Nascere secondo natura Nel canton Zurigo quasi un bambino su due nasce di parto cesareo, e il ricorso a questa operazione, in Svizzera ma non solo, aumenta ogni anno; tant’è che anche l’OMS lancia l’allarme: ben vengano gli interventi medici quando necessari, ma evitiamo gli interventi inutili e anche potenzialmente dannosi.
Uno studio ha dimostrato che in assenza di stress è necessario ricorrere al cesareo unicamente nell’1% dei casi. Foto: Inferis - Flickr.com
poveri dove vi è carenza di strutture sanitarie. Di queste il 20% è vittima di malattie contratte prima della gravidanza ma l’80% di complicazioni durante il parto alle quali – nei paesi ricchi – si fa fronte con facilità. Queste cifre evidenziano gli effetti nefasti di una mancata ridistribuzione delle risorse che implicherebbe non solo l’elargizione di cure nei paesi poveri, ma anche il loro contingentamento nei paesi industrializzati, come annota anche l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) evidenziando che “Da una parte vi è possibilità di effettuare cesarei in situazioni inutili, dall’altra vi è carenza di mezzi laddove sarebbero necessari”. In Svizzera, le statistiche del 2007 hanno mostrato un crescente ricorso all’operazione cesarea, che nel 1997 riguardava il 22% delle nascite e oggi è lievitata al 32 % con marcate differenze tra gli ambienti
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urbani, Zurigo 45 %, e quelli periferici come il Giura 19 %. D’altronde, veloce e redditizia, programmabile, indolore, l’operazione cesarea sembra aderire perfettamente alle esigenze della società di oggi. Anch’essa non è però scevra di pericoli e controindicazioni. L’OMS ritiene che una percentuale che va dal 12% al 20% di cesarei sul totale delle nascite sia una proporzione accettabile per un paese, annotando come un inutile ricorso ad esso possa essere considerato “una pratica medica pericolosa e una violazione dei diritti umani”. Tra il 1965 e il 1985 il primario Rockenschaub della Ignaz-Semmelweils-Klinik di Vienna sperimentò gli effetti della riduzione dello stress su 45’000 partorienti (parto naturale, in condizione di calma e intimità) giungendo a considerare realistico un tasso di ricorso al cesareo dell’1%. Cindy Fogliani
Mutamenti - anno 28 - numero 5 - maggio 2009
Dossier
La primavera scorsa siamo stati in visita alla comunità degli Elfi sugli Appennini Toscani. Circa duecento persone che da trent’anni vivono in autarchia in villaggi e casolari abbandonati sui monti che sovrastano Pistoia. Dal bosco spuntano due biondi marmocchi, piedi nudi, un legno in mano, neri di terra fin sopra i capelli: da quando son nati scorrazzano liberi nella natura ricevendo la necessaria istruzione nella scuola organizzata dagli stessi membri della comunità; niente asfalto, niente tecnologia, nemmeno corrente elettrica, niente proprietà privata. A mezz’ora di cammino una sterrata che porta al piano. “Lui è nato sotto quell’albero”, ci dice il padre indicando un grosso faggio su un terrazzo d’erba, “La sorellina sotto la doccia”, cioè una torcia piazzata sotto il cielo che dispensa un’acqua non crediamo bollente: “Mia moglie è uscita per lavarsi ed è rientrata con la bimba in braccio”. Madre che ci raggiunge poco dopo, con il pancione della sua terza gravidanza. Un bell’incontro ma quell’interrogativo di fondo quasi inevitabile per noi avezzi a un’altra civiltà: “E se qualcosa fosse andato storto?”. Un interrogativo che ritorna spesso in una società che ha fatto della sicurezza uno dei punti cardini del vivere, un interrogativo che ha portato alla crescente medicalizzazione del parto. Un interrogativo che ha la sua ragione d’essere: oggigiorno nei paesi ricchi una donna su settemilatrecento muore per complicazioni legate al parto, contro una donna su settantacinque nei paesi
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Nascita Lotus
Nati senza camicia
I sostenitori del Lotus Birth lo definiscono il modo più dolce e rispettoso per entrare nella vita. Si tratta di una procedura di nascita in cui il cordone ombelicale non viene reciso e il neonato resta collegato alla sua placenta. Pochi giorni dopo la nascita il cordone si separa in modo naturale dal bambino lasciando un ombelico perfetto. Oggigiorno in Ticino saranno una decina le madri che hanno optato per un parto Lotus, che viene praticato su richiesta nei reparti maternità di Locarno, Lugano e Mendrisio. Secondo l’Associazione italiana Lotus Birth, il contatto prolungato con la placenta permette al bambino di ricevere tutto il sangue placentare che la natura ha previsto per la costituzione del sistema immunitario. Esso permette inoltre al bambino di separarsi dal corpo della madre dolcemente e gradualmente e di rispettare il secondamento, ovvero la fase di nascita della placenta, per un parto che il personale sanitario stesso riconosce spesso permeato da una inusuale serenità. Dal lato pratico, secondo l’Associazione Lotus Birth, convivere con la placenta attaccata al figlio è molto più semplice di quanto si possa pensare. Ad esempio, non avendo creato tagli al cordone ombelicale il bambino non necessita di medicazioni ed è maggiormente protetto dalle infezioni. Col trascorrere dei giorni la placenta e il cordone ombelicale, previamente ripuliti dai grumi del sangue, seccano gradualmente per poi staccarsi. La loro presenza non impedisce di fare il bagnetto al bambino e di trasportarlo, avendo cura di spostare con lui la placenta che è tenuta solitamente in una federa in tela. Questa nascita dolce allevia lo stress a bambini e genitori con miglioramenti considerevoli in armonia fisica e stabilità metabolica, ed è oltremodo di sostegno in caso di parto cesareo o prematuro.
Incontro con Willi Maurer, autore di numerose pubblicazioni inerenti i comportamenti all’atto della nascita. Di queste sono state tradotte in italiano “La prima ferita” e “Il senso di appartenenza”.
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Oggigorno si assiste a una crescente medicalizzazione del parto. Quali sono gli effetti negativi di questa tendenza? Oggi abbiamo dimenticato che la nascita è una cosa intima, e come tale va vissuta. Le interferenze esterne, i monitoraggi, il viavai della sala parto mettono la madre in condizione di stress e nell’impossibilità di essere a contatto con le proprie emozioni e il proprio istinto. Questo è gravissimo perché priva madre e nascituro di un processo che può avvenire unicamente nei preziosissimi attimi che seguono la venuta al mondo: l’imprinting. L’imprinting ha luogo unicamente quando i corpi di madre e bambino appena nato restano in contatto nella calma. Se tutto avviene secondo natura questo è un momento preziosissimo in cui si libera l’”ossitocina”, non a caso chiamato l’ormone dell’amore. Ciò crea un campo di comprensione reciproca tra madre e bambino. Se questo non avviene, come purtroppo capita frequentemente, il bambino subirà un primo grosso dolore, manifestato con un infinito, disperato pianto, un senso di frustrazione e di impotenza che imprimerà in lui quella che chiamo “la prima ferita”, perché già dai primissimi momenti di vita viene privato del suo più grande bisogno, che è la vicinanza con il corpo della madre. Alla madre mancherà invece la condizione necessaria per accogliere il figlio in ogni sua esigenza senza mai percepirlo come un peso. Questi sono aspetti che oggigiorno la scienza non consi-
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Willi Maurer.
dera nel campo umano ma ha già osservato in quello animale. Nel caso delle pecore è ad esempio risaputo che un parto cesareo porta al non riconoscimento del proprio agnello da parte della madre. Si è anche osservato che si innesca un circolo vizioso. La pecora che non ha vissuto l’imprinting quando è nata, non ha sviluppato il proprio senso materno e rifiuterà a sua volta il proprio agnellino quando questo verrà al mondo. Purtroppo è quanto è successo anche a noi umani che adottando per generazioni comportamenti innaturali durante e dopo il parto abbiamo perso il contatto con la nostra innata saggezza.
Come è possibile recuperarla? Il precoce distacco dalla madre crea una profonda e dolorosa ferita che ci accompagna per tutta la vita. Questa sarà particolarmente toccata nel momento in cui la nascita di nostro figlio ci farà indirettamente rivivere la nostra, con le sue privazioni. L’evento è dunque il momento privilegiato per rielaborare il nostro dolore
«Il padre che non vive l’imprinting, e che ne è stato privato a sua volta, spesso sviluppa un senso di competizione verso il bambino».
vivendo l’imprinting con nostro figlio. Un imprinting vissuto in modo intimo, consapevole senza stress e interferenze rappresenta una finestra che si apre sulla nostra ferita e ci consente di riviverla riempiendoci nel contempo di un senso di pienezza e amore che è lo stato naturale in cui dovrebbero trovarsi bebé e genitori, grazie anche alla naturale secrezione ormonale. A questo proposito vorrei raccontare un aneddoto. Una giovane coppia che un anno fa è stata ad una delle mie conferenze, mi avvicina in un parco e mi mostra la testolina del suo bebé che sbuca dalla giacca dicendomi: “Era proprio così come hai detto: abbiamo pianto per una settimana, ma è stato bellissimo”. Vedendo il mio stupore (avevo semplicemente suggerito di non reprimere le emozioni che potevano emergere in tale circostanza), mi hanno spiegato di essersi presi il tempo e la calma per vivere il momento dell’imprinting ciò che ha risvegliato in loro ferite dolorose perché tutti e due erano stati messi in incubatrice. Da soli hanno rielaborato il trauma lasciando posto all’amore incondizionato”.
L’imprinting riguarda dunque anche il padre? “Senz’altro, vegliando e accudendo madre e bambino il padre si rende partecipe di questo processo e ne resta coinvolto. Ciò provoca anche in lui la secrezione dell’ossitocina, animandolo del necessario amore paterno che gli permette di accogliere pienamente il figlio in famiglia. Il padre che non vive l’imprinting, e che ne è stato privato a sua volta, spesso sviluppa un senso di competizione verso il bambino. Si può far largo in lui un’inconsapevole invidia per questo bambino che riceve le attenzioni che lui non ha avuto. Spesso questi padri danno consigli pratici alle madri invitandole a non viziare il bambino, a lasciarlo solo nella sua cameretta, così da ottenere le attenzioni della compagna e magari giungere all’atto sessuale, che è il tipico modo in cui l’uomo compensa il trauma del precoce distacco dalla madre”. È possibile partorire in modo naturale anche in ospedale o è meglio farlo in casa? Ambedue gli ambienti vanno bene, è la madre che deve scegliere sen-
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Alle volte il ricorso al cesareo, o l’allontanamento immediato del bambino dalla madre devono avvenire per questioni di urgenza. È possibile supplire in seguito alla mancanza di imprinting? In parte. Sia dopo un parto naturale, sia dopo un parto medicalizzato è basilare che la madre porti il bambino almeno per i primi nove mesi di vita. Portare il bambino e allattare su richiesta significa soddisfarne le esigenze. Ogni qual volta egli è abbandonato a piangere lontano dal corpo della madre proverà rabbia, impotenza. Se si accorgerà che la sua richiesta di attenzione non viene soddisfatta, imparerà presto a non esprimere i propri bisogni. Tutto questo fa parte della prima ferita. In caso di parto traumatico portare il bambino permetterà di rassicurarlo e non aggravare la prima situazione sovrapponendo un trauma all’altro. Assecondare i desideri del bambino per molti significa viziarlo.
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I primi contatti tra madre e bimbo sono basilari per la costruzione di un rapporto intimo di amore e fiducia. Foto Japeye - Flickr.com
za essere influenzata dagli altri. Oggi si possono fare splendidi parti anche in ospedale, basta conoscere le proprie esigenze e farle rispettare. Richiedere al personale di non intervenire come la prassi può causare stress, e ciò si ripercuote in modo negativo anche su madre e bambino. Per questo è importante rassicurare il personale sulla validità delle proprie scelte, sulla propria convinzione e firmare magari un contratto che li sollevi dalle loro responsabilità mediche. Spesso è poi il personale stesso a riconoscere come il parto si sia svolto in modo incredibilmente sereno.
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“Se vogliamo un nuovo mondo, un grande passo da fare è accogliere nella società le madri con i loro bambini”. tante è permettergli di esternarli e di esternare la sua frustrazione finché scomparirà lasciando spazio in modo naturale a un nuovo sentimento di serenità e all’interesse per qualcos’altro. Viceversa, un bambino che smette di comunicare i propri desideri continuerà a farlo anche da adulto, uccidendo sul nascere le aspirazioni più intime e la propria vitalità.
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In contatto con la madre il bambino ha tutto ciò che desidera. Foto: Premasagar - flickr.com
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Il bambino quando nasce sa già di cosa ha bisogno, e il genitore deve, nel limite del possibile, assecondare le sue richieste evitando di imporre la sua volontà. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare questo permetterà al bambino di divenire presto responsabile e indipendente. In popolazioni che esaudiscono il desiderio del bambino di stare continuamente in contatto con la madre nei primi mesi di vita si è notato che in seguito viene data al bambino anche la libertà e la fiducia che richiede. Ben presto questi si aggirano liberi anche in luoghi con numerosi pericoli dimostrando di sapersi muovere con una responsabilità che a noi può sembrare precoce ma non lo è, si tratta della naturale saggezza di ogni bambino che ha potuto svilupparsi come previsto dalla natura. Mi si dirà che non sempre è possibile esaudire i desideri del bambino, ma l’impor-
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Lo stile di vita odierno spesso non permette alla madri di stare sempre con il loro bambino durante il primo anno di vita. Una madre che porta il bambino può svolgere tranquillamente quasi ogni attività. Si è infatti osservato che il bambino, a contatto con la madre, ha tutto ciò che desidera e difficilmente interferisce con le sue occupazioni. Una volta ero ad un seminario intitolato “Verso un nuovo mondo”, dove erano riunite un centinaio di persone con lunga esperienza di ricerca spirituale. Tra queste vi era una mamma con la bambina che muoveva i primi passi con fatica, ma che era lasciata libera di gironzolare. La terrazza era alta tre metri, e la bambina sarebbe potuta cadere. Ho notato subito che i presenti erano divisi a metà: vi era chi giudicava la madre come irresponsabile e chi, dopo aver parlato con lei, guardava con interesse a questa bambina che amava stare con gli adulti, curiosava nell’ambiente, giocava con i bicchieri ma sapeva badare a sé stessa e non rompeva niente. Questa metà ritenne che madre e bambina, tra le numerose conferenze, erano state l’aspetto più interessante di questo incontro volto a trovare strategie per un mondo
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migliore. È mia convinzione che se vogliamo un nuovo mondo, un grande passo da fare è accogliere nella società le madri con i loro bambini. Leggendo il suo primo libro, si ha l’impressione che tutti i mali del mondo derivano da quella che lei definisce la prima ferita. È così? In parte. L’uomo, contrariamente a quanto si crede comunemente, giunge sulla terra con un senso di pienezza e appartenenza. Si tratta di quella serenità interiore a cui ognuno anela a modo suo. La prima ferita rompe questa integrità, perciò l’adulto sperimenta una scissione interiore che cerca di compensare in diversi modi; ad esempio creando un senso di appartenenza a un gruppo – e in questo modo sviluppando aggressività contro chi ne è estraneo – avviandosi verso comportamenti consumistici, dipendenze, ricerche spirituali, ecc. La mancanza di empatia e amore per sé e il prossimo, di sensibilità per la natura sono tutte conseguenze di questa spaccatura, questo dolore interiore, questa interruzione nel processo di sperimentazione dell’amore universale che avviene durante l’imprinting. Il non manifestare i propri desideri è un’altra conseguenza dolorosa della prima ferita. In Germania ho visto settantenni che dopo una vita di privazioni dovuta anche a un’infanzia trascorsa in periodo bellico si sono concessi di esternare i propri desideri, e mi ha impressionato vedere quanta gioia e vitalità ciò ha regalato loro. Queste sono solo alcune delle ripercussioni della prima ferita nella vita dell’adulto.
La prima ferita può essere rimarginata? Non lo so. Ciò che ho fin qui sperimentato è che la si può contattare, percepire, si può divenire consapevoli della sua presenza e questo permette di riconoscerla, evitando che continui a influire sui nostri comportamenti e le nostre emozioni in modo inconsapevole. Personalmente, quando viene per un motivo o per l’altro toccata, mi permetto un momento di tristezza; ma ognuno gestisce la cosa a modo suo. Lei aiuta le persone a percepire questa ferita interiore. Che metodo utilizza? È proprio il contrario, io non posso aiutare nessuno e lo metto subito in chiaro anche con chi giunge a chiedermi una mano. Inoltre non spingo nessuno a rivangare questo piuttosto che quell’altro trauma. Quando la persona si rende conto che nessuno può fare niente per lei prova delusione, impotenza, un senso di vuoto dal quale - con il tempo - emozioni e risposte affiorano da sé con tempi e modalità proprie. In questo frangente ciò che io posso fare è sostenere la fiducia delle persone nelle loro sensazioni affinché compiano il loro cammino interiore. Cindy Fogliani Informazioni: Willi Maurer 091 609 10 89 www.willi-maurer.ch
Madri “canguro” per bambini sottopeso
Molto meglio dell’incubatrice
Foto: Vermin Inc - Flickr.com
Lo chiamano Metodo madre canguro, e ha l’obbiettivo di migliorare la qualità di vita e le probabilità di sopravvivenza per i bebé nati sottopeso. Ogni anno ne nascono circa venti milioni; nati in anticipo o affetti da problemi di crescita prenatale che rappresentano un quinto del totale di casi di mortalità neonatale. “Le cure che richiedono questi bebé rappresentano un fardello per i sistemi sanitari e sociali in ogni paese del mondo”, annota l’OMS sottolineando come il problema sia sentito soprattutto nei paesi poveri, dove vi è sovente malnutrizione e mancano strutture sanitarie adeguate. Il metodo consiste nel portare un bambino prematuro sul ventre della madre in perenne contatto pelle contro pelle. Un metodo che la stessa OMS ritiene molto efficace e di facile applicazione. Oltre al contatto continuo con la madre si prescrive come nutrimento ideale unicamente l’allattamento al seno. Il metodo è stato presentato la prima volta da Rey e Martinez in Colombia, dove era stato concepito come alternativa alla carenza di incubatrici. Vent’anni di esperienza e ricerca ne hanno comprovato la validità in termini di sicurezza e la superiorità in termini di umanità rispetto all’utilizzo dell’incubatrice. L’OMS, che ha pubblicato una guida pratica di sessanta pagine in francese (La méthode "mère kangourou”), riporta che questo metodo si è dimostrato almeno equivalente all’incubatrice dal punto di vista della sicurezza e della protezione termica del bambino e migliore per quanto concerne la possibilità di allattare al seno, l’umanizzazione delle cure neonatali e l’instaurarsi di legami affettivi più profondi fra madre e bambino. L’organizzazione conclude che si tratta di un metodo di cura moderno e affidabile il cui utilizzo è consigliato sia nei paesi poveri sia nei paesi che dispongono di costose infrastrutture sanitarie.
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Certo anche altri avvenimenti la influenzano notevolmente e purtroppo anche in questo caso la prima ferita non aiuta in quanto si tratta di una sorta di “dolore originale” che amplificherà sofferenza, rabbia, frustrazione allorquando saremo confrontati con successive difficoltà.
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