LO SVILUPPO LOCALE: DAI MODELLI TEORICI ALLA NUOVA PROGRAMMAZIONE EUROPEA 2014 - 2020 a cura di Barbara Nicolai
La crisi che stiamo attraversando ha inciso in maniera trasversale in tutti i paesi europei. In questa fase recessiva l'Italia da un lato ha visto trasformare i suoi punti di forza in punti di debolezza(la dimensione aziendale, l'attività manufatturiera matura) dall'altro amplificare le carenze e ritardi storici (credito, infrastrutture e servizi, politica industriale di indirizzo) propri del nostro Paese che hanno amplificato gli effetti della crisi. Ciò ha comportato: un aumento degli ammortizzatori sociali, di aziende delocalizzate o chiuse, della disoccupazione soprattutto giovanile e femminile, la crisi di interi territori, settori e filiere. Per il rilancio dell'Italia serve con urgenza individuare quale sviluppo sia necessario e possibile avere sia come sistema produttivo che come territorio individuando le priorità e le strategie in termini di sviluppo sostenibile, competitività e qualità del lavoro. La nuova programmazione comunitaria 2014/2020, nell'ottica degli obiettivi di Europa 2020, è una grande occasione per definire un nuovo modello di sviluppo economico innovativo, competitivo, inclusivo, distribuito e ad alta intensità di lavoro. L'importanza e il ruolo del territorio nei processi di sviluppo è mutato nel tempo (il passaggio dal fordismo al post fordismo, la globalizzazione dei processi, l'integrazione tra sviluppo e ambiente, il federalismo e le autonomie locali, il rapporto tra globale e locale) e ha modificato gli approcci, i modelli, le politiche e gli strumenti dello sviluppo locale. Il territorio in natura non esiste, non è un'area geografica, ma un insieme localizzato di beni (milieu locale) comuni (valori e risorse), patrimoniali, immobili, materiali e immateriali, specifici, non trasferibili altrove che, stratificati nel tempo, individuano una specifica realtà (ambiente naturale, patrimonio storico culturale, infrastrutture e capitale umano anche in termini di rete di relazioni tra attori locali). Il milieu locale e le dinamiche della rete locale in termini relazionali (sistema territoriale locale) interagiscono tra di loro e si modificano nel tempo permettendo all'ambiente e al sistema di autoriprodursi (modello SloT). Il concetto di sviluppo territoriale richiama la crescita economica e qualitativa, i suoi fattori, l'ambito sociale e politico in cui si opera: è un processo di interazione tra soggetti locali la cui idea di sviluppo è basata sulla valorizzazione di tutte le risorse territoriali per garantire la competizione; è quindi uno sviluppo multidimensionale, integrato e intersettoriale in cui il territorio diventa soggetto distinto e attivo nello sviluppo stesso con un proprio patrimonio di valori e capitale. Il
territorio non è però autonomo nello sviluppo, è sempre parte integrante di un sistema più ampio orizzontale (altri SloT) e verticale (livelli e sistemi istituzionali: UE, Stato, ecc.) con cui interagisce. Nel tempo gli approcci allo sviluppo territoriale sono cambiati soprattutto a seconda dell'importanza data alla variabile territorio. Il periodo successivo agli anni '70 con la crisi del modello fordista ha visto l'affermarsi, rispetto al periodo precedente, di una nuova centralità del territorio (non più soggetto passivo di politiche e risorse o fattore produttivo), dell'approccio bottom up allo sviluppo con la riduzione del ruolo gerarchico dello Stato, dell'importanza e del ruolo dei fattori sociali e culturali, il tutto favorito anche dalle politiche comunitarie. Lo sviluppo locale diventa vera alternativa strategica alla globalizzazione, sinonimo di politica integrata, basata sulla valorizzazione delle specificità del territorio, del rapporto tra i diversi settori di intervento, del coordinamento dei differenti livelli istituzionali, della cooperazione tra soggetti pubblici e privati e della partecipazione ai processi decisionali. L'applicazione del modello SloT richiede però sempre un quadro nazionale, legislativo, di risorse, di strategie, di politiche industriale e del loro coordinamento la cui mancanza rende qualsiasi intervento a livello locale insostenibile. Uno degli elementi fondamentali nello sviluppo locale, capace di influenzare tutti gli altri fattori, è il capitale sociale (attori locali e rete di relazioni) che svolge un'utilità strumentale, costruttiva e diretta nella definizione delle priorità e delle strategie territoriali. Significa riuscire a individuare quali soggetti, quale forme e quale finalità della partecipazione allo sviluppo in equilibrio con i costi di concertazione e le capacità di ognuno. Il capitale sociale nel tempo ha assunto un ruolo sempre maggiore per rispondere, con la cooperazione, alla necessità di qualità e flessibilità nella produzione e può essere distinto in base alla natura, all'ambito tematico, al ruolo assunto, al territorio di appartenenza. Gli attori locali sono generalmente soggetti collettivi, come ad esempio i sindacati, le associazioni imprenditoriali e gli altri partner sociali, riconosciuti come portatori di un “monopolio” di rappresentanza, i cui interessi sono (o almeno dovrebbero) essere mediati dal soggetto regolatore (di norma il livello istituzionale locale) e il cui livello di partecipazione può essere forte (per esempio nella concertazione negoziata) o debole a seconda del grado responsabilità assunto dal capitale sociale nel processo di sviluppo. La politica di sviluppo territoriale è strettamente intrecciata alle politiche europee e nazionali. Europa 2020 è la strategia di medio lungo termine adottata dall'UE per promuovere una crescita intelligente, sostenibile, inclusiva e solidale diretta a creare le condizioni per rilanciare l'economia. La UE ha definito 5 obiettivi prioritari, da raggiungere entro il 2020, legati a occupazione, innovazione e ricerca, cambiamenti climatici e sostenibilità energetica, istruzione, inclusione sociale, lotta alla povertà e all'emarginazione declinati in 7 iniziative prioritarie: l'agenda digitale europea, l'unione dell'innovazione, youth on the move, l'Europa efficiente sotto il profilo delle
risorse, una politica industriale per l'era della globalizzazione, l'agenda per nuove competenze e nuovi lavori, la piattaforma europea contro la povertà. Nel periodo 2014 - 2020 di nuova programmazione tutte le politiche dell'Unione Europea, in particolare quelle legate allo sviluppo (politica di coesione economica e sociale, politica agricola comune e politica della pesca), dovranno dare il loro contributo agli obiettivi di Europa 2020. La Commissione Europea, al fine di progettare e attuare la politica di sviluppo più efficace ed efficiente, ha apportato, con l'ultima programmazione, numerose modifiche sia negli obiettivi delle politiche, sia nell’architettura stessa della programmazione. Tutte le politiche e la programmazione delle risorse mirano ad un insieme comune di 4 mission e 11 obiettivi tematici derivanti da Europa 2020 per la competitività europea, declinati in un quadro comune di programmazione dato dal Quadro Strategico Comune (QSC), dal Regolamento Comune (unisce le linee guida, oggi separate, di tutte le politiche) e dai Regolamenti specifici dei singoli Fondi Strutturali (FESR, FSE, FEASR, FEAMP, FC). Ciascun paese dovrà poi declinare gli obiettivi previsti dal QSC attraverso un documento nazionale, l’Accordo di Partenariato con cui ogni Stato Membro, definisce la propria strategia nazionale, le priorità e le modalità di intervento, i risultati da raggiungere, le condizionalità ex-ante, gli approcci per il coordinamento e l'integrazione dei Fondi. L'Italia ha già inviato alla Commissione Europea una prima bozza di AdP, a luglio 2013, a seguito di un percorso iniziato, a giugno 2012, con la presentazione del documento Barca “Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014 2020”. che introduce per il nostro Paese 4 temi (lavoro, competitività dei sistemi produttivi e innovazione – valorizzazione, gestione e tutela dell'ambiente – qualità della vita e inclusione sociale – istruzione, formazione e competenza), 7 innovazioni di metodo per l'utilizzo dei fondi (risultati attesi, azioni, tempi, trasparenza, partenariato, valutazioni e presidio nazionale), 3 opzioni strategiche: città, aree interne e Mezzogiorno. L'impatto che tali politiche e interventi di sviluppo, concretamente, possono avere sull'UE e sul nostro Paese è dato dall'ammontare complessivo di risorse in via di definizione (336 mld di euro per l'UE e circa 110 mld per l'Italia comprensive della compartecipazione nazionale ai fondi strutturali e al fondo FSC nazionale ancora in discussione con la legge di stabilità in Parlamento). Nell'ambito delle politiche di sviluppo europee, una posizione trainante e centrale per la ripresa economica e sociale è riconosciuta al nuovo approccio allo sviluppo locale. L'approccio comunitario allo sviluppo locale è territoriale, endogeno, integrato (plurifondo o monofondo), ascendente, partenariale e sostenibile e, in base al principio della concentrazione delle risorse, prevede vincoli % e tematici di investimento per il FESR (es. almeno il 5% allo sviluppo urbano sostenibile), per il FSE (es. 20% all’inclusione sociale), per il FEAMP (es. il 10% allo SLP), per il FEASR (es. 5% obbligatorio per sviluppo rurali basato sul metodo LEADER).
La Commissione UE ha poi definito specifici strumenti che possono essere utilizzati per il perseguimento della politica di sviluppo territoriale integrata, alcuni nuovi (JAP Piano di Azione Comune e ITI investimenti territoriali integrati) altri già esistenti e applicati in passato solo per alcuni programmi (approccio Leader allo sviluppo locale partecipativo nelle aree rurali) ma che, avendo avuto risultati positivi, sono diventati strumenti opzionali anche per l'utilizzo di altri fondi. Alcuni di questi strumenti legano i finanziamenti agli effettivi risultati dell'azione strategica integrata (JAP), altri prevedono un approccio integrato e intersettoriale, aggregando più risorse e indirizzandole sia sulle infrastrutture che sulle persone per perseguire un unico obiettivo (ITI), altri ancora hanno come elemento distintivo il coinvolgimento diretto del territorio e dei suoi attori e la valorizzazione delle sinergie locali come fattore di sviluppo capace di amplificare i risultati; tutti però presentano, come criticità comune, una grande capacità progettuale, nel medio lungo termine, di scelte e priorità richiesta alla classe politica. Qualsiasi modello di sviluppo territoriale possibile risente, oggi, del grave clima di incertezza che sta attraversando l'Europa intera, Italia compresa. Alla devastante crisi attuale ancora oggi non si è riusciti a dare risposte concrete con il risultato che le sole politiche di austerità e rigore contabile attuate hanno peggiorato le condizioni non solo economiche ma anche sociali dei lavoratori e cittadini europei. Serve invece, soprattutto per l'Italia, rimettere al centro il lavoro e l'occupazione, definire una politica industriale per la via alta allo sviluppo, con risorse certe e mirate in settori strategici innovativi e premianti, valorizzando le enormi ricchezze e potenzialità che il nostro Paese presenta (la molteplicità dei territori, il patrimonio storico artistico culturale e ambientale) alla luce della grande opportunità offerta dalla nuova politica e programmazione di sviluppo europea. Serve soprattutto un'assunzione di responsabilità forte da parte della attuale politica per definire e perseguire le scelte strategiche necessarie e urgenti che possano rispondere ai bisogni e alle necessità del nostro Paese; responsabilità che, purtroppo, ancora oggi, la politica non ha saputo, ma soprattutto non ha voluto, cogliere con la legge di stabilità. Infatti ancora una volta si parla poco di politiche industriali, di lavoro e di occupazione da intendere non solo come decontribuzione e servizi per il lavoro ma come indicatore di risultato di tutti gli interventi programmati, anche in riferimento alle politiche europee. La CGIL, invece, questa responsabilità l'ha assunta formulando la proposta del Piano per il Lavoro in cui si tengono insieme, indicando anche dove reperire le risorse, realtà (politica economica concreta), crescita (settori e comparti prioritari su cui investire, dove orientare ricerca e innovazione, come e cosa produrre), territorio (valorizzazione delle realtà locali in un'ottica di politica nazionale) e pubblico (come volano dello sviluppo e strumento di coesione sociale).
Ma questo non basta. Bisogna rivendicare con forza il riconoscimento di quel ruolo propositivo che è proprio della CGIL, anche a livello locale, alla luce delle opportunità di sviluppo territoriale offerte dalla nuova programmazione europea, affinché, quando si parla di sviluppo, il lavoro, e non solo il capitale, sia il fattore determinante, fondamentale, tutelato e garantito.