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La definizione di un problema e le azioni intraprese per risolverlo dipendono in gran parte dalla concezione che gli individui o i gruppi che hanno scoperto il problema possiedono del sistema a cui si riferisce Herbert Brün
In questa nostra società in costante divenire il focus dell’attenzione nei vari campi d’indagine del sapere ha abbandonato un approccio che cerchi la soluzione di un problema nell’analisi di costituenti separati e determinati. Questa modalità, che aveva le proprie radici nella matrice positivista delle scienze moderne, aveva costituito il modello stesso di «scienza» in cui la stessa psicologia aveva trovato un punto di riferimento. Oggi possiamo dire che il lungo percorso effettuato ha permesso di attuare una svolta e di spostare l’attenzione non solo sugli elementi che si considerano nei vari ambiti di studi, ma sulle loro interrelazioni e interazioni e, quindi, sulla complessità. A un tipo di risposte basato sull’alternativa «vero o falso» si sta sostituendo l’idea del «cambiamento del punto di vista» per cui la maggiore conoscenza di un problema e la maggiore possibilità di poter intervenire in modo adeguato derivano dall’essere consapevoli di diverse prospettive tra cui scegliere quella più funzionale all’obiettivo che ci si propone. È in quest’ottica che si sta trasformando e arricchendo il panorama della definizione e della valutazione dell’«intelligenza», che trova ora il suo centro
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nell’interesse verso la molteplicità delle formae mentis, nell’attenzione ai processi del pensiero nel suo divenire, nella relazione tra cognizione ed emozione. Se l’indagine su questi aspetti è sostenuta dai contributi delle neuroscienze, d’altro lato trova la sua motivazione nella diversa concezione dell’uomo e del sempre più significativo ruolo dell’educazione in una società in cui le trasformazioni sono prese in carico anche socialmente grazie a una maggiore consapevolezza dei diritti dell’individuo e all’incontro tra culture diverse. Accanto a una più tradizionale valutazione psicometrica dell’intelligenza troviamo oggi un notevole interesse per lo sviluppo di tecniche di indagine sulla propensione all’apprendimento. Questo tipo di approccio viene presentato non tanto come una sostituzione ma piuttosto come un’integrazione alla valutazione psicometrica e si rivela più fecondo fornendo maggiori indicazioni per stabilire un piano di intervento, sia in ambito riabilitativo sia in ambito educativo. Ponendosi all’interno di questo quadro, l’Associazione Connessioni, che ha come finalità quella di favorire teorie e metodologie che sostengono la plasticità dell’essere umano e lo sviluppo delle abilità cognitive e relazionali, ha promosso la pubblicazione e la traduzione di questo testo di David Tzuriel che si caratterizza come la prima presentazione in italiano di una batteria di test dinamici rivolti all’età prescolare, delle sue finalità, degli ambiti applicativi e soprattutto dei risultati in ambito accademico. Il testing dinamico ha radici teoriche lontane ma lo sviluppo operativo ha le sue anticipazioni in Vygotskij e più ampia attuazione nell’opera di Feuerstein, che con il Learning Potential Assessment Device, elaborato negli anni ’70 e in cui è attualmente presente il concetto di propensione, ha offerto il primo significativo modello dinamico di intervento a partire dagli otto anni di età mentali o cronologici. David Tzuriel, che ha collaborato per molti anni con Feuerstein, ha sviluppato in modo originale, a partire dagli stessi principi ma con modalità differenti, una serie di test per l’età prescolare che possono essere utilizzati a partire dai tre anni di età e che offrono la possibilità di essere adoperati come materiale per test o come strumento di intervento. Da alcuni anni, su invito di Connessioni, Tzuriel ha attuato anche in Italia numerosi interventi formativi in ambito riabilitativo e educativo dando l’opportunità ai partecipanti di osservare e sperimentare direttamente l’incidenza della mediazione nell’attivazione delle abilità cognitive. Possiamo, qui, enucleare alcuni tra gli aspetti essenziali di un intervento dinamico e le sue maggiori differenze con la valutazione psicometrica. I test di Tzuriel condividono e approfondiscono queste caratteristiche trasversali e nel suo
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testo troveremo gli approfondimenti di questa metodologia che, ormai conosciuta da decenni, si presenta comunque come altamente innovativa. Approccio teorico Il testing dinamico presuppone la «zona di sviluppo prossimale» teorizzata da Vygotskij e la possibilità della sua attivazione. Possiamo, infatti, attuare una distinzione tra il comportamento manifesto di un individuo e le sue risorse potenziali che normalmente rimangono latenti. Il test dinamico ha come scopo quello di portare alla luce questi aspetti nascosti e le modalità della loro messa in atto, compiendo così una prima modificazione e permettendo di attivare un processo educativo adeguato a renderli permanenti. In questo modo il repertorio delle abilità del soggetto si amplia e consolida rendendo l’individuo più flessibile e modificabile. Struttura dell’intervento Il test dinamico ha la struttura test – mediazione – retest. Il test iniziale viene somministrato secondo le modalità convenzionali in modo da costituire la base di riferimento per i risultati ottenuti in seguito. La mediazione si configura come un intervento di feedback e come un aiuto strutturato a seconda delle necessità e delle caratteristiche del soggetto, il quale viene così sollecitato e riceve un supporto adeguato nell’individuare le strategie adeguate al problem-solving. Viene, quindi, riproposto un test con caratteristiche simili a quello iniziale, che la persona deve risolvere in autonomia. È lo scarto tra test e retest che ci permette di evidenziare la propensione all’apprendimento dell’individuo e di accedere alla zona di sviluppo prossimale. Il tempo è misurato ma è sostanzialmente libero e da adeguarsi alle caratteristiche del soggetto. Atteggiamento dell’esaminatore L’oggettività dei risultati nella valutazione psicometrica dipende dall’uniformità del setting e dall’atteggiamento il più possibile «neutro» di chi propone i test. L’esaminatore nel testing dinamico ha, invece, le caratteristiche del «mediatore», cioè del facilitatore e attivatore di processo che nella fase di mediazione deve guidare il soggetto selezionando, organizzando, filtrando gli stimoli e sollecitando l’attuazione e la consapevolezza di strategie adeguate alla soluzione del compito.
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Focus La struttura del test dinamico rispecchia l’attenzione al processo più che al risultato. Non solo viene preso in carico lo scarto tra la prestazione iniziale e quella finale ma soprattutto le caratteristiche di percorso e l’atteggiamento del soggetto in relazione alla quantità e qualità di mediazione data dall’esaminatore, in modo da trarne indicazioni utili per strutturare successivamente situazioni favorevoli in ambito educativo. Valutazione dei risultati Mentre nell’approccio psicometrico la valutazione si struttura sulla media dei risultati ottenuti nei vari item, nell’intervento dinamico si considerano i picchi, cioè le migliori prestazioni ottenute, come rivelatori di potenzialità inespresse. In questo quadro diventa centrale l’attenzione ai microcambiamenti che si evidenziano. La risposta non viene considerata in base a «tutto o niente», ma vengono prese positivamente in carico le parti adeguate di una risposta, anche se non esatta in tutte le sue componenti. È sulla base a questo tipo di valutazione che si può costruire un percorso individualizzato di intervento. Mentre la media statistica si rifà a ciò che gli altri soggetti ottengono come punteggio, la valutazione dinamica indica in modo puntuale ciò che è acquisito e dove intervenire. L’attenzione al soggetto, che emerge dalla stessa impostazione del test dinamico, lo rende particolarmente funzionale agli interventi mirati alla riabilitazione e a un’educazione che colga il bambino nell’irripetibilità delle sue caratteristiche cognitive, affettive e motivazionali. Questa centratura sulla persona e il ruolo svolto dalla mediazione richiedono, infatti, un intervento non rigido che si rivela particolarmente produttivo anche in soggetti che provengono da culture differenti. Un altro aspetto che vogliamo sottolineare è legato a una maggiore coerenza dei test dinamici con le caratteristiche di modificabilità del soggetto. Da una parte questo ci porta a considerare una loro maggiore capacità di predizione dell’evoluzione dell’individuo e delle caratteristiche educative atte a supportare il suo sviluppo. Dall’altra i test dinamici sono particolarmente adatti a mettere in evidenza gli aspetti qualitativi e quantitativi di un intervento cognitivo e possono essere usati all’inizio e al termine di un programma mirato alla modificabilità. L’autore ci offre un esempio di questo utilizzo rispetto a un programma specifico, il Bright Start di Carl Haywood, fornendo così un possibile modello per ulteriori applicazioni che mirino non tanto a valutare gli allievi ma l’opera educativa e a migliorarla.
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Nel contributo di Tzuriel quanti si occupano di apprendimento troveranno non solo l’esposizione di una modalità ancora poco diffusa che però sta rivelando tutta la sua efficacia nell’aiutare a trovare strade nuove per l’intervento con i bambini, ma soprattutto uno stimolo a riconsiderare le proprie convinzioni e l’incidenza del proprio operato circa lo sviluppo delle potenzialità del pensiero. È questo il momento per ringraziare i nostri associati che ci hanno dimostrato il loro profondo interesse per gli argomenti affrontati e chi ha contribuito, in Connessioni, alla possibilità che questo libro fosse disponibile anche in Italia: in particolare Ester Lombardini per la cura nel seguire la traduzione e Serafino Buono che ha coniugato, nell’accompagnare questo lavoro, competenza specialistica e sostegno amicale. Un particolare ringraziamento al professor Santo Di Nuovo per la sua disponibilità nell’aiutarci a rendere più chiari alcuni aspetti tecnici dei numerosi test presentati. Come Associazione ci auguriamo che, grazie alla collaborazione di tutti e alla puntuale traduzione di Rosa Di Giorgio che ha seguito più volte il professor Tzuriel nelle sue formazioni in Italia, questo testo contribuisca ad ampliare sempre di più il panorama su queste tematiche. Il Presidente di Connessioni Michela Minuto
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Dopo una lunga attesa, finalmente è arrivata la valutazione dinamica! Quasi un secolo fa, Alfred Binet suggerì che la valutazione dei processi di apprendimento doveva essere una delle priorità del movimento che si occupava di test intellettivi; circa quarant’anni dopo André Rey avanzò la stessa proposta. Un modello importante, che sta alla base di numerosi approcci contemporanei alla valutazione «flessibile» o alla valutazione del «processo», è stato proposto da Vygotskij negli anni Venti. Agli inizi degli anni Cinquanta, il lavoro di Reuven Feuerstein e dei suoi colleghi svizzeri sulla valutazione del processo nei bambini ebrei del Nord Africa costituisce la prima frattura profonda con i modelli precedenti. In quegli anni, quasi tutti gli psicometristi di un certo spessore, presto o tardi, hanno riconosciuto l’importanza di enfatizzare la valutazione dei processi di apprendimento piuttosto che la valutazione del prodotto finale derivante dalle opportunità di apprendimento precedenti. È quindi naturale chiedersi perché abbiamo dovuto aspettare così tanto prima di assistere alla formalizzazione e all’applicazione dei metodi che consentono di farlo! Ovviamente, a noi psicologi piace fare ciò che sappiamo fare meglio; e bisogna dire che abbiamo imparato proprio bene a condurre la valutazione statica normativa, specialmente sull’«intelligenza». Purtroppo è anche vero che la valutazione dinamica/interattiva non ha mai entusiasmato né alimentato la ricerca di alta qualità, che comunque sarà sempre necessaria se questo tipo di valutazione vuole sopravvivere come strumento supplementare alla valutazione statica nor-
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mativa. Il presente volume, che muove da una solida base di ricerca, rappresenta un lungo balzo in avanti verso la risoluzione di tale conflitto. Nei vent’anni successivi alla pubblicazione del volume di Feuerstein, Rand e Hoffman, The Dynamic Assessment of Retarded Performers, sono apparse una ricca serie di approcci dinamici specifici e una vasta gamma di strumenti di valutazione. Gran parte del lavoro è stato condotto con bambini di età scolare, adolescenti e adulti. Era necessario, dunque, un approccio sistematico alla valutazione dinamica che fosse specifico per i bambini in età prescolare. Molti anni fa ho chiesto a Feuerstein perché avesse iniziato il lavoro di valutazione dinamica (e di educazione cognitiva) con bambini più grandi e adolescenti. Mi rispose, in maniera piuttosto convincente, che nel nuovo Stato di Israele e nell’Europa del dopoguerra un vasto numero di persone presentava notevoli carenze nelle abilità di apprendimento e — a causa dei disastri provocati dalla guerra e del «trapianto» culturale — rischiava di entrare nell’età adulta senza aver potuto beneficiare dell’istruzione scolastica, del supporto clinico e degli aiuti degli enti di assistenza all’infanzia. Le risorse, piuttosto esigue, andavano quindi spese soprattutto per le persone più bisognose di aiuto, allo scopo di prevenire la formazione di pattern fallimentari permanenti in ambito scolastico, lavorativo e sociale. In altre parole, era necessario identificare queste persone e fornire loro l’aiuto essenziale prima che si «dileguassero» nel mondo adulto, dove sarebbe stato difficilissimo raggiungerle. Ovviamente, il tempo a disposizione per «raggiungere» i bambini più piccoli era maggiore. In quel particolare periodo, le nostre argomentazioni sembravano valide e sensate. Negli anni seguenti, la nostra ipotesi si è consolidata: se la valutazione dinamica è un valido strumento per i bambini più grandi, per gli adolescenti e per gli adulti (e un numero sempre maggiore di prove lo conferma), allora essa sarà ancora più efficace nei bambini più piccoli. Questo volume potrebbe essere considerato «tempestivo». Di fatto, non lo è. È in ritardo. Gli approcci dinamici/interattivi alla valutazione psicoeducativa continuano a essere sviluppati ed elaborati da diversi gruppi di ricercatori e di clinici. È importante, però, che il loro incremento avvenga in un contesto teorico chiaro e ben saldo, che gli interrogativi prioritari su questi approcci siano esaminati in modo scientifico ed esaustivo e, infine, che siano sviluppati degli strumenti utili e «comprensibili» a disposizione dei professionisti. Uno dei contributi principali del libro è certamente l’attenzione posta su questi aspetti. Bisogna anche sottolineare che l’approccio di Tzuriel si è sviluppato ulteriormente, come avvenne con Binet, nel contesto educativo. Le procedure descritte in questo libro ci aiuteranno a stabilire e mantenere le correlazioni essenziali tra la valutazione psicoeducativa e le imprescindibili attività di insegnamento e apprendimento.
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Spesso i nuovi strumenti clinici sono costruiti sulla base dell’esperienza di testing, e solo successivamente vengono sottoposti a prove sul campo, che si sia trovato o no un contesto concettuale entro cui collocarli. Per contro, Tzuriel è partito da un orientamento teorico riguardante lo sviluppo cognitivo (quali tipi di operazioni sono importanti per l’apprendimento e l’adattamento sociale) e la valutazione (un approccio dinamico è superiore a quello statico normativo). Egli ha così sviluppato otto nuovi compiti di valutazione dinamica, portando avanti simultaneamente la ricerca. Quindi, gli strumenti di valutazione sono, al contempo, il frutto di tale ricerca e lo strumento utilizzato per condurla (naturalmente, nelle diverse fasi della loro elaborazione). Gli otto compiti sono stati ampiamente applicati in contesti clinici e nella ricerca con gruppi di bambini molto diversi e per questo interessanti (tra i quali, immigrati, bambini di basso livello socio-economico, bambini di lingue diverse, bambini con disturbi dell’apprendimento, ritardo mentale e compromissione dell’udito). Di questi bambini sono state identificate e riportate le caratteristiche metriche. Per dimostrare l’utilità della valutazione dinamica come strumento di ricerca, Tzuriel ha usato questo metodo per studiare gli aspetti educativi ed evolutivi che potrebbero essere stati trascurati dagli altri metodi tradizionali. La combinazione della valutazione dinamica con disegni di ricerca sofisticati e con procedure di analisi statistica ha prodotto delle inferenze, ad esempio la relazione tra il comportamento di mediazione dei genitori verso i figli e la conseguente modificabilità cognitiva di questi ultimi. La stessa combinazione ha permesso di porre — e di risolvere — le questioni sul modo di valutare i cambiamenti nelle abilità dei bambini affinché potessero trarre beneficio dai diversi interventi, in particolar modo dall’«esperienza di apprendimento mediato». In questo contesto, gli strumenti sviluppati da Tzuriel sono stati applicati come variabili primarie nella valutazione dell’efficacia dei programmi di educazione cognitiva, come il Bright Start, la Batteria di modificabilità cognitiva e i nuovi modelli di intervento che sfruttano la mediazione tra pari. Un aspetto rilevante e positivo emerso dall’uso di questi strumenti nei bambini è che la valutazione dinamica modifica il loro funzionamento (sebbene, forse, solo temporaneamente), nonché la loro motivazione a intraprendere compiti intellettivi impegnativi. La storia moderna della psicometria è caratterizzata da frequenti tentativi di liberarsi delle influenze culturali sulla performance nei test dell’intelligenza, tentativi che hanno portato al verificarsi di una delle mie storie preferite sulla psicologia. Il test «Disegna un uomo» veniva ampiamente usato per valutare l’intelligenza dei bambini provenienti da background culturali diversi ed era considerato relativamente culture free o, perlomeno, sufficientemente indipendente dalle differenze culturali. In alcuni gruppi degli Stati Uniti appartenenti a minoranze culturali — inclusi i bambini Hopi del sud-est americano — la performance a questo test era
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particolarmente scarsa. Qualche tempo dopo, Wayne Dennis scoprì che nella società degli Hopi era proibito disegnare figure di persone. Ingegnosamente, quindi, cambiò il test in «Disegna un cavallo», ottenendo stime dell’intelligenza sostanzialmente più elevate e perfino superiori a quelle dei bambini americani appartenenti alla cultura dominante! La fiducia che Tzuriel ha riposto nella psicologia cognitiva «socio-storica» di Vygotskij fa un grande balzo in avanti nel tentativo di restituire la cultura all’intelligenza e l’intelligenza alla cultura. Finalmente possiamo affermare con una certa sicurezza che, se «strappassimo» via le componenti culturali dell’intelligenza, di essa ci resterebbe ben poco. Voglio quindi congratularmi con David Tzuriel, soprattutto per averci impedito di proporre l’abolizione dei test statici normativi e di sostituirli interamente con i metodi dinamici. Tzuriel, infatti, ha ammesso che la valutazione è una procedura molto più ampia di un semplice test. Essa richiede una raccolta di informazioni provenienti da fonti molteplici: la storia sociale, la performance ai test statici, il rendimento scolastico o in altri settori e le inferenze sulla modificabilità cognitiva derivanti dalla valutazione dinamica/interattiva. Uno dei problemi principali nella diffusione della valutazione dinamica/ interattiva è la riluttanza nei suoi confronti degli psicologi professionisti, che temono di sperimentare un nuovo strumento, di andare oltre ciò che è ormai familiare e acquisito, di sottoporsi a ulteriori corsi di formazione e di investire tempo e fatica per acquisire una certa padronanza in questi nuovi ed entusiasmanti metodi. Questo volume renderà l’«impresa» molto più accessibile, meno nuova o strana e più applicabile. H. Carl Haywood Vanderbilt University
PREFAZIONE
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Prefazione
Lo sviluppo della valutazione dinamica (VD) in generale — e in particolare per i bambini in età prescolare — è dovuto soprattutto al fatto che le misure psicometriche standard non sono in grado di fornire informazioni sul potenziale di apprendimento, sui processi di apprendimento, sulle strategie di mediazione e sulle funzioni cognitive specifiche. La comprensione di questi fattori è fondamentale non solo per il progresso della teoria, ma soprattutto per il miglioramento delle procedure di intervento con bambini aventi disturbi dell’apprendimento. Le ricerche precedenti hanno dimostrato che i punteggi standardizzati del QI contribuiscono a spiegare solo il 50% di varianza nel rendimento scolastico. Rimangono ancora aperti i seguenti interrogativi: quali sono i fattori che predicono il restante 50%? Quali tipi di intervento sono necessari per contrastare i risultati già predetti? L’uso delle norme nei test standardizzati si basa sull’assunto (solitamente implicito, sebbene talvolta dichiarato esplicitamente) secondo il quale tutte le persone di una data età sono esposte a opportunità di apprendimento equivalenti. I risultati dell’esperienza clinica e della ricerca, tuttavia, indicano chiaramente che una scarsa performance scolastica e uno sviluppo cognitivo inadeguato riflettono dei processi cognitivi carenti, non un quoziente intellettivo basso. Al riguardo, alcuni teorici e studiosi hanno proposto il concetto di potenziale di apprendimento. Anche se vago, questo concetto è stato sviluppato per rispondere alla necessità di spiegare quella parte di varianza nell’apprendimento e nel rendimento scolastico non associata ai punteggi del QI.
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Nonostante molti psicologi e educatori siano consapevoli dell’importanza della VD, in termini teorici e pratici tale metodo rimane ancora secondario. La ragione potrebbe essere legata alla determinazione e percezione teorica dell’intelletto umano come entità relativamente stabile. I metodi tradizionali per misurare le abilità mentali sono strettamente correlati alla concettualizzazione dell’intelligenza e riconducibili al proprio approccio filosofico sulla natura dell’essere umano. In questo volume ho cercato di dimostrare che la valutazione dinamica è un approccio complementare utile e variegato che, insieme alle valutazioni di tipo normativo-standardizzato, dipinge un quadro olistico e accurato del funzionamento cognitivo. La VD, rispetto ai test standardizzati normativi, sembra offrire un metodo di valutazione più adeguato alle persone con disabilità (per es., ritardo mentale, deficit sensoriale, disturbi emotivi) e alle persone con disturbi dell’apprendimento. Le ragioni sono diverse: innanzitutto essa riflette in modo accurato le capacità di apprendimento individuali ed è strettamente correlata alle variabili evolutive, per esempio i pattern di mediazione all’interno della famiglia; in secondo luogo, offre processi di intervento specifici e accurati al posto di semplici raccomandazioni, vaghe e generiche, sulle procedure di trattamento. Il volume si concentra, in particolare, sull’uso della VD con i bambini in età prescolare, perché le decisioni relative al tipo di trattamento sono fondamentali, soprattutto in età precoce. Il libro si rivolge ai professionisti che si occupano quotidianamente di bambini con disabilità dell’apprendimento e ai ricercatori che sono alle prese con le questioni teoriche. La mia opinione, comunque, è che sia gli uni sia gli altri debbano approfondire gli aspetti teorici e incrementare le conoscenze pratiche sul metodo. Per questo, le basi teoriche e scientifiche dell’approccio di valutazione dinamica, presentate progressivamente nel volume, sono integrate da una guida pratica sulle modalità di intervento con diversi bambini. Nella prima parte del volume descriverò le due teorie principali, quella di Vygotskij e quella di Feuerstein, e la loro applicazione alla VD. Nella parte centrale tratterò l’approccio di valutazione dinamica e, in particolare, le misure di VD sviluppate per i bambini negli ultimi vent’anni. L’ultima parte del libro illustra le tre aree principali di ricerca sui programmi di intervento in cui è stata applicata la valutazione dinamica: sviluppo, educazione, cognizione. Infine, l’ultimo capitolo — l’epilogo — affronta alcuni problemi irrisolti e le questioni ancora aperte e propone dei suggerimenti per gli sviluppi futuri. David Tzuriel Aprile 2001