and often have comorbid conditions. Therefore, the clinical and economic burden of constipation cannot be disregarded or trivialized. Constipation is often perceived to be a benign, easily treated condition with short-term treatment being relatively straightforward; however, chronic constipation is associated with mild complications that, left untreated, can develop into more serious bowel complaints (fecal impaction, incontinence and bowel perforations) with further implications for healthcare costs and the patient’s health-related quality of life (HR-QoL). HR-QoL is a concept that reflects the physical, social and emotional attitudes and behaviors of an individual as they relate to their prior and current health status 8. Its assessment describes health status from patients’ perspective and serves as a powerful tool to assess and explain disease outcomes 9. HR-QoL has been studied in a number of digestive and liver disorders 10, including functional gastro-intestinal disorders 11. All the available evidence suggests that HR-QoL is lower in patients with constipation that in non-constipated subjects and that treatment (both medical and surgical) for constipations do improve it 6. HR-QoL in constipated individuals appears to be linked to disease severity. Subjects reporting worse constipation symptoms had lower HR-QOL as measured by the Short Form 36 (SF-36) and Psychological General-Well Being (PGWB) index and greater psychological distress 6. In studies where colonic transit was measured 12-14, constipated patients with normal colonic transit time reported constipation along with psychological distress and depression in higher proportions than control patients (normal colonic transit time and no constipation) and slowtransit constipated patients. The choice of an adequate HRQoL instrument is often crucial to detect specific aspects of the well being of patients. While diseasespecific HR-QoL instruments may address accurately the burden of a disease, they may fail to detect more general changes in a patient’s everyday functioning. Ideally the combination of a diseasespecific tool and a more general QoL instrument such as the SF36 would be a valuable option, but this approach adds complexity to the design of the research, as the time required to answer questions may become unjustifiably long. However, SF-36 is a generic instrument, which is detailed enough to capture different facets of HR-QoL but does not require too much time and effort for its completion 15. It has been widely used in clinical research and its validity and reliability have been demonstrated in a large number of studies. It has been validated in several languages 16 and therefore is well suited for use in large, multinational surveys. To detect country-specific differences, HR-QoL (measured with the SF-36) was recently studied in 2870 subjects in France, Germany, Italy, UK, South Korea, Brazil, and USA 17. Overall, the general health status, as measured by the aggregate scores of the Physical Component and Mental Component, was significantly worse in
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Letture the constipated than in the non-constipated population. The subscales of both components also demonstrated significantly worse HR-QoL in constipated compared to non-constipated individuFigures 1 & 2). als (F FIGURE 1 - Mean physical scores (error bars: S.E.M.) of the SF-36 Health Survey in constipated and non-constipated subjects. All differences are significant (p < 0.01 for PF, BP, GH and PCS and p < 0.05 for RP). PCS, Physical Component Score; PF, physical functioning; RP, role physical; BP, bodily pain; GH, general health; SF-36, Short Form 36 [from Ref. 17].
ed more impaired HR-QoL than men. Constipation reduced several parameters of HR-QoL, particularly on its psychological component. It should not be dismissed as trivial, as the changes observed are comparable to those reported for other disease states 10 . The improvement of quality of life is therefore an important goal in the management of constipation 18. Constipation is clearly a challenging area for prevention, treatment and clinical research effort since it produces substantial clinical, HR-QoL and economic burden for patients, healthcare providers and health systems. REFERENCES
FIGURE 2 - Mean mental scores (error bars: S.E.M.) of the SF-36 Health Survey in constipated and non-constipated subjects. All differences are significant (p < 0.01 for V, SF, MH and MCS and p < 0.05 for RE). MCS: Mental Component Score; V, vitality; SF, social functioning; MH, mental health; RE, role emotional; SF-36, Short Form 36 [from Ref. 17].
In general, constipated subjects consulting a physician had statistically significantly lower HR-QoL scores than non-consulters in all subscales of the SF-36 questionnaire. Results were comparable in all countries. However, Brazilians were most affected by constipation as to their social functioning (the SF-36 score was 35.8 in constipated versus 51.3 in non-constipated) and general health perception (29.4 in constipated versus 54.4 in non-constipated). HR-QoL scores correlated negatively with age and women report-
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Letture 15. 16.
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PATOFISIOLOGA: TEMPO DI TRANSITO, EVACUAZIONE
FORTUNÉE IRENE HABIB, ROBERTO CAPPUCCIO, LAURA CANDELORO Dpt di Scienze Cliniche Università di Roma, Sapienza La stipsi funzionale è un sintomo definito dall’associazione di infrequenti movimenti intestinali, difficoltà evacuative (sforzo, sensazione di blocco anale, uso di manovre manuali), feci dure e sensazione di evacuazione incompleta. La stipsi funzionale viene di solito imputata ad un rallentamento del transito nel colon o a un’evacuazione di tipo dissinergico che rende difficile lo svuotamento rettale. I due meccanismi possono coesistere oppure, al contrario, in alcuni soggetti stitici non viene osservata alcuna alterazione. I sintomi di presentazione dei disordini da stipsi non consentono di risalire al meccanismo patogenetico. Per indirizzare le indagini diagnostiche e l’impostazione terapeutica può essere utile un approccio classificativo fisiopatologico basato sulle alterazioni di: dieta, condizioni psico-sociali, tempo di transito del colon e funzione ano-retto-pelvica. Focalizziamo l’attenzione sulle seconde. Il tempo di transito oro-anale permette una misurazione del tempo di transito totale e del tempo di transito segmentarlo, in altre parole in quale segmento del colon (destro e/o sinistro) e/o del retto gli indicatori radiopachi sostano più a lungo che di norma, il che può influenzare il trattamento medico. In uno studio policentrico italiano del 1982 è stato dimostrato che il limite superiore del tempo di transito totale, per la popolazione asintomatica, è di 96 ore 1. Nei soggetti con stipsi funzionale il tempo di transito risultava normale (<96 ore) nel 50% dei pazienti; l’altro 50% aveva un tempo di transito rallentato (>96ore) distribuito come segue: 40% rallentamento colico, 40% rallentamento retto-colico, 20% rettale. L’esame è di semplice esecuzione 2,3 (figura 1). FIGURA 1
Schema per la somministrazione degli indicatori radiopachi e la successiva ripresa dei radiogrammi diretti dell’addome.
Bisogna assicurarsi che il paziente abbia un'evacuazione spontanea o provocata (in questo caso preferibilmente mediante clistere) 36 ore prima dell'inizio dello studio. Si vieta quindi l'uso di
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Letture ogni tipo di lassativo, clistere o supposta per tutta la durata dello studio. I pazienti seguono la dieta e le attività abituali e compilano un diario sull’alvo. Il paziente dovrà assumere durante la prima colazione 20 indicatori radiopachi (1 bustina), per 3 giorni consecutivi. Ogni giorno gli indicatori avranno forma diversa. In 4a e, se necessario, in 7a e 10a giornata si sottopone il paziente ad un esame diretto dell'addome, in proiezione postero-anteriore, avendo l'accortezza di includere nei radiogrammi tutto lo scavo pelvico (compresa la sinfisi pubica) e le due flessure coliche. Si eseguirà un radiogramma in proiezione laterale, che includa sacro e coccige, ove gli indicatori raggiungano lo scavo pelvico. L'esame viene sospeso quando l'80% degli indicatori è stato eliminato con le feci, al più tardi in 10a giornata. Mediante una linea passante per le apofisi spinose vertebrali sul radiogramma in P-A ed una perpendicolare al sacro, passante per lo spazio intervertebrale S1-S2 sul radiogramma in laterale, potremo distinguere grossolanamente colon destro (CD: cieco, ascendente e metà del trasverso) dal colon sinistro (CS: metà sinistra del trasverso, discendente e sigma) e dal retto (Re); contare e riportare il numero di indicatori radiopachi di ciascun tipo presenti rispettivamente nel CD, nel CS e nel Re. In base questa indagine, si differenzia la stipsi funzionale in tre diversi sottotipi: 1) stipsi con nor male transito del colon; 2) iner tia coli o ritardato transito colico (figura 2); 3) difficoltà espulsiva. 1) Transito del colon nella nor ma. Il paziente lamenta scarsa frequenza defecatoria e non risponde all’introito di supplementi di fibre o di lassativi. I soggetti con stipsi associata a normale transito del colon sembrerebbero avere un difetto di percezione dell’atto defecatorio. 2) Iner tia coli o ritardato transito colico, è definita come un ritardato transito dei marcatori radiopachi lungo il colon. I pazienti con inertia coli hanno una motilità colonica a riposo simile a quella dei soggetti controllo, ma hanno uno scarso o nullo incremento dell’attività dopo il pasto o con l’uso di stimolanti farmacologici (bisacodile, colinergici). Queste alterazioni suggeriscono una disfunzione del plesso enterico nervoso ed in particolare è stata osservata una ridotta densità delle Cellule di Cajial, cellule che un hanno ruolo chiave nel governo della motilità colica. La definizione di inertia coli non sempre è considerata corretta perché la stasi nel colon può essere causata da una ipomotilità del colon ma anche da movimenti di retropulsione dei markers radiopachi. Alla luce di queste considerazioni la stipsi da rallentato transito colico viene classificata in: a) “iner tia colica” vera, legata ad un ridotto numero di contrazioni propulsive, responsabili dei movimenti di massa del colon, che si esprime come una stasi fecale nel colon destro; b) forma con incremento della attività motoria segmentante non propulsiva del colon sinistro con aumento della resistenza al transito. 3) Stipsi da difetto della fase espulsiva. In questa forma le alterazioni possono dipendere da modificazioni morfo-funzionali del retto e del pavimento pelvico, quali l’invaginazione, il rettocele, un mancato rilasciamento del muscolo pubo-rettale e/o una mancata o insufficiente apertura del canale anale durante l’evacuazione; questi ultimi sono responsabili della così detta dissinergia addomino-pelvica: alla spinta del torchio addominale e all’aumento del-
la pressione nel retto, non corrisponde un rilasciamento degli sfinteri. FIGURA 2
Rallentamento colico sinistro. Radiogramma diretto dell’addome in decima giornata dopo l’assunzione degli indicatori radiopachi in 1°, 2° e 3° giornata. Gli indicatori sono tutti nel colon sinistro; il retto è vuoto.
La Dissinergia del pavimento pelvico viene descritta come una contrazione paradossa o un non rilasciamento dello sfintere anale esterno e/o della fionda pubo-rettale (figura 3) durante lo sforzo evacuativo 4. Si osserva in molti pazienti affetti da stipsi cronica, usando differenti metodiche: manometria, elettromiografia dello sfintere anale esterno e defecografia 5. Ciò nonostante l’accordo tra queste differenti metodiche è scarso ed il ruolo della Dissinergia del pavimento pelvico nell’influenzare lo svuotamento rettale è controverso. 6-9. Recentemente la Dissinergia è stata ridefinita secondo i criteri di Roma III 10 richiedendo anche l’evidenza di un aumento della pressione intrarettale durante l’evacuazione ed un residuo di almeno il 40% del mezzo di contrasto durante la defecografia. È chiaro che ogni intervento terapeutico deve tener conto della fisiopatologia della stipsi, ma spesso i trattamenti si sovrappongono o si incrociano, perché la patogenesi della stipsi è non di rado duplice. Quindi il trattamento della stipsi deve essere personalizzato prendendo in considerazione la durata e la gravità del sinto-
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Letture mo, i potenziali fattori favorenti, l’età del paziente e le sue aspettative. L’obiettivo ottimale è quello di giungere ad una terapia mirata della stipsi dopo aver valutato attentamente il paziente. Pazienti con nor male tempo di transito, senza alterazioni della fase espulsiva. In questa condizione, è necessario rassicurare il paziente sul suo stato di salute, identificare elementi dietetici o igienici che possono essere alla base del disturbo. E’ utile confermare la dieta ad alto residuo (15-18g/die di fibre alimentari), un adeguato apporto idrico (almeno 1500 ml/die) ed il suggerimento di provare ad evacuare tutti i giorni, anche in assenza di stimolo spontaneo, preferibilmente dopo un pasto ed in condizioni psicofisiche di tranquillità. Talvolta può essere utile ricorrere ad una psicoterapia. Figura 3
glicole, picosolfato di sodio, bisacodile) in modo da evitare effetti sistemici. Pazienti con alterazioni della fase espulsiva. Anche in questo caso è utile consigliare una dieta ad alto residuo ed un adeguato introito di liquidi. In alcuni di questi pazienti è utile ricorrere a supposte o microclismi per stimolare l’evacuazione. In altri con dimostrata dissinergia addomino-pelvica può essere utile ricorrere alla procedura del “Biofeedback”, istruendo il paziente a coordinare la contrazione del torchio addominale con il rilasciamento degli sfinteri anali, così da permettere l’evacuazione. Terapia chir urgica in pazienti con rallentato transito colico: Tra i soggetti non rispondenti alla terapia conservativa, vanno identificati quelli con stenosi muscolare idiopatica del colon e quelli con stipsi colica severa, con abuso di catartici ed incapacità a convivere con il disturbo. Nei primi è indicata un’emicolectomia sinistra, negli altri è necessario ricorrere ad una colectomia totale con ileo-retto-anastomosi. Terapia chir urgica minore: Nei pazienti con invaginazione o con rettocele, la correzione chirurgica può, talvolta, facilitare l’evacuazione rimovendo una delle cause. I lassativi in genere sono indicati elettivamente nei pazienti di età avanzata, per prevenire lo sforzo fisico durante l’evacuazione, in presenza di megaretto, in pazienti con malattie neurologiche che comportano stipsi. BIBLIOGRAFIA
Defecografia di dissinergia addomino-pelvica I tre fotogrammi in alto rappresentano momenti funzionali, da sinistra vs destra: riposo, contrazione, ponzamento. Quelli in basso sono momenti evacuativi successivi, durante i quali si osserva un’accentuarsi dell’impronta della fionda pubo-rettale che si contrae invece di rilasciarsi. Il canale anale, invece, si apre ampiamente (>1cm).
Pazienti con rallentato transito colico. L’approccio iniziale è generalmente dietetico, con enfasi particolare sull’aumento dell’introito di fibre alimentari. Nonostante sussista una scarsa evidenza sulla relazione fra basso tenore di fibre nella dieta e gravità della stipsi, molti hanno beneficio incrementando il consumo quotidiano di fibre (ad esempio crusca o mucillagini) a 20-40gr. Questa correzione consente di aumentare il peso fecale e la frequenza delle evacuazioni e diminuire il tempo di transito intestinale; l’effetto massa delle fibre sulle feci può essere correlato sia all’aumentata ritenzione idrica sia alla proliferazione batterica con produzione di gas che distendendo le pareti del colon, stimola l’attività propulsiva. Un piccolo sottogruppo non si giova di questo tipo di terapia ed in questi pazienti è giustificato ricorrere, sotto controllo medico, a lassativi non di massa. I lassativi osmotici o stimolanti facilitano l’evacuazione, modificando la quantità di acqua nelle feci e/o accelerando il transito intestinale. Nello scegliere il lassativo è bene preferire farmaci non assorbibili (disaccaridi, polietilen-
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STIPSI -TERAPIA CONSERVATIVA L”ACQUA”
PROF. MARCELLO ANTI Unità Operativa Gastroenterologia, Viterbo Il consumo di fibre è stato ampiamente oggetto di studio nella fisiologia gastrointestinale, nella misura in cui diverse osservazioni hanno mostrato gli effetti sull’aumento del volume fecale, sul tempo di transito gastrointestinale, sulle modificazioni che possono essere indotte a livello del micrombiente intestinale (microflora colica, ma anche la concentrazione di tossici, sali biliari e di nutrienti come grassi, zuccheri, minerali….). Grossa parte delle diversità che i differenti tipi di fibre esercitano dipendono dalle diverse proprietà e dalla variabile interazione: Acqua-Fibre (dalla cellulosa, ai polisaccardidi non cellulosici, le pectine, le lignine). La capacità di legame dell’acqua dipende dalle caratteristiche chimico fisiche e steriche delle molecole, e dal pH e della concentrazione elettrolitica del mezzo. La polarità dei residui glucidici favorisce le interazioni polari: le interazioni vanno dai legami ionici, a quelli idrogeno forti o deboli (ove l’acqua può essere intrappolata per capillarizzazione su una interfaccia di legami idrogeno appunto) mentre le superfici idrofobiche “costringono” l’acqua a formare un network piatto di molecole legate a dare pentagoni ed esagoni. Caratterizzante per l’idrabilità della molecola è pure la grandezza della fibra e i suoi interstizi, luogo preferenziale per l’intrappolamento dell’acqua. Nello studio dell’interazione Acqua-Fibre parametri fondamentali sono l’intensità di legame e la quantità di acqua legata, esistono diversi sistemi di stima per tali variabili: dalla filtrazione, alla centrifugazione, al congelamento a secco (Freeze Drying). Ne sono derivate definizioni dell’acqua legata come: acqua congelabile (freezing) e non congelabile (Non freezing), dove la seconda è meno intensamente legata (freeze drying method), o definizioni di quantità di acqua legata tratte da centrifugazione (valutazione troppo legata alla velocità di rotazione della centrifuga). Si tratta di metodi di misurazione non privi di bias metodologici. Fibre e Acqua hanno molteplici effetti gastrointestinali: nel tratto digestivo superiore influenzano l’assorbimento dei nutrienti, la sazietà post prandiale e la motilità. Nel colon modificano la motili-
tà, la massa fecale e la frequenza delle evacuazioni. L’impiego terapeutico delle fibre costituisce un presidio fondamentale nella stipsi cronica (aumento del volume fecale è inversamente correlato al tempo di transito intestinale, la frequenza, l’urgenza, e diminuzione della consistenza delle feci), tali effetti sono dovuti sia al legame di acqua che alla fermentazione batterica che le diverse fibre inducono; le fibre fermentabili (frutta e verdura) agiscono per l’appunto aumentando la componente batterica delle feci (più che cospicua frazione del volume fecale); Le fibre meno fermentabili dopo la parziale degradazione batterica perdono la loro struttura non riuscendo più trattenere acqua, perdendo buona parte della loro efficacia. La stretta relazione tra il bilancio idrico e la motilità gastrointestinale è stata studiata anche sotto un profilo ormonale ed è stato verificato come in particolare l’ADH, responsabile del controllo dell’osmolarità extra-vascolare e del volume intra-vascolare sembrerebbe essere relato e all’assorbimento dei liquidi nel colon e alla motilità intestinale, diversi lavori hanno fallito nel dimostrare tale ipotesi in seguito a somministrazione in acuto dell’ormone che invece sembrerebbe essere efficace in caso di stimolazioni prolungate nel tempo. L’adeguata assunzione di acqua e fibre viene considerata uno dei presidi principali per la “slow transit constipation” (disordine complesso che può essere anche associato a disfunzioni del pavimento pelvico fino ad un quadro di dismotilità completa dell’intero apparato gastrointestinale, quadro che può persistere anche dopo colectomia; sono state osservate disfunzioni del ciclo enteroepatico degli steroidi, livelli aumentati di somatostatina e diminuiti di enteroglucagone come pure alterazioni dei neurofilamenti a livello del plesso mienterico): una dieta infatti ricca in fibre, cereali integrali, frutta e verdura, accompagnata dall’assunzione di circa 2 litri di acqua al giorno è infatti raccomandata. Pure il primo approccio farmacologico prevede l’uso di lassativi tesi all’aumento della massa fecale (psyllium, metilcellulosa, crusca): un trattamento che pur avendo scarso significato in casi di stipsi acuta riveste un ruolo prominente in caso di stipsi lieve cronica (soprattutto in donne in gravidanza). Nonostante però diversi lavori mostrino un aumento del numero delle evacuazioni e del volume fecale, in seguito all’assunzione di fibre e i medici consiglino un’abbondante introito di acqua ai pazienti affetti da stipsi non ci sono sufficienti evidenze in letteratura che supportino con studi controllati tali assunti, si tratta di voci non univoche, ciò potrebbe essere dovuto al fatto che nella patogenesi della stipsi cronica confluiscano disparati fattori che non possono prescindere: dalla personalità dell’individuo, lo stress, l’attività svolta, il consumo di farmaci, l’assetto ormonale e la situazione socio-economica BIBLIOGRAFIA 1. RK Mc Pherson. Dietary Fiber. Journal of Lipid Research;1982:23:221-42. 2. MF Chaplin. Fiber and Water binding. Proceedings of The
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GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Letture Nutrition Society; 2003;62:223-27. 3. M. Candelli, E. Nista, MA Zocco, A. Gasbarrini. Idiopathic Chronic Constipation: Pathophysiology, Diagnosis and Treatment. HepatoGastroenterology 2001;48:1050-57. 4. M. Anti, G. Pignataro, A. Armuzzi, A. Valenti et Al. Water Supplementation Enhances High Fiber Diet on Stool Frequency and Laxative Consumption in Adult Patients with Functional Constipation. Hepato-gastroenterology 1998;45:727-32. 5. JW DeVries. On Defining Dietary Fibre. Proceedings of The Nutrition Society 2003;62:37-43. 6. S Al-Assaf, GO Phillips, Pa Williams, et Al. Molecular Weight, Tertiary Structure, Water Binding And Colon Behaviour of Ispaghula Husk Fibre. Proceedings of The Nutrition Society 2003;62:37-43. 7. R Cuomo, R Grasso, G Sarnelli, et Al. Effects of Carbonated Water on Functional Dyspepsia and Constipation. Europaean J of Gastroenterol and Hepatol 2002;991-99. 8. LR Schiller.Review article: the Therapy of Constipation. Aliment Pharmacol Ther 2001;15:749-63. 9. BV Mc Cleary. Dietary Fiber Analysis. Proceedings of The Nutrition Society 2003;62,3-9.
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CONSTIPATION ILLNESS CONSERVATIVE THERAPY: BOWEL TRAINING
G. CHIARIONI Divisione di Riabilitazione Gastroenterologica dell’Università di Verona, Azienda Ospedaliera di Verona, Centro Ospedaliero Clinicizzato 37067 Valeggio sul Mincio, Verona La stipsi cronica idiopatica è un sintomo comune, lamentato da 2%-30% della popolazione occidentale, che influenza la qualità di vita dei pazienti e richiede cure ed accertamenti costosi 1. La maggior parte dei soggetti risponde a terapia conservativa con fibra, fluidi e lassativi. Fra i non-responders la defecazione ostruita è frequente interessando fino al 50% dei pazienti afferenti a Centri di riferimento 1. La defecazione ostruita può essere secondaria ad alterazioni morfologiche o funzionali ano-rettali 2. Le alterazioni morfologiche comprendono: stenosi, neoplasia, prolasso rettale, rettocele, enterocele, M. di Hirschprung, etc. I disturbi funzionali della defecazione comprendono: defecazione dissinergica (contrazione paradossa o mancato rilassamento della muscolatura pelvica e anale durante la defecazione) e carenza di forza propulsiva defecatoria (pressione intrarettale insufficiente a promuovere l’espulsione fecale) 2. Il megaretto funzionale idiopatico (retto ipotonico-dilatato con stasi fecale secondaria) può essere associato a defecazione dissinergica, è di maggiore riscontro nelle età estreme (infanzia, età avanzata) e si presenta spesso con stipsi associata a incontinenza anale 1. Nello stesso paziente è inoltre possibile il riscontro di più di una condizione eziopatogenetica. I criteri diagnostici per i disturbi funzionali della defecazione includono quelli della stipsi cronica idiopatica e la coesistenza di almeno due delle alterazioni seguenti: insufficiente evacuazione del retto, contra-
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zione paradossa o rilassamento inferiore al 20% dell’attività muscolare a riposo dei muscoli pelvici, forza propulsiva inadeguata nel corso della defecazione ad indagini dedicate 2. La diagnostica include la manometria ano-rettale con valutazione della pressione anale, dei riflessi ano-rettali, della pressione, sensibilità e compliance rettale. Un incremento paradosso della pressione anale in ponzamento costituisce il tipico riscontro della defecazione dissinergica. Incremento analogo è evidenziato dalla registrazione elettromiografica (EMG) dell’attività muscolare. A completamento risulta la mancata espulsione di pallone rettale riempito di 50 ml di acqua. La defecografia è lo studio radiologico di espulsione rettale di miscela radiopaca con valutazione funzionale-morfologica ano-rettale (discesa della pelvi, rettocele, enterocele, prolasso rettale, angolo ano-rettale). La mancata apertura dell’angolo ano-rettale nella defecazione è compatibile con disturbo defecatorio così come la ritenzione della miscela baritata nel retto. La diagnosi di defecazione dissinergica richiede che almeno 2 indagini forniscano dati concordanti 2. La divisione chirurgica del muscolo pubo-rettale per la defecazione dissinergica, è stata abbandonata per scarsa efficacia terapeutica e rischio di incontinenza anale post-chirurgica 3. Benefici temporanei sono stati riportati con iniezioni intramuscolari pelviche di tossina botulinica, ma il trattamento è tuttora in fase sperimentale. Il trattamento con biofeedback appare quindi scelta razionale in questi pazienti con disturbo del comportamento defecatorio Il biofeedback è una tecnica di condizionamento nella quale informazioni riguardanti un processo fisiologico (contrazione e rilassamento muscolare, ad esempio) sono trasformate in segnale visivo/uditivo facilmente comprensibile al paziente in modo che possa apprendere a controllare la funzione desiderata con l’aiuto del terapista 3. La defecazione dissinergica è il disturbo funzionale della defecazione che maggiormente si giova della terapia con biofeedback. L’incremento paradosso della pressione anale con manometria o dell’attività EMG in ponzamento sono infatti facilmente evidenziabili e possono essere utilizzati nel trattamento. Prima del trattamento le alterazioni funzionali riscontrate vengono spiegate e discusse con il paziente. La maggior parte dei Centri insegna quindi al paziente un utilizzo più efficace del torchio addominale. Ai pazienti viene successivamente mostrato il tracciato manometrico o EMG e viene insegnato attraverso prova ed errore come modificare il comportamento paradosso in ponzamento. Un’altra opzione terapeutica è di insegnare al paziente a defecare una miscela rettale od un pallone rettale. Pochi Centri infine aggiungono un condizionamento sensitivo rettale volto a ridurre la soglia sensitiva alla defecazione 3. L’efficacia della terapia con biofeedback nella stipsi da defecazione ostruita è stata valutata per la prima volta nel 1987 da Bleijnberg and Kujpers in 10 pazienti con sindrome del pavimento pelvico spastico osservando remissione della sintomatologia in sette 4. Successivamente in numerosi studi non controllati il biofeedback venne utilizzato per il trattamento della defecazione ostruita. La variabilità in termini di protocolli ed obiettivi terapeutici, intervalli di follow-up e criteri di inclusione era così ampia da non consentire alcuna standardizzazione della metodica e il raggiungimento di dati scientificamente non discutibili. Limitazioni aggiuntive erano costituite dalla assoluta carenza di gruppi di controllo e
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Letture dalla scarsissima numerosità del campione di studio spesso inferiore ai 30 soggetti. Tuttavia, il biofeedback risultava generalmente efficace in almeno 2/3 dei pazienti trattati e non erano riportati effetti indesiderati 1. Negli anni ‘90 l’esperienza del St. Mark Hospital venne però a modificare la percezione del trattamento. In una serie di studi non controllati sia retrospettivi che prospettici i Ricercatori del St. Mark dimostrarono il biofeedback ugualmente efficace in circa il 50% di pazienti con defecazione ostruita o stipsi a lento transito. Gli Autori suggerivano un’influenza del biofeedback sull’innervazione autonomica del colon 1,3. Veniva quindi messa in discussione la specificità stessa del biofeedback ed emergeva l’attitudine di molti a considerarlo una forma aspecifica di psicoterapia o un costoso placebo. Al contrario più recentemente studi controllati hanno dimostrato una differente interpretazione. I primi studi controllati sono stati svolti nella popolazione pediatrica. Nella maggior parte di tali studi le popolazioni studiate includevano sia pazienti con stipsi da megaretto funzionale isolato che pazienti con defecazione dissinergica. Lo studio a numerosità maggiore riguardava infatti 192 bambini affetti da stipsi cronica idiopatica ed encopresi in cui il trattamento standard dell’encopresi risultava più efficace del biofeedback nell’indurre la remissione clinica 5. Si confermava l’esperienza clinica che il trattamento del megaretto funzionale con pulizia iniziale con clisteri, assunzione cronica di lassativi e programma di defecazioni ad orari prestabiliti costituisce terapia di maggiore efficacia 1. Nella popolazione adulta 4 studi controllati sono stati pubblicati prima del 2005. In 3 di questi studi diverse tecniche di biofeedback erano paragonate fra di loro senza mostrare differenza in termini di successo terapeutico. Tuttavia la numerosità del campione era troppo modesta per produrre un’analisi significativa 3 . Al contrario uno studio del St. Mark Hospital valutava 60 pazienti con stipsi funzionale randomizzati a biofeedback o misure comportamenti focalizzate sul torchio addominale ed espulsione di pallone rettale. Circa il 50% dei pazienti in entrambi i gruppi riferiva miglioramento della sintomatologia non correlato al transito colonico o a defecazione dissinergica. La maggiore limitazione era costituita dal passaggio precoce fra i gruppi (dopo 2 sedute) in caso di mancata risposta 6. Per il persistere di dubbi sulla specificità del trattamento nel 2005 il nostro gruppo ha trattato 52 pazienti con stipsi a lento transito documentata con marcatori radiopachi. Trentadue erano affetti da defecazione dissinergica, 6 da disturbo funzionale della defecazione e 12 solo da rallentato transito colonico. Tutti i pazienti erano trattati con protocollo di 5 sedute settimanali che includeva uso migliore del torchio addominale, EMG anale e pallone rettale per apprendere il rilassamento della pelvi in ponzamento e in defecazione simulata. Dopo sei mesi 71% dei pazienti con defecazione dissinergica erano clinicamente migliorati al confronto con solo 8% dei pazienti con rallentato transito. Il beneficio terapeutico correlava con la regressione della defecazione dissinergica. Si osservava accelerazione del transito colico e miglioramento della sensibilità rettale. Avevamo quindi concluso che il trattamento con biofeedback è specifico per la defecazione dissinergica anche se associata a lento transito e che agisce attraverso la regressione del comportamento paradosso (7). Recentemente 3 studi controllati, randomizzati provenienti da
Centri diversi hanno prodotto dati definitivi riguardo all’efficacia del biofeedback. Il primo è stato condotto dal nostro gruppo che in 109 pazienti con defecazione dissinergica e transito normale ha confrontato l’efficacia di 5 sedute settimanali di biofeedback (54 pazienti) con l’utilizzo di Polietilenglicole (PEG) a dosaggio crescente (14.6-29.2 g/die) in associazione a 5 sedute di provvedimenti comportamentali per facilitare la defecazione e suggerimenti dietetici (55 pazienti). I pazienti erano seguiti per 12 mesi ed il gruppo biofeedback fino a 24 mesi. Dopo sei mesi 81% dei pazienti trattati con biofeedback riferiva beneficio clinico soddisfacente in confronto con il solo 20% del gruppo trattato con lassativi. Il beneficio era correlato con la regressione della dissinergia nel gruppo biofeedback e conservato per i 2 anni di follow-up, in assenza di effetti indesiderati 8. Uno studio controllato, randomizzato di Rao SS e collaboratori ha confrontato il biofeedback con placebo (sham-biofeedback) e lassativi in 77 pazienti con defecazione dissinergica. Lo studio includeva anche pazienti con transito colonico rallentato ed ha confermato l’efficacia del biofeedback nel trattamento della defecazione dissinergica 9. In un terzo studio controllato, randomizzato Heymen S e collaboratori hanno studiato 84 pazienti con defecazione dissinergica randomizzati a 3 gruppi: biofeedback, diazepam in qualità di rilassante muscolare e farmaco placebo. Il protocollo di ingresso richiedeva l’apprendimento in tutti i pazienti di esercizi pelvici di rilassamento muscolare. Solo nei pazienti trattati con biofeedback era utilizzata l’attrezzatura dedicata per apprendere la regressione della defecazione dissinergica. Questo studio dimostrava anch’esso la superiore efficacia del biofeedback rispetto ai trattamenti alternativi 10. In conclusione, una serie di studi controllati, randomizzati ha dimostrato in modo inequivocabile che i disturbi funzionali della defecazione possono essere trattati in modo efficace e sicuro con il biofeedback. Nella stipsi non responsiva a trattamento conservativo appropriate indagini devono essere condotte per diagnosticare un possibile disturbo funzionale della defecazione e trattare quindi con terapia di scelta questi pazienti fortemente limitati dalla loro sintomatologia. BIBLIOGRAFIA 1. Bassotti G, Chistolini F, Sietchiping-Nzepa F, de Roberto G, Morelli A, Chiarioni G. Biofeedback for pelvic floor dysfunction in constipation. BMJ 2004; 328:393-396. 2. Barucha AE, Wald A, Enck P, Rao SS. Functional anorectal disorders. Gastroenterology 2006; 130:1480-1491. 3. Chiarioni G, Heymen S, Whitehead WE. Biofeedback therapy for dyssynergic defecation. World J Gastroenterol 2006; 12:7069-7074. 4. Bleijenberg G, Kuijpers HC. Treatment of the spastic pelvic floor syndrome with biofeedback. Dis Colon Rectum 1987; 30:108-111. 5. Van der Plas RN, Benninga MA, Buller HA, Bossuyt PM, Akkermans LM, RedekopWK, Taminiau JA. Biofeedback training in treatment of childhood constipation: a randomised controlled study. Lancet 1996; 348:776:780. 6. Koutsomanis D, Lennard-Jones JE, Roy AJ, Kamm MA. Controlled randomised trial of visual biofeedback versus muscle training without visual display for intractable constipation. Gut 1995; 37:95-99. 7. Chiarioni G, Salandini L, Whitehead WE. Biofeedback benefits only
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Letture patients with outlet dysfunction, not patients with isolated slow transit constipation. Gastroenterology 2005; 129:86-97. 8. Chiarioni G, Whitehead WE, Pezza V, Morelli A, Bassotti G. Biofeedback is superior to laxatives for normal transit constipation due to pelvic floor dyssynergia. Gastroenterology 2006; 130:657-664. 9. Rao SS, Seaton K, Miller M, Brown K, Nygaard I, Stumbo P, Zimmerman B, Schulze K. Randomized controlled trial of biofeedback, sham biofeedback, and standard therapy for dyssynergic defecation. Clin Gastroenterol Hepatol 2007; 5:331-338. 10. Heymen S, Scarlett Y, Jones K, Ringel Y, Drossman D, Whitehead WE. Randomized, controlled trial shows biofeedback to be superior to alternative treatments for patients with pelvic floor dyssynergiatype constipation. Dis Colon Rectum 2007; 50:1-14.
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I L ASSATIVI NELL A TERAPIA DELL A STIPSI CRONICA
ENRICO STEFANO CORAZZIARI Dipartimento di Scienze Cliniche Università “Sapienza”, Roma Ognuno sa come curare la stipsi. Dieta ad alto residuo, eventualmente agenti di massa, acqua e rieducazione dell’alvo. Sfortunatamente questi rimedi sono spesso insoddisfacenti come testimoniato dal vissuto dei pazienti e documentato dall’enorme richiesta di lassativi. In uno studio nazionale italiano l’88% di pazienti stitici, ed il 100% di quelli di età superiore ai 65 anni, dichiarano di fare ricorso ai lassativi 1. L’uso cronico dei lassativi è stato negli ultimi cinquant’anni demonizzato per una serie di errate convinzioni e per reazione all’uso improprio che di questi farmaci si è spesso fatto. Per secoli si è infatti ritenuto che la ritenzione fecale causasse “autointossicazione” e quindi malattie e disturbi di vario genere, da contrastare con l’assunzione di lassativi. L’automedicazione inoltre può causare effetti collaterali, anche gravi, in pazienti che li usano in maniera non corretta. La melanosis coli, espressione dell’uso prolungato di antrachinonici, a lungo ritenuta un espressione di danno, è priva di significato patologico e il c.d. “colon da catartici”, ritenuto erroneamente una condizione irreversibile e grave dei plessi nervosi intramurali e della muscolatura del colon secondaria all’uso prolungato di lassativi, è in effetti espressione di una neuromiopatia primitiva che precede l’uso dei lassativi e che, proprio per l’atonia del colon, ne richiede l’uso continuo. In definitiva non esistono evidenze che l’uso corretto, anche prolungato, di dosi adeguate di lassativi sia causa di danni o effetti collaterali gravi 2. Al contrario, l’evitare di utilizzarli quando indicato può determinare, per accumulo di feci, distensione e dolori addominali, formazione di fecalomi, con rischio di episodi ostruttivi o perforativi. La prolungata ritenzione fecale causa megaretto, megacolon ed encopresi. In mancanza di una soddisfacente risposta terapeutica alle norme dietetico-comportamentali è indicato l’uso di lassativi da prescrivere nelle dosi minime efficaci e nei tempi di assunzione regolati dalle proprietà farmacologiche del tipo di preparato prescelto. L’uso di lassativi è utile e necessario nei 1. Pazienti con disturbi che interferiscono significativamente con l’attività quotidiana. 2. Pazienti che non rispondono ad altre terapie 3. Pazienti con presenza o rischio di complicanze quali ad esempio ragade anale, disturbi emorroidari, ulcera solitaria del retto, ostruzione o perforazione da fecaloma. 4. Pazienti con deficit fisici o cognitivi che interferiscono con la possibilità di gestire l’alvo in maniera autonoma. 5. Pazienti che per motivi cardiorespiratori devono evitare di sforzare il torchio addominale.
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Letture LASSATIVI ED INTEGRATORI PRESENTI IN ITALIA
LASSATIVI * ED INTEGRATORI ALIMENTARI DI CONTATTO Bisacodil Cascara Dantron Glicosidi della senna Sodio picosolfato
LUBRIFICANTI Olio di vaselina SUPPOSTE Glicerolo
DI CONTATTO IN ASSOCIAZIONE Acido colico/nicotinamide/boldo/cascara Boldina/aloina Cascara/frangula Fucus/rabarbaro/frangula Cassia/senna foglie Cascara/boldo Cascara/rabarbaro/boldo Idrossibutilossido/cascara/rabarbaro/boldo Rabarbaro estratto/cascara estratto/genziana tintura/boldo tintura AGENTI DI VOLUME E FIBRE DIETETICHE *** Policarbofil calcico Sterculia Crusca Fibra d’acacia Fruttooligosaccaridi (FOS) Glucomannano Guar (galattomannani) Inulina Phgg (fibra di gomma guar parzialmente idrolizzata) Psyllium (Ispaghula, Plantago ovata) OSMOTICI Sali minerali *** Magnesio Ossido/Magnesio carbonato basico/Acido citrico anidro Sodio fosfato monobasico/Sodio fosfato bibasico Zuccheri non assorbibili Lattulosio Lattitolo Sorbitolo Macrogol
CLISMI Docusato Glicerolo Sodio fosfato ENTEROCINETICI Tegaserod ** AGONISTI CANALI DEL CLORO Lubiprostone ** SIMBIOTICI (ASSOCIAZIONI DI PROBIOTICI E PREBIOTICI)
Bifidobacterium longum + Fruttooligosaccaridi (FOS) L. casei DG + Inulina L. paracasei + Arabinogalattano + Xilooligosaccaridi L. paracasei subsp paracasei F19 + Glucooligosaccaridi L. rhamnosus + B. bifidus + L. acidophilus + FOS L. rhamnosus + S.thermophilus + L. acidophilus + L. casei + FOS Inulina + Bifidobacterium sp. + S. thermophilus + L. acidophilus + L. casei subsp rhamnosus + L. plantarum + L. salivarius + L. gasseri + L. sporogenes Psyllium + alfa-galattosidasi
* Classificazione ATC, Codice A06 Prontuario Farmaceutico ** Non disponibili in Italia *** Prodotti disponibili anche in associazione
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Letture Le seguenti categorie di medicinali sono le più usate per la terapia della stipsi. Agenti di volume e fibre dietetiche con un adeguato introito di acqua sono usati per riequilibrare diete povere di scorie o comunque per l’effetto di massa distendere il lume colico, stimolare la peristalsi ed accelerare il transito colorettale. La risposta a questi agenti è lenta. Utili in un gran numero di pazienti con stipsi lieve, e con rallentato transito colico possono non risultare altrettanto efficaci in quelli con alterazioni dell’evacuazione o per ridotta compliance dovuta a disturbi dispeptici che ne limitano l’assunzione o perché causano distensione addominale. Dei prodotti sottoposti a studi clinici lo Psyllium ha evidenza di efficacia di grado B, la crusca, la metilcellusosa e il policarbofil calcico di grado C 3. Osmotici Questi comprendono le soluzioni di macrogol, gli zuccheri non assorbili e i sali minerali. Le soluzioni di macrogol, che hanno evidenza clinica di grado A 3 per efficacia sulla frequenza dell’alvo, sulla consistenza delle feci e sullo sforzo evacuativo con effetto benefico anche sul dolore/fastidio addominale. Non essendo fermentabili, né assorbibili e non richiamando acqua dal comparto ematico quando isosmolari, sono sicuri e hanno scarsi effetti collaterali. Per tali motivi possono essere usati con beneficio in molte condizioni di stipsi organica. Degli zuccheri non assorbibili, il lattulosio ha evidenza clinica di grado B per efficacia sulla frequenza dell’alvo, consistenza delle feci e sforzo evacuativo. Sono sicuri ma causano distensione e flatulenza come effetto collaterale della loro fermentazione. Non esistono studi clinici controllati sui sali minerali e quello più usato e più efficace a base di solfato di magnesio non è indicato per l’uso continuativo, per il rischio di ipermagnesemia. Di contatto o stimolanti Sono efficaci ed agiscono con rapidità migliorando la frequenza, la consistenza delle feci e lo sforzo evacuatorio 4. Non hanno beneficio sul dolore/fastidio addominale. Un uso non corretto può causare dolore addominale, ripetuti stimoli evacuativi e, per la ridotta consistenza delle feci e rapidità di effetto, incontinenza nei pazienti con menomazioni fisiche o alterazioni cognitive. Anche se non vengono consigliati per uso prolungato 5, molti pazienti in Italia ne fanno uso continuativo, anche giornaliero, ricorrendo specialmente agli antrochinonici e al picosolfato 1. Probiotici e Simbiotici Recenti studi evidenziano l'efficacia di alcuni tipi di probiotici e simbiotici nel trattamento della sindrome dell'intestino irritabile con stipsi. Non vi sono studi clinici controllati sul loro effetto nella terapia della stipsi funzionale. Altri lassativi Degli altri lassativi: lubrificanti, glicerolo, clismi, pur essendo usati con beneficio non vi sono studi clinici controllati che valutino la loro efficacia nel trattamento della stipsi cronica.
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ALTRI FARMACI NON DISPONIBILI IN ITALIA Tegaserd Tegaserod, un agonista 5HT4, agisce stimolando la peristalsi del colon, si è dimostrato efficace con evidenza di grado A 6. Lubiprostone Attivatore dei canali del Cloro agisce aumentando la secrezione di fluidi nell’intestino 7. SCELTA DEL L ASSATIVO Generalmente tutte le categorie di lassativi sono efficaci nel migliorare la frequenza dell’alvo, tuttavia pochi lassativi sono state valutati in studi clinici controllati di lunga durata e ancora meno in studi comparativi. Altrettanto scarsa è la mancanza di studi che valutano l’effetto della terapia con lassativi sulla qualità della vita che in effetti è un , e in molti pazienti il più importante, indice di severità per l’indicazione terapeutica. Non esistono quindi dati sufficienti per stabilire un ordine di priorità nella indicazione dei lassativi. Esistono peraltro studi che dimostrano una superiorità del macrogol rispetto al lattulosio 8 e al tegaserod 9. La scelta del lassativo nella terapia della stipsi cronica dipende dalla efficacia, sicurezza, effetti collaterali, preferenza del paziente e costi del trattamento. Questi ultimi in particolare sono dovuti in minima parte al costo del lassativo ma in gran parte a quello di gestione che viene abbattuto per la riduzione di visite mediche, indagini e terapie alternative quando maggiore è l’efficacia e la sicurezza e minori gli effetti collaterali. Ad esempio il maggior costo del macrogol si riflette in una riduzione dei costi generali del trattamento per l’elevata efficacia, sicurezza e scarsi effetti collaterali 10. La disponibilità al pubblico di molti lassativi fa sì che la scelta del tipo, della posologia, della frequenza e della durata di assunzione del lassativo dipenda spesso dalle preferenze del paziente 11. Nel singolo paziente non è talvolta prevedibile la risposta terapeutica né al tipo di lassativo né alla dose ed è necessario fare tentativi, basandosi sulla precedente storia farmacologica, con diverse categorie di lassativi, in monoterapia o in associazione. In conclusione nel trattamento a lungo termine della stipsi cronica andrebbe evitato che sia il paziente ad autoprescrivere la terapia. Spetta al medico pianificare con il paziente la strategia farmacologica. Lo scopo della prescrizione è quello di ottenere un adeguato svuotamento intestinale senza sforzo, prevenire la formazione di fecalomi, evitare la diarrea e altri effetti collaterali peraltro raramente riportati nell’ambito di una terapia ben gestita 12. BIBLIOGRAFIA 1. Corazziari E, Materia E, Bausano G et al. Lavative consumption in Chronic nonorganic constipation. J Clin Gastroenterol 1987;4:42730. 2. Müller-Lissner SA, Kamm M, Scarpignato C, Wald A. Myths and misconceptions about chronic constipation. Am J Gastroenterol 2005;100:232-242. 3. Ramkumar D, Rao SSC. Efficacy and safety of traditional medical
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Letture 4.
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TAVOL A ROTONDA: I L ASSATIVI LASSATIVI FORMANTI MASSA
DANILO BADIALI Dipartimento di Scienze Cliniche Università “La Sapienza”, Roma Le fibre dietetiche. Le fibre sono un gruppo eterogeneo di sostanze di origine vegetale comprendente sia polisaccaridi complessi, come la cellulosa e l’emicellulosa, sia composti non carboidrati quali la lignina. In natura rappresentano le componenti strutturali della cellula vegetale (cellulosa e lignina) o delle riserve energetiche endocellulari (guar). Le fibre dietetiche non sono aggredibili dagli enzimi dell’intestino dell’uomo e giungono inalterate nel colon dove sono metabolizzate dalla flora batterica con produzione di acidi grassi a catena corta (acidi grassi volatili), acqua, metano e anidride carbonica. Il loro valore energetico è insignificante, ma possono modificare l’assorbimento di lipidi e di glucidi; inoltre essendo dei componenti ad alto peso molecolare hanno la capacità di trattenere acqua. Le fibre dietetiche si caratterizzano per la loro solubilità, dalla quale dipende il grado di fermentazione. Le fibre solubili sono scarsamente fermentabili, mentre le solubili sono ampiamente fermentabili con produzione di gas che può causare meteorismo e flatulenza. I cereali forniscono fibre insolubili, che hanno principalmente un effetto di massa fecale, mentre dalla frutta e dalla verdura ricaviamo fibre solubili che favoriscono la formazione di feci di ridotta consistenza. Notevole interesse per le fibre è sorto negli anni ’70 quando da studi epidemiologici emerse che le popolazioni che avevano un regime alimentare prevalentemente vegetariano, quindi ad alto contenuto di fibre, presentavano una minore prevalenza di malattie metaboliche, cardio-vascolari e del colon (neoplasie, malattia diverticolare). Valutando inoltre la relazione tra ingestione di fibre e volume fecale fu ipotizzato che l’alta prevalenza della stipsi nelle popolazioni occidentali fosse dovuta alla scarsa quantità di fibre alimentari 1. Nei paesi europei e del Nord, l’introito di fibre con la dieta si è drasticamente ridotto nel secolo scorso. La quantità consigliata è di 20-35 g/die, ma si calcola che negli USA se ne assumano circa 10 g/die e circa 8-15 grammi nel Regno Unito. Questo meccanismo patogenetico in realtà è stato ridimensionato. Ci sono studi che hanno descritto come alcuni pazienti, pur consumando una quantità di fibre non dissimile da soggetti di controllo, lamentano stipsi severa 2. In conclusione la dieta povera di fibre certamente induce una minore produzione di feci, ma non può essere considerata una causa generale ed unica di stipsi. Nell’apparato digerente le fibre provocano aumento del volume fecale e accelerazione del transito intestinale. Il maggiore volume fecale distendendo il colon, stimola l’attività propulsiva e inibisce quella segmentante favorendo il transito endoluminale. La risposta differisce quantitativamente secondo il tipo di fibra utilizzata: le fibre fini sono meno efficaci di quelle non raffinate. La crusca e l’ispagula ottengono un incremento del peso fecale maggiore rispetto al guar e alla pectina, nonostante queste presentino in vitro maggiore potere idrofilo 3. Questo indica che il meccanismo d’azione non è strettamente legato alla capacità di trattenere acqua. Alcune fibre, come quelle ricche di pentosi, rappresentano
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Letture un substrato nutrizionale per la flora batterica intestinale 4, che quindi è stimolata a riprodursi incrementando il volume fecale, del quale costituisce gran parte del peso secco. Infine anche gli acidi grassi e i gas derivati dalla fermentazione contribuiscono ad aumentare il volume delle feci e a renderle soffici. Lassativi For manti Massa I lassativi formanti massa sono polimeri polisaccaridici naturali oppure derivati sintetici o semisintetici di fibre vegetali (Tabella 1). TABELLA 1 - Lassativi Formanti Massa Fibre naturali Fibre di sintesi
metilcellulosa, crusca, sterculia, psylium, guar, ispagula, glucomannani carbossimetilcellulosa resine carbofiliche
Nel mercato nord-americano coprono circa il 30% della spesa per i lassativi, ma in questa valutazione non sono compresi quegli alimenti a ricco contenuto di fibre che sono utilizzati con le stesse finalità e che naturalmente, non sono compresi nella spesa farmacologica. Lassativi a base di fibre sono stati impiegati in studi con pazienti affetti da diverticolosi del colon, sindrome del colon irritabile e stipsi funzionale. La maggior parte di questi studi presenta il limite di non poter garantire una condizione di doppio cieco, tuttavia essi dimostrano mediamente l’efficacia delle fibre nel trattamento della stitichezza cronica per quanto riguarda frequenza dell’alvo e consistenza delle feci, mentre non sembrano influire sui disturbi addominali. Nei pazienti stitici è dimostrato che la somministrazione di fibre dietetiche accelera il transito intestinale e il volume fecale. Tuttavia pazienti stitici, trattati con integratori di fibre dietetiche (crusca 25 /die) presentano comunque un tempo di transito maggiore e un peso feci minore rispetto a una popolazione di controllo 5. La risposta terapeutica non è costante e alcuni pazienti oltre a non averne beneficio possono accusa fastidiosi effetti collaterali. È però interessante notare che confrontando stitici e soggetti controllo, la stessa quantità di crusca, induce una risposta diversa. Nei controlli si osserva un sostanziale aumento del peso feci senza variazioni significative del transito, mentre negli stitici si ha una netta accelerazione del transito con un modesto aumento del peso feci 5. Poiché i pazienti controllano le feci, ma non il transito, è possibile che l’insoddisfazione del paziente sia collegata a questo aspetto. Questa risposta conferma inoltre che la dieta povera di fibre non è da sola, causa di stitichezza severa. D’altra parte è stato dimostrato che l’effetto sul transito intestinale può dipendere dal tipo di rallentamento intestinale. In uno studio controllato 6 con pazienti con stipsi funzionale e prolungato tempo di transito, è stato dimostrato che la risposta terapeutica migliore, anche normalizzazione del tempo di transito intestinale totale, si ottiene negli stitici con transito rallentato nel colon, senza interessamento del retto. Questi dati indicano che i lassativi formanti massima trovano principale indicazione nei casi nei quali dall’anamnesi risulta una ridotta assunzione di fibre, non modificabile con la dieta per le abitudini o resistenze del paziente e, nei casi di stipsi più grave, negli stitici con rallentato transito colico. Non è comunque escluso che anche pazienti con rallentamento rettale o retto-colico possa-
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no trarne vantaggio. Infatti un transito colico più rapido potrebbe produrre feci di consistenza più soffici, quindi più facilmente evacuabili, e un maggiore volume fecale potrebbe risultare utile per evocare lo stimolo ad evacuare nei soggetti con alterata sensibilità rettale. Per il trattamento della stipsi si consiglia di somministrare ~20g/die di fibre, associate ad una quantità di liquidi che ne assicuri una adeguata idratazione (1000-1500 ml/die). Le fibre utilizzate nei vari prodotti si differenziano per la loro solubilità e viscosità. I prodotti a base di sostanze più solubili e meno viscose, hanno il vantaggio di presentare maggiore palatabilità 7, ma sono fermentate in maggiore proporzione e quindi possono provocare o aggravare meteorismo e flatulenza. Questi disturbi possono essere aboliti o comunque ridotti se le fibre vengono somministrate in dosi crescenti permettendo all’intestino di abituarsi (incrementi di 5 g/die per settimana sino a raggiungere la dose ottimale) 8. È importante evidenziare che alcune di queste sostante hanno delle contro-indicazioni, effetti avversi e devono essere comunque utilizzate con alcune precauzioni, anche se sono indicate come lassativi di prima scelta. Particolare attenzione deve essere posta in caso di soggetti anziani che possono avere stenosi o in quelle situazioni nelle quali c’è ritenzione fecale (malattie neurologiche, demenze, pazienti allettati) nelle quali la loro somministrazione potrebbe favorire la formazione di fecalomi ed episodi di occlusione intestinale. La carbossimeticellulosa e lo psyllium contengono discrete quantità di sodio che favorisce la ritenzione idrica, conseguentemente non sono indicate in soggetti con ipertensione arteriosa, con scompenso cardiaco, con insufficienza renale cronica; d’altra parte le fibre contenenti destrosio non vanno prescritte a soggetti diabetici. Altre fibre presentano interferenze farmacologiche: le resine carbofiliche rilascino calcio e non possono essere date durante terapie con tetracicline; la cellulosa e i suoi derivati riducono l’assorbimento di alcuni farmaci (glucosidi, salicilati, nitrofurantina); lo psyllium lega invece i cumarinici e quindi altera la terapia anticoagulante. Per lo psylium, inoltre, sono riportati in letteratura diversi casi di reazioni allergiche IgE mediate anche con episodi di shock anafillatico. BIBLIOGRAFIA 1. Burkitt DP, Walker ARP, and Painter NS Effect of dietary fibre on stools and transit time and its rule in the causation of disease. Lancet 1972;2: 1408-1412. 2. Müller-Lissner SA, Kamm MA. Myths and misconception about chronic constipation. Am J Gastroenterol 2005;100:232-242. 3. Stephen AM and Cummings JH. Water-holding by dietary fibre in vitro arid its relationship to faecal output in man. Gut 1979 20:722729 . 4. Stephen AM and Cummings JH. Mechanism of action of dietary fibre in the human colon. Nature 1980;284:283-284. 5. Müller-Lissner SA. The effect of wheat bran on stool wight and gastrointestinal transit time. A meta-analysis. Br Med J 1988;296:615-617. 6. Badiali D, Corazziari E, Habib FI, Tomei E, Bausano G, Magrini P,
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Letture Anzini, Torsoli A. Effect of wheat bran in treatment of chronic nonorganic constipation. Dig Dis Sci 1995;40:349-356. 7. Bijkerk CJ, Muris JW, Knottnerus JA et al. Systematic review: the role of different types of fiber in the treatment of of irritable bowel syndrome. Alimentar Pharmacol Ther 2004;19:245-51. 8. Thomas DR, Forrester L, Ghoth MF, et al. Clinical consensus: the constipation crisis in long-term care. Ann Long-Term Care 2003; Suppl:3-14 9. Lantner RR, Espiritu BR, Zumerichik, et al. Anaphylaxis following ingestion of a psyllium-containing cereal. JAMA 1990;264:25342536.
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LAXATIVES: BULKING AGENTS, OSMOTICS, STIMULANTS, PROBIOTICS AND SYMBIOTICS
ROSSELLA TURCO E ANNAMARIA STAIANO Dipartimento di Pediatria, Università “Federico II”, Napoli La stipsi cronica è un’entità clinica molto comune in età pediatrica. Studi epidemiologici riportano una prevalenza compresa tra 0.3-8%. Il 3-5% delle visite ambulatoriali pediatriche e il 5-30% delle visite di gastroenterologia pediatrica sono dovute alla stipsi cronica 1, 2. Nel 90-95% dei casi la stipsi viene definita idiopatica o funzionale. Un problema organico è presente soltanto nel 5% dei casi. La stipsi organica è prevalentemente rappresentata dalla malattia di Hirschsprung, che occorre in circa 1 su 5000 nati vivi con una predominanza nel sesso maschile di 4:1. La diagnosi di stipsi cronica funzionale è essenzialmente clinica; tutti i bambini stitici devono essere sottoposti ad un’accurata anamnesi, un attento esame obiettivo e all’ esplorazione rettale. Le uniche linee guida basate sull’evidenza, per la valutazione ed il trattamento della stipsi cronica in età pediatrica , sono quelle pubblicate dalla NASPGN nel 1999 3. Secondo la NASPGN, il trattamento della stipsi cronica funzionale del bambino può essere suddiviso in 4 fasi: - educazione; - eliminazione dell’ ingombro fecale; - prevenzione del riaccumulo; - sospensione della terapia e follow-up. Educazione L’ educazione è la prima tappa del trattamento della stipsi funzionale nel bambino. Per migliorare la compliance al trattamento è importante spiegare ai genitori e al bambino che la stipsi non è provocata da problemi di tipo comportamentale e che l’ incontinenza fecale non è controllabile da parte del piccolo. Inoltre, è opportuno informare i genitori che la durata del trattamento è variabile: alcuni bambini rispondono in settimane, altri hanno bisogno di mesi o anche di anni. Le componenti dell’educazione sono dunque la demi-
stificazione e l’ alleanza terapeutica. Un’ altra semplice misura per regolarizzare l’evacuazione è l’educazione alla toilet. Il bambino viene invitato a tentare di defecare tre volte al giorno per 5 minuti, dopo ogni pasto. Il bambino deve sforzarsi (ponzare), mentre i piedi sono ben posizionati a terra. Ciò è importante per appiattire l’ angolo anorettale, facilitando l’espulsione fecale. Un totale del 15% di 54 bambini con stipsi riferiti ad un centro di terzo livello è stato trattato con successo dall’ insieme di consigli, educazione comportamentale ed educazione alla toilet 4. Eliminazione dell’ ingombro fecale Tale tappa del trattamento della stipsi funzionale è dibattuta: non sono stati riportati infatti studi randomizzati controllati che supportino l’ esistenza di reali benefici dalla rimozione dell’ingombro fecale prima di iniziare la terapia. Tuttavia, le Linee-guida NASGN ritengono fondamentale la rimozione di ogni fecaloma presente, in modo da mantenere il retto relativamente vuoto: nessuna terapia può funzionare se il colon non è stato dapprima ripulito completamente 5 L’ eliminazione dell’ ingombro fecale può essere ottenuta per os o per via rettale. In un recente studio randomizzato controllato, che valutava l’efficacia e la sicurezza del polietilenglicole 3350 a differenti dosaggi, nel trattamento dell’ ingombro fecale, è stato riportato che la somministrazione di polietilenglicole 3350 per la durata di 3 giorni è efficace e sicura alle dosi di 1 e 1.5 gr/Kg pro die 6. Infine, in accordo alle raccomandazioni NASPGN, l’ uso di clisteri evacuativi è sconsigliabile nei lattanti per i quali è preferibile la rimozione dell’ ingombro fecale mediante supposte di glicerina. Prevenzione del riaccumulo di feci L’ obiettivo del trattamento della stipsi è quello di garantire delle evacuazioni giornaliere per prevenire il riaccumulo di feci. Ciò può essere ottenuto attraverso modifiche comportamentali, supplementi dietetici di fibre, lassativi. Un lavoro recente pubblicato dalla Cochrane Review dal Cochrane Incontinence Group, ha mostrato che, mentre il biofeedback da solo non apporta benefici aggiuntivi rispetto al trattamento convenzionale nei bambini con stipsi ed incontinenza fecale, esistono alcune evidenze che l’ associazione di interventi comportamentali (toilet training, schemi di incentivo) rispetto alla terapia comportamentale o ai lassativi da soli, presenta una maggiore efficacia in bambini con encopresi primaria e secondaria 7 Il toilet training consiste nell’ incoraggiare il bambino dopo i pasti a sedersi sulla tazza o sul vasino a seconda della sua altezza (perché avvenga un corretto ponzamento) per almeno 5-10 minuti, giocando con lui e promettendo piccoli premi in caso di successo. La pratica del toilet training è raccomandata in bambini oltre i 3 anni, mentre va scoraggiata in bambini di età inferiore perché un’ abitudine coercitiva in soggetti così piccoli può rappresentare un fattore importante nello sviluppo successivo di stipsi. L’ uso di fibre nella terapia della stipsi è controverso per diversi motivi. Il principale problema è la bassa compliance: i cibi ricchi in fibre o i supplementi non sono molto palatabili, mentre le fibre alimentari per essere efficaci devono essere assunte in grandi quantità. Infatti, la quantità di fibre raccomandata in un bambino con più di 2 anni d’età è pari alla sua età in anni più 5 gram-
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Letture mi al giorno. Inoltre, le fibre sembrano essere utili laddove ci sia un rallentato transito colonico. La maggior parte dei bambini con stipsi funzionale presenta invece, un rallentamento del transito per lo più rettale per cui le fibre potrebbero determinare un ulteriore aumento della massa fecale. I lassativi rappresentano la prima scelta terapeutica per il mantenimento di una regolare frequenza evacuativa dopo la rimozione dell’ingombro fecale. È stato dimostrato che, nel follow-up a 12 mesi, il 78% dei bambini con stipsi che assumono lassativi e vengono educati all’ uso della toilet hanno una buona risposta terapeutica 8. I lassativi più utilizzati sono quelli osmotici: lattulosio e lattitolo. Essi sono carboidrati non riassorbibili che vengono scissi bai batteri intestinali. Il dosaggio iniziale è variabile da bambino a bambino e dovrebbe essere aggiustato fino a produrre 1-2 evacuazioni di feci morbide al giorno. Studi randomizzati controllati hanno dimostrato che i lassativi osmotici, gli oli minerali (lubrificanti), e l’idrossido di magnesio sono efficaci e sicuri in età pediatrica. L’ uso prolungato di lassativi stimolanti (senna e bisacodile) non è raccomandato. L’assunzione a lungo termine di tali farmaci infatti, sembrerebbe essere connessa a danni dell’ innervazione intrinseca del colon. In definitiva, non esistono evidenze in letteratura circa il loro corretto utilizzo 3 L’utilizzo di un nuovo rammollitore fecale, il poletilenglicole, ha rappresentato una svolta terapeutica nel bambino con stipsi cronica. Bishop et al., in uno studio osservazionale, hanno dimostrato che il polietilenglicole somministrato per 8 settimane in bambini stitici è efficace, sicuro e palatabile 9. Recentemente, Vera Loening-Baucke in uno studio prospettico non in cieco randomizzato ha paragonato l’ efficacia del polietilenglicole a quella del latte di magnesia mostrando risultati sovrapponibili 10. Uno studio doppio-cieco, ha mostrato che nei bambini il polietilenglicole ed il lattulosio aumentano entrambi la frequenza evacuativa. Un dosaggio di 0.26 ± 0.11 gr/kg/die (media ± deviazione standard) risultava efficace nei bambini studiati. Sospensione della terapia e follow-up Nella gestione terapeutica del bambino stitico con rammollitori fecali è importante far capire ai genitori che una volta stabilita la dose iniziale, il farmaco va somministrato per almeno 3-6 mesi senza interruzioni effettuando se necessario un ulteriore adeguamento posologico. Solo dopo il raggiungimento di una normale frequenza evacuativa, la dose può essere gradualmente ridotta così da mantenere 1-2 evacuazioni a settimana. L’ interruzione precoce della terapia è la causa più comune di ripresa sintomatologia. Comunque, studi osservazionali hanno evidenziato che, nonostante l’ intensivo trattamento medico e comportamentale, il 30-50% dei bambini stitici continuano a presentare severi sintomi dopo 5 anni di follow-up, che persistono dopo i 18 anni di età. Biofeedback Il biofeedback ha lo scopo di insegnare tecniche di rilassamento dei muscoli del pavimento pelvico. Sebbene numerosi studi non controllati ne hanno suggerito l’efficacia nella terapia del bambino con encopresi con e senza stipsi, nessun beneficio significativo
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è stato osservato in studi randomizzati controllati. Quindi, il ruolo del biofeedback nel trattamento dei disordini della defecazione in età pediatrica sembra essere limitato. Conclusioni Numerosi sono stati i tentativi negli ultimi anni atti a standardizzare definizione, gestione diagnostica e terapia dei bambini con stipsi cronica. Tuttavia ancora poche sono le evidenze presenti in letteratura. BIBLIOGRAFIA 1. Levine MD. Children with encopresis: a descriptive analysis. Pediatrics 1979; 56: 412-16. 2. Loening-Baucke V. Constipation in early childhood: patient characteristics, treatment, and long term follow-up. Gut 1993; 34: 1400-4. 3. Price KJ, Elliot TM. Stimulant laxative for constipation and soiling in children. The Cochrane Database of Systematic Reviews 2001 March. 4. Staiano AM, Del Giudice E. Colonic transit and anorectal manometry in children with severe brain damage. Pediatrics 1999; 94: 169-73. 5. Baker SS, Liptak GS, Colletti RB, et al. Constipation in infants and children: Evaluation and Tratment. J Pediatr Gastroenterol Nutr 1999; 29:612-26. 6. Youssef NN, Peters JM, Henderson W et al. Dose response of PEG 3350 for treatment of childhood fecal impaction. J Pediatr 2002; 141:410-4. 7. Brazzelli M, GriffithsP. Behavioural and cognitive interventions with or without other disorders in children. The Cochrane Database of Systematic Reviews 2001 July. 8. Borowitz S, Cox DJ, Sutphen J et al. Treatment of childhood encopresis: a randomized trial comparing three btreatment protocols. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2002; 34: 378-84. 9. Pashankar DS, Bishop WP. Efficacy and optimal dose of daily polyethylene glycol 3350 for treatmnet of constipation and encopresis in children. J Pediatr 2001; 139:428-32. 10. Loening-Baucke V. Polyethylen Glycol without electrolytes for children with constipation and encopresis. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2002; 34: 372-7.
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Letture TRATTAMENTO PSICOFARMACOLOGICO E PSICOTERAPICO DELL A STIPSI
MASSIMO BIONDI E DARIA PIACENTINO UOC Psichiatria e Psicofarmacologia Clinica Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica Policlinico Umberto I° Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Aspetti psicopatologici della stipsi La stipsi, descritta come difficoltà e/o ridotta frequenza dell’atto evacuativo, può essere secondaria (in relazione a cause endocrine, metaboliche, farmacologiche ecc) o più spesso primitiva o funzionale (in relazione ad alterazioni funzionali di colon, retto e/o ano). Nel secondo caso rientra nei disordini funzionali gastrointestinali (DFGI) e, in particolare, costituisce uno dei sintomi chiave di tre diversi disordini: stipsi funzionale (SF), sindrome dell’intestino irritabile (SII) con stipsi e dissinergia addomino-pelvica (classificazione di Roma III). Tali disordini mostrano una elevata frequenza di associazione con disturbi e sintomi psichiatrici. Studi recenti sugli aspetti psicologici della stipsi hanno portato ad alcune osservazioni: - la prevalenza dei disturbi psicopatologici nei pazienti con stipsi è superiore a quella nei controlli sani 1 - più del 60% dei pazienti con stipsi risulta affetto da disturbi psicopatologici (spesso sottosoglia), nell’ordine: ansia e/o depressione, disturbi alimentari, disturbo da dolore, disturbo di ruminazione o una loro combinazione 2 - i disturbi psicopatologici generalmente precedono l’insorgenza della stipsi, meno frequentemente sono concomitanti o conseguenti ad essa (a testimonianza del fatto che non sempre possono essere interpretati come una reazione al disordine funzionale) 3 Questi dati sono in linea con l’attuale modello integrato, biopsicosociale, dei DFGI, che si è venuto delineando in seguito al riconoscimento dell’asse cervello-intestino e che vede tali disordini come il risultato di una complessa interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali. I disturbi psicopatologici condizionano il decorso e la gravità della stipsi: da ciò deriva l’utilità dei trattamenti psicofarmacologici e psicoterapici. Algoritmo terapeutico Esistono linee guida, approvate dall’American Gastroenterological Association, che forniscono indicazioni circa il trattamento dei DFGI, inclusa la stipsi 4. La strategia di trattamento si basa sulla natura e gravità della sintomatologia, sul grado di compromissione funzionale e sulla presenza di difficoltà psicosociali. Si tratta essenzialmente di un trattamento focalizzato sul sintomo e sulla sua gravità. Sebbene la gravità rappresenti un continuum, per convenienza d’uso viene suddivisa in lieve, moderata e grave: - per il paziente con stipsi lieve si suggerisce l’instaurazione di una soddisfacente relazione medico-paziente, l’educazione e la rassicurazione (il medico deve fornire una spiegazione accurata della malattia e cercare di risolvere dubbi e preoccupazioni del paziente) e cambiamenti della dieta e dello stile di vita (fibre, assunzione di liquidi, esercizio fisico)
- per il paziente con stipsi da moderata a grave si suggerisce un trattamento graduato nel seguente modo: si inizia con la riduzione dello stress e con un trattamento farmacologico sintomatico (lassativi osmotici e stimolanti, antispastici, eventualmente 5-HT4 agonisti); se si ha scarsa risposta alla terapia, con persistenza dei sintomi GI e/o del dolore, se sono presenti aspetti psicologici sottostanti o se la sintomatologia è particolarmente severa, si passa al trattamento psicofarmacologico (antidepressivi triciclici prima a basse dosi, poi a dosi più elevate, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, benzodiazepine) e/o al trattamento psicoterapico (psicoterapia dinamica/ interpersonale, terapia cognitivo-comportamentale, tecniche di rilassamento, biofeedback, ipnoterapia) in associazione o meno a trattamento farmacologico sintomatico (soprattutto 5HT4 agonisti) FIGURA 1 - Algoritmo terapeutico nel paziente con stipsi (in parte da Levy et al 4, aggiornato e integrato)
Queste linee guida, che aiutano il medico di medicina generale e il gastroenterologo nella scelta del trattamento, suggeriscono quindi, con riguardo al paziente con stipsi, di prendere in considerazione la somministrazione di psicofarmaci e/o la richiesta di una consulenza psichiatrica solo nei casi moderati-gravi. A questo punto sorge il problema dell’ottimizzazione di tale procedura. Se da una parte l’algoritmo terapeutico rappresenta un buon punto di partenza, dall’altra, sulla base delle attuali conoscenze sugli effetti differenziali dei vari trattamenti, può essere arricchito con due ordini di considerazioni, riguardanti: 1) tipo di stipsi: stipsi funzionale, SII con stipsi, dissinergia addomino-pelvica 2) tipo di paziente: presenza di comorbidità psichiatrica di asse I (ansia, depressione, disturbo ossessivo-compulsivo), presenza di tratti di personalità che condizionano il decorso della patologia e il suo trattamento (tratti ossessivi, oppositivo-resistenti, passivi-aggressivi), presenza di un comportamento anormale di malattia che influenza il rapporto medico-paziente e la compliance (resistenza a seguire le prescrizioni, tendenza a lamentarsi a vuoto, propensione al dubbio, passività, chiusura,
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Letture ostinazione) Se la scelta del trattamento viene effettuata non solo in funzione della gravità della sintomatologia, ma anche in funzione del sottotipo di stipsi e della tipologia di paziente, si ottiene una calibratura della terapia standard alle caratteristiche personali, ossia si mette in atto una terapia differenziale (es. biofeedback nella dissinergia addomino-pelvica per il controllo della sinergia muscolare, psicofarmaci nei pazienti con stipsi e disturbo ossessivo-compulsivo per trattare primariamente il disturbo psichiatrico, tecniche di rilassamento e ipnoterapia nei pazienti oppositivo-resistenti o con elevato livello di stress per generare un senso di controllo sulla malattia)
mento del paziente con stipsi - prescrizione di psicofarmaci o psicoterapie anche in base alle preferenze del paziente, alla sua motivazione a seguire le terapie, alle eventuali limitazioni geografiche, temporali o economiche, alla disponibilità di terapeuti in grado di effettuare tecniche specifiche (es. biofeedback) e trattare pazienti con disordini funzionali - ricorso, se ritenuto utile, a un trattamento combinato (es. medico + comportamentale) nell’ambito di un team multidisciplinare Sulla base di queste considerazioni è possibile passare in rassegna i trattamenti a disposizione per la stipsi in funzione della loro efficacia nei diversi tipi di pazienti.
FIGURA 2 - Personalizzazione dell’algoritmo terapeutico in funzione del tipo di stipsi e del tipo di paziente (SSRI=inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina; TCA=antidepressivi triciclici; BFB=biofeedback; TCC=terapia cognitivo-comportamentale; DOC=disturbo ossessivo-compulsivo)
Trattamento psicofar macologico I farmaci antidepressivi svolgono un ruolo fondamentale nel trattamento dei DFGI, inclusa la stipsi: una meta-analisi di 11 studi controllati randomizzati mostra la loro efficacia e superiorità rispetto al placebo. Il razionale del loro impiego terapeutico nella stipsi è duplice: 1) a bassi dosaggi, privi di effetto antidepressivo, possono essere utilizzati nei pazienti con sintomi GI e/o dolore refrattari alla terapia medica, per le loro proprietà neuromodulatorie e analgesiche (agiscono sul SNC riducendo la percezione del dolore di provenienza intestinale) 2) a dosaggi più elevati, possono essere utilizzati nei pazienti con comorbidità psichiatriche, per i loro effetti psicotropi (riducono i livelli di ansia e depressione) In generale, gli antidepressivi triciclici (amitriptilina, trimipramina, desipramina ecc) hanno una maggiore efficacia, per la loro azione combinata serotoninergica e noradrenergica (azione antiansia e anti-nocicettiva). Uno studio recente, condotto su pazienti con SII con l’ausilio della fMRI, mostra come l’amitriptilina a bassi dosaggi sia in grado di ridurre l’attivazione cerebrale regionale da dolore rettale durante lo stress, con conseguente attenuazione del dolore e di altri sintomi GI esacerbati dallo stress 5. Gli antidepressivi triciclici sono efficaci indipendentemente dalla presenza di comorbidità psichiatriche, in ragione del loro meccanismo d’azione multiplo. In corso di trattamento producono spesso effetti collaterali, incluso un peggioramento della stipsi per la loro azione anticolinergica (azione anti-motilità): sono pertanto indicati nei pazienti con SII, meno nei pazienti con stipsi funzionale. L’impiego di questi farmaci non è peraltro precluso con riguardo all’ultima categoria di pazienti, poichè a bassi dosaggi agiscono soprattutto sulla componente dolorosa e, se presente, sull’ansia. Gli effetti degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (paroxetina, fluoxetina, citalopram ecc) sono più controversi, dato anche il minor numero di studi effettuati: sembrano avere una discreta efficacia sul dolore e sembrano ridurre i livelli di ansia. Due studi controllati randomizzati hanno valutato l’efficacia della paroxetina in pazienti con SII in funzione della presenza/assenza di disturbi psichiatrici, giungendo però a conclusioni discordanti: in uno studio la paroxetina mostra uguale efficacia nei due gruppi di pazienti 6, nell’altro mostra maggiore efficacia nei pazienti con disturbi psichiatrici (in particolare nei pazienti con ansia) 7.
Con riferimento al tipo di stipsi, si può tentare di giungere a una diagnosi differenziale per mezzo di una accurata raccolta dell’anamnesi, di un esame obiettivo con esplorazione rettale e di indagini strumentali specifiche (elettromiografia, manometria, defecografia ecc), anche se ciò non sempre è facile, data la frequente sovrapposizione dei sintomi nei diversi disordini. Con riferimento al tipo di paziente, i passi preliminari per il suo inquadramento e per la messa in atto di una terapia differenziale potrebbero essere: - effettuazione di una breve intervista da parte del medico di medicina generale o del gastroenterologo per la valutazione psicologica di ogni paziente con stipsi, eventualmente seguita da una visita più approfondita da parte dello psichiatra nei pazienti con sintomatologia severa, fallimento di precedenti terapie, scarsa aderenza al trattamento, evidenza di stili di coping maladattivi. Tale valutazione dovrebbe individuare: ansia e depressione, somatizzazione (tendenza a riportare sintomi fisici per i quali non è possibile dimostrare alterazioni organiche), convinzioni errate di malattia, impatto della stipsi sulla qualità di vita, relazione tra eventi stressanti e peggioramento dei sintomi - considerazione dei fattori psicosociali nello studio e nel tratta-
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Letture Trattamento psicoterapico Il trattamento psicoterapico nelle sue diverse forme - psicoterapia dinamica/interpersonale, terapia cognitivo-comportamentale, biofeedback, ipnoterapia - è spesso raccomandato nei pazienti con stipsi, data l’importanza dei fattori psicologici in questi pazienti e i buoni risultati ottenuti con tale trattamento in numerosi studi. Esso agisce a due livelli: 1) riduce i sintomi psicologici e ciò si riflette in un miglioramento dei sintomi fisici e del dolore 2) qualora i sintomi fisici persistano, ne permette una migliore gestione da parte del paziente La psicoterapia dinamica/interpersonale, che cerca di alleviare la sintomatologia del paziente esplorando i conflitti psicologici sottostanti, sembra avere discreta efficacia. Due studi condotti su pazienti con SII mostrano come la psicoterapia determini, nella stessa misura della paroxetina e in misura maggiore rispetto alla terapia medica standard, un miglioramento a lungo termine della qualità di vita (soprattutto delle sue componenti fisiche) 8. Tale miglioramento è correlato, ma non del tutto spiegato, dalla riduzione dei sintomi psicologici (ansia, depressione, somatizzazione), per cui la psicoterapia è utile indipendentemente dalla presenza di comorbidità psichiatriche. La terapia cognitivo-comportamentale (TCC), che mira a risolvere i problemi correnti del paziente e a modificare i suoi comportamenti disfunzionali, piuttosto che indagare sulle sue esperienze passate, sembra dotata di buona efficacia. Una meta-analisi di 10 studi controllati randomizzati mostra la sua superiorità rispetto al semplice monitoraggio dei sintomi, all’educazione e alla terapia medica standard nell’indurre un miglioramento dei sintomi fisici e psicologici nei pazienti con SII. Se poi la TCC viene associata alla terapia medica standard ne risultano potenziati gli effetti terapeutici. Il limite di tali studi sta nella difficoltà di distinguere il ruolo dei fattori specifici (modificazione del comportamento, rinforzo delle strategie di coping) da quello dei fattori aspecifici (attenzione terapeutica) con riguardo agli esiti del trattamento. Relativamente al suo meccanismo d’azione, uno studio recente, condotto su pazienti con SII con l’ausilio della PET, mostra come la TCC induca cambiamenti nell’attività neurale e come tali cambiamenti siano accompagnati da una significativa riduzione dei sintomi GI, del dolore e dei livelli di ansia 9. Fattori critici per il successo della TCC sono: assenza di disturbi psichiatrici severi, presenza di sintomi fisici e/o dolore importanti, comprensione da parte del paziente del meccanismo d’azione della terapia, motivazione del paziente a intraprendere la terapia, disponibilità di terapeuti specializzati e loro accessibilità geografica e temporale. Il biofeedback (BFB), tecnica basata sull’apprendimento al controllo di una funzione biologica mediante informazioni visive e uditive riguardanti tale funzione, risulta efficace nella dissinergia addomino-pelvica, meno nella stipsi con transito rallentato (in cui il razionale di impiego di tale tecnica è più debole). Il BFB aiuta a rilassare e coordinare i muscoli dello sfintere anale e del pavimento pelvico in un tipo di stipsi - dissinergia addomino-pelvica - caratterizzato da contrazione paradossa o incapacità di rilassare tali muscoli durante la defecazione. Numerosi studi mostrano che il BFB normalizza la frequenza di defecazione, riducendo il ricorso a lassativi, supposte e clisteri, e aumenta il benessere psicologico
nei pazienti con stipsi refrattaria alla terapia medica standard, in misura maggiore rispetto a lassativi e placebo. Si è dimostrato efficace sia a breve che a lungo termine 10. Uno studio afferma che la sua efficacia è minore in presenza di concomitanti disturbi depressivi e dell’alimentazione, che riducono l’aderenza al trattamento 2. L’ipnoterapia è l’applicazione in campo medico dell’ipnosi. Nel trattamento della stipsi si ricorre all’ipnoterapia intestino-specifica, basata su di un particolare protocollo in cui il paziente viene addestrato, durante uno stato ipnotico, a esercitare il controllo sulla funzione intestinale. Studi controllati randomizzati mostrano come l’ipnoterapia riduca i sintomi GI, aumenti la soglia del dolore (attraverso una riduzione della sensibilità colorettale) e riduca lo stress psicologico (attraverso cambiamenti cognitivi) nei pazienti con SII, in misura maggiore rispetto alla terapia medica standard. Gli effetti sembrano ridursi in presenza di disturbi psichiatrici severi. Un limite importante è dato dalle scarse conoscenze relative alla sua efficacia in popolazioni numerose di pazienti, poiché tale tecnica viene effettuata solo in centri specializzati e su piccoli gruppi di pazienti. Conclusioni Relativamente al trattamento psicofarmacologico e psicoterapico della stipsi, si può concludere che esistono evidenze di efficacia con riguardo a: - farmaci antidepressivi nella SII con stipsi - psicoterapia nella SII con stipsi - terapia cognitivo-comportamentale nella SII con stipsi e nella stipsi funzionale - biofeedback nella dissinergia addomino-pelvica - ipnoterapia nella SII con stipsi Rimangono aperti diversi problemi: l’individuazione dei pazienti che rispondono e che non rispondono al trattamento (in funzione della presenza/assenza di comorbidità psichiatriche) e lo studio degli esiti a distanza dopo sospensione del trattamento. BIBLIOGRAFIA 1. Chattat R, Mazzocchi G, Balloni M, Conti E, Ercolani M, Zaccaroni S, Grilli T, Trombini G. Illness behavior, affective disturbance and intestinal transit time in idiopathic constipation. Journal of Psychosomatic Research 1997;42:95-100. 2. Nehra V, Bruce BK, Rath-Harvey DM, Pemberton JH, Camilleri M. Psychological disorders in patients with evacuation disorders and constipation in a tertiary practice. Am J Gastroenterol 2000;95: 1755-8. 3. Sykes MA, Blanchard EB, Lackner J, Keefer L, Krasner S. Psychopathology in irritable bowel syndrome: support for a psychophysiological model. Journal of Behavioral Medicine 2003; 26:361-372. 4. Levy RL, Olden KW, Naliboff BD, Bradley LA, Francisconi C, Drossman DA, Creed F. Psychosocial aspects of the functional gastrointestinal disorders. Gastroenterology 2006;130:1447-1458. 5. Morgan V, Pickens D, Gautam S, Kessler R, Mertz H. Amitriptyline reduces rectal pain related activation of the anterior cingulated cortex in patients with irritable bowel syndrome. Gut 2005;54:601-607.
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Letture 6. Creed F, Guthrie E, Ratcliffe J, Fernandes L, Rigby C, Tomenson B, Read N, Thompson DG. Does psychological treatment help only those patients with severe irritable bowel syndrome who also have a concurrent psychiatric disorder? Australian and New Zealand Journal of Psychiatry 2005;39:807-815. 7. Masand PS, Gupta S, Schwartz TL, Kaplan D, Virk S, Hameed A, lockwood K. Does a preexisting anxiety disorder predict response to paroxetine in irritable bowel syndrome? Psychosomatics 2002;43: 451-455. 8. Creed F, Fernandes L, Guthrie E, Palmer S, Ratcliffe J, Read N, Rigby C, Thompson D, Tomenson B. The cost-effectiveness of psychotherapy and paroxetine for severe irritable bowel syndrome. Gastroenterology 2003;124:303-317. 9. Lackner JM, Coad ML, Mertz HR, Wack DS, Katz LA, Krasner SS, Firth R, Mahl TC, Lockwood AH. Cognitive therapy for irritable bowel syndrome is associated with reduced limbic activity, GI symptoms and anxiety. Behaviour Research and Therapy 2006;44: 621-638. 10. Biondi M, Carlesi D. Psychological and psychiatric aspects of constipation. NeUroGastroenterologia 2004;10:40-46.
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REL AZIONE TRA STIPSI E APPARATO GENITALE FEMMINILE
ALESSANDRA GRAZIOTTIN Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano Introduzione Il setto retto-vaginale può essere considerato una “struttura-barriera” che separa clinicamente il proctologo e/o gastroenterologo dal ginecologo, con importanti ripercussioni nella pratica ambulatoriale quotidiana e nell’indagine scientifica 1-10. Patologie dell’anoretto, patologie gastroenterologiche e patologie ginecologiche o sessuali sono spesso presenti nella singola donna, senza che dagli specialisti venga presa in considerazione la loro comorbilità, ancora sottostimata 1,2,8-10. La situazione più frequente è rappresentata dalla stipsi cronica da disfunzione motoria del colon, da disfunzione ano-rettale e da alterazioni psicocomportamentali. La stasi fecale può ripercuotersi a livello ginecologico, urologico e sessuale. Nelle disfunzioni sessuali femminili e nella dispareunia in particolare raramente viene considerato un possibile coinvolgimento anche di fattori intestinali, in particolare di disturbi dell’evacuazione e di iperattività del pavimento pelvico che possono alimentare sia i disturbi sessuali caratterizzati da dolore, sia la stipsi di tipo ostruttivo . La riabilitazione del pavimento pelvico e il miglioramento della funzione intestinale possono avere ripercussioni positive anche sulla sfera ginecologica e sessuale 1,10. Studi controllati sono necessari per meglio definire la percentuale di comorbilità, i meccanismi fisiopatologici condivisi e le strategie terapeutiche può nettamente migliorare sia la capacità diagnostica e tera-
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peutica di ciascun clinico, sia la soddisfazione del/la paziente, che vede finalmente letti in una visione strategica d’insieme sintomi e segni solo apparentemente disparati. Comorbilità di interesse ginecologico e gastroenterologico Lo scenario clinico è di grande interesse. Ginecologo e gastroenterologo condividono molteplici prospettive: a) fisiopatologiche. Molte comorbilità nascono da basi fisiopatologiche comuni alle patologie delle due discipline. Fattori predisponenti, precipitanti e di mantenimento sono spesso condivisi tra ginecologia e gastroenterologia, per ragioni neurochimiche, ormonali, immunitarie, muscolari, meccaniche, vascolari, relative agli ecosistemi di pertinenza, relative al dolore e, non ultimo, psicosessuali. Basti pensare a crescenti evidenze sul ruolo: • del mastocita nelle patologie infiammatorie nel dolore gastrointestinale (specie nella “sindrome del colon irritabile” ma anche nella colite ulcerosa) e nei quadri infiammatori emergenti in ambito ginecologico (endometriosi e vestibolite vulvare) e anche urologico (cistiti recidivanti, cistite interstiziale) 3-5,9; • della serotonina, nella regolazione della motilità del colon e nelle sindromi disfunzionali psicoemotive e algiche nella donna, tra cui sindrome premestruale e flares algici premestruali, oltre che a correlati somatici (gastrointestinali e ginecologici) della depressione 1,5,9; • degli or moni sessuali, di cui oggi crescentemente comprendiamo il ruolo anche nella fisiopatologia digestiva; o della gravidanza, per esempio nella genesi/aggravamento della patologia emorroidaria 1,8,9,10; • di infezioni sistemiche, a torto ritenute banali, quali la candidosi – specie iatrogena, conseguente all’abuso di antibiotici nella pratica clinica, di cui spesso il colon è il serbatoio (il “mandante occulto”) che alimenta vaginiti e cistiti recidivanti micotiche e iperattività reattive del mastocita 9,10; • di ger mi intestinali, quali E. coli Enterococcus faecalis etc, nelle genesi di vaginiti e cistiti recidivanti, specie in condizioni ipoestrogeniche 1; • del muscolo elevatore dell’ano, nei suoi stati di: i) iper tono, che sottendono la stipsi ostr uttiva, il vaginismo e la dispareunia, le cistiti recidivanti, oltre che sindromi dolorose acute, accessionali, o croniche, da mialgia; ii) ipotono, che predispone a incontinenze fecali, urinarie e iposensibilità coitale; iii) esiti iatrogeni, che possono tradursi in ipertoni reattivi al dolore, con sindromi algiche complesse pelviche e distrettuali; in ipotoni, con peggioramento di quadri disfunzionali relativi alle funzioni di continenza; e in alterazioni più drammatiche della statica e della dinamica pelvica con prolassi posteriori, centrali e anteriori 1,2,9,10; • di malattie genetico-immunitarie quali la celiachia, con i suoi correlati di infertilità, dismenorrea e dispareunia 9; • di malattie autoimmuni, quali la sindrome di Sjogren, e le sue ripercussioni orali, gastrointestinali, vaginali (secchezza) e sessuali (dispareunia) 9; • di malattie neurologiche, quali per esempio la sclerosi multipla, nelle sue declinazioni sintomatologiche gastroenterologiche, sessuologiche (anorgasmia, dispareunia) e gineco-
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Letture logiche (vulvodinia); o le sindromi compressive del nervo pudendo, con quadri algici perineali e vulvari 9; • dell’invecchiamento, come processo multisistemico, nella genesi o nel peggioramento di comorbilità ginecologiche gastroenterologiche, quali stipsi e vaginiti/cistiti recidivanti da E.Coli). b) cliniche: Con prospettiva ginecologica, sono rilevanti: • variazioni or monali durante il ciclo, le disfunzioni ga strointestinali (alvo stiptico o diarroico) e i flares di dolore pelvico e colico premestr uali e mestr uali (per esempio nell’endometriosi) 1,9,10; • sindrome premestruale, in cui le alterazioni ormonali e neurochimiche, specie a carico del sistema serotoninergico, si ripercuotono a livello ginecologico e colico; • ansia e depressione con i loro correlati disfunzionali; • gravidanza, con la patologia emorroidaria che la caratterizza e le lesioni da parto, con conseguenze sulla statica pelvica e le funzioni di continenza sfinterica 1; • menopausa, carenza di or moni sessuali e correlati ga strointestinali: dalla ridotta secrezione salivare, estrogeno dipendente, alle alterate secrezioni coliche, con alterazione degli ecosistemi, dei processi digestivi e peggioramento delle sindromi disfunzionali e del meteorismo; • endometriosi, dolore pelvico cronico e sindromi disfunzionali gastrointestinali: dalla dischezia, alle rettorragie periodiche, alle fistole rettovaginali da lesione endometriosica 9,10; • vestibolite vulvare, vulvodinia e “sindrome del colon irritabile”; • sindromi iatrogene: in particolare per lesioni da radioterapia o chirurgia in ambito pelvico, oltreché da chemioterapia; • malattie autoimmuni; • Con prospettiva sessuologica sono rilevanti: • dispareunia, crescentemente associata a ipertono dell’elevatore, ma anche a ragadi, emorroidi, anismo, proctalgia fugax, dischezia, stipsi ostruttiva, colite ulcerosa, esiti iatrogeni di interventi colonproctologici [1,2,9,10]; • vaginismo, associato a ipertono dell’elevatore e stipsi ostruttiva 1,2,9,10; c) semeiologiche, volte a riconoscere e interpretare correttamente i sintomi a fisiopatologia comune. Basti pensare all’importanza della registrazione di sintomi comuni rilevanti per la diagnosi; del diario del dolore, nelle sindromi gastrointestinali, centrato sull’andamento del ciclo (in cui alla paziente viene richiesto di indicare su un foglio l’andamento del dolore tenendo in ascissa le 24 ore della giornata, in ordinata i giorni del ciclo mestruale, dal primo di un ciclo al primo del successivo, e di indicare con un colore l’intensità del dolore, in una scala da zero a dieci (zero = bianco, 1-3 =giallo, 4-7= rosso, 8-10= nero, colorando le ore e i giorni in cui avverte il dolore e ne descrive cromaticamente l’intensità: il medico e la donna hanno così un quadro immediato, cronologico e visivo delle interazioni endocrine e algiche); dell’esame obiettivo attento ai segni di comorbilità 1,2,9,10.
c) terapeutiche, in cui l’”impact factor” curativo del medico può nettamente migliorare quando sappia cogliere la basi fisiopatologiche comuni e utilizzare terapie integrate tra le due discipline Comorbilità tra stipsi e apparato genitale femminile La stipsi, nelle sue varianti di stipsi ostr uttiva, propulsiva e mi sta, rappresenta una patologia di grande interesse comune, fisiopatologico, clinico, semeiologico e terapeutico. È importante leggerla in prospettiva life-span, in quanto nella stipsi primaria, specie di tipo ostruttivo, legata all’ipertono dell’elevatore, ritroviamo non solo aspetti educativi restrittivi nei confronti delle funzioni escretorie (con le loro ripercussioni caratterologiche ed esistenziali) ma anche patologie miogene (ipertoni primari dell’elevatore) che possono poi condizionare le comorbilità ginecologiche (vestibolite vulvare e vulvodinia), sessuologiche (vaginismo e dispareunia) e urologiche (cistiti ricorrenti, cistiti post-coitali, urgenza minzionale). Verranno quindi discusse le molteplici implicazioni tra stipsi, disturbi gastroenterologici associati e quadri ginecologici 1,2,9,10. Conclusioni È tempo di “competenze gemelle”. Di tornare cioè ad un dialogo molto più stretto tra specialisti di diversa formazione e di diversa competenza, per ricondividere uno sguardo clinico centrato sul/la paziente, arricchito delle conoscenze di entrambi. Con l’obiettivo di ottimizzare diagnosi e cura, processi clinici oggi penalizzati da una miopia clinica che si limita all’ambito strettamente specialistico e non sa più leggere il corpo e la persona con uno sguardo integrato, una visione d’insieme fisiopatologica, semeiologica, prognostica e terapeutica. A questa miopia consegue un minimalismo terapeutico, che si concentra sull’epifenomeno distrettuale – la punta dell’iceberg del sintomo emergente -, e raramente e con difficoltà coglie la portata delle modificazioni sistemiche che sottendono il sintomo e lo mantengono. Senza nulla togliere all’importanza della conoscenza specialistica, che resta fondamentale, il ritorno ad una visione sistemica con declinazioni più strette in specialità più affini – quali per esempio la gastroenterologia e la ginecologia - può nettamente migliorare sia la capacità diagnostica e terapeutica del clinico, sia la soddisfazione del/la paziente, che vede finalmente letti in una visione strategica d’insieme sintomi e segni solo apparentemente disparati. La possibilità di condividere il sapere tra specialisti diversi che condividono una speculare passione per l’eccellenza clinica nella cura del/la paziente può arricchire ciascun specialista di una visione più strutturata e soddisfacente, soprattutto in termini di efficacia terapeutica sulle comorbilità. BIBLIOGRAFIA 1. Giovannelli C. Graziottin A. Stipsi e disfunzioni sessuali femminili: il ruolo del proctologo in: Graziottin A. (Guest Ed.), I disturbi sessuali femminili: quando il medico conta. Giornale Italiano di Ginecologia, Vol. XXVIII - n. 6, giugno 2006, p. 277-281. Testo completo disponibile su www.alessandragraziottin.it 2. Bertolasi L. Bottanelli M. Graziottin A. Dispareunia, vaginismo,
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iperattività del muscolo elevatore e tossina botulinica: il ruolo del neurologo. in: Graziottin A. (Guest Ed.), I disturbi sessuali femminili: quando il medico conta Giornale Italiano di Ginecologia, Vol. XXVIII - n. 6, giugno 2006, p. 264-268. Testo completo disponibile su: www.alessandragraziottin.it. Barbara G, Wang B, Stanghellini V, de Giorgio R, Cremon C, Di Nardo G, Trevisani M, Campi B, Geppetti P, Tonini M, Bunnett NW, Grundy D, Corinaldesi R.Mast cell-dependent excitation of visceral-nociceptive sensory neurons in irritable bowel syndrome. Gastroenterology. 2007 Jan;132(1):26-37. Barbara G, Stanghellini V, De Giorgio R, Corinaldesi R. Functional gastrointestinal disorders and mast cells: implications for therapy. Neurogastroenterol Motil. 2006 Jan;18(1):6-17. Review. Gershon MD, Liu MT.Serotonin and neuroprotection in functional bowel disorders. Neurogastroenterol Motil. 2007 Aug;19 Suppl 2:1924. Barbara G, Stanghellini V, Brandi G, Cremon C, Di Nardo G, De Giorgio R, Corinaldesi R. Interactions between commensal bacteria and gut sensorimotor function in health and disease. Am J Gastroenterol. 2005 Nov;100(11):2560-8. Review. Pimentel M, Lezcano S.Irritable Bowel Syndrome: Bacterial Overgrowth--What's Known and What to Do. Curr Treat Options Gastroenterol. 2007 Aug;10(4):328-37. Pallavi Latthe et Al, Factors predisposing women to chronic pelvic pain: systematic review BMJ 332; 74-755, 2006. Graziottin A. Sexual pain disorders: dyspareunia and vaginismus. in: Porst H. Buvat J. (Eds), ISSM (International Society of Sexual Medicine) Standard Committee Book, Standard practice in Sexual Medicine, Blackwell, Oxford, UK, 2006, p. 342-350. Graziottin A. Female sexual dysfunction: Treatment in: Bø K. Berghmans B. Mørkved S. Van Kampen M. (Eds), Evidence-Based Physical Therapy For The Pelvic Floor - Bridging Science and Clinical Practice, Elsevier, Oxford, UK, 2007, p. 277-287.
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CONSTIPATION ILLNESS: CLINICAL APPROACH AND MANAGEMENT IN CHILDREN
CATERINA STRISCIUGLIO E ANNAMARIA STAIANO Dipartimento di Pediatria, Università “Federico II”, Napoli La stipsi cronica è un’entità clinica molto comune in età pediatrica. Studi epidemiologici riportano una prevalenza compresa tra 0.3-8%. Il 3-5% delle visite ambulatoriali pediatriche e il 5-30% delle visite di gastroenterologia pediatrica sono dovute alla stipsi cronica 1, 2. La stipsi non è una malattia, ma un segno e un sintomo, generalmente definibile come: ridotta frequenza evacuativa, o come passaggio doloroso di feci attraverso il colon, o ingombro fecale rettale anche in presenza di una normale frequenza evacuativa, oppure come presenza di almeno un episodio di incontinenza fecale per settimana. Uno dei problemi cruciali nell’approccio alla stipsi in età pediatrica è rappresentato dalla mancanza di una definizione universalmente accettata. Pertanto, un gruppo di esperti gastroenterologi pediatri ha definito i criteri diagnostici dei disordini funzionali gastrointestinali sulla base dei sintomi (Criteri di Roma II). Secondo tale classificazione, la stipsi idiopatica funzionale veniva suddivisa in due tipi fondamentali: la stipsi funzionale propriamente detta e la ritenzione fecale funzionale. Recentemente è stata valutata l’efficacia dei criteri di Roma II per la ritenzione fecale funzionale nell’ identificare bambini con encopresi, evidenziando i limiti di questi ultimi in quanto troppo restrittivi. Pertanto, ne viene suggerito il miglioramento con l’inclusione di dati relativi alla presenza di evacuazioni che ostruiscono la toilet, di dolori addominali alleviati da clisteri o da lassativi, e alla presenza di masse palpabili addominali o rettali 3. Nel 90-95% dei casi la stipsi viene definita idiopatica o funzionale. Un problema organico è presente soltanto nel 5% dei casi. La stipsi organica è prevalentemente rappresentata dalla malattia di Hirschsprung, che occorre in circa 1 su 5000 nati vivi con una predominanza nel sesso maschile di 4:1. La defecazione è un atto volontario e si basa su due eventi coordinati: il rilasciamento del pavimento pelvico e l’aumento della pressione intraddominale. Da un punto di vista patogenetico, la ritenzione fecale può essere la risposta del bambino alla defecazione dolorosa: un cambiamento dietetico nei primi mesi di vita (passaggio dal latte materno al latte vaccino), un episodio acuto (febbre) o l’educazione all’uso della toilet o situazioni che impongono di sopprimere il desiderio di evacuare (inizio della scuola) possono determinare il passaggio di feci dure, causa di fissurazioni anali e dolore, che inducono il bambino a trattenersi, contraendo i muscoli glutei e del pavimento pelvico per evitare l’ evacuazione e quindi il dolore. Le feci trattenute diventano sempre più dure per il riassorbimento di liquidi, il retto comincia a dilatarsi perdendo la sua elasticità e la sensibilità rettale si riduce. Il bambino, pertanto, continua a trattenere le feci, innescando un circolo vizioso che determina il persistere della stipsi. Il 36-52% dei bambini con stipsi funzionale, inoltre, può presentare alterazioni dinamiche della defecazione o dissinergie pelviche: il fisiologico rilassamento dello sfintere anale esterno e dei muscoli del pavimento pelvico alo stimolo evacuativo è sostituito da una contrazione che ostacola la defecazione.
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Letture La diagnosi di stipsi cronica funzionale è essenzialmente clinica; tutti i bambini stitici devono essere sottoposti ad un’ accurata anamnesi, un attento esame obiettivo e all’ esplorazione rettale. Non esistono in letteratura studi ben definiti in grado di determinare quali aspetti della storia clinica e dell’ esame obiettivo siano i più determinanti. Quesiti importanti da porre riguardano: - l’emissione del meconio dalla nascita; - l’ età di insorgenza; - le caratteristiche dell’alvo (frequenza evacuativa, grandezza e consistenza delle feci, presenza di incontineza fecale; - l’ assunzione di posizioni antalgiche defecatorie; - la presenza di anomalie urinarie. L’ enuresi è presente nel 34% dei bambini stitici, l’ incontinenza urinaria diurna nel 29% dei casi, mentre le infezioni ricorrenti delle vie urinarie nel 10% delle bambine. Di fondamentale importanza ai fini di una corretta diagnosi sono la presenza di masse addominali, l’ispezione perineale e perianale e l’ esplorazione rettale. Tali manovre consentono di valutare la presenza di anomalie anatomiche, ragadi, fissurazioni anali; il tono degli sfinteri esterno ed interno; la presenza di feci in ampolla rettale e la loro consistenza. Un normale esame neurologico e la determinazione della sensibilità perianale dovrebbero far parte dell’ esame obiettivo. La perdita della sensibilità perianale può essere associata infatti a numerose malattie neurologiche del midollo spinale. In presenza di una mancata risposta alla terapia convenzionale e/o segni e sintomi clinici suggestivi sarà opportuno effettuare una corretta diagnosi differenziale tra stipsi organica e stipsi funzionale. Un esordio precoce della stipsi con ritardato passaggio di meconio nelle prime 24-48 ore dopo la nascita; un’ ampolla rettale vuota all’esame obiettivo; frequenti episodi ostruttivi o subostruttivi; l’ assenza di incontinenza fecale e la mancata risposta alla terapia medica sono tutte caratteristiche cliniche della stipsi organica. Secondo le più recenti Linee-guida della North American Society for Pediatric Gastroenterology and Nutrition (NASPGN), in presenza di fattori di rischio per patologia organica o mancata risposta alla terapia convenzionale è opportuno praticare indagini sierologiche al fine di valutare la funzionalità tiroidea, gli elettroliti sierici, ed escludere la celiachia. In assenza di alterazioni ematochimiche, sarà opportuno indirizzare il bambino ad un gastroenterologo pediatra e proseguire con indagini strumentali 4. Una radiografia addominale non è indicata per stabilire la presenza di ingombro fecale se all’ esplorazione rettale è evidente abbondante ristagno di feci. Studi retrospettivi hanno infatti dimostrato che la sensibilità ed il valore predittivo per ritenzione fecale, della presenza di feci all’esplorazione rettale in bambini con encopresi è superiore all’ 80%. Una radiografia diretta dell’ addome è indicata invece per determinare la presenza di ingombro fecale prima di iniziare il trattamento in bambini obesi in cui è difficile ricercare masse addominali e nei bambini che rifiutano l’ esplorazione rettale per fattori psicologici (abuso sessuale). Quando la frequenza evacuativa è ridotta ma non ci sono segni obiettivi di stipsi, oppure se la storia clinica del paziente non è sufficientemente accurata, la valutazione del tempo di transito intestinale totale è utile per ottenere una misurazione obiettiva della frequenza evacuativa.
L’accumulo delle feci nei bambini con stipsi funzionale avviene di solito nell’ampolla rettale; in casi selezionati ci può essere un transito più prolungato in segmenti più prossimali del colon. Uno studio condotto su bambini con danno cerebrale ha dimostrato un rallentamento a livello colonico rispetto ai bambini senza danno neurologico che mostrano un rallentamento prevalentemente rettale. Studi multicentrici di coorte e caso controllo hanno dimostrato che la manometria anorettale e la biopsia rettale con valutazione istologica sono gli unici test in grado di escludere la malattia di Hirschsprung. In presenza di storia clinica, segni e sintomi suggestivi di patologia organica, la manometria anorettale rappresenta il primo esame strumentale da effettuare allo scopo di ricercare la presenza del riflesso inibitorio anale. In assenza di tale riflesso è opportuno proseguire con accertamenti di seconda istanza. La biopsia rettale con valutazione istologica rappresenta il gold standard per la diagnosi di malattia di Hirschsprung. L’esame consente di dimostrare l’ assenza dei plessi nervosi intrinseci e l’ ipertrofia/iperplasia delle fibre estrinseche colinergiche. Il clisma opaco senza preparazione intestinale è utile nella valutazione del calibro del colon e permette di individuare un’eventuale zona di transizione tra un segmento aganglionico e uno ganglionico e di stimare la lunghezza approssimativa del segmento aganglionico. Terapia Sebbene la stipsi sia un problema molto comune, non esistono fino ad oggi molti studi randomizzati controllati 5. Le uniche Linee-guida basate sull’ evidenza”, per la valutazione ed il trattamento della stipsi cronica in età pediatrica , sono quelle pubblicate dalla NASPGN nel 1999. Secondo la NASPGN, il trattamento della stipsi cronica funzionale del bambino può essere suddiviso in 4 fasi: - educazione; - eliminazione dell’ ingombro fecale; - prevenzione del riaccumulo; - sospensione della terapia e follow-up. Educazione L’ educazione è la prima tappa del trattamento della stipsi funzionale nel bambino. Per migliorare la compliance al trattamento è importante spiegare ai genitori e al bambino che la stipsi non è provocata da problemi di tipo comportamentale e che l’incontinenza fecale non è controllabile da parte del piccolo. Inoltre, è opportuno informare i genitori che la durata del trattamento è variabile: alcuni bambini rispondono in settimane, altri hanno bisogno di mesi o anche di anni. Le componenti dell’educazione sono dunque la demistificazione e l’alleanza terapeutica. Un’altra semplice misura per regolarizzare l’evacuazione è l’ educazione alla toilet. Il bambino viene invitato a tentare di defecare tre volte al giorno per 5 minuti, dopo ogni pasto. Il bambino deve sforzarsi (ponzare), mentre i piedi sono ben posizionati a terra. Ciò è importante per appiattire l’ angolo anorettale, facilitando l’espulsione fecale. Un totale del 15% di 54 bambini con stipsi riferiti ad un centro di terzo livello è stato trattato con successo dall’insieme di consigli,
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Letture educazione comportamentale ed educazione alla toilet 6. L’ obiettivo del trattamento della stipsi è quello di garantire delle evacuazioni giornaliere per prevenire il riaccumulo di feci. Ciò può essere ottenuto attraverso modifiche comportamentali, supplementi dietetici di fibre, lassativi. Il toilet training consiste nell’incoraggiare il bambino dopo i pasti a sedersi sulla tazza o sul vasino a seconda della sua altezza (perché avvenga un corretto ponzamento) per almeno 5-10 minuti, giocando con lui e promettendo piccoli premi in caso di successo. La pratica del toilet training è raccomandata in bambini oltre i 3 anni, mentre va scoraggiata in bambini di età inferiore perché un’ abitudine coercitiva in soggetti così piccoli può rappresentare un fattore importante nello sviluppo successivo di stipsi. I lassativi rappresentano la prima scelta terapeutica per il mantenimento di una regolare frequenza evacuativa dopo la rimozione dell’ ingombro fecale. È stato dimostrato che, nel follow-up a 12 mesi, il 78% dei bambini con stipsi che assumono lassativi e vengono educati all’ uso della toilet hanno una buona risposta terapeutica 7. I lassativi più utilizzati sono quelli osmotici: lattulosio e lattitolo. Essi sono carboidrati non riassorbibili che vengono scissi bai batteri intestinali. Il dosaggio iniziale è variabile da bambino a bambino e dovrebbe essere aggiustato fino a produrre 1-2 evacuazioni di feci morbide al giorno. Studi randomizzati controllati hanno dimostrato che i lassativi osmotici, gli oli minerali (lubrificanti), e l’ idrossido di magnesio sono efficaci e sicuri in età pediatrica. L’ uso prolungato di lassativi stimolanti (senna e bisacodile) non è raccomandato. L’assunzione a lungo termine di tali farmaci infatti, sembrerebbe essere connessa a danni dell’ innervazione intrinseca del colon. In definitiva, non esistono evidenze in letteratura circa il loro corretto utilizzo. 4 L’ utilizzo di un nuovo rammollitore fecale, il poletilenglicole, ha rappresentato una svolta terapeutica nel bambino con stipsi cronica. Bishop et al., in uno studio osservazionale, hanno dimostrato che il polietilenglicole somministrato per 8 settimane in bambini stitici è efficace, sicuro e palatabile 8. Recentemente, Vera Loening-Baucke in uno studio prospettico non in cieco randomizzato ha paragonato l’ efficacia del polietilenglicole a quella del latte di magnesia mostrando risultati sovrapponibili 9. Uno studio doppio-cieco, ha mostrato che nei bambini il polietilenglicole ed il lattulosio aumentano entrambi la frequenza evacuativa. Un dosaggio di 0.26 ± 0.11 gr/kg/die ( media ± deviazione standard) risultava efficace nei bambini studiati. BIBLIOGRAFIA 1. Levine MD. Children with encopresis: a descriptive analysis. Pediatrics 1979; 56: 412-16 2. Loening-Baucke V. Constipation in early childhood: patient characteristics, treatment, and long term follow-up. Gut 1993; 34: 1400-4. 3. Rasquin-Weber A, Hyman PE, Cucchiara S, et al. Childhood functional gastrointestinal disorders. Gut 1999; 45 (Suppl 2): 60-8. 4. Rockney RM, McQuade WH, Days AL. The plain
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LA STIPSI CRONICA NELL’ANZIANO
ITALO VANTINI Dipartimento di Scienze Biomediche e Chirurgiche Cattedra e U.O. di Gastroenterologia Università degli Studi di Verona Quella italiana è una delle popolazioni che oggi presenta un’aspettativa i vita più alte del mondo ed un indice di vecchiaia tra i più elevati. Ciò implica che una sempre maggiore porzione di popolazione esprime bisogni specifici della terza età ed è necessario comprendere le connotazioni che alcune patologie, presenti anche in altre fasce di età, possono avere nell’anziano caratteristiche intrinseche ed opportunità di risposta diversificate. È questo il caso anche della stipsi cronica. Nella sua gestione è opportuno prendere in considerazione alcune tappe. 1- La prima è di possedere una corretta immagine del significato di stipsi cronica nell’anziano Dati epidemiologici 1, 2 segnalano un significativo incremento della prevalenza della stipsi nella popolazione anziana, con valori di 2-3 volte rispetto a quelli della popolazione adulta (20-40% vs. 10-15%), soprattutto oltre gli 80 anni 3, una maggiore prevalenza nel sesso femminile, un largo uso di lassativi, una riduzione della qualità di vita, ma anche uno scarso grado di soddisfazione dei trattamenti. Tuttavia, qualora si confronti il dato di prevalenza misurato secondo criteri internazionali di stipsi, basati sostanzialmente sulla riduzione della frequenza delle evacuazioni con la percezione di questo disturbo da parte di popolazioni anziani, emerge che la frequenza di stipsi self-reported eccede di varie volte quella oggettivamente misurabile, e che tale percezione è correlata con disturbi psicologici e si riferisce soprattutto alla necessità di pensamenti lunghi e ripetuti, più che alla frequen-
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Letture za dell’avo 4. Ciò implica che l’ elevata prevalenza è in buona misura dovuta ad una differente percezione di stipsi nell’anziano. Ciò ha implicazioni pratiche nel rilevare il disturbo: infatti, se nell’adulto sussistono in genere i criteri di Roma III, nell’anziano l’anamnesi dovrebbe essere maggiormente attenta a raccogliere soprattutto altri parametri quali l’uso di lassativi e di clisteri, la necessità di ponzamenti prolungati e ripetuti, l’uso delle dita per favorire l’evacuazione. La percezione di stipsi nell’anziano è correlata anche a miti e tradizioni: infatti, è diffusa la convinzione che un alvo regolare sia indice essenziale di buona salute, e ciò può in parte giustificare come l’uso di lassativi ecceda in qualche serie la prevalenza stessa di stipsi cronica. Tuttavia, anche se gli anziani percepiscono l’esistenza di stipsi più frequentemente di quanto essa realmente sia, l’evacuazione è effettivamente disturbata in una elevata percentuale di soggetti istituzionalizzati.. 2- Il secondo passo è di comprendere quali siano le ragioni della stipsi nell’anziano: dati convergenti segnalano come l’aumento dell’età sia associ ad un incremento della stipsi con un progressivo rallentamento nel transito colonico e della pressione intrarettale capace di elicitare la percezione di evacuazione 5, Inoltre, dati sperimentali documentano una riduzione dei neuroni del pleso mienterico ed un aumento dei recettori oppioidi nel colon 6, 7. Pertanto, il processo di invecchiamento sembra ridurre l’efficienza propulsiva del colon, ma non quella di altri tratti del tubo digerente. Tuttavia, la stipsi non deve essere considerata un inevitabile equivalente della terza età, e la riserva funzionale fisiologica del tratto digestivo è tale che molti soggetti non lamentano tale disturbo. Un ridotta capacità di esercitare la spinta addominale, la maggior frequenza di perineo discendente, di prolasso mucoso rettale, di megaretto funzionale giustifica, sotto il profilo fisiopatologico, l’aumenta frequenza della stipsi nell’anziano. È essenziale tener presente che queste ultime condizioni rappresentano un crocevia comune per stipsi cronica ed incontinenza fecale e che quest’ultima –nell’anziano,- può essere facilitata dall’uso inappropriato di lassativi, come documentato in popolazioni istituzionalizzate. Mentre nell’adulto la stipsi non comporta in genere alcuna conseguenza fisica maggiore, nell’anziano –anche se limitatamente a pazienti con demenza, limitata mobilità, ed istituzionalizzatosi possono produrre complicanze come ulcere stercoracee, distensione e perforazione colonica.associate a severa e ripetuta faecal impaction. Fattori comportamentali ed alimentari sono implicati nella genesi della stipsi nell’anziano come una riduzione dell’introito di liquidi, di calorie, di fibre 8 , 9s, una limitazione importante, anche se breve, dell’attività fisica 10, il grado di indipendenza motoria 11. Inoltre, un basso livello socioeconomico e culturale, ma anche la depressione, sembrano determinanti di stipsi nell’anziano 12. Scenari profondamente diversi nella espressione di questo disturbo sono riconoscibili in settino diversi e quindi è necessario distinguere tra anziani sani, attivi, indipendenti, soggetti che vivono presso residenza per anziani e residenze assistite, ed infine soggetti con scarsa indipendenza od ospedalizzati, condizioni nella quali si rileva un progressivo aumento della prevalenza di stipsi 12. In una popolazione con elevata comorbilità, soprattutto di carattere cardiovascolare e neuromotorio, l’uso di farmaci può favorire la sti-
pi. Tuttavia, tale relazione è probabilmente sovrastimata e un rapporto causa-effetto tra assunzione di farmaci ed insorgenza ex novo di stipsi sussiste solo per alcune categorie come i calcio-antagonisti, gli oppioidi, i sali di calcio, mentre appare meno stringente per gli antidepressivi non triciclici e con scarse proprietà anticolinergiche, cos come per varie categorie di farmaci a basso potere di indurre stipsi 13. 3- Il terzo passo è l’approccio diagnostico e terapeutico. Una volta esclusa una patologia organica, eseguita una accurata raccolta anamnestica che esplori tutti i sintomi associati alla stipsi, l’uso di farmaci, il setting nel quale l’anziano vive, lo stato menatale, la comorbilità, la continenza fecale e la capacità e motivazione ad intraprendere un progetto terapeutico-riabilitativo, oltre ad un esame fisico completo ed un’attenta valutazione della regione perineale, va intrapresa una sequenza di provvedimenti. I provvedimenti di prima linea sono: un adeguato introito calorico e di liquidi, la supplementazione di fibre, l’attività fisica, il bowel training, la sospensione o sostituzione di farmaci non essenziali o che possono indurre stipsi; supposte ed occasionali clisteri possono esser consentiti; 2- la seconda linea è rappresentata dall’uso di lassativi osmotici, in particolare il PEG, in associazione –se necessario – a supposte ed occasionali o programmati clisteri; 3- lassativi irritanti e clisteri rappresentano il terzo paso, qualora i provvedimenti antecedenti abbiano fallito o non siano percorribili. L’uso cronico di lassativi irritanti non sembra peraltro produrre side effects rilevanti nell’anziano 14. Una condivisione del progetto terapeutico e la prudente e saggia definizione di obiettivi realistici è essenziale, per limitare gradi di insoddisfazione per l’outcome dei trattamenti che è probabile qualora ciò non sia chiarito nelle gestione del soggetto anziano con stipsi cronica. Infine, non si deve dimenticare che l’istituzionalizzazione di per sé si associa 15 ad un rapido incremento di prevalenza di stipsi e pertanto azioni di informazione-educazione sul personale di assistenza dovrebbero essere promosse. Infine, la rimozione di miti e di credenze 16 sulla stipsi dovrebbe essere tentata con lo scopo di condividere conoscenze ed azioni un’azione di educazione del paziente. BIBLIOGRAFIA 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15.
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Letture 16. Muller-Lissner SA et al Am J Gastroenterol 2005; 100: 232-41.
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INTRACTABLE CONSTIPATION
STEFAN MÜLLER-LISSNER, MD Professor of Medicine, Humboldt University Department of Internal Medicine Definition Unfortunately, there is no uniform definition of “intractability” or “refractoriness”, respectively. This is, however, understandable since constipation becomes a problem through subjective complaints only and not because of objective quantifiable data. Nevertheless, physiologic studies should have been done before a label like “intractable” should be applied. By a colonic transit measurement and tests of anorectal function it should be sorted out whether the problem is located in the colon or in the anorectum (i.e. disordered defaecation) (Bharoucha, Preston). A discrepancy between bowel movements reported by the patient and the results of the transit time measurement is not unusual. For the patient, ease of defaecation (i.e. no need to strain/no hard stools) and the perceived completeness of the bowel emptying are in the foreground whereas transit time itself cannot be felt. Hence a soft large stool represents “success” whereas a small stool may be disregarded even if it contains a relevant number of transit markers. What we measure helps to understand the symptoms but is never a treatment indication by itself. A reasonable solution is to define what measures should have been tried and failed to adequately improve the symptoms before refractoriness is assumed. These measures should include macrogol, stimulant laxatives (alone and in combination), enemas (alone and in combination with oral laxatives), and in the case of disordered defaecation some kind of sphincter education (Koutsomanis). Laxatives Laxatives, in particular sennosides, do not have a good reputation. They are ascribed a couple of undesirable effects, at least when taken long-term. However, it is unlikely that stimulant laxatives at recommended doses are harmful to the colon (Müller-Lissner). At higher than recommended doses, laxatives can cause electrolyte disturbances. Abdominal complaints may occur but this can be minimized with appropriate drug and dose selection for a given patient. Some patients with slow-transit constipation report the need to increase the laxative dose in order to maintain the desired effect (Müller-Lissner) though published clinical trials do not show a loss of effect of laxatives. Dose escalation could reflect tolerance or worsening of constipation over time. Psycholog y In a patient with “intractable or “refractory” constipation one has to ask whether it is the constipation or the patient being refractory. The answer is often not an easy one. Studies on psychological
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traits in constipation are sparse (in contrast to irritable bowel syndrome). Constipated patients do have a reduced quality of life, particularly the subgroup with normal transit and symptoms of disordered defaecation. Hence, either disordered defaecation has more negative impact on quality of life, or psychologically abnormal patients complain more about discomfort upon defaecation. Thus, a psychological assessment and psychiatric intervention (if a psychological pathology is considered to play a role) should be considered. This is mandatory before colectomy may be considered as a treatment. Colectomy A review of the outcome of colectomy for constipation based on 32 studies published between 1981 and 1988 shows a median postoperative stool frequency of 2.9 per day (range 1.3 – 5) (Knowles). The procedure carries the risk of more or less severe side effects such as small bowel obstruction necessitating reoperation. Abdominal pain is a particularly prominent feature. Longer follow-up is associated with less positive outcomes. Factors predicting a less favourable result were normal transit time, constipation first arising in adulthood, previous hysterectomy, coexisting psychiatric problems, and disordered motility in higher segments of the GI tract. Hence, oesophageal, gastric, and small bowel motility should be normal when colectomy for slow transit constipation is considered. Quality of life in colectomised patients was decreased for at least five years after the operation. Astonishingly, patient satisfaction after colectomy was reported to be quite high (median 86%; range 39 – 100%) (Thaler). Since we are dealing with a chronic and mostly stable disorder there is no need to decide quickly about intractability or refractoriness, respectively. The conservative approaches should spread over months rather than weeks prior to switch to colectomy. Unwillingness of the patient to take a successful medication should not be accepted as refractoriness. A good patient – doctor relationship is helpful but cannot always be established. REFERENCES 1. Bharoucha AE; Wald A, Enck P, Rao S. Functional Anorectal Disorders. Gastroenterology 2006;130:1510-1518. 2. Koutsomanis D, Lennard-Jones JE, Roy AJ, Kamm M. Controlled randomised trial of visual biofeedback versus muscle training without a visual display for intractable constipation. Gut 1995;37:95-9. 3. Müller-Lissner SA, Kamm MA, Scarpignato C, Wald A. Myths and misconceptions about chronic constipation. Amer J Gastroenterol 2005; 100: 232-42. 4. Preston DM, Lennard-Jones JE. Severe chronic constipation of young women: ‘Idiopathic slow transit constipation’. Gut 1986; 27:41–8. 5. Knowles CH, Scott M, Lunniss PJ. Outcome of colectomy for slow transit constipation. Ann Surg. 1999;230:627-38. 6. Thaler K, Dinnewitzer A, Oberwalder M, Weiss EG, Norgueras JJ, Efron J, Vernava AM, Wexner SD. Quality of life after colectomy for colonic inertia. Tech Coloproctol. 2005;9:133-7.
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Letture STIPSI CRONICA SECONDARIA IRREVERSIBILE
DANILO BADIALI Dipartimento Scienze Cliniche Università La Sapienza, Roma Malattie organiche, intestinali o sistemiche (tabella 1), e farmaci (tabella 2) che possono indurre stitichezza 1 sono numerosi e devono essere attentamente considerati ed esclusi in ogni paziente. La terapia della stipsi secondaria dipende dalla rimozione della patologia o del farmaco che la provoca. Nelle condizioni di danno permanente o di impossibilità a sospendere il farmaco stiptizzante, la condizione è irreversibile, a volte ingravescente con problemi di gestione del paziente e rischio di complicanze gravi. Condizioni di irreversibilità sono le malattie neurologiche, le miopatie e, tra le cause farmacologiche, l’assunzione di farmaci morfino-simili in pazienti con neoplasie. Queste categorie di pazienti possono sviluppare stipsi severa con formazione di fecalomi, episodi occlusivi, distensione addominale e scadimento della qualità di vita 2. TABELLA 1 - Patologie causa di stipsi secondaria Disordini endocrino-metabolici
• diabete mellito • iperparatiroidismo • ipotiroidismo • uremia Miopatie • amiloidosi • sclerodermia • distrofia miotonica Malattie neurologiche • neuropatie autonimiche • malattiea di Parkinson • danni cerebrovascolari • lesioni midollari • sclerosi multipla • tumori Disturbi psichiatrici • sindrome ansiosa • disturbo di somatizzazione • depressione Malattie intestinali • stenosi • ragade anale • morbo di Hirschsprung • prolasso rettale • neurodisplasie del SNE1 • rettocele • MICI2 • emorroidi 1 Malattie infiammatorie croniche intestinali; 2 Sistema nervoso enterico
TABELLA 2 - Farmaci che possono indurre stitichezza • Antacidi (con Al o Ca) • Anticholinergici • Antidepressivi • Anti-istaminici • Calcio antagonisti • Clonidina • Diuretici
• Preparati marziali • Levodopa • Narcotici • FANS • Oppioidi • Psichotropi • Simpaticomimetici
L’attività motoria intestinale è regolata dal sistema nervoso enterico (SNE) organizzato nei due plessi mioenterico e sottomucoso; il sistema nervoso autonomo esercita un’azione di modulazione sul SNE. Il parasimpatico, innerva con il vago il colon ascendente e trasverso con effetto prevalentemente inibente. I nervi pelvici originati a livello S2-S3 innervano il restante colon-retto retto con
azione prevalentemente di stimolo dell’attività motoria propagata. La componente ortosimpatica del colon origina dal midollo compreso tra T2 e L2 e il motoneurone postgangliare situato nei gangli paravertebrali. Alterazioni dell’attività motoria del colon si possono avere quindi miopatie che interessino la muscolatura liscia per lesioni neurologiche a livello del SNE, del SNC, spinale che sopraspinale, e dei nervi periferici. Le differenti malattie possono presentarsi clinicamente in modo simile, anche se con severità diversa, alterando il transito lungo il colon-retto e/o l’atto della defecazione. È quindi utile far riferimento alla natura della lesione per supporre il tipo di alterazione presente, ma per valutare attentamente i meccanismi patogenetici nel singolo paziente è necessario ricorrere alle usuali indagini diagnostiche (studio del tempo di transito, defecografia, manometria rettale, esame neurofisiologico del pavimento pelvico). Rallentato transito intestinale. Nelle lesioni midollari al di sopra S2-S3, la deconnessione del parasimpatico sacrale dal controllo inibente dei centri superiori, incrementa l’attività motoria segmentante e riduce quella propagata, anche dopo stimolo da pasto (risposta gastro-colica) 3. Conseguentemente il transito intestinale è ritardato, soprattutto a livello del colon sinistro 4. Tempo di transito prolungato è stato descritto anche in malattie neurologiche che interessano centri sopraspinali (malattia di Parkinson, lesioni vascolari cerebrali, sclerosi multipla). Alterata Defecazione. Nei pazienti neurolesi il normale atto della defecazione può essere compromesso per alterazione dei riflessi e/o per un insufficiente controllo volontario. Lesioni dei centri parasimpatici sacrali sono state associate ad iperattività dello sfintere anale interno con ostacolo alla defecazione. Viceversa, altri autori hanno descritto un ipotono sfinteriale a riposo, predisponente episodi d’incontinenza fecale. Recentemente è stato dimostrato 5 che fattore discriminante è rappresentato dalla presenza o meno dei riflessi sacrali. Nei pazienti con lesione sopra i centri sacrali, la perdita del controllo inibitorio induce iperattività anale con rinforzo della risposta eccitatoria dei riflessi sacrali, quindi ai tentativi di ponzamento, con aumento della pressione addominale, lo sfintere anale esterno risponderebbe con una contrazione dissinergica che ostacola la defecazione. Se i riflessi sono aboliti, l’evacuazione non è ostacolata, anzi può essere facilitata in caso di ipotono sfinteriale. Una condizione simile è stata descritta in pazienti con malattia di Parkinson, o con sclerosi multipla, nei quali lo sfintere anale esterno non si rilascia durante ponzamento. I pazienti con perdita della sensibilità, non percepiscono lo stimolo ad evacuare quando le feci arrivano nel retto che, grazie alla sua elevata compliance, si distende accogliendone notevoli quantità. Infine la paralisi della muscolatura addominale e/o pelvica, rende difficile l’evacuazione per l’impossibilità di spingere in maniera soddisfacente. Megacolon. La stipsi cronica può associarsi a notevole distensione del colon. Il megacolon può essere conseguenza di un progressivo accumulo di feci ed aria come si sviluppa a monte di un’oc-
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Letture clusione meccanica, o del tratto agangliare nel morbo Hirschsprung. Megacolon è però descritto anche nelle neuropatie, nelle miopatie e nell’ipotiroidismo. In questi casi è attribuito ad un processo degenerativo dei neuroni dei plessi enterici, con grave destrutturazione dell’attività motoria del colon che diventa atonico e privo di attività propulsiva. Megacolon è stato descritto anche in pazienti Parkinsoniani, e nei casi nei quali è stato necessario il ricorso alla colectomia, l’esame istologico del pezzo operatorio ha mostrato la presenza di corpi di Lewy in neuroni del plesso mioenterico. TRATTAMENTO La gestione dei pazienti con stipsi secondaria irreversibile prevede un approccio graduale per ricercare la modalità più idonea ad assicurare un costante e sufficiente svuotamento intestinale, che non interferisca con la qualità di vita dei pazienti, non ne limiti l’autonomia e non li predisponga a complicanze. Obiettivo primario è quello di evitare la formazione di fecalomi che oltre a generare disturbi (agitazione psico-motoria, dolore anale, ecc..) causare ulcere della mucosa, sanguinamenti, occlusione intestinale, volvoli e perforazione. Inoltre la presenza di impatto fecale del retto induce una condizione permanente di rilasciamento anale con incontinenza fecale (over-flow incontinence). In queste condizioni è quindi necessario, innanzi tutto, rimuovere meccanicamente i fecalomi con clisteri ripetuti (2000 ml/die sino ad ottenere un soddisfacente svuotamento del colon) e, se necessario, con la frantumazione manuale o endoscopica. Considerando i meccanismi fiopatogenetici della stitichezza bisogna tenere presente un duplice obiettivo terapeutico: assicurare la progressione delle feci nell’ampolla rettale e assicurare un efficace svuotamento rettale prevedendo evacuazioni ad intervalli fissi. Rallentato transito intestinale. Le fibre aumentando il volume fecale stimolano nel colon l'attività propulsiva e riducono quella segmentante. Una dieta ad alto residuo, eventualmente arricchita con integratori di fibre (psyllium, crusca, glucomannano) con un adeguato apporto di liquidi (1500ml/die di acqua) può indurre un’accelerazione del transito intestinale, come è stato osservato sia in pazienti paraplegici, che parkinsoniani. Tuttavia la risposta non è costante e le fibre possono essere dannose in alcune condizioni. Sono riportati ripetuti casi 6 di (sub)occlusioni intestinali in pazienti affetti da sclerodermia con stipsi e megacolon trattati con fibre dietetiche. Quando è necessario ricorrere a lassativi orali è opportuno iniziare con gli osmotici e, per la minore presenza di effetti indesiderati, con le soluzioni elettrolitiche con polietilenglicole (PEG). Le soluzioni PEG ottengono accelerazione del transito intestinale, aumento della frequenza delle evacuazioni, e miglioramento della consistenza delle feci con riduzione dello sforzo evacuativo 7. Inoltre presentano il vantaggio che l’effetto è proporzionale alla dose che è facilmente modulabile, permettendone la personalizzazione allo scopo di evitare diarrea e incontinenza. La loro efficacia è stata dimostrata in soggetti con malattia di Parkinson e con stipsi indotta da farmaci morfino-simili. Anche nel caso di ricorso a lassativi stimolanti è bene preferire quelli scarsamente assorbibili (bisacodile, picosolfito di sodio). Per
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instaurare un regime terapeutico è sufficiente una frequenza di somministrazione pari a 2-3 volte la settimana, con la dose minima in grado di stimolare l’evacuazione senza provocare diarrea. Nel megacolon, soprattutto se dovuto a miopatie o neuropatie del SNE la terapia conservativa può risultare insoddisfacente: in questi casi la colostomia è in grado di assicurare un miglioramento della sintomatologia dovuta alla distensione addominale. Nei casi più gravi di stipsi con ritardato transito intestinale e senza alterazioni della fase espulsiva, può essere valutata la possibilità di un intervento di colectomia totale e ileo-retto anastomosi. In questi casi è però essenziale escludere che il disordine motorio interessi anche altri tratti dell’intestino. Nei pazienti neurolesi è stato proposto il confezionamento di una stomia continente nel colon prossimale (cieco o appendice) per mezzo della quale eseguire dei clisteri anterogradi (MACE: Malone Antegrade Continence Enema), con i quali si ottiene l’evacuazione in un intervallo di ~15-45 min. L’indicazione è però limitata a stipsi di lieve entità senza alterazioni dell’evacuazione ed è gravato da frequenti effetti collaterali. Di recente acquisizione è l’uso della neuromodulazione sacrale per la terapia della stitichezza cronica resistente alla terapia conservativa. Al momento in letteratura sono riportati pochi studi, con un numero limitato di casi di stipsi funzionale. La neuromodualzione sembra essere efficace nella stitichezza con rallentato transito, ma al momento non sono stati identificati fattori predittivi sulla risposta per la selezione dei candidati. Alterata defecazione. Nei pazienti che hanno completamente perso la sensibilità retto-anale, è necessario stimolare la defecazione mediante stimoli esterni meccanici e/o farmacologici. È consigliabile proporre al paziente una serie di stimoli invitandolo a provarli in modo sequenziale al fine di identificare quello con il quale ottenere un’evacuazione soddisfacente, con il massimo di autonomia 8 . Recentemente, per i pazienti paraplegici è stato proposto un sistema di irrigazione intestinale 9 costituito da una sacca per clistere corredata da un catetere con un palloncino ed una pompa in modo che il paziente possa autonomamente introdursi il catetere, tenerlo in posizione con il palloncino gonfiato, che evitare reflusso del liquido infuso, e irrigare il retto-colon creando con la pompa manuale una pressione nella sacca. In uno studio aperto controllato, il sistema ha ottenuto un miglioramento dei punteggi valutativi per la stitichezza, l’incontinenza e la qualità di vita, ma non ha modificato l’uso di lassativo orale e inoltre in circa un terzo dei casi ha presentato problemi tecnici. I pazienti con dissinergia pelvica dovrebbero avvalersi della terapia riabilitativa con biofeed-back, che però richiede che sia mantenuti la sensibilità e il controllo volontario dei muscoli del pavimento pelvico, quindi non applicabile in gran parte di pazienti con lesioni neurologiche. Uno studio su pazienti parkinsoniani con dissinergia anale, ha dimostrato che l’infiltrazione del muscolo pubo-rettale con tossina botulinica ottiene un miglioramento dei sintomi, ma l’effetto si esaurisce in ~3 mesi necessitando di nuovi trattamenti.
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Letture TABELLA 3 - Schedula di stimoli sequenziali* per stimolare l’evacuazione in pazienti neurolesi
CAUTEL A NELL A CHIRURGIA DELL A OSTRUITA DEFECAZIONE
1. Massaggio o percussione addominale 2. Massaggio perianale 3. Digitazione ano-rettale o massaggio intra-anale 4. Supposta di glicerina 5. Supposta di lassativo da contatto 6. Clistere di volume ridotto (100-250 cc), ± supposta 7. Lassativo orale 8. Clistere evacuativo (1500 cc) ± lassativo di contatto * Ricorso allo stimolo successivo soltanto in caso di insuccesso di quello precedente.
MARIO PESCATORI Unità di Colonproctologia, Villa Flaminia, Roma Centro Chianciano Salute, Chianciano Terme
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Sui giornali, in televisione, nei depliants distribuiti agli stands e su Internet (ad esempio sul sito www.emorroidiestipsi.com) si fa di questi tempi una gran promozione per spingere la chirurgia della ostruita defecazione e spesso riceviamo appelli da pazienti stitiche che sperano di guarire operandosi per un rettocele o un prolasso mucoso o una intussuscezione rettale, due reperti parafisiologici che non mancano nelle donne pluripare o di età avanzata. Questo bombardamento mediatico assicura ad esempio che la stapler è una panacea (la chirurgia è risolutiva), che gli stitici si devono operare perché la melanosi del colon è una precancerosi e altre notizie di questo genere, che farebbero sorridere se non comportassero purtroppo un abuso di interventi chirurgici e un fiorire di complicanze postoperatorie, recidive e speranze deluse. Vi sono chirurghi particolarmente attratti dalle nuove tecnologie spesso sponsorizzati che presentano ai congressi e, più di rado, su riviste scientifiche, delle enormi casistiche con ottimi risultati. Per reazione altri chirurghi sono portati a largheggiare negli interventi manuali, anche perché sottoposti a pressioni da parte dei pazienti in cerca di una operazione che guarisca miracolosamente la loro stipsi, accumulata in anni di stress psicologici e disordini alimentari. Altri metodi, più “poveri”, più lunghi, ma di certo meno rischiosi, come la riabilitazione o l’idrocolonterapia, che sostanzialmente hanno la stessa efficacia della chirurgia ma non sono sostenuti dallo stesso battage pubblicitario perché muovono meno interessi, vengono purtroppo trascurati. Questa relazione ha lo scopo di riferire la mia esperienza in questo campo, sottolineando la frequenza delle recidive e la serietà delle complicanze dopo chirurgia per ostruita defecazione e richiamando l’attenzione su un approccio olistico al paziente, che tenga conto della sua interezza, psiche e corpo e del complesso sistema PNEI, psico-neuro-immuno-endocrino. Che consideri inoltre l’importanza delle lesioni associate più occulte, da cercare e curare se si vuole raggiungere un risultato positivo, e di una chirurgia “su misura” per il paziente, che non si affidi ad una sola tecnica. Una chirurgia, in sostanza, che sia praticata solo dagli specialisti del settore, consapevoli della complessità anatomica e funzionale del pavimento pelvico e coadiuvati da una equipe che comprenda gastroenterologi, psicologi e fisioterapisti. LA SINDROME DELL’ICEBERG Se si esamina la letteratura recente si trova che i pazienti operati per ostruita defecazione con rettocele, prolasso mucoso interno del retto o intussuscezione retto-rettale e eventualmente ulcera solitaria, hanno a medio e lungo termine una recidiva dei sintomi in circa un terzo-metà dei casi. Brown et al, Colorect Dis 2004: 50% a 4 anni dopo resezione del
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Letture sigma e rettopessi 1 Pescatori et al, Int J Colorect Dis 2006: 52% a 3 anni dopo prolassectomia transanale 2 Michot, Dis Colon Rectum 2005: 50% a 5 anni dopo plastica per rettocele 3 Pechlivanides et al, World J Surg 2007 : 42% ad 1 anno 4 Gagliardi et al, Dis Colon Rectum 2006: 35% a 18 mesi dopo STARR 5 Inoltre gli interventi sono gravati da serie complicanze. Ad es dopo STARR le emorragie postoperatorie sono l’11%, i reinterventi il 19% ed è stato descritto un decesso per sepsi pelviperineale 5. Vi sono report su fistole retto-vaginali 6 e l’urgenza e l’incontinenza fecale raggiungono il 23% dei casi 7. Ma anche gli interventi manuali possono dare problemi: dopo plastica per rettocele vi è il 5% di nuovi casi di incontinenza fecale 8.Una delle nostre pazienti operate di Sarles ha avuto una colostomia, per fortuna temporanea, per ascesso pelvico (Tabella 1).
Follow-up mediano a 3 anni di 40 prolassectomie transanali Recidive della ostruita defecazione Recidive del prolasso mucoso rettale Con anismo e ansia-depressione Senza *** Follow-up mediano a 3 anni di 75 plastiche di rettocele Guariti o migliorati Nuova incontinenza fecale
CASISTICA 203 pazienti (15% dei pazienti visti per ostruita defecazione) 140 femmine 63 maschi età media 61 aa (range 31-76) INTERVENTI Interventi transanali-perineali (manuali 159 con stapler 24) Delorme-Block-Sarles-PPH-STARR-levatorplastica-protesi del setto RV- Altemaier Addominali Gosselink modificata con Moskowitz e omentoplastica- Wells- Frickman Goldberg PATOLOGIE Rettocele Prolasso rettale mucoso interno Intussuscezione retto-rettale Enterocele-sigmoidocele Reinterventi dopo STARR Ulcera solitaria del retto COMPLICANZE Mortalità Complicanze ritrattate Emotrasfusioni, dilatazioni Reinterventi chirurgici
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77% 5%
*** Follow-up mediano a 1 anno di 12 plastiche del Douglas per enterocele e plastica per rettocele per via addomino-transanale combinata Recidive della ostruita defecazione
TABELLA 1 - Chirurgia per ostruita defecazione (1987-2007)
52% 35% 76% 24%
25%
Osservando però una nostra esperienza di 40 casi di prolassectomia transanale, notiamo che le recidive della stipsi sono state il 52%, ma le recidive del prolasso sono state di meno, il 35%. Ciò vuol dire che vi erano altre cause di stipsi, non affrontate dalla chirurgia. Infatti risulta che, se dividiamo i pazienti in due gruppi, uno con anismo (discinesia addomino-pelvica) e disturbi mentali (ansia-depressione) e l’altro senza questi problemi, noteremo che il primo gruppo ha una recidiva della stipsi nel 76% dei casi e il secondo nel 24% dei casi. Vi sono quindi delle lesioni spesso funzionali, che chiameremo lesioni occulte perché non evidenti come un rettocele e un prolasso mucoso, che condizionano l’esito della chirurgia.
20
98 55 13 15 13 9
Su questa base, abbiamo sviluppato uno schema , che chiamiamo schema dell’Iceberg perché evidenzia le lesioni occulte, ovvero gli “scogli sommersi” sui quali può naufragare la “nave chirurgica” (Figura 1). Notate che la nave è “bipartizan”, monta sulla tolda sia uno stapler che un bisturi…
0 14.3% 5.1% 7.4%
RISULTATI (par ziali) Follow-up mediano di 23 mesi di 12 su 13 pz rioperati per complicanze dopo chirurgia per ostruita defecazione Curati Migliorati Invariati ***
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41% 33% (ancora in cura con lassativi) 26% (ancora con gravi sintomi da ostruita defecazione)
In uno studio prospettico su 100 pazienti con ostruita defecazione 9, abbiamo osservato che tutti avevano almeno due lesioni oc-
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Letture culte. Se queste non vengono diagnosticate e curate, l’intervento avrà esito negativo. Possiamo dire perciò che l’ostruita defecazione è una sorta di “sindrome dell’Iceberg”, in cui le lesioni occulte, sia funzionali come l’anismo o la iposensibilità rettale, sia organiche come l’enterocele, giocano un ruolo importante. Non di rado sono anzi queste le vere cause dei sintomi, mentre il rettocele e il prolasso mucoso, verso i quali non pochi chirurghi puntano decisi il bisturi o lo stapler, sono solo degli effetti della spinta cronica del paziente stitico. Ed è chiaro che per guarirlo dobbiamo curare le cause e non gli effetti. Se questi poi divengono così conclamati e avanzati e irreversibili da rappresentare delle vere e proprie concause, non è certo proibito operare, purchè si curino in maniera adeguata anche gli altri problemi, i quali in genere richiedono una terapia non chirurgica.
sociate, che vanno cercate e diagnosticate. Quelle che a un primo esame riteniamo le cause dei disturbi sono spesso solo gli effetti. Se non si curano le vere cause il paziente non guarisce. Vi sono molte misure conservative e vanno provate prima di operare. La chirurgia è gravata da complicanze e insuccessi e va riservata a pochi pazienti selezionati. L’intervento va scelto in base alla patologia del singolo paziente. L’operazione, manuale o con stapler, dovrebbe essere eseguita da uno specialista colorettale. Il paziente dovrebbe essere curato con un approccio olistico, da una equipe multidisciplinare. BIBLIOGRAFIA
Dall’esame della nostra casistica emerge come gli interventi usati per curare i pazienti con ostruita defecazione siano i più svariati. Questo non deve sorprendere perché le patologie dei pazienti erano diverse. Torniamo quindi al concetto della “chirurgia su misura”. Si nota anche che le complicanze che richiedono un re-trattamento non sono infrequenti, e che nel 7.4% dei casi si è dovuto rioperare il paziente. Un gruppo consistente è rappresentato da 13 pazienti rioperati dopo STARR (eseguita altrove in 12 casi). Di questi, 9 avevano, dopo la STARR, prolasso rettale interno, 8 disturbi mentali, 6 alterata sensibilità rettale, 4 incontinenza fecale, 3 enterocele, 2 anismo, 1 fistola retto-vaginale. L’intervento ha quindi i suoi rischi. Ha anche il suo razionale, ma non se deve abusare e va eseguito da specialisti, consapevoli dei rischi per le strutture adiacenti. Da notare che tutti i pazienti che hanno fallito il reintervento dopo STARR, ovvero che erano ancora stitici, avevano, fin da prima, ansia o depressione ed erano sotto psicofarmaci. Sembra quindi che la patologia mentale sia una controindicazione al reintervento, ma probabilmente anche a qualsiasi intervento per ostruita defecazione. Questo dato è in linea con quanto già pubblicato da Keghley negli anni ’80 per la colectomia e ileorettoanastomosi nella stipsi da rallentato 10. Emerge infine, da un esame dei nostri risultati parziali, che i risultati non sono particolarmente buoni. Dal 23 al 52% dei pazienti hanno una recidiva dei sintomi da uno a tre anni. Di qui l’invito alla cautela che è nel titolo di questa relazione. La chirurgia va riservata alla minoranza dei pazienti, quelli che non migliorano con cure conservative: fibre, blandi lassativi di massa, irrigazione, idrocolonterapia, agopuntura, ipnosi, riabilitazione pelvi-perineale, psicoterapia. Soltanto il 15% dei nostri pazienti sono stati operati. Siamo vicini dalla raccomandazione della Mayo Clinic, che solo il 5% degli stitici possono trarre benefici dalla chirurgia 11, e ben lontani dal 55% di pazienti operati purtroppo da colleghi sì capaci, ma forse troppo presi dall’entusiasmo per le nuove tecnologie 12. CONCLUSIONI L’ostruita defecazione può essere considerata una sindrome dell’Iceberg, con patologie occulte contro cui ci scontreremo se ignorate. È molto probabile che ogni paziente abbia almeno due lesioni as-
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Letture INQUADRAMENTO DELL A STIPSI DI INTERESSE CHIRURGICO
DONATO F ALTOMARE Dipartimento dell’Emergenza e Trapianti d’Organo Università di Bari La stipsi grave e resistente ad ogni forma di terapia conservativa rappresenta un problema clinico di difficile soluzione per il medico, e, il dover ricorrere a soluzioni chirurgiche, talora demolitive, per un problema di natura funzionale, rappresenta una sconfitta per la medicina moderna. La regolazione della funzione intestinale è in realtà molto complessa ed è il risultato della perfetta interazione di molteplici fattori. Proprio per questo è più probabile il suo malfunzionamento. È noto che la motilità di tutto l’apparato digerente è legato ad una corretta innervazione autonomica, in particolare vagale, ma anche il sistema nervoso enterico, le cellule di Cajal, svolgono un ruolo essenziale nell’autoregolare questa motilità. Le stesse cellule muscolari lisce della tonaca muscolare intestinale possono essere interessate da processi patologici che ne compromettono la funzionalità. E poi c’è un gran numero di sostanze ormonali e dei loro recettori, la cui azione, non perfettamente conosciuta, va ad interferire con quella più propriamente nervosa. Non da ultimo le caratteristiche del contenuto del lume intestinale, il suo volume e il suo stato di idratazione svolgono un ruolo importante nella regolazione della progressione del bolo fecale. Nella stipsi da ostruita defecazione, invece, i difetti possono essere anatomici, come nel rettocele e nella intussuscezione, ma anche funzionali, sia motori (come nella dissinergia del pavimento pelvico) che sensitivi (nei deficit di sensibilità dell’ampolla rettale). Per identificare i pazienti potenzialmente candidati ad un trattamento chirurgico della stipsi è opportuno innanzitutto classificare la stipsi in quella da difficile evacuazione (defecazione ostruita) da quella da rallentato transito e quest’ultima in primaria e secondaria (tabella 1). TABELLA 1 - Classificazione della stipsi
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La stipsi da ostruita defecazione è una entità nosologica solo recentemente identificata nelle sue caratteristiche cliniche e oggi di grande interesse per i chirurghi colorettali 1. Una condizione relativamente frequente, pluri-etiologica che è stato possibile inquadrare e studiare solo da quando sono disponibili esami come la defecografia dinamica o la mano volumetria o lo studio della conduzione nervosa dell’arco riflesso che coinvolge il nervo pudendo. Nella stipsi primaria vanno distinte le situazioni in cui il colon è francamente patologico e dilatato come nel megacolon dell’adulto, da quelle in cui è macroscopicamente e microscopicamente normale. Se nel primo caso la rimozione chirurgica è più facilmente accettabile sia dal paziente che dal chirurgo, nel caso della stipsi da rallentato transito, la scelta chirurgica è assai dubbia e pone al medico interrogativi etici di difficile soluzione, soprattutto per la non sicurezza di poter risolvere il quadro sintomatologico anche rimuovendo l’intero colon. Molti casi di inertia colica, infatti, come dimostrato anche dal nostro gruppo 2,3, sono parte di una panenteric neuropathy che coinvolge in maniera più o meno marcata tutti i segmenti del tubo gastroenterico. La stipsi secondaria, invece, è di solito legata ad eventi etiopatogenetici la cui rimozione potrebbe in teoria risolvere il quadro di stipsi e sono pertanto assai raramente oggetto di trattamento chirurgico, ad eccezione dei pazienti spinali che possono talora beneficiare di un sistema di lavaggio colico retrogrado o anterogrado sec Malone 4. Nella realtà clinica le cose non sono così facilmente distinguibili perché spesso vari tipi di stipsi coesistono nello stesso paziente. Ma quando allora selezionare un paziente stitico per la chirurgia? Nella storia della chirurgia Sir Aburthnot Lane è rimasto famoso per essere stato il primo chirurgo, in epoca vittoriana in Inghilterra, ad eseguire con successo una colectomia per stipsi da rallentato transito, ma quando, sull’onda del successo, in mancanza di impostazioni scientifiche del problema, con la sua teoria della autointossicazione da stasi fecale iniziò ad eseguire colectomie per le più varie malattie, ottenendo insuccessi e mortalità, la sua fama declinò rapidamente. Nei nostri giorni altri chirurghi hanno ripreso con vigore la chirurgia della stipsi, questa volta di quella da ostruita defecazione, ottenendo fama e notorietà, ma, una eccessiva estensione delle indicazioni, potrebbe portare a risultati insoddisfacenti e a complicanze preoccupanti. In altri campi della chirurgia la decisione potrebbe essere presa in base alla gravità di malattia e alla relativa compromissione della qualità di vita dei pazienti. Nel campo della stipsi non siamo ancora giunti a questo punto anche se almeno per la gravità di malattia sono stati compiuti diversi progressi. Nel 1996 è stato pubblicato il constipation index di Agachan 5 della Cleveland Clinic Florida e nel 2000 Il KESS da parte di un gruppo inglese 6. Più recentemente è stato validato il PAC SYM 7. Tutti questi indici non fanno distinzione fra stipsi da rallentato transito e da ostruita defecazione rendendo poco affidabili questi strumenti per cui nel 2007 è stato pubblicato il’ODS score 8 che quantifica la gravità solo della stipsi da ostruita defecazione. Tuttavia sinora non sono stati pubblicati studi sul trattamento chirurgico della stipsi basati sulla selezione dei pazienti secondo la gravità di malattia. Per quanto riguarda invece la QoL, non esistono indici validati,
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Letture nonostante sia noto che questa condizione può gravemente influenzare la qualità della vita. Esiste un indice generico di qualità di vita per distruggi dell’apparato digerente che includono anche la stipsi come il GIQLI. 9 Sinora la scelta di adottare un trattamento chirurgico per la stipsi è stata basata su valutazioni cliniche e strumentali. Innanzitutto i pazienti dovevano aver tentato senza successo, ogni forma di terapia medica conservativa incluse alcune terapie fisiche come il biofeedback e la fisiokinesiterapia, la idrocolonterapia o il lavaggio colico per via trans anale (Peristeen). Nei pazienti in cui il quadro clinico predominante è il rallentato transito, un esame strumentale di largo impiego e abbastanza utile è il tempo di transito colico con markers radiopachi. Soltanto dopo aver dimostrato un tempo di transito colico assai rallentato e, per motivi soprattutto medico legati, aver dimostrato con una manometria colica delle 24h la assenza di movimenti di massa e di risposte motorie a farmaci pro cinetici si può proporre al paziente un intervento demolitivo come la colectomia totale o subtotale. Nei casi di stipsi da ostruita defecazione, vanno scartati i pazienti con alterazioni funzionali (anismo, iposensibilità – ipomobilità dell’ampolla rettale) ed eventualmente considerati i pazienti con alterazioni defeco grafiche marcate e incontrovertibili come vere intussuscezioni e/o rettoceli voluminosi. Dal punto di vista del paziente, invece, il vero motivo che può portare ad accettare un simile intervento è la compromissione della sua qualità di vita. Una stipsi grave è veramente capace di rendere inabili al lavoro e alle relazioni interpersonali, di essere dipendenti dagli altri, di non poter condurre una normale vita affettiva e di relazione. Quanto queste situazioni possano portare a disturbi della sfera psichica o quanto, invece ne siano la conseguenza, è veramente difficile da stabilire e il chirurgo dovrà, con molto senso clinico e con l’aiuto di specialisti neuropsichiatrici, escludere fra questi aspiranti pazienti chirurgici, quelli che per alterazioni dei meccanismi affettivi e cognitivi non potranno comunque beneficiare da una chirurgia demolitiva. Purtroppo a tutt’oggi non esiste un indice di qualità di vita specifico per la stipsi e questo rende più difficile la possibilità di condurre studi clinici su questo argomento.
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GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Indice Autori
relatori al congresso
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GESTIONE TERAPEUTICA DEL PAZIENTE CON DISTURBI CRONICI GASTROINTESTINALI
Indice Autori Relatori al Congresso Pagina
Pagina
Altomare D
120
Annibale B
33
Habib FI
Anti M
95
Müller-Lissner S
Ardizzone S
51
Neri M
66
Pace F
23
Pallone F
57
Pallotta N
45, 49
Badiali D
75, 101, 115
Baldi F
28
Basilisco G
67
Bassotti G
88
Bazzocchi G Biondi M Bonamico M
Graziottin A
Papi C
69, 71
108 92 114
47
Pescatori M
117
Picarelli A
84
Prantera C
62
Ravelli AM
31
Scarpignato C
90
Severi C
35
105 81
Chiarioni G
96
Cicala M
24
Corazziari E
86, 98
Corsetti M
40, 42
Costamagna G
allegato
Tonelli F
58
60
Vantini I
112
26, 43
Vecchi M
64
Di Lorenzo C
77
Vernia P
62
Di Stefano M
73
Whorwell PJ
76
Cucchiara S Cuomo R
Staiano A Stanghellini V
125
103, 110 36, 38, 39
126
Indice of contents
Pagina
Programma
7
Programma e Proceedings
Letture
15
1 ➮ 51
Indice Autori
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PER LA
NEUROGASTROENTEROLOGIA
E LA MOTILITÀ GASTROINTESTINALE
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