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TOP NEWS 01 FOCUS 01 NATO TV 04 COSTRUIRE LA PACE 05 AGENDA 05 DOCUMENTI 05 ISSUES 06 COMMENTI 10 DI PIù 12/44 In accordo tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rai e NATO, Rai World fornisce sostegno all’informazione sulle operazioni di peacekeeping in Afghanistan e con la presenza di un riferimento al HQ NATO di Bruxelles mette a disposizione delle testate Rai servizi ed immagini dall’ Afghanistan e una raccolta di notizie stampa. Per contatti:
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№ 69
4 MAGGIO 2011
Periodo dal 28 APRILE Aggiornato al 4 MAGGIO
TOP NEWS
FOCUS
4 MAGGIO - AFGHANISTAN: DOPO MORTE OSAMA USA VOGLIONO NEGOZIARE CON TALEBANI (di più) L’uccisione di Osama Bin Laden apre per gli Stati Uniti nuove prospettive per mettere fine alla guerra in Afghanistan. L'Amministrazione Obama, scrive il Washington Post, che cita funzionari Usa coinvolti nelle questioni afghane, sta studiando il modo di sfruttare l'eliminazione del leader di Al Qaeda per accelerare un accordo negoziale con i talebani e l'uscita dal conflitto. (ADNKRONOS)
4 MAGGIO - BIN LADEN: RASMUSSEN, STRATEGIA NATO IN AFGHANISTAN NON CAMBIA (di più) La strategia della Nato in Afghanistan "non cambierà" in quanto "sono chiare" le ragioni della missione. Lo ha dichiarato il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen, a proposito dell'uccisione del leader di Al Qaeda, Osama bin Laden. (ADNKRONOS)
4 MAGGIO - MILLE ORE DI VOLO PER GLI ELICOTTERI ITALIANI AB 205 (di più) Gli elicotteri AB 205 dell’Esercito Italiano hanno raggiunto l’ambito traguardo delle mille ore di volo nei cieli afgani. (ITALFOR KABUL E RC-W)
4 MAGGIO - BIN LADEN: TALEBANI AFGHANI, CREATA UNITÀ SPECIALE PER VENDICARLO (di più) I talebani afghani hanno creato una "speciale unità per vendicare il martirio dello Sceicco Osama Bin Laden". A comunicarlo è stato Dawran Safi, capo dei talebani nell'est Afghanistan. (AGI)
3 MAGGIO - LA JULIA A UDINE: IL COMANDANTE CHIAMA I CADUTI, GLI ALPINI RISPONDONO "PRESENTE" (di più) Gli alpini di ritorno dall’Afghanistan. La cerimonia di Udine raccontata da Umberto Sarcinelli. (IL GAZZETTINO) 2 MAGGIO - BIN LADEN: GROSSMAN A KABUL,USA NON VOGLIONO BASI PERMANENTI (di più) Gli Stati Uniti non hanno intenzione di ottenere basi permanenti in Afghanistan. Lo ha assicurato l'inviato speciale americano nella regione, Marc Grossman. (ANSA)
4 MAGGIO - BIN LADEN/ FONTI PAKISTAN: PER LA FIGLIA PRESO VIVO E POI UCCISO (di più) Osama bin Laden sarebbe stato preso vivo dalle forze speciali americane, e ucciso solo in un secondo momento, sempre nei primi minuti del raid. A sostenerlo, secondo quanto scrive sul suo sito online l'emittente satellitare Al Arabiya, sarebbe la figlia dello sceicco del terrore, catturata assieme ad altri familiari di bin Laden durante il raid alla villa fortificata vicino Islamabad. (TMNEWS)
2 MAGGIO - AFGHANISTAN: LA RUSSA, NOSTRI 4 MAGGIO - BIN LADEN: PAKISTAN, AMX PREZIOSI CONTRO ATTENTATI (di più) Gli COMPOUND 'SOSPETTO' SEGNALATO A
2 / 44 Amx italiani impegnati in Afghanistan hanno consentito di individuare terroristi che stavano preparando attentati. Lo ha reso noto il ministro La Russa, al termine della visita alla base aerea di Istrana. (ANSA).
USA 2009 (di più) Il Pakistan nel 2009 aveva segnalato agli Stati Uniti come ''sospetto'', insieme a ''milioni di altri'', il compound dove è stato ucciso in un blitz Osama bin Laden: è quanto ha dichiarato alla Bbc il più alto funzionario del ministero degli esteri pachistano, A Salman Bashir. (ANSA 4 MAGGIO).
2 MAGGIO - AFGHANISTAN: SCONTRO FUOCO,UCCISO RIBELLE IN AREA ITALIANI (di più) Un 'ribelle' è stato ucciso nell' ovest dell'Afghanistan, sotto il controllo dei militari italiani, durante un'operazione congiunta tra soldati afghani e della Nato finalizzata a catturare un leader talebano. (ANSA).
3 MAGGIO - CASA BIANCA VALUTA SE DIFFONDERE FOTO CADAVERE OSAMA (di più) Il mondo attende di vedere le foto di Osama Bin Laden morto, ma intanto si alza la tensione diplomatica tra Usa e Pakistan. (AGI)
1 MAGGIO - AFGHANISTAN: UN KAMIKAZE DI DODICI ANNI FA STRAGE AL MERCATO (di più) E' di undici morti e 33 feriti il primo bilancio dell'offensiva di primavera dei talebani. L'attentato più grave è stato nella provincia di Paktika dove un kamikaze di 12 anni si è fatto esplodere uccidendo 4 persone. (ANSA).
3 MAGGIO - BIN LADEN: W.POST, OBAMA CONQUISTA NUOVA AUTORITÀ IN AFGHANSITAN (di più) Con l'uccisione di Osama Bin Laden, il presidente americano Barack Obama acquista maggiore autorevolezza e credibilità nella conduzione della guerra in Afghanistan. Lo scrive il Washington post. (ADNKRONOS)
30 APRILE - AFGHANISTAN: TALEBANI LANCIANO CAMPAGNA DI PRIMAVERA (di più) 3 MAGGIO - BIN LADEN: 79 COMMANDO I talebani hanno annunciato l'avvio di una nuova PER OPERAZIONE GERONIMO (di più) campagna militare di primavera denominata 'Badar'. Commando a bordo di elicotteri, Barack Obama (ANSA). e i vertici dell'amministrazione Usa asserragliati alla Casa Bianca con il capo della Cia che 29 APRILE - AFGHANISTAN: GEN.VALOTTO racconta i momenti salienti dell'operazione ALLA JULIA, SIETE STATI BRAVISSIMI (di più) "Geronimo", quella che ha portato all'uccisione “Siete stati bravissimi, bravissimi, bravissimi''. Così il di Osama bin Laden. (ANSA) Capo di stato maggiore dell'Esercito, generale Giuseppe Valotto, ha saluto a Udine il rientro ufficiale 3 MAGGIO - BIN LADEN, COMPUTER PUÒ della Brigata Alpina 'Julia' dalla missione in SVELARNE SEGRETI (di più) I segreti di Afghanistan. (ANSA). Osama bin Laden potrebbero essere svelati dal 29 APRILE - AFGHANISTAN: PENTAGONO, PROGRESSI TANGIBILI MA FRAGILI (di più) L'aumento delle truppe della coalizione ha consentito progressi “tangibili” sul fronte di guerra in Afghanistan ma tali progressi sono “fragili e reversibili”. Lo afferma un rapporto pubblicato dal Pentagono sulla situazione in Afghanistan. (ANSA).
pc e dai dischetti e altro materiale informatico trovati nella sua villa-fortezza di Abbottabad.. (AGI)
3 MAGGIO - BIN LADEN: ISI AMMETTE ERRORI, CIA NON SI FIDAVA (di più) Grandi sorrisi, strette di mano e ottimismo hanno segnato oggi ad Islamabad la ripresa dei colloqui trilaterali sulla sicurezza nella regione 28 APRILE - USA: OBAMA NOMINA NUOVA fra Usa, Afghanistan e Pakistan. Ma il Pakistan SQUADRA SICUREZZA (di più) Il presidente degli appare più che un protagonista, una sorta di Stati Uniti, Barack Obama, ha formalizzato le nomine “agnello sacrificale”. (ANSA) ai vertici del Consiglio di sicurezza degli Stati Uniti. David Petraeus va alla Cia e sarà sostituito nel 2 MAGGIO - BIN LADEN: PAKISTAN comando delle operazioni in Afghanistan dal suo PLAUDE, MA È FORTE L'IMBARAZZO (di attuale vice, il generale John Allen (ANSA). più) Il Pakistan ha definito l'uccisione di Osama 28 APRILE AFGHANISTAN: LA RUSSA,IMPEGNO NOSTRI GIOVANI VALE MOLTISSIMO (di più) Il ministro della Difesa La Russa e il presidente della Provincia di Salerno Cirielli, hanno inaugurato viale Massimiliano Randino, intitolata al caporal maggiore capo della brigata paracadutisti 'Folgore', ucciso in Afghanistan il 17
bin Laden un “duro colpo” al terrorismo, ma non è riuscito a sottrarsi all'imbarazzo causato dalla scoperta del lussuoso nascondiglio in una guarnigione militare a due ore a nord di Islamabad. (ANSA). 2 MAGGIO - BIN LADEN: KARZAI A
3 / 44 settembre 2009. (ANSA).
TALEBANI, 'IMPARATE LA LEZIONE' (di più) Dopo la cattura di bin Laden Karzai ha 28 APRILE AFGHANISTAN: W.POST, rivolto un severo monito ai talebani a deporre le PAKISTAN CHIEDE A KABUL DI DISTANZIARSI armi'' e ''a partecipare al dialogo di pace e DA USA (di più) Il Pakistan chiede all'Afghanistan di riconciliazione nazionale''. (ANSA) distanziarsi dagli Usa. Lo sostiene il Washington Post, spiegando che questo è stato il messaggio del primo 2 MAGGIO - BIN LADEN: MASSIMA ministro pachistano Gillani durante il suo incontro con ALLERTA PER ITALIANI AFGHANISTAN (di più) Gli organismi di intelligence occidentali e gli Karzai. (ADNKRONOS) 007 afgani concordano: dopo l'uccisione di Osama Bin Laden i gruppi talebani cercheranno di colpire. Vigilanza “ai massimi livelli” per i militari italiani della missione Isaf. (ANSA) 2 MAGGIO - BIN LADEN: CAPO CIA,ORA CI ASPETTIAMO VENDETTA AL QAIDA (di più) L'uccisione di Osama bin Laden può scatenare la vendetta di Al Qaida. E' questo l'allarme del direttore della Cia Leon Panetta. (ANSA) 2 MAGGIO - BIN LADEN: NATO, NOSTRA MISSIONE IN AFGHANISTAN CONTINUA (di più) Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, si congratula con il presidente Usa Obama ed assicura che la missione in Afghanistan continuerà. (ADNKRONOS).
2 MAGGIO - BIN LADEN: ZAHWARI, DA NUMERO 2 A POSSIBILE CAPO (di più) Potrebbe essere Ayman Abdel Rahman al Zawahri, medico egiziano nato il 19 giugno 1951, fra i fondatori di Al Qaida alla fine degli anni Ottanta e attuale numero 2 dell'organizzazione terrorista a succedere a Osama Bin Laden. (ANSA). 2 MAGGIO - USA UCCIDONO BIN LADEN, OCCIDENTE ESULTA,ISLAM DIVISO (di più) “Osama bin Laden è stato ucciso, giustizia è fatta": l'annuncio di Barack Obama, quando erano le 5 del mattino in Italia, ha messo fine alla più grande caccia all'uomo di questo secolo. (AGI)
2 MAGGIO - BIN LADEN: BLITZ DEL COMMANDO, MOGLIE È SCUDO UMANO (di più) Una ''piccola squadra'' di Navy Seals, i leggendari incursori della Marina Usa, intervenuta in piena notte ad Abbottabad, in Pakistan, ha ucciso in un blitz Osama bin Laden. (ANSA).
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NATO TV_________________________________________________________________________________ Sono disponibili su richiesta delle redazioni Rai le immagini (e/o i servizi) della struttura TV organizzata dalla Nato in Afghanistan realizzate da reporter professionisti embedded presso il contingente ISAF. Tutte le immagini sono libere da diritti d' autore e in quality broadcast. Per ricevere le immagini e per informazioni contattare al HQ NATO di Bruxelles: Luca Fazzuoli. Inviato permanente di Rai World e Media Relation Officer
[email protected] (+32 475 470127) Tutte le immagini girate in Afghanistan sono disponibili: - grezze, in versione internazionale, senza alcun montaggio, logo o sottotitoli oppure: - montate in un reportage di circa 2 - 3 minuti, con sottotitoli in inglese per le interviste in farsi o pashtu. Il suono delle interviste è inglese, farsi o pashtu. Tutte le immagini sono correlate dalla seguente documentazione: lista delle immagini con il timecode, trascrizione delle interviste in inglese, trascrizione e traduzione delle interviste dal farsi o pashtu in lingua inglese, informazioni relative al contenuto delle immagini. La distribuzione delle immagini e della documentazione avviene in modo rapido attraverso una semplice email che viene inviata direttamente al vostro indirizzo elettronico. Le immagini montate in un piccolo reportage possono essere visionate anche sul sito web:
www.natochannel.tv
QUESTA SETTIMANA VI SEGNALIAMO IL SEGRETARIO GENERALE DELLA NATO: SU OSAMA BIN LADEN “ UN IMPORTANTE TRAGUARDO" La Nato riconosce " l’importante traguardo " raggiunto con la morte di Osama Bin Laden, ritenendo che comunque le operazioni militari in Afghanistan devono andare avanti. Questo, quanto affermato dal segretario generale dell'Alleanza atlantica, Anders Fogh Rasmussen. "Si tratta di un grande successo per la sicurezza degli Alleati della Nato ", ha dichiarato Rasmussen, rivolgendo le sue "congratulazioni al presidente americano Barack Obama e a tutti coloro che hanno reso possibile questa operazione". Ma non bisogna dimenticare che il "terrorismo continua a minacciare direttamente la nostra sicurezza e la stabilità internazionale", quindi "gli alleati della Nato e i loro partner continueranno a portare avanti la loro missione in Afghanistan, per adempiere agli obiettivi fissati, di portare pace e sicurezza in queste zone". Anche Le forze ISAF, si complimentano con le forze speciali USA per il successo dell’operazione che ha portato all’eliminazione di Osama Bin Laden, aggiungendo che “ quanto accaduto infligge un forte colpo ad Al Qaeda ed ai suoi affiliati”. Attualmente la Nato, dispone di 140.000 soldati in Afghanistan, e prevede di cedere il comando delle operazioni alle truppe Afgane non prima della fine del 2014, al termine del processo di transizione avviato quest'anno. 1.) Press Freedom Day in Afghanistan (La giornata mondiale della liberta’ di stampa in Afghanistan) Con l’inizio delle celebrazioni della Giornata mondiale della libertà di stampa, Nato tv e’ andata a vedere quanto sia libera la stampa in Afghanistan, quali sono i problemi che i giornalisti devono ancora affrontare e quali progressi sono stati compiuti dopo la caduta del regime Talebano.
YouTube Link: http://www.youtube.com/watch?v=UwJwEHxy1Xc
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2.) Policing Lashkar Gah Presso la sede ANP a Lashkar Gah, una rete di punti di controllo è coordinata con l'obiettivo di migliorare la sicurezza. Ma come si realizza questo realmente ? Nato TV e’ con le truppe ISAF per testimoniare come il loro impegno influenzi questo processo.
YouTube Link: http://www.youtube.com/watch?v=PsSPy1v8auE
COSTRUIRE LA PACE______________________________________________________________ MISSIONE ITALIANA PER IL POLO INFRASTRUTTURALE A HERAT (di più) Un gruppo di tecnici del ministero dello Sviluppo, insieme a Confindustria, Enel, Eni e Finmeccanica, sta preparando per fine maggio una missione in Afghanistan per lavorare al progetto di costruzione di un polo infrastrutturale a Herat. (AGI-PEI NEWS 3 MAGGIO) AFGHANISTAN: IN RETE NUOVO PORTALE COOPERAZIONE ITALIANA (di più) Una finestra sempre aperta sulle attività della Cooperazione Italiana a Kabul ed Herat. E' il biglietto da visita del nuovo portale della Cooperazione Italiana ora in rete. (ANSA 2 MAGGIO). ITALIA-AFGHANISTAN: COOPERAZIONE, A HERAT CASE PER RIFUGIATI (di più) La Cooperazione italiana ha provveduto a consegnare un gruppo di semplici unità abitative in un villaggio del distretto di Karuk della provincia occidentale di Herat, parte di un più ampio progetto che riguarda anche Farah e Badghis. (ANSA 28 APRILE)
AGENDA_________________________________________________________________________________ MAGGIO - ROMA OSPITA UNA CONFERENZA DELLA SOCIETA' CIVILE AFGHANA. L'INIZIATIVA E' FINANZIATA DELLA COOPERAZIONE ITALIANA E FA PARTE DEL PROGETTO "AFGANA". OTTOBRE – LA BRIGATA SASSARI TORNA IN AFGHANISTAN 5 DICEMBRE - CONFERENZA INTERNAZIONALE SULL’AFGHANISTAN A PETERSBERG IN GERMANIA Dieci anni dopo la conferenza di Petersberg, la stessa cittadina tedesca alle porte di Bonn, nell'ovest della Germania, ospiterà il prossimo 5 dicembre un altro summit internazionale sull'Afghanistan. Lo ha reso noto oggi a Berlino il rappresentante del governo tedesco per l'Afghanistan, Michael Steiner. All'appuntamento, parteciperanno oltre 1.000 delegati, inclusi i ministri degli esteri di 90 Paesi. La conferenza del 2001 servì a definire gli accordi per un governo di transizione in Afghanistan e gettare le basi per la ricostruzione. A dicembre, ha spiegato Steiner, si farà anche un bilancio del processo di ricostruzione. Il summit internazionale coincide con il previsto inizio del ritiro delle truppe tedesche dall'Afghanistan, che dovrebbe concludersi nel 2014. (ANSA 8 MARZO) 23 MARZO 2012 – SCADE LA MISSIONE DI ASSISTENZA CIVILE DELL'ONU IN AFGHANISTAN (UNAMA) PROROGATA DI UN ANNO IL 22 MARZO 2011.
DOCUMENTI_______________________________________________________________________________________ STATEMENT BY THE NATO SECRETARY GENERAL ANDERS FOGH RASMUSSEN ON OSAMA BIN LADEN I congratulate President Barack Obama and all those who made the operation against Osama Bin Laden possible. This is a significant success for the security of NATO Allies and all the nations which have joined us in our efforts to combat the scourge of global terrorism to make the world a safer place for all of us. NATO made clear that it considered the September 11 attacks on the United States an attack against all Allies. We remember the thousands of innocent lives lost to terrorist atrocities in so many of our nations, in
6 / 44 Afghanistan, and around the world. As terrorism continues to pose a direct threat to our security and international stability, international cooperation remains key and NATO is at the heart of that cooperation. NATO Allies and partners will continue their mission to ensure that Afghanistan never again becomes a safe haven for extremism, but develops in peace and security. We will continue to stand for the values of freedom, democracy and humanity that Osama Bin Laden wanted to defeat. (COMUNICATO UFFICIALE NATO 2 MAGGIO)
ISSUES___________________________________________________________________________________ BILANCIO VITTIME MILITARI DALL’INIZIO DEL CONFLITTO AL 4 MAGGIO (dal sito icasualties.org) Australia Belgium Canada Czech Denmark Estonia Finland France
23 1 155 3 40 8 2 56
Georgia Germany Hungary Italy Jordan Latvia Lithuania Netherlands
7 49 4 36* 1 3 1 25
New Zeland Norway Poland Portugal Romania South Korea Spain Sweden
2 10 26 2 17 1 30 5
Turkey UK US Nato Not yet Reported
2 364 1567 3 0
TOTALE
2443
* Le vittime italiane in realtà sono 37. Ma icasualties.org non menziona tra i decessi quello dell’agente dell’Aise Pietro Antonio Colazzo.
VARIAZIONE VITTIME PER PAESE NEL PERIODO
28 APRILE
NATO POLONIA USA VITTIME TOTALI (VARIAZIONE DEL PERIODO SOPRAINDICATO) VITTIME TOTALI 2011
4 MAGGIO 2 1 7 10 162
http://www.italiafghanistan.org/Dati.aspx
LIBRI/ GLI ALPINI TRA RUDYARD KIPLING E MISSIONE IN AFGHANISTAN Quel Kipling che proprio non ti aspetti... In occasione dell'84° Adunata nazionale degli alpini a Torino dal 6 all'8 maggio, Mursia manda in libreria due volumi dedicati alle penne nere. Il primo, "La guerra nelle montagne", di Rudyard Kipling, è un libro che racconta, a distanza di quasi un secolo, cronache di guerra viste dalla parte degli alpini. Kipling arrivò in Italia nel 1917 e viaggiò lungo tutto il fronte: sul fiume Isonzo, il monte Podgora, il monte Nero, Gorizia, Cortina, le Alpi Carniche. A ogni tappa registrava sul quaderno le sue impressioni raccolte ora in "La guerra nelle montagne", un volume curato dal giornalista di lungo corso Massimo Zamorani che completa il volume con una breve storia del corpo. A colpire il grande narratore britannico furono i soldati "con il cappello decorato con una penna d'aquila, in alcuni casi talmente consumata da essere poco più che un valoroso moncherino, con ramponi dalle punte letali come zanne di lupo". Da quel "corpo di giovani scapestrati, con il carattere tosto, l'aspetto curato e lo sguardo inflessibile", Kipling resta letteralmente affascinato e regala alle penne nere pagine straordinarie in cui racconta la guerra sulle vette a 3.000 metri di quota dove il rombo delle mine viene interrotto da canti che rimbalzando sulle pareti di roccia "avrebbero ridotto a sussurro anche la più roboante sinfonia di Wagner". Un testo inaspettato dell'autore del "Libro della giungla, molto noto in Gran Bretagna ma stranamente dimenticato in Italia, ora riscoperto e riproposto opportunamente al pubblico italiano. Altro secolo, altro fronte. Altre montagne e altri giovani alpini. Sono quelli che si ritrovano nelle pagine di "Ring Road" di Mario Renna, ufficiale addetto alla pubblica informazione della brigata alpina "Taurinense". La Ring Road è un anello di asfalto che attraversa l'Afghanistan, quasi tremila chilometri che collegano tutte le regioni e le città del paese. Il libro, con la prefazione di Toni Capuozzo, è il diario di sei mesi di missione, dall'aprile al dicembre 2010, corredato da una serie di immagini della fotografa Valentina Bosio. "Mi sono reso conto che spesso delle missioni in
7 / 44 Afghanistan sfugge la complessità", spiega Renna: "Nell'arco delle ventiquattr' ore capita che 1.800 uomini e donne con le stellette siano impegnate in una miriade di attività diverse: i combattimenti a bassa intensità scanditi dal fuoco delle armi leggere e dei mortai, l'assistenza alle autorità locali, la realizzazione di infrastrutture, l'addestramento alle forze di sicurezza afgane, il pattugliamento, le cure mediche. Tutto questo accade quotidianamente su un territorio grande come l'Italia del nord." E il diario dalla Ring Road racconta proprio questa complessità dando uno spaccato vero e senza retorica delle vita degli alpini e, più in generale, dei soldati italiani in Afghanistan. (TMNEWS 3 MAGGIO) BIN LADEN: OBAMA AVANZA NEI SONDAGGI, POPOLARITÀ AL 56% Popolarità in crescita per Barack Obama dopo l'uccisione di Osama bin Laden. Un sondaggio condotto lunedì sera dal Washington Post insieme al Pew Research Center, dà il gradimento del presidente americano al 56% contro il 47% di aprile. Il giudizio su Obama migliora per quanto riguarda il terrorismo e la situazione in Afghanistan, ma non ha registrato praticamente nessun movimento la gestione dell'economia. Il che fa pensare, scrive il quotidiano, che "il successo su un fronte non si traduce facilmente in altri settori". In un sondaggio online di Reuters, il 79% dei partecipanti si e' detto convinto che Washington abbia preso la decisione giusta (il 14% ha detto 'no', il 7% che non era sicuro); ma solo il 25% dice che si sente più sicuro dopo la morte del capo di al Qaeda (rispetto al 59% che invece non lo e'). Il 37% e' inoltre convinto che la maggior parte del merito dell'operazione sia da assegnare ad Obama, con un 13% che lo attribuisce al suo predecessore, il repubblicano, George W. Bush. Una lieve maggioranza, il 51%, sostiene che l'operazione non abbia cambiato la propria percezione di Obama; ma il 29% dice di sentirsi meglio disposto. Infine il 42% è convinto che Obama stia gestendo in modo efficace la su guerra al terrorismo, rispetto al 26% che parla di gestione inefficace. Al sondaggio hanno risposto circa 1.200 lettori statunitensi, ma anche stranieri di Reuters.com. (AGI 3 MAGGIO) ROMANIA-USA:ACCORDO TRANSITO TRUPPE VERSO IRAQ-AFGHANISTAN Il presidente romeno Traian Basescu ha annunciato oggi che il ministero della difesa ha accolto la richiesta degli Stati Uniti di utilizzare l'aeroporto di Kogalniceanu e il porto di Costanza per il transito di truppe Usa e equipaggiamenti verso e da Iraq e Afghanistan. ''Il consiglio supremo della difesa ha approvato l'utilizzo'', ha annunciato, precisando che le due infrastrutture diventeranno strategiche per gli Stati Uniti e non solo per la Romania. ''Il processo - ha detto Basescu citato dall'agenzia Mediafax -procederà nei prossimi due mesi, e al termine andrà avanti senza la supervisione degli americani, sulla base degli accordi raggiunti da Stati Uniti e Romania''. Il presidente ha inoltre precisato che per ora all'aeroporto di Kogalniceanu stazioneranno quattro aerei cisterna e quattro da trasporto C17. (ANSA 3 MAGGIO) BIN LADEN: DIECI ANNI DI CACCIA A OSAMA/CRONOLOGIA Osama bin Laden è stato indicato negli Stati Uniti come "nemico pubblico numero uno" all'indomani degli attentati dell'11 settembre 2001. Da allora è iniziata una caccia al leader di al Qaeda, che si è conclusa con la sua morte la scorsa notte. Ottobre 2001: alla vigilia dell'attacco americano del 7 ottobre contro l'Afghanistan, il presidente degli Stati Uniti George Bush lancia un ultimatum ai talebani perché consegnino Bin Laden. Il Pentagono conferma che una piccola unità americana si trova già in Afghanistan per cercare di catturarlo. Novembre 2001: la taglia posta dagli americani sulla testa di Bin Laden sale da 5 a 25 milioni di dollari. Dicembre 2001: le forze speciali americane tentano di catturare Bin Laden nelle grotte di montagna di Tora Bora. La ricerca si sposta successivamente in pakistan. Marzo 2002: I militari americani lanciano un'imponente offensiva vicino alla città settentrionale afghana di Gardes, dove si sospetta che i leader di al Qaeda si nascondano nelle grotte. Settembre 2003: Il ministro pachistano degli Interni Faisal Saleh Hayat afferma che sono giunte informazioni per la caccia a Bin Laden. Il suo covo esatto non si conosce ma "il cappio si sta stringendo". Febbraio 2004: Gli Stati uniti negano che Bin Laden si nasconda nelle montagne vicino alla città pachistana di confine di Quetta. Aprile 2004: Un portavoce dell'esercito americano dichiara che gli Stati Uniti sono certi di catturare Bin laden "quest'anno". Dicembre 2004: L'allora presidente pachistano Pervez Musharraf dice che la traccia di Bin Laden è "diventata fredda". Settembre 2006: Il Washington Post scrive che negli ultimi due anni non è arrivata agli Stati Uniti nessuna credibile informazione sul nascondiglio del leader di Al Qaeda. I servizi sospettano si sia rifugiato nelle aree tribali pachistane al confine con l'Afghanistan. Luglio 2007: Il Senato americano raddoppia la taglia su Bin Laden, che arriva a 50 milioni di dollari. Ottobre 2010: la Cnn cita un'alta fonte della Nato, secondo la quale Bin laden vive in una casa confortevole nel Pakistan nord occidentale. (ADNKRONOS 2 MAGGIO)
8 / 44 BIN LADEN: OSAMA, IL PIÙ RICERCATO AL MONDO Osama bin Muhammad bin Awad bin Laden, più conosciuto come Osama Bin Laden, era considerato il capo storico di Al Qaida, e come tale è stato l'uomo più ricercato al mondo negli ultimi dieci anni. Per l' Fbi e' il mandante degli attentati dell'11 settembre 2001 contro le Torri Gemelle di New York e contro il Pentagono a Washington ed è responsabile di alcuni degli attentati più sanguinosi compiuti contro cittadini americani. Osama bin Laden, dopo averla inizialmente negata, ha rivendicato la responsabilità degli attentati dell'11 settembre. Il Dipartimento di Stato americano aveva messo una taglia di 50 milioni di dollari per la sua cattura ''vivo o morto''. Oggi il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha annunciato all'America che Osama bin Laden e' morto e che gli Stati Uniti hanno il corpo di colui che dall'Fbi era considerato il terrorista numero 1 al mondo. Aveva 54 anni. Nato a Riad il 10 marzo del 1957, Osama bin Laden era figlio di un yemenita, Muhammad bin Awad bin Laden, e di una siriana, Hamida al Attas, sua decima moglie. E' stato il 17/o di 52 tra fratelli e fratellastri. Suo padre, un ricco costruttore, era in stretti rapporti con la famiglia reale saudita. Osama bin Laden, però, non e' stato cresciuto dal padre (che ha divorziato dalla moglie subito dopo la sua nascita), ma dalla madre, risposatasi con il saudita Muhammad al-Attas, con il quale ha avuto altri tre figli e una figlia. Osama bin Laden era laureato in Economia presso l'università di Gedda, dove conseguì anche un diploma in ingegneria civile. La stampa britannica ha pubblicato sue fotografie di quando, 14enne, visitò per un certo periodo la Oxford University in Gran Bretagna. Stando alla CNN, Bin laden ha avuto quattro mogli e ha messo al mondo 25 o 26 figli. Quando aveva 22 anni, nel 1979, si avvicinò ai Mujahidin afghani, allora in guerra contro il loro governo appoggiato dall'Unione Sovietico. In seguito a quella esperienza, Osama Bin laden ebbe modo di organizzare il Mak (Maktab al-Khidamat), un movimento che aveva l'obiettivo di convogliare risorse, armi e combattenti a sostegno dei ribelli afghani. Quando Osama lasciò il Mak, si avvicinò quattro anni dopo alla appena nata organizzazione terroristica di Al Qaida. E in patria, in Arabia Saudita, venne osannato come un eroe. Ma lui lasciò presto il Paese per trasferirsi in Sudan. Lì cominciò una più organizzata ed efficace attività terroristica, ampliando via via il suo raggio d'azione, fino a dare ad Al Qaida i contorni di un'organizzazione internazionale, con attività e radicamenti nel mondo intero, dall'Africa, all'Europa, agli Stati Uniti. Senza parlare dell'Asia, naturalmente. Il 23 febbraio del 1988, insieme ad altri quattro firmatari, tra cui l'emiro Ayman al-Zawahiri, Bin Laden firmò la prima 'fatwa', un proclama religioso in cui si sosteneva che ''uccidere gli americani e i loro alleati, civili e militari, è un dovere individuale per ogni musulmano che possa farlo in ogni Paese ove sia possibile''. In nome dell'Islam. Il primo presidente americano ad agire direttamente contro di lui fu Bill Clinton, che ordinò il congelamento dei suoi beni. Sulla testa di Bin Laden venne posta dal governo Usa una taglia di 25 milioni di dollari. Tre anni dopo, ecco l'11 settembre 2001. Attentati nei quali Bin Laden fece sapere in un primo tempo di non avere alcun coinvolgimento. Ammise un suo diretto coinvolgimento solo il 29 ottobre 2004, con un video trasmesso dall'emittente del Qatar, Al Jazira, pochi giorni prima delle elezioni presidenziali americane che avrebbero confermato l'allora presidente, George W. Biush, nel suo secondo mandato alla Casa Bianca. L'ultima localizzazione di Bin Laden su cui l'intelligence abbia potuto produrre prove risale addirittura a dieci anni fa, dopo l'11 settembre. Bin Laden in quel periodo era certamente a Kandahar, in Afghanistan. Poi, seppur tra segnalazioni contraddittorie, di Bin Laden si erano perse le tracce. La Cia ha sempre ritenuto che il capo di Al Qaida si nascondesse tra Afghanistan e Pakistan, in particolare nella zona montuosa di Tora Bora. Bin Laden è ritenuto responsabile degli attentati contro le ambasciate Usa di Dar es Salaam, in Tanzania, e di Nairobi, in Kenya nel '98, in seguito ai quali morirono oltre 200 persone. In più occasioni in questi anni sono stati diffusi da tv arabe o via internet audio-messaggi di Bin Laden che la Cia, dopo averli esaminati, ha sempre considerato autentici. Questa sera, infine il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha dato l'annuncio storico: ''Osama bin Laden è morto''. (ANSA 2 MAGGIO). BIN LADEN: TUTTI GLI UOMINI DI OSAMA Morto Osama bin Laden, ora il terrorista di Al Qaida ricercato numero uno è il suo presunto vice, Ayman alZawahri, ma sono diversi i quadri latitanti dell' organizzazione che potrebbero essere scelti per la successione. Questi i più importanti: - AYMAN AL-ZAWAHRI: medico egiziano di 60 anni, leader della Jihad islamica egiziana prima dell'incontro in Afghanistan con Bin Laden, di cui divenne braccio destro. Cofondatore di Al Qaida. Molti i suoi messaggi video negli anni passati. Ritenuto un grande organizzatore, sulla sua testa c'è una taglia di 25 milioni di dollari. - SAIF AL-ADEL: egiziano, 50 anni circa, anche lui ex membro Jihad islamica egiziana, sarebbe il capo del ramo militare di Al Qaida. Ricercato per gli attentati contro le ambasciate Usa di Nairobi e Dar es Salaam nel 1998. Su di lui una taglia di 5 milioni di dollari. - ANWAR ALAULAQI: statunitense d'origine yemenita, 39 anni, imam e predicatore radicale, non e' ritenuto organico ad Al Qaida, con la quale avrebbe però legami per via della sua intensa opera di predicazione e reclutamento via internet e la sua influenza. Si ritiene sia nascosto all'interno della sua tribù nello Yemen. - FASUL ABDULLAH MOHAMMED: originario delle Comore, 40 anni circa, si ritiene diriga Al Qaida nell'Africa orientale, sia
9 / 44 l'interfaccia con gli Al Shabaab somali e sia coinvolto negli attentati di Nairobi e Dar es Salaam. - ADAM YAHIYE GADAHN: 32 anni, statunitense convertito all' Islam, reclutatore e predicatore su internet in arabo e inglese. Ricercato dagli Usa per ''tradimento'' e per ''atti terroristici''. Taglia di un milione di dollari. SULEIMAN ABU GHAITH: 46 anni, imam del Kuwait, bandito dalla predicazione per il suo radicalismo, si unì a Bin Laden nel 2000, divenendone uno dei principali portavoce. - FAHD MOHAMMED AHMED AL-QUSO: 37 anni, yemenita, ritenuto uno degli organizzatori dell'attentato contro la nave Uss Cole ad Aden nel 2000. E' stato in carcere nello Yemen dal 2002 al 2007 e ora sarebbe in Al Qaida nella Penisola araba (Aqpa). ABDULLAH AHMED ABDULLAH: 50 anni, egiziano, ritenuto braccio destro di Abdullah Mohammed in Africa orientale. Nelle lista originale dei 22 più ricercati per terrorismo dell'Fbi. La taglia è di 5 milioni di dollari. ANAS AL-LIBY: libico, 47 anni, vero nome Nazih Abdul-Hamed Nabih al-Ruqai, ex rifugiato in Gran Bretagna, anch'egli ricercato per gli attentati in Kenya e Tanzania del 1998. - ALI SAID BEN ALI EL-HOORIE: saudita, 46 anni, accusato di aver partecipato agli attentati di Dahran del 1996 (19 militari Usa morti). Cinque milioni di dollari la taglia. (ANSA 2 MAGGIO). BIN LADEN/ I "MESSAGGI" DI OSAMA DOPO L'11 SETTEMBRE Il leader di al Qaida Osama bin Laden e il suo numero due Ayman al-Zawahri hanno diffuso oltre 60 messaggi audio o video dall'11 settembre 2001. Nella scheda, i principali messaggi attribuiti a Osama bin laden. 21 gennaio 2011 - Audio contro la Francia. Se non si ritira dall'Afghanistan, dice bin Laden, i giornalisti francesi rapiti nel paese non saranno liberati 25 marzo 2010 - in un messaggio audio bin Laden minaccia di uccidere americani in caso di condanna a morte di Khalid Sheikh Mohammed, la "mentre" degli attentati dell'11 settembre. 24 gennaio 2010 - audio di Bin Laden in cui rivendica il fallito attentato a un aereo Usa il giorno di natale. 25 settembre 2009 - Bin Laden invita le nazioni europee a ritirarsi dall'Afghainsitan. Il video - con immagine fissa di Bin Laden - ha sottotitoli in tedesco e inglese e viene diffuso a due giorni dalle elezioni tedesche. 14 settembre 2009 - Bin Laden dice che il presidente Obama non "ha la forza" di vincere le guerre in Afghanistan e Iraq. 3 giugno 2009 - Bin Laden attacca Obama, avvisandolo che l'america ha piantato i semi "della vendetta" nel mondo islamico. 14 marzo 2009 - Bin Laden accusa i leader arabi moderati di complottare con l'occidente contro i musulmani. Il messaggio è diffuso in coincidenza con l'offensiva israeliana a Gaza. 14 gennaio 2009 - audio di Bin Laden che invita a una nuova Jihad per fermare la guerra israeliana a Gaza. 18 maggio 2008 - Bin Laden chiede ai musulmani di infrangere il blocco della striscia di Gaza e combattere i governi arabi che vengono a con Israle. 16 maggio 2008: Bin Laden, in un messaggio audio, si rivolte ai "popoli occientali" e ivita alla lotta contro israele ribadendo che il conflitto israelo-palestinese è il cuore dello scontro tra il mondo islamico e l'occidente. 19 marzo 2008 - In un audio, bin Laden minaccia l'unione europea e promette vendetta dopo la vicenda delle vignette satiriche sul profeta Maometto. (TMNEWS 2 MAGGIO). BIN LADEN:MILIARDARIO CHE DIVENNE PRIMULA TERRORE Rinunciò da giovane a una vita mondana di agi e ricchezza per la Jihad, prima contro i sovietici in Afghanistan, poi contro gli Stati Uniti e alleati, alla quale ha dedicato la sua vita, il suo prestigio nel mondo dell'estremismo, le sue sostanziose finanze. Osama bin Laden, ucciso la scorsa notte in un blitz americano in Pakistan, e' stato l'uomo che ha globalizzato il terrorismo islamico contro l'Occidente e i regimi arabi ''corrotti'' e a esso asserviti. Nato a Riad nel 1957, rampollo di una ricca famiglia di imprenditori edili sauditi di origini yemenite, di madre siriana, Osama studia ingegneria civile e commercio all' università King Abdul Aziz di Gedda dove, ancora nel 1973, si lega, appena sedicenne, a gruppi fondamentalisti islamici e studia i testi dell'Islam wahhabita, la particolare forma rigorosa di sunnismo diffuso in Arabia Saudita. La svolta nella sua vita avviene nel 1979 con l'invasione sovietica dell'Afghanistan: Bin Laden ha 22 anni e va a combattere. In collaborazione con la Cia e i servizi segreti del Pakistan usa le sue finanze per organizzare campi di addestramento per i mujaheddin, divenuti anni dopo basi terroristiche. Nel 1989 fonda Al Qaida (la base), che si diffonde in una trentina di Paesi e s'allea, fra gli altri, con la Jihad islamica egiziana e gruppi estremisti algerini. Su pressione degli Stati Uniti nel 1991 l'Arabia saudita gli revoca la cittadinanza e, tre anni più tardi, dopo il fallito attentato alle Torri Gemelle di New York, viene costretto a lasciare anche il Sudan, dove si era rifugiato. Torna quindi in Afghanistan e lancia la Guerra santa contro gli Usa, diventati nemico numero uno dopo la prima Guerra del Golfo (1991) e la missione Restore Hope in Somalia (1992-93), e nel 1997 ammette alla Cnn la sua responsabilità in un attentato dell'ottobre 1993 contro militari statunitensi a Mogadiscio. E' ritenuto responsabile anche degli attacchi a Riad del 1995 e alla città saudita di Dahran nel 1996, in cui muoiono 19 militari Usa. Nel 1998 - secondo gli investigatori - organizza gli attentati alle ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam (224 morti). Lui nega ogni responsabilità ma gli americani lanciano una raffica di missili cruise sul suo presunto rifugio afghano e sul Sudan. Di nuovo viene fatto il suo nome nel 2000 quando 17 marinai statunitensi muoiono nell'attacco suicida contro il cacciatorpediniere Uss Cole nel
10 / 44 porto yemenita di Aden. Sono anni in cui l'attività di Al Qaida si fa sempre più spettacolare e mira sempre più alto. Sono gli anni i cui moltissimi quadri di Al Qaida ricevono il loro addestramento in Afghanistan e in cui lo ''sceicco del terrore'' mobilita le sue finanze e raccoglie fondi. Poi, l'11 settembre 2001, scatta il piano, meticolosamente preparato per anni, degli attentati con gli aerei contro le Torri Gemelle e il Pentagono. I mega-attentati scatenano contro di lui la guerra degli Stati Uniti e alleati, che avviano una delle più colossali cacce all'uomo della storia. Ma sono un rilancio formidabile a livello mondiale del terrorismo islamico, galvanizzano i sentimenti antioccidentali nel mondo arabo e musulmano, creando le basi per il reclutamento jihadista degli anni successivi. Da quel momento di Bin Laden si perdono le tracce. Di lui si dice che dopo l'invasione dell'Afghanistan si sposti da Kandahar, città-roccaforte dei talebani che fino a quel momento si riteneva lo proteggessero, alla zona tribale pashtun pachistana a ridosso del confine afghano. Di lui si hanno alcuni filmati di propaganda e poi, dal 2004, solo qualche messaggio audio. Si riteneva fosse malato ai reni, alcune informazioni mai confermate dicevano fosse fuggito rocambolescamente in motocicletta dopo l'invasione Usa. Non è mai stato chiarito il suo ruolo reale in Al Qaida dopo l'11 settembre. (ANSA 2 MAGGIO)
CALCIO: PARTE INCASSO NOCERINA-FOLIGNO AL CAPORALE BARISONZI Parte dell'incasso dell'incontro di calcio del girone B della Prima Divisione tra Nocerina e Foligno, in programma domenica allo stadio San Francesco di Nocera Inferiore (Salerno), sarà devoluto al caporale degli Alpini Luca Barisonzi, ventuno anni il prossimo due maggio, rimasto paralizzato dopo un agguato terroristico in Afghanistan. Il caporale Barisonzi, costretto su una sedia a rotelle, ha bisogno di una nuova casa adatta alle sue esigenze e alle sue nuove necessità. Per questo motivo l'Associazione Nazionale Alpini ha già provveduto all' acquisto del terreno sul quale verrà edificata l' abitazione. (ANSA 28 APRILE).
COMMENTI_________________________________________________________________________________________ CORSA PER FERMARE IL TESTAMENTO-BOMBA DI OSAMA (di più) Il capo di Al Qaida avrebbe lasciato istruzioni: scatenare un sanguinoso attentato se fosse stato ucciso. Misure eccezionali in tutto il mondo. In Italia Maroni fa innalzare il livello di sicurezza. Timori per i siti cristiani. L’analisi di Gian Micalessin. (IL GIORNALE 4 MAGGIO DI GIAN MICALESSIN) L'INGUARIBILE MALATTIA DEL COMPLOTTO (di più) In Italia la notizia dell’uccisione di Osama bin Laden è stata accolta da molti con scetticismo o con il pregiudizio che la notizia sia falsa, oscura o perlomeno manipolata. Cambieranno gli scenari mondiali, ma noi non saremo stati in grado di capirle perché saremo rimasti fermi alle chiacchiere del bar. Di Mario Calabresi. (LA STAMPA 4 MAGGIO DI MARIO CALABRESI)
È MEGLIO NASCONDERE CHE ECCITARE (di più) Mostrare o non mostrare, questo è il problema. In compenso i fanatici di Bin Laden non verrebbero attraversati dal minimo dubbio e farebbero di quelle foto la loro Spoon River. No, meglio lasciar perdere. Di Massimo Gramellini. (LA STAMPA 4 MAGGIO DI MASSIMO GRAMELLINI) LA MORTE DI OSAMA NON CAMBIA NIENTE (di più) L'uccisione di bin Laden è un'ottima notizia sul fronte politico e del morale, ma ha pochi effetti strategici. Lo sceicco del terrore era da tempo fuori dalla cabina di comando. La decentralizzazione di al Qaida ha portato una dispersione della minaccia. È partita l'offensiva di primavera dei talebani. Di Massimo Amorosi. (LIMES 4 MAGGIO DI MASSIMO AMOROSI)
IL RUOLO AMBIGUO DEL PAKISTAN L'ALLEATO CON TROPPI INTERESSI (di più) La fine di Bin Laden rafforza nell'idea che il Pakistan resti uno dei luoghi più pericolosi del pianeta e Bin Laden è morto perché la maggioranza dei musulmani lo aveva, subito, rinnegato. Il commento di BernardHenry Lévy, 62 anni, è uno dei più noti filosofi francesi autore di reportage sui principali conflitti. CORRIERE DELLA SERA 4 MAGGIO DI HENRY LEVY BERNARD)
DOPO BIN LADEN - RUSHDIE. IL DOPPIO GIOCO DEL PAKISTAN NELLA NOTTE DI AL QAEDA (di più)
La morte del leader di Al Qaeda chiude un decennio di terrore iniziato con l'attacco alle Toni gemelle. E la primavera araba" smentisce la visione apocalittica dello scontro di civiltà. Il commento di Slaman Rushdie.
(LA REPUBBLICA 4 MAGGIO DI SALMAN RUSHDIE)
11 / 44 L'OPPORTUNITÀ PER OBAMA: SFRUTTARE IL PRESTIGIO A KABUL (di più) L'opportunità per Obama: sfruttare il prestigio a Kabul. L’analisi di Robert D. Kaplan. (CORRIERE DELLA SERA 4 MAGGIO DI DI KAPLAN ROBERT_D.)
IL CONFLITTO TRA CIVILTÀ S'ALLONTANA (di più) Superata l'emozione del primo momento, s'affaccia subito la necessità di riflettere su ciò è accaduto, di intuire le conseguenze della morte di Osama ben Laden per il mondo islamico. Abbandonare ora l’Afghanistan acquista un significato nuovo. (IL MATTINO 4 MAGGIO DI ENNIO DI NOLFO) MA L'AMERICA RESTA NEL SUO LABIRINTO (di più) La morte di Osama Bin Laden avrebbe dovuto idealmente coronare la vittoria degli Stati Uniti nella guerra al terrorismo. Rischia invece di marcarne un altro passo verso la sconfitta. Se un giorno i terroristi islamici saranno definitivamente sconfitti lo dovremo agli stessi musulmani. Il commento di Lucio Caracciolo di Limes. (LA REPUBBLICA 4 MAGGIO DI LUCIO CARACCIOLO)
BIN LADEN MORTO, I DUBBI DEI SOLITI DUBBIOSI (NON TUTTI COMPLOTTISTI) E QUELLI DEL WASHINGTON POST (di più) Adesso l’amministrazione americana sta valutando se diffondere almeno una foto del corpo di bin Laden ucciso, forse addirittura un video, E non lo catturavano finché bisognava continuare la guerra in Medio Oriente e in Asia centrale. Oggi la strategia è cambiata. Una raccolta di opinioni nel blog su La Stampa di Maria Grazia Bruzzone (LA STAMPA.IT 4 MAGGIO RUBRICA “UNDERBLOG” DI MARIA GRAZIA BRUZZONE) LE RIVOLTE ARABE ERANO ANCHE CONTRO DI LUI (di più) L’uccisione di Osama Bin Laden e le rivolte delle strade arabe riscrivono il futuro del Medio Oriente. La morte di Bin Laden è la prova provata che la sua ricetta di sangue ed odio per i giovani arabi non ha funzionato. Il commento di Lucia Annunziata. (LA STAMPA 3 MAGGIO DI LUCIA ANNUNZIATA) SOLLIEVO E SPERANZA (di più) La soddisfazione del presidente Usa e dei suoi connazionali per la morte di Osama Bin Laden sono comprensibili. In ultima analisi il fatto più positivo, nella lotta contro il terrorismo islamista, non è la morte di Bin Laden, ma l'apparizione nelle piazze arabe di un popolo nuovo, composto da giovani. Il commento di Sergio Romano. (CORRIERE DELLA SERA 3 MAGGIO DI SERGIO ROMANO) PROCESSARE OSAMA BIN LADEN UN'OCCASIONE (MANCATA) DI FORZA (di più) E' giusto festeggiare la morte di un uomo, per quanto abietto? Ricordare l'esistenza di un'altra via - la cattura, il processo, la condanna, l'espiazione della pena - non significa abbandonarsi a facili umanitarismi. Significa ribadire la superiorità del diritto e della democrazia sul terrore e sul dispotismo. Di Aldo Cazzullo. (CORRIERE DELLA SERA 3 MAGGIO DI ALDO CAZZULLO)
OSAMA-GERONIMO, UN PARALLELO SBAGLIATO (di più) La scelta del nome in codice per Osama non è stata troppo felice. Lo hanno ribattezzato «Geronimo», come il famoso capo degli Apaches. E non è solo questione di essere politicamente corretti. Il Pentagono ha dimenticato che anche i nativi americani hanno partecipato alla caccia a Bin Laden. DI Guido Olimpio. (CORRIERE DELLA SERA 3 MAGGIO DI GUIDO OLIMPIO)
BIN LADEN, MASSIMO FINI: "LEGITTIMO UCCIDERLO SAREBBE STATO ASSURDO METTERLO ALLA SBARRA" (di più) Massimo Fini è stato definito “tenero” con il Mullah Omaro. Ma sullo "sceicco del terrore" la pensa in un altro modo. A questo punto, dice Fini in un’intervista di Francesco Maria del Vigo “la guerra in Afganistan non ha più alcun senso. Tutto questo potrebbe provocare la reazione dei fondamentalisti". (IL GIORNALE.IT 3 MAGGIO DI DI FRANCESCO MARIA DEL VIGO).
E ADESSO IL PAKISTAN DEVE DIRE CON CHI STA (di più) Adesso il Pakistan deve chiarire, i suoi rapporti con Al Qaida e Osama Bin Laden. Sia che si tratti, e lo speriamo, di una trama oscura ordita da un intelligence deviata, sia che si tratti di un cancro diffuso fino ai vertici di quell'apparato militare. Il commento di Gian Micalessin. (IL GIORNALE 3 MAGGIO DI GIAN MICALESSIN)
12 / 44 OSAMA ASSASSINO E POETA (di più) “Le nostre donne piangono solo i guerrieri per la causa di Allah. Lasciatemi morire con dignità. Onorevole morte è meglio di questa mia vita”. Il suo testamento, Osama Bin Laden, lo aveva affidato ai versi. Una poesia scritta nel 1996, mentre dichiarava guerra agli Stati Uniti. Il commento di Maurizio Piccirilli. (IL TEMPO 3 MAGGIO DI MAURIZIO PICCIRILLI)
OBAMA, LO SCERIFFO COL NOBEL CHE HA FINITO IL LAVORO DI BUSH (di più) Chissà quanto avrebbe pagato George W.Bush, che dopo l'11 settembre aveva fatto della lotta al terrorismo la sua missione, per potere dare al mondo l'annuncio dell'uccisione di Bin Laden. Invece, l'onore è toccato al suo successore Barack Obama. Di Livio Caputo. (IL GIORNALE.IT 3 MAGGIO DI LIVIO CAPUTO) UNA CACCIA DA 1.300 MILIARDI DI DOLLARI (di più) Ora che Osama Bin Laden è stato eliminato, una delle domande che sorge spontanea è: quanto è costata al mondo la sua minaccia? 1.300 miliardi di dollari sono quelli posti ufficialmente a bilancio dal Pentagono. Il commento di Paolo Migliavacca. (IL SOLE 24 ORE 3 MAGGIO DI PAOLO MIGLIAVACCA) BIN LADEN: ANALISTA RASHID,ALTO RISCHIO ATTENTATI (di più) “Tutti sapevano che Bin Laden era in Pakistan, tranne le autorità pachistane che negavano''. Ma certo è una sorpresa che si trovasse proprio in un posto come Abbotabad, ''una città militare dove l'esercito ha il controllo di tutto''. E' l'opinione espressa alla Bbc dal giornalista e analista pachistano Ahmed Rashid. (ANSA 2 MAGGIO)
OSAMA UCCISO DAL PATTO USA-PAKISTAN SUL FUTURO DI KABUL (di più) È probabile che l'operazione che ha portato all'eliminazione di bin Laden sia il frutto di un accordo tra Washington e Islamabad riguardo al futuro dell'Afghanistan. Osama vivo avrebbe messo in difficoltà i suoi ex-amici. Il commento di Germano Dottori. (LIMES 2 MAGGIO DI GERMANO DOTTORI) BIN LADEN: IL PERICOLO DA MORTO (di più) Al Qaeda non muore con Bin Laden. Anche da morto potrebbe restare un pericoloso simbolo di violenza e destabilizzazione. Forse ancora più pericoloso di prima. L’opinione di Lorenzo Cremonesi. (CORRIERE.IT) (CORRIERE.IT 2 MAGGIO DI LORENZO CREMONESI)
CHE COSA CAMBIA CON LA MORTE DI BIN LADEN (di più) Cambierà qualcosa, con la morte di Osama Bin Laden? Probabilmente no. Un effetto che molti paventano è la già dichiarata volontà di vendetta degli integralisti islamici e dei terroristi in generale. L’opinione di Gianni Pardo. (AFFARITALIANI.IT 2 MAGGIO DI GIANNI PARDO) AFGHANISTAN: STRADA VERSO IL NULLA A SPESE USA (di più) L'autostrada Gardez-Khost deve ancora essere completata ed è già costata 121 milioni di dollari. I costi sono già aumentati del 100 per cento per una strada che non è mai stato certo che gli afgani volessero. Il commento di Francesca Piras. (AMERICA 24.IT 1 MAGGIO DI FRANCESCA PIRAS) DOPO TRIPOLI IL “PEACEKEEPING” DI QUEST’ANNO COSTA DUE MILIARDI (di più) Le missioni all'estero che hanno superato il miliardo e mezzo all'anno, assorbito per metà dal contingente in Afghanistan che in dieci anni è costato 3,4 miliardi. Il commento di Gianandrea Gaiani anche alla luce del conflitto in Libia. (IL SOLE 24 ORE 29 APRILE DI GIANANDREA GAIANI)
TOP NEWS (DI PIU’)______________________________________________________________ AFGHANISTAN: DOPO MORTE OSAMA USA VOGLIONO NEGOZIARE CON TALEBANI L’uccisione di Osama Bin Laden apre per gli Stati Uniti nuove prospettive per mettere fine alla guerra in Afghanistan. L'Amministrazione Obama, scrive il Washington Post, che cita funzionari Usa coinvolti nelle questioni afghane, sta studiando il modo di sfruttare l'eliminazione del leader di Al Qaeda per accelerare un accordo negoziale con i talebani e l'uscita dal conflitto. Innanzitutto, i funzionari dell'Amministrazione Obama ritengono che ora sarà più facile per il Mullah Omar, storico leader talebano a capo della fazione più influente degli studenti coranici, rompere l'alleanza con Al Qaeda, uno dei requisiti principali chiesti dagli Stati Uniti per avviare qualsiasi trattativa di pace. Inoltre, si ritiene che la morte di Bin Laden possa rendere più accettabile, agli occhi dell'opinione pubblica americana la prospettiva di colloqui di pace con i talebani, mettendo al riparo
13 / 44 il presidente Obama dai critici che lo accuserebbero di negoziare con i terroristi. Chiedendo di mantenere l'anonimato, come le altre fonti interne citate dal Washington Post, un funzionario di alto livello dell'Amministrazione spiega che, "la morte di Bin Laden cambia ogni cosa, e' l'inizio della fine del nostro coinvolgimento in Afghanistan". Un suo collega ritiene che l'uccisione del capo di Al Qaeda "presenta un'opportunità per la riconciliazione che prima non esisteva". Entrambi i funzionari, sono stati impegnati negli ultimi due giorni in serrate discussioni e riunioni strategiche su come sfruttare la morte di Bin Laden per avviare colloqui di pace. Tuttavia, i funzionari Usa sono consapevoli delle difficoltà nel portare al tavolo di pace le varie fazioni talebane, proprio per l'assenza di interlocutori identificabili. Gli sforzi dell'Amministrazione Usa, inoltre, dipendono anche dal ruolo del presidente afghano Hamid Karzai, al quale spetterebbe la conduzione del processo di pace e da quello del Pakistan, i cui servizi di intelligence potrebbero interferire nelle trattative. Uno dei due funzionari citati dal Washington Post, ammette: "sappiamo dove vogliamo andare, ma arrivarci non sarà facile". Segnali della volontà americana di puntare maggiormente sugli sforzi diplomatici, si erano avuti già a febbraio, quando il segretario di Stato, Hillary Clinton, parlando degli sforzi dell'Amministrazione per incoraggiare il processo di riconciliazione in Afghanistan, aveva spiegato che la rinuncia della violenza da parte dei talebani, la rottura dell'alleanza con Al Qaeda e il riconoscimento della Costituzione afghana non erano più delle precondizioni per il dialogo, ma sarebbero state "il risultato necessario di qualsiasi negoziato". Un altro segnale e' giunto ieri dall'incontro a Islamabad dell'inviato americano nella regione, Marc Grossman, con il segretario agli Esteri pakistano e il vice ministro degli Esteri afghano. Al termine della riunione, un comunicato riportava che era stato raggiunto un accordo per la costituzione di "un gruppo di lavoro per promuovere e facilitare il processo di riconciliazione in Afghanistan". (ADNKRONOS 4 MAGGIO) MILLE ORE DI VOLO PER GLI ELICOTTERI ITALIANI AB 205 Gli elicotteri AB 205 dell’Esercito Italiano hanno raggiunto l’ambito traguardo delle mille ore di volo nei cieli afgani. Il traguardo è stato conseguito grazie all’impegno costante e alla preparazione dei piloti e degli equipaggi che, nonostante le elevate altitudini e temperature alle quali operano giornalmente in Afghanistan, continuano a fornire il loro supporto nel garantire sicurezza alle operazioni militari di terra e osservazione. L’AB 205 è impegnato in Afghanistan dal 6 luglio 2010. (ITALFOR KABUL E RC-W 4 MAGGIO) LA JULIA A UDINE: IL COMANDANTE CHIAMA I CADUTI, GLI ALPINI RISPONDONO "PRESENTE" Eccoli gli alpini di ritorno dall’Afghanistan. Eccoli marciare con il passo sicuro e lo sguardo fiero sotto il cappello. Nei loro occhi leggi una vertigine di emozioni, grandi come la vita e la morte. Ecco le bandiere di guerra dei reggimenti. Ecco l’8° di Cividale-Venzone, la leggenda vivente della storia alpina, che ha allargato la bolla di sicurezza di Bala Murghab, facendo ritornare alle loro case 10 mila abitanti e consentendo l’avvio sicuro della rinascita civile. Ecco il 5° di Vipiteno, erede dei mitici battaglioni Edolo e Morbegno, che ha iniziato un’opera fondamentale per la sicurezza del Gulistan. Ecco il 7° di Belluno che porta le tradizioni della divisione Cadore e che nel sud ha preso in consegna un territorio estremamente difficile, ristabilendo le condizioni minime di sicurezza. Ecco il 3° artiglieria da montagna, di Tolmezzo, che ha portato il Prt di Herat a diventare un modello per tutto il contingente Isaf. Ecco il 2° guastatori di Trento, uomini che hanno garantito la sicurezza dagli esplosivi improvvisati, i famigerati Ied, e sono intervenuti ovunque ci fossero ordigni da disinnescare. Ecco i lagunari del "Serenissima", eredi dei "fanti da mar" della Repubblica di Venezia, che si sono integrati splendidamente nella Julia compiendo un eccellente lavoro nella difficile provincia di Farah. Sfilano orgogliosi, le mimetiche scolorite dalla polvere, dal sole afghano e dai lavaggi industriali, con in testa la fanfara della Julia e dietro i labari dell’Ana, la cui sezione di Udine ha aperto le celebrazioni per i 90 anni dalla fondazione. Sfilano a passo di marcia, questi uomini e donne con la penna nera, dopo aver passato sei mesi a "passo di leopardo", nell’impervio Afghanistan. Sopra di loro non ci sono più i Mangusta, i Black Hawk, gli Amx e i Predator a vegliare sulle pattuglie e le scorte, ma invisibili marciano con loro Luca Sanna, Massimo Ranzani, Matteo Miotto, Gianmarco Manca, Francesco Vannozzi, Sebastiano Ville e Marco Pedone. I caduti della Julia in Afghanistan che ora fanno parte della "divisione del general Cantore", in cielo. Li chiamerà ancora, a uno a uno, il generale Marcello Bellacicco, comandante del contingente italiano a Herat e della Julia, sentendosi rispondere "presente" da tutti gli altri alpini e dimostrando ancora una volta la coesione, la fermezza, le capacità professionali e umane che hanno permesso alla Julia e agli altri assetti militari (trasmissioni, elicotteristi, aeronautica, marina, carabinieri, guardia di finanza) di svolgere un lavoro giudicato straordinario dal comandante supremo di Isaf, David Petraeus, meritandosi l’ammirazione, gli elogi e la stima (oltre che l’affetto) delle autorità politiche e militari afghane e soprattutto della popolazione. Grandi uomini e un grande comandante, il generale Marcello Bellacicco, salutato da un lungo e intenso applauso da tutta la cittadinanza quando è stato citato e lodato dal comandante di Stato maggiore dell’Esercito, Giuseppe Valotto. Il generale, che in Friuli ha svolto i primi
14 / 44 comandi della sua lunga e prestigiosa carriera militare, ha ribadito il legame che gli alpini e l’esercito in generale hanno nel territorio, ringraziando le famiglie, le comunità, gli enti, le istituzioni e l’Ana che non hanno mai fatto mancare solidarietà e sostegno ai militari impegnati nella missione. Una cerimonia formale nell’aspetto, quella del rientro della Julia, ma intensa e partecipata nell’emozione. Al generale Bellacicco tremava la voce "chiamando" i suoi alpini caduti e ricordando il modo in cui uomini e donne del contingente hanno interpretato la loro missione, con professionalità, saldezza di nervi e sensibilità umana. Anche il sindaco di Udine, Furio Honsell, appariva commosso nel pronunciare il suo breve e intenso discorso, così come il presidente della giunta regionale, Renzo Tondo, leggendo il suo intervento. In tribuna d’onore i sindaci che ospitano i reparti della Julia o ne sono legati da vari vincoli, le massime autorità militari, una schiera di parlamentari, europarlamentari e politici, e tre ex recenti comandanti della Julia, i generali Alberto Primicerj, comandante delle Truppe alpine, Claudio Mora, comandante del 1°Fod, Paolo Serra del comando nato in Italia. Anche loro hanno guidato questi uomini in missioni all’estero, dal Kosovo all’Afghanistan e non sono riusciti a nascondere il loro orgoglio. (IL GAZZETTINO 3 MAGGIO DI UMBERTO SARCINELLI) BIN LADEN: GROSSMAN A KABUL,USA NON VOGLIONO BASI PERMANENTI Gli Stati Uniti non hanno intenzione di ottenere basi permanenti in Afghanistan e quindi i paesi vicini non devono avere timori in questo senso. Lo ha assicurato oggi l'inviato speciale americano nella regione, Marc Grossman. In una conferenza stampa insieme all'ambasciatore americano Karl Eikenberry oggi a Kabul, dove si trova prima di trasferirsi domani a Islamabad, Grossman ha ammesso che Stati Uniti e Afghanistan stanno effettivamente lavorando ad un accordo strategico bilaterale. ''Ma questo - ha proseguito - non deve essere fonte di preoccupazione per i vicini dell'Afghanistan, come Pakistan, Iran, Russia e India''. Il nostro obiettivo, ha assicurato, ''è operare per la pace e la stabilità della regione'' anche dopo il completamento del ritiro del contingente militare all'orizzonte 2014. (ANSA 2 MAGGIO) AFGHANISTAN: LA RUSSA, NOSTRI AMX PREZIOSI CONTRO ATTENTATI Gli Amx italiani impegnati in Afghanistan hanno consentito di individuare terroristi che stavano preparando attentati contro i nostri militari o mettendo bombe lungo i percorsi seguiti dai mezzi blindati. Lo ha reso noto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, al termine della sua visita alla base aerea di Istrana, sede del 51/o Stormo, prima tappa di un tour che lo porterà la prossima settimana nelle basi di Trapani e Sigonella ''per rendermi conto di persona, per toccare con mano - ha spiegato - il tipo di impiego che la nostra Aeronautica e' chiamata a svolgere nelle varie missioni''. Il ministro ha così spiegato di aver assistito durante il sopralluogo ad Istrana ad un video in cui si documenta come “i nostri aerei abbiano concretamente individuato persone che stavano preparando agguati ai nostri militari o stavano mettendo bombe sui percorsi che avrebbero fatto i nostri mezzi”. “Il loro apporto - ha concluso - è stato prezioso nella lotta contro il terrorismo e nel salvare vite umane. A volte non e' molto chiaro a tutti quanto siano meritevoli di gratitudine questi ragazzi che dall'alto, con grande impegno, svolgono il loro lavoro”. (ANSA 2 MAGGIO). AFGHANISTAN: SCONTRO A FUOCO,UCCISO RIBELLE IN AREA ITALIANI Un 'ribelle' è stato ucciso nell' ovest dell'Afghanistan, sotto il controllo dei militari italiani, durante un'operazione congiunta tra soldati afghani e della Nato finalizzata a catturare un leader talebano. Lo rende noto la missione Isaf, senza specificare la nazionalità dei militari della Nato coinvolti nell'operazione, durante la quale c'è stato un conflitto a fuoco che ha portato anche alla cattura di due sospetti terroristi. I fatti si sono verificati ieri in un villaggio del distretto di Murghab, nella provincia occidentale di Badghis, dove secondo rapporti di intelligence - si sarebbe rifugiato un importante capo talebano accusato in particolare di aver reclutato combattenti stranieri. I militari Nato ed afgani, mentre si accingevano ad entrare in un edificio, sono stati presi di mira da un uomo armato: hanno risposto al fuoco e l' 'insurgent' è stato ucciso, mentre altri due sospetti sono stati fermati in un secondo momento per ulteriori accertamenti. (ANSA 2 MAGGIO). AFGHANISTAN: UN KAMIKAZE DI DODICI ANNI FA STRAGE AL MERCATO E' di undici morti e 33 feriti il primo bilancio oggi dell'offensiva di primavera dei talebani in Afghanistan che hanno attaccato in cinque province, utilizzando kamikaze, ordigni esplosivi (ied) o scontrandosi con armi automatiche con le forze di sicurezza nazionali e internazionali. L'attentato più grave è stato nella provincia sud-orientale di Paktika dove un kamikaze di 12 anni si è fatto esplodere nel mercato di Ashkin (distretto di Barmal) uccidendo quattro persone, fra cui il capo del distretto e ferendone altre 12. L'offensiva lanciata dai talebani, denominata Badar in ricordo della prima battaglia dei musulmani contro ''le forze del male'', è stata annunciata con un comunicato ufficiale dal Consiglio direttivo dell'Emirato islamico dell'Afghanistan. La Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama) ha chiesto alle parti di tenere i civili fuori dalla recrudescenza del conflitto. Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid ha condiviso l'appello dell'Onu,
15 / 44 anche se molte delle vittime sono proprio civili, Oltre all'attentato di Paktika, tre ragazze sono morte e la madre ed un fratello sono rimasti feriti quando un razzo ha colpito la loro casa nella provincia di Logar, mentre un attentato con una bicicletta bomba vicino al quartier generale della polizia nel capoluogo della provincia meridionale di Ghazni, ha causato 13 feriti. In due diversi attacchi, si è inoltre appreso, un soldato ed un agente di polizia sono stati uccisi nella provincia di Kandahar, in azioni che hanno portato anche al ferimento di quattro altre persone, fra cui tre agenti, Infine, un ordigno esplosivo ha ucciso due agenti e ne ha ferito un terzo nel distretto di Shindan della provincia occidentale di Herat. (ANSA 1 MAGGIO). AFGHANISTAN: TALEBANI LANCIANO CAMPAGNA DI PRIMAVERA A quattro mesi da un probabile inizio del ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan, i talebani hanno annunciato l'avvio, a partire da domani, di una nuova campagna militare di primavera denominata 'Badar', dall'arabo Badr, che si ispira alla prima vittoriosa battaglia di uno sparuto gruppo di difensori dell'Islam nel 624, con Maometto ancora vivo, contro ''le forze del male''. In un comunicato firmato dal Consiglio direttivo dell'Emirato islamico dell'Afghanistan e pubblicato nella loro pagina internet, gli insorti materializzano le anticipazioni venute da più parti e formulate anche dalla Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato), e precisano che l'offensiva sarà diretta contro ''gli Americani invasori e i loro alleati stranieri e sostenitori interni''. La mossa dei talebani, che chiude alcune settimane di attentati e attacchi suicidi in varie parti del paese, segue di appena tre giorni importanti decisioni prese per quanto riguarda l'Afghanistan dal presidente Barack Obama. Dopo aver nominato il veterano diplomatico Marc Grossman inviato speciale per questo paese, il capo dello Stato ha disposto un avvicendamento anche ai vertici dell'Isaf forti di 130.000 uomini (il generale John Allen sostituirà il collega David Petraeus trasferito alla direzione della Cia). E per completare il quadro Obama ha anche disposto la nomina all'ambasciata americana a Kabul, al posto dell'uscente Karl Eikenberry, dell'espertissimo Ryan Crocker, che fa così il suo ritorno in politica dopo lusinghiere passate esperienze irachene, pachistane e afghane. Il documento dei talebani, composto da un prologo e nove punti, indica anche che, come altre in passato, ''l'Operazione Badar si concentrerà su attacchi contro i centri militari, i luoghi di riunione, le basi aeree, i convogli di trasporto logistico di armi e munizioni degli invasori stranieri in ogni parte del paese''. Inoltre, ''obiettivo fondamentale degli attacchi dei mujaheddin restano le forze degli invasori, i membri delle reti di spionaggio, alti responsabili dell'amministrazione fantoccio di Kabul, sia militari che civili, membri di governo e Parlamento, responsabili di compagnie straniere e locali legate al nemico, e i contractor''. Il Consiglio presieduto dal mullah Omar sostiene quindi che, ''dato il loro atteggiamento conciliante verso gli invasori, anche i membri dell'Alto Consiglio per la Pace (istituito lo scorso anno dal presidente Hamid Karzai) possono essere oggetto degli attacchi militari''. Detto questo, i responsabili talebani raccomandano ''di porre la massima attenzione alla protezione e sicurezza dei civili durante lo sviluppo di tattiche militari che in questo ambito devono essere meticolose''. Reagendo a questo annuncio, una fonte della Nato a Bruxelles che ha chiesto di non essere identificata, ha detto oggi che ''esso e' un'ulteriore prova dell'indebolimento degli insorti, che cercano di nascondere con i proclami il ridimensionamento subito nell'ultimo anno grazie al 'surge' della Nato''. (ANSA 30 APRILE).
AFGHANISTAN: GEN.VALOTTO ALLA JULIA, SIETE STATI BRAVISSIMI “Siete stati bravissimi, bravissimi, bravissimi''. Così il Capo di stato maggiore dell'Esercito, generale Giuseppe Valotto, ha saluto oggi a Udine il rientro ufficiale della Brigata Alpina 'Julia' dalla missione in Afghanistan. Una missione ''difficile, ma di grandi risultati'', ha detto Valotto davanti allo schieramento dei reparti e alle bandiere di guerra dei cinque Reggimenti della Brigata e del Reggimento Lagunari 'Serenissima', che è stato impegnato a fianco della 'Julia' nella missione Isaf nell'area di Herat. Il Capo di stato maggiore dell'Esercito ha rimarcato l'importanza della professionalità raggiunta dai soldati italiani. ''Per aver successo - ha detto Valotto - bisogna saper entrare nella fiducia e nel cuore della popolazione; e la Julia e' riuscita a farlo in maniera esemplare''. Anche il comandante della 'Julia', generale Marcello Bellacicco, ha posto l'accento sull'importanza della professionalità del personale militare. ''Grazie alla eccezionale preparazione del personale - ha detto Bellacicco - si è potuto operare ogni in maniera esemplare anche nelle situazioni piu' difficili, uomini che non si sono mai tirati indietro''. E momenti di commozione hanno caratterizzato il ricordo dei caduti, di coloro che - ha detto Bellacicco - ''sono andati avanti''. Nel corso della cerimonia, che si è svolta nel centro cittadino con la partecipazione di centinaia di persone, il generale Valotto ha anche consegnato la croce d'argento al merito dell'Esercito alla bandiera di guerra del reggimento Lagunari 'Serenissima', per l'impegno nelle operazione in Libano, e al maggiore Nicola Piasente, del 4/o Reggimento Alpini paracadutisti, per il comando di un'importante operazione in Afghanistan che aveva permesso di trovare un deposito di armi e munizioni. A portare il saluto alla 'Julia' sono intervenuti anche il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, il sindaco di Udine, Furio Honsell. (ANSA 29 APRILE).
16 / 44 AFGHANISTAN: PENTAGONO, PROGRESSI TANGIBILI MA FRAGILI L'aumento delle truppe della coalizione ha consentito progressi ''tangibili'' sul fronte di guerra in Afghanistan ma tali progressi sono ''fragili e reversibili''. Lo afferma un rapporto pubblicato oggi dal Pentagono sulla situazione in Afghanistan. ''L'aumento delle forze e l'aumento delle nostre operazioni ha consentito alla coalizione di colpire e ridurre la capacità dei talebani portando ad una marcata diminuzione della loro influenza in aree chiavi dell'Afghanistan'', sostiene il documento. Il Pentagono ammonisce che ''duri combattimenti'' sono prevedibili nei prossimi mesi del 2011 quando i talebani cercheranno di adattare le loro tecniche alle nuove strategie messe in atto dalle forze della coalizione, cercando di riconquistare il controllo delle aree perdute nel 2010 specie nel sud del paese. Le forze afghane sono rafforzate e migliorate ma sono ancora troppo dipendenti dalle forze della coalizione nei settori delle operazioni e della logistica, afferma il rapporto del Pentagono. Gli sforzi degli insorti di incrementare le loro operazioni nel nord dell'Afghanistan hanno avuto ''effetti limitati'', afferma il documento. Il rapporto ammonisce che i problemi esistenti in Afghanistan sul fronte politico, soprattutto sul fronte della governabilità del Paese, rischiano di mettere a repentaglio i progressi fin qui raggiunti sul fronte della sicurezza del paese. (ANSA 29 APRILE). USA: OBAMA NOMINA NUOVA SQUADRA SICUREZZA Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha formalizzato oggi le nomine ai vertici del Consiglio di sicurezza degli Stati Uniti. A partire dal prossimo 1 luglio il nuovo ministro della Difesa sarà l'attuale direttore della Cia, Leon Panetta, che subentrerà nell'incarico al segretario Robert Gates. Panetta sarà rimpiazzato alla Cia dal generale David Petraeus, attuale comandante delle forze impegnate in Afghanistan, il quale sarà a sua volta sostituito nel comando delle operazioni in Afghanistan dal suo attuale vice, il generale John Allen. Obama ha anche nominato come nuovo rappresentante diplomatico in Afghanistan l'ambasciatore Ryan Crocker, che ha già prestato servizio in Libano, Kuwait, Siria, Pakistan e Iraq. Il presidente americano, che a settembre dovrà nominare anche il successore dell'attuale capo degli Stati Maggiori Congiunti, ammiraglio Mike Mullen, ha sottolineato che le nuove nomine sono tutte ''nel segno della continuità''. ''Siamo ancora un Paese in guerra - ha ricordato Obama - e il mio impegno primario è mantenere gli Stati Uniti forti e sicuri''. ''Nessun taglio alla spesa pubblica per ridurre il deficit potrà mai indebolire la sicurezza del nostro Paese'' ha aggiunto. Le nuove nomine dovranno ora ricevere l'approvazione del Senato per essere effettive. (ANSA 28 APRILE).
AFGHANISTAN: LA RUSSA,IMPEGNO NOSTRI GIOVANI VALE MOLTISSIMO Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa e il presidente della Provincia di Salerno, Edmondo Cirielli, hanno inaugurato oggi viale Massimiliano Randino, la strada provinciale alternativa alla strada Statale 18 - I lotto di collegamento Cava dei Tirreni - Nocera Superiore, che è stata intitolata al caporal maggiore capo della brigata paracadutisti 'Folgore', ucciso in Afghanistan il 17 settembre 2009. ''La comunità locale e nazionale ha detto La Russa come sottolinea una nota della Provincia di Salerno - non dimenticano e non dimenticheranno il sacrificio di un giovane morto mentre serviva l'Italia. L'intitolazione di una strada in sua memoria assume un significato simbolico: la via della dedizione e dell'assunzione delle proprie responsabilità. I nostri giovani militari impegnati in missioni di pace operano per la stabilità e la sicurezza del nostro Paese più di mille ministri e mille governanti''. ''La tragica morte di Massimiliano, ragazzo onorato e orgoglioso di servire la Patria, non sarà dimenticata dalla nostra comunità - ha aggiunto Cirielli - l'opera a lui intitolata è il segno tangibile del ricordo perenne di un giovane, come tanti, che aveva scelto una vita diversa ed è caduto in una missione di pace''. La cerimonia si è aperta con uno schieramento del Reggimento Cavalleggeri ''Guide'' (19ø) di Salerno che ha reso gli onori con la Fanfara della Brigata ''Bersaglieri'' Garibaldi. Al taglio del nastro nella frazione di S. Lucia a Cava dei Tirreni erano presenti, oltre ai familiari di Massimiliano Randino, numerose autorità civili e militari della provincia di Salerno. Il tratto inaugurato collega la strada provinciale 360 (via Cesaro di Cava deo Tirreni) con la strada provinciale 4 (via Libertà di Nocera Superiore). (ANSA 28
APRILE).
AFGHANISTAN: W.POST, PAKISTAN CHIEDE A KABUL DI DISTANZIARSI DA USA Il Pakistan chiede all'Afghanistan di distanziarsi dagli Stati Uniti. Lo sostiene oggi il Washington Post, spiegando che questo è stato il messaggio portato dal primo ministro pachistano Yousaf Reza Gillani durante il suo recente incontro con il presidente afghano Hamid Karzai a kabul. In pubblico i due leader hanno parlato della loro amicizia, ma in privato Gillani ha proposto a Karzai di "distanziarsi dagli Stati Uniti e cercare nuovi alleati, in particolare la Cina", hanno riferito funzionari afghani informati dei fatti. Secondo un documento pachistano, che Gillani ha letto a Karzai, "la strategia militare americana non ha prospettive di successo" e gli afghani dovrebbero evitare ogni accordo a lungo termine per la presenza di basi americane sul loro territorio. Gillani era accompagnato dal capo delle forze armate, generale Ashfaq Kayani, e dal
17 / 44 direttore dei potenti servizi militari dell'Isi, generale Ahmad Shuja Pasha, i quali hanno mostrato di condividere il suo messaggio. "Per quanto il Pakistan sia un alleato americano -nota il Post- gli alti funzionari pachistani mostrano da lungo tempo il loro profondo disprezzo verso la politica americana nella regione", se le indiscrezioni sui colloqui Karzai-Gilalni verranno confermate, "si tratterà di uno dei più chiari segnali che il Pakistan si sta allontanando dalla sua partership con gli stati Uniti". (ADNKRONOS 28 APRILE)
FOCUS (DI PIU’)________________________________________________________________________________ BIN LADEN: RASMUSSEN, STRATEGIA NATO IN AFGHANISTAN NON CAMBIA La strategia della Nato in Afghanistan "non cambierà" in quanto "sono chiare" le ragioni della missione. Lo ha dichiarato il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen, a proposito dell'uccisione del leader di Al Qaeda, Osama bin Laden. "Bisogna coinvolgere positivamente il Pakistan per assicurare una soluzione di lungo termine al conflitto in Afghanistan - ha sostenuto Rasmussen in una conferenza stampa a Bruxelles - e questa e' la ragione per cui investiamo i nostri sforzi nella partnership con il Pakistan. Gli eventi recenti non cambiano la nostra strategia". Anzi, a detta del numero uno dell'Alleanza atlantica, quanto accaduto tre giorni fa ad Abbottabad, "dimostra l'importanza di coinvolgere il Pakistan, dobbiamo proseguire lungo questo percorso per rafforzare i legami" con Islamabad. "E' evidente che ci sono problemi di sicurezza - ha poi sottolineato Rasmussen - Noi abbiamo incoraggiato le autorità pachistane a rafforzare la lotta contro i terroristi e gli estremisti nelle regioni di frontiera con l'Afghanistan, abbiamo visto dei progressi, penso che ci sia il potenziale per farne di altri". Ma perché ciò avvenga, ha avvertito il segretario generale della Nato, "bisogna collaborare attivamente con il governo e con i militari pachistani per intensificare questi sforzi nella lotta contro i terroristi". "Comprendo bene le questioni poste - ha chiosato Rasmussen, riferendosi alle accuse mosse a Islamabad di non fare abbastanza nella lotta al terrorismo a dispetto dei miliardi di dollari ricevuti dall'Occidente - ma la mia conclusione è molto chiara: bisogna migliorare e rafforzare i legami con il Pakistan". (ADNKRONOS 4 MAGGIO) BIN LADEN:TALEBANI AFGHANI, CREATA UNITÀ SPECIALE PER VENDICARLO I talebani afghani hanno fatto sapere di aver creato una "speciale unità per vendicare il martirio dello Sceicco Osama Bin Laden". A comunicarlo è stato, secondo quanto riferito da Al Jazira, Dawran Safi, capo dei talebani nell'est Afghanistan. "Abbiamo creato una speciale unità per vendicare il martirio dello Sceicco Osama Bin Laden. Lo vendicheremo e seguiremo le sue orme, proseguendo il jihad contro le forze straniere", ha annunciato. Finora i talebani si erano trincerati dietro un secco 'no comment', sostenendo che gli Usa non avessero fornito alcuna prova concreta sulla morte del superterrorista. (AGI 4 MAGGIO) BIN LADEN/ FONTI PAKISTAN: PER LA FIGLIA PRESO VIVO E POI UCCISO Osama bin Laden sarebbe stato preso vivo dalle forze speciali americane, e ucciso solo in un secondo momento, sempre nei primi minuti del raid. A sostenerlo, secondo quanto scrive sul suo sito online l'emittente satellitare Al Arabiya, sarebbe la figlia dello sceicco del terrore, catturata assieme ad altri familiari di bin Laden durante il raid alla villa fortificata vicino Islamabad. Al Arabiya cita "alte fonti della sicurezza pachistana" che hanno preso in custodia i familiari arrestati, ora ospitati nell'ospedale militare di Rawalpindi. Osama bin Laden sarebbe stato preso vivo dalle forze speciali americane, e ucciso solo in un secondo momento, sempre nei primi minuti del raid. A sostenerlo, secondo quanto scrive sul suo sito online l'emittente satellitare Al Arabiya, sarebbe la figlia dello sceicco del terrore, catturata assieme ad altri familiari di bin Laden durante il raid alla villa fortificata vicino Islamabad. Al Arabiya cita "alti ufficiali della sicurezza pachistana" che hanno preso in custodia i familiari arrestati, ora ospitati nell'ospedale militare di Rawalpindi. Stando alla ricostruzione di Al Arabiya basata su fonti pachistane, non soltanto Osama non era armato circostanza già riconosciuta ieri dalla Casa Bianca - ma i suoi uomini non avrebbero sparato contro gli elicotteri o i commando americani. Washington invece ha parlato di resistenza di bin Laden e delle sue guardie durante tutta l'operazione. "Non un solo proiettile è stato sparato dal compound agli elicotteri e alle forze Usa", ha detto una "fonte ben informata" pachistana ad Al Arabiya, precisando che l'avaria di uno degli elicotteri Usa sarebbe stata di natura tecnica. Inoltre, le fonti hanno indicato che all'interno della villa, nonostante i muri di recinzione esterna alti più di tre metri, "non c'era nessun bunker né tunnel". Sempre secondo fonti locali citate da Al Arabiya, le teste di cuoio Usa avrebbero trasportato solo due corpi con loro sugli elicotteri, quello di bin Laden e un altro, forse di uno dei figli, che secondo Al Arabiya non è chiaro se fosse morto o soltanto ferito. Oltre alla figlia dodicenne che ha assistito in diretta all'uccisione del padre, due donne adulte sarebbero state catturate durante il blitz e sono ora sotto custodia in Pakistan: secondo le fonti pachistane una sarebbe una delle mogli del capo di al Qaida e l'altra forse il medico personale: negli ultimi anni era circolata la notizia che bin Laden soffrisse di insufficienza renale. (TMNEWS 4 MAGGIO)
18 / 44 BIN LADEN: PAKISTAN,COMPOUND 'SOSPETTO' SEGNALATO A USA 2009 Il Pakistan nel 2009 aveva segnalato agli Stati Uniti come ''sospetto'', insieme a ''milioni di altri'', il compound dove è stato ucciso in un blitz Osama bin Laden: è quanto ha dichiarato alla Bbc il più alto funzionario del ministero degli esteri pachistano, Salman Bashir. ''Noi avevamo indicato dal 2009 che quello era un nascondiglio possibile...Trovare Bin Laden è stata una priorità per tutto il mondo”, ha detto Bashir, aggiungendo che ''milioni di luoghi'' erano stati identificati come possibili nascondigli del leader di Al Qaida, molti dei quali nella zona di confine fra Pakistan e Afghanistan. ''I servizi segreti americani hanno a disposizione materiale sicuramente molto più sofisticato per valutare e apprezzare la situazione'', ha aggiunto il dirigente pachistano alla Bbc. Sul fatto che il nuovo capo della Cia, Leon Panetta, abbia dichiarato a Time di non aver allertato il Pakistan del blitz nel timore che Islamabad potesse ''avvertire'' Bin Laden, Bashir ha detto: ''Panetta ha certamente il diritto di avere le sue opinioni, ma quel che io so è che noi abbiamo una vasta collaborazione sul terrorismo con gli Stati Uniti, e in particolare con la Cia, oltre che con altri Paesi'', definendo ''in qualche modo fuori luogo'' i commenti di Panetta. (ANSA 4 MAGGIO). CASA BIANCA VALUTA SE DIFFONDERE FOTO CADAVERE OSAMA Il mondo attende di vedere le foto di Osama Bin Laden morto, ma intanto si alza la tensione diplomatica tra Usa e Pakistan. Il direttore della Cia, Leon Panetta ha ammesso che gli Usa non informarono dell'imminente missione il Pakistan per paura che facesse filtrare informazioni preziose. Il Pakistan ha espresso "irritazione" per un'azione "unilaterale non autorizzata". E Washington ha ammesso che con Islamabad i rapporti sono "complicati, ma importanti". Intanto la Casa Bianca valuta se diffondere le immagini del 'principe del terrore' morto e un video girato con una telecamera issato su un elmetto da uno dei Navy Seals all'interno della villafortezza. "Sono immagini piuttosto crude e potrebbero urtare la sensibilità di qualcuno", ha detto il portavoce Jay Carey. "Stiamo valutando, sono immagini che potrebbero dare fastidio, dobbiamo capire se non danneggino i nostri interessi". Il timore è che scatenino la rabbia delle frange più estremiste. Ci sarebbero tre serie di foto in circolazione: la prima del cadavere di Bin Laden riportato in Afghanistan (la più riconoscibile ma anche la più cruenta); poi le immagini delle alte vittime e infine le immagini del funerale sulla portaerei statunitense, nel Mar Arabico, prima che la salma di Bin Laden fosse gettata in mare. Malgrado la segretezza del blitz condotto dal leggendario Seal Team Six della marina militare Usa, sono emersi nuovi dettagli: all'operazione hanno partecipato quattro elicotteri (due erano d'appoggio in caso di necessità) e 79 uomini. La Casa Bianca ha precisato che "Bin Laden non era armato" quando è stato colpito e ha però "ha tentato di difendersi" (senza chiarire però come sia possibile difendersi senza armi). I segreti di Osama bin Laden potrebbero essere svelati dal pc e dai dischetti e altro materiale informatico trovati nella sua villa-fortezza di Abbottabad. Il materiale sarebbe stato definito "una miniera d'oro" dalla Cia, "anche se fosse possibile utilizzarne solo il 10%":centinaia di esperti sono già al lavoro per esaminarlo in una località segreta in Afghanistan. E intanto Obama recupera nei sondaggi. Una rilevazione dimostra che 4 persone su 10 hanno migliorato la loro immagine della sua leadership: il giudizio su Obama migliora dunque per quanto riguarda il terrorismo e la situazione in Afghanistan, ma non ha registrato praticamente nessun movimento la gestione dell'economia. Il che fa pensare che il successo su un fronte non si tradurrà facilmente in altri settori. (AGI 3 MAGGIO)
BIN LADEN: W.POST, OBAMA CONQUISTA NUOVA AUTORITÀ IN AFGHANSITAN Con l'uccisione di Osama Bin Laden, il presidente americano Barack Obama acquista maggiore autorevolezza e credibilità nella conduzione della guerra in Afghanistan. Lo scrive oggi il Washington post, che però si interroga se questo sviluppo porterà o meno ad una accelerazione del ritiro militare che inizierà a luglio. Anche perché lo stesso quotidiano segnala, in un altro articolo, che gli afghani temono ora un disimpegno americano. Al centro del dibattito, nota il quotidiano, vi è la domanda se in Afghanistan l'obiettivo sia sradicare al Qaeda o sconfiggere gli insorti. Chi ha sostenuto l'invio di altri 30mila uomini nel 2009 considera la cattura di bin Laden come una prova che la strategia del 'surge' funziona e che bisogna continuare nell'impegno in Afghanistan. Fra loro il senatore indipendente Joe Lieberman che invita ora a catturare il mullah Omar, leader spirituale dei talebani. Altri come il presidente della commissione Forze armate del Senato, il democratico Carl Levin, ritengono che gli ultimi sviluppi daranno più forza ad una "robusta riduzione" di truppe in luglio. Quest'ultima possibilità appare però preoccupare gli afghani. "Gli americani dimenticheranno di nuovo l'Afghanistan", confida al post un alto funzionario di Kabul. Intanto altre fonti afghane invitano a cogliere il momento e a premere sul Pakistan. Per Amarullah Saleh, ex direttore dell'intelligence afghana, è venuto il momento di dire ad Islamabad che e' tempo "di cambiare direzione politica". (ADNKRONOS 3 MAGGIO)
19 / 44 BIN LADEN: 79 COMMANDO PER OPERAZIONE GERONIMO Commando a bordo di elicotteri, Barack Obama e i vertici dell'amministrazione Usa asserragliati alla Casa Bianca con il capo della Cia che racconta i momenti salienti dell'operazione "Geronimo", quella che ha portato all'uccisione di Osama bin Laden. A Washington era il pomeriggio di domenica 1 maggio, a Abbottabad, in Pakistan, la notte di lunedì 2 maggio. Ecco come la Cia, 79 uomini e 4 elicotteri sono arrivati al leader di Al Qaida. IL 'CORRIERE' DI BIN LADEN - Sono stati gli interrogatori ad alcuni detenuti, in particolare Khaled Sheikh Mohammed (la mente dell'11/9) e Abu Faraj al Libi (il capo operativo di Al Qaida) a mettere la Cia sulla pista giusta: trovare il 'corriere'. UNA SUZUKI BIANCA A PESHAWAR - Dopo anni di piste rivelatisi infondate, la prima indicazione sul corriere (di cui non è stato rivelato il nome) risale al luglio scorso. Agenti pakistani della Cia lo individuano a Peshawar, a bordo di una Suzuki bianca. Lo spiano per oltre un mese in tutti i suoi spostamenti in Pakistan. Inconsapevole, l'uomo li guida alla fine di una strada sterrata di Abbottabad, in un grande edificio a tre piani diverso da tutto ciò che gli sta intorno. AD ABBOTTABAD, 'IN PIENA VISTA' - Servendosi anche di satelliti, la Cia spia per mesi la casa. I sospetti crescono. L'edificio, del valore di 1 milione di dollari, non ha linea telefonica o servizio internet. E gli occupanti non portano la spazzatura in strada, come tutti, ma la bruciano all'interno del cortile. Bin Laden potrebbe davvero essere lì. Tutti pensavano fosse in una caverna in montagna, ''invece era in piena vista'' ha commentato il capo dell'antiterrorismo della Casa Bianca, John Brennan. PANETTA INFORMA OBAMA - Abbottabad viene monitorata per mesi. La Cia giunge alla ''ragionevole certezza'' che lì si nasconde Bin Laden. Panetta informa Obama. Su suo consiglio chiama poi il capo delle Forze Speciali del Pentagono, William McRaven. OPERAZIONE STUDIATA DA MARZO - Il 22 marzo Obama convoca il suo team per la sicurezza nazionale e espone le opzioni elaborate da McRaven: un raid con elicotteri; un bombardamento con B-2; un blitz congiunto con le forze pakistane. Si opta per il raid, da affidare ai Navy Seal. Gli uomini rana cominciano a pianificare l'operazione. 28 APRILE, OBAMA CONVOCA FEDELISSIMI - Il giorno dopo aver mostrato il suo certificato di nascita (e aver sottolineato che ''queste idiozie distolgono il Paese da cose più importanti''), Obama convoca il suo team. Si studiano tutti i possibili scenari negativi nel caso in cui qualcosa vada storto. 29 APRILE, OBAMA: 'PARTIAMO'- Venerdì 29 aprile Obama dà il via libera: ''Partiamo''. E sabato, prima di andare alla cena con i corrispondenti (per tradizione caratterizzata da battute e risate collettive) chiama McRaven: ''Buona fortuna''. RAID SCATTATO DALL'AFGHANISTAN - Il raid scatta dalla base di Jalalabad,in Afghanistan: 79 uomini per 4 elicotteri, due servono per l'eventuale piano B nel caso in cui qualcosa andasse storto. In Pakistan e' da poco passata la mezzanotte, a Washington le 3 del pomeriggio. Nella Situazion Room, con Obama, ci sono Joe Biden, Hillary Clinton, Robert Gates. Panetta è alla Cia a Washington, per fare da 'ponte' di collegamento. BIN LADEN-'GERONIMO' - 'Geronimo': questo il nome in codice dato a Bin Laden. Dalla Situation Room si segue in tempo reale il raid. Silenzio tesissimo, solo la voce di Panetta lo rompe di tanto in tanto con informazioni secche: 'Bersaglio raggiunto'. 'Elicottero in stallo', 'Geronimo a tiro'. Silenzio. Lungo. BIN LADEN UCCISO CON DUE COLPI - Il raid dura in tutto 40'. Tre uomini vengono uccisi all'entrata della casa. Sono il corriere, suo fratello, il figlio di Bin Laden, Hamzan. Viene uccisa anche una donna da loro utilizzata come scudo umano. Non e' la moglie di Bin Laden. Bin Laden e' al terzo piano della casa. Indossa il copricapo e una 'shalwar khameez', la tunica e i pantaloni tradizionali. Oppone resistenza. Viene raggiunto da due colpi, uno al torace, l'altro sopra l'occhio sinistro. UNA FOTO PER RICONOSCERLO - Uno degli uomini rana scatta una foto al volto, la scarica in un programma apposito, la risposta arriva subito: e' ''al 95%' di Bin Laden. La squadra sale sull' elicottero di salvataggio, l'altro in stallo viene fatto saltare. In pochi secondi i 79 uomini del commando e il cadavere di Bin Laden sono lontani. Nel silenzio teso della Situation Room, a Washington, arriva la conferma: 'Geronimo EKIA' (Enemy Killed in Action). Ancora silenzio. Ancora lungo. E' Obama a romperlo dopo alcuni minuti: ''We got it'', 'lo abbiamo preso'. SEPOLTO IN MARE - Il cadavere di Bin Laden viene portato sulla portaerei Carl Vinson, lavato, avvolto in un lenzuolo bianco. E sepolto in mare dopo un rito religioso islamico pronunciato in inglese e tradotto in arabo da una persona madrelingua. (ANSA 3 MAGGIO)
BIN LADEN, COMPUTER PUÒ SVELARNE SEGRETI I segreti di Osama bin Laden potrebbero essere svelati dal pc e dai dischetti e altro materiale informatico trovati nella sua villa-fortezza di Abbottabad. Lo rivela il sito Politico, secondo il quale il materiale sarebbe stato definito "una miniera d'oro" dalla Cia, "anche se fosse possibile utilizzarne solo il 10%". Centinaia di esperti sono già al lavoro per esaminarlo in una località segreta in Afghanistan. Intanto emergono i primi particolari sul blitz, condotto -secondo il New York Times- da 79 uomini e 4 elicotteri, in una quarantina di minuti. E resta alto l'allerta terrorismo con la chiusura dell'ambasciata e dei consolati Usa in Pakistan e l'arresto di cinque sospetti nei pressi di una centrale nucleare inglese. Secondo le ricostruzioni trapelate dalla Casa Bianca, il capo di Al Qeada non ha risposto al fuoco delle forze speciali ed e' stato ucciso da pallottole al petto e una sopra l'occhio sinistro. Una donna, ma non la moglie, è rimasta uccisa perché usata come scudo
20 / 44 umano, da uno dei presenti. Il terrorista è stato ucciso sotto gli occhi di una figlia dodicenne. Ucciso anche un altro figlio, adulto, Hamza. Nella villa-fortezza, c'erano 17, forse 18 persone, molti dei quali bambini (che adesso sono -ha fatto sapere il governo pakistano- sono "in mani sicure"). I media locali hanno ipotizzato che Bin Laden sia stato ucciso da una delle sue guardie, a cui aveva dato l'ordine di ammazzarlo per impedire di essere catturato vivo. Per scovare il terrorista sono state fondamentali le rivelazioni di alcuni detenuti di Guantanamo, tra cui quelle del cervello dell'11 settembre, Khalid Sheikh Mohammed. La residenza di Abbottabad era stata individuata nell'agosto del 2010 attraverso il pedinamento di un corriere di Al Qaeda, Abu Ahmad al Kuwaiti, un kuwatiano, e di suo fratello. I due operavano a Islamabad e vivevano nello stesso sobborgo elegante alle porte della capitale. I servizi segreti pakistani hanno confermato la loro collaborazione a livello di scambio di informazioni, ma il presidente Asif Ali Zardari ha assicurato che le forze speciali di Islamabad non hanno partecipato al blitz. Barack Obama ha annunciato che giovedì sarà a Ground Zero, dove incontrerà le famiglie delle vittime delle Torri gemelle. Obama ha seguito in diretta le fasi del blitz, grazie alla videocamera fissata al casco di un militare. Infine, secondo le rivelazioni di un quotidiano del Kuwait, Al Naba, Bin Laden aveva previsto la sua uccisione già nel 2001, ipotizzando che sarebbe avvenuta per il tradimento di qualcuno all'interno della sua cerchia. La "profezia" è contenuta nel suo testamento, in cui consigli anche ai suoi figli di "non lavorare con Al Qaeda". (AGI 3 MAGGIO) BIN LADEN: ISI AMMETTE ERRORI, CIA NON SI FIDAVA Grandi sorrisi, strette di mano e ottimismo hanno segnato oggi ad Islamabad la ripresa dei colloqui trilaterali sulla sicurezza nella regione fra Usa, Afghanistan e Pakistan, mentre emerge sempre più evidente la Volontà manifestata da più parti di archiviare il più presto possibile l'uccisione di Osama bin Laden come ''una svolta'' nella lotta al terrorismo che contribuirà a rafforzare la pace nella regione. All'indomani dell'Operazione chirurgica del gruppo di elite statunitense che ha eliminato Bin Laden nella villa-fortezza di Abbottabad, conquistandosi le prime pagine dei media del mondo, il Pakistan appare più che un protagonista, una sorta di ''agnello sacrificale'' fatto segno per di più a domande ed interrogativi riguardanti i suoi servizi di intelligence Isi che destinati forse a restare senza risposta. Dopo che la Casa Bianca ha chiarito che il blitz è stato concepito e realizzato ''esclusivamente dagli Stati Uniti', il presidente pachistano Asif Ali Zardari ha risposto in un contributo al Washington Post che ciò era vero e che comunque ''l'eliminazione del capo di Al Qaida era frutto di un decennio di cooperazione fra Usa e Pakistan''. Questo non ha impedito al ministro degli Esteri francese Alain Juppe', in attesa di incontrare il premier pachistano Yousuf Raza Gilani in visita a Parigi, di dichiarare che ''la posizione del Pakistan manca di chiarezza''. ''Ho un po' di difficoltà a immaginare che la presenza di una persona come Bin Laden in un 'compound' importante in una città relativamente piccola sia potuta passare completamente inosservata''. Ma a poco a poco la stessa Isi, fino a ieri rappresentata come una sorta di loggia segreta tentacolare e 'deus ex machina' di tutte le operazioni più losche e terroristiche avvenute in Afghanistan, ammette il proprio ''imbarazzo'' per la paradossale situazione sfuggita al suo controllo ad Abbottabad. Un funzionario che non ha voluto essere identificato ha confermato alla Bbc londinese di non poter facilmente giustificare la mancata sorveglianza di quello che negli ultimi anni era diventato il rifugio del leader di Al Qaida. ''Nel compound di Abbottabad compimmo un raid nel 2003, quando era ancora in costruzione, perché ritenevano che là si nascondesse un uomo di Al Qaida, Abu Faraj al-Libi'', ha detto questa fonte, aggiungendo candidamente: ''Da allora il compound e' rimasto fuori dal nostro raggio di sorveglianza''. Tuttavia, l'Isi rivendica di aver arrestato Libi, che gli americani considerano oggi la pedina più importante che ha portato al compound di bin Laden. E' lui, hanno piegato fonti Usa al New York Times, ad aver svelato alla Cia la rete di corrieri e messaggeri dello sceicco del terrore. Sbadataggine, si chiedono gli analisti pachistani, o decisione di cambiare registro, accettando un compromesso con gli Usa per cercare di uscire dal pantano della decennale guerra in corso in Afghanistan? Un obiettivo desiderato fra l'altro ardentemente da Washington? Al riguardo i media ricordano che sugli sviluppi della crisi che coinvolse il capo della Cia in Pakistan Raymond Davis costretto a rientrare precipitosamente, il direttore dell'Isi, Ahmed Shuja Pasha, è volato a Washington per segreti colloqui con Leon Panetta. E' in questo ambito che ci sarebbe stato uno scambio fra la fine della protezione a Bin Laden e uno stop all'uso dei droni nei territori tribali pachistani. Ma da Langley arrivano segnali discordanti: Panetta ha oggi voluto precisare che il Pakistan non è stato avvertito del raid nel timore di una fuga di notizie. Evidentemente le autorità pachistane non hanno voglia di parlarne. Nella conferenza stampa di chiusura del dialogo trilaterale americano-afghano-pachistano svoltosi oggi alla presenza dell'inviato americano nella regione Marc Grossman, il sottosegretario agli Esteri pachistano Salman Bashir ha invitato a guardare avanti. ''Non credo che sia utile - ha detto rispondendo ad un giornalista - entrare nei minimi dettagli dell'operazione e di chi e come è stata sviluppata. Osama è stato ormai consegnato alla storia e noi dobbiamo guardare avanti''. E avanti guarda la decisione annunciata da Grossman che i tre paesi hanno deciso di ''cooperare e coordinarsi per un processo di riconciliazione in Afghanistan guidato dagli afghani, per assicurare pace, sicurezza e sviluppo alla regione''. (ANSA 3 MAGGIO)
21 / 44 BIN LADEN: PAKISTAN PLAUDE, MA È FORTE L'IMBARAZZO Il Pakistan ha definito l'uccisione di Osama bin Laden un ''duro colpo'' contro il terrorismo internazionale, ma non è riuscito a sottrarsi all'imbarazzo causato dalla scoperta del lussuoso nascondiglio in una guarnigione militare a due ore a nord di Islamabad, tra increduli villeggianti e pensionati in cerca di frescura. Il primo ministro Yusuf Raza Gilani ha ammesso che "c'è stata una coordinazione tra le intelligence dei due Paesi", ma da Islamabad nessuna fonte ufficiale ha specificato le modalità di tale collaborazione né ha dato alcuna spiegazione. In serata l'ambasciatore pachistano a Londra, Wajid Shamsul Hasan, è stato più preciso: "E' stata una operazione congiunta, in cui le forze americane e pachistane hanno collaborato segretamente, che è stata attuata professionalmente ed è finita con esito soddisfacente", ha detto. Poco prima il segretario di Stato Usa Hillary Clinton aveva chiaramente parlato di contributo pachistano per il successo della missione. ''La collaborazione con il Pakistan ha aiutato gli americani a trovare il covo dove si nascondeva bin Laden'', ha assicurato. Il blitz notturno, nella villa-fortezza della cittadina Abbottabad, rischia di creare un nuovo attrito nelle già tormentate relazioni tra Islamabad e Washington, ai ferri corti per gli attacchi dei droni e le recenti accuse all'ISI di sostenere la rete talebana di Haqqani in Afghanistan. Ancora una volta sembra emergere con chiarezza il “ventre molle” della sicurezza in Pakistan che, mentre da un parte combatte gli estremisti islamici nelle regioni tribali del nord ovest, dall'altra, sembra non aver tagliato i vecchi legami con la jihad, una ''carta preziosa'' da giocare sullo scacchiere afghano quando le truppe Usa si ritireranno. A sua difesa, il ministero degli Esteri ha ribadito oggi in un comunicato ''la volontà di combattere e sradicare il terrorismo'' e ha ricordato le 30 mila vittime di attacchi terroristici e i 5 mila soldati uccisi sul campo di battaglia contro i militanti di Al Qaida e i talebani. Parole che non spiegano però la contraddizione con la teoria finora sostenuta che bin Laden fosse nascosto in una caverna nell'impenetrabile confine afghanopachistano. Oltre a motivazioni di ordine strategico, c'è anche il timore di un'opinione pubblica sempre più anti americana che considera il governo un ''vassallo'' di Washington e che si sta sempre più radicalizzando, come dimostrano le uccisioni di politici liberali critici della legge sulla blasfemia. A Quetta, nella provincia meridionale del Baluchistan, un migliaio di persone hanno manifestato al grido di ''morte all'America''. E' difficile pensare che il blitz di Abbottabad non abbia avuto l'avvallo di Islamabad, dove proprio oggi arriva l'inviato speciale per il Pakistan e l'Afghanistan Marc Grossman proveniente da Kabul. Secondo alcuni analisti, i vertici dell'Isi (in cui sono presenti elementi deviati) avrebbero di recente ''rotto i ponti'' con Al Qaida'' con cui vigeva un cessate il fuoco. ''Al Qaida avrebbe deciso di collaborare con gli estremisti islamici nelle zone tribali del nord ovest'' ha detto un esperto. Questa saldatura avrebbe aperto un nuovo scenario allarmante e difficilmente gestibile per il governo pachistano. Non è quindi una sorpresa che i leader di Al Qaida, nei loro ''santuari'' del Nord Waziristan, unica regione tribale ''risparmiata'' dall'esercito pachistano, abbiano giurato oggi vendetta, come scrive il quotidiano on line Asia Times. Intanto, ad Abbottabad, c'è incredulità tra i ''vicini di casa'' del lussuoso covo costruito nel 2005 e che ospitava Bin Laden insieme a famiglia e alcuni fedelissimi. I residenti del quartiere sono stati svegliati da un boato nel cuore della notte. ''Abbiamo visto delle fiamme e udito spari dall'interno'' hanno raccontato. Secondo le testimonianze, ci sarebbe stato un scambio di arma da fuoco tra alcuni elicotteri e gente a terra. Un velivolo si e' schiantato, a causa di un guasto, come riferito da fonti Usa. Una televisione locale, nel pomeriggio, ha mostrato alcuni camion dell'esercito portare via i relitti del mezzo. (ANSA 2 MAGGIO). BIN LADEN: KARZAI A TALEBANI, 'IMPARATE LA LEZIONE' La spettacolare operazione militare americana che ha portato all'eliminazione in Pakistan di Osama bin Laden ha offerto al presidente afghano Hamid Karzai numerosi motivi di soddisfazione. E gli ha persino permesso di rivolgere un severo monito ai talebani, assortito con un invito ''a deporre le armi'' e ''a partecipare al dialogo di pace e riconciliazione nazionale''. Dopo aver seguito gli sviluppi del blitz del Navy Seal Team Six ad Abbottabad insieme all'inviato statunitense Marc Grossman, giunto nella massima discrezione dall'India, il capo dello Stato afghano ha preso la parola in un incontro di amministratori locali rivelando la sua ''grande gioia'' per il colpo inferto al terrorismo internazionale. ''Bin Laden ha pagato il giusto prezzo per le sue azioni'', ha poi assicurato, ricordando di avere sempre detto alla Nato che ''da noi non c'erano santuari di Al Qaida e che i responsabili del terrorismo in Afghanistan andavano cercati nelle zone tribali pachistane e non nei villaggi afghani dove molte donne, anziani e bambini sono morti inutilmente''. Rivolto quindi ai talebani afghani con cui da un anno cerca di aprire un dialogo senza troppo successo attraverso l'Alto Consiglio per la pace, Karzai ha detto in tono severo: ''Dovreste smettere di uccidere i vostri fratelli ed addestrare bambini a sacrificarsi come kamikaze''. Quello che invece il leader afghano non ha detto, ma che è stato certamente per lui motivo di soddisfazione, è che l'annuncio di Barack Obama ha occultato, sia pure in modo temporaneo, l'offensiva militare di primavera denominata dai seguaci del Mullah Omar 'Badar', in ricordo del primo scontro vittorioso dei fedeli di Maometto contro ''le forze del male''. I talebani hanno respinto le
22 / 44 avances di Karzai argomentando che nessun dialogo è possibile ''fino a quando ''gli invasori americani saranno presenti sul territorio afghano'', Ma non vi è dubbio, notano gli analisti a Kabul, che anche le relazioni con i sostenitori di Bin Laden fossero piuttosto burrascose perché a questi ultimi non interessava la creazione di un Afghanistan meno laico, puntando alla nascita di una grande nazione islamica, Il governo afghano spera inoltre che l'effetto della decapitazione di Al Qaida possa avere ripercussioni anche sugli altri due movimenti - la Rete Haqqani e l'Hezb-i-Islami Afghanistan di Gulbuddin Hekmatyar - che insieme ai talebani si oppongono alle forze di sicurezza afghane e internazionali. E che hanno, o hanno avuto, legami con il terrorismo di Bin Laden. Mostrando inoltre che Washington vuole da ora in poi mettere l'accento sulla diplomazia a scapito delle forze armate che cominceranno a ritirarsi da luglio, Grossman ha assicurato a Kabul, prima di trasferirsi a Islamabad, che ''gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di costituire basi permanenti nella regione'' e che ''di questo possono essere sicuri i paesi vicini'' come Pakistan, Russia e India. In effetti, del rafforzamento di un clima positivo ha bisogno il governo di Karzai che a partire da luglio comincerà ad assumere la sicurezza del suo territorio, in un processo che dovrebbe concludersi nel 2014 con la partenza del grosso della Coalizione internazionale, forte di 140.000 uomini. (ANSA 2 MAGGIO) BIN LADEN: MASSIMA ALLERTA PER ITALIANI AFGHANISTAN Gli organismi di intelligence occidentali e gli 007 afgani concordano: dopo l'uccisione di Osama Bin Laden i gruppi talebani più vicini alla galassia di Al Qaida cercheranno di colpire per dimostrare che la morte del capo carismatico non li ha indeboliti. Al contrario. Nel mirino ci sono i nemici di sempre: le forze di sicurezza afgane e, soprattutto, i militari della missione Isaf della Nato. Vale a dire, nell'ovest dell'Afghanistan, gli oltre 4.000 soldati italiani. Per i quali, però, non è stato necessario disporre particolari ulteriori misure di sicurezza per la semplice ragione - sottolineano fonti militari e della Difesa - che la vigilanza è già ''ai massimi livelli''. La recrudescenza di attentati terroristici in Afghanistan viene ritenuta ''molto probabile'', ma le forze occidentali - italiani compresi - sono già alle prese con la ripresa dell'offensiva talebana che tradizionalmente coincide con l'inizio della bella stagione: l'eventualità di un attacco, soprattutto in questo periodo, è sempre all'ordine del giorno e dunque lo stato di allerta per i militari italiani della missione Isaf è già massimo. Il lavoro, dunque, continua ''normalmente'', se possibile con gli occhi più spalancati del solito. Anche perché la minaccia e' sempre davvero dietro l'angolo, anche nel 'tranquillo' ovest dell'Afghanistan (il cui capoluogo Herat sarà una delle prime città ad essere 'riconsegnate' agli afgani). Lo dimostra quanto è avvenuto solo ieri nel distretto di Morghab, quando un 'insorto' e' stato ucciso in uno scontro a fuoco, ed altri due sono stati catturati, nel corso di un'operazione congiunta delle forze di sicurezza locali e dei militari della Nato che erano sulle tracce di un capo talebano accusato di aver reclutato decine di combattenti stranieri. Dunque, la Nato continuerà la sua missione - come ha detto il segretario generale Rasmussen - ''per assicurare che l'Afghanistan non ritorni ad essere un paradiso per i terroristi e gli estremismi, ma possa svilupparsi in pace e in sicurezza''. E non ci sarà alcuna modifica nella partecipazione italiana? Secondo il ministro della Difesa La Russa, dopo l'uccisione di Bin Laden ''potrà benissimo anche configurarsi un nuovo rapporto all'interno della coalizione nella lotta al terrorismo, non fosse altro per l'entusiasmo che ne può derivare e dall'altro lato per la mancanza di un uomo guida come è stato Bin Laden''. Ma alla domanda se ci sarà un qualche disimpegno italiano il ministro ha assicurato di no e che ogni decisione verrà presa insieme agli alleati. ''L'Italia - ha spiegato - è fedele a un concetto nelle missioni internazionali: 'insieme dentro, insieme fuori'. Finora non abbiamo mai preso una decisione al di fuori degli organismi internazionali che ci hanno determinato a partecipare alle missioni''. Quindi, l'uccisione di Bin Laden ''può determinare qualche cambiamento, ma non credo - ha concluso La Russa - che saranno cambiamenti unilaterali''. (ANSA 2 MAGGIO) BIN LADEN: CAPO CIA,ORA CI ASPETTIAMO VENDETTA AL QAIDA L'uccisione di Osama bin Laden può scatenare la vendetta di Al Qaida. E' questo l'allarme del direttore della Cia Leon Panetta, che ha messo in guardia dal ritenere chiusa la guerra contro la multinazionale del terrorismo islamico. Uccidere il fondatore di Al Qaida, non vuol dire infatti, secondo la lettura del capo della Cia, pensare di non dover avere più a che fare con il terrorismo di stampo islamico. I leader nel mondo hanno espresso il loro plauso - primo fra tutti naturalmente Barack Obama, per il quale 'il mondo è un posto più sicuro senza Osama bin Laden - ma l'euforia è stata temperata dagli ammonimenti su possibili rappresaglie dei terroristi. Secondo alcuni anche imminenti. ''Osama bin Laden è morto. Ma Al Qaida è ancora in vita'', ha detto oggi Panetta. ''I terroristi cercheranno quasi sicuramente di vendicarlo - ha aggiunto il capo della Cia - noi dobbiamo restare vigili e risoluti''. E il Dipartimento di Stato ha esortato i cittadini americani che si trovano all'estero di essere particolarmente vigili, mentre alcune ambasciate degli Stati Uniti sono rimaste chiuse. Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha esaltato il successo della operazione Usa ma ha ammonito che al Qaida è ancora viva. Il premier britannico David Cameron ha detto che l'Occidente dovrà essere ''particolarmente vigile'' nelle settimane a venire. ''Il timore è quello di una reazione violenta delle fazioni di Al Qaida in Europa, Africa e Medio Oriente, dato che esistono filiali molto pericolose del movimento
23 / 44 in Yemen, Tunisia e Libia'', ha ammonito l'ex capo dei servizi segreti pachistani (ISI), generale Hamid Gul. Dopo l'uccisione di Osama bin Laden le polizie delle due maggiori città americane, New York e Los Angeles, hanno alzato il livello dell'allarme terrorismo. Misure analoghe sono state adottate dalle polizie di altre città americane possibili bersagli della rappresaglia di Al Qaida. Ci sarebbe anche lo spettro di una ritorsione nucleare in Europa nel giorno dell'uccisione del capo di al Qaida. E' di qualche giorno fa infatti la rivelazione targata WikiLeaks secondo cui uno dei 'colonnelli' di Al Qaida, il libico Abu al-Libi, anni fa disse agli agenti americani che lo interrogavano a Guantanamo che il network terroristico guidato da bin Laden aveva nascosto una bomba atomica in Europa e l'avrebbe fatta esplodere nel caso in cui il suo capo fosse stato catturato o ucciso. ''Non ho l'impressione che sia finita - ha detto Rudy Giuliani, sindaco di New York all'epoca dell'attacco alle Torri gemelle - la guerra prosegue''. Anche il segretario di stato Hillary Clinton ha ammonito oggi che ''la battaglia per bloccare al Qaida e la sua rete di terrore non si concluderà con la morte di Osama bin Laden''. ''Dobbiamo cogliere questa opportunità per rinnovare la nostra determinazione e raddoppiare i nostri sforzi'', ha detto il segretario di stato. ''In Afghanistan continueremo la battaglia per combattere Al Qaida e i loro alleati talebani mentre cercheremo di dare il nostro sostegno al popolo dell'Afghanistan'', ha detto ancora la Clinton. ''Il nostro messaggio ai Talebani resta lo stesso. Non potete sconfiggerci. Ma potete fare la scelta di abbandonare Al Qaida e partecipare ad un processo pacifico di pace'', ha affermato il segretario di stato. ''In Pakistan siamo impegnati ad aiutare la gente ed il governo a difendere la loro democrazia dall'estremismo violento - ha detto la Clinton - Osama bin Laden ha dichiarato guerra al Pakistan, ordinando l'uccisione di molti cittadini innocenti''. (ANSA 2 MAGGIO) BIN LADEN: NATO, NOSTRA MISSIONE IN AFGHANISTAN CONTINUA Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, si congratula con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama per l'operazione che ha portato alla morte di Osama Bin Laden ed assicura che la missione dell'Alleanza in Afghanistan "per assicurare che non diventi mai un rifugio sicuro per l'estremismo". "Mi congratulo con il presidente Barack Obama e con tutti quelli che hanno reso possibile l'operazione contro Osama Bin Laden - ha dichiarato in una nota diffusa a Bruxelles Rasmussen - Si tratta di un successo significativo per la sicurezza degli alleati della Nato e di tutte le nazioni che si sono unite ai nostri sforzi per combattere la piaga del terrorismo globale e rendere il mondo un posto più sicuro per tutti noi". Dopo aver ricordato che la Nato considerò gli attacchi dell'11 settembre "un attacco contro tutti gli alleati", nel quale persero la vita migliaia di persone, il numero uno dell'Alleanza ha sottolineato che "il terrorismo continua a porre una minaccia diretta alla nostra sicurezza e stabilità internazionale e che la cooperazione internazionale, in cui la Nato è al centro, resta fondamentale". "Gli alleati della Nato ed i loro partner continueranno la loro missione per assicurare che l'Afghanistan non diventi mai più un rifugio sicuro per l'estremismo e che si sviluppi in pace e sicurezza - ha concluso Rasmussen - Continueremo a sostenere i valori di libertà, democrazia e umanità che Osama Bin Laden voleva sconfiggere". (ADNKRONOS 2 MAGGIO). BIN LADEN: ZAHWARI, DA NUMERO 2 A POSSIBILE CAPO Potrebbe essere Ayman Abdel Rahman al Zawahri, medico egiziano nato il 19 giugno 1951, fra i fondatori di Al Qaida alla fine degli anni Ottanta e attuale numero 2 dell'organizzazione terrorista a succedere a Osama Bin Laden. Nato in una famiglia agiata e borghese, con un padre anch'egli medico e un nonno gran ulema di Al Azhar, al Zawahri per anni è stato il braccio destro del capo di al Qaida, prestando in molti casi il suo volto e la sua voce ai messaggi di minacce lanciati al mondo dal rifugio fra l'Afghanistan e il Pakistan. L'ultimo ad aprile nel quale sollecitava i musulmani a combattere la Nato e gli americani in Libia. L'amministrazione Usa ha stabilito una ricompensa di 25 milioni di dollari per chiunque fornisca informazioni su quello che molti considerano il cervello dell'organizzazione terroristica islamica. Al Zawahri Si è avvicinato ai movimenti jihadisti da giovanissimo, a diciassette anni, prima di diplomarsi in medicina. Entrò nella Jihad islamica egiziana nel 1979, diventando 'emir' (comandante) responsabile per il reclutamento. Nel 1981 è finito in carcere durante una ondata di arresti di integralisti islamici in seguito all'assassinio dell'allora presidente Anwar Sadat. E' rimasto in prigione quattro anni, ma per porto abusivo di armi, perché gli inquirenti non sono riusciti a trovare elementi contro di lui su un coinvolgimento dell'omicidio di Sadat. Uscito di prigione nel 1985, Zawahri è andato in Arabia Saudita, e dopo poco si è spostato in Pakistan, dove ha conosciuto Bin Laden. Ultima tappa l'Afghanistan, all'inizio degli anni Novanta. (ANSA 2 MAGGIO). USA UCCIDONO BIN LADEN, OCCIDENTE ESULTA,ISLAM DIVISO “Osama bin Laden è stato ucciso, giustizia è fatta": l'annuncio di Barack Obama, quando erano le 5 del mattino in Italia, ha messo fine alla più grande caccia all'uomo di questo secolo, iniziata subito dopo gli attentati dell'11 settembre. Lo sceicco del terrore è morto in un blitz dei Navy Seals americani ad Abbottabad, 70 chilometri a nord di Islamabad, in un complesso residenziale di lusso che ospita numerosi
24 / 44 militari pakistani in pensione. Dopo la diffusione della notizia in migliaia sono scesi in strada a Washington e New York per festeggiare. Nell'operazione, pianificata da due mesi dopo la scoperta del rifugio di Osama, i militari sono arrivati a bordo di due elicotteri, uno dei quali poi distrutto perché non ripartiva per motivi tecnici. Ci sarebbe stato uno scontro a fuoco in cui sono morti anche un figlio adulto di bin Laden, due "messaggeri" di Al Qaeda e una donna. Due mogli e altri quattro figli sono stati catturati e portati via, insieme al cadavere del regista delle stragi delle Torri gemelle, di cui a settembre ricorrerà il decennale L'Amministrazione Usa ha però precisato che la missione prevedeva anche l'ipotesi di catturare bin Laden ove questo fosse possibile ma la resistenza offerta ha costretto i Seals ad ucciderlo dopo circa 40 minuti di sparatoria. Il fondatore di al Qaeda avrebbe anche usato la moglie, dice la Casa Bianca, come scudo umano. I pakistani sono stati tenuti all'oscuro del blitz e secondo il capo dell'antiterrorimo difficilmente Osama avrebbe potuto vivere così comodamente in Pakistan senza la protezione di frange dell'esercito e dei servizi segreti di Islamabad. Si deve ancora decidere se diffondere le foto del cadavere (una falsa era subito circolata su Internet), ma intanto la salma sarebbe già stata sepolta in mare. Ciò nel rispetto della tradizione islamica secondo gli Usa. Teoria nettamente smentita dall'università del Cairo di al Azhar, la più prestigiosa istituzione religiosa sunnita. Obama ha riferito di avere autorizzato una settimana fa l'operazione che ha portato alla uccisione. L'ultimo via libera era stato dato venerdì e l'azione era stata programmata per sabato. Poi le avverse condizioni meteo hanno costretto i Seals ha rinviare di 24 ore la missione. Il suo predecessore, George W. Bush, che era alla Casa Bianca l'11 settembre, ha parlato di "un successo di grande rilevanza che segna una vittoria per l'America, per quanti cercano la pace nel mondo e per tutti quanti persero persone amate l'11 settembre". I talebani pakistani hanno minacciato di vendicare bin Laden attaccando i governi e le forze di sicurezza di Usa e Pakistan. Hamas, attraverso il capo del governo di Gaza, Ismail Haniyeh, ha condannato "l'assassinio di un guerriero santo" in quella che ha definito "una prosecuzione della politica americana basata sull'oppressione e sul sacrificio del sangue arabo e musulmano". Il capo della Cia, Leon Panetta ritiene "molto probabile una rappresaglia". Il segretario di Stato, Hilary Clinton, ha chiarito che la morte di bin Laden non ridurrà l'impegno Usa in Afghanistan: i Talebani "non possono aspettarsi che ce ne andremo", ha detto. (AGI 2 MAGGIO) BIN LADEN: BLITZ DEL COMMANDO, MOGLIE È SCUDO UMANO Una ''piccola squadra'' di Navy Seals, i leggendari incursori della Marina Usa, intervenuta in piena notte ad Abbottabad, in Pakistan, ha ucciso in un blitz Osama bin Laden. Nello scontro sono stati uccisi altre tre uomini e una donna, probabilmente una delle mogli del ricercato numero uno, mentre altre due sono rimaste ferite. La moglie di Osama si trovava in una posizione tale ''da servire da scudo'' umano, ha spiegato in una conferenza stampa John Brennan, il consigliere antiterrorismo della Casa Bianca, ma non è chiaro se sia stata lei a piazzarsi tra il tiratore e il ricercato numero uno, o se Bin Laden (oppure uno dei suoi figli) l'ha usata espressamente come scudo umano. Nell'operazione, durata 40 minuti, gli Usa hanno perso uno dei due elicotteri con i quali hanno compiuto il blitz. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha seguito l'operazione minuto per minuto dalla Situation Room della Casa Bianca. I dettagli del raid sono stati forniti ufficialmente dall' Amministrazione Usa, che ha convocato in piena notte una 'conference call' alla quale hanno partecipato ''dirigenti americani'' di cui volutamente l'amministrazione per ragioni di sicurezza non ha reso noti né i nomi né l'incarico. L'operazione è stata autorizzata venerdì scorso, 29 aprile, da Obama dopo cinque briefing tenuti tra fine marzo e aprile, ai quali ha partecipato ''un numero molto ristretto di persone''. I briefing erano stati convocati per valutare l'attendibilità crescente di informazioni di intelligence raccolte fin dal settembre scorso, e di cui Obama era stato tenuto al corrente sistematicamente. Tutte puntavano nella stessa direzione: ''Vi erano fondate ragioni per ritenere che Bin Laden si nascondesse in un edificio di Abbottabad'', in Pakistan. Ma la conferma definitiva è venuta solo quando i Navy Seals hanno fatto irruzione nel rifugio e lo hanno ucciso. Il test del dna ha successivamente confermato che si tratta proprio di lui. L'ordine di entrare in azione è stato dato da Obama ieri, 1/o maggio. L'azione è scattata quando in Pakistan era notte fonda, le 00:30 circa di oggi, lunedì, ora pachistana (le 21:30 italiane di ieri, le 15:30 di ieri negli Usa), secondo la ricostruzione di alcuni media americani. Dopo un viaggio di una quarantina di minuti su due elicotteri, probabilmente dall' Afghanistan, ad Abbottabad i Navy Seals - 20-25 uomini secondo Fox News, che azzarda una cifra - sono penetrati nell'iperprotetta villa-nascondiglio, lo hanno ucciso con un colpo in faccia e sono volati via con il suo corpo, perdendo nell'azione uno dei due velivoli. Quando, poco prima della mezzanotte di Washington (le 06:00 circa in Italia), ore dopo la fine del blitz, la morte di Bin Laden gli è stata confermata, Obama ha dato l'annuncio all' America. E ha precisato che il fondatore di Al Qaida era stato ucciso ''dagli Stati Uniti'', da un team dell'antiterrorismo che ''ha preso in custodia il suo corpo''. Dal punto di vista dell'intelligence, i punti chiave dell' operazione sono stati questi. Sono stati dapprima individuati alcuni del 'corrieri' dello 'sceicco del terrore', ''in particolare uno, di cui i detenuti post-11 settembre ci avevano fornito il nome di battaglia'', è scritto nel transcript della 'conference call. L'uomo è stato tenuto sotto
25 / 44 controllo per mesi, fino a quando è stata individuata con certezza l'area in Pakistan in cui operava. Da lì l'intelligence Usa è risalita all' edificio di Abbottabad. ''Quando siamo entrati, siamo rimasti scioccati da ciò che abbiamo trovato - ha detto una fonte citata nel transcript : un edificio unico, otto volte più grande delle altre case, costruito nel 2005, accesso vigilato, un valore approssimativo di un milione di dollari, ma nessuno telefono né collegamento a internet''. I Navy Seals sono entrati in azione seguiti da Washington da Obama in persona. ''Nel raid abbiamo perso un elicottero a causa di problemi meccanici. Il velivolo è stato fatto esplodere dal suo stesso equipaggio. Le forze d'assalto sono rientrate con l'altro elicottero. Nessun civile è stato colpito''. Il corpo di Bin Laden è rimasto in mano degli americani 12 ore, prima di essere sepolto in mare. Prima della sepoltura, intorno alle 07:10 (ora italiana) è stato celebrato un tradizionale funerale islamico a bordo della portaerei americana Carl Vinson, nelle acque settentrionali del Golfo Persico. (ANSA 2 MAGGIO).
COSTRUIRE LA PACE (DI PIU’) _____________________________________________ MISSIONE ITALIANA PER IL POLO INFRASTRUTTURALE A HERAT Un gruppo di tecnici del ministero dello Sviluppo, insieme a Confindustria, Enel, Eni e Finmeccanica, sta preparando per fine maggio una missione in Afghanistan per lavorare al progetto di costruzione di un polo infrastrutturale a Herat. E' quanto riferisce il vicepresidente di Confindustria Cesare Trevisani che, anche alla luce della morte di Osama bin Laden e della possibile accelerazione del processo di pace, parla di "momento molto favorevole per gli investimenti in quel distretto". Trevisani, che l'11 aprile e' stato in missione nella città afghana con il ministro Paolo Romani, afferma che entro la fine del 2011 la collaborazione tecnica governo-imprese renderà possibile la definizione di un masterplan che getterà le basi per la nascita di un polo intermodale. Tra i lavori previsti, e recentemente auspicati anche dal governatore di Herat, Daud Saba, ci sono il potenziamento dell'aeroporto, delle linee ferroviarie e del sistema dei trasporti su gomma. La situazione a Herat, racconta il vicepresidente di Confindustria, e' molto complicata, "c'è da lavorare praticamente su ogni aspetto della vita sociale e civile. Servono infrastrutture, un sistema di burocrazia e di giustizia efficiente e soprattutto pace". Diversi i settori economici in cui le imprese italiane possono investire con profitto, in particolare, cita Trevisani, agricoltura e comparto minerario. "Sono convinto - afferma il rappresentante confederale - che ci siano margini per fare un buon lavoro, anche perché Herat, rispetto ad altre province afghane, ha una situazione sociale relativamente più tranquilla". Trevisani conclude elogiando lo spirito di collaborazione che, soprattutto negli ultimi 5 anni, ispira i rapporti tra imprese e diplomazia italiana, favorendo gli investimenti. "C'è stato un cambio di marcia - osserva - e questo aiuta molto chi lavora o si trova a sbarcare sui mercati esteri". (AGI-PEI NEWS 3 MAGGIO) AFGHANISTAN: IN RETE NUOVO PORTALE COOPERAZIONE ITALIANA Una finestra sempre aperta sulle attività della Cooperazione Italiana a Kabul ed Herat. E' il biglietto da visita del nuovo portale della Cooperazione Italiana ora in rete, www.coopitafghanistan.org, con l'obiettivo di comunicare il lavoro quotidiano della Cooperazione per e con il popolo afghano. L'homepage riporta in primo piano le ultime notizie, un costante aggiornamento sulle attività più importanti e i risultati raggiunti che vedono come protagonisti i più vulnerabili: le donne, i bambini, ma anche le istituzioni afghane, senza il cui coinvolgimento non è possibile contribuire alla ricostruzione e allo sviluppo dell'Afghanistan. Da oggi, informa un comunicato, sarà anche possibile consultare la newsletter della Cooperazione italiana e avere così non solo un punto di vista più approfondito sui progetti, ma anche sulle storie dei beneficiari. Tra i molti simboli e immagini in grado di richiamare e trasmettere l'Afghanistan, per il suo nuovo sito la Cooperazione italiana ha scelto le montagne, ciò che più colpisce e incanta quando si guarda questo Paese dall'alto. Navigando il portale, si possono esplorare le iniziative in corso per settori di intervento: aiuti umanitari; sanità; infrastrutture; giustizia; genere e sociale; agricoltura e sviluppo rurale; buon governo e sicurezza. Ma anche per canali di finanziamento (bilaterale, multilaterale, di cooperazione decentrata), ossia le modalità che la Cooperazione Italiana adotta nella gestione dei fondi per i diversi progetti. Una speciale sezione è dedicata ai progetti in corso ad Herat dove si concentrano molte delle iniziative realizzate nella Regione Occidentale del Paese. (ANSA 2 MAGGIO). ITALIA-AFGHANISTAN: COOPERAZIONE, A HERAT CASE PER RIFUGIATI La Cooperazione italiana ha provveduto a consegnare oggi in Afghanistan un gruppo di semplici unità abitative in un villaggio del distretto di Karuk della provincia occidentale di Herat, parte di un più ampio progetto che riguarda anche le province di Farah e Badghis. ''La comunità di un pittoresco villaggio oggi è in festa'' indica un comunicato diffuso a Kabul, ed i suoi ''abitanti, in abito tradizionale e col capo coperto da
26 / 44 bianchi turbanti, partecipano alla cerimonia di consegna (...) di piccole unità abitative familiari costruite con mattoni di fango essiccati al sole, nel rispetto dell'architettura tradizionale afghana che asseconda la fisionomia del paesaggio''. ''Le costruzioni - si dice poi - rispecchiano la semplicità della gente. Le hanno realizzate profughi, deportati e sfollati che hanno trovato rifugio in questo piccolo villaggio disperso tra le aride colline afghane''. ''A sostenere la costruzione di queste abitazioni è stato il popolo italiano attraverso il suo governo”, ha sottolineato in un discorso Sandro Pomiato, coordinatore della Cooperazione Italiana ad Herat. Un messaggio subito recepito dal governatore del distretto, Ghulam Farooq Rostayee, il quale ha cosi' commentato: ''Gli italiani hanno costruito le nostre abitazioni con il denaro delle loro tasse. E' nostra responsabilità utilizzare al meglio i fondi messi a disposizione dalla loro generosità''. Le 411 unita' abitative nelle province di Herat, Farah e Badghis sono state realizzate con l'assistenza tecnica della ong italiana Intersos, all'interno di un progetto bilaterale del valore complessivo di 3,1 milioni di euro, finanziato dalla Cooperazione Italiana e realizzato dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). (ANSA 28 APRILE)
COMMENTI (DI Più)_______________________________________________________________ CORSA PER FERMARE IL TESTAMENTO-BOMBA DI OSAMA Un testamento firmato Bin Laden, un allarme su scala mondiale e una direttiva straordinaria del ministero degli Interni che innalza la vigilanza su tutto il territorio italiano. L’allarme nasce dalle indiscrezioni sul “tesoretto” di Abbottabad, ovvero un computer e varie memorie dati ritrovati nel complesso recintato in cui s’è chiusa la vita di Osama Bin Laden. Secondo quelle indiscrezioni Osama bin Laden avrebbe lasciato un’esplosiva eredità operativa, politica e spirituale contente le indicazioni per dare il via, in caso d’eliminazione, ad un attacco preordinato. Un attentato studiato per vendicare la propria morte e dimostrare la capacità di Al Qaida di sopravvivergli. Quella potenziale nemesi post mortem avrebbe spinto l’intelligence Usa a diffondere un allarme su scala mondiale. Un allarme recepito dal Ministro degli Interni Roberto Maroni che ha subito ordinato l’inasprimento delle misure di prevenzione. Mentre il mondo guarda con apprensione alle ultime volontà di Bin Laden i cacciatori di dati elettronici dell’intelligence statunitense lavorano contro il tempo. Nessuno conosce ancora qualità e quantità dei dati nascosti in quegli scrigni digitali, ma alcune fonti li definiscono «una miniera d’oro». Per individuare e caricare sugli elicotteri quel “tesoretto” la task force di Abbottabad impiega 9 minuti in più dei 30 fissati per l’operazione. Ma quei 9 minuti permettono - secondo il direttore della Cia Leon Panetta - di raccogliere «un impressionante quantitativo di materiale che potrebbe permettere di smantellare e distruggere Al Qaida». E salvare molte vite. Non a caso lo studio del materiale è affidato ad un centinaio d’esperti chiusi in una base afghana. Il primo forziere da scassinare è il personal computer del capo di Al Qaida. L’analisi riguarda non solo il suo disco rigido, ma anche la sua provenienza, le transazioni economiche che l’hanno portato fin lì, le eventuali connessioni internet, i programmi utilizzati, l’analisi dettagliata di tutti i documenti in chiaro, la ricerca e la decodifica di quelli criptati. Ogni operazione fa capo ad un team specializzato. Capire se si tratti di strumenti acquistati al dettaglio o usciti da strutture pubbliche è fondamentale per individuare eventuali complicità pakistane. Nel caso di acquisto al dettaglio ricostruire la forma di pagamento iniziale e gli eventuali passaggi di mano aiuterebbe a disegnare la rete che garantiva la latitanza di Bin Laden. Il lato oscuro più interessante è la ricostruzione di eventuali connessioni internet. Nel covo del capo di Al Qaida, ossessionato dalle intercettazioni elettroniche, non esisteva né rete telefonica, né rete internet. Ma la traccia di eventuali connessioni via satellite o attraverso un modem a scheda schiuderebbe un mondo di conoscenze. Il vero terno al lotto sarebbe ovviamente il ritrovamento di un archivio dati. Le lettere l’indirizzario, i numeri di telefono di Osama Bin Laden e dei suoi “badanti” rappresenterebbero, anche se pochi ci scommettono, un vero colpo di fortuna. Il setacciamento del tesoretto di Abbottabad punta ovviamente a individuare il nascondiglio di Ayman Al Zawahiri, il medico egiziano ideologo di Al Qaida considerato il braccio destro e il naturale successore di Osama Bin Laden. Ma le speranze degli analisti della Cia non si fermano lì. Ultimamente Al Qaida, non teneva più collegamenti con i quadri operativi, ma continuava a contare su importanti linee di finanziamento. Individuarle rappresenterebbe un altro colpo grosso. «Al Qaida ha tradizionalmente finanziatori molto ben forniti - ricorda l’ex-sottosegretario al Tesoro Stuart Levy -. Chi ha fornito risorse all’organizzazione oggi è sicuramente preoccupato perché sa che il suo nome rischia di venir smascherato». Ovviamente si cerca anche di ricostruire il cerchio dei capi militari chiamati a sostituire le decine di comandanti eliminati grazie agli aerei senza pilota. Da quel tesoretto potrebbe emergere una mappa completa della nuova Al Qaida. Nella lista delle priorità di ricerca nessuna è, però, più urgente dell’individuazione del testamento di Bin Laden. La parte operativa di quell’eredità conterrebbe le indicazioni per un attentato simbolico studiato e preparato in precedenza per vendicare l’uomo simbolo di Al Qaida. Per questo l’esatta e rapida decrittazione di quel
27 / 44 testamento è fondamentale per sventare la vendetta postuma dello sceicco del terrore. (IL GIORNALE 4 MAGGIO DI GIAN MICALESSIN)
L'INGUARIBILE MALATTIA DEL COMPLOTTO In Italia la notizia dell’uccisione di Osama bin Laden è stata accolta da molti con scetticismo o con il pregiudizio che la notizia sia falsa, oscura o perlomeno manipolata. Nelle lettere che riceviamo qui al giornale, nelle mail, come nelle chiacchiere che attraversano il nostro Paese emerge un vizio tutto italiano, che ci accompagna da decenni. Ognuno di noi credo abbia avuto anche ieri la stessa esperienza: incontrare qualcuno che scuote la testa e, mentre sorride cercando complicità, dice: «Ma non è certo Osama bin Laden». Un concetto declinato con mille variabili: ma perché dovremmo crederci? A chi fa comodo? Perché proprio adesso? Perché tutta questa fretta di gettarlo in mare? Perché non ce l’hanno fatto vedere? Il tutto poi racchiuso nella rassicurante frasetta magica: è un «giallo». Se si prova a rispondere che quelle foto scatenerebbero la furia degli estremisti, che nessun Paese era disponibile ad accettare la salma e che si voleva evitare di creare un luogo di pellegrinaggio per fanatici e terroristi, allora si è guardati quasi con compassione. Sono così belle le teorie cospirative che ogni tentativo di spiegazione semplice e razionale viene subito respinto con disgusto. Intendiamoci, in tutto il mondo ci sono i teorici delle cospirazioni, quelli che sostengono che l’uomo non è mai andato sulla Luna (lo sbarco sarebbe solo una sceneggiata costruita negli studios di Hollywood), che Elvis Presley è ancora vivo o che nessun aereo ha mai colpito il Pentagono l’11 settembre del 2001. Ma queste idee appartengono a minoranze antisistema, non fanno breccia in ogni strato e in ogni ambiente della società. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama annuncia ufficialmente al mondo che i suoi militari, dopo una caccia durata quasi quindici anni, hanno individuato e ucciso Bin Laden, ma dalle nostre parti invece di discutere e dividersi se ciò sia giusto o sbagliato ci si chiede se sia vero e si pretendono le prove. Molti, a mio parere troppi, a sinistra come a destra, partono dal presupposto che il Presidente non dica la verità, o perlomeno nasconda qualcosa. Coltivare il dubbio non è un difetto, anzi una ricchezza delle democrazie, ma vivere con lo scetticismo come regola di vita rischia di essere una grande fregatura. E stiamo parlando di Barack Obama, pensate se l’annuncio l’avesse dato George W. Bush. Si potrebbe immediatamente obiettare che proprio dalla Casa Bianca venne diffusa nel mondo la bufala delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e ricordare come Colin Powell lo sostenne all’Onu mostrando la famosa fialetta. Dovremmo però ricordare anche il discredito che colpì Bush, Cheney e Powell quando si scoprì che non era vero, e come oggi la reputazione dei tre sia a pezzi, tanto che l’ex Presidente è forse l’unico a non essere invitato da nessuna parte a tenere lezioni e discorsi. Quei discorsi che a Bill Clinton fruttano milioni di dollari l’anno. L’America non ha mai perdonato ai suoi Presidenti il falso, basti l’esempio di Nixon e del Watergate. Negli Stati Uniti come nel resto d’Europa, ce lo hanno ricordato la Germania e la Gran Bretagna negli ultimi mesi, l’onorabilità e la reputazione sono tutto per un politico. La credibilità è l’unico patrimonio che possiede e si parte dal presupposto che sia tenuto a dire la verità, pena il licenziamento. Da noi invece ci si contenta di non credere, di alzare le spalle o di deridere senza però presentare il conto a chi pure viene colto sul fatto. Questo accade perché la menzogna del potere è considerata una regola e il nostro rapporto con le istituzioni e con chi ci governa è totalmente rotto. In Italia è normale pensare che il capo del governo menta o manipoli le informazioni, per cui partiamo dal presupposto che tutto possa essere falso. E questo talmente ha fatto breccia dentro di noi che chi dubita di qualunque fatto lo fa a prescindere, non sente la responsabilità di cercare prove a sostegno della sua tesi, il controllo delle evidenze non lo riguarda. In questo modo però il dubbio inquina ogni cosa, mina ogni ragionamento e sfarina ogni certezza, impedendoci spesso di apprezzare e valutare serenamente gli avvenimenti. Il tarlo italiano ha radici e motivazioni storiche, siamo il Paese di Ustica, delle bombe sui treni, del terrorismo rosso e nero, dei misteri e delle molte verità negate, e nasce certamente perché abbiamo avuto di fronte un potere opaco e sfuggente. Ma questo ha lasciato nella nostra società un modo di pensare, un vero e proprio abito mentale, che è diventato comodo e funzionale. Comodo perché divide tutto in bianco e nero e non dovendosi confrontare con le sfumature rassicura e semplifica. Così accade di sentire, molto spesso e ad ogni livello, che non sappiamo nulla delle stragi o del terrorismo, che tutto è oscuro e coperto. Quante persone, per fare l’esempio più lampante, sostengono che non conosciamo la verità su Piazza Fontana? Sbagliano: non è così. Per la strage alla Banca dell’Agricoltura è corretto dire che non è stata fatta giustizia ma la verità storica è assodata: furono i neofascisti di Ordine Nuovo a mettere la bomba e poterono contare sulla complicità di una parte deviata degli apparati dello Stato. Ma per molti lo stereotipo e la frase fatta finiscono per essere più forti della storia e delle sue conquiste. Non vedere quello che si è ottenuto significa fare un torto a chi per anni si è battuto per ottenere la verità e lasciarsi invadere da quello scetticismo significa rinunciare a ogni partita e a ogni sfida. Per tornare a Obama e Osama, negando a priori (ripeto: il dubbio è sano ma non il pregiudizio cieco) che questo fatto sia davvero successo ci neghiamo la possibilità di discutere e capire. Se una cosa non è accaduta perché dovremmo allora porci l’interrogativo se sia giusta o sbagliata e poi cercare
28 / 44 di immaginarne le possibili conseguenze? La Storia passerà avanti veloce, cambieranno gli scenari mondiali, forse ci toccherà registrare la potenza delle vendette e delle rappresaglie, ma noi non saremo stati in grado di capirle perché saremo rimasti fermi alle rassicuranti chiacchiere del bar, al sorrisetto, all’alzata di spalle. (LA STAMPA 4 MAGGIO DI MARIO CALABRESI)
È MEGLIO NASCONDERE CHE ECCITARE Mostrare o non mostrare, questo è il problema. Se sia più saggio oscurare il cadavere bucherellato e far dubitare gli scettici, oppure esibirlo in mondovisione e far imbufalire i fanatici. La civiltà dell’immagine è priva di immaginazione. In essa esiste solo ciò che appare. Le narrazioni possono ancora sfamare qualche riserva residua di sognatori. Gli altri non si fidano. Vogliono la prova visiva: il labiale, il plastico, il moviolone. Non è stato sempre così. Il Tommaso che per convincersi della resurrezione del Maestro ha bisogno di toccarne le ferite con mano è probabilmente il frutto di un’insinuazione malevola, ma anche la prova lampante che in duemila anni lo scenario si è ribaltato. Allora, quando si voleva parlar male di qualcuno, si diceva che doveva vedere per credere. Adesso, in tempi di scarsa fede e di scarsissima fiducia verso le autorità costituite, il vedere è diventato invece una condizione preliminare del credere. E’ tipica delle epoche barbare, questa necessità di esibire in pubblico lo scalpo del condottiero nemico ucciso, la cui testa decollata veniva infilata in cima a una picca e mostrata dagli spalti della fortezza per sollevare il morale alle proprie truppe e indurre alla resa quelle altrui. Nella società dello spettacolo il fenomeno si è dilatato e complicato. Grazie alla tecnologia, gli spalti da cui mostrare lo scalpo si affacciano sul mondo intero. E l’emotività esasperata del bambin-uomo moderno rende le reazioni del nemico assai meno prevedibili. Chi garantisce alla Cia che la foto dei lineamenti deturpati di Osama bin Laden, lungi dal deprimere i suoi seguaci, non finisca piuttosto per fomentarne il fanatismo, trasformandosi in un oltraggio anche peggiore della morte, in una provocazione da vendicare? L’immagine corre in superficie, e corre veloce, accidenti a lei, e basta che un fessacchiotto bruci il Corano in un paesino sperduto della Florida perché due ore dopo, e a due oceani di distanza, le piazze degli integralisti entrino in ebollizione. Per questa e altre ragioni, condivido la decisione americana di non mostrare «la pistola fumante». Tanto gli scettici continuerebbero comunque a dubitare della verità rivelata, come già dubitano della conquista della Luna e dell’Undici Settembre. Insinuerebbero di foto rivisitate al computer. E nelle ultime e cruente immagini di Osama troverebbero sicuramente un particolare a cui appendersi per giustificare la teoria della messinscena. In compenso i fanatici di Bin Laden non verrebbero attraversati dal minimo dubbio e farebbero di quelle foto la loro Spoon River. No, meglio lasciar perdere. Alle barzellette ho sempre preferito i proverbi e ce n’era uno che mio padre non si stancava di ripetermi durante l’adolescenza: «La verità è nuda. Tocca alla saggezza rivestirla». (LA STAMPA 4 MAGGIO DI MASSIMO GRAMELLINI) LA MORTE DI OSAMA NON CAMBIA NIENTE L’America è in festa e il mondo tira un sospiro di sollievo alla notizia della morte di bin Laden. Ma, al di là del clamore del momento, la fine del capo di al Qaida ha esclusivamente una rilevanza politica, associata al cambio inevitabile della strategia statunitense in Afghanistan e all’evoluzione dei rapporti fra Washington e Islamabad. L’eliminazione di bin Laden, avvenuta nella località di Abbottabad, nella provincia di KhyberPakhtunkhwa, a 95-110 km dalla capitale Islamabad e non lontano da un’accademia militare pakistana, lascia pensare che egli abbia fruito della complicità e protezione di elementi dell’Isi (i servizi segreti pakistani). L’ambiguità che ha contraddistinto in questi anni la partecipazione del Pakistan alla campagna contro il terrorismo getta un’ombra su un eventuale accordo con gli Stati Uniti che ha permesso l’operazione contro lo sceicco del terrore. In ogni caso, la Casa Bianca negli ultimi tempi ha mostrato inequivocabilmente la volontà di recuperare libertà di manovra in relazione al impegno militare in Afghanistan, attraverso un’accelerazione del proprio disimpegno da quel teatro e probabilmente acconsentendo al recupero di un margine di influenza di Islamabad nel paese. Risale infatti allo scorso 28 aprile l’annuncio di Obama che alla direzione della Cia subentrerà il generale David Petraeus, architetto della strategia americana di counterinsurgency in Afghanistan. Da Langley, dove sostituirà a luglio l’attuale direttore Leon Panetta, la voce autorevole di Petraeus non inciderà più sulle scelte cruciali sul conflitto in Afghanistan e permetterà a Obama di accelerare il ritiro delle truppe dal paese. Il comando in teatro di tutte le forze alleate passerà al generale John Allen, attualmente deputy commander del Comando centrale statunitense. La scomparsa di bin Laden, al di là dell’impatto sul destino dell’Afghanistan e sugli equilibri regionali, non cambia sostanzialmente la realtà sul terreno. Sotto il profilo tattico-operativo infatti l’uscita di scena del capo di al Qaida, relegato dall’ottobre del 2001 (quando fuggì da Tora Bora) a un mero ruolo simbolico e di guida ideologica del movimento, non ridimensiona i rischi che promanano dal terrorismo di matrice jihadista, ma anzi potrebbe provocare una risposta con nuovi attentati nonché una recrudescenza della violenza in Afghanistan. D’altronde, è di pochi giorni fa l’annuncio dei talebani dell’avvio dell’offensiva di primavera, seguito subito da un attacco suicida in un mercato della provincia di Paktika. Questo fa seguito a un attentato nella sezione militare afghana
29 / 44 dell’aeroporto internazionale della capitale, che ha visto il coinvolgimento di un colonnello delle forze armate nazionali. La compromissione degli apparati di sicurezza afghani peraltro conferma le serie difficoltà connesse con la missione di training portata avanti dalle forze internazionali. La decentralizzazione di al Qaida ha comportato una dispersione della minaccia, anziché una sua contrazione, diluendone le potenzialità ma non allontanando lo spettro di un conflitto di logoramento difficile da contrastare. Sul terreno operano adesso gruppi regionali come al Qaida nella Penisola Arabica (Aqap) e al Qaida nel Maghreb Islamico (Aqmi), l’ultimo dei quali potrebbe essere responsabile del recente attacco a Marrakech, in Marocco. La direzione che prenderanno tali formazioni è ancora da vedere. Al momento pare di poter dire che, con la disgregazione della direzione centrale di al Qaida e la morte del suo leader, Aqap potrebbe mutuare più di altre l’ideologia qaidista pur conservando la propria autonomia. L’articolazione nordafricana di al Qaida, invece, sembra rinunciare a un ruolo insurrezionale di ispirazione politico-religiosa a favore di attività più prettamente criminali, come dimostrano i sequestri a scopi di lucro e l’interesse a usufruire dei vantaggi economici provenienti dal traffico di stupefacenti. In questo ultimo caso, Aqim potrebbe seguire le orme del gruppo filippino di Abu Sayyaf, il quale ricorre alla retorica islamista a giustificazione delle proprie attività illecite. A questi due gruppi si aggiunge Aqi (al Qaida in Iraq), che ha perso terreno dopo aver largamente applicato la tattica della violenza settaria in chiave antisciita, al punto che molti insorti sunniti ostili all’occupazione sono stati reclutati nelle milizie dei cosiddetti “Consigli del risveglio” (“Awakening Councils”) costituiti in funzione anti-al Qaida. Anche il continente africano non sfugge al processo di trasformazione ed espansione del movimento jihadista, tanto che la Somalia è considerata oggi a tutti gli effetti un “vivaio” terroristico. Ma i rischi più concreti vengono dai terroristi “fai da te” e da giovani musulmani homegrown e convertiti. Le potenzialità di “attacchi amatoriali” sono state peraltro sperimentate anche dall’Italia, con l’attacco nell’ottobre del 2009 contro la caserma Santa Barbara di Milano ad opera di un aspirante kamikaze. Un ventaglio ampio di fonti di rischio, non facilmente prevedibili, rispetto alle quali nonostante l’emozione del momento per la morte di bin Laden occorre non abbassare la guardia. (LIMES 4 MAGGIO DI MASSIMO AMOROSI)
IL RUOLO AMBIGUO DEL PAKISTAN L'ALLEATO CON TROPPI INTERESSI II ruolo ambiguo del Pakistan l'alleato con troppi interessi di Bernard-Henry Lévy a pagina 19 L'America e le strategie per il futuro di Bernard-Henry Lévy Il ruolo ambiguo dell' alleato Pakistan Bin Laden è morto. In un certo senso, era già morto. E nessuno credeva più, da molto tempo, alla prospettiva da lui tracciata di un islamismo radicale che desse il cambio al comunismo e alle sue ambizioni deliranti. Insomma, stavolta, è morto davvero. Il peggior serial killer della storia contemporanea, l'inventore della nuova strategia terroristica, il capo di una Ong del crimine che ha ucciso, da dieci anni a oggi, migliaia e migliaia di civili, ha lasciato la scena del mondo. Evidentemente, è una grande notizia. A partire da qui, si pongono alcune domande. 1. Chi ha ucciso Bin Laden? Un commando della Joint Special Operations americano, certo. Ma anche, per forza, la coalizione antiterroristica che da dieci anni gli dava la caccia. E le masse arabomusulmane che, si riteneva, sarebbero cadute fra le braccia di Al Qaeda ma che, in fin dei conti, se ne sono guardate bene e in questi ultimi tempi hanno finito per guarire da tale eventuale tentazione grazie ai movimenti democratici nella regione. Bin Laden è morto perché la maggioranza dei musulmani lo aveva, subito, rinnegato. E perché la primavera araba, dieci anni dopo, lo ha condannato. 2. Cosa ha permesso di uccidere Bin Laden? La presenza delle forze speciali americane in prossimità del Pakistan. Quindi, per parlar chiaro, la loro presenza nel vicino Afghanistan. Ciò significa, per parlar più chiaro ancora, che la coalizione antiterroristica aveva ragione di restare in Afghanistan e che questa guerra tanto denigrata, «malfamata», che si diceva fosse perduta e veniva messa nello stesso sacco dell'assurda guerra in Iraq, era una guerra che bisognava fare e di cui raccogliamo, infine, i frutti di riconciliazione e di pace. L'evento è la conseguenza della presenza, in Kapisa e in Uzbeen, di soldati occidentali. E la vittoria di coloro che, dal 2001, rifiutano di lasciarsi impressionare dal disfattismo. E uno scacco per la politica di appeasement e la sua insondabile frivolezza. 3. Cosa accadrà a partire da questo momento? L'evento è naturalmente una lezione per tutti i terroristi del mondo, specie per i talebani. Inoltre, a medio e lungo termine, provoca un inevitabile indebolimento per il piccolo esercito del crimine di cui Bin Laden era il capo. Ma prima di questo? A più breve termine? Alla base della Base? Nelle cellule che ormai avevano solo lontani rapporti con lui e che, a Marrakech, in uno dei più bei posti del mondo, hanno appena compiuto la carneficina che sappiamo? Non si rischia, così, un'epidemia di piccoli califfi che tentano d'essere califfi al posto del grande Califfo? E questi non entreranno in concorrenza per immaginare una rivincita all'altezza della sua demenza? La morte di Bin Laden è una vittoria. Ma non è ancora, ahimè, la sconfitta del terrorismo. 4. Infine, il Pakistan. Capisco che l'operazione sia stata resa possibile grazie alla coo *** perazione pachistana. Ma al tempo stesso... Come non ascoltare anche l'altro elemento di verità? Si diceva che il fuggiasco si nascondesse nelle grotte, errando da un rifugio all'altro. Che vivesse la vita di una bestia braccata in chissà quale «zona tribale». Ebbene, era
30 / 44 nel cuore del Pakistan. Viveva a 4o chilometri da Islamabad, capitale politica del Paese, in un quartiere che ho visitato durante la mia inchiesta su Daniel Pearl, un luogo residenziale per militari in pensione. Possiamo allora concludere che i pachistani sapevano? Che avevano accettato di proteggerlo e poi hanno deciso di mollarlo? Come non porre la domanda da me posta ogni volta che, in passato, e in circostanze sempre analoghe, le agenzie pachistane scaricavano uno degli jihadisti da loro tenuti in riserva e a portata di mano (gli eventi mi hanno ogni volta, purtroppo, dato ragione): perché questo cambiamento d'idea? Al termine di quale mercanteggiamento? E quale carta si trattiene quando, nella partita di poker che è il gioco diplomatico visto da Islamabad, ci si disfa di simile atout? La scomparsa di Bin Laden, per quanto sia una buona notizia, mi rafforza nell'idea che il Pakistan nuclearizzato, jihadizzato, sottomesso all'influenza persistente dei suoi terribili servizi segreti, resti, come ieri, uno dei luoghi più pericolosi del pianeta. (CORRIERE DELLA SERA 4 MAGGIO DI HENRY LEVY BERNARD)
DOPO BIN LADEN - RUSHDIE. IL DOPPIO GIOCO DEL PAKISTAN NELLA NOTTE DI AL QAEDA Osama Bin Laden è morto nella notte di Valpurga, quella dei sabba satanici e dei falò. Ci sta che in una notte così il capo stregone cada dalla scopa e muoia in un aspro conflitto a fuoco. uando si è diffusa la notizia, su Face-book in moltissimi hanno aggiornato il proprio stato con la frase "DingDong, the witchis dead", lo stregone è morto, e sui volti della folla che scandiva "U-S-A" la notte scorsa davanti alla Casa Bianca, a Ground Zero e altrove, si leggeva chic- ramente un'aria di festa da Mastichini, gli gnomi del Mago di Oz. A quasi dieci anni dall'orrore dell'undici settembre, la lunga caccia all'uomo si è conclusa, gli americani stamattina si sentiranno meno vulnerabili e saranno compiaciuti per il messaggio che questa morte trasmette: «Attaccateci e noi vi daremo la caccia, non avrete scampo». Molti di noi non credevano all'immagine di un bin Laden stile Vecchio della Montagna, che erra nutrendosi di piante e insetti nascondendosi in una caverna inospitale da qualche parte lungo il poroso confine tra Pakistan e Afghanistan. Possibile che un omone come lui, alto un metro e ottantatré, in un paese in cui l'altezza media dei maschi è poco più di uno e cinquanta, se ne vada in giro inosservato per dieci anni quando metà dei satelliti in orbita lo stanno cercando? Non tornava. Bin Laden era nato ricco sfondato ed è morto in una casa *** da ricchi, costruita al meglio con cura maniacale. L'amministrazione Usa si dice «stupefatta» dalla complessità della costruzione. Avevamo sentito dire — almeno io di certo—da più di un giornalista pakistano che il Mullah Omar era (è) protetto in una dimora sicura gestita dalla Isi, la potente e temuta agenzia di intelligence pachistana in una località nei pressi di Quetta, nel Baluchistan, e che verosimilmente anche Bin Laden avrebbe acquisito una casa sua. Dopo il raid di Abbottabad, è il Pakistan che deve dare una risposta a tutti i grandi interrogativi. Il vecchio giochetto («Chi, noi? Ma se non ne sapevamo nulla!») non funzionerà più, non deve più funzionare con paesi come gli Usa che hanno continuato a trattare il Pakistan da alleato pur sapendo da tempo che faceva il doppio gioco, sostenendo, ad esempio, la rete Haqqaniche che ha ucciso centinaia di americani in Afghanistan. Questa volta i fatti parlano a voce troppo alta per essere messi a tacere. Si è scoperto che Osama Bin Laden, l'uomo più ricercato del mondo, viveva in fondo a una strada sterrata a settecento metri dall'accademia militare di Abbottabad, equivalente pachistano di West Point o di Sandhurst, in un accantonamento militare in cui ci sono soldati a ogni angolo di strada a meno di cento chilometri dalla capitale Islamabad. L'enorme casa non aveva telefono né connessione internet. E noi dovremmo credere che il Pakistan ignorasse la presenza di Bin Laden ad Abbottabad e che l'intelligence pakistana e/o le forze armate e/o le autorità civili non abbiano fatto nulla per agevolarlo, mentre gestiva AlQaeda con un va e vieni di corrieri, per cinque anni? Il vicino del Pakistan, l'India, paese gravemente ferito dagli attacchi terroristici del 26 settembre a Mumbai, sta già chiedendo risposte. Quanto ai gruppi jihadisti antiindiani—Lashkar-e-Toiba, Jaish-e-Muhammad—è fuori questione che il Pakistan li sostiene, è disponibile a offrirgli rifugio, li incoraggia usandoli come strumento di guerra in Kashmir, e, ovviamente, a Mumbai. Negli ultimi anni questi gruppi si sono avvicinati ai cosiddetti Taliban pachistani per dar vita a nuove reti di violenza e vale la pena notare che le prime minacce di rappresaglia perla morte di Bin Laden sono giunte dai Taliban pachistani, non per bocca di un portavoce di Al-Qaeda. È l'India, da sempre l'insana ossessione del Pakistan, il motivo del doppio gioco. Il Pakistan è allarmato dal crescere dell'influenza indiana in Afghanistan, e teme che un Afghanistan ripulito dei Taliban diventi stato cliente dell'India, per cui il Pakistan si ritroverebbe schiacciato tra due nazioni ostili. Da non sottovalutare mai sono poi le paranoie pachistane circa presunte oscure macchinazioni indiane. Da molto tempo ormai l'America tollera il doppio gioco del Pakistan sapendo di aver bisogno dell'appoggio pachistano per la sua impresa in Afghanistan e sperando che i leader pachistani si rendano conto di aver sbagliato i calcoli e capiscano che gli jihadisti vogliono prendere il loro posto. Il Pakistan, dotato di armi nucleari, è una preda ben più ambita del povero Afghanistan, e i generali e i capi dei servizi che oggi fanno il gioco di Al-Qaeda potrebbero, se accadesse il peggio, diventare domani vittima degli estremisti. L'élite al potere in Pakistan non dà gran segno di poter tornare alla ragione in un prossimo futuro. La residenza di Osama Bin Laden è l'ennesima testimonianza della pericolosa follia pachistana. Mentre il
31 / 44 mondo si prepara alla reazione dei terroristi alla morte del loro leader farebbe bene anche a esigere che il Pakistan fornisca risposte esaustive alle domande impegnative che ormai è ora di porre. Se non darà queste riposte forse è giunto il momento di dichiararlo stato terrorista e di espellerlo dalla comunità delle nazioni. (LA REPUBBLICA 4 MAGGIO DI SALMAN RUSHDIE)
L'OPPORTUNITÀ PER OBAMA: SFRUTTARE IL PRESTIGIO A KABUL In guerra, il morale è tutto. Per battere il nemico bisogna spezzare il suo morale. L'uccisione di Osama Bin Laden per mano delle Forze speciali americane in uno scontro a fuoco a nord di Islamabad, la capitale pachistana, ha fatto schizzare verso l'alto il morale americano, impartendo un colpo mortale a quello di Al Qaeda, con ripercussioni rimbalzate in ogni angolo del mondo. Bin Laden non si era limitato a sparire misteriosamente nel nulla, a non dare più notizie di sé, alimentando le illazioni sul suo fato e rinfocolando così le speranze dei suoi devoti seguaci sunniti. Né è morto di morte naturale. E stato individuato ed eliminato. Un fatto, questo, che merita la massima evidenza. Tra i molteplici risultati positivi dell'azione, mi limiterò a ricordare i seguenti: Il presidente Barack Obama ha dimostrato una volta per tutte che i democratici sono un partito capace di difendere la sicurezza nazionale: cosa ottima per le sue future possibilità di rielezione alla Casa Bianca, ma soprattutto essenziale per la democrazia americana. II Paese è tornato ai tempi della Guerra fredda, precedenti a George McGovern, quando le questioni di sicurezza nazionale non dividevano gli animi, perché erano in cima all'agenda politica di entrambi gli schieramenti politici. Oggi, grazie alle sue nuove credenziali di sicurezza nazionale, profondamente simboliche, sarà più facile — politicamente — per Obama imporre tagli alle spese militari, cosa che occorre fare al più presto. Se nel breve periodo si prevede un inasprimento delle tensioni con il Pakistan, i rapporti tra i due Paesi potrebbero migliorare sotto il profilo strutturale. Gli Stati Uniti non hanno mai imposto un cambiamento radicale nella gestione degli affari interni del Paese, solo una maggior assistenza in alcuni settori chiave, come la caccia alle personalità di alto profilo di Al Qaeda. Oggi che il capo assoluto di Al Qaeda è stato eliminato — con o senza l'avallo delle autorità pachistane — c'è speranza che i rapporti tra i due Paesi si normalizzino. Un legame meno intenso con il Pakistan potrebbe anzi rivelarsi più salutare per entrambi i Paesi. Per inciso, sarà più facile instaurare una nuova collaborazione dei servizi segreti per stanare Ayman AlZawahiri, un importante capo di Al Qaeda, e il suo complice talebano, il mullah Omar. In ogni caso, gli Stati Uniti dispongono ora di una leva nei confronti del Pakistan di cui prima del raid erano privi. L'uccisione di Bin Laden rafforza inoltre il prestigio americano in Afghanistan, e spronerà forse i talebani a scendere a patti con il governo di Kabul. Al contempo, renderà possibile un sostanzioso ritiro di truppe americane nel 2014, forti della vittoria riportata nella guerra al terrore. La guerra proseguirà di certo in Paesi più lontani, come Yemen e Somalia, dove Al Qaeda ha da tempo insediato le sue filiali. Ma la risolutezza e la baldanza di questi affiliati hanno subito un duro colpo con la morte del loro leader. Anche se indirettamente, la morte di Bin Laden favorirà la lotta per la democrazia in Medio Oriente, proprio perché ha inferto un tremendo colpo simbolico all'estremismo. La battaglia per il progresso dei governi in Medio Oriente sarà lenta e tumultuosa, con periodiche esplosioni di caos in questo o quel Paese. Ma le rivolte contro i regimi tirannici fossilizzati, seguite dalla morte del numero uno di Al Qaeda, promettono bene per la regione. Inoltre, l'uccisione di Bin Laden ridimensionerà le ambizioni di Hamas e dei Fratelli Musulmani in Egitto e in Siria, i quali, seppur non affiliati ad Al Qaeda, hanno sempre voluto emulare il suo *** esempio nel lanciare sfide all'Occidente. Ricordiamo tuttavia che Al Qaeda è già stata indebolita dalle sommosse pro democratiche in tutto il mondo arabo e oggi ha toccato il suo punto più basso. La morte di Bin Laden rientra nel processo di risanamento dell'instabilità e dell'estremismo che da tempo travagliano il Medio Oriente e hanno richiamato l'invio delle truppe americane nella regione. Allo stesso modo, oggi essa consente di metter mano alla grande strategia di lungo raggio di Obama: spostare cioè l'attenzione americana verso l'Estremo Oriente, dove sta nascendo il vero centro dell'economia mondiale e dell'attività navale e marittima. Facciamo un passo indietro e riflettiamo: Obama ha già ridotto considerevolmente le forze armate presenti in Iraq e promette il ritiro dell'America dall'Afghanistan nel 2014; ha eliminato Bin Laden; ha evitato la guerra con l'Iran (grazie al sabotaggio industriale, le ambizioni di Teheran di acquisire armamenti nucleari sono state notevolmente rallentate); ha incoraggiato una politica estera più vigorosa e creativa verso l'Asia orientale di quanto non avesse fatto il suo predecessore, specie nel modo in cui ha saputo rassicurare gli alleati nel Mar della Cina meridionale. Certo, permane qualche incertezza riguardo la Libia, ma senza le truppe di terra, non c'è rischio di impantanarsi in una guerra lunga e sfibrante. Pertanto, malgrado tutte le critiche che gli piovono addosso da alcuni settori, questo governo può sicuramente vantare la politica estera più competente ed efficace dai tempi del presidente Bush padre ad oggi. (Traduzione di Rita Baldassarre) Grazie alle nuove credenziali di sicurezza nazionale sarà più facile per Obama imporre tagli alle spese militari Oggi diventa possibile spostare l'attenzione americana verso l'Estremo Oriente, dove sta nascendo il vero centro dell'economia mondiale. (CORRIERE DELLA SERA 4 MAGGIO DI DI KAPLAN ROBERT_D.)
32 / 44 IL CONFLITTO TRA CIVILTÀ S'ALLONTANA Superata l'emozione del primo momento, s'affaccia subito la necessità di riflettere su ciò è accaduto, di intuire le conseguenze della morte di Osama ben Laden per il mondo islamico e per tutta la vita internazionale. La prima considerazione riguarda il luogo e le modalità secondo i quali il ca- po di Al-Qaeda è stato ucciso. Non c'erano alternative, poiché Osama aveva più volte ripetuto che mai si sarebbe lasciato catturare da vivo. La reazione all'attacco che lo ha sorpreso nel suo fortino non lascia dubbi in proposito. I dubbi nascono piuttosto se si considerano il luogo nel quale il principe dei terroristi si era rifugiato. Sono considerazione che portano a ridimensionare il ruolo ricoperto da Osama in questi ultimi anni. Il fatto che egli fosse riuscito a costruire un vero fortilizio in una nota stazione turistica e nei pressi di una caserma dell'esercito pakistano e il fatto che egli non avesse contatti elettronici con l'esterno impongono alcune considerazioni. Egli era protetto se non dal governo da importanti esponenti dell'esercito o dei servizi segreti paldstani ma lo era anche perché ormai la sua influenza politica su Al Qaeda era ormai circoscritta, come quella di un profeta armato, che aveva compiuto la sua missione. Fawaz A. Gerges, docente di Storia del Medio Oriente alla London School of Economics, ha scritto sul Washington Post che ormai Osama era diventato solo «un simbolo di odio e violenza» e che i capi di Al-Qaeda si trovano oggi nella condizione di dover pensare prima alla loro salvezza personale che alla lotta di un gruppo che non supera le 300 unità. Mathieu Guidère, professore a Ginevra e a Tolosa diproblemi del Medio Oriente, ha dichiarato a Le Monde che Ben Laden «non aveva più alcun potere concreto sull'organizzazione» né che la finanziava, 5 , ; ; Il conflitto tra civiltà s'allontana poiché i suoi beni erano stati congelati nel 2002. Molte altre analoghe citazioni potrebbero essere aggiunte. Ma a renderle credibili è proprio l'isolamento tecnologico nel quale Osama ormai viveva. Qualora egli avesse usato uno strumento elettronico, indispensabile per diramare ordini che non fossero i «pizzini» della mafia italiana, sarebbe stato immediatamente localizzato e colpito assai prima che domenica scorsa. Era dunque un simbolo, una sorta di sovrano medievale che, con il suo suggello, conferiva potere a chi davvero operava sul campo. Ma se questa ipotesi interpretativa è fondata, come molti elementi inducono a credere, allora le conseguenze- pratiche della fine di Osama saranno limitate? Una risposta affermativa sarebbe fuorviante. Benché fosse nella condizione di «pensionato di lusso», Osama aveva un grande ascendente sui suoi seguaci. Era ancora il numero uno di Al-Qaeda. Gli succederà probabilmente Ayman Al-Zawahiri, già guida dell'estremismo islamico nell'esercito egiziano ma, come ogni successione, questa sarà priva del carisma del capo indiscusso. Sicché l'azione di Al-Qaeda in Afghanistan e in Pakistan ne uscirà ancor più ridimensionata. Ciò non significa che l'estremismo di matrice qaedista sia estinto. Al contrario, il fatto che esso rimanesse concentrato sulle montagne afghane o paldstane ha già da tempo provocato una diaspora dei gruppi terroristici in gran parte dei paesi islamici e anche fuori di essi, ne] Maghreb, nello Yemen, in Somalia, nell'Iraq, nell'Africa Sub-sahariana il qaedismo ha trovato proseliti, sempre pronti a compiere azioni dimostrative di terrorismo. Pertanto la sensazione di liberazione generata dell'uccisione di Osa-ma deve essere ridimensionata. Tuttavia la sopravvivenza del pericolo non deve far perdere di vista le conseguenze a medio termine della svolta accaduta. L'immagine di Osa-ma oscurava l'immagine del vero islamismo, così come predicato dal Profeta. Harris Zafar, uno dei principali esponenti della comunità islamica degli Stati Uniti, ha affermato che Osama ha gravemente danneggiato l'immagine dell'islamismo nel mondo, proclamando un'ideologia completamente contraria a quella dell'Islam e ha spinto la maggior parte dei fedeli a guardare con ostilità verso coloro che offrivano al mondo un'immagine negativa. «Per la maggior parte dei Musulmani», ha scritto Fawaz A Gerges, «Al-Qaeda ha procurato rovine alla religione e alla comunità islamica globale». È proprio questo distacco che induce a considerare il valore simbolico di ciò che è accaduto. Non mancheranno, come sempre accade in questi casi, i nostalgici, ma la vera spinta al cambiamento sarà piutto sto l'effetto di ciò che Osama non poteva usare: le tecnologie di informazione avanzata che hanno portato tutte le giovani generazioni del mondo, e oggi quelle islamiche, a pensare in termini moderni. Ciò non significa che la pace tra l'Occidente e l'Islam sia a portata di mano ma rappresenta assai probabilmente un ridimensionamento dello «scontro di civiltà» del quale Osama si era eretto a profeta. Tutti i conflitti legati a questo scontro avvertiranno il cambiamento di clima e di mentalità. Pensare che persino la crisi afghana sia prossima alla fine può apparire fantasioso e tuttavia la spinta del presidente afghano, Karzai, perché, le forze straniere abbandonino presto il suo paese acquista oggi un significato nuovo. (IL MATTINO 4 MAGGIO DI ENNIO DI NOLFO) MA L'AMERICA RESTA NEL SUO LABIRINTO La morte di Osama Bin Laden avrebbe dovuto idealmente coronare la vittoria degli Stati Uniti nella guerra al terrorismo. Rischia invece di marcarne un altro passo verso la sconfitta. perché l'eliminazione del Nemico numero uno, che scatena l'entusiasmo degli americani, sta rieccitando la diffidenza e l'odio nei confronti dell'alleato" a stelle e strisce nel più strategico dei teatri bellici, quello afghano-pakistano. Il labirinto da cui
33 / 44 disperatamente il presidente Barack Obama cerca di uscire da quando è entrato alla Casa Bianca. Ma che non lascia facilmente chi visi avventura. Più che aprire nuovi orizzonti, l'esecuzione di Osama simboleggia il fallimento dell'opzione bellica perseguita da George W. Bush nei primi sei anni della sua presidenza, e che Obama non è riuscito a correggere. Di quella convinzione secondo cui all' 11 settembre l'America non poteva rispondere che dispiegandola sua in eguagliata potenza militare per sradicare il Male e affermare l'Impero della Libertà (Jefferson). Perla prima volta nella storia la potenza dominante, invece che difendere il sistema internazionale sul quale era egemone, cercava di rovesciarlo. Rispondendo alla chiamata di Dio e aderendo alla "direzione della storia" (Bush, in vena hegeliana), che indica agli Stati Uniti la missione di eliminare la tirannia nel mondo. Le campagne d'Afghanistan e d'Iraq erano solo le prime L'analisi Ma l'America resta nel suo labirinto due tappe della redenzione dell'umanità. La guerra non doveva solo smantellare le cellule del terrore, ma i regimi che le proteggevano. Nel caso, i taliban e — secondo Bush — Saddam. Grazie alla trionfale esibizione di forza tra Hindu Kush e Mesopotamia, si sarebbe prodotto un effetto domino per cui, nel tempo, i tiranni si sarebbero arresi uno dopo l'altro alla forza del Bene. Dieci anni dopo, che cosa resta di tale visione? Per azzardare un bilancio di questo lunghissimo decennio, occorre resistere alla tentazione di scavare dietro i misteri che hanno accompagnato la fine dell'architetto dell' 11 settembre. Non sapremo mai tutta la verità sui fatidici minuti del raid di Abbottabad. E possiamo star certi che fra qualche secolo vi sarà chi giurerà che Osama Bin Laden non è mai morto, ma si nasconde da qualche parte fra Terra e Cielo in attesa dell'ultima ora. Lasciamo i dietrologi alle loro esercitazioni, non perché non siano legittime, ma perché inutili. Peggio: devianti. Ci impediscono di guardare alla sostanza. La valutazione strategica della guerra al terrorismo implica invece di rispondere a una domanda: che cos'era l'America il 10 settembre 2001, e che cos'è oggi? Dieci anni fa l'America era la "superpotenza solitaria". Vittoriosa nella guerra fredda e nelle due precedenti guerre mondiali. La prima economia, la primissima potenza militare, soprattutto la massima potenza soft. Termine con cui si intende la capacità di ottenere ciò che si vuole dagli altri soggetti della scena internazionale senza dover impiegare la forza. Qualcosa di simile alla gramsciana "egemonia". L'America oggi resta la prima economia. Quasi tutti gli esperti concordano però sul fatto che il sorpasso cinese sia questione di anni, non decenni (il che non vuol dire che accadrà, viste le normali performance degli esperti). Ma a differenza di dieci anni fa, gli Stati Uniti sono indebitati fino al collo, soprattutto con la Cina. Quanto può essere dominante una potenza il cui massimo creditore è anche il suo concorrente principe? Una delle radici del debito Usa sta nella sovraesposizione militare. I costi della guerra al terrore avvicinano secondo il Congresso i 1.300 miliardi di dollari, ma è una stima conservativa. Le campagne di Bush e di Obama sono state finanziate da Pechino, che naturalmente è stata ben felice di farlo. Perché? Lo spiega Hillary Clinton: «Come fai a essere duro col tuo banchiere?». In termini globali, è dunque la Cina ad avervinto, per ora, la guerra al terrore. A spese dell'America e di noi altri occidentali. I rapporti di forza nel mondo sono espressi dal pauroso indebitamento dei dominatori del Novecento nei confronti dell'Asia riemergente. Nel decennio della guerra al terrorismo, la Cina è tornata ad esprimere il 25% della crescita mondiale, quanto valeva a inizio Ottocento, prima di perdere il treno della rivoluzione industriale e di essere umiliata nelle guerre dell'oppio. Le perdite più rilevanti nella guerra al terrorismo l'America le ha però subite quanto a potenza materiale (hard) e immateriale (soft). A che serve la strapotenza militare se non a vincere le guerre? Washington non riesce nemmeno a terminarle. E se pure gli Stati Uniti mantengono una formidabile capacità tecnologica — ma la Cina si avvicina anche in questo campo — e un'ammirevole produzione culturale, non sono più in grado di esercitare quel soft power un tempo incarnato nel "Washington Consensus". Certo sarebbe ingeneroso attribuire alla sovraesposizione imperiale di Bush la responsabilità unica del declino americano. Ma non c'è dubbio che per sfortuna del suo paese — e di noi europei occidentali, che della protezione a stelle e strisce abbiamo goduto per i migliori decenni della nostra modernità — quella Casa Bianca sia caduta nella trappola dei terroristi islamici. Esemplificata nel "messaggio al popolo americano" indirizzato nell'ottobre2004,viaAljazeera, dallo stesso Osama: «E' stato facile provocare quest'amministrazione e portarla là dove noi volevamo; ci basta mandare in Estremo Oriente due mujaheddin a sollevare una banderuola di al-Qaida perché i generali vi si affrettino, aumentando così le perdite umane, finanziarie e politiche (...). Abbiamo imparato a condurre la guerriglia e la guerra di logoramento contro le superpotenze inique. (...) La Casa Bianca e noi operiamo come una stessa squadra che ha come scopo di segnare punti contro l'economia americana, nonostante le intenzioni siano differenti». Per Barack Obama, la morte di Osama Bin Laden ha un valore tutto simbolico. Deve approssimare la fine della guerra al terrorismo, termine che peraltro ha già messo in naftalina. Non riuscendo a finirla materialmente, Obama deve lavorare sull'immaginario. Se non può vincere, deve almeno convincere il suo pubblico di essere sulla buona strada per farlo e cominciare a riportare i ragazzi a casa. Per occuparsi delle faccende serie, dall'economia alla Cina (la stessa cosa). II problema è che il messaggio forse funziona con gli americani, molto meno con pakistani, afgani e altri musulmani. Se un giorno i terroristi islamici saranno definitivamente sconfitti lo dovremo dunque ai musulmani che in questi mesi dimostrano di rifiutare il nichilismo jihadista e i regimi che l'hanno
34 / 44 sfruttato per spillare soldi e status all'America. Gente di coraggio che noi, "guerra umanitaria" a parte, ci rifiutiamo di aiutare. (LA REPUBBLICA 4 MAGGIO DI LUCIO CARACCIOLO) BIN LADEN MORTO, I DUBBI DEI SOLITI DUBBIOSI (NON TUTTI COMPLOTTISTI) E QUELLI DEL WASHINGTON POST Adesso l’amministrazione americana sta valutando se diffondere almeno una foto del corpo di bin Laden ucciso, forse addirittura un video, “cosicché nessuno possa avere qualche base per negare quella morte” , dice Brennan , consigliere antiterrorismo di Obama. Qualche foto “vera”, dopo quella ripresa dai siti di molti media occidentali e non (sicuramente on line su vari websites inglesi additati dal Guardian, e commentata negli Usa). Ma presto ritirata dopo che è stato sgamato il clamoroso falso. Un fotomontaggio imputato ai cospirazionisti, che proprio un sito “cospirazionista” come Prisonplanet.com sostiene, al contrario, di essere stato il primo a smontare. Sembra una buona idea, vista la quantità di dubbi e i sospetti che circolano sul web. Nei molti commenti dei lettori di blog in giro per il mondo, prima ancora che da parte di opinionisti “radical” additabili come fanatici dei complotti. E da autorevoli giornali mainstream. “Può credere il pubblico ai campioni di DNA? Dov’era il corpo di bin Laden? Perché il mujaheddin più famoso della Terra è stato sepolto in una località segreta nel nord del mare d’Arabia? Perché le notizie sono state annunciate poche settimane dopo il calcio di inizio della campagna elettorale di Obama e solo pochi giorni dopo aver mostrato il certificato di nascita? Perché così tardi, in una notte di domenica?”. Se lo chiede non un blog qualsiasi, ma il Washington Post online secondo il quale la versione ufficiale finisce per rilanciare le domande dei “cospirazionisti” (che intervista pure). “Alex Jones, il popolare conduttore radiofonico di Austin, che ha dato voce al 9/11 Truth Movement ( il Movimento per la Verità sull’11 settembre, ndr) e guida il sito web Infowars.com, ha mandato in onda un commento che recita: ‘Allarme Rosso. Fonti interne. Il cadavere di Bin Laden è stato congelato per quasi un decennio’. Il ‘re della cospirazione’, soprannome affibbiatogli da i media, ha puntato il dito su contraddizioni che si sono propagate all’istante come un virus. Ha fatto la lista di funzionari dell’FBI e dell’antiterrorismo e leader dall’Iran al Pakistan e Afghanistan che hanno detto per anni che bin Laden era morto. E che fosse morto da mesi lo aveva perfino raccontato nel 2002 a Jones, alla radio, l’ex membro del Council of Foreign Relations Steve Pieczenik.” Così il W Post. Certo è che, tra notizie contraddittorie, lacunose, e sospetti, la confusione è grande. Bin Laden era stato dichiarato morto nove volte, aspettavano solo il momento giusto ( e conveniente) per annunciarlo ufficialmente. Era in quella villa da anni (“inconcepibile che il Pakistan non sapesse” ha detto Brennan)/ Era lì una decina di giorni, di passaggio. “Non ci credo, non è vero che Osama fosse lì. Non ci è mica arrivato in volo. Abito due case accanto, andavo sempre a passeggiare lì, mi sarei accorto di qualcosa” (un testimone intervistato da Al Jazeera, riportato da Prisonplanet.com del 3/5). Sondaggi Gallup mostrano un Obama in ripresa (ibidem). Obama in veste di prestigiatore tira fuori dal cilindro un coniglio con la faccia di bin Laden (vignetta). L’intelligence pakistana era sul posto, poi si sono ritirati, lo riportano i media Cinesi (miscellanea su Prisonplanet.com). / Sono stati proprio i Pakistani a compiere l’operazione (altri). Pur vicino all’Accademia militare pakistana, bin Laden aveva un sofisticato sistema di comunicazioni / Non era stato possibile intercettarlo perché non aveva linee telefoniche né telematiche. Era in dialisi da tempo, sicuramente già nel 2001, e dializzati si resta a vita, a meno di non essere trapiantati: sarebbe bastato rintracciare le consegne di macchine di dialisi (Global Research, post del 2/ 5 di Paul Craig Roberts, già assistente del Segretario al Tesoro di Reagan, oggi collaboratore di vari siti radical-cospirazionisti. Adesso con la missione bin laden ora si pretende di giustificare prigioni segrete e torture (ancora Craig Roberts, ma 3/5, a proposito de “L’utile morte di bin Laden”) . Bin laden non è mai stato processato, e viene ucciso da un commando Usa in un paese in cui in teoria gli Usa non dovrebbero avere autorità. Fare giustizia non significa ammazzare, senza dare nemmeno la possibilità di arrendersi (il lettore di un blog del Corsera) I criminali nazisti ebbero il processo di Norimberga (un altro lettore) La missione bin Laden ha violato la sovranità del Pakistan, dice l’ex presidente del Pakistan Musharraf. Se fosse stato il 1° di aprile si sarebbe potuto pensare a uno scherzo (Infowar.com) Bin Laden come Hitler, entrambi dichiarati morti il primo maggio, e i corpi mai trovati. Il cadavere gettato nel mare arabico da una porterei. Ma dal Pakistan ci sono come minimo 1200 km: l’avranno caricato su un caccia supersonico? (un altro lettore italiano) E’ stato ucciso una settimana fa in un combattimento a fuoco vicino a Islamabad e il test del DNA l’hanno fatto allora (Larry Chin su Global Research, in un post assai complottista) Ci sono molte prove e testimonianze che fosse morto da anni, i tapes del 2004 e del 2007 erano falsi (su Global Research il prof. Griffin, che ci ha anche scritto un libretto nel 2009) Perché ci sono voluti 10 anni ?Non lo catturavano finché bisognava continuare la guerra in Medio Oriente e in Asia centrale. Oggi la strategia è cambiata (ibidem e Washington’s Blog 2/5) Le occasioni per ucciderlo sono state più di una (elenco prove e testimoni) . Ma sgominare Bin Laden e Al Qaeda non era prioritario. Le priorità erano altre, cambiare il regime in Iraq, Siria, Libia, Iran, citando il recente libro di Donald Feith , sottosegretario alla Difesa dal 2001 al 2005, che cita Rumsfeld (Washington’s Blog 2/5). Una
35 / 44 storia da palcoscenico, un finale da thriller hollywoodiano (Asiatimes, vedi Atimes.com). “A Che Guevara tagliarono un dito per preservare le sue impronte digitali”, ricorda un intervistato dal Washington Post. E un altro sostiene che oggi si tende a credere di più alle cospirazioni perché c’è Internet, ma anche molta rabbia in giro. Il Post conclude l’articolo con le parole amare e forti di Cindy Sheehan, la madre di un soldato ucciso in Iraq che esorta i suoi concittadini. “Se credete a questa versione della morte di in Laden siete degli stupidi. Pensate con la vostra testa, invece. Hanno fatto fare il giro del mondo alle foto dei figli di Saddam per dimostrare che erano morti. E perché pensate che abbiano frettolosamente seppellito in mare questa storia di Osama bin Laden? Questo Impero menzognero e omicida può esistere solo col tuo consenso. Metti via le bandiere e PENSA!”. (LA STAMPA.IT 4 MAGGIO RUBRICA “UNDERBLOG” DI MARIA GRAZIA BRUZZONE) LE RIVOLTE ARABE ERANO ANCHE CONTRO DI LUI L’uccisione di Osama Bin Laden e le rivolte delle strade arabe riscrivono il futuro del Medio Oriente. Due avvenimenti senza alcun legame, lontanissimi fra loro, almeno in apparenza. In realtà intrecciati dalla ferrea logica dello stato delle cose reali. Dieci anni fa esatti Al Qaeda con i suoi attacchi ai nemici americani, agli Infedeli, all’Occidente, attraverso le due Torri, lanciava in realtà una campagna politica di dominio del mondo arabo. La sua era una proposta inedita negli strumenti scelti (la ipermediatizzazione e il gigantismo terroristico) ma non negli scopi. Bin Laden rilanciava in effetti l’ideologia panarabista, si proponeva la conquista dell’intero mondo arabo, l’abbattimento dunque dei vari governi autoritari/pro occidentali. La conquista dell’egemonia su tutto il mondo islamico è una vecchia chimera alla cui seduzione hanno ceduto periodicamente negli anni, fin dalla fine dell’Impero Ottomano, cioè da dopo la Prima Guerra Mondiale, vari re ed emiri – e a cui ancora oggi lavorano attivamente quasi tutti gli Stati mediorientali. Di questa chimera fu vittima Saddam Hussein quando, dopo la fine dell’influenza sovietica, avviò nel 1990 l’invasione del Kuwait (e la prima Guerra del Golfo). Questa chimera insegue oggi l’Iran con le sue pedine religiose sparse nella regione, come Hamas ed Hezbollah. Sicuramente questa chimera agita da sempre le ambizioni dell’Arabia Saudita, di cui Osama bin Laden era, e non a caso, figlio. Il panarabismo terrorista di Al Qaeda era una soluzione a quella esplosione demografica che da venti anni a questa parte ha gonfiato le città arabe di giovani uomini (e donne) inquieti, disoccupati, e stanchi di un destino di passiva accettazione in un mondo pieno di tentazioni, denaro, corruzione, ed energia. Chi volesse oggi ricordare queste radici dovrebbe rileggersi i migliori libri mai usciti sulle ragioni sociali del terrorismo islamico, e sulla lotta interna all’Islam: Jihad. Ascesa e declino. Storia del fondamentalismo islamico, e Fitna. Guerra nel cuore dell'Islam, di Gilles Kepel. Il modello lanciato da Osama era la combinazione di un ritorno alla purezza religiosa del passato – rappresentato dall’arroccamento in una caverna, luogo mitologico della fuga del leader – e l’uso antagonistico della modernità offerta dalla cultura occidentale: internet come simbolo del tutto. Per qualche anno è stata una combinazione letale, che ha fatto proseliti ovunque, incluso nel cuore della grandi città del nemico. Che ha diffuso nelle vene del pianeta il rancore e l’odio della guerra religiosa. Poi qualcosa è successo. Qualcosa di cui non sappiamo ancora molto, ma di cui abbiamo misurato gli effetti. Quella massa di popolazione giovane, insoddisfatta, acculturata, nutrita da un forte sentimento di esclusione, ha cominciato ad esprimere questa matassa di sentimenti e domande in maniera diversa: chiedendo cambi politici e sociali, e non dall’Occidente, ma dai propri governi; usando Internet ma non per diffondere ricette su come fabbricare bombe bensì per convocare manifestazioni pubbliche; domandando libertà e riconoscimento di identità ma non attraverso le armi bensì attraverso la politica. «The awakening», il risveglio, come lo chiama il suo principale cantore, la tv al-Jazeera, non è panarabo, anzi sventola le proprie bandiere nazionali; non è antimperialista, anzi incolpa i propri governanti; e nella modernità non vede l’incarnazione del vizio, ma un passaporto per un mondo più grande. Curiosamente, il fine di questi movimenti è lo stesso di Osama, cioè abbattere i vari governi, ma dentro non vi agisce alcuna chimera imperiale e nemmeno religiosa. Il rapporto fra l’uccisione di Bin Laden e questa nuova realtà è proprio in questa somiglianza/differenza. Sarebbe mai stato raggiunto e ucciso il capo di al Qaeda se il mondo arabo non fosse cambiato? Se non fosse saltata intorno a lui la cintura difensiva di masse fanatiche e radicalizzate? La morte di Bin Laden è la prova provata che la sua ricetta di sangue ed odio per i giovani arabi non ha funzionato. E con questo fallimento una fase è finita. In altri tempi e in altri luoghi, nella nostra vecchia Europa, si sarebbe gridato: è morto il re, viva il re. (LA STAMPA 3 MAGGIO DI LUCIA ANNUNZIATA) SOLLIEVO E SPERANZA La soddisfazione del presidente degli Stati Uniti e la gioia con cui i suoi connazionali hanno salutato la morte di Osama Bin Laden sono comprensibili. A Barack Obama è riuscito ciò che il suo predecessore aveva più volte auspicato e inutilmente tentato. L'America non voleva soltanto combattere il terrorismo. Voleva anche e soprattutto colpire l'infame, vendicare i morti, dimostrare che nessuno può impunemente sfidare la sua potenza. La morte di Bin Laden non le restituisce i suoi figli, ma salda un conto aperto nel suo cuore e in
36 / 44 quel senso biblico della giustizia che è proprio di una parte importante del Paese. Vi saranno anche conseguenze politiche. Il presidente Obama ha ottenuto un risultato che gioverà alle sue fortune elettorali. I servizi americani hanno riscattato alcuni insuccessi del passato e dimostrato la loro forza. I nemici dell'America sanno di potere essere colpiti anche là dove le precauzioni e l'omertà dell'ambiente sembravano garantire la massima sicurezza. Ma l'operazione di Abbottabad suggerisce altre considerazioni. In primo luogo la vicenda ha dimostrato che Osama Bin Laden non si è nascosto in una grotta, ma in una vistosa residenza, a un'ora dalla capitale pachistana, nel cuore del Paese che è stato (o sarebbe dovuto essere) il principale alleato degli Stati Uniti nella lotta contro i talebani e il terrorismo islamico. Dopo avere reso onore alla sagacia e all'efficienza dei servizi americani qualcuno potrebbe chiedersi perché la caccia a Bin Laden sia durata dieci anni e quanto del tempo trascorso sia dovuto alla modesta e riluttante collaborazione del Pakistan. In secondo luogo il leader ucciso nelle scorse ore non era, e forse non è mai stato, l'amministratore delegato di Al Qaeda Inc, una grande multinazionale che dirige decine di filiali sparse per il mondo e ne muove le pedine sullo scacchiere globale. È il fondatore dell'impresa, il titolare del marchio, il profeta, l'ispiratore, il suo genio malefico. Ma non è il suo comandante in capo. Esistono le filiali, ma sono autonome e usano il marchio per meglio reclutare i loro adepti e dare risonanza mondiale alle loro imprese. Esiste Ayman Al Zawahiri, il medico egiziano che è stato in questi anni l'ideologo dell'organizzazione. Esiste l'islamismo somalo, capace di mantenere il Paese in uno stato di perenne anarchia. Esiste Anwar Al Awlaki, leader di Al Qaeda nella penisola araba, vale a dire nella regione più potenzialmente esplosiva del Medio Oriente. Esistono i guerriglieri islamisti dello Yemen. Esiste Al Qaeda nel Maghreb, una organizzazione corsara che usa il deserto come base e retrovia per le sue scorribande. Ed esistono gli irregolari, i terroristi solitari, gli aspiranti al martirio. Non è escluso che per molti di questi la morte di Osama Bin Laden sia addirittura la scintilla che può maggiormente infiammare le loro tentazioni suicide. Ed è persino possibile che molti rifiutino di credere alla sua morte e preferiscano costruire sulla vicenda di Abbottabad il mito, caro agli sciiti, dell'Imam nascosto. In ultima analisi il fatto più positivo, nella lotta contro il terrorismo islamista, non è la morte di Bin Laden, ma l'apparizione nelle piazze arabe di un popolo nuovo, composto da giovani che non sembrano affidare all'Islam la soluzione di tutti i problemi e, pur essendo buoni musulmani, considerano il voto, nelle questioni terrene, più efficace del Corano. Sono loro i migliori nemici di Al Qaeda. (CORRIERE DELLA SERA 3 MAGGIO DI SERGIO ROMANO)
PROCESSARE OSAMA BIN LADEN UN'OCCASIONE (MANCATA) DI FORZA E' giusto festeggiare la morte di un uomo, per quanto abietto? Non sarebbe stata una prova di forza ancora maggiore catturare Osama Bin Laden e processarlo per i suoi crimini, anziché ucciderlo e gettarne il corpo in mare? La discussione sulla fine da riservare ai nemici dell'umanità dura da venticinque secoli. «Era ora! Prendiamoci una sbornia/ beviamo a viva forza: Mirsilo è morto». Così Alceo celebrava la fine del tiranno che l'aveva esiliato da Mitilene, e inaugurava un genere letterario, il «nunc est bibendum» di Orazio: ora si deve brindare. Nella Grecia antica, la civiltà che inventò la democrazia, il tirannicidio era considerato un valore, e gli ateniesi eressero una statua di bronzo ad Armodio e Aristogitone, che li avevano liberati dal despota Ipparco. E in America nessuno o quasi protestò quando fu impiccato Saddam Hussein. Per questo celebrare a Ground Zero la morte dell'uomo che volle l'11 settembre è apparso del tutto naturale, e probabilmente lo è. Non esistono regole generali, ogni personaggio fa storia a sé. La logistica finisce per contare più dei princìpi; e gli uomini che hanno ucciso Bin Laden forse non potevano agire diversamente. Se l'altro giorno - per singolare coincidenza - fosse morto pure Gheddafi sotto i missili Nato, la guerra civile che dilania la Libia sarebbe già finita; e certo non sarebbe un male. Ma il realismo politico non impedisce di farci qualche domanda. Sottoporre Osama Bin Laden a un regolare processo, magari davanti al tribunale internazionale costituito proprio allo scopo di provare e punire i crimini contro l'umanità, sarebbe stato un passaggio difficile per l'America, ma certo avrebbe rafforzato il suo prestigio di patria della democrazia moderna, uscita scossa dalle vicende dell'Iraq, di Abu Ghraib, di Guantanamo. È difficile avanzare rilievi agli uomini che hanno liberato il mondo dal fondatore di Al Qaeda e che oggi un'intera nazione onora, a cominciare dal presidente democratico Obama e da Hillary Clinton, che annuncia secca: «Bin Laden è morto, giustizia è fatta». Però non c'è dubbio che le buone cause non escono ridimensionate ma rafforzate da un procedimento giudiziario condotto secondo il diritto internazionale, che comprende anche le garanzie per i colpevoli. Qualche anno fa si è riaperta in Italia la discussione sull'opportunità della fine di Mussolini. D'Alema definì un errore l'esecuzione per mano dei partigiani, subito corretto dall'allora segretario Ds Fassino. I realisti ricordarono che un processo al Duce sarebbe stato fonte di grandi imbarazzi, non solo per gli antifascisti dell'ultima ora, ma anche per le potenze alleate che l'avevano avuto come interlocutore (e, nel caso di Churchill, corrispondente) per anni. Neppure Bin Laden e la sua famiglia sono del tutto estranei all'establishment americano. Ma il punto non è questo. Nessun uomo davvero libero, se non qualche estremista islamico o qualche derelitto animato dal rancore per l'Occidente, piangerà la morte di Bin Laden. Così come nessuno, se
37 / 44 non i beneficiati della sua tribù, piangerebbe domani la morte di Gheddafi. Ricordare l'esistenza di un'altra via - la cattura, il processo, la condanna, l'espiazione della pena - non significa abbandonarsi a facili umanitarismi. Significa ribadire la superiorità del diritto e della democrazia sul terrore e sul dispotismo. (CORRIERE DELLA SERA 3 MAGGIO DI ALDO CAZZULLO)
OSAMA-GERONIMO, UN PARALLELO SBAGLIATO La scelta del nome in codice per Osama non è stata troppo felice. Lo hanno ribattezzato «Geronimo», come il famoso capo degli Apaches. L’indiano si era rivelato un osso duro per l’esercito americano. Ci vollero 5.000 soldati e una campagna militare feroce per mettere fine alle scorrerie di Geronimo, costretto alla resa nel 1886 a Skeleton Canyon (Arizona). Dopo la cattura venne condannato e deportato in Florida. DIMENTICANZE - Certo, gli Apaches hanno ucciso molti coloni, ma erano stati depredati delle loro terre, colpiti da incursioni della cavalleria e lo stesso Geronimo aveva visto la sua famiglia trucidata dai messicani. Come ha osservato la rete Cbs – interpretando il pensiero di molti – il capo degli Apaches non ha nulla in comune con il leader di Al Qaeda. E non è solo questione di essere politicamente corretti. Il Pentagono ha dimenticato che anche i nativi americani hanno partecipato alla caccia a Bin Laden. Alcuni di loro, abili nel leggere le tracce sul terreno, sono stati inviati in Afghanistan dove hanno assistito i reparti impegnati lungo i sentieri di montagna. Durante il blitz dei Navy Seals, i soldati non appena hanno eliminato Bin Laden hanno comunicato al loro comando: «Geronimo E-KIA». Ossia Geronimo, nemico ucciso in azione (in inglese enemy killed in action, ndr). (CORRIERE DELLA SERA 3 MAGGIO DI GUIDO OLIMPIO) BIN LADEN, MASSIMO FINI: "LEGITTIMO UCCIDERLO SAREBBE STATO ASSURDO METTERLO ALLA SBARRA" Nella sua carriera Massimo Fini ha riabilitato Catilina e Nerone, difeso l'indifendibile e sostenuto posizioni scomode. Recentemente ha anche dato alle stampe una biografia particolarmente elogiativa del mullah Omar. Un libro che ha fatto molto scalpore e che probabilmente lo porterà in tribunale per rispondere delle idee che ha sostenuto. Ma sullo "sceicco del terrore" la pensa in un altro modo... Fini lei ha scritto una biografia particolarmente “tenera” del Mullah Omar, che non è certo un francescano... Adesso non si metterà a difendere anche Osama Bin laden? "No, sono due personaggi completamente diversi. Bin Laden è un terrorista internazionale, un wahabbita che aveva in testa la distruzione del mondo occidentale. Il mullah Omar è un nazionalista afgano, certamente un integralista, ma che non ha mai pensato di portare la sua ideologia fuori dall'Afghanistan. E, peraltro, non c'era un solo afghano nelle cellule di Al Qaida scoperte dopo l'11 settembre. Non c'è una sola azione di terroristi afgani fuori dal loro Paese". Quindi secondo lei l'Occidente ha fatto bene a uccidere Bin Laden oppure dovevano processarlo? "Non solo è legittima l'uccisione del terrorista, ma sono assolutamente intollerabili i processi. La cosa è iniziata a Norimberga, i processi implicano che non solo i vincitori sono più forti, ma che sono anche moralmente migliori dei vinti. E questo è un principio secondo me inaccettabile". La foto “taroccata” del cadavere di Bin Laden e poi la “sepoltura in mare” da molti sono state sfruttate da molti per mettere in dubbio la veridicità dell'operazione. E' il solito complottismo? "Devo dire che gli americani hanno fatto di tutto perché nascessero questi sospetti. Innanzitutto la foto falsa. Che cosa gli costava fotografare il cadavere e dare l'immagine ai giornali? Poi la rapidissima scomparsa del corpo, anche questo lascia perplessi. Le spiegazioni per cui non danno foto e filmati, infine, non sono per niente convincenti. Che io ricordi è la prima volta che non si da' onorata sepoltura a un cadavare, anche se si tratta di un arcinemico. Persino il corpo di Catilina fu consegnato ai genitori dopo la battaglia di Fiesole e a Nerone fu addirittura eretta una tomba". Vuole dire che c'è un mistero dietro questa operazione? "No, non c'è alcun mistero. C'è solo il venir meno di alcune leggi umane che finora erano sempre state rispettate. Allo stesso modo non si dovrebbero uccidere i figli e i nipotini di nessuno, come invece è successo a Gheddafi. Anche in Italia, dopo una feroce guerra civile, nessuno ha toccato i parenti di Mussolini". Ora che Osama è morto l'Occidente può stare tranquillo? "Bin Laden e la sua struttura non erano operativi da un mucchio di tempo. Può darsi che ci sia una reazione spontanea di elementi sparsi qua e là. E poi, a questo punto, guerra in Afganistan non ha più alcun senso. Tutto questo potrebbe provocare la reazione dei fondamentalisti". (IL GIORNALE.IT 3 MAGGIO DI DI FRANCESCO MARIA DEL VIGO).
E ADESSO IL PAKISTAN DEVE DIRE CON CHI STA Adesso il re è nudo. Adesso il Pakistan deve chiarire, i suoi rapporti con Al Qaida e Osama Bin Laden. Sia che si tratti, e lo speriamo, di una trama oscura ordita da un intelligence deviata, sia che si tratti di un cancro diffuso fino ai vertici di quell'apparato militare considerato il vero timoniere del paese. Alternative non ce ne sono. In nessun altro caso l'uomo più ricercato del mondo avrebbe potuto nascondersi nel cuore di Abbottobad, una città di mezzo milione di abitanti all'incrocio tra i centri nevralgici di Islamabad e i picchi di
38 / 44 quell'area tribale santuario di Al Qaida. In nessun altro modo poteva sfuggire al setaccio dell' Isi (Inter Intelligence Service), un servizio segreto capace in altri casi di mantenere il controllo assoluto sui più angusti recessi di una potenza nucleare da 170 milioni di abitanti. Il primo timore di una collusione risale all'estate 1998 quando l'amministrazione Clinton ordina il lancio di 75 missili Tomahawak come rappresaglia la strage alle ambasciate di Kenia e Tanzania. Un microchip inserito dalla Cia nella batteria del satellitare di Bin Laden dovrebbe guidare le testate sul nascondiglio del capo di Al Qaida. Ma quando i missili esplodono Bin Laden, avvertito in anticipo, ha già abbandonato base e satellitare. Il dubbio americano diventa angoscia alla vigilia dell'11 settembre. Nell'agosto 2001 la Cia scopre le relazioni pericolose di Sultan Bashiruddin Mahmood e Chaudiri Abdul Majeed, due scienziati nucleari pakistani entrati in Afghanistan per offrire a Bin Laden la realizzazione di un ordigno nucleare sporco. La mattina dell'11 settembre l'allora capo dell'Isi generale Mahmood Ahmed viene convocato a Washington per spiegare i particolari di quella trasferta e chiarire la riluttanza della sua organizzazione a fornire informazioni su Al Qaida. Mentre il generale fa anticamera gli aerei dirottati da Mohammed Atta colpiscono le Torri Gemelle. All'indomani il sottosegretario agli esteri Richard Armitage lo rispedisce in patria affidandogli un messaggio molto chiaro. «Scegliete fra noi o il terrorismo altrimenti preparatevi a venir bombardati e a ritornare all'età della pietra». A salvare il Pakistan ci pensa il presidente generale Pervez Musharraf mettendo alla porta Mahmood Ahmed e un manipolo di altri generali filo talebani. Ma prima di venir congedato Mahmood Ahmed va a Kandahar, fa visita al Mullah Omar lo convince a resistere e a non consegnare agli americani Bin Laden. Bazzecole rispetto alle accuse dei servizi segreti indiani che sostengono di possedere l'intercettazione della telefonata con cui il capo dell'Isi dispone il trasferimento di 100mila dollari sul conto di Mohammed Atta capo del commando dell'11 settembre. L'uscita di scena di Mahmood Ahmed non mette fine, comunque, alle connivenze. I fuoriusciti dell'Isi creano una struttura parallela con sistemi di comando e controllo difficilmente rintracciabile. L'intelligence americana continua però a registrare comunicazioni quantomeno imbarazzanti, da quelle dei Corpi di frontiera pakistani impegnati a fornire appoggio alle unità talebane alle informazioni fornite al gruppo terrorista che nel luglio 2008 da l'assalto all'ambasciata indiana in Afghanistan. La ciliegina sulla torta è la registrazione in cui il capo di stato maggiore pakistano Ashraq Kayani definisce alcuni gruppi jihadisti «assetti strategici di cui il Pakistan non può far a meno». Kayani per Washington non è un generale qualunque, Dopo l'assassinio di Benazir Bhutto quel generale rappresenta l'unica speranza di rompere i legami con Al Qaida. Da quel momento gli americani capiscono di non aver più spazi di manovra. Capiscono che la guerra al terrore si potrà vincere solo tagliando fuori l'ambiguo alleato pakistano. (IL GIORNALE 3 MAGGIO DI GIAN MICALESSIN) OSAMA ASSASSINO E POETA «Le nostre donne piangono solo i guerrieri per la causa di Allah. Lasciatemi morire con dignità. Onorevole morte è meglio di questa mia vita». Il suo testamento, Osama Bin Laden, lo aveva affidato ai versi. Una poesia scritta nel 1996, mentre dichiarava guerra agli Stati Uniti già considerava la sua fine. Giovane rampollo di una ricca famiglia yemenita naturalizzata in Arabia Saudita per amicizia con la dinastia, da giovane sceglie la via della «jihad» dello sforzo supremo, non per trovare Allah, ma per combattere gli infedeli. Una vita controversa. Cresciuto tra agi e viaggi in Europa, scorribande nelle discoteche libanesi, Osama Bin Laden scopre la «fede» seguendo i sermoni di Mohammed Qutb, un membro della Fratellanza musulmana che insegnava a Gedda. L'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Armata Rossa, offre al giovane Osama - ha 23 anni essendo nato nel segno dei Pesci nel 1957 - l'occasione per mettersi alla prova. Osama parte per il Pakistan dove a Peshawar incontra Abdullah Azzam, un palestinese dotato di grandi doti oratorie e di un forte carisma, tanto da essere all'epoca un riferimento per il revanscismo islamico. Si ferma per un mese. Rimane affascinato, stregato dalla mobilitazione degli islamici che arrivano per combattere i sovietici. Torna in patria e fa opera di proselitismo per arruolare nuovi mujaheddin, ma soprattutto cerca finanziamenti che troverà senza problemi anche tra i membri della famiglia reale saudita. Del resto la guerra in Afghanistan è senz'altro una «Jihad giusta» per tutti i veri musulmani, si sostiene nei ricchi Paesi del Golfo. Quando tornerà in Pakistan si porterà dietro centinaia di mezzi per i movimenti via terra: bulldozer, ruspe e camion, prelevati dalle ditte di famiglia. Così Osama diventa il «Bulldozer di Allah»: costruisce strade, rifugi, bunker, ostelli per i combattenti santi. Tra queste strutture nel 1984 Bin Laden realizza il Beit al Ansar, la «casa dei sostenitori», con un chiaro riferimento ai fedeli di Maometto che sostennero il profeta dopo l'Egira. Osama Bin Laden diventa così via via Abu Abdullah, lo Sceicco, il Direttore, il Principe, l'Emiro fonda la Base, Al Qaeda: in quegli anni punto di riferimento per i mujaheddin arabi e per i servizi segreti occidentali che li addestrano per combattere i comunisti sovietici. Nel 1989, chiusa la jihad con Mosca, Al Qaeda si diffonde in una trentina di Paesi e si allea, fra gli altri, con la Jihad islamica egiziana e gruppi estremisti algerini. In quegli anni prende vita la strategia anti americana e anti Occidente. Su pressione degli Stati Uniti nel 1991 l'Arabia Saudita gli revoca la cittadinanza e, tre anni più tardi, dopo il fallito attentato alle Torri Gemelle di New York, viene costretto a lasciare anche il Sudan, dove si era rifugiato e dove aveva realizzato imprese e
39 / 44 costruito strade e aeroporti. Torna in Afghanistan ospite del Mullah Omar. Nel Paese dei talebani vive con le sue mogli e i suoi figli. Li educa al rigore, vuole che studino l'inglese, ma gli proibisce usi occidentali: vietata la Coca-Cola. Trascorre il tempo andando a cavallo e scrivendo poesie epiche che narrano delle imprese e del coraggio dei mujaheddin. In una di queste invita i giovani a prendere nota dei versi: «Se la morte è predeterminata È una vergogna morire da codardi Chi non muore di spada Morirà per altre ragioni Molte cause una sola la morte». In una altro messaggio dedica sempre ai giovani combattenti questa elegia autobiografica: «Sacrificherò me stesso e la mia ricchezza per i cavalieri che mai mi delusero». Nel frattempo in Afghanistan Al Qaeda ha realizzato diversi campi di addestramento per aspiranti mujaheddin e pronti ad azioni terroristiche. Il piano Bojnka, dieci aerei contro altrettanti città, l'attentato a papa Wojtyla nelle Filippine. E ancora l'Attacco all'America del «martedì santo». Tutto prende le mosse laggiù tra le montagne afghane. Osama Bin Laden vive di poco. Scrive poesie e coltiva le sue letture sante. Fino all'11 settembre 2001. Poi la fuga e una vita da «prigioniero» in un villone alla periferia di Islamabad. Con due mogli, altre due sono tornate in Siria e nello Yemen dopo l'11 settembre: le ha lasciate libere di scegliere. «Per quale motivo debbo arrendermi mentre sono ancora abile e ho frecce e arco teso? Morte è verità e ultimo destino e la vita finirà comunque. Se non combatto mia madre impazzirà», scriveva in una poesia lo sceicco del terrore. Insciallah. L'altra notte ha mantenuto fede ai suoi precetti. Ora è il «martire numero uno della jihad» così è stato proclamato dai suoi sostenitori nei siti qaedisti. (IL TEMPO 3 MAGGIO DI MAURIZIO PICCIRILLI)
OBAMA, LO SCERIFFO COL NOBEL CHE HA FINITO IL LAVORO DI BUSH Chissà quanto avrebbe pagato George W.Bush, che dopo l'11 settembre aveva fatto della lotta al terrorismo la sua missione, per potere dare al mondo l'annuncio dell'uccisione di Bin Laden. Invece, l'onore è toccato al suo successore Barack Obama, la cui promessa elettorale di eliminare lo sceicco del terrore non era mai stata presa molto sul serio e che ha sempre avuto altre priorità sul fronte internazionale. Ma, ora che l'obbiettivo è stato raggiunto, il presidente ha cercato di trarne il massimo vantaggio, nella speranza di mettere a tacere le accuse di debolezza sul tema della sicurezza che gli vengono continuamente (e spesso giustamente) rivolte. Nel suo drammatico discorso televisivo a notte inoltrata, si è premurato di sottolineare che il blitz era stato eseguito su suo ordine personale dopo ben cinque riunioni preliminari con i capi dell'intelligence, e che sotto la sua guida «l'America è ancora capace di fare quello che si propone». Nel proclamare che «giustizia è fatta», nel lasciare trasparire che l'obbiettivo dell'operazione non era di catturare Osama, ma di ucciderlo, il premio Nobel per la pace che da candidato proponeva una proiezione meno bellicosa della potenza americana ha indossato idealmente il manto del vendicatore, che forse piace più ai suoi avversari conservatori che ai suoi elettori liberal. In realtà, si tratta solo dell'ultima di una serie di svolte che, pur tra mille incertezze e non pochi errori, lo stanno riportando nell'alveo tradizionale della politica americana: l'intensificazione della guerra in Afghanistan prima di un ancora ipotetico ritiro, la rinuncia alla chiusura del carcere di Guantanamo, la presa d'atto che non si può imporre a Israele una pace che non ne garantisca la sicurezza. Per Obama, comunque, la liquidazione di Bin Laden giunge in un momento molto opportuno. A causa del pauroso disavanzo di bilancio, della crescita stentata dell'economia e del persistere della disoccupazione, la sua popolarità è scesa ai livelli minimi dal 2008 e solo la mancanza di un candidato repubblicano di buon livello gli permette di sperare in una rielezione tra diciotto mesi. Il successo conseguito nella lotta al terrorismo farà balzare in alto, almeno per qualche settimana, il suo indice di gradimento, e forse gli consentirà di perseguire con più coerenza la sua apertura verso il mondo islamico, ma di per sé risolve poco o nulla. Al di là della sua valenza simbolica, la morte di Bin Laden non comporta certo la fine di Al Qaeda, che potrebbe anzi cercare di vendicare il suo fondatore con qualche nuovo attentato spettacolare; la stessa reazione della piazza islamica a un'operazione ai limiti della legalità e allo sfregio della immediata sepoltura in mare del cadavere è, al momento, imprevedibile; e quello che un certo numero di musulmani considera il proditorio assassinio di un loro leader potrebbe influenzare negativamente la cosiddetta primavera araba, favorendo la causa degli islamisti. Al momento, l'incognita maggiore è rappresentata dallo sviluppo dei rapporti con il Pakistan, dove nonostante l'acquiescenza del governo l'antiamericanismo è già alle stelle e la spettacolare incursione delle forze speciali statunitensi non potrà che rinfocolarlo. La gestione del "dopo Bin Laden", in altre parole, si presenta forse più complessa della sua stessa eliminazione. Novembre 2012, comunque, è ancora lontano, e salvo rarissime eccezioni i successi in politica estera non sono mai serviti a vincere le elezioni. Nel 1992 Bush padre, reduce dal trionfo nella prima guerra del Golfo, fu sconfitto da Bill Clinton che aveva puntato tutto sull'economia. Se Obama non riuscirà a rimettere quella americana sulla retta via, tagliando il deficit, contenendo il debito e rinunciando al suo eccessivo interventismo, presentarsi come l'uomo che ha liquidato Bin Laden gli servirà a poco. Certo, i libri di storia ricorderanno la data del 1° maggio come quello della chiusura di un ciclo iniziato prima ancora dell'11
40 / 44 settembre, con gli attentati del '93, del '96, del '98. Ma non è detto che la legheranno al nome di Obama, come questi oggi vorrebbe. (IL GIORNALE.IT 3 MAGGIO DI LIVIO CAPUTO) UNA CACCIA DA 1.300 MILIARDI DI DOLLARI Ora che Osama Bin Laden è stato eliminato, una delle domande che sorge spontanea è: quanto è costata al mondo la sua minaccia? Non solo, ovviamente, dal punto di vista politico-strategico: la soppressione della "grande mente" del più grave attacco militare mai subito dagli Usa sul loro territorio sicuramente non aveva prezzo, almeno dal punto di vista di Washington. Essendo anche divenuta un punto d'onore per ben tre presidenti, che hanno fatto capire con determinazione come l'obiettivo andasse conseguito in ogni caso e a ogni prezzo. C'è poi il profilo dei costi umani (altissimi: oltre 7mila vittime complessive tra i soldati della coalizione e oltre 100mila tra i civili), ma anche di quelli economico-finanziari. Il prezzo pagato (1.300 miliardi di dollari posti ufficialmente a bilancio dal Pentagono), rispetto all'efficacia conseguita (Osama catturato, ma al-Qaida sempre viva e operativa, seppure malconcia, anche nello stesso Afghanistan, come ha ammesso il comando Usa) appare opinabile. Anzi, – secondo il premio Nobel dell'Economia Joseph Stiglitz, che monitora fin dal 2003 l'andamento dei costi dei conflitti Usa in Iraq e Afghanistan – decisamente eccessivo. Ancora nel settembre scorso indicava sul Washington Post un controvalore di oltre 3mila miliardi di dollari. Le cifre licenziate a fine marzo dal Congresso in un apposito studio dicono infatti che la lotta al terrorismo globale, attuata sotto forma d'interventi militari in Iraq (Iraqi Freedom) e in Afghanistan (Enduring Freedom) – oltre all'operazione Noble Eagle, volta a potenziare la sicurezza delle basi americane all'estero e interne – danno una spesa totale di 1.283,3 miliardi di dollari. Questa somma colossale deriva dagli 805 miliardi di costo dell'invasione irachena (62,7%), dai 443 di quella afghana (34,5%) e da alcune relativamente piccole voci residuali extra-budget: 28,6 miliardi dovuti soprattutto alle misure di contrasto ai cosiddetti Ied (Improvised explosive device), ordigni a basso costo che dal 2007 hanno però causato due terzi delle perdite tra le truppe Nato. E di 5,5 miliardi del bilancio 2003 non ripartiti. Se si guarda alla destinazione delle voci di spesa, impressiona non tanto la ovvia dominanza dei fondi destinati al Pentagono (1.208 miliardi, oltre il 94% del totale), quanto l'esiguità delle voci "civili" (66,7 miliardi, 5,2%, più o meno equamente divisi tra Iraq e Afghanistan), indirizzate alla ricostruzione e a piani di pubblica utilità (scuole, ospedali, acquedotti). Quelle, per intenderci, in cui si è distinta la cooperazione italiana e che avrebbero dovuto – secondo una vecchia e lodata, ma mai troppo praticata, filosofia d'intervento Usa – «conquistare le menti e i cuori» delle popolazioni locali. Mentre alcune briciole (8,4 miliardi) sono state destinate alle spese mediche per i reduci. Con forti polemiche di questi militari per i frequenti disconoscimenti di alcune malattie di servizio legate all'uso di armi contenenti uranio impoverito. (IL SOLE 24 ORE 3 MAGGIO DI PAOLO MIGLIAVACCA) BIN LADEN: ANALISTA RASHID,ALTO RISCHIO ATTENTATI “Tutti sapevano che Bin Laden era in Pakistan, tranne le autorità pachistane che negavano''. Ma certo è una sorpresa che si trovasse proprio in un posto come Abbotabad, ''una città militare dove l'esercito ha il controllo di tutto''. E' l'opinione espressa alla Bbc dal giornalista e analista pachistano Ahmed Rashid. Che prevede anche, quali ritorsioni per l'uccisione del leader,attacchi terroristici in Occidente e Medio Oriente, ma anche in Pakistan e Afghanistan. Abbotabad e' una città piccola con solo 300 mila abitanti, spiega l'autore di ''Talebani'' e ''Caos Asia'', dove si trovano la caserma di una brigata dell'esercito e un importante collegio militare, dove molti residenti e negozi locali sono legati a tale presenza. Ma nonostante questo, osserva Rashid, Osama ha potuto ''costruirvi una villa e vivere in perfetta sicurezza''. In ogni caso, valuta l'analista pachistano, ''centinaia'' di jihadisti effettivi e potenziali ora ''giureranno di dare la propria vita per vendicare'' bin Laden. Certo, osserva ancora Rashid, l'uccisione del leader è stato un duro colpo per l'organizzazione, che però in questi anni ''è passata da una organizzazione fortemente gerarchizzata'' a qualcosa di ''più sciolto e amorfo''. Infatti oggi la filosofia di Al Qaida è ''un uomo, una bomba'' come dimostrano - ricorda - i recenti episodi a Times Square e nella metro di New York. E Al Qaida per anni e' stata una sorta di ''ditta'' cui chiunque poteva aggregarsi ''mettendo una bomba da qualche parte''. E quasi chiunque poteva recarsi in Afghanistan e Pakistan per essere addestrato dai talebani pakistani, alleati con il gruppo Lashkar-e-Taiba, o dagli afgani di Jalaluddin Haqqani. E oggi ''ogni Paese europeo ha una cellula di Al Qaida - sottolinea, citando Germania, Scandinavia, Francia, Spagna e Italia. Alto dunque il rischio di attacchi suicidi in metropolitane o stazioni Usa on in Europa. Così come di dirottamenti aerei, di attacchi a obiettivi militari e ambasciate in Medio Oriente. Ma il rischio di attacchi organizzati e' grave anche in Pakistan e Afghanistan. In Pakistan in particolare, osserva, i gruppi locali ''saranno determinati a lanciare una campagna in memoria di Bin Laden'', con il risultato di ''aumentare le tensioni'' in un Paese già colpito dalla crisi economica. Quanto al Medio Oriente delle rivolte di questi mesi, ''è ancora un primo obiettivo'' per l'organizzazione che cerca di acquistare influenza tra le nuove generazioni di leader in Tunisia, Egitto, Siria e nel Golfo. Ma questo, conclude, ''sarà molto più difficile dopo la morte di Bin Laden''. (ANSA 2 MAGGIO)
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OSAMA UCCISO DAL PATTO USA-PAKISTAN SUL FUTURO DI KABUL Il raid delle forze speciali americane che ha condotto all’uccisione di Osama bin Laden a una sessantina di chilometri da Islamabad ha richiesto sicuramente l’autorizzazione e la cooperazione delle autorità pakistane. Non è quindi inutile porsi il problema delle condizioni sulla base delle quali il Pakistan ha accettato di consegnare al proprio destino il leader storico di al Qaida, permettendo tra l’altro all’opinione pubblica mondiale di farsi un’idea più precisa di quanto limitata fosse la collaborazione di quel paese alla campagna contro il terrorismo internazionale scatenata dagli Usa dopo l’11 settembre. Il prezzo chiesto per tradire Osama non deve essere stato basso e sicuramente non è stato di natura economica. Non esclusivamente, per lo meno. Bin Laden era troppo importante perché la sua morte possa essere remunerata da un compenso economico, per quanto grande. Con tutta probabilità, per ottenere il trionfo che rende ora più agevole al presidente Obama percorrere la via di una sostanziale riduzione delle forze militari statunitensi schierate in Asia Centrale, Washington deve aver messo sul piatto una ben più pesante contropartita, che tra l’altro soddisferebbe anche alcuni obiettivi importanti dell’amministrazione Obama. Tutto induce a ritenere che sia stata raggiunta un’intesa sul futuro politico dell’Afghanistan, prevedendo probabilmente il riconoscimento a Islamabad del diritto a ristabilirvi la propria influenza predominante, magari assumendosi, da sola o in associazione con la Cina, il compito di garantire che da Kabul e dintorni non possano più scaturire in futuro nuove minacce alla sicurezza internazionale. Vale la pena di ricordare come negli ultimi due anni, se non di più, il Pakistan sia stato già coinvolto in una serie di esercizi pre-negoziali finalizzati allo stabilimento di contatti tra le parti e all’esplorazione dei margini di trattativa disponibili per trovare una soluzione che ponga fine al conflitto in corso in Afghanistan. Ed è altresì noto il fatto che a Islamabad abbiano iniziato da qualche tempo a guardare con occhi nuovi anche i membri più autorevoli della Commissione creata dal governo di Kabul per aprire un tavolo di confronto con i maggiori tronconi della guerriglia che infesta buona parte del territorio afghano. Ma è nell’ultimo mese che si sono prodotti gli eventi più significativi. Il 15 aprile la capitale afghana è stata raggiunta da una missione pakistana composta dal premier Gilani, dal capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Parvez Kayani, e dal direttore dell’Isi, Shuja Pasha. Nella circostanza la trojka avrebbe raccomandato al presidente Hamid Karzai di iniziare a prendere le distanze da Washington e a considerare, tra le altre cose, l’ipotesi di cercare una tutela alternativa presso Pechino. Risale invece a tredici giorni più tardi l’annuncio della sostituzione a settembre dei due massimi interpreti del surge afghano voluto da Washington: il segretario alla Difesa, il repubblicano Robert Gates, e il generale David Petraeus, noti entrambi per la loro contrarietà ad operare riduzioni significative delle forze americane dislocate in Afghanistan. La morte di Osama s’inserisce perfettamente in questo mosaico, perché è il successo del quale gli Stati Uniti avevano bisogno per iniziare a immaginare un’uscita onorevole dal pantano afghano. La reazione del pubblico americano, sceso nella notte a festeggiare il successo ottenuto ad Abbottabad con modalità che ricordano da vicino le esaltazioni generate dalle grandi vittorie militari del passato, la dice lunga sul valore simbolico dell’eliminazione di bin Laden. Sappiamo che allo sceicco del terrore non è stata lasciata via di scampo e che la missione dei Navy Seals non prevedeva la sua cattura in vita: anche questo deve essere stato un riguardo nei confronti del Pakistan, posto che Osama avrebbe potuto, affrontando un processo pubblico, creare molti imbarazzi ai suoi protettori degli ultimi dieci anni. Rimane da chiarire in che modo gli americani intendano adesso tutelarsi rispetto al rischio che i pakistani, una volta impadronitisi del potere a Kabul con i loro proxy - magari in un quadro costituzionale che contempli inizialmente la sopravvivenza politica di Karzai - disattendano successivamente gli accordi. È però difficile che su questo specifico punto possano giungere risposte in tempi ragionevolmente rapidi. Una possibilità, comunque, è che gli Stati Uniti abbiano in ogni caso previsto di mantenere in Afghanistan una presenza militare minima e non invasiva, ma all’occorrenza facilmente espandibile. L’amministrazione Obama continua a escluderla, ma sarebbe una misura del tutto ragionevole. In alternativa, rimarrebbe sempre percorribile il perseguimento di un nuovo equilibrio regionale di potenza, assecondando le naturali inclinazioni di India, Iran e Russia a contrastare la supremazia di Islamabad a Kabul, e magari imponendo anche una ristrutturazione su basi federali dello Stato afghano. Per quanto riguarda le prospettive del jihadismo internazionale, la fine di Bin Laden non aggiunge molto all’evidente crisi in cui è caduto il movimento, a corto di idee e capacità di eseguirle, ora minacciato anche dagli effetti del grande sommovimento che sta sconvolgendo il mondo arabo. Potranno esserci senz’altro dei colpi di coda; ma il mito di un’idra capace di scatenare una rivoluzione integralista per disarcionare la monarchia saudita e restaurare il califfato sembra definitivamente tramontato. (LIMES 2 MAGGIO DI GERMANO DOTTORI) BIN LADEN: IL PERICOLO DA MORTO Qualche nota sulla fine di Ben Laden - Oggi termina il motivo primo per l'invasione dell'Afghanistan. Lo sappiamo, Osama Bin Laden non riassume tutta Al Qaeda, però ne è il simbolo, l'incarnazione. La sua morte
42 / 44 nel blitz delle teste di cuoio Usa chiude simbolicamente il capitolo aperto nell'ottobre-novembre 2001 con le prese di Kabul, di Kandahar e la battaglia di Tora Bora. D'ora in poi per gli Alleati si tratta di trovare la formula giusta per il ritiro graduale, che doveva comunque iniziare in agosto. Continua certo la guerra contro Al Qaeda, in tutte le sue ramificazioni, non ultime le cellule presenti nei Paesi occidentali. - Si riconferma il ruolo ambiguo giocato dal Pakistan. Molto lascia credere che i "soliti" servizi segreti pakistani abbiano aiutato Bin Laden a nascondersi e addirittura trovare un covo confortevole al di fuori delle Zone Tribali. Abbottabad è la città più importante sulla Karakorum Highway, l'autostrada che da Islamabad conduce in Cina attraverso i passi dell'alto Kashmir. Curioso, poco lontano si trova Tarbela, dove è situato uno dei maggiori centri di addestramento per le truppe speciali pakistane (vi era passato anche l'ex presidente Musharraf durante i primi anni della sua carriera militare). Le zone attorno ad Abbottabad sono note per essere abitate da una popolazione particolarmente religiosa di etnia a maggioranza pashtoun. Pochi chilometri dopo la città, la strada entra in una regione fatta di gole rocciose e montagne impervie. Su di una vasta parete di roccia è possibile leggere una gigantesca scritta in inglese: "I'm proud to be Muslim" (Sono fiero di essere musulmano). - L'operazione costituisce un grande successo per gli Stati Uniti. Il messaggio è chiaro: nessun crimine resterà impunito. Dove aveva fallito Bush riesce Obama. - Ma Al Qaeda non muore con Bin Laden. Il leader da anni era fuori gioco, isolato, malato, silenzioso. Però il movimento è in crisi. Le recenti rivolte popolari nel mondo arabo non sono dettate da Al Qaeda, l'hanno in larga parte ignorata e comunque si riferiscono ai valori trainanti della democrazia occidentale. - Al Qaeda, il fondamentalismo islamico e il terrorismo che ne sono stati componenti fondamentale, potrebbero invece riprendersi se le rivoluzioni per la democrazia in Medio Oriente dovessero venire represse nel sangue. Molti tra i militanti per il cambiamento potrebbero trovare conforto nelle letture più estremiste dell'Islam. E allora, anche da morto, Bin Laden potrebbe restare un pericoloso simbolo di violenza e destabilizzazione. Forse ancora più pericoloso di prima, visto che un morto non si può fisicamente uccidere una seconda volta. (CORRIERE.IT 2 MAGGIO DI LORENZO CREMONESI)
CHE COSA CAMBIA CON LA MORTE DI BIN LADEN Molti si chiedono se valesse la pena di fare una guerra per uccidere Bin Laden. Ora, dopo dieci anni, è fatta. Ma cambierà qualcosa, nella lotta al terrorismo internazionale? L’idea che si sia combattuta una guerra per eliminare Bin Laden è suggestiva ma infondata. È vero che il casus belli della guerra in Afghanistan è stata la richiesta americana che fosse consegnato il Mullah Omar per processarlo negli Stati Uniti, ma è anche vero che il rifiuto del governo di Kabul di allora non si spiega tanto con la volontà di proteggere quel Mullah – per questo sarebbe bastato dire che non si riusciva a trovarlo – quanto con l’orgogliosa e proclamata volontà di continuare la jihad contro gli Stati Uniti. Il dialogo di quei giorni potrebbe essere tradotto in questi altri termini: “Promettete di cessare la vostra attività terroristica?” Risposta: “No”. “E allora vi facciamo smettere con la forza”. In questo senso il commento di Teheran, secondo cui gli Stati Uniti, avendo eliminato il capo di Al Qaeda, non hanno più nessuna giustificazione per rimanere nel Medio Oriente, è indirizzato alla plebe. A volte le guerre le provoca un singolo uomo, se è un dittatore, ma nessuno le fa per un uomo. Gli Stati Uniti non l’avrebbero fatta per il Mullah Omar o per Osama Bin Laden. Queste sono semplificazioni popolari o persino semplici imbrogli. Molti per esempio hanno pensato che la guerra contro l’Iraq sia stata fatta per rimuovere Saddam Hussein ma che quel dittatore fosse un criminale lo si sapeva anche quando gli americani lo sostenevano nella guerra contro l’Iran. La verità è che gli Stati Uniti non hanno tanto combattuto per eliminare quel despota, o perfino per dare l’occasione di un regime democratico a quel Paese, quanto per cambiare il quadro geopolitico della regione. Le nazioni sono pachidermi che non si muovono per una singola mosca. Neppure se è un tafano. Qualcuno si meraviglia che ci siano voluti dieci anni per scovare ed uccidere Bin Laden. E invece è abbastanza naturale. Se si conosce bene il terreno e se si ha il sostegno di una parte della popolazione, si può essere latitanti e attivi molto a lungo anche in Italia: nessuno ha dimenticato il bandito Salvatore Giuliano, in Sicilia. E sottolineiamo che egli fu eliminato non mediante un’autonoma azione di polizia ma mediante il tradimento di un accolito. Come stupirsi che questo possa avvenire in Pakistan, dove gli estremisti islamici sono numerosissimi (tanto da mettere in pericolo il governo) o anche in Afghanistan, dove i Taliban hanno il controllo di vaste zone del territorio? Proprio per questo Washington non ha preventivamente informato Islamabad dell’azione. Le televisioni ci informano della gioia degli americani per questo avvenimento e al riguardo molti rimproverano a Washington una “volontà di vendetta”. Si dimentica che tra la punizione inflitta dal giudice e la vendetta del privato c’è differenza solo quando questo privato poteva ragionevolmente ricorrere al giudice. Ma se non c’è un giudice al di sopra delle parti, o non ha forza (come l’Onu), o infine è in combutta con gli assassini (come le autorità di Gaza), l’unica possibilità di avere giustizia è quella di farsela da sé. La vendetta è condannabile solo se ingiustificata o sproporzionata. E in questo caso la morte di Bin Laden non compensa neppure lontanamente il male fatto. Cambierà qualcosa, con la morte di Osama Bin Laden? Probabilmente no. Un effetto che molti paventano è la già dichiarata
43 / 44 volontà di vendetta degli integralisti islamici e dei terroristi in generale. Ma non c’è nulla di cui spaventarsi: non perché questi gentiluomini non siano capaci delle azioni più nefande, anche al prezzo della loro vita, ma proprio perché già in passato sono stati capaci delle azioni più nefande, anche al prezzo della loro vita. Dunque non hanno nessuna possibilità di fare di più. Se ultimamente, sempre che vogliamo dimenticare il caso di Marrakech, non hanno commesso attentati è perché non sono riusciti a realizzarli. Non abbiamo beneficiato della loro benevolenza in passato e non è ragionevole aspettarsela oggi. Le minacce dei terroristi sono sempre da prendere sul serio, ma oggi non più di ieri. Del resto, la prevenzione sta funzionando accettabilmente bene. Sono fra l’altro miracolosamente filati via senza incidenti il matrimonio di William d’Inghilterra e la beatificazione di Giovanni Paolo II: basterà non diminuire il livello di attenzione. (AFFARITALIANI.IT 2 MAGGIO DI GIANNI PARDO)
AFGHANISTAN: STRADA VERSO IL NULLA A SPESE USA Quando i costruttori si sono messi al lavoro su un'autostrada finanziata dai contribuenti americani nel sud-est dell'Afghanistan, gli imprenditori occidentali si sono rivolti a una potente figura locale chiamata Arafat, sospetta però di avere legami con gli insorti del paese. I subappaltatori hanno pagato Arafat almeno 1 milione di dollari all'anno per tenerli al sicuro. Il denaro non ha però portato né sicurezza, né la strada che i funzionari americani hanno a lungo immaginato come un collegamento vitale per le zone di confine e il governo afghano. I costi sono lievitati per l'autostrada Gardez-Khost, uno dei progetti più costosi e difficili del paese. La strada deve essere ancora completata, èd è già costata circa 121 milioni dollari, il prezzo finale dovrebbe raggiungere i 176 milioni dollari - circa 2,8 milioni dollari al miglio - secondo i funzionari americani. Solo la sicurezza è costata 43,5 milioni di dollari finora. Le spese e le alleanze sgradevoli che circondano la costruzione dell'autostrada sono diventati una parabola della corruzione e della cattiva gestione che hanno trasformato i tanti buoni intenti per lo sviluppo del paese in un nulla di fatto, e hanno inghiottito il denaro dei contribuenti americani. Dopo anni di avvertimenti che Arafat stava facendo una piccola fortuna giocando su entrambe le parti in guerra - e dopo le recenti inchieste del New York Times - i funzionari americani hanno detto di averlo finalmente tagliato fuori dal progetto a fine aprile. Nonostante le spese, un tratto di autostrada completato sei mesi fa, sta già cadendo a pezzi. La parte incompiuta del progetto attraversa il territorio nelle mani dei Talebani, sollevando dubbi su come possa essere completata. I costi sono già aumentati del 100 per cento, il tutto per una strada che non è mai stato certo che gli afgani la volessero, tanto quanto i funzionari americani che l’hanno progettata. (AMERICA 24.IT 1 MAGGIO DI FRANCESCA PIRAS)
DOPO TRIPOLI IL “PEACEKEEPING” DI QUEST’ANNO COSTA DUE MILIARDI Le guerre notoriamente costano molto ma quelle combattute a bassa intensità rischiano di costare ancora di più, perché dilatano i conflitti e le instabilità regionali richiedendo poi la prolungata presenza di contingenti militari nella fase post-conflittuale. La questione non riguarda solo l'Italia ma più in generale l'Onu, la Nato e le "Coalition of the willing" occidentali all'interno delle quali operano i nostri contingenti. In Iraq, dopo l'invasione del 2003, le truppe italiane sono rimaste per tre anni ritirandosi senza aver conseguito successi, ma quelle statunitensi completeranno (forse) il ritiro solo quest'anno. In ex Jugoslavia, i conflitti etnici sono rimasti latenti solo grazie a una presenza militare di Nato e Ue che, pur con sensibili riduzioni, continua ancora oggi. Per far fronte finanziariamente al conflitto libico, Roma valuta di ritirare il contingente dal Kosovo (3 miliardi spesi in dieci anni, 72 milioni previsti quest'anno) e ridurre o ritirare i caschi blu in Libano (1,7 miliardi dal 2006, 212 milioni nel 2011) dove la missione dell'Onu ha perso molto del suo significato rinunciando a disarmare Hezbollah. Le operazioni italiane in Libia non hanno ancora una copertura per costi, che i ministri Ignazio La Russa e Umberto Bossi hanno quantificato rispettivamente 500 e 700 milioni (stimando una durata tra due e tre mesi), inclusi gli oneri per l'accoglienza di profughi e immigrati. Non è ancora chiaro se il Governo emanerà un decreto ad hoc o se i costi verranno integrati nello stanziamento semestrale per le missioni all'estero che hanno superato il miliardo e mezzo all'anno, assorbito per metà dal contingente in Afghanistan che in dieci anni è costato 3,4 miliardi. La partecipazione alla guerra libica, ora a carico dei magri bilanci delle forze armate, rischia di portare il conto a oltre 2 miliardi. Il primo mese di operazioni senza impiego di armi è costato circa 50 milioni solo di spese vive (ore di volo degli aerei e giornate di navigazione delle navi) ai quali da ieri si deve aggiungere il valore delle bombe a guida laser e gps (25-40mila euro ognuna) sganciate sulle forze di Gheddafi. Il limitato sforzo bellico italiano, appena otto aerei per le missioni di attacco, s'inserisce in un blando impegno della Nato (reso fiacco dal ritiro dei jet statunitensi) che sta prolungando il conflitto seminando instabilità nel Mediterraneo. L'imperativo di concludere velocemente la guerra con una chiara vittoria è di ordine economico oltre che politico-militare. (IL SOLE 24 ORE 29 APRILE DI GIANANDREA GAIANI)
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