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Progettista: Anno di realizzazione: Superficie territoriale:
Ufficio Tecnico del Comune 1908-1927 484˙896 m2
La nascita del quartiere operaio Il cambiamento delle aree urbanizzate tra il ‘700 e l’800 avviene a causa della spinta economica che attrae, dalle campagne alle città, nuova mano d’opera. La nascita della classe operaia conseguente a tale fenomeno, produce, infatti, un incremento della popolazione cittadina, a seconda dell’epoca, dal 20 al 60%. Un simile cambiamento di ordine demografico richiede, come presto viene reso evidente, un nuovo e sostanziale supporto di edilizia di carattere popolare, in grado di ospitare l’ingente quantità di manodopera in arrivo dalle campagne. E’ un cambiamento radicale per lo sfondo cittadino, in cui la casa non è più un luogo di produzione – come accadeva nel Rinascimento o del Medioevo. Si sciolgono gradualmente i rapporti che potevano legare la casa alle sedi della produzione. Non solo crescono le distanze tra casa e lavoro, ma la casa non è più uno dei mezzi e strumenti di produzione: nel nuovo sistema produttivo, l’edificio residenziale non fa più parte del capitare fisso dell’azienda. La realizzazione delle residenze operaie mette in luce un’ulteriore realtà, al di là del cambiamento dello scenario urbano. La classe operaia emerge per la prima volta per ciò che è realmente: una fazione numericamente forte, in grado di far sentire la propria voce e fare delle richieste per soddisfare le proprie esigenze. Le residenze che vengono create alla fine dell’800 e all’inizio del secolo scorso, non sono le stesse che vengono realizzate negli anni del primo Dopoguerra. Il concetto di benessere si evolve e si aggiorna e, con esso, anche la richiesta di residenze che soddisfino bisogni sempre maggiori. Ma i bisogni di chi devono avere la precedenza? Quelli della borghesia capitalista, proprietaria indiretta delle residenze realizzate per gli operai, o quelli della classe operaia, principale responsabile dell’ascesa della borghesia stessa? Nel caso milanese, ci sono diversi quartieri operai, in cui edifici residenziali vengono realizzati insieme ad altre tipologie edilizie. La realizzazione dei quartieri si inserisce in aree di piccola e media proprietà, che sono tali in partenza – come nelle zone popolari
“tradizionali” – o che lo diverranno nel corso della urbanizzazione; l’intervento è quasi sempre isolato; il tessuto di cui fa parte non è esclusivamente operaio, né esclusivamente residenziali; l’industria media e piccola, che non impedisce un uso del suolo non-industriale di vaste aree, attrae tale tipologia che, a sua volta, dato il basso livello residenziale, non inibisce l’inserimento di officine, depositi o altre sedi di lavoro […] La realizzazione di questi “paradisi” residenziali non era affidata allo Stato bensì all’investimento di privati, il cui interesse nel far crescere un’area rispetto ad un’altra è spesso ipotizzabile dai resoconti dell’epoca di allora. Viene infatti spontaneo chiedersi se l’intero processo della creazione di residenze operaie non sia stato altro che un unico, grande complotto edilizio, mirato a far emergere alcune zone rispetto ad altre, favorendone la crescita e la prosperità per questo o quell’altro interesse economico e industriale. E’ infatti il committente (che sia un artigiano, un commerciante, un proprietario) a risiedere nelle immediate vicinanze della zona nella cui espansione investe il proprio denaro. Afflusso di persone (e quindi di affitti) corrisponde alla crescita del quartiere (il suo quartiere) che corrisponde alla crescita delle attività commerciali, finchè l’affitto stesso non lievita e, con esso, le entrate.
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Il decentramento delle aree residenziali Il processo di terziarizzazione dell’area milanese può essere riassunto, in maniera piuttosto breve, in due momenti salienti, tipici di un’economia capitalista: la terziarizzazione dell’economia e il decentramento industriale dal polo urbano. Nell’ambito del settore terziario si ponga attenzione a due fondamentali categorie di servizi, che saranno oggetto di una profonda e graduale trasformazione nel corso del ‘900. In primo luogo si consideri la distribuzione commerciale. Con questa categoria si vuole indicare quella profonda trasformazione del settore commerciale, che ha visto crescere ed evolversi – anche attraverso una più
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articolata organizzazione interna – diverse imprese. La crescita in questione potrebbe far erroneamente credere che tale evoluzione abbia contribuito ad una distribuzione maggiormente ordinata e omogenea delle imprese del settore commerciale: esattamente l’opposto. L’accrescere dell’importanza delle sedi commerciali ha visto concentrarsi in un unico punto (il centro cittadino) tutti i loro uffici di rappresentanza, con l’unico risultato di attrarne ancora di più, scacciando verso la periferia il settore residenziale. Con questo non si vuole escludere la presenza di importanti poli commerciali al di fuori dell’area centrale – essi sono altrettanto numerosi e frequenti – ma la localizzazione nella periferia di nuove imprese di distribuzione (essenzialmente supermercati) non è riuscita a creare centri commerciali alternativi significativi adeguatamente complessi. Dall’altra parte va considerato, invece, il terziario superiore. I precedentemente citati edifici di rappresentanza raggiungono a Milano, per il solo campo industriale, una percentuale del 90% nel rapporto capoluogo-provincia. E’ infatti primario l’interesse di occupare delle zone centrali della città milanese, per gli uffici relativi alla gestione dell’industria, il cui spostamento – se avviene – si verifica in un intervallo molto breve, che comunque non comprende mai uno spostamento centro-periferia ma centro-centro. In questo schema fondamentale, la funzione residenziale viene sempre più emarginata dai valori centrali, o meglio, entra in rapporto concorrenziale e antagonistico rispetto alle funzioni terziarie, attraverso la selezione operata dal permanente processo speculativo e dalla rendita fondiaria (più in conseguenza di una scelta pianificata). E’ questo il punto di rottura che bisogna individuare a tenere a mente, quello in cui l’area centrale della città diventa un lusso (con affitti ragionevolmente alti) e le aree residenziali, marginali nell’ambito cittadino, possono offrire affitti categoricamente più bassi. Naturalmente è un processo che, se venisse approfondito fino ad arrivare agli anni ’50 e ’60, offrirebbe ulteriori spunti di riflessione e analisi ma che, almeno nell’ambito della realizzazione dei primi quartieri operai milanesi, non ci è né di utilità né di supporto. Quartieri popolari a Milano, inizio ‘900
La prima volta in cui il problema della residenza operaia diventa incalzante, a Milano, è nell’ultimo cinquantennio dell’800. Intorno al 1860 circa, cominciano a registrarsi le prime realizzazioni residenziali a scopo “sociale”, ovvero a spese di società operanti che cercano di far fronte al problema dell’abitazione operaia. Si tratta, tuttavia, di interventi isolati, quasi sempre troppo deboli per poter realmente far fronte ad un fenomeno in veloce evoluzione come lo è l’industrializzazione. Da ciò, dunque, si evince che – almeno inizialmente – la classe operaia milanese deve ricorrere al mercato speculativo della casa : sia che si parli di casa in affitto appositamente realizzate per i lavoratori, sia che si intendano le antiche residenze “di scarto”, rimaste libere nelle aree relativamente centrali delle città. Il primo flusso migratorio di lavoratori, dunque, è supportato da residenze effettive, già esistenti, che riescono a rispondere – benchè brevemente e senza particolare successo – alla richiesta di spazio vivibile. Dal 1880 in poi inizia l’espansione industriale vera e propria, che sconvolge inevitabilmente il fragile equilibrio dell’assetto urbano. Si forma, in questo periodo, la mista periferia industrialeresidenziale, che ingloba anche i borghi subito adiacenti alla città (i “Corpi Santi” saranno indipendenti fino al 1897). Evidente è dunque la necessità di un intervento di regolarizzazione, che porti a uniformare l’esigenza di aree residenziali con la crescente massa di aree industriali in espansione. E’ dunque sui che avviene un processo di lottizzazione progressiva a macchia , in cui il suolo viene sfruttato al massimo del suo potenziale. Vengono realizzate le residenze con l’idea della corte chiusa e in serie. E benchè l’idea sia quella della realizzazione di case operaie, non bisogna illudersi troppo, poiché la massiccia produzione di questo periodo è principalmente dedicata alle classi borghesi, aggravando ulteriormente il problema della residenza operaia. Lungamente ignorato, presto il problema emerge per ciò che realmente è: la creazione di una pericolosa “altra città”, in netta antitesi con quella già esistente (borghese) che viene presto denigrata con denunce moralistiche e filantropiche del pericolo dell’estendersi del contagio sul piano igienico e morale. La risposta a questo chiaro diniego di ciò che è
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tanto importante per una fetta significativa della popolazione si esprime in sommosse popolari e manifestazioni che, nel 1882, porteranno alla creazione del Partito Operaio Italiano. E’ proprio a loro favore che, alla fine dell’800, andrà l’azione del governo – ormai incapace di ignorare le richieste esigenti di una larga maggioranza per i capricci di una minoranza della popolazione bigotta. E’ tuttavia quella stessa minoranza a detenere, poi, le redini decisionali nell’ambito della costruzione delle residenze operaie, che verranno realizzate comunque nell’ambito della logica del primo riformismo, borghese, condizionando evidenti fattori. In primo luogo, la portata dell’intervento, incredibilmente limitata. In secondo luogo, la totale mancanza di desiderio di cambiamento per i meccanismi di espansione urbana, che restano legati a motivi speculativi e a piani urbanistici rigidi. Infine, l’imposizione della forma e della struttura prodotti dalle esigenze di mercato, in cui il prezzo e il costo saranno imposti dal mercato privato, limitandone notevolmente le possibilità. Tipologia edilizia Le case in affitto per gli operai sono case a più piani (generalmente dai 4 ai 6), con alloggi di due locali, di cui uno è accessibile da un ballatoio che si affaccia ad un cortile interno. Per arrivare sul ballatoio si usa una scala accessibile dal cortile, a sua volta collegato alla strada da un portone. Ogni appartamento aveva, come regola, dei servizi igienici in comune con altri due o tre alloggi. Solo dopo gli anni ’20 del ‘900, ogni alloggio avrebbe potuto disporre di servizi igienici indipendenti. Gli alloggi disponevano, inoltre, di gas, acqua e luce propri. La distribuzione dei locali non aveva nulla a che vedere con le residenze borghesi, mentre le facciate e lo stile architettonico ne riprendevano diverse caratteristiche.
del ponte, direzione verso il centro città, e quella verso sud, confinante a ovest con la zona di Villapizzone e la stazione, mentre a nord-ovest, separata dalla ferrovia, con Bovisa. Il quartiere MacMahon così come quello della Ghisolfa, sono caratterizzati dalla prevalenza di edifici popolari, integrati successivamente con abitazioni moderne della piccola e media borghesia; essi si svilupparono nei due dopoguerra lungo la zona delle Ferrovie dello Stato e delle Ferrovie Nord. L’area della Ghisolfa prende il nome dal preesistente toponimo longobardo Ghisulf, che si rifaceva alla presenza della Cascina della Ghisolfa. Il Ponte della Ghisolfa fu ultimato nel 1941, e successivamente, negli anni novanta, fu allargato; esso fu prolungato, agli inizi degli anni sessanta lungo viale Monteceneri, con la realizzazione di una strada sopraelevata a quattro corsie che arriva a piazzale Stuparich. Una delle caratteristiche principali del quartiere MacMahon è che esso ospita una numerosa varietà tipologica; infatti nell’area descritta fra via MacMahon e i viali di circonvallazione previsti dal piano Pavia-Masera, vi furono realizzati tutti i tipi edilizi che in quel periodo erano ritenuti validi ad ospitare la abitazioni popolari. L’area si estende su 32.000 mq di superficie, sulla quale sorgono cinque edifici a corte alti quattro piani, quattordici villini a due piani, due blocchi di case unifamiliari a schiera con un piccolo giardino privato e un edificio per i servizi collettivi. Pur presentando una molteplicità di tipologie edilizie, il quartiere risulta ben omogeneo, in quanto vi è l’allineamento di tutti i corpi di fabbrica lungo il perimetro dell’isolato. La realizzazione di questa area residenziale prevedeva, da parte del Comune, di poter offrire alla popolazione un’ampia scelta, in termini economici, per quanto riguarda gli alloggi; vi sono infatti locali minimi, collocati all’interno degli edifici a corte per poi passare agli appartamenti con quattro locali caratteristici dei villini a due piani.
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Quartiere Mac Mahon: informazioni generali Nascita di un quartiere residenziale: Mac-Mahon Il quartiere MacMahon è situato nella zona nord-ovest di Milano, all’interno dell’area della Ghisolfa; delimitata dal cavalcavia Bacula, noto a tutti come il Ponte della Ghisolfa, che ha inizio tra l’imbocco di viale Luigi Bodio e piazzale Lugano. Il quartiere comprende la zona prima
In seguito alla delibera del Comune di Milano, che permetteva e anzi incentivava la realizzazione di quartieri a carattere residenziale per gli operai, vennero realizzati diversi importanti poli residenziali, tra cui i primi furono il quartiere
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Ripamonti, il quartiere in via Spaventa (1909), quello in via Tibaldi e, infine, anche il quartiere Mac Mahon. Con la Legge 31 maggio 1903 n.254 e successivi regolamenti, lo Stato Italiano emise il primo provvedimento organico inteso a ricercare un rimedio all’assillante problema delle abitazioni minime e, con il nuovo Testo Unico del 27 febbraio 1908 n.85 ed il successivo Regolamento 12 agosto 1908 n.258, incoraggiò le costruzioni residenziali con benefici di carattere discale e finanziario. Gettate così le basi dell’edilizia economico-popolare, nacque nelle principali città italiane l’Istituto per le Case Popolari (IACP). La realizzazione di questo tipo di quartieri fu un enorme progresso per la città e la sua morfologia. Realizzare dei quartieri operai era la risposta giusta a decenni di dura lotta di una classe popolare emergente, forte sia politicamente che economicamente, dal punto di vista della mano d’opera. Nel quartiere Mac Mahon vennero realizzati, in totale 1277. Per l’epoca, era un numero sorprendente, il terzo per grandezza nell’area milanese. Nell’anteguerra, infatti, lo superavano soltanto il quartiere Lombardia, opera dell’ing. Magnani e Rondoni, di 1464 locali, e il quartiere Lulli, progetto dell’ing. Ferrini e Scotti, di 1330 locali. Si può dunque notare subito come i numeri del quartiere nella periferia nord-est di Milano fosse sorprendenti. In totale c’erano – secondo una stima del settembre 1928 – 1035 locali abitabili; 38 erano le abitazioni con un unico locale, 160 le abitazioni con due locali, 200 con tre locali, solo 18 con quattro locali e un’unica abitazione con cinque locali. Nessuna residenza, invece, aveva sei o sette locali – numero che tuttavia si sarebbe registrato in quartieri di successiva costruzione. Era un dato significativo, questo, poiché risultava logico come venissero privilegiati appartamenti e/o case con meno locali possibili. Il perché risulta evidente, senza dubbio, dalle difficoltà economiche a cui l’Italia andava incontro in quel difficile momento storico. Nel 1912, infatti, la crisi economica aveva lasciati vuoti molti locali di diversi quartieri milanesi, costringendo i proprietari ad abbassare gli affitti in maniera sostanziale, in modo da poter sperare di trovare dei locatari. Ciò accadde per certo nel quartiere Mac Mahon e nel quartiere Niguarda. Non solo. Molti operai, che avevano duramente
lottato per ottenere una casa in cui poter tranquillamente vivere con la propria famiglia, furono costretti a partire per la guerra, abbandonando le proprie abitazioni. Con questo non si vuol dire che rimasero vuote, vennero semplicemente riempite da una popolazione “sostitutiva”, quella che venne attirata dal lavoro nelle fabbriche per la produzione di beni utili al supporto bellico. Diverse migliaia di persone si spostarono, infatti, non solo dalle campagne ma da ben più lontano (dal sud, in particolar modo, nel caso di Milano) per poter trovare un impiego nelle industrie milanesi e, naturalmente, furono loro ad occupare le case dei quartieri operai lascati liberi. Il nuovo quesito che venne posto, dunque, riguardava ormai il dopo-guerra: bisognava infatti tener conto del ritorno in patria dei reduci e di quali abitazioni avrebbero trovato quest’ultimi al loro ritorno. Era essenziale poter offrire loro delle case dignitose, che vennero infatti realizzate con un giudizio autocritico, mirato a correggere quelli che erano stati i problemi delle precedenti residenze operaie.
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Provenendo dal quartiere di Villapizzone, la prima cosa che si nota, facente parte dell’area Mac Mahon, è l’ex Campo dei Fiori, oggi chiamato Parco Giovanni Testori, l’area in precedenza era interamente edificata da villette monofamiliari, volte ad ospitare reduci di guerra e coloro che lavoravano per le ferrovie. Intorno agli anni ’80 si decise di demolire l’intera area, e dopo una riqualificazione del territorio, esso fu adibito a ospitare l’odierno parco, che si estende su una superficie di oltre 6 ettari. Al confine della parte destra del parco fu creata via dei Frassini, che estendendosi in via delle Querce, permette l’accesso alla nuova area residenziale, composta da edilizia popolare; vi sono infatti condomini che si elevano per cinque piani e che affacciandosi sul Parco Giovanni Testori creano il primo grande isolato del quartiere. I medesimi edifici si affacciano poi sulla via più importante, da cui il quartiere prende il nome; via Mac Mahon, famosa per la presenza di un lungo viale alberato, più precisamente un viale di Olmi, nel mezzo del quale passa la linea tranviaria che poi si dirama e percorre la via degli Artieri. Lungo la via troviamo non solo le varie aree recintate, con il loro verde privato, caratterizzato da cortili alberati interni vivibili solo dai residenti; si tratta di abitazioni di edilizia popolare realizzate negli anni successivi al 1927, caratteristica è la loro conformazione; si tratta di lunghe stecche edilizie, che si protendono in altezza per cinque e in alcuni casi sei piani; in tutto sono tredici edifici delimitati tra via Ajraghi e via Bramantino e altri sedici tra viaJacopino da Tradate e via Varesina. All’incrocio tra quest’ultima via e quella di Giovanni de Predis ha sede la Chiesa Gesù Maria e Giuseppe, riconoscibile per il suo colore bianco e per i due bracci di porticato che si protendono verso l’ingresso, per accogliere i fedeli, rivolto verso via Mac Mahon. Dietro alla chiesa vi è una scuola Giovanni XXIII. Tra via Mac Mahon e via Jacopino da Tradate si delineano due isolati completamente diversi da quelli descritti in precedenza, sia per la loro conformazione architettonica, sia dal punto di vista organizzativo delle attività che vi sono collocate; la prima cosa che salta all’occhio è la tipologia residenziale completamente diversa, stiamo parlando di corti chiuse con al centro uno spazio adibito a giardino- corte privata. La realizzazione di questa tipologia edilizia risale al 1926, approvata poi nel 1928, inizialmente
anche questa zona faceva parte del quartiere di Villapizzone e si affaccia su via Giovanni de Predis per poi proseguire da un lato in via Grigna e dall’altro concludersi in Piazza Prealpi. I vari palazzi furono realizzati dall’ingegnere Pizzorno e Bertolini, e l’area apparteneva alla Cooperativa Edilizia Fattorini, fallita poi nel 1913. Tra via Grigna e via Monte Generoso, a fianco del primo quartiere popolare del Mac Mahon, troviamo un complesso edilizio ancora una volta differente rispetto ai precedenti: mentre i primi erano caratterizzati da edifici che potevano ospitare numerose famiglie, oltre a possedere le varie attività commerciali che erano collocate al piano terra degli edificati che si affacciavano su strada, qui troviamo un approccio totalmente diverso; stiamo parlando per la maggior parte di villette a schiera, di massimo tre piani che nel loro insieme sono caratteristiche in quanto pur presentando in pianta e in alzato le medesime conformazioni architettoniche, è nella resa prospettica che il progettista ha potuto sbizzarrirsi. Ognuna è caratterizzata da un proprio impianto decorativo che può essere il colore dell’intonaco, la fantasia utilizzata della decorazione esterna o più semplicemente le inferriate e i balconi, che fanno di ogni singola casa un elemento a sé stante. L’isolato composto per lo più da villette, se non qualche eccezione fatta per i condomini di sei e sette piani, con il piano terra occupato dal settore commerciale che si affacciano su Viale Monte Ceneri, inizialmente si chiamava quartiere CELSA, progettato dall’ingegnere Consonni nel 1926.
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Quartiere Mac Mahon, Milano Accessibilità del quartiere
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Il quartiere si trova nella parte nord-ovest della città di Milano, essa confina a ovest con la zona di Villapizzone e a nord-ovest, separata dalla ferrovia, con il quartiere della Bovisa. Pur trovandosi nella zona periferica della città esso è ben collegato al territorio milanese e non solo; infatti, come già accennato, nella zona ovest il Mac Mahon confina con Villapizzone e di conseguenza può usufruire del primo contatto extraurbano, la ferrovia dello Stato, che collega Milano con le città di Varese e Novara, oltre a quelle di Portello e Treviglio, utilizzando il passante ferroviario, che attraversa il capoluogo lombardo. Inoltre attraverso il passaggio pedonale sotterraneo della stazione di Villapizzone, si può arrivare facilmente nel quartiere della Bovisa, e qui avere contatti con la rete ferroviaria delle Ferrovie Le Nord. Altro importante mezzo di accessibilità è la rete stradale, infatti nelle vicinanze, del primo quartiere operaio sorto intorno al 1908-1909 all’interno del quartiere, vi è la confluenza del Viale Monte Ceneri, che tramite il cavalcavia Adriano Bacula, permette di collegare la zona di Bovisa con Viale Certosa, quest’ultimo in stretta relazione con l’imbocco delle autostrade quali la Torino - Trieste (A4) e la Milano – Varese (A8). Vi sono poi altri mezzi di trasporto che permettono la connessione del quartiere con la città, lungo via Mac Mahon, da cui il quartiere prende il nome, è percorsa dalla rete tranviaria della città, in questo caso vi è il servizio del tram n° 12, attraversando il famoso “Viale degli Olmi”, di cui ultimamente si è discusso molto, in quanto vi è la volontà di abbattere alberi secolari, che crescendo comportano la distruzione del manto stradale e di conseguenza quello dei binari, che non possono più essere utilizzati. Vi sono poi le linee 78 e 90 dell’autobus ATM.
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Importante per la viabilità del quartiere furono i vari interventi stradali che nei primi trent’anni del ‘900 e oltre, caratterizzarono la sistemazione di molte strade milanesi, grazie all’utilizzo di nuove tecniche utili nel campo delle pavimentazioni stradali. Due dei più importanti furono la sistemazione dell’intero Viale Certosa e la costruzione del Ponte della Ghisolfa. Il “Viale della Certosa” era la strada che collegava il Rondò Sempione con il Piazzale del cimitero di Musocco, e in seguito alla costruzione nel 1926 delle prime autostrade dei laghi, che sboccavano nel viale, resero il traffico, in passato più contenuto, intenso e le condizioni del traffico inaccettabili. Le carreggiate furono divide in base alla circolazione di diversi mezzi, e i tram furono posti in una sede separata. La seconda delle opere più significative, che in quegli anni il Comune di Milano, realizzò, fu il collegamento del Viale Monte Ceneri con Piazzale Lugano, che concludeva la circonvallazione più esterna della città. L’intervento richiese la costruzione di due cavalcavia a trave rettilinea in calcestruzzo armato sulla linea delle Ferrovie Nord Milano, l’alloggiamento del viadotto esistente sulla linea Milano-Rho delle Ferrovie dello Stato, l’esecuzione di una strada in rilevato della larghezza di 20 metri, 12 m di carreggiata e due marciapiedi di 4 m ciascuno, oltre ad altre sistemazioni di minore importanza. Da piazzale Lugano si snoda il Cavalcavia Bacula, definito “Ponte della Ghisolfa”, dal nome della cascina che si trovava in via Delfico, nell’area compresa dalle Ferrovie Nord e della linea delle Ferrovie dello Stato; dalla sommità del ponte, che scavalca i binari ferroviari, si può avere una percezione dell’area di Bovisa e della tipologia di territorio che essa rappresenta, ovvero una ex area industriale in espansione, capace di mutare il suo aspetto, per dar spazio allo sviluppo e alla nascita di un nuovo e moderno quartiere che si mette al servizio del centro universitario del Politecnico di Milano. All’accessibilità viaria, il quartiere è ben collegato anche dal punto di vista ferroviario; infatti vi sono ben due linee ferroviarie che passano nelle vicinanze, con la possibilità di avere tre stazioni molto vicine fra di loro. Parliamo di quelle di Milano Certosa e di Milano Villapizzone che si trovano sul percorso ferroviario delle Ferrovie dello Stato, e la terza è quella di Milano Bovisa-
Politecnico, appartenente alla linea ferroviaria Le Nord Milano. La stazione di Milano Certosa è la stazione collocata più a ovest del Comune di Milano e rappresenta la porta d’accesso al Passante delle Ferrovie dello Stato proveniente da Varese, Gallarate e Novara. Insieme a Bovisa, Villapizzone e Rogoredo è una delle stazioni fuori terra del Passante. Nel 1983, le Ferrovie dello Stato, commissionarono all’architetto Angelo Mangiarotti di realizzare un unico progetto per le stazioni di Certosa, Rogoredo e Villapizzone, caratterizzate dal medesimo disegno delle pensiline. La stazione di Villapizzone fu inaugurata nel luglio del 2002 ed è l’ultima stazione in superficie ,provenendo da Certosa, prima che la ferrovia si interri nel passante verso la stazione di Lancetti. Essa è caratterizzata da un ampio spazio sotterraneo in modo da poter permettere, senza disagi, la fruizione di un numero elevato di persone, calcolando che, insieme a Bovisa, rappresenta una delle due fermate utilizzate, da un elevato numero di studenti che frequentano la sede Bovisa del Politecnico di Milano. La terza e ultima stazione significativa, e di contatto diretto con il quartiere risulta essere quella di Milano Bovisa; infatti è possibile raggiungerla attraversando il passaggio pedonale sotterraneo di Villapizzone, per potersi ritrovare subito nell’area degli ex gasometri e nel territorio in cui sorge la sede della Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano. Poco più avanti si trova la stazione. Essa connette il Passante con la rete delle Ferrovie Nord Milano e con le linee ferroviarie verso Saronno, Novara, Varese, Como e la Brianza, oltre ad essere la stazione di interscambio con il Malpensa Express. Il progetto della stazione fu affidato dall’architetto Segrè, che ipotizzò un sistema a ponte, entrato in funzione nel 1991.
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Parco Giovanni Testori Tipologia: parco urbano Anno di realizzazione: 1980 Superficie territoriale: 62.000 m2 Il Parco Giovanni Testori, sorge sull’ex area dedicata alla realizzazione di un villaggio– giardino, denominato Campo dei Fiori agli inizi del ventesimo secolo, riqualificata intorno agli anni ’80. L’area si estende tra il vecchio borgo di Villapizzone e il ponte della Ghisolfa; oggi il Parco è dedicato allo scrittore Giovanni Testori, che ne fece uno degli sfondi preferiti per ambientare i suoi scritti. Come già accennato, in passato, l’area, fu utilizzata per la realizzazione di un quartiere chiamato Campo dei Fiori per volere dello IACP (Istituti Autonomo Case Popolari), che nel 1919 edificò, sui terreni incolti, villette monofamiliare, adatte ad ospitare reduci di guerra e mutilati. Con la demolizione e la riqualificazione dell’area intorno agli anni ’80, ora vi trova sede il Parco e sui suoi lati sono stati realizzati nuovi edifici. L’impianto del Parco ricalca quello originale dell’area, anche se non è più possibile identificare le molteplici vie che caratterizzavano il quartiere precedente; sono inoltre presenti vaste aree giochi e altre attrezzature, quali un campo da basket e uno della pallavolo. Quartiere- Villaggio Campo dei Fiori Progettista: IACP Anno di realizzazione: inizi del 1900 Superficie territoriale: 120.000 m2 Il quartiere sorge nella zona incolta tra Villapizzone e la Ghisolfa, a est è delimitato dalla linea ferroviaria Milano Porta Garibaldi – Milano Certosa e segna il confine della Bovisa, che è possibile raggiungere mediante un sotto passaggio pedonale presso la stazione di Villapizzone. L’estensione dell’ area si aggira intorno ai 400 m di lunghezza e i 300 m di larghezza, arrivando ad estendersi su un’area di 120.000 m2. Il Villaggio Campo dei Fiori fu costruito nel 1919 dall’ IACP (Istituto Autonomo Case Popolari) per permettere al numero sempre crescente di popolazione di avere una propria dimora. Il progetto ad opera dell’IACP prevedeva
la realizzazione di villette monofamiliare attraversate e messe in comunicazione, le une alle altre, mediante delle strade, ognuna delle quali portava il nome di un albero diverso. Le abitazioni erano piuttosto modeste: alte un piano e dotate di un piccolo giardino; inizialmente erano destinate ai reduci di guerra e mutilati, più avanti furono utilizzate per ospitare i pensionati delle ferrovie dello Stato. Il villaggio era caratterizzato da un’asse centrale, Viale dei Sicomori che collegava Via Mac Mahon con la stazione di Bovisa. Dopo la Guerra, le condizioni socio-economiche del paese cambiarono, e le sistemazioni finora utilizzate furono ritenute inadatte; si decise quindi per un nuovo piano urbanistico che prevedeva la demolizione delle villette, non senza numerose proteste da parte degli abitanti, e la costruzione di edifici residenziali di piccola e media dimensione posizionati ai lati del quartiere. Nell’area più interna la villaggio si decise di non edificare, rimanendo così per anni abbandonata, fino a quando agli inizi degli anni ’80 si decise di riqualificare la zona e di trasformarla nell’odierno Parco Giovanni Testori, conosciuto ancora oggi come l’Ex Campo dei Fiori. Oltre alla sistemazione dell’Ex Campo dei Fiori, il quartiere presenta altre aree dedicate allo svago e a contatto con il verde; infatti in prossimità dell’odierno Parco Giovanni Testori, vi è l’estensione del parco lungo la zona di Villapizzone, presentando diversi ingressi, uno dei quali si trova in via Francesco Ardissone. Il Parco si protende verso la stazione di Villapizzone, per arrivare alla zona di Bovisa; è quindi una zona di unificazione di tre quartieri e sorge sopra i vari passaggi pedonali sotterranei che congiungono il quartiere di Villapizzone e Mac Mahon, con il quartiere della Bovisa passando per la stazione di Villapizzone. Vi sono poi altre aree verdi, queste di dimensioni molto ridotte, che si trovano nel cerntro del quartiere e che sono per lo più zone di sosta, poste in prossimità di asili e scuole, infatti oltre a sedute, essi presentano vari giochi utili alle attività dei più piccoli. Uno si trova nei pressi di Piazza Prealpi e l’altro in prossimità della già nominata via Francesco Ardissone.
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Quartiere Mac Mahon, Milano quanto riguarda i percorsi che l’accessibilità ad essa; l’ingresso avviene proprio in via Francesco Ardissone tramite un cancello, in quanto la zona è recintata. E’ un’area di circa 9.000 mq il cui spazio è utilizzato per la maggior parte da verde, mentre il resto è caratterizzato dalla presenza di percorsi su ghiaia che conducono ad una sazio più grande i cui sono collocate attrezzature per bambini, per poi proseguire fino al secondo accesso all’area, in Viale dei Pioppi, che costeggia la linea ferroviaria. Infatti la zona creata è un ritaglio di verde in corrispondenza dell’intersezione visiva delle due linee ferroviarie.
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Il nuovo Parco Giovanni Testori è uno dei parchi più importanti della città e di sicuro lo è per il quartiere del Mac Mahon e per quello di Villapizzone. Ricopre una superficie di oltre sei ettari e mantiene la struttura viaria precedente, dove sorgeva l’ex Campo dei Fiori, villaggio – giardino demolito negli anni ’60 durante il boom economico. In precedenza le vie che connettevano le varie villette dell’area erano nominate secondo una tipologia, differente per ogni via, di una pianta o in fiore, oggi, pur mantenendo la struttura dell’impianto fedele all’originale, non si può dire la stessa cosa della sistemazione delle vie interne che non ricalcano più i vecchi percorsi pedonali. All’interno del parco vi crescono notevoli e numerose varietà di specie arboree, che rendono il parco non solo utile per lo svago, ma anche un luogo in cui potersi immergere nella natura, e allontanarsi per alcuni attimi dal caos e dalla frenesia della città. Gli alberi sono quindi i veri protagonisti del parco; inoltre vi troviamo un’ampia area giochi attrezzata e inoltre vi sono numerosi percorsi che si snodano all’interno dell’area, lungo i quali è possibile praticare jogging, passeggiate ed è inoltre consentito l’utilizzo della bicicletta all’interno del parco. Vi sono poi collocati anche due campi, uno da pallavolo e uno basket, in modo da permettere, non solo ai più piccoli, di praticare attività di svago; una piccola nota negativa è che non vi sono strutture fisse per il ristoro, quali bar e chioschi, ma all’occorrenza, nelle stagioni più calde, si provvede alla sistemazione di chioschi mobili. Il Parco Giovanni Testori è un luogo sicuro, in quanto area periodicamente sorvegliata e anche accessibile a tutti in quanto non presenta recinzioni, ed è anche facile raggiungerlo; tramite il tram con le linee 1-12 e il Passante Ferrovie Nord Milano, stazione di Villapizzone. Va pur sempre detto che ci troviamo in una zona periferica della città, e molto spesso le aree non vengono mantenute nelle condizioni ideali per la loro utilità e praticabilità; il Parco , così come ogni altra zona verde, ha bisogno di manutenzione e di cure che continuino a permettere ai cittadini di usufruire del servizio per cui esso è stato realizzato. Alla fine di via Francesco Ardissone, vi è un’area verde che, osservandola in planimetria, suscita interesse perché si nota fina da subito un’attenta cura nella sua disposizione, sia per
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Seguendo a est di piazzale Accusio le vie Sonnino e Michelino da Besozzo, oltre Piazza Prealpi si raggiunge, lungo la via Mac Mahon, l’omonimo insediamento di edilizia popolare, realizzato dall’ ingegnere Giannino Ferrini, uno dei quattro grandi quartieri che, dopo l’approvazione della legge Luzzatti per l’edilizia popolare nel 1903, vennero costruiti per la classe meno abbiente. Gli altri tre quartieri sono lo Spaventa, il Ripamonti e il Tibaldi. Si tratta di isolati compatti e caratterizzati da edifici di varie tipologie destinati a categorie sociali diverse: edifici a ballatoio e anche villini, case unifamiliari a schiera e un edificio per servizi collettivi. Tra il 1926 e il 1928, per volere dell’Istituto Case Popolari, sorge nelle vicinanze il quartiere di Villapizzone, progettato da Giovanni Broglio e organizzato per grandi isolati chiusi intorno ad un cortile. Dall’altro lato di via Mac Mahon nel 1919-1920 è sperimentata la tipologia del quartiere giardino con il villaggio Campo dei Fiori, poi demolito. Su quest’area oggi sorgono edifici popolari realizzati intorno agli anni ’70. Il quartiere è inoltre caratterizzato dalla presenza di numerose scuole e asili, oltre alla presenza di un liceo; in via Castellino da Castello, dietro a via Mac Mahon, si trova l’Istituto Comprensivo Rinnovata Pizzigoni. La scuola elementare “La Rinnovata”, edificio storico, realizzato nel 1927 dall’ingegnere Belloni, in cui si sperimentano i principi educativi e didattici innovativi di Giuseppina Pizzigoni. L’edificio è composto di due lati disposti ortogonalmente e chiusi nella parte finale da due padiglioni più piccoli. Il complesso, nel suo insieme, ospita nella parte centrale un ampio spazio esterno adibito a giardino, in stretto contatto con le aule, mentre il lato nord si congiunge con un’area di 8.200 mq dedicata all’agraria. La conformazione dell’edificio riprende lo stile di una tipica cascina lombarda, con murature in mattoni pieni a faccia a vista e coperture in legno a falde, rivestite da tegole marsigliesi. Nell’area dedicata all’azienda agricola, lontano dal complesso scolastico, si trovano il padiglione per la piscina coperta, la ex casa del fattore e il padiglione contenente le aule e i laboratori dell’agraria. I cortili sono destinati allo svago da parte degli studenti e allo studio all’aperto, sono ben
collegati con le aule e le varie aree didattiche mediante piccole rampe di scale ripetute lungo il fabbricato. Vi sono poi aree destinate al calcio, una dotata di gazebo e in vicinanza all’edificio principale vi sono tre grandi spazi alberati, divisi, ma allo stesso tempo collegati da due pergolati. Oltre all’area in cui si concentrano i vari complessi scolastici, vi è, nella parte opposta del quartiere un’altra area adibita alla medesima funzione, infatti, a ridosso delle abitazioni ad edilizia popolare vi trova spazio la sede, in via Varesina della scuola materna – Istituto case popolari di Milano, che presenta una propria area esterna adibita a cortile e nell’immediata vicinanza, all’incrocio dell’isolato vi è un parco giochi. Proseguendo lungo la via Michelino da Besozzo troviamo, all’incrocio con via Jacopino da Tradate, la sede della Polizia di Stato.
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Spazi pubblici nel quartiere Il Mac Mahon, nasce e si sviluppa nel corso di una ventina di anni, durante i quali, da piccolo cento, realizzato a partire da 1908, concentrato nell’isolato compreso tra via Mac Mahon e via Grigna, oltre ad affacciarsi timidamente su viale Monte Ceneri, non era più grande di 3 ettari e comprendeva quella che era l’edilizia popolare adatta alla popolazione meno abbiente, con gli anni il quartiere si trasforma, soprattutto intorno al 1926-1927, quando vengono costruite le altre residenze popolari. Come lo vediamo noi oggi è il frutto di una metamorfosi e adattamento che il territorio ha dovuto subire, infatti sono proprio i quartieri periferici la vera testimonianza di una città e delle sue trasformazioni; in questo caso il quartiere, insieme a quello di Villapizzone e Bovisa si sono messi a disposizione dell’introduzione, che di certo non poteva passare inosservata, della sede di Bovisa del Politecnico di Milano. Ma il quartiere non narra la sua storia solo attraverso la nascita delle varie tipologie residenziali, ma soprattutto dallo sviluppo della piazza, luogo simbolo dell’attività pubblica e della società. Dietro al primo insediamento residenziale del 1908, sorge Piazza Prealpi, un tempo conosciuta come Piazza Mario Asso, una delle foto più antiche è quella scattata negli anni ’20, dove dall’alto si può riconoscere il piccolo quartiere e le tracce di quello che poi sarebbe diventato via Mac Mahon. La piazza sorge in prossimità della via Campo dei Fiori, strada ortogonale a via Mac Mahon e che conduce all’omonimo Campo dei Fiori, il villaggio giardino realizzato dallo IACP negli anni 1919-1920; la piazza nasce con il nome di Prealpi, nome che riprende altri toponimi della zona, Monte Generoso, Mottarone, Grigna e Campo dei Fiori, in seguito, come era solito fare si sostituì il toponimo esistente a favore di Mario Asso che combattè al fianco di D’Annunzio, morì per difenderlo e per tale motivo fu considerato meritevole e gli fu attribuito un riconoscimento che si manifestò con l’intitolazione della piazza a suo nome. Altra via importante e caratteristica, oltre che testimonianza del quartiere è via Mottarone che divide in due parti il gruppo di abitazioni comprese tra via Mac Mahon, via Artieri, via Grigna e viale Monte Ceneri, in poche parole il quartiere del 1908.
La piazza Mario Asso fu scelta come ubicazione per la sede del Gruppo Rionale che assunse lo stesso nome dell’ufficiale morto in combattimento, la data di realizzazione dell’edificio si presume sia quella scritta in alto sulla torre “A. XVI E.F.” ossia “Anno sedicesimo dell’ Era Fascista, infatti per la sua caratterizzazione architettonica sembra proprio ricalcare le tipologie edilizie tipiche del periodo fascista. L’edificio è tutt’oggi visibile in piazza Prealpi, compreso tra le vie Michelino da Besozzo e la via Jacopino da Tradate, oggi sede della Polizia di Stato.
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riferimenti ICONOGRAFIA
BIBLIOGRAFIA
SITOGRAFIA
01. riferito all’immagine nelle pagine precedenti con riferimento al metodo di citazione spiegato in aula
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R.Pugliese, La casa popolare in Lombardia 19032003, Unicopli, Milano, 2005