LE RAGIONI DEL
MARMO a cura di Andrea Balestri
fondo marmo massa carrara
Nel febbraio 1987 l´Associazione Industriali ed i sindacati Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil decisero di costituire un fondo per fornire ai lavoratori del settore marmo alcune prestazioni aggiuntive rispetto a quelle fruibili in base ai sistemi di protezione sanitaria e sociale già disponibili. La copertura assicurativa a beneficio dei lavoratori vittime di infortuni o incidenti sul lavoro è stato il primo, ed è ancora, uno dei più importanti servizi erogati. Nei quasi 20 anni di esercizio il Fondo ha svolto, inoltre, una intensa attività formativa e informativa per la prevenzione degli infortuni e per la sicurezza; ha messo a disposizione attrezzature, mezzi e servizi specifici per l’assistenza: autoambulanze con trazione 4x4, sistemi dedicati di telecomunicazione su frequenze radio e cartelloni per la segnaletica. In collaborazione con i tecnici del Dipartimento Prevenzione della ASL sono stati realizzati corsi che hanno coinvolto più di 1.000 persone; in pratica, un lavoratore del marmo su tre ha preso parte a eventi formativi organizzati dal Fondo per i suoi iscritti. Particolarmente significativa è stata l’attività di ricerca con incarichi commissionati ad istituti universitari sull’impiego sicuro del filo diamantato e all’Associazione dei direttori di cave per l’analisi sui rischi di infortunio nella movimentazione dei blocchi marmo. Tra le ultime realizzazioni, merita una menzione particolare la raccolta dei testi di tutti i contratti integrativi provinciali di questo settore dal dopoguerra ad oggi. Attualmente il Fondo presta i propri servizi a 2.200 lavoratori: 900 nelle cave e 1.300 nei laboratori e nelle segherie.
In copertina: R.Galiotto, Litos design, Pietre incise: Tratto
LE RAGIONI DEL MARMO A cura di Andrea Balestri
Progetto grafico di Andrea Callegari
Carrara 2016
Fondo Marmo Massa Carrara
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Presentazione Quello del marmo è un lavoro duro che tempra lo spirito e il carattere delle persone. I cavatori con i monti hanno un rapporto particolare di confidenza e di rispetto. I fronti delle cave non sono mai lineari; ogni giorno è diverso con il sole che brucia o il vento gelido che punge le mani. I rischi sono sempre in agguato. Ma sono persone schiette e socievoli, con un cementato senso di solidarietà e un grande attaccamento alle proprie organizzazioni sindacali. Ogni tanto dalle teche RAI vengono riproposti filmati in bianco e nero della vita dei cavatori e dei lizzatori negli anni Cinquanta e Sessanta. Sono piccoli spaccati pervasi da una atmosfera epica. Da allora sono cambiate tante cose: alle cave si arriva in auto, le lame a catena hanno sostituito il filo elicoidale, la riquadratura dei blocchi non si fa più a colpi di martello e scalpello; il marmo viene trasportato sui camion. Sulle facce dei cavatori, tuttavia, si riconoscono gli stessi occhi, allegri e guardinghi al tempo stesso, dei vecchi filmati in bianco e nero; le stesse espressioni di rispetto e amore per i monti. E c’è anche molto orgoglio in questa gente che tutti i giorni sale in cava a Gioia, a Torano e Fantiscritti e che si misura con la natura e le sue insidie. Sono sicuro che molti di loro, scorrendo questo libro patrocinato dal Fondo Marmo che è soprattutto una loro conquista, apriranno una finestra sul mondo a valle delle cave e daranno ancora più senso al frutto di una attività di cui, sui piazzali e sui poggi, vedono solo i capitoli iniziali. Nello stesso tempo mi piace pensare che questo racconto del Direttore dell’Associazione Industriali serva anche ad evocare il duro lavoro dei cavatori in quanti, lontano dalle Alpi Apuane, ammirano la bellezza dei manufatti di marmo.
Francesco Fulignani Segretario Provinciale Feneal-Uil Vice Presidente Fondo Marmo Massa Carrara
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Indice Introduzione e ringraziamenti
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Materie prime
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Marmi
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Un pò di storia
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Il distretto
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Le regole
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Performance ambientale delle pietre
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Il paesaggio
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Scalpellini, robot e Made in Italy
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Introduzione
E. Lancia, G. Ponti, Palazzo Rasini ai Bastioni di Porta Venezia, Milano, 1933-34
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I
n viaggio. Calpestiamo strade e piazze di piccoli borghi e città d’arte. Camminiamo curiosando tra chiese, musei e palazzi. Ci soffermiamo ad osservare le linee architettoniche, le proporzioni degli archi, gli spazi aperti e le facciate degli edifici con i loro colori. Raramente, però, prestiamo attenzione ai materiali con i quali tutto questo è stato costruito: marmo, travertino, pietraforte, pietra serena, macigno o granito. Questi materiali non solo connotano le statue, per le quali l’associazione con il bronzo o il marmo è abbastanza facile, ma sono parte integrante dei paesaggi costruiti dall’uomo e, con il diverso modo d’impiego che ne è stato fatto nei secoli, hanno scandito le tappe del progresso della nostra civiltà.
In base alle conoscenze e alle capacità tecnologiche, al gusto e alla cultura del tempo, in ogni epoca si è fatto largo uso delle pietre, soprattutto quelle delle cave più vicine, per costruire opere maestose, luoghi di potere e di culto, strade, mura di cinta, cimiteri, interi villaggi e i centri delle città. Questi stessi materiali sono stati utilizzati per realizzare opere di arte di straordinaria bellezza, semplici case, acquedotti, scuole, ospedali e oggetti per l’arredo urbano. Fortunatamente le pietre sono dure e una buona parte di queste opere si è conservata permettendoci di capire molti aspetti delle civiltà che ci hanno preceduto: usi, costumi e vita quotidiana.
Via Appia
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Oggi le straordinarie conoscenze nel campo dell’architettura rendono possibili costruzioni un tempo nemmeno immaginabili ma sempre ottenute partendo da materie prime. In senso esattamente contrario, ancora oggi ci chiediamo ammirati quali tecniche sono state utilizzate dal Brunelleschi per la maestosa cupola del Duomo di Firenze e come è stato possibile dare stabilità secolare alle facciate di marmo di tante chiese.
Santa Maria del Mar, Barcellona (XIV° sec.) ... si avviò verso il ponteggio più basso. Mentre parlava, molti dei muratori legarono una grande troclea alla pietra. “Come vedete” gridò, “in cima all’impalcatura sono stati montati diversi paranchi che ci serviranno per issare la chiave di volta”… gli uomini piantarono i talloni per terra, cominciarono a tirare e le loro braccia, le spalle e le facce si contrassero. L’ordine risuonò nello spazio. Le facce degli uomini si fecero paonazze. Il legno dei ponteggi scricchiolò e la chiave si alzò di un palmo dal suolo. Sei tonnellate. Un altro palmo. Il legno continuò a scricchiolare. Bisognava arrivare più in alto. I muratori cambiarono le funi fino al successivo paranco e gli uomini ripresero a tirare. E così via di ponteggio in ponteggio; le sei tonnellate di pietra si alzavano verso il punto in cui dovevano convergere le nervature degli archi, nella cupola. ..aveva calcolato in quale punto esatto andava collocata la chiave. Aveva triangolato per giorni con corde e puntoni tra le dieci colonne, aveva gettato fili di piombo dal ponteggio e teso corde e corde. D’un tratto le funi smisero di pesare. Inginocchiato per controllare la posizione della chiave salutò alzando le braccia. Con la chiave di volta al proprio posto, ..da ciascuna delle dieci colonne che la circondavano cominciarono a spuntare le nervature degli archi; i muratori predisposero delle centine sulle quali incastonavano una pietra dopo l’altra e che si alzavano curve, verso la chiave. Dietro le colonne, attorno alle prime otto, erano già state erette le mura dell’ambulacro, con i contrafforti rivolti all’interno, dentro la chiesa. I. Falcones, La cattedrale del mare Editorial Grijalbo, Barcellona
Questa eclettica carrellata di appunti con relativo corredo iconografico scandisce le tappe di un viaggio alla scoperta nel mondo delle pietre per recuperare qualcosa che si sta perdendo o che, semplicemente, molti conoscono solo in maniera superficiale.
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Un insieme di cartelli segnaletici posizionati su una mappa virtuale inviterà, di capitolo in capitolo, a soffermarsi sui materiali utilizzati nella costruzione di piazze, palazzi e opere d’arte e, ove possibile, a riconoscerli e contestualizzarli. Un viaggio che si propone di fornire una chiave di lettura per aprire una finestra sulla civiltà della pietra naturale, apprezzandone i valori che la differenziano da quella, oggi predominante, che impiega materiali industriali come vetro, resine, alluminio, titanio. Con buona pace di quanti chiedono perentoriamente di interdire le cave di pietre naturali senza curarsi del fatto che anche i nuovi materiali sono ottenuti scrostando la superficie terrestre.
Santa Maria del Mar, Barcellona
Come in molti racconti centrati sulla bellezza delle pietre, un’attenzione particolare è stata riservata ad alcuni capitoli di storia scritti con i marmi delle Alpi Apuane, luogo dove questo progetto ha preso corpo, ma il marmo è solo uno dei protagonisti naturali alla base della varietà e della bellezza dei nostri centri d’arte. Imparare a riconoscere le pietre, con la loro storia, può trasformarsi in un esercizio educativo e di rispetto per quello che rappresentano.
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Sulle pietre non vanno gettate gomme masticate né mozziconi di sigarette e non ci deve sgocciolare l’olio dei tubi di scarico; questi, infatti, sono comportamenti imbrattanti esattamente come lo sono le scritte di vernice che deturpano le mura dei palazzi. Dobbiamo prestare più attenzione perché le pietre e gli altri materiali impiegati per adornare gli edifici o anche solo per lastricare piazze e marciapiedi sono vettori culturali che scandiscono il cammino della civiltà.
Le pietre ai nostri piedi Entrando in San Pietro si cammina, senza farci nemmeno troppo caso, su un enorme disco di porfido rosso, dalla colorazione cupa, quasi fosse un imponente sole umilmente incastonato in uno splendido disegno di pietre colorate. Calpestata da milioni di pellegrini e visitatori, in pochi sanno che si tratta della famosa “rota porphyretica” o “ruota dell’incoronazione” presente già nell’antica basilica di San Pietro, quella di Costantino, su cui prendevano posto gli imperatori durante il sacro rito dell’incoronazione … I. Ortis, L’uso e riuso dei marmi. Quante storie può raccontare una pietra Italia Nostra, n. 487, settembre-ottobre 2015
Per dare forza e senso a questo racconto la prima tappa, per quanto possibile, cerca di avvicinarsi alla genesi delle pietre entrando nell’Antro del Corchia, il più esteso complesso carsico d’Italia. Situato a Levigliani, una frazione del comune di Seravezza a soli 25 km da Forte dei Marmi, è incastonato nel cuore del Parco delle Alpi Apuane, un’enclave pacifica i cui cieli azzurri sono solcati dal volo delle poiane. All’orizzonte, tra le macchie di verde, spiccano i fazzoletti bianchi di due cave di marmo e, nei giorni di tramontana, si può ammirare il profilo della Corsica e della Capraia. In linea d’aria non siamo lontani ma da questa oasi silenziosa la distanza dalla gaudente Versilia appare siderale. La conoscenza delle pietre inizia dalle materie prime e dai processi, ben rappresentati nelle grotte dell’Antro del Corchia, con cui si sono formate. Il carbonato di calcio, componente di base di molte pietre, è uno dei materiali più diffusi sulla costa terrestre. E’ una materia in perenne trasformazione; la troviamo nell’acqua che beviamo e in ciò che mangiamo ed è alla base della formazione delle ossa.
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Molteplicità Rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, rappresentarlo senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento. L’esempio migliore di questa rete che si propaga a partire da ogni oggetto è l’episodio... di Quer pasticciaccio brutto de la via Merulana. Relazioni di ogni pietra .. con la storia geologica, con la sua composizione chimica, con i riferimenti storici e artistici e anche con tutte le destinazioni possibili, e con le associazioni di immagini che esse suscitano… I. Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio Garzanti 1988
Il suo “ciclo di vita”, raccontano le guide della cooperativa di Levigliani, si misura in migliaia di anni. Quando piove le gocce d’acqua che cadono sulle rocce calcaree innescano una reazione chimica. A contatto con le rocce, l’acqua scioglie una parte del calcare in bicarbonato di calcio che, diluito nell’acqua, penetra nella crosta terrestre, alimentando fiumi e laghi sotterranei per poi riaffiorare nelle sorgenti. Durante i percorsi carsici parte dell’acqua filtra nelle micro fessure delle rocce formando gocce che restano sospese nelle volte delle grotte. Le correnti che soffiano in queste cavità sfiorano la superficie delle gocce d’acqua facendo evaporare, di nuovo, l’anidride carbonica; da tutto questo residuano sottili strati di carbonato di calcio che, lentamente, danno vita a stalattiti e stalagmiti (dal greco stalaktòs «gocciolante» e stàlagma «goccia»). Per avere un ordine di idee, le stalattiti si sviluppano verso il basso con velocità di circa 2 mm ogni dieci anni; le stalagmiti invece si alzano in alto, anche queste per la sedimentazione a strati del carbonato di calcio contenuto nelle gocce d’acqua che cadono verso il suolo. La goccia che evapora all’estremità inferiore delle stalattiti, in una sorta di immagine al rallentatore, visualizza in modo efficace il processo di formazione di sedimenti calcari, la concrezione nel gergo dei geologi. Migliaia e migliaia di tentacoli che salgono e scendono raccontano la storia della pietrificazione in tempo reale mentre gli scienziati, con lo studio degli isotopi, ne tracciano le ere. L’Antro del Corchia, nei suoi 70 km di condotti carsici sviluppati all’interno di 2 km cubici di roccia pari a 2 miliardi di mc di roccia calcarea, è un grande libro aperto dove i visitatori possono carpire i segreti di milioni di anni di storia geologica.
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Antro del Corchia
Concrezione, particolare
Le rocce calcaree affiorano in molte aree della superficie terrestre: ora con le vesti di estensioni pianeggianti, ora erette in senso verticale come, appunto, la catena delle Alpi Apuane o le Dolomiti. Per la formazione del marmo, che è una roccia calcarea metamorfica e non semplicemente sedimentaria come lo sono le guglie delle stalattiti, occorrono anche altre condizioni, ma sempre partendo da una base di sedimenti calcarei.
Lastre marmo bianco Cararra
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Ringraziamenti. Il Fondo Marmo di Massa Carrara ha sostenuto il progetto di questo “manifesto” dedicato al marmo per accrescere la curiosità verso il mondo delle pietre e stimolare l’attenzione verso le materie prime utilizzate nella costruzione di edifici, strade e monumenti. Una parte di quanto sono riuscito a mettere insieme in questo viaggio l’ho saccheggiato nella “rete” ma il debito maggiore l’ho maturato nei confronti di tanti operatori del settore. Il mio interesse verso le pietre è iniziato nel 2003, a Firenze, nei corridoi degli Uffizi; in quell’occasione si prestò a farmi da guida Vando D’Angiolo, un imprenditore del settore marmo. In base alla grana e al colore di ogni scultura, mi spiegava che il marmo di quel busto veniva dall’isola di Paro, l’altro dalla Turchia, e l’altro ancora dalla cava della Cappella, in Versilia. Qualche anno più tardi, in una conferenza organizzata dall’Associazione Industriali di Massa Carrara, il prof. Luigi Carmignani illustrò, utilizzando alcune immagini particolarmente suggestive, la genesi delle Alpi Apuane: al centro di una diapositiva animata, un enorme bulldozer, partendo dalla Corsica, spingeva i fondali del mare contro la costa tosco-ligure fino a generare le cuspidi delle Apuane con i loro marmi; qualcosa del genere, in scala molto più grande, è successo davvero, come vedremo, molto tempo fa! Sono stati molti gli imprenditori che, giorno dopo giorno, con i loro racconti mi hanno svelato molte sfaccettature del mondo delle pietre in quello che considero un corso di formazione continua, una specie di puzzle il cui disegno non è ancora terminato. Girando per i capannoni e nei depositi di blocchi ammassati nei piazzali, Antonio Forti e Maurizio Fontanili mi hanno indicato i luoghi di origine e le caratteristiche di centinaia di pietre di colori e disegni affascinanti, veri e propri quadri che la natura si è prodigata a dipingere con una straordinaria fantasia di sfumature, linee geometriche e contrasti. Sono molti i marmisti e le istituzioni che hanno raccolto centinaia di campioni di pietre nelle “marmoteche”; fra tutte spiccano quelle all’ingresso dell’Accademia di Belle Arti di Carrara e le più contemporanee raccolte della Internazionale Marmi Macchine e del Museo del Marmo di Carrara, ma se ne possono vedere di bellissime nei corridoi e nelle sale riunioni di tante aziende. E, quanto ad effetti, non si finisce mai di stupirsi come è successo quando Ernesto Grassi mi ha mostrato le lastre di fior di pesco apuano e Bernarda Franchi quelle dello zebrino delle sue cave.
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Per chi ha l’occasione di osservarlo, anche di passaggio, tutto il distretto di Carrara e della Versilia è un grande museo aperto delle pietre e del loro utilizzo; le varietà di blocchi accatastati sotto i carroponti, i laboratori circondati da statue ed oggetti di marmo, le lastre lucidate trasportate dai camion e le vetrine delle recenti gallerie che espongono gli statuari. Con una giusta dose di orgoglio molti imprenditori del settore mettono in mostra foto di palazzi e interni realizzati con i propri marmi. Un giorno, comminando a Firenze nel grande atrio della stazione di Santa Maria Novella, Roberto Pino mi ha fatto notare che stavamo calpestando il marmo della cava Fabbricotti e, osservandone l’ottimo stato di conservazione, sottolineava compiaciuto che è molto resistente. Gino Mazzi e Franco Gemignani, nei depositi di lastre dei loro opifici, mi hanno intrattenuto sui colori e le trame di venatini, statuarietti ed altri marmi; Paolo Borghini, Anselmo Ricci, Franco Barattini, Alessandro Caro e Alessandro Corsi mi hanno raccontato aneddoti curiosi sulle alterne fortune dei diversi tipi di marmi; a Erich Lucchetti devo una efficace illustrazione su come quarziti e onici possono diventare straordinari oggetti d’arredo.
Laboratori artistici Nicoli, Cararra
Particolarmente stimolante è stata la visita alle due fiere di settore che si svolgono a Carrara (Marmotec) e a Verona (Marmomacc). A questi grandi eventi le aziende si sforzano di presentare ogni volta progetti nuovi e mettono in mostra oggetti di design e di arredo; anche se in questi consessi l’attività è frenetica, nelle pause di lavoro Andrea Rossi, Francesco Piacentini e Fabrizio Ponzanelli mi hanno intrattenuto sulle caratteristiche di un gran numero di pietre e sui loro trattamenti superficiali.
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Altrettanto istruttiva è stato girare per i corridoi della fiera dei prodotti ceramici (Cersaie) e scoprire quanto questo settore, che è uno dei più dinamici dell’industria manifatturiera italiana, investa non senza successi per replicare, nelle piastrelle, l’aspetto e i colori delle pietre naturali: belle, sì, ma senz’anima! Nelle ripetute occasioni di visita ai prestigiosi laboratori artistici che dirigono, oltre a mostrarmi curiose raccolte di gessi, l’imprenditrice Francesca Nicoli e il professor Luciano Massari mi hanno permesso di assistere per alcune manciate di minuti alla realizzazione di sculture di artisti conosciuti in tutto il mondo. In questi appunti di viaggio ho raccolto idee e informazioni razzolate senza un vero disegno in più di due lustri di scapigliata attività in mezzo a tanti marmisti; non sarei riuscito a mettere ordine tra tante carte senza l’aiuto e le attente osservazioni di Lodovica Lazzerini che, oltre ad una buona dose di pazienza, possiede il carattere tenace e fermo ereditato da dieci generazioni che si sono succedute nella gestione di uno dei più rinomati laboratori artistici di Carrara. L’elenco delle persone che dovrei ringraziare potrebbe continuare e, in ogni caso, finirebbe con il trascurare amici, imprenditori, sindacalisti e colleghi; a tutti, indistintamente, va la mia gratitudine. Le responsabilità di tutto questo progetto ovviamente restano solo mie. Carrara, 2 aprile 2016
Studi d’Arte Michelangelo, Carrara
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Materie prime
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Capitolo 1
R
isorse naturali. Il marmo e le altre pietre sono solo una piccola parte, praticamente frazionaria, dei materiali ricavati dall’attività di sfruttamento delle risorse naturali, ovvero le materie prime o, nel più espressivo sostantivo inglese, commodities. Questo insieme viene classificato distinguendo tra prodotti agricoli e minerari; alimentari e industriali; rinnovabili e non rinnovabili; energetici e non energetici. In consessi politici e scientifici, quando il loro approvvigionamento è difficile o incerto, alcune materie prime sono etichettate come strategiche. Le materie prime sono tutte importanti e presenti nella nostra vita e condizionano il progresso umano. Le innovazioni tecnologiche impiegate per il loro sfruttamento e il trasporto, l’apertura o l’esaurimento di fonti di approvvigionamento e le oscillazioni dei prezzi impattano su molte dimensioni della nostra vita quotidiana; sovente questi fattori hanno dato la stura o segnato l’inizio della fine di lunghi cicli economici.
Progresso, cave e materie prime Al centro della Rivoluzione industriale vi furono una serie di cambiamenti tecnologici interdipendenti. I progressi materiali interessarono tre aree: 1) i congegni meccanici sostituirono l’abilità dell’uomo; 2) l’energia inanimata, in particolare il vapore, prese il posto della fatica di uomini e animali; 3) ci fu un netto miglioramento nei metodi di estrazione e di lavorazione delle materie prime. D. S. Landes, Prometeo liberato Einaudi 1978 (Cambridge Un. Press 1969)
Prima ancora che nell’economia, le materie prime rivestono un ruolo di fondamentale importanza nella vita: tutto quello che usiamo, infatti, viene dalla crosta terrestre e non dovrebbe essere difficile riconoscere questo semplice dato di fatto. Basti pensare ai prodotti agricoli, alle derrate alimentari, alle risorse idriche o alle materie prime energetiche e a quanto i governi siano attenti a creare le condizioni perchè non si spezzi la catena del loro approvvigionamento. Questa stretta dipendenza, non di meno, vale per i settori industriali la cui attività si materializza nella trasformazione di materie prime; e solo una parte di queste sono di derivazione agricola o forestale come pelli, legname, fibre naturali, cellulosa, frutta e carne. La maggior parte delle attività industriali prende il via da minerali che possono essere metalliferi o non metalliferi, come le pietre.
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Ara Grimani, Venezia | Labirinto, R. Morris, Celle (PT) | Pavimento, San Severo, Napoli
I materiali da costruzione: legno, pietre e mattoni Una “casa”, dovunque sia, dura e continua a testimoniare la lentezza di civiltà o culture, ostinate a conservare, mantenere, ripetere.. Tanto più è naturale la ripetizione, in quanto i materiali da costruzione variano poco e in ogni regione si impongono alcune restrizioni, “Per mancanza di pietra –osserva un viaggiatore- si è costretti in Persia a costruire mura e case di terra”. Esse sono infatti costruite con mattoni seccati al sole. Sono comunque mattoni crudi e la geografia lo spiega, ma non spiega tutto. Anche gli uomini hanno la loro parola da dire. Della pietra, che si rivela un lusso, bisogna pagare il prezzo e si impongono, se non veri e propri compromessi, certe dissimulazioni: mescolare il mattone alla pietra, come facevano già i muratori romani, bizantini e ancora regolarmente turchi e cinesi; usare legno e pietra, oppure riservare la pietra alle sole cose dei principi e degli dei. Nella Cuzco degli Inca la pietra trionfa completamente, ma presso i maya solo gli osservatori, i templi, gli stadi hanno tale privilegio. In Occidente e nel Mediterraneo una civiltà della pietra ha richiesto secoli per costruirsi. E’ stato necessario sfruttare le cave, scegliere le pietre di più facile lavorazione e che in seguito induriscono all’aria; è stato necessario investire su un lungo arco di secoli. Intorno a Parigi sono innumerevoli le cave di arenaria, di sabbia, di calcare grezzo, di pietra da gesso.
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Parigi si è costruita su enormi scavi. Fino alla prima guerra mondiale il calcare grezzo era largamente usato, portato segato a pezzi nelle stazioni della periferia parigina e trasportato poi nella capitale su vagoni speciali. Tuttavia queste immagini non devono ingannarci: Parigi non fu sempre una città di pietra.. quante case furono costruite soltanto con una base di pietra, mentre i piani superiori erano ancora di legno. Durante l’incendio del Petit Pont, il 27 aprile 1727, le case di legno bruciarono implacabilmente … Le rare case di pietra furono i moli protettori da quella marea di fiamme. Così Parigi è stata a lungo una città in legno, simile a tante altre: a Troyes, che brucia tutta in una volta durante il grande incendio del 1547, a Digione, che ancora nel secolo XVII ha case in legno con tetti di paglia; soltanto allora la pietra comincia ad imporsi .. Nel momento in cui Parigi diventa una città di pietra, Londra, a partire dall’età elisabettiana, adotta il mattone.
F. Braudel, Capitalismo e civiltà materiale Einaudi 1977 (Librairie Armand Colin 1967)
La disponibilità e l’affidabilità delle fonti di approvvigionamento delle materie prime giocano ruoli determinanti per la competitività delle imprese sia in settori come l’edilizia, la chimica e la siderurgia che in quelli tecnologicamente più avanzati che producono smart phone, computer e schermi televisivi. Nel novembre 2008 la Commissione Europea ha adottato una iniziativa sulle materie prime che prevede un ventaglio di misure per garantire “un accesso sicuro e sostenibile in particolare in fatto di minerali”. Le leve di questa azione spaziano dal sostegno all’innovazione tecnologica nelle attività di esplorazione, estrazione e lavorazione dei minerali, a tutte le azioni che ottimizzano il ciclo di vita delle materie prime, incluso l’uso dei sottoprodotti e le buone pratiche di riciclo. In questo modo si punta a coinvolgere attivamente produttori, consumatori, mondo scientifico, amministratori e comunità locali in attività ritenute essenziali per la condizioni di vita e il progresso. Qualche anno più tardi (2012) la Commissione ha proposto, e il Consiglio ha poi approvato, il varo di una European Innovation Partnership on Raw Materials (EIP) al fine di rendere l’Europa, entro il 2020, “leader mondiale nelle attività di esplorazione, estrazione, trasformazione, riciclo e sostituzione”. Una cosa é certa: le materie prime e le politiche per il loro approvvigionamento continueranno ad essere al centro delle agende di tutti i governi per molto tempo.
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Le risorse presenti sulla superficie terrestre e nel sottosuolo, ancorché estese, sono limitate e le attività per poterne disporre producono effetti negativi sull’ambiente e sul paesaggio, cosa che peraltro vale anche per le risorse agricole e forestali. Per la scienza economica questi sono costi che ricadono sulla collettività (esternalità), come lo sono i gas di scarico delle automobili e degli impianti di riscaldamento, la contaminazione riconducibile all’uso dei fitofarmaci o agli scarichi nelle fognature, l’occlusione del paesaggio causata da una nuova costruzione. In questi casi gli amministratori adottano regole che limitano gli effetti negativi e/o impongono il pagamento di oneri come compensazione per gli effetti negativi generati sul benessere collettivo. In generale negli ultimi decenni è molto cresciuta la pressione sulle imprese per l’impiego rispettoso dell’ambiente ed efficiente delle risorse della terra e sono state varate norme che incentivano comportamenti virtuosi come il riciclo. Nel caso del piombo, per esempio, già oggi quanto se ne ottiene dalla seconda fusione rappresenta poco più della metà della produzione mondiale; il recupero di materiali di rame è pari al 40% dei consumi; nel settore le legno la quantità di scarti reimpiegati nei processi produttivi supera già il 60% del totale prodotto. Per quanto importanti e fondamentali, le attività legate alla ricerca e allo sfruttamento delle risorse naturali non sono sempre ben accette dalla pubblica opinione. Questa preoccupazione per l’impatto negativo connesso alla estrazione-produzione-trasformazione delle materie prime spesso si traduce in atteggiamenti di chiusura tout court nei confronti di alcune attività basilari della nostra convivenza. In questo modo si rimuove il fatto che la ricerca e l’estrazione di risorse naturali assolvono funzioni di vitale importanza.
Terme, Bath | Ponte romano, Merida | Porta dei Leoni, Micene
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Comunque la mettiamo, per quanto ci occorre nella vita quotidiana dobbiamo inevitabilmente intaccare la crosta terrestre con tutto quello che avvolge il rapporto tra attività produttive ed ambiente provoca. Una abitazione media dei paesi occidentali, per esempio, contiene circa 400 tonnellate di materie prime: inerti, cemento, argilla, vetro, metalli, plastiche, vernici, ceramiche e laterizi. Nella fabbricazione di una semplice utilitaria, oltre a qualche centinaia di kg di ferro, si impiegano quantità minori di nickel, cromo, alluminio, magnesio, rame, piombo, zinco e qualche grammo di platino, quest’ultimo per la marmitta catalitica. L’elenco prosegue con decine di kg di altri materiali: gomma, plastiche, vetro, caolini e fibre. E gli esempi sulla pervasività delle materie prime nella nostra vita potrebbero continuare. Questo ci aiuta a capire perché nella sola Unione Europea sono attivi circa 30000 siti estrattivi e più di 30 milioni di persone sono occupate nel settore delle materie prime. Nonostante questi numeri, le risorse prodotte non sono comunque sufficiente a coprire i consumi e, per una larga fetta dei nostri fabbisogni, primi fra tutti quelli energetici, facciamo ricorso ad importazioni, cosa che ci espone ai rischi delle fluttuazioni dei mercati e dell’instabilità geo-politica dei Paesi di origine. L’Italia, oltre ad essere povera di materie prime, fa veramente poco per utilizzare anche le poche risorse naturali di cui dispone. Questo lo si deve anche alla tenace opposizione di gruppi di opinione contro opere pubbliche, dighe, tracciati ferroviari, porti e sfruttamento di fonti energetiche come gli scisti bituminosi. Forse il caso più emblematico della capacità di interdizione di questi gruppi di opinione organizzati è costituito dal mancato sfruttamento delle “terre rare”; nonostante in Italia vi siano notevoli giacimenti di queste preziose materie prime utilizzate nella produzione telefonini, smart tv, navigatori e molte altre applicazioni nel campo dell’elettronica, la loro estrazione non è autorizzata.
Italia, paese povero di materie prime ma … In Italia sono presenti alcuni dei più grandi bacini al mondo di antimonio (in Toscana) e titanio (in Liguria), cioè due elementi rari e fondamentali per l’industria tecnologica come smartphone e pannelli solari, ma, incredibilmente, non vengono sfruttati. Un ritardo causato anche da competenze regionali e statali sulle licenze di esplorazione ancora non ben definite, dopo l’affrettata riforma del Titolo V della Costituzione.
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L’annuncio è stato uno dei temi più rilevanti emersi il 6 dicembre scorso in occasione della Prima giornata universitaria dedicata alle materie prime all’Università la Sapienza di Roma… Una serie di incontri promossi dalla Commissione Ue che punta a rafforzare la competitività e l’occupazione sfruttando l’enorme potenziale del settore. «Abbiamo una cassaforte piena di ricchezza sepolta nel terreno e non la tiriamo fuori– ha spiegato al Sole 24 Ore, Mattia Pellegrini, responsabile per le materie prime nella Commissione europea –. Si tratta dei più grandi bacini europei, e i secondi a livello mondiale di antimonio e titanio – due delle “terre rare” ossia elementi chiave in ambito tecnologico – che non vengono estratti ma importati dall’estero». «Nel 2011 – ha aggiunto Pellegrini – abbiamo pubblicato una lista delle materie da cui dipendiamo per tutte le tecnologie, e alcune di queste le importiamo al 100%». Nonostante le grandi ricchezze presenti nel sottosuolo, sia a livello di esplorazione che di estrazione l’Italia rappresenta il fanalino di coda in Europa. «L’Italia è uno dei più grandi produttori di marmo, sabbie e cemento ma è anche ricca di idrocarburi e molti elementi preziosi che però non vengono sfruttati». V. Da Rold, Italia ricca di “Terre rare” Il Sole 24 ore, 12 dicembre 2013
La dipendenza dell’Unione Europea dalle importazioni vale relativamente meno per i materiali di cava, settore dove l’offerta di prodotti lapidei comunitari, complessivamente 22 milioni di tonnellate, è pari alle quantità richieste dai mercati. I principali produttori di pietre, nell’ordine, sono Italia, Spagna, Portogallo e Francia. Anche nella loro lavorazione, forte dei suoi 36000 addetti, l’Italia si colloca davanti a Spagna (34000), Germania (25000), Portogallo (13300) e Francia (11500). Nonostante il sostanziale equilibrio tra quantità prodotte e domanda, i flussi di import-export di pietre sono molto intensi e questo dipende dal fatto che il settore delle pietre naturali è molto esposto ai gusti e alla continua evoluzione delle mode. Nella crosta terrestre, infatti, c’è una infinità di pietre diverse per caratteristiche strutturali (resistenza, carichi di rottura) ed estetiche (colori, disegni). Sui mercati se ne commercializzano quasi 3000, ognuna con le sue specificità e con i suoi trattamenti superficiali di levigatura, lucidatura o fiamma che rendono ancora più vasta la gamma delle scelte.
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Questo spiega, esattamente come succede ad esempio per il settore della automobili tra Mercedes, Alfa Romeo, Toyota e Kia, perché l’Europa esporta 11 milioni di tonnellate di marmi, travertini ed altre pietre e, nello stesso tempo, ne importa 12 sempre di marmi, travertini e graniti. Per quanto riguarda gli impieghi finali, le pietre sono utilizzate prevalentemente nell’edilizia, soprattutto per pavimenti e rivestimenti; quantità minori confluiscono nell’arredo urbano, nella scultura e negli oggetti di design. Per il modo in cui si sono formate, generalmente si distingue tra tre grandi famiglie di pietre naturali: 1. Le rocce magmatiche che si sono formate per lenta cristallizzazione di masse di magma lavico e sono costituite da porfido, basalto, graniti, quarzo, miche, feldspati; 2. Le rocce sedimentarie, formate per deposito, stratificazione e deposito di materiale proveniente dalla degradazione di altre rocce; le più diffuse sono le arenarie, i calcari, la dolomite (calcio e magnesio) e il gesso (calcio e zolfo); 3. Infine le rocce metamorfiche che sono il prodotto di una successiva trasformazione di rocce già esistenti sotto l’azione di pressione e temperature elevate causate, per esempio, da movimenti tellurici): qui troviamo i marmi, l’ardesia e le quarziti.
Naturale come la pietra Sfiorala e al tatto sentirai la consistenza di una superficie morbida come il velluto, ruvida come la carta vetrata, liscia e fredda come uno specchio; a seconda della lavorazione che avrai scelto. Guardala, non te ne stancherai mai, ti apparirà sempre diversa nella bellezza delle infinite variazioni delle sue tonalità di colore, niente si ripete in serie. La Pietra Naturale vive in ogni venatura che porta sempre ad un punto diverso, in ogni minerale su cui la luce gioca a rifrangersi, riflettersi o specchiare. La Pietra Naturale invecchia e come un buon vino fa, migliora negli anni. Le pietre naturali non sono tutte uguali, ognuna ha delle specifiche caratteristiche e qualità per le quali determinati usi si rendono maggiormente adatti rispetto ad altri. M. Gaverini, (s.i.d) http://www.gaverini.it/perche-pietra.php
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Negli scambi commerciali è facile imbattersi in classificazioni più semplici che riconducono le varie rocce in tre gruppi: marmi, graniti e altre pietre. Sui primi torneremo più avanti. I graniti sono materiali di natura silicea, ma includono numerose famiglie di rocce sia vulcaniche che metamorfiche; caratteristica specifica sono la struttura granulare, cristallina, e uno stato di aggregazione delle particelle che conferisce proprietà fisiche più dure rispetto ai marmi. Si ritiene, ma su questo non c’è completo accordo, che il granito si sia formato a seguito del lento raffreddamento di magma che si è intruso a profondità comprese tra 1,5 e 50 km. Alcune piramidi egizie sono costruite in parte da granito e in parte da materiali calcarei; anche molti templi indù nel sud dell’India sono costruiti in granito e dello stesso materiale sono le colonne del Pantheon a Roma. Il granito è largamente utilizzato nell’edilizia moderna, soprattutto nella pavimentazione ed è apprezzato per la sua ottima resistenza agli acidi. Il granito lucidato, per le sue caratteristiche di durezza e per la colorazione, è molto impiegato nei piani cottura delle cucine. Con il termine pietre si indicano correntemente le famiglie di rocce diverse dai marmi e dai graniti. Secondo la norma UNI 8458, “per pietra commercialmente si intende una roccia da costruzione non lucidabile”. Le pietre spaziano dalle arenarie ai piroclastici, dai calcari alle quarziti, dalle ardesie ai porfidi. Grazie alle loro versatilità e alla economicità sono state molto impiegate soprattutto nelle costruzioni e nei centri urbani.
Scuola elementare, Oulunsalo (Fin) | Guggenheim, Bilbao | La Grande Arche, Parigi
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Un’altra chiave di classificazione per mettere ordine in un insieme molto vasto distingue tra diversi tipi di disegni o effetti visivi: venati (linee di colori variabili), granulari (riconoscibilità in superficie di cristalli di diverse dimensioni), ghiandonati (a inclusioni più o meno grandi a forma di ghianda) e brecciati (specie in alcuni marmi, è l’effetto dell’unione di frammenti di roccia spesso di diversi colori). Tra le pietre merita un cenno a parte il travertino, una roccia calcarea sedimentaria che presenta piccole sacche vuote; è stata molto utilizzata al tempo dei romani. La colorazione del travertino varia dal bianco latte al noce, con sfumature che a volte migrano dal giallo verso rosso. La colorazione dipende dagli ossidi che ha incorporato, cosa che accade abbastanza facilmente, essendo una pietra abbastanza porosa. A volte si possono riconoscere, sulla superficie, impronte fossili di animali e piante. In generale, comunque, il travertino è una pietra robusta e docile, utilizzabile dai pavimenti ai rivestimenti sia esterni che interni.
Quali pietre naturali Quali trattamenti speciali richiede la pietra naturale? Una pulizia regolare con prodotti neutri e non troppo aggressivi è la prima regola da tener presente. È buona norma interpellare esperti che possano dare indicazioni precise in base alla pietra in questione. Perché si dovrebbe utilizzare la pietra naturale nella propria abitazione? La pietra naturale ha un valore storico e culturale che nessun altro prodotto possiede. E’ sinonimo di classicità e lusso senza avere costi proibitivi. Inoltre la pietra è “ecofriendly” perché è un materiale completamente naturale come tutti i suoi processi di trasformazione e produzione. E’ meglio preferire una pietra chiara o una pietra scura? La scelta di una pietra chiara piuttosto che scura è una scelta prettamente personale. In base alla sua applicazione invece è opportuno sapere se utilizzare un marmo, una pietra, un limestone o un onice. http://www.marmisicc.com/it/area-clienti/faq
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Marmi
http://www.marmomacc.com/it/generico/galleria-immagini/marmi-pietra-e-design/
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Capitolo 2
I
talia dei marmi. Fuori dal ristretto circolo degli addetti ai lavori il termine marmo viene impiegato per indicare tutti i materiali calcarei; nella sua accezione più ampia comprende anche alcuni graniti e molte altre pietre. Se questa definizione omnicomprensiva è tanto diffusa ci sono sicuramente valide ragioni: consuetudini, praticità, semplificazione, fretta, distrazione. In alcuni casi, però, l’uso improprio del termine non è dovuto solo a negligenza. Digitando “marmi italiani” su Google, nelle prime pagine, sei volte su dieci si è rinviati a siti di aziende di ceramiche o gres porcellanato; nei loro cataloghi campeggiano le immagini di prodotti ceramici che riproducono meticolosamente colori, disegni e trame di diversi tipi di marmi e di altre pietre, tutti indicati con il nome dell’originale e con un chiaro richiamo ai siti dove le pietre corrispondenti sono estratte. La commistione di tanti materiali diversi tra loro denota una diffusa mancanza di deferente attenzione per uno degli ingredienti distintivi del patrimonio storico italiano. Sono di marmo le rovine romane, le statue più famose, le facciate, i pavimenti, le fonti battesimali, le colonne e le balaustre di quasi tutte le chiese e i più noti complessi monumentali. Il marmo primeggia nelle massime espressioni delle opere d’arte e dell’architettura ma la sua conoscenza generalmente si limita a poche informazioni. Non dovrebbe essere così se è vero che il marmo è parte integrante dell’immaginario dell’Italia e del Made in Italy nel mondo! E’ come non sapersi orientare tra la carta dei vini di un ristorante stellato. Michelangelo, come molti altri artisti, ha dedicato attenzioni quasi maniacali alle materie prime usate per le sue opere. Per questo la conoscenza del marmo spesso costituisce una preziosa fonte di informazioni per contestualizzare tecniche di scultura, linguaggi architettonici e la vita materiale ai tempi in cui sono state fatte.
Duomo, Milano
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Solo in pochi musei, tuttavia, le targhe ai piedi delle sculture indicano la pietra con cui sono state scolpite e quasi mai il luogo dove questa è stata cavata. E’ ancora più difficile trovare indicazioni che collegano i fregi del Partenone al monte Pentelico di Atene, le guglie del Duomo di Milano alle cave di Candoglia (Verbania-Cusio-Ossola), la scalinata dell’Altare della patria al botticino (Brescia) o le geometrie policrome di Santa Maria del Fiore a Firenze alle cave di serpentino verde di Prato e ai calcari rossi della Maremma.
Duomo, l’esercito di marmo che si rinnova per non morire San Giovanni Battista è il numero 224. Una volta, prima che smog e piogge acide lo ricoprissero della patina scura che l’ha ucciso, anche lui guardava Milano dal cielo di una guglia. Adesso, da molti anni, i suoi occhi fissano solo un certo punto per terra, verso la piccola Sant’Eulalia dai polsi legati e i seni un tempo candidi ormai grigi per sempre. Tra loro Marco, l’evangelista: senza più una mano, ma col leone ancora vigile ai suoi piedi. E tutto attorno altre decine e centinaia di santi, e animali, e volti grotteschi, e angeli e putti. È il cimitero dell’esercito di marmo del Duomo: e la sua stessa esistenza è la prova di quanto il Duomo sia vivo. Più che una chiesa una «macchina», come l’aveva definita Manzoni. Con un destino scritto nell’atto di nascita. Perché il marmo di cui da sette secoli è fatto, con le sue venature rosa e grigie, e quella bella porosità che così caldo lo rende al tatto, accanto alle qualità che lo rendono unico ha un difetto per il quale non esiste cura: il tempo lo lima e piano piano lo sgretola. P. Foschini, 23 Luglio 2010 Corriere.it Quel marmo così inconfondibile, dai riflessi rosati e le venature cangianti, così poroso da rendere quasi caldo il toccarlo, così resistente e tuttavia duttile, quando non si spacca, da poter essere modellato in quelle 135 guglie e 3400 statue, una diversa dall’altra, che del Duomo sono il marchio nel mondo. Il materiale pulito ricavato ogni anno dalla cava può variare tra i 60 e gli 80 metri cubi: ma per ottenere quella quantità netta i metri cubi da estrarre ogni anno possono arrivare a 350 di sbancamento. Candoglia serve solo il Duomo: tutto quello che uscito non diventa Cattedrale è “scarto di lavorazione” destinato alla frantumazione in ghiaia. Attualmente la cava madre è una caverna galleria che raggiunge al banco superiore di estrazione i 120 metri con una volta alta 30 per una larghezza di 15. Ed è un’opera di ingegneria che costituirebbe un monumento già di per sé: la montagna è viva e si muove.
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Per fare una semplice cima di guglia da un metro e mezzo ci vanno tre mesi di scalpello paziente, così come per una faccina di quelle incastonate nel primo cornicione sulla Piazza. P. Foschini, Nella pancia della terra che ha partorito il Duomo di Milano Sette, Corriere della Sera, 28 settembre 2012 Ne parla come di una cosa viva. Usa termini agricoli, a volte umani: “coltivare il marmo”, “la ferita della montagna”, “un circolo naturale instancabile”. E ha ragione. Perché il cammino che porta dalle cave piemontesi di Candoglia fino al tetto del Duomo, passando per le officine dei marmisti dietro viale Certosa, è un viaggio attraverso il corpo di un essere vivente. E - badate bene - non è tanto la cattedrale al centro dell’attenzione: ma la Veneranda Fabbrica stessa. Ovvero quel pazzesco e incessante lavoro che ogni giorno circa 180 persone fanno per tenere in piedi il simbolo di Milano, sulla cui stabilità gli architetti del XIV secolo non avrebbero scommesso un fiorino, ma che ancora oggi accoglie milioni di visitatori l’anno. Alla cava si arriva passando per una strada asfaltata che si annoda sul dorso della montagna fino ai 500 metri di altezza, dove si estraggono i lastroni. Sotto, prima di cominciare la salita, ci sono gli uffici del geologo che custodisce la preziosa fonte. È lui l’uomo che conosce i segreti e gli umori di quelle rocce: sa come non farle arrabbiare e ne impone il rispetto. Il punto esatto dove si preleva il marmo di Candoglia, la Cava Madre, è una specie di enorme sagoma scavata su un fianco della montagna. “sembra quasi che il Duomo sia stato estratto in blocco da qui. In realtà il marmo servito per la sua costruzione è stato ricavato da diversi punti, qui si è iniziato a scavare solo recentemente”. L’antro da cui si tagliano le fette di Candoglia è puntellato di travi, soprattutto nella parte più profonda. “La pressione delle pareti arriva fino a 350 kg per centimetro quadrato”, spiega. Portiamo via circa 200 metri cubi, dei quali però soltanto la metà viene utilizzata: estraiamo quanto una qualsiasi cava commerciale fa in un giorno”. Ma di marmo ce n’è ancora a sufficienza? “Sì, le prospezioni geologiche ci lasciano tranquilli ancora per qualche secolo”. Le cave di Candoglia - su cui i diritti estrattivi vengono costantemente rinnovati dal 1386, quando i Visconti li concessero alla Veneranda Fabbrica per la realizzazione del Duomo - sono in realtà solo una tappa. Tutto comincia infatti sulla cattedrale stessa, quando tecnici e ingegneri ispezionano per due volte all’anno guglie e facciate. Da qui viene organizzata una programmazione triennale dei lavori: pezzi da sostituire, statue da rifare, interventi di stabilità. E il flusso di materiale proveniente dalla cava viene bilanciato in base alle esigenze. Dopo essere stato estratto, lavorato e portato in cielo dagli operai, il marmo termina qui il suo giro. Contributo di stabilità al mistero del Duomo, che dopo sette secoli non si è ancora deciso a rivelare il suo più grande segreto: ovvero, come faccia a stare ancora in piedi. L. De Vito, 9 Luglio 2015 Repubblica.it
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Le spigolature messe insieme per questo viaggio non pretendono di ripristinare le gerarchie valoriali che il marmo sicuramente merita; il disagio per questa disattenzione non sta nel fatto che un settore dinamico, l’industria della ceramica, si sia ingegnato imitando prodotti naturali; la vera lacuna è che nessuno si preoccupa di fornire gli strumenti per apprezzare, laddove queste sono state usate, il marmo e le altre pietre naturali, ciascuna con le sue caratteristiche distintive. Non era così ai tempi del Grand Tour, come emerge nei diari di viaggio e nei bozzetti delle aristocrazie culturali del Nord Europa che a partire dal XVII secolo solcavano il Bel Paese. E non fu così per lo statunitense Hernan Melville (1819-1891) nelle cui memorie affiorano le emozioni suscitate dall’impatto con le statue di marmo al suo ingresso a Roma.
Melville e la Roma di marmo Lo sguardo appannato dall’abitudine, la mente distratta dalle incombenze quotidiane, noi romani non ci accorgiamo delle migliaia di «muti cittadini» che costituiscono «la vera e immortale popolazione di Roma». Sono le statue. «Rappresentanti di un tempo poderoso, stringono le mani al presente e rappresentno l’anello di congiunzione tra i secoli». Il richiamo ci viene da Herman Melville, l’autore di Moby Dick. Per il quale questi marmi, «opere di sognatori e idealisti di un tempo, vivono, conducono e puntano al bene». Il grande scrittore statunitense nell’inverno tra il 1856 e il 1857 visitò l’Italia restando profondamente affascinato da Roma e dalle sue statue, alle quali dedicò - al ritorno - una conferenza pubblica. Melville arriva a Roma proveniente da Napoli, passando per Porta San Giovanni. Di fronte alla basilica di San Giovanni in Laterano gli sembra di essere accolto e salutato dalle colossali statue di santi che «sormontano, come cicogne, l’alto frontale della chiesa». Quella visione a quanto pare gli ispira il filo conduttore della sua visita alla Città Eterna: incontrare i personaggi dell’antichità, conoscerli. Perché, scrive, «storie e memorie ci raccontano dei loro successi, sul campo, o nel foro, ma qui si trova il loro aspetto e ne facciamo la conoscenza come uomini viventi». Melville li racconta come fossero suoi contemporanei. D’altronde, dice, «l’aspetto del volto umano è lo stesso in tutte le epoche. Se cinquemila antichi romani si mescolassero a una folla di quelli attuali nel Corso, sarebbe difficile distinguere gli antenati dagli altri, tranne per la differenza nelle vesti». Demostene, «il tonante oratore di Atene», gli sembra «un moderno avvocato, il volto affilato e smunto e il corpo magro». La statua di Giulio Cesare gli restituisce «il volto di un uomo d’affari»: potrebbe essere il «presidente delle ferrovie New York & Erie o di qualsiasi altra magnifica società».
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Socrate, dice, ha «la faccia ampia a rubiconda di un comico irlandese», mentre il viso di Seneca gli pare «quello di un gestore di banco di pegni disilluso, oppresso e addolorato». Anche Platone lo sorprende: «Le lunghe ciocche fluenti di quell’aristocratico trascendentalista sono state spartite con la stessa cura di una bella ragazza moderna e la barba andrebbe a pennello a un raffinato veneziano». Aggiunge: «Se questo busto fosse veridico, egli avrebbe potuto comporre le sue opere meditando sui destini del mondo sotto la mano di un parrucchiere». Pure il mitico «Ercole Farnese» (oggi al Museo archeologico nazionale di Napoli) gli si presenta con un’immagine diversa da quella che s’aspettava: «Questa statua non ha la rapida, intelligente, forza energetica che dovremmo supporre peculiare nel fortissimo Sansone o del possente Ercole, quanto invece un carattere come quello del bue pigro, sicuro della propria forza ma restio a usarla. Non è fatta per le bazzecole: è riservata solo per le grandi occasioni». Nella sua esplorazione lo scrittore si addentra poi su un altro sentiero: le statue che osserva gli offrono infatti lo spunto per un’indagine sull’animo degli antichi romani. « Il pensiero che molte di queste belle figure siano state gradite ai Romani ci persuade almeno che la loro violenza come popolo conquistatore non li aveva del tutto pervasi e che la fiamma della bontà accesa per natura nella maggior parte degli uomini non si era mai del tutto spenta nel loro cuore». Queste statue, afferma, ci fanno scoprire «che l’antico romano, severo e duro di cuore come di solito lo immaginiamo, non era del tutto privo di tenerezza e compassione, perché se anche gli antichi ignoravano i principi del Cristianesimo c’erano in loro i germi di quello spirito». O. La Stella, Presentazione del volume “Viaggi e balene” http://spettacoliecultura.ilmessaggero.it/libri/ 27 Maggio 2013
Il marmo, dal greco mármaron, splendente, è una pietra composta quasi esclusivamente da carbonato di calcio; si forma attraverso un complesso processo metamorfico di trasformazione di rocce sedimentarie già esistenti provocato dalle temperature elevate (oltre 600° C) e dalle forti pressioni (fino a 10000 bar) azionate da potenti movimenti tellurici. In questo modo vengono distrutti i materiali fossili presenti nelle rocce originarie mentre il carbonato di calcio forma grandi e compatti mosaici di cristalli di calcite. Questo è un materiale con un basso indice di rifrazione, proprietà che consente alla luce di penetrare nella superficie della pietra prima di essere riflessa, conferendo così al marmo l’intensa luminosità che lo contraddistingue.
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Nelle Alpi Apuane questo fenomeno ha avuto luogo circa 65 milioni di anni fa, grosso modo agli inizi del Cenozoico; per effetto dei movimenti della crosta terrestre gli immensi sedimenti di residui di crostacei e carcasse di molluschi giacenti sul fondo del mare tra la Toscana e la Corsica sono stati spinti contro la costa tirrenica settentrionale facendo emergere le Alpi Apuane, catene montuose ricche di marmo e di molti altri minerali. Giacimenti di marmo, ciascuno con le sue peculiarità in termini di colore, struttura ed uniformità, sono diffusi in moltissimi Paesi. In Italia i più noti sono quelli delle Alpi Apuane, ma ve ne sono in molte regioni. Molto più numerosi, tuttavia, sono i giacimenti di rocce calcaree sedimentarie che costituiscono la base per i processi metamorfici della eventuale trasformazione in marmo: il carbonato di calcio, infatti, è uno dei materiali più presenti nella crosta terrestre.
Balaustra e interno San Giovanni in Laterano, Roma
Il carbonato di calcio Il carbonato di calcio è un minerale eccezionale. La formula chimica CaCO3 identifica una materia prima molto diffusa nella natura; si presenta disciolta nei fiumi e negli oceani, solidificata in grandi ammassi rocciosi, sedimentata in forma di stalattiti o stalagmiti e come componente principale di intere catene montuose. Le piante e gli animali hanno bisogno di carbonato di calcio per formare i loro scheletri, le carcasse o le conchiglie. Riesce difficile immaginare come l’uomo potrebbe vivere senza carbonato di calcio; quasi tutti i prodotti nella nostra vita quotidiana o contengono carbonato di calcio o hanno qualche associazione con questo minerale nella loro produzione. Più del 4% della crosta terrestre è composto di carbonato di calcio. Gli ammassi rocciosi non sono i soli depositi di carbonato di calcio in natura; la maggior parte degli specchi d’acqua e innumerevoli piante e animali ne contengono grandi quantità; il legame che tiene insieme queste diversi modi di presentarsi è costituito dal “ciclo del carbonato di calcio”.
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Piante e animali assorbono il calcio disciolto nel bicarbonato di calcio e lo usano per costruire i loro scheletri o le conchiglie nelle quali si riparano. Dopo la morte crostacei, alghe e coralli formano depositi sui fondali marini; è così che si mette in moto il processo che porta alla formazione delle rocce. La prima fase è il processo di sedimentazione da cui prende forma il gesso, un materiale a base di calcio poco compatto. Il processo di sedimentazione si completa con la formazione di calcare. Se il processo di sedimentazione avviene in acqua contenente magnesio si possono formare le dolomie. Le rocce calcaree, il gesso, la dolomia e il marmo sono tutti materiali soggetti ad erosione per l’influenza del vento, delle variazioni della temperatura e della pioggia e si dissolvono nell’acqua facendo ricominciare il ciclo. ECA, (European Calcium Carbonate Association) www.ima-europe.eu
Un’altra caratteristica del marmo è la sua predisposizione ad essere modellato e lucidato attraverso la levigatura che, insieme al colore bianco, ne ha fatto uno dei materiali preferiti dalla maggior parte degli scultori. La classificazione dei marmi è un’operazione complessa e non solo per i confini sfumati delle etichette usate nelle consuetudini commerciali. Ce ne sono policromi, come le brecce, e monocromi: rossi, gialli, bardigli, neri, bianchi. Questi ultimi sono il prodotto di metamorfosi di rocce calcaree prive di impurità. Colori, macchie e disegni dei marmi, infatti, dipendono da piccole quantità di minerali presenti all’interno della roccia originaria: argilla, limo, sabbia, ossidi di ferro. Se la distribuzione del colore non è uniforme si distingue tra paonazzi, arabescati, fioriti e venati. La presenza di tracce di metalli ferrosi e la particolare grana dei cristalli di calcite battezzano alcuni dei marmi oggi più richiesti dal mercato: calacata, statuario, caldia, cremo, arabescato, bardiglio. In molti casi lo sforzo di classificazione rinuncia ad ogni funzione scientifica o anche solo utilitaristica; coincide e si arena direttamente sulle caratteristiche di ogni singola cava, che spesso sono diverse rispetto a quelli di tutte le altre: ecco che troviamo il bardiglio della Cappella, il marmo con sfumature rosa di Candoglia, il rosso Levanto, il perlato di Custonaci, l’algido bianco di Lasa o quello dei Canaloni di Carrara, che per gli amanti dei prodotti gastronomici “poveri”, è utilizzato per le conche del lardo di Colonnata. Nei bacini estrattivi delle Alpi Apuane, ancora, si distingue tra bianco C, D, CD e P, sigle poco espressive ai fine di prefigurarne le caratteristiche.
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Vuoi che sono effettivamente diversi o che si assomigliano tanto da renderne difficile la caratterizzazione, molti marmi sono associati direttamente a singoli siti estrattivi i cui confini e le cui vene litologiche, peraltro, sono anch’esse soggette a variazioni quando avanzano i fronti di escavazione. Anche questo concorre a sfumare i confini semantici che il termine marmo ha assunto nel tempo e non c’è da meravigliarsi se semplici rocce calcaree che ne ricordano vagamente l’aspetto, sono classificate come marmo. Sin dall’antichità i blocchi di marmo sono stati ampiamente impiegati per la scultura e nelle costruzioni. La loro diffusione, tuttavia, per molto tempo è stata condizionata dalla vicinanza ai giacimenti e dalle ridotte capacità di trasporto. Le cose cambiarono con lo sviluppo dei trasporti via fiume e via mare; nelle città greche e, soprattutto, ai tempi della Roma imperiale i marmi affluivano da tutte le aree del Mediterraneo dove questo materiale veniva estratto.
Il marmo e l’architettura L’architettura classica e quella neoclassica sono state identificate - anche se poi non era del tutto vero- con l’uso dei marmi. E quando, per povertà dei committenti, non era possibile usarlo, anche il buon Palladio costruiva colonne e paraste di mattoni, rivestendole di stucco “marmorino”, cioè mescolandolo alla polvere il marmo bianco. Ossia laddove marmo non v’era, lo si fingeva, dichiarando apertamente l’imitazione. Nelle chiese barocche, quando l’aspirazione alla dignità architettonica era tanto superiore al denaro da spendere, l’arte di dipingere stucchi a finto marmo divenne così sublime e perfetta, negli interni dei palazzi e delle chiese, da costituirsi, come categoria, in materiale autonomo, capace di fingere materiali coloratissimi, introvabili o addirittura inventati
G. K. Koening, XXM Fondazione Cassa Risparmio Lucca, Cciaa Massa Carrara, IMM; 2006
Il marmo è sempre stata una materia prima molto ricercata e con costi più elevati rispetto alla maggior parte degli altri materiali da costruzione. I protagonisti del settore, con malcelato orgoglio, non mancano di sottolineare che fra tutte le pietre è la più preziosa perché è il materiale più utilizzato nella decorazione delle chiese, che sono la casa di Dio!
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Le cave da cui si estrae il marmo possono essere “coltivate” all’aperto o in galleria e sono ubicate prevalentemente in luoghi collinari o di montagna che ne rendono più problematica l’estrazione e il trasporto. Per secoli le masse rocciose sono state staccate dalle montagne inserendo cunei di legno imbevuti d’acqua nei piccoli anfratti presenti in natura o in trincee scavate appositamente, sfruttando così la pressione del rigonfiamento del legno. Queste procedure, rafforzate successivamente grazie agli strumenti di ferro, sono meticolosamente raccontate, nel primo secolo dopo Cristo, da Plinio il Vecchio nel volume XXXVI della sua monumentale Naturalis Historia.
L’industria del marmo, foto storica | Laboratorio artistico, foto storica
I metodi di escavazione sono rimasti pressoché gli stessi fino all’avvento della polvere da sparo con la quale, tuttavia, si distruggeva inevitabilmente una parte importante dei preziosi materiali tanto ricercati. Negli ultimi cento anni i progressi della scienza e della tecnica hanno modificato in modo radicale l’estrazione e la lavorazione delle pietre. La prima rivoluzione coincise con l’utilizzo di grandi fili elicoidali in ferro che, mossi da potenti motorimeccanici, facendo pressione su uno strato di sabbia silicea riuscivano ad incidere i blocchi. Da quaranta anni a questa parte si impiegano fili più sottili con un’anima di acciaio sui quali, a distanza regolare, vengono applicate perline impregnate di diamanti sinterizzati. Il filo, introdotto in fori appositamente scavati nelle rocce, viene fatto girare da una puleggia azionata da una potente macchina che si muove su un binario a cremagliera.
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Il taglio delle perline separa dal resto della bancata grandi blocchi che, una volta trasportati negli stabilimenti industriali, sono trasformati in lastre, soglie, mattonelle, colonne e oggetti. Il disegno ingegnoso di un complesso telaio il cui funzionamento non sembra molto diverso da quelli attualmente in uso si ritrova nei codici di Leonardo da Vinci. Le recenti macchine, squadra blocchi, lucidatrici, calibratrici, frese a controllo numerico e robot, hanno ridotto notevolmente la fatica manuale di centinaia di lavoratori armati soprattutto di martello e scalpello; le quantità di marmo estratte in Italia, tuttavia, sono costanti o flettono moderatamente da più di venti anni.
Il marmo È una materia bellissima Andate in cava Scegliete ciò che il venditore disprezza perché ineguale, perché fuori dalla “partita”; scegliete i blocchi con venature accentuate vicino al cappellaccio; saranno i vostri marmi, non i marmi Fate tagliare i massi controverso; inventerete nuovi marmi come ho inventato la “tempesta” per la Montecatini Non disponete mai i marmi con le vene a specchio; natura non facit disegnum, non fate disegni con essa Mettete le vene in diagonale Amo il Candoglia, l’unico marmo rosa Amo il tempesta, l’ho inventato tagliando controverso il cipollino rigato Amo lo statuario Amo il Lèvanto Amo il bardiglio nuvolato Amate i marmi Fate pavimenti con grandi lastre irregolari, a scaglie immense Fate i pavimenti in statuario (o bianco P), in strisce diagonali, legate solo per il lungo, in ottone, e le altre sieno eguali di dimensioni, sieno messe com vien viene
Giò Ponti, Materie prime Amate l’architettura, 1957
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Un pò di storia
Nike di Samotracia; Museo del Louvre, Parigi
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Capitolo 3
I
n primo piano tra le pietre. L’impronta delle pietre naturali accompagna tutte le tappe della nostra civiltà anche se, negli ultimi due secoli, la loro centralità materiale e culturale è progressivamente diminuita. L’escavazione, la lavorazione e l’uso delle pietre nell’architettura e nella produzione artistica sono state a lungo alcune fra le attività economiche più importanti e questo valeva anche per numero di occupati nelle cave, nelle miniere e nella trasformazione dei materiali. Con la rivoluzione industriale (XVIII-XIX secolo) in molte applicazioni, e soprattutto nelle costruzioni, le pietre sono state scalzate dalla diffusione dei prodotti “industriali”. Non di meno, buona parte di quello che abbiamo ereditato dalle civiltà passate ha a che fare con le pietre e ancora oggi, nell’architettura e nel design moderno, i manufatti di pietra conservano un fascino particolare. In questo lungo sentiero “lastricato”, il marmo si è ritagliato uno spazio particolare come prodotto distintivo per manufatti di prestigio.
In un primo tempo, in realtà, fu utilizzato nelle costruzioni come semplice materiale strutturale. L’ossatura portante dei templi e degli altri edifici dell’Acropoli di Atene (Eretteo, Propilei, tempietto di Atena Nike..), siamo all’apice dell’età di Pericle (495 a.C.-429 a.C.), è stata fatta con i blocchi che provenivano dalle cave del monte Pentelico, a soli 5 km a nord est di Atene. Ma già nei fregi del Partenone il marmo è impiegato anche come pietra per funzioni specificatamente ornamentali. Le statue dell’antica Grecia sono ancora oggi tra le opere d’arte più ammirate nei musei di Parigi, Londra, Berlino e Roma. Il loro fascino è rafforzato dai racconti delle avventurose scoperte archeologiche che le hanno riportate alla luce. Come per i bronzi di Riace, della Nike di Samotracia o della Venere di Milo, entrambe oggi esposte al Louvre, non siano riusciti a ricostruire con precisione chi sono stati gli autori. E’ noto, ancora, che una buona parte della produzione artistica dei grandi scultori greci, vedi il Discobolo di Mirone e le opere di Policleto, la possiamo ammirare solo grazie alle copie che ne fecero i romani. I nuovi sofisticati sistemi di analisi chimiche-fisiche, inoltre, continuano a far affiorare nuovi particolari sui capolavori della scultura classica: oltre ad essere modellabile, il marmo bianco meglio si adattava ad essere coperto dai pigmenti delle vernici con le quali erano rivestite le statue. Nel periodo di massimo sviluppo della antica Grecia le cave attive nel Peloponneso erano numerose; le loro produzioni iniziavano ad essere richieste non in base alla prossimità del luogo di estrazione ma alle caratteristiche specifiche dei vari marmi: il pentelico, il tasio, il nassio o il pario.
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Particolare Frontone Partenone, Fidia
Anche nell’antica Roma inizialmente il marmo è stato impiegato come le altre pietre per l’armatura degli edifici ma, a partire dal III secolo a.C., il suo uso si spostò prevalentemente verso applicazioni decorative: bassorilievi, colonne, sarcofagi, pavimenti, capitelli. Tra le altre cose i romani, che avevano introdotto l’uso del cemento, furono i primi ad utilizzare le pietre tagliate in lastre ed incollate alle pareti degli edifici. Conquistata la Grecia (197 a.C.), Roma continuò per molto tempo a subirne l’influenza culturale ed importò da questo paese grandi quantità di marmi. I costi del trasporto da luoghi molto lontani facevano di questi un materiale di lusso utilizzato prevalentemente per i monumenti pubblici. Nelle case dell’aristocrazia di fine Repubblica i prodotti di marmo costituivano segno di prestigio e di ricchezza e per questo fu molto apprezzata la professionalità delle maestranze greche. Oltre a quelli bianchi, sempre molto ricercati, nei mosaici e nei pavimenti delle domus patrizie furono impiegati abbondantemente materiali colorati: giallo antico, africano, pavonazzetto, cipollino, e molti altri ancora. Ai tempi di Giulio Cesare (100 a.C.- 44 a.C.) la richiesta di graniti, alabastri, porfidi e marmi raggiunse livelli tanto elevati da spingere le autorità ad incentivarne l’escavazione.
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Sempre in questo periodo fu introdotta una tassa specifica sulla importazione di colonne (“columnarium”);l’economia delle pietre era talmente importante che, per assicurarsi la disponibilità dei materiali necessari nei grandi programmi di edilizia pubblica, l’Impero romano ne assunse direttamente la proprietà. Da allora, fra tasse, regole, vincoli e controlli, l’attenzione per questo settore da parte dei governi, di tutti i governi, non è più venuta meno!
Tecniche, artisti e opere Un immane cammino ha portato Plinio a compiere il periplo di tutto il mondo conosciuto: dai luoghi e dall’uomo agli animali, ai vegetali, ed ora ai minerali. (Mineralogia e storia dell’arte) che può apparire, nella sua inerzia, come il distretto piú grigio dell’universo, si trasforma per noi in una delle sezioni non solo piú importanti, ma piú attraenti dell’opera. È infatti delineata qui una panoramica completa delle arti antiche, storia di tecniche e di artisti, di monumenti, di opere che ancora oggi echeggiano con suggestione ai nostri orecchi o si presentano con un fascino ineguagliabile davanti ai nostri occhi nei paesaggi dell’Attica e del Peloponneso o nei musei di tutto il mondo; o che invece, perdute e altrettanto famose, qui sono rievocate almeno per iscritto. I nomi di Policleto, di Fidia, di Prassitele, di Lisippo - ma gli artisti citati da Plinio sono 352! -, i problemi del colore, del marmo, dei vetri, della ceramica entrano e si confondono al solito con mille altri nell’enciclopedia pliniana, quasi maniacale per l’accumulo di notizie e di dati, quasi incapace di contenerli e pronta a ripartire da capo, fonte eccezionale per la conoscenza dell’antichità. Il totale naufragio della critica d’arte antica rende ancora piú prezioso il contributo di questo blocco di libri della Naturalis historia. Fin dal Rinascimento, dal Ghiberti e sino al Winckelmann e oltre, esso fu la base di quanti cercarono di ricostruire dalle fonti ancor prima che dall’archeologia il quadro delle arti classiche. E tale rimane ancor oggi, pur nel progresso delle conoscenze e degli strumenti di critica e di lavoro. G. Plinio Secondo (Il Vecchio), “Storia naturale. V: Mineralogia e storia dell’arte” (78 d.C.) Scheda Giulio Einaudi Editore
L’imperatore Augusto (63 a.C.-14 d.C.) ripeteva compiaciuto di “aver ricevuto una Roma di mattoni e di averla lasciata rivestita di marmo” e, per i suoi ambiziosi progetti, spinse le importazioni da tutti i paesi che si affacciavano sul Mediterraneo: Spagna, Gallie, Grecia, Asia Minore, Egitto, Tripolitania, Numidia, Mauritania e, non ultima, Italia.
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Più tardi (fine I secolo d.C.) iniziarono la coltivazione e la commercializzazione dei marmi che prendevano le rotte del mare dal porto di Luni, a 5 chilometri da Carrara; grazie alle caratteristiche litologiche e ai minori costi di trasporto, i blocchi delle vicine cave rappresentavano un valido sostituto dei marmi greci pentelici. Da una cava di Carrara, “Polvaccio” (ancora attiva), proviene il marmo della colonna Traiana innalzata in questo periodo come diario di guerra per le epiche gesta di Traiano che, tra il 101 e il 106 d.C., sconfisse i barbari oltre il Danubio.
Domus Aurea, National Geographic | Colosseo
Per abbellire le città i romani fecero arrivare grandissime quantità di marmo in tutto l’impero, ne razionalizzarono l’escavazione e industrializzarono la produzione di manufatti marmorei. Nell’arco di due secoli Roma si arricchì di una grande quantità di edifici e di decorazioni la cui bellezza possiamo immaginare osservando quanto resta dopo secoli di distruzioni, saccheggi ed erosione degli agenti atmosferici. I marmi di Luni affluivano in quantità sui cantieri di Roma dove si misuravano con quelli provenienti da tutto l’Impero, in particolare dall’isola di Proconneso, nel mar di Marmara, i cui blocchi potevano essere caricati direttamente sulle navi; la domanda comunque fu per molto tempo sostenuta e i prezzi continuavano a salire.
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Il plastico di Roma nella sua massima ricchezza architettonica Google Earth, oltre ad essere uno strumento per lo studio della geografia, ci permette anche di viaggiare nel tempo alla scoperta dell’antica Roma. La ricostruzione tridimensionale della Roma imperiale nasce grazie alla collaborazione tra Google e le università statunitensi della California e della Virginia, progetto Rome Reborn. Il modello realizzato si basa sul grande plastico visibile all’interno del museo della civiltà romana che si trova nel quartiere EUR, ideato e costruito da Italo Gismondi tra il 1935 e il 1971, che riproduce la Roma Imperiale nel periodo della sua massima ricchezza architettonica, nel 320 d.C. sotto la guida dell’imperatore Costantino. Per poter fare un salto indietro nel tempo di quasi 2000 anni bisogna avviare Google Earth e cercare il layer Roma Antica in 3D. Una volta spuntata la relativa “casellina”, appariranno sulla città di Roma un’infinità di icone gialle Cliccate su Ancient Roman Buildings e vedrete comparire un po’ alla volta più di 6000 edifici tridimensionali. Il livello di dettaglio è molto elevato per i monumenti più importanti come il Colosseo, l’area del foro e i templi del Campidoglio, (è addirittura possibile entrare all’interno delle grandi basiliche e apprezzare lo spazio interno di questi prodigi dell’architettura) mentre è piuttosto bassa quella delle comuni insule (quelle che oggi chiamiamo condomini).. Google Earth Italia
Con l’affermazione del Cristianesimo lo scenario si modifica radicalmente. Il marmo non si fa venire dalle cave ma lo si strappa direttamente dalle costruzioni pagane: gli oggetti che ancora oggi adornano molte basiliche o i pavimenti che calpestiamo nelle cattedrali cristiane in non pochi casi sono fatti con i marmi di altri edifici. Il riutilizzo di materiale edilizio tratto da costruzioni pre-esistenti è stata una prassi diffusa nella storia umana, ma nel tardo Impero e in tutta l’epoca medievale il fenomeno assunse i connotati di un vero e proprio saccheggio. In questo caso, vi concorsero ragioni di ordine pratico e ideologico; con il riuso di prodotti architettonici ci si appropriava simbolicamente delle glorie del passato che si volevano replicare e, nello stesso tempo, i materiali già pronti (e questo valeva in modo particolare per il marmo), risultavano molto più convenienti rispetto ai blocchi delle cave. Le razzie per la verità continuarono per molto tempo, prendendo di volta in volta direzioni diverse. Caduto l’Impero romano (476 d.C.), grandi quantità di marmi vennero sottratte ai complessi architettonici di Roma per essere riutilizzate nella costruzione di colonnati, capitelli e basi delle cattedrali dell’impero bizantino.
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A sua volta, dopo che i crociati piegarono Costantinopoli (1204 d.C.), vi fu uno dei più grandi saccheggi di marmi della storia: il palazzo imperiale, la basilica di Santa Sofia e tutte le chiese vennero spogliate dei loro preziosi rivestimenti che finirono a Venezia; colonne e manufatti marmorei furono utilizzati anche nei forni per la calce. Per alcuni secoli Roma è stata una enorme “cava” ; buona parte dei marmi importati per abbellirla furono trafugati e trasformati in altari, fonti battesimali, tabernacoli, pulpiti, colonne, gradini o pavimenti. Provvedimenti per arginare le razzie furono presi fin dal V secolo ma non ebbero grande efficacia. Papa Pio II (1405 -1464), mentre autorizzava il prelievo dei marmi del Colosseo per la costruzione della Loggia delle benedizioni antistante a San Pietro, si preoccupò di emanare una bolla (1462) che proibiva, in assenza di licenza papale, di demolire o danneggiare gli antichi edifici pubblici. In una lettera scritta nel 1514, Raffaello, in quel tempo prefetto della Fabbrica di San Pietro, stigmatizzava la dilagante aggressione al patrimonio architettonico della città: “Ma perché ci doleremo noi de’ Goti, de’ Vandali e d’altri perfidi inimici del nome latino, se quelli che come padri e tutori dovevano difendere queste povere reliquie di Roma, essi medesimi hanno atteso con ogni studio lungamente a distruggerle et a spegnerle?”. La flessione generale della domanda e la disarticolazione dell’Impero avevano fatto crollare precipitosamente le attività estrattive che si ripresero solo con la fine del Medio Evo. Verso il 1500 si rimisero in moto anche le cave di marmo delle Alpi Apuane assopite da secoli di bassa attività. Le spiagge di Carrara ripresero ad essere battute dai “padroni di barche” del ponente ligure che trasportavano carichi di marmi a Roma e oltre. Vari i fattori che, insieme al risveglio generale della vita dopo i secoli bui delle invasioni barbariche e del declino economico sociale, favorirono la ripresa dell’uso nel marmo. Una grande spinta in questa direzione venne dall’architettura del Rinascimento; il marmo fu ampiamente usato dalla maggior parte dei maestri-architetti protagonisti di questa straordinaria stagione. Nel suo De statua, trattato in lingua latina di teoria della scultura, Leon Battista Alberti (1404-1472) elogia i marmi apuani che ritiene gli unici paragonabili a quelli dell’isola di Paro e di cui farà largo uso nelle sue creazioni, dalla facciata di S. Maria Novella al Tempio Malatestiano di Rimini.
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Tempio Malatestiano, Rimini | Duomo di Siena | Santa Maria Novella, Firenze
Roma, Firenze, Pisa, Siena, Milano e Venezia si aprono al vento di novità dello stile rinascimentale; il marmo si impone sulle facciate e negli interni delle chiese e primeggia anche nelle rappresentazioni del mito della città ideale che prende corpo proprio in questo periodo. Nelle costruzioni civili di questo periodo si usano prevalentemente le altre pietre ma edifici come il Palazzo dei diamanti a Ferrara e la basilica palladiana a Padova devono molto del loro fascino all’originale impiego del marmo.
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Facciate di marmo Cattedrale Santa Maria Assunta (Duomo), Pisa. Costruzione iniziata nel 1063; la facciata di marmo grigio e bianco, decorata con inserti colorati, fu edificata nel XII secolo su progetto del maestro Rainaldo. I tre portali sottostanno a quattro ordini di loggette divise da cornici con tarsie marmoree, dietro i quali si aprono monofore, bifore e trifore... Battistero, Firenze. Rivestito a metà del XII secolo con marmi bianchi di Carrara e verde di Prato; il pavimento in tarsie marmoree fu realizzato nel 1209. San Miniato, Firenze. La facciata è uno dei capolavori dell’architettura romanica fiorentina e mutua motivi classici dalle tarsie marmoree degli edifici monumentali romani. Iniziata nell’XI secolo è divisa in due sezioni: quella inferiore caratterizzata da cinque archi a tutto sesto sorretti da colonne in serpentino verde con basi e capitelli corinzi in marmo bianco; la parte superiore mette in evidenza due frontoni simmetrici delle navate laterali e sono decorati con una bicromia di marmo bianco e serpentino verde di Prato. Al centro del pronao una finestra incorniciata da due colonne, sorrette da teste di leone marmoree che sono sormontate da un frontespizio al cui centro è presente un intarsio di un vaso tra due colombe. Nel riquadro superiore si trova il mosaico di Cristo tra la Vergine e san Miniato, composto nel 1260. Il frontone riprende lo stile del primo ordine con una serie di nove archi bianchi e verdi sormontati da una croce e da candelabre. Cattedrale di Santa Maria Assunta (Duomo), Siena (1220- 1370). La facciata, tutta in marmo bianco con qualche decorazione in rosso di Siena e serpentino di Prato, è divisibile in due metà. La facciata inferiore fu realizzata da Giovanni Pisano in stile romanico-gotico. La cattedrale conserva molti capolavori ma tra questi svetta il pavimento intarsiato. Santa Maria Novella, Firenze. Su commissione della famiglia Rucellai, Leon Battista Alberti disegnò il grande portale centrale e la parte superiore della facciata, in marmo bianco e verde scuro (serpentino), terminata nel 1470. Cattedrale di Santa Maria Assunta (Duomo), Orvieto (i. 1290). I lavori della facciata furono completati nella seconda metà del 1500 da Ippolito Scalza. Palazzo dei diamanti, Ferrara. Progettato da Biagio Rossetti e costruito tra il 1493 e il 1503. La sua caratteristica principale è il bugnato esterno a forma di punte di diamante; 8500 blocchi di marmo venato rosa con preziosi effetti prospettici dovuti al diverso orientamento delle punte. Basilica Palladiana, Vicenza. L’architetto trentottenne Andrea Palladio riprogettò il Palazzo della Ragione nel 1546 sulla preesistente costruzione. San Giovanni in Laterano, Roma. La facciata principale, costruita nel 1732 secondo il progetto di Alessandro Galilei, è costituita da un lungo atrio e da un arioso loggiato che si innesta sopra a quest’ultima. Sulla sommità della facciata si trova un gruppo marmoreo raffigurante Cristo con la croce tra alcuni santi vescovi della Chiesa d’Oriente e di quella d’Occidente.
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Santa Croce, Firenze. Non si sa esattamente quando la basilica fu terminata, forse attorno al 1385; La consacrazione è del 1443. La facciata odierna fu realizzata tra il 1853 e il 1863 ad opera dell’architetto Niccolò Matas, che si ispirò chiaramente alle cattedrali di Siena e di Orvieto. Cattedrale Santa Maria del Fiore (Duomo), Firenze. Nel 1871, dopo un concorso internazionale, vivaci discussioni e aspri dibattiti, si iniziò a costruire la facciata su progetto di Emilio De Fabris; i lavori si conclusero nel 1887. Le pareti sono ricoperte da decorazioni di marmi policromi provenienti da Campiglia, Carrara (bianco), Prato (verde) e Siena e Monsummano (rosso).
Certamente non meno importante per la riattivazione della coltivazione delle cave di Carrara fu lo straordinario endorsement di Michelangelo che, come è noto, si recò più volte sulle Alpi Apuane per scegliere i marmi dai quali presero vita la Pietà (1499), David (1504) e Mosè (1515). Con la sua presenza, tra le altre cose, favorì il coagulo in questa città di esperienze che stimolarono la crescita di una vera e propria scuola artistica locale: Danese Cattaneo (15121572), allievo del Sansovino, Felice Palma (1583-1625) e Pietro Tacca (1577-1640), scolaro del Giambologna. Più tardi, intorno a Pietro Bernini (1562-1629), si formerà una nuova leva di artisti carraresi a lungo impegnati nella ristrutturazione barocca di Roma e di Napoli e nelle corti europee: Francesco Baratta (1590-1666) che parteciperà alla realizzazione dei pilastri della navata di S. Pietro e scolpirà il Rio della Plata nella Fontana dei Fiumi di Piazza Navona, e Giuliano Finelli (1602-1653), stretto collaboratore del Bernini quando scolpiva “Apollo e Dafne”. Un contributo poco appariscente ma non meno importante nel consacrare la fama dei marmi bianchi lo diede Alberico Cybo-Malaspina (1529-1623), principe di Carrara e duca di Massa; grazie ai suoi rapporti con i principali cenacoli culturali del Rinascimento fece arrivare a Carrara alcuni fra più importanti artisti dell’epoca, schiudendo definitivamente le porte dell’arte e dell’architettura europee ai marmi locali. I grandi maestri dell’architettura barocca usarono abbondantemente, insieme ai bianchi, i marmi policromi, in particolare le brecce. Nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma (1518-1589) e nella cappella dei Medici in S. Lorenzo a Firenze (1604-1743), due grandi esempi della scuola Barocca, troviamo marmi e pietre dure d’Elba, violetto delle Fiandre, giallo di Sicilia, corallino di Spagna, giallo antico, lapislazzuli e diaspro fiorito di Sicilia. Finito il Rinascimento il vento ha continuato a soffiare propizio sulle cave apuane soprattutto nella scultura, rafforzando così il mito del marmo bianco.
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Ai capolavori in stile barocco di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), seguono quelli dei grandi protagonisti del periodo neoclassico; i percorsi professionali di Antonio Canova (1757-1822), Bertel Thorvaldsen (1770-1844) e Lorenzo Bartolini (1777-1850), ognuno in modo diverso, sono intrecciati con Carrara, la sua Accademia e i suoi marmi. Con la rivoluzione industriale si modifica l’organizzazione giuridica e sociale, prima ancora che tecnologica, dell’economia del marmo; Carrara vive una stagione culturale e industriale da piccola capitale. Qui arrivano artisti, ingegneri minerari e turisti da tutto il mondo occidentale. Qui si mettono a punto i tasselli di progetti di cui il marmo è protagonista un po’ in tutta Europa come il Potsdam Marmorpalais (1787-1793), il Palazzo di marmo di San Pietroburgo (1768, progetto A. Rinaldi realizzato con ben 32 diversi marmi), Marble Arch a Londra o il Padiglione Ferroviario in Karlsplatz, a Vienna (1897).
Marble Arch, Londra Il complesso monumentale ricalca i codici estetici dell’arco di Costantino a Roma; nella sua costruzione, iniziata nel 1827, sono stati utilizzati vari marmi: le sezioni principali sono di marmo di Carrara, mentre le parti ornamentali sono in breccia medicea. La costruzione terminò nel 1833, con l’erezione del Marble Arch nella Cour d’honneur di Buckingham Palace. La colorazione bianca del marmo, tuttavia, venne presto meno a causa dell’inquinamento atmosferico londinese. Nel 1847, Sharpe’s London Magazine descrisse il monumento come «scolorito dal fumo e dall’umido, e molto simile a un enorme ammasso di zucchero in una vetrina di una pasticceria». Nel marzo 1851 Marble Arch fu smontato per essere ricomposto come ingresso monumentale a Hyde Park.
Le statue dei grandi maestri e le facciate delle prestigiose cattedrali sono solo la punta di un iceberg di una vasta gamma di produzioni, spesso commercializzate con cataloghi di disegni (e successivamente foto in bianco e nero) che riproducono statue classiche, vasi, capitelli, colonne, angeli, putti, cornucopie e bassorilievi. Negli operosi laboratori a valle delle cave si producono centinaia di monumenti, “documenti di pietra” che vanno ad occupare le piazze di tutte le città europee. E non c’è città italiana che non ospiti una statua di Garibaldi, spesso al centro dell’omonima piazza; sembra che, in tutte, lo sguardo di Garibaldi sia rivolto verso Roma, città che non riuscì a conquistare.
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Stadio dei Marmi, Roma E. del Debbio
Palazzo della civiltà del lavoro, EUR, Roma
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Nelle rilevazioni all’indomani dell’unificazione dell’Italia, il marmo, che in questo momento proviene prevalentemente dalla cave delle Apuane, risulta la seconda voce delle esportazioni italiane. Per dare un’idea del fermento che si respira a Carrara, tra il 1860 e il 1900 la produzione di blocchi balza da 43000 a 120000 ton; solo dieci anni più tardi è già raddoppiata. Nel 1911, dati del Censimento Industriale, i quattro comuni toscani con una netta vocazioni industriale (addetti all’industria superiore al 20% della popolazione), sono Piombino e Portoferraio, San Giovanni Valdarno e Carrara. Nel 1876 viene inaugurata la ferrovia marmifera, 33 km di binari che dal porto di Marina di Carrara si inerpicano nei bacini marmiferi a 450 m slm; una straordinaria opera di ingegneria civile sulla quale i carri ferroviari, dopo la prima guerra mondiale, arriveranno a trasportare fino a 500000 tonnellate di marmo l’anno.
L’architettura italiana nel Ventennio Nel Palazzo della società Montecatini a Milano (G. Ponti, A. Fornaroli, E. Soncini, 1936-1938) la pietra ha un ruolo di assoluto protagonismo, oltre 6000 metri quadrati di Cipollino Verde Apuano rivestono le facciate e si assommano alle numerose varietà di marmo che si trovano un po’ dovunque negli ambienti interni, per un totale di oltre 1300 tonnellate di marmi, 900 delle quali di provenienza apuana. M. Ferrero, XXM Fondazione Cassa Risparmio Lucca, Cciaa Massa Carrara, IMM; 2006
Di lì a poco la stagione del grande boom si avvicina al termine. La politica autarchica e la promozione del marmo del regime fascista non furono sufficienti ad arginare il crollo della domanda innescato dalla rivalutazione della lira (1927) e dalla successiva crisi del ’29. In poco tempo la produzione precipita a 220000 ton, livello dal quale non si scosterà per molto tempo nonostante le ingenti opere pubbliche nella cui costruzione era prescritto l’impiego dei materiali apuani: Stadio dei marmi, EUR, case del fascio, convitti, opere nazionale Balilla, palazzi delle Poste, INFPS e INAIL. Di questo periodo il dono, voluto da Mussolini, per una delle due moschee della Spianata del Tempio di Gerusalemme.
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L’EUR La scelta di privilegiare i rivestimenti marmorei carraresi appare estranea a considerazioni architettoniche. Il 31 gennaio 1938 Galeazzo Ciano annota sul suo diario: “Renato Ricci si preoccupa del marmo di Carrara ora che la Francia ha messo dazi proibitivi e la Germania ha chiuso i mercati. Per i marmi si profila una nuova crisi; è verosimile che l’intervento presso il genero del Duce .. debba ricondursi non tanto al suo nuovo incarico al Ministero delle Corporazioni quanto alle sue origini carraresi”. Un promemoria del Servizio Artistico dell’EUR ricorda come sia “necessario che il materiale da impiegarsi nelle facciate esterne dei diversi palazzi sia il bianco ordinario per poter impiegare il marmo proveniente dal maggior numero di cave sia del comune di Apuania che della Versilia”. Una direttiva di Vittorio Cini indirizzata ai vertici dell’I.N.F.P.S. e dell’I.N.A. “perché sia esteso al massimo possibile l’impiego dei marmi apuani allo scopo di alleviare il grave stato di disagio in cui si trova, in questo momento, l’industria marmifera della provincia di Apuania..” M. Villani, I palazzi delle Esedre Gangemi edizioni, 2012
La ripresa nel dopoguerra procede lenta e graduale. Per un lungo periodo il marmo sembra bandito; viene rimosso dai progetti architettonici e dagli scultori perché associato alla retorica fascista. Per il distretto lapideo di Carrara inizia un lento processo di riposizionamento sui mercati; a metà degli anni Sessanta molte aziende locali concentrano i propri investimenti nella lavorazione del granito dove si presentano dispiegando innovazioni di processo e di prodotto. Solo recentemente gli imprenditori che con i campionari girano incessantemente il mondo hanno raccolto i frutti dei loro sforzi di valorizzazione dei marmi locali. Il tutto in uno scenario completamente diverso. Di fronte alla produzione di ceramiche italiane, che è pari a 350 milioni di metri quadrati l’anno mentre quella “equivalente” di tutte le pietre calcaree italiane supera di poco i 10 milioni, il marmo di Carrara è riuscito a far valere il proprio brand, ritagliandosi applicazioni da pietra eletta per particolari usi ornamentali; viene più spesso utilizzato per interni, cresce la produzione di oggetti design e recentemente è stato reintrodotto nella main stream della scultura.
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Il marmo nel dopoguerra Il caso dell’Italia è, da questo punto di vista emblematico: un accanito rifiuto di tutto quanto ricorda il fascismo, porta molti architetti a rinnegare perfino le proprie opere, abbracciando rapidamente i suggerimenti che intanto la critica “importa” da oltre oceano. Il marmo viene associato all’immagine celebrativa delle opere del Fascismo e, di conseguenza, evitato o addirittura bandito. M. Ferrero XXM Fondazione Cassa Risparmio Lucca, Cciaa Massa Carrara, IMM; 2006
In tutto questo il marmo conserva il fascino di un prodotto naturale, disponibile in quantità limitate e mai uguale a se stesso. E’ lo stesso exploit quantitativo delle costruzioni, con le nuove tecniche edificatorie, a circoscriverne l’uso in chiave “sartoriale”, da piccoli lotti dove si presta attenzione alle specifiche caratteristiche litologiche e a tutti gli elementi estetici: colori, disegni, superfici. Quelli simbolici non sono mai venuti meno! Non mancano progetti di primissimo piano come la Grande arche (1983-1989) di J. O. von Spreckelsen (marmi cave Canaloni e Lorano, Carrara) a Parigi, l’Opera House di Oslo (2003-2007) dello studio Snøhetta (marmo cava La Facciata, Carrara). Il marmo di Candoglia, lo stesso utilizzato per il Duomo, avrebbe coperto il Museo Arte Contemporanea progettato per Milano da D. Libeskind.
www.cemeteriesroute.eu
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Una piccola chiosa finale la dedichiamo alla produzione funeraria, decisamente meno conosciuta, ma importante specchio culturale di epoche e di comunità. Si stima che un decimo della produzione di pietre ornamentali vada a decorare i cimiteri in forma di lapidi, sculture, apparati e cappelle. Per apprezzare l’evoluzione nel tempo del “culto dei morti” e l’eredità artistica che questo ci ha consegnato, ci si può soffermare sui sepolcri e le lapidi esposti nelle chiese ma ancora più efficaci sono le visite ai cimiteri monumentali presenti nelle maggiori città.
22 paesi, 179 cimiteri I Cimiteri sono spazi sacri, carichi di valenze emotive; ma sono anche testimonianze della storia di ogni popolo. Con la loro presenza in tutte le città e i paesi d’Europa ne rivelano l’identità culturale e religiosa. Per le opere, le sculture, le incisioni e per la pianificazione urbana i Cimiteri sono parte del nostro patrimonio materiale. Nello stesso tempo, sono parte del patrimonio intangibile e della nostra matrice antropologica; sono la rappresentazione plastica del particolare contesto che riguarda le consuetudini e le usanze relative alla morte. I Cimiteri offrono i riferimenti nei quali possiamo incastonare i frammenti della nostra memoria storica. Sono espressione visiva di periodi che le comunità non vogliono e non devono dimenticare e che abbiamo il dovere di conservare e riconsegnare alle generazioni future. L’European Cemeteries Route è un percorso che invita a specchiarsi nei cimiteri come luoghi di vita, come spazi urbani legati alla storia e alla cultura di ogni comunità; promosso dall’Association of Significant Cemeteries in Europe (ASCE) è supportato dal Programma Cultura della Commissione Europea. http://www.significantcemeteries.org/p/the-association.html Sorti in seguito alle leggi napoleoniche sulle sepolture, i cimiteri monumentali italiani sono vere e proprie città di pietra, ricche di opere d’arte… è in Italia, in particolare nel ricco e laborioso Nord, che il fenomeno conosce la sua massima espansione. I cimiteri monumentali in Italia sono lo specchio curioso del gusto e dei costumi di un’epoca e custodiscono le opere dei maggiori scultori a cavallo tra XIX e XX secolo, da Luigi Orengo, che nel cimitero di Staglieno a Genova realizza tomba Delmas (1909) tra liberty ed erotismo, a Leonardo Bistolfi e gli altri straordinari artisti che si possono ammirare tra i viali del cimitero monumentale di Milano: Medardo Rosso, Adolfo Wildt e Giacomo Manzù, per citarne solo alcuni. Oltre a queste meravigliose opere d’arte, i cimiteri custodiscono le spoglie di personaggi fondamentali per la nostra cultura… http://www.necroturismo.it/cimiteri-monumentali-in-italia/
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Il distretto
www.rifaidate.it/casa/rivestimenti/marmo-e-design.asp
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Capitolo 4
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omunità di persone & di imprese. Nelle arene competitive internazionali l’Italia presenta le migliori performance in una serie di prodotti che si distinguono per fattori come il design, il gusto, la moda e, più in generale, il nostro stile di vita. A questa caratteristica peculiare del Made in Italy e della sua tenace competitività sono state dedicate caterve di studi per i quali non è stata sufficiente la classica cassetta degli attrezzi di tipo economico-aziendale. Numerose ricerche hanno messo in luce che, in fatto di processi e di impianti produttivi (le macchine, anche queste spesso italiane, utilizzate per produrre scarpe, tessuti, ceramiche, pomodori pelati, lastre di marmo...), le nostre imprese non sono seconde a nessuno. Restava, però, in gran parte da chiarire l’arcano economico italiano rappresentato dalla metafora del calabrone che, in base alle leggi della fisica, per peso ed apertura di ali non dovrebbe volare. Per spiegare la capacità di destreggiarsi sui mercati internazionali nonostante handicap come i ritardi nella dotazione infrastrutturale, la scarsa qualità dei servizi della Pubblica Amministrazione e l’elevata incidenza della tassazione, oltre agli alti costi produttivi, i ricercatori sono stati costretti ad allargare gli orizzonti disciplinari delle loro indagini. In alcuni casi sono state incluse variabili storico-antropologiche, come il senso della bellezza ereditato dal Rinascimento; in altri, sociologiche, come l’insieme di legami interiorizzati dalle persone e dalle imprese che fanno parte delle comunità protagoniste dei diversi successi commerciali; in altri, ancora, geografiche, come le dense relazioni territoriali e le interdipendenze che queste generano quando una parte rilevante delle attività di un territorio circoscritto si svolge e si sviluppa attorno ad un particolare settore produttivo. Muovendo dalla stretta correlazione, tutta italiana, tra un centinaio di aree territoriali con una spiccata vocazione produttiva e l’articolazione merceologica dei flussi delle nostre esportazioni, i fattori esplicativi del successo del Made in Italy messi in luce dalle diverse discipline hanno trovato una suggestiva e fortunata ricomposizione negli studi sui “distretti industriali”, originali sistemi organici di imprese, istituzioni e comunità di persone che, insieme, raggiungono risultati maggiori rispetto alla somma di quelli che otterrebbero operando ciascuno per proprio conto.
Questa premessa propone una chiave di lettura per mettere a fuoco l’exploit del design, della moda e, nel caso in esame, dei prodotti lapidei italiani. I nostri vantaggi competitivi non si esauriscono all’interno del perimetro delle imprese ma si nutrono dell’humus dei territori che ospitano i processi produttivi e si materializzano nel modo originale in cui al loro interno è organizzata la produzione.
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Se ancora oggi, nel mondo globale, le aziende della Versilia e di Carrara tagliano i marmi apuani e i blocchi di granito o travertino che provengono da tutto il mondo per poi rivenderli in tutto il mondo, questo lo si deve al vantaggio competitivo costituito da fattori intangibili come la particolare atmosfera che avvolge il distretto, l’eredità culturale dei maestri Michelangelo e Canova e la capacità di riconoscere “il verso e il contro”.
La scuola Carrarese Alla fine del 1845 lo Zar Nicola I visita l’Italia ingrossando le fila di quel singolare pellegrinaggio artistico, chiamato “Grand Tour”, che fu insieme percorso di formazione e scoperta esotica del mondo mediterraneo. Durante il suo soggiorno romano lo Zar non si limita a visitare i luoghi simbolo e i monumenti principali della città, ma si fa accompagnare negli atelier dei principali scultori insediati a Roma, tra i quali quelli dei carraresi Pietro Tenerani e Luigi Bienaimè. Nicola I guarda e agisce come un collezionista: il suo scopo è in effetti quello di acquistare o commissionare opere destinate alla sala della Scultura Moderna, che intende allestire nel Nuovo Ermitage, il primo museo imperiale di Russia, che si sta costruendo proprio di fianco al Palazzo d’Inverno. Alcune delle statue, collocate nella sala della Scultura Moderna, (sono) legate alla cosiddetta Scuola carrarese …. ci sono sculture di un precursore come Giovanni Antonio Cybei, che fu il primo direttore dell’Accademia di Belle arti di Carrara, di Lorenzo Bartolini, che diresse l’Istituto durante il periodo napoleonico, e di Antonio Canova, che da Carrara ebbe non solo l’importante contributo di un materiale straordinario e unico al mondo ma anche alcuni allievi di eccezione. .. gli scultori che a Carrara si sono formati e che poi hanno determinato i nuovi indirizzi della scultura dopo il periodo neoclassico: a cominciare dallo stesso Lorenzo Bartolini a Firenze, Pietro Tenerani, Luigi Bienaimè e Carlo Finelli a Roma, Christian Daniel Rauch a Berlino, la genia dei Triscornia a Pietroburgo, e in certa misura, sulla scia di Benedetto Cacciatori, ancora Carlo Finelli a Milano. S. Androsov e M. Bertozzi, “Canova e i maestri del marmo. La scuola carrarese all’Ermitage” Fondazione Giorgio Conti- Palazzo Cucchiari, Carrara, 2015
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Altrettanto incidenti in fatto di competitività sono i legami tra persone che si conoscono ed intrattengono densi rapporti di affari grazie ai quali i comportamenti devianti sono più facilmente identificati e sanzionati; la partecipazione molecolare di tante persone, ognuna a modo suo, ai processi innovativi; la pressione che associazioni e gruppi ambientalisti avversi alle cave esercitano sulle amministrazioni locali e che costringe le imprese a conformarsi a standard normativi sempre più elevati: in ogni oggetto, statua, lapide, colonna, capitello o singolo metro quadrato di lastra di marmo o di granito lavorata nel distretto c’è un po’ di tutto questo. I profili con i numeri monocordi dei valori in euro o delle tonnellate di prodotti o delle esportazioni, per quanto affinati, non arrivano a rendere conto del mito di Carrara “catturato” in tutto il marmo lavorato che esce dai suoi confini.
Comunità di imprese e di persone Il distretto industriale è “un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali”. G. Becattini, Piccole e medie imprese nel recente sviluppo italiano Note economiche, Banca Toscana, 1989 Un cluster è una agglomerazione geografica di imprese, fornitori specializzati, erogatori di servizi, attività ausiliarie e altre organizzazioni collegate che operano in un particolare settore; l’agglomerazione di tanti operatori alimenta contestualmente forme di competizione e cooperazione tra imprese; i loro vantaggi competitivi sono rafforzati dalle interrelazioni e dai legami che queste sviluppano per il fatto di operare in uno stesso territorio. M. Porter, Il vantaggio competitivo delle nazioni Harvard Un. Press, 1989
Il Distretto Lapideo Apuo-Versiliese, comunemente identificato con “Carrara”, si estende a cavallo delle Province di Massa Carrara e Lucca. Nel 1995 la Regione Toscana, come prescriveva la legge 317/’91 (Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese) che ha affidato alle Regioni il compito di individuare i distretti industriali in base a stringenti criteri statistici, ne ha definito i confini inserendovi i Comuni di Carrara, Fivizzano, Massa e Montignoso, in provincia di Massa Carrara, e Minucciano, Piazza al Serchio, Pietrasanta, Seravezza, Stazzema e Vagli di Sotto, in quella di Lucca. Si tratta di un’area di 650 Kmq; in tutto 200000 residenti per una densità media di 320 ab. per kmq.
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Aziende lapidee, Carrara | Zona industriale apuana
Prima ancora che nelle batterie dei dati statistici o negli atti della programmazione economica regionale, in questo caso peraltro non particolarmente efficaci, l’area “Apuo-Versiliese” presenta anche visivamente una elevata densità di attività professionali ed imprenditoriali dedite alla lavorazione di prodotti lapidei, in particolare dei marmi. Le cave, ancorché importantissime, costituiscono solo il primo anello di una lunga catena di attività: segherie, laboratori artigianali e artistici, aziende specializzate nei trattamenti superficiali delle lastre, agenzie di trading di pietre provenienti dai quattro angoli del mondo, riutilizzo dei sottoprodotti (sassi, marmettole, terre...), produzione di macchinari per la lavorazione delle pietre. L’attività estrattiva è organizzata in modo tale da ricavarne ammassi rocciosi in forma di blocchi, possibilmente parallelepipedi lunghi 3000 mm, alti e larghi 2000 mm, per 25 tonnellate di peso;
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queste, infatti, sono le dimensioni più adatte per la successiva lavorazione nei moderni telai che li segano in lastre. Il resto del materiale escavato, che può variare considerevolmente nel tempo e tra cava e cava, si divide tra “informi”, che sono blocchi irregolari, e residui costituiti da sassi di varie dimensioni. Nel tempo la tecnologia e l’organizzazione del lavoro si sono preoccupate sia di aumentare la sicurezza degli operatori che l’uso razionale delle risorse tanto che oggi, per ogni metro cubo di blocchi estratti, sono diminuite sensibilmente le quantità dei sottoprodotti che residuano.
Quando si usavano le mine “ogni grande varata comportava lo spreco di due terzi del marmo abbattuto” Ministero Agricoltura, Industria, Commercio, Studi sulla sicurezza delle miniere e delle cave in Italia Roma, 1894
Abbiamo già evidenziato che, avvicinandosi al microcosmo “carrarino”, si scopre un’offerta di materiali molto più articolata di quella che per la maggior parte delle persone coincide tout court con l’immagine radicata del marmo bianco di Carrara. Nel distretto, infatti, si estrae una ampia varietà di marmi; tra i più noti bardiglio, venatino, arabescato, paonazzo, zebrino, pesco fiorito, vari tipi di bianco, brecce, cipollino, cardoso, statuario, calacata, nuvolato e cremo. Sono una ventina di materiali con caratteristiche diverse, non solo per motivi estetici (colore, disegno, trama,…) ma per proprietà strutturali in termini di resistenza, stabilità e sistemi di posatura. I blocchi, tanto quelli dei bacini marmiferi delle cave Apuane che quelli importati, sono segati in lastre o riquadrati in blocchi più piccoli e, dopo una serie di fasi di lavorazione, diventano pavimenti, rivestimenti per interni ed esterni, oggetti di design e tanti altri prodotti. Come è successo in molti distretti industriali, anche qui, in stretto contatto con le imprese del marmo, si è consolidato un comparto meccanico specializzato nella produzione di macchine per l’estrazione e la lavorazione dei prodotti delle cave. Il ciclo produttivo, che inizia con 130 cave, man mano che scende lungo la filiera della lavorazione diventa più articolato; in ciascuna delle fasi del ciclo di trasformazione operano decine e decine di imprese spesso specializzate in una o in poche operazioni.
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In pratica il disegno organizzativo presenta una diffusa divisione del lavoro tra imprese focalizzate su specifiche attività. Il segmento delle lastre troviamo la segagione, la lucidatura–levigatura (accentua la lucidità), la fiammatura (usata per le pavimentazioni esterne perché combina un particolare effetto decorativo con l’effetto antisdrucciolo ottenuto tramite uno shock termico), la bocciardatura (conferisce il caratteristico aspetto di superficie scolpita), la sabbiatura (ottenuta con un getto di acqua mista a sabbia) o la spazzolatura (conferisce alla superficie l’aspetto di usato, antico). Scendendo ancora più a valle lungo la filiera, troviamo la folta schiera di laboratori artigianali e artistici, più o meno grandi, dove si usano sia attrezzi tradizionali come scalpelli, mazzuoli, ruspette, subbie e pantografi, che frese elettriche e macchine a controllo numerico, fino ai più recenti scanner e agli infaticabili robot. Ancora più numeroso il gruppo di operatori che, spesso con un semplice ufficio e un deposito, acquistano e in parte fanno lavorare materiali lapidei, prevalentemente locali ma non solo, che promuovono nella giusta cornice e commercializzano sui mercati nazionali e internazionali. Allargando progressivamente il raggio di questa rapida ricostruzione, i circuiti azionati dalla filiera lapidea lambiscono numerosi servizi ausiliari: trasporti terrestri e marittimi, assistenza meccanica, geologi, direttori di cava, architetti, laboratori di analisi, agenzie di marketing, gestori di eventi fieristici, consorzi e associazioni di categoria, scuole e accademie, liberi professionisti, società di catering, agenti di commercio, guide turistiche e ristoratori. Anche le Amministrazioni Comunali, il Servizio Prevenzione e Sicurezza delle Aziende Sanitarie e l’Arpat si sono organizzate con funzionari specializzati dai quali i colleghi del resto d’Italia (e non solo) mutuano soluzioni e parametri operativi per controllare le attività nelle cave. Questa grande “fabbrica diffusa del marmo” e le numerose attività che gli gravitano attorno costituiscono, appunto, il distretto lapideo di Carrara; un sistema molto articolato che, al dono naturale dei giacimenti marmorei della Apuane, aggiunge un bagaglio di conoscenze e di professionalità che la storia secolare ha sedimentato negli abitanti di questo lembo di terra a confine tra Toscana, Liguria e Emilia.
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Nel distretto i segreti del marmo, della stabilità delle cave e del verso da dare al taglio della bancate si imparano rapidamente. Alla base delle operazioni coordinate dal direttore di cava o dal preposto c’è un saper fare diffuso che gli operatori hanno appreso più dalla pratica sul campo, nel rapporto “maestro-allievo”, che dai manuali tecnico-scientifico e di cui non sempre riescono a esporre compiutamente le basi geologiche, di fisica o meccanica. In questo saper fare rientra la intrigante capacità di intuire le caratteristiche interne di un blocco di pietra dal solo esame visivo delle superfici esterne. Protagonista del distretto di Carrara è una comunità di persone che presenta un sistema di valori e un carattere originali. Il mondo delle pietre, duro per natura, con rischi sempre in agguato, costante oggetto di aspre polemiche e condizionato dall’alternarsi di cicli di sviluppo e di crisi, ha forgiato una etica collettiva del lavoro fatta di regole interiorizzate per adattarsi a processi produttivi che presentano una elevata varianza. L’organizzazione del lavoro, infatti, non è omologabile con la serialità, la standardizzazione e la riproducibilità della maggior parte dei processi che si sono imposti con la rivoluzione industriale: i prodotti di ogni lente geologica o porzione di cava variano continuamente, così come sono imprevedibili le quantità e le caratteristiche dei blocchi che si possono estrarre da ogni piano di coltivazione o da una nuova bancata. Una parte non secondaria del fascino del marmo sta anche nel fatto che ogni prodotto (lastra, pavimento, colonna, camino, ecc …) è praticamente unico. Logiche molto diverse governano il settore della ceramica dove, per esempio, di un dato pavimento di gres porcellanato si possono ordinare a distanza di anni mattonelle dello stesso colore, cosa non sempre possibile per la maggior parte dei marmi. L’economia del marmo costituisce uno dei pilastri portanti della vita della comunità che vive in questo territorio. Quanto importante? Con la dematerializzazione dei processi produttivi, la divisione del lavoro tra reti di piccole organizzazioni e professionisti specializzati, oltre alla crescente interdipendenza che tiene insieme tutto questo, hanno perso di significato le ricostruzioni basate sul semplice numero di addetti o di imprese che le classificazioni censuarie (ATECO) dell’Istituto Nazionale di Statistica assegnano a settori merceologici i cui confini sono sempre più elastici e indefiniti. Per rispondere alla domanda si farebbe certamente prima a prefigurare, per successive sottrazioni, cosa succederebbe se, nella Toscana nord occidentale, improvvisamente venisse a mancare il volano oggi azionato dall’economica del marmo. In ogni caso, non è affatto azzardato pensare che da questa dipendano, direttamente e indirettamente, i redditi di una famiglia su cinque.
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Lavorare liberi La ricorrenza di cinquant’anni di vita dalla fondazione del soggetto economico e imprenditoriale “Cooperativa Condomini Lavoratori Beni Sociali di Levigliani” che opera sul Monte Corchia su più siti estrattivi, permette alla frazione ed a tutto il comparto lapideo di Stazzema un primato che si è consolidato e stabilizzato in questi anni. Il carattere tecnologico, lo sfruttamento oculato della risorsa ed anche il coraggio di affrontare il rapporto con gli altri enti istituzionali preposti (Parco regionale delle Alpi Apuane e Regione Toscana) garantiscono la sostenibilità ambientale ed estrattiva in un ambito il cui delicato equilibrio deve assolutamente confrontarsi con la presenza di una delle bellezze naturalistiche più belle d’Europa, vettore di sviluppo turistico ed economico altrettanto importante per tutta la realtà montana. Va riconosciuto a Levigliani e ai leviglianesi, pur nel loro caratteristico atteggiamento fiero e rigoroso, un’energia che è comunque comune a tutti gli abitanti della montagna che quando percorrono una strada sanno dove vogliono arrivare e offrono pertanto con estrema decisione il loro contributo in termini di partecipazione e corresponsabilità nelle scelte. M. Silicani, Sindaco di Stazzema, 2006 La Cooperativa fra i Condomini di Levigliani è un’azienda che crea reddito e lavoro, contribuisce alle entrate fiscali nazionali come ogni altra tipologia di impresa, ma in più partecipa direttamente allo sviluppo locale, valorizzando le risorse territoriali e creando posti di lavoro. Questo modello argina la concentrazione del potere economico in poche mani e la ‘delocalizzazione’ dei vertici dell’impresa. Esattamente all’opposto delle logiche di quelle forme di globalizzazione che sfruttano le risorse senza preoccuparsi del futuro, le imprese cooperative fondono impresa e socialità. Le cooperative rappresentano un punto di forza del nostro sistema produttivo: il modello economico della cooperazione esalta la peculiarità delle nostre produzioni e si basa su uno strettissimo legame con le comunità locali. La Cooperativa Fra i Condomini di Levigliani, con la sua storia oramai cinquantennale, è un esempio tangibile di quei valori che accomunano tutte le cooperative profondamente legate al territorio: un profondo valore morale che parte dall’idea di un’assunzione comune di responsabilità ed offre un punto di riferimento anche etico al mondo economico. Mi auspico, per il bene della comunità di Stazzema e per tutta la Toscana, che la cooperativa possa raggiungere ulteriori importanti traguardi. C. Martini, Presidente della Regione Toscana, 2006
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Tra estrazione, trasformazione, riutilizzo sottoprodotti e commercializzazione di marmi e altre pietre nel distretto Apuo Versiliese operano 1300 imprese con oltre 8000 addetti diretti; se aggiungiamo le numerose attività che vendono attrezzature e mezzi di trasporto e prestano servizi alle aziende lapidee (autotrasportatori, rappresentanti, geologi, fiere, scuole professionali, associazioni, ...) il numero di occupati della “economia diffusa del marmo” supera quota 12000; infine, se includiamo anche l’occupazione generata dalle risorse da questa mobilitate (oneri corrisposti agli enti locali, circuiti di consumi e di attività messi in moto con fiere, eventi, ecc..) ci si avvicina a quota 20000 unità di lavoro, qualcosa meno del 20% del totale degli occupati, quota stabile da diversi anni. C’è di più. Il peso specifico del marmo, con il suo corredo di primati più o meno pregnanti, si spinge oltre il confine della sfera economica. Il marmo, esaminato dai suoi molteplici angoli visuali, è il tema che più di tutti ricorre nelle arene pubbliche locali, sempre al centro di aspre polemiche amplificate puntualmente nelle cronache locali e nei social. I commenti su squadra di calcio, infrastrutture stradali, bilanci comunali, tassi di disoccupazione, vocazioni territoriali, arredo urbano, relazioni sindacali e sicurezza del territorio: tutto quello che succede e di cui si parla nel distretto collassa inevitabilmente, nel bene e nel male, intorno al marmo, alla distribuzione della ricchezza generata dalle cave e al quadro normativo che ne regola l’attività, soprattutto sotto il profilo ambientale. Il lavoro nelle cave, con la sua carica simbolica, condiziona il vissuto locale che si specchia nella sfida titanica tra l’uomo e la natura, nel carico di responsabilità infra-generazionale per l’uso di risorse non rinnovabili e nelle fonti di orgoglio per le opere artistiche e architettoniche realizzate in tutto il mondo con i marmi bianchi delle Alpi Apuane. Sotto questo punto di vista, il microcosmo Carrara racchiude una originale alchimia sociale costituita da elementi non misurabili. Il fattore che più identifica dentro e fuori dal distretto la vita locale è la lavorazione del marmo, con la continua contaminazione tra la cultura “bassa” della pratica produttiva maturata sul campo e quella “alta” della tecnologia e della scienza. Questa atmosfera industriale, suggestiva metafora coniata da un attento osservatore della geografia industriale inglese e tedesca tra fine Ottocento e inizi Novecento, avvolge la vita nel distretto.
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L’atmosfera industriale La posizione di primo piano in una produzione industriale che un distretto acquista dall’“atmosfera” industriale … ha mostrato più vitalità di quanto poteva sembrare probabile … La spiegazione va forse cercata nel fatto che un centro affermato e specializzato in una particolare attività, se non è dominato da associazioni di categoria o da sindacati che perseguono politiche restrittive, di norma è in condizione di applicare vantaggiosamente tutte le innovazioni che interessano la sua attività; bene ricordare che un uomo, generalmente, si può facilmente trasferire da una macchina ad un’altra, ma che la lavorazione manuale di una materia prima spesso richiede una accurata abilità, e questa non può essere facilmente acquisita in età avanzata dal momento che costituisce una caratteristica di una particolare “atmosfera industriale”. A. Marshall, Industry and Trade MacMillan, 1919
Tutta le produzioni Made in Carrara, dai rivestimenti per i palazzi alle opere d’arte che vanno ad impreziosire chiese, musei e parchi pubblici, non sono semplice massa rocciosa strappata alle Alpi Apuane ma il frutto di questo specifico patrimonio di conoscenze di cui gli abitanti del distretto, come ci ricorda il “Progetto Carrara” per i lavori della diga di Assuan, sono riconosciuti grandi custodi e che si rivelerà di nuovo prezioso, per esempio, per riparare le distruzioni del patrimonio di siti come Palmira o del Museo di Mosul.
I carraresi nella valle del Nilo Abu Simbel sul Nilo, “la frontiera delle frontiere” secondo gli antichi, è un sito archeologico rupestre (arenaria) dell’Egitto Meridionale, circa 280 km a sud di Assuan. Il complesso è composto da due grandi templi scavati sul fianco di una montagna per volere del faraone Ramses II (circa 2500 a.C.). I templi di Abu Simbel, tra i più importanti monumenti della terra, rimasero sconosciuti fino al 1812 quando vennero individuati dall’esploratore svizzero Johann Ludwig Burckhardt. Nel 1960 il presidente egiziano Nasser fece iniziare i lavori della gigantesca diga di Assuan, un enorme lago artificiale lungo 2500 km i n grado di irrigare una zona fino a quel momento arida. Un progetto importante che rischiava di cancellare una delle più prestigiose testimonianze della antica civiltà dei faraoni.
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Il piano dei lavori prevedeva di sezionare i templi in blocchi e di risistemarli 65 metri più in alto rispetto al luogo originario, I lavori durarono 5 anni e finirono nel 1968. 2000 uomini, 40 milioni di ore lavorate, 150 tecnici da tutto il mondo, uno sforzo tecnologico senza precedenti nella storia dell’ingegneria. La maggior parte dei lavori doveva essere fatta senza l’aiuto di esplosivi per non mettere in pericolo i templi… …personaggi di Carrara, quei cavatori di marmi che da millenni adottano le stesse tecniche che sono servite alla salvaguardia dei templi di Abu Simbel. Gli scultori Carlo “Pipa” Andrei (che fu anche primo sindaco di Carrara dopo la II guerra) e Nardo Dunchi, l’impresario Osvaldo Giannetti e il fotografo Ilario Bessi e diversi esperti di cave fecero la spola tra Carrara e la Bassa Nubia; scopo: recare con la loro tecnica magistrale un concreto ausilio al salvataggio dei templi egiziani. I nostri presentarono un piano di lavoro, “Progetto Carrara”, fondato sul taglio del sito archeologico in anti blocchi per poi ricostruirlo in sicurezza. V. Prayer, Agorà (2009) Fonti: Abu Simble. Il salvataggio dei tempi: l’uomo, la tecnologia. Cciaa Roma, 2009
Qui si tramandano gli antichi mestieri dello scalpellino, dell’ornatista e dello sbozzatore. Qui, di generazione in generazione, si trasmettono i segreti delle pietre, con le loro proprietà, il “verso e il contro”, gli impieghi più adatti del marmo di ogni singola cava, un bagaglio di nozioni che i suoi abitanti apprendono negli ambienti familiari prima ancora che sui banchi di scuola o nei luoghi di lavoro.
Il verso e il contro Per spaccare il marmo devi capire quale è la linea giusta, il suo verso. Se la segui, tagliarlo è facile. Se invece pensi di tagliarlo diciamo al contrario, se vai contro il verso, non ci riesci. M. Rovelli, Il contro in testa. Gente di marmo e d’anarchia. Laterza, 2012
Insieme ai giacimenti marmiferi, le molle che tengono in tensione la competitività delle imprese del distretto Apuo Versiliese, come degli altri sistemi produttivi locali, sono riconducibili alle economie di agglomerazione ben note agli studi di geografia economica: la concentrazione in
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area ristretta di tante attività complementari, la mobilità dei lavoratori che spostandosi da un’azienda all’altra portano con sé i loro know how, la carica di adrenalina messa in circolazione dalla pressione tra imprese in stretta concorrenza e che stimola i processi di innovazione. Vi incidono anche a fattori di psicologia sociale; la fiducia, la conoscenza reciproca e la familiarità tra operatori riducono i costi del coordinamento delle attività economiche, grazie a questo, nei piazzali delle cave i contratti sono perfezionati con la semplice stretta di mano. L’interdipendenza propria di una piccola comunità impegnata in uno stesso settore favorisce la conoscenza (a volte grazie anche ai vincoli di parentela) e tutto si trasforma in un efficace lubrificante per gli affari. Anche se la vita interna del distretto appare condizionata dalle contrapposizioni campanilistiche tra Carrara e Massa, e tra queste e la Versilia (dopo tutto siamo in una terra di tradizioni anarchiche!), quando occorre la comunità locale sa trovare la coesione necessaria per affrontare le sfide esterne più impegnative. Così è stato 150 anni fa per la ferrovia marmifera tra il porto Marina e le cave; così è stato per il padiglione fieristico costruito negli anni Settanta a Marina di Carrara. Il caso più recente si è avuto per la Strada dei marmi, opera quasi proibitiva per una piccola comunità come quella di Carrara che l’ha realizzata con pochissimi aiuti esterni.
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Altri fattori di competitività del distretto sono la straordinaria immagine dei marmi bianchi di Carrara e la fitta maglia di relazioni commerciali intessuta con il resto del mondo; anche l’accesso diretto al porto di Marina di Carrara, i raccordi ferroviari e la dorsale autostradale, infine, concorrono a creare un contesto logistico favorevole alle attività lapidee. Il recente ingresso dell’automazione e dell’elettronica in un settore “duro” come quello delle pietre sta modificando l’organizzazione e il ciclo di lavorazione del distretto nel senso di trasferire varie funzioni dall’uomo alle macchine e ai potenti mezzi meccanici. L’incremento dei nuovi profili professionali che servono per padroneggiare le innovazioni tecnologiche, tuttavia, non ha scalzato quelli tradizionali, ancora molto ascoltati per la profonda conoscenza delle pietre e delle cave.
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Le regole
Regione Toscana, Piano paesaggistico (LR. 65/2014)
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Capitolo 5
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ra consuetudini, editti e regolamenti. Le attività di cava, per loro natura, implicano un compromesso tra esigenze di carattere sociale, economico ed ambientale. Il settore escavazione, infatti, oltre ad avere sovente relazioni tese con molti stakeholder, si trova al centro di una matassa di problemi: diritti proprietari, sfruttamento responsabile di risorse esauribili, mitigazione e compensazioni dell’impatto ambientale, rispetto delle norme e sicurezza. Nello stesso tempo costituisce un ingranaggio insostituibile per l’approvvigionamento delle materie prime e si deve confrontare a viso aperto con la concorrenza dei mercati globali. Le regole sono lo strumento cardine con il quale si è cercato e si cerca di stabilire un punto di equilibrio fra esigenze in parte divergenti come queste. Nel corso della storia le istituzioni hanno adottato, per questo settore, un gran numero di disposizioni che riguardano divieti, vincoli, valorizzazione e ricerca dei giacimenti, sistemi di tassazione e di controllo. Di pari passo con l’evoluzione sociale economica del nostro Paese sono state adottate soluzioni progressivamente più stringenti per contemperare la disponibilità delle pietre e degli altri prodotti richiesti dai mercati con una serie di obbiettivi la cui rilevanza è mutata nel tempo, dalla massimizzazione delle gabelle sui prodotti delle cave alla più recente attenzione per le problematiche di ordine paesaggistico ed ambientale. Ancora più profondi sono stati i cambiamenti nella composizione dei gruppi di interesse che, di volta in volta, hanno sollecitato l’adozione delle nuove normative: prima, la declinazione gerarchica dei diritti assoluti imperiali e le pressioni su loro esercitate dai diretti interessati, proprietari terrieri o singoli operatori di cava; poi le istanze delle comunità organizzate tramite i propri rappresentanti, seguite dalle pratiche concertative tra istituzione e portatori di interessi collettivi organizzati in associazioni di imprese e sindacati. Nei tempi più recenti è molto aumentata l’influenza di gruppi, comitati e movimenti di opinione. Il problema che più ha impegnato le istituzioni e la giurisprudenza riguarda la proprietà delle risorse del sottosuolo; per secoli queste sono state nella piena disponibilità di imperatori, vescovi, signori, conti, ecc… che le sfruttavano direttamente ma, più spesso, le concedevano ad imprenditori in cambio di corrispettivi. Con la disgregazione del sistema feudale, la proprietà dei giacimenti di cava in alcuni casi è stata assegnata alla collettività (usi civici, comuni); in altri, a singoli privati che a vario titolo avevano acquisito il possesso delle aree dove le pietre venivano estratte. La privatizzazione delle cave spesso ha favorito gli investimenti e lo sviluppo delle attività estrattive: lo stesso diritto, tuttavia, è stato usato anche per ricavarne rendite imposte sugli operatori che gestivano materialmente la cava.
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Si è già osservato come ai tempi dell’Impero romano il settore estrattivo (e non solo questo, in verità) fosse soggetto a tassazione e sottoposto ad una fitta maglia di divieti e di barriere protezionistiche. In molte costruzioni pubbliche, per esempio, è stato prescritto l’impiego di materiali di determinate aree o di singole cave; per molto tempo anche il trasporto marittimo e le operazioni di sbarco dei marmi sono state appannaggio esclusivo di gruppi di operatori.
Regole e poteri reali Gli imperatori intervennero in più occasioni per regolare l’attività di estrazione e anche il commercio dei marmi. Costantino nel 320 lasciò libertà di segare e vendere il marmo. Giuliano nel 363 sancì la libertà di lavorare le cave. Nel Codice Teodiosano si ha un riscontro dell’importanza che veniva attribuita alle cave di marmo, mentre con la Costituzione .. nel 382 viene riconosciuto all’escavatore il diritto di scavare “saxorum venam per privatorum loca” col solo obbligo di corrispondere al Fisco e al proprietario del suolo la decima del prodotto. Con la Costituzione dei 393 indirizzata a Ruffino, prefetto pretorio nell’Oriente, si vietava l’escavazione del marmo da parte dei privati nei loro fondi, pena la confisca del materiale estratto, ciò a tutela delle cave “fiscali”… F. Marchetti, Le cave di Carrara Acrobat media edizioni, Carrara, 2010
La storia delle cave di Carrara offre un ricco bouquet di norme, regolamenti e consuetudini. Uno degli atti più datati di cui conserviamo la documentazione riguarda l’istituzione, nel 1564, dell’Offitium marmoris, un ente al quale i gestori delle cave dovevano obbligatoriamente conferire i propri marmi affinché ne curasse la commercializzazione. A parte alcune parentesi, il periodo dal XVI al XIX secolo è stato segnato da una costante espansione delle attività estrattive nei bacini apuani e i vari regnanti hanno assecondato le insistenti pressioni dei diversi portatori di interessi per elevare tutele, ottenere facilitazioni o incentivare le produzione delle cave. Nel 1751 Maria Teresa Cybo Malaspina, Duchessa di Massa e Principessa di Carrara, emanò un editto (attualmente oggetto di una complessa controversia legale) che segnò la transizione da un sistema normativo prevalentemente consuetudinario ad un ordinamento giuridico formale.
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L’editto è solo una delle prime tessere di un complesso mosaico normativo il cui cantiere, da allora, non si è mai fermato: sempre di questo periodo si possono ricordare il decreto napoleonico sulle miniere (1808), l’editto di Felice I, Principe di Lucca (1812), seguito poco dopo da due editti di Maria Beatrice d’Este (1815), le varie “notifiche” del Governatore degli Stati di Massa e Carrara (1823, 1843, 1846) e uno specifico provvedimento del Ministero dell’Interno (1850).
Leggi estensi e notifiche governative Sussiste libertà di ricerca da parte di chiunque, da esercitare però “con la giusta moderazione e ed in luogo in cui non possa dar pregiudizio ad altri” (Editto 1751); il canone è determinato dai periti del Comune, ed è proporzionato al “reddito del terreno che si allivella, e non al prodotto che può ricavarsene escavando ne i marmi, giacché troppo incerto e soggetto ad eventualità”; il tentativo deve essere marcato e denunciato al Comune, per acquisire precedenza su altri eventuali soggetti; il concessionario è tenuto al pagamento di un “laudemio di entratura”; l’amministrazione può caducare il livello (con perdita di tutti i lavori in corso nella cava) se la cava è inoperosa per due anni consecutivi (Notifica Governativa 1846). A. Andronio, La questione degli agri marmiferi dei Comuni di Massa e Carrara Gazzetta Ambiente, 1996
L’attenzione delle istituzioni non rimase confinata alle sole Alpi Apuane. Tra il Settecento e l’Ottocento tutto il settore estrattivo della Toscana, regione ricca di giacimenti di materie prime, fu protagonista di una forte crescita sostenuta anche da capitali e professionalità che provenivano da Paesi esteri; alla vigilia della Prima Guerra Mondiale il profilo industriale di questa regione si rispecchiava ancora più nelle attività minerarie che in quelle strettamente manifatturiere.
Bacini marmiferi di Carrara
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Palazzo Giustizia, Ulm | Particolare
Per incentivare lo sfruttamento delle materie prime, Pietro Leopoldo (1747–1792; Granduca di Toscana dal 1765 al 1790) stabilì, con “motu proprio” del 1788, che la proprietà delle risorse del sottosuolo fosse attribuita al titolare delle relative superfici fondiarie. Questo provvedimento fu al centro di aspri confronti anche all’interno della prestigiosa Accademia dei Georgofili. Qui si scontrarono, su un tema peraltro sempre attuale e oggetto di studi, due diverse visioni dell’economia dei giacimenti naturali. La prima, più attenta agli effetti patrimoniali, riteneva che il riconoscimento della proprietà delle risorse del sotto suolo al titolare della superficie avrebbe creato posizioni di rendita per cui sarebbe stato preferibile un sistema di proprietà pubblica (in questo caso del Granduca) per poi assegnare cave e miniere agli operatori tramite apposite concessioni onerose. L’altra, più propensa a mobilitare energie e a promuovere iniziative imprenditoriali, riteneva invece che la pienezza proprietaria di terreni e sottosuolo avrebbe incentivato gli investimenti e la valorizzazione di risorse che, altrimenti, sarebbero rimaste inutilizzate.
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Le cave ai tempi di Pietro Leopoldo La vecchia legislazione medicea che regolamentò la ricerca e l’estrazione di minerali nel Granducato si era venuta precisando verso la fine del XV secolo. .. intorno al 1785 però, di fronte all’estensione che avevano assunto le ricerche minerarie e alla crescente richiesta di materie prime nel commercio internazionale, incominciò a prendere seria consistenza il disegno dei proprietari terrieri di ottenere una legge assai più favorevole di quella in vigore. Una legge che si presentava come elemento di liberalizzazione e di progresso. Una lettera scritta da Giulio Piombati all’Avvocato regio nella quale dopo aver comunicato che era stato incaricato di predisporre con l’Auditore delle Regalie uno schema di motu proprio sullo sfruttamento del sottosuolo illustrava le linee alle quali avrebbe dovuto ispirarsi; egli riteneva che fosse da proporsi l’abolizione del diritto di regalia ma limitatamente ai marmi.. (“regalia”, ovvero proprietà del sovrano il quale, dietro richiesta dell’interessato , rilasciava una concessione per l’escavazione -ndr). Appare da ciò evidente come il primo intendimento di Petro Leopoldo fosse quello di concedere una liberalizzazione assai limitata; infatti in una legge impostata secondo i criteri espressi dal Piombanti sarebbe stata chiaramente respinta la posizione di principio, di decisivo interesse per la proprietà terriera, secondo la quale il concetto della proprietà usque ad infera del superficiario avrebbe dovuto esser posto alla base della nuova legislazione mineraria del Granducato. Ma nel febbraio 1788 l’Avvocato regio e l’Auditore delle Regalie dovettero rivedere il loro operato in maniera radicale, e il 13 maggio 1788 veniva reso esecutivo nel Gran Ducato di Toscana il principio dell’unità di proprietà fra superficie e sottosuolo. Il principio della proprietà usque ad infera del proprietario superficiario scatenò una violenta reazione da parte del nucleo dirigente dei cattolico-liberali. Si costituì presso l’Accademia dei Georgofili una commissione composta da Bettino Ricasoli, Napoleone Pino e Celso Marzucchi con l’incarico di esprimere un motivato parere. La Commissione respinse ogni rilievo critico alla legge del 1788. G. Mori, L’estrazione dei minerali nel Granducato di Toscana durante il periodo delle riforme (17371790)
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La regolazione di miniere, torbiere e cave fu uno dei primi provvedimenti adottati nel 1861 dal nuovo Stato Unitario con una legge che attingeva copiosamente da un precedente testo legislativo del Piemonte. Da allora, sempre per il ruolo strategico che le attività estrattive ricoprivano nella economia di quel periodo, Governo e Ministero dell’Industria se ne sono occupati con provvedimenti che hanno riguardato i corpi ispettivi, i requisiti tecnici dei piani di escavazione, la ricerca dei giacimenti e il rilascio delle autorizzazioni. Nel 1899, periodo di aspre battaglie tra i primi movimenti sindacali e le associazioni delle imprese, venne varato anche un regolamento per la prevenzione degli infortuni nel settore che fissava una serie di norme specifiche per le cave di marmo delle Alpi Apuane. Le revisioni e le integrazioni normative sono continuate fino a quando, nel 1927, fu varata una riorganizzazione generale di tutta la materia con un Regio Decreto Legislativo (D.L. 1443, Norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione nel Regno) che, nel clima di autarchia del periodo, tra i vari obbiettivi si proponeva di accrescere la capacità di sfruttare le nostre limitate risorse naturali. A parte quanto disposto in materia di diritti proprietari, i capisaldi della nuova legge sono praticamente gli stessi adottati in tutti i Paesi occidentali. Vennero così disciplinati in una cornice organica la prospezione, il regime concessorio e le procedure amministrative. Fu stabilito un doppio binario per le miniere, le cui risorse erano di proprietà demaniale, e le cave, dove queste invece rientravano nella disponibilità del proprietario del suolo.
Motu proprio di Pietro Leopoldo
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Nello stesso tempo, furono rafforzate le funzioni amministrative e di controllo affidate al Ministero dell’Industria ed esercitate tramite il Corpo provinciale degli ingegneri minerari. Ai soli Comuni di Carrara e di Massa, infine, la legge riconosceva una speciale autonomia regolamentare, questo anche per l’influenza del carrarese Renato Ricci (1896-1956), in quel periodo Presidente dell’Opera Nazionale Balilla e responsabile del Consorzio per l’industria e il commercio del marmo tra le cave locali. La legge miniere e cave non subirà sostanziali modifiche nel dopoguerra e in tutto il periodo del boom economico. Lo scenario muta radicalmente nel 1977 (e poi ancora nel 2001) con il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia di cave e torbiere. Più o meno nello stesso periodo molti siti estrattivi di pietre ornamentali furono inseriti all’interno delle aree protette, come è successo nel 1985 con il Parco naturale regionale delle Alpi Apuane. Poco dopo viene istituito (1986) il Ministero dell’Ambiente e le Regioni, più vicine al territorio, usarono le potestà normative a loro trasferite con provvedimenti che riservavano maggiori attenzioni ai temi di ordine ambientale. L’esercizio delle attività estrattive fu sottoposto ad un blocco più corposo di autorizzazioni, controlli e garanzie. In queste nuove regole confluirono anche i recepimenti delle nuove Direttive comunitarie, in particolare in materia di Valutazione d’Impatto Ambientale (CE 1985/377) e di gestione dei rifiuti delle industrie estrattive (CE 2006/21); lo stesso è stato fatto per armonizzare le leggi regionali con il Codice ambientale del 2006. L’attivismo delle Regioni in materia di cave può essere ricostruito prendendo l’esempio della Toscana. Il Consiglio Regionale adotta una prima legge in materia di cave nel 1980 (LR n. 36/80; Disciplina transitoria per la coltivazione di cave e torbiere). Il testo sarà modificato, integrato o aggiornato ogni due anni fino alla adozione, nel 1998, della nuova legge sulle cave (LR n. 78/98). L’impostazione, praticamente la stessa per tutte le regioni, riprende l’impianto funzionale e pragmatico del Decreto Regio del 1927. Si ampia, tuttavia, il perimetro dell’intervento pubblico e dei controlli; il procedimento amministrativo che autorizza l’escavazione diventa più articolato e si sposta verso i Comuni; si opera una netta distinzione tra materiali “da taglio” e “inerti”; il controllo sulle cave, dal Corpo degli ingegneri minerari, passa ai funzionari del Servizio prevenzione sicurezza delle ASL; si codifica il principio che le spese correnti e gli investimenti riconducibili a opere pubbliche, manutenzioni e risistemazioni ambientali connesse all’esercizio delle attività estrattive, si finanziano con un apposito contributo “di escavazione” il cui importo è calcolato sul valore dei materiali estratti.
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La documentazione per l’autorizzazione delle cave Art. 16: L’esercizio dell’attività estrattiva è subordinato ad autorizzazione del comune in conformità con le previsioni dello strumento della pianificazione territoriale e urbanistica comunale Art. 17: La domanda di autorizzazione è corredata da un progetto costituito dai seguenti elaborati: • analisi delle caratteristiche geologiche, geotecniche, geomorfologiche, geominerarie, idrogeologiche, vegetazionali, di stabilità e sicurezza del sito e paesaggistiche; • relazione tecnica illustrativa in cui si evidenziano i contenuti progettuali anche in relazione alla destinazione urbanistica.. con particolare riferimento alle risorse naturali e paesaggistiche, nonché i criteri adottati per il loro rispetto e le misure di tutela sanitaria e ambientali previste; • progetto di coltivazione di cui costituiscono contenuti essenziali: - la descrizione dell’area di intervento; - il metodo di coltivazione adottato; - tipologie e quantitativi di materiali da estrarre; - progetto di risistemazione per la definitiva messa in sicurezza ed il rinserimento ambientale dell’area; - piano di gestione dei rifiuti di estrazione; - piano di gestione delle acque meteoriche dilavanti; - progetto opere di urbanizzazione primaria. Art. 19: nel caso di autorizzazioni soggette a V.I.A., i lavori della conferenza di servizio restano sospesi … Art. 25: il titolare dell’autorizzazione è tenuto a fornire al comune ogni informazione ..; ed ha l’obbligo di presentare annualmente la documentazione relativa all’effettivo stato dei lavori di escavazione. Art. 27 Per l’estrazione .. il titolare dell’autorizzazione versa al comune un contributo rapportato alla quantità e alla qualità dei materiali estratti. Regione Toscana, Disposizioni in materia di cave LR 25 marzo 2015, n. 35
Di pari passo aumentano gli atti di programmazione delegati ai vari enti locali chiamati a predisporre piani di settore (in Toscana: Piani Provinciali delle Attività Estrattive) e specifici strumenti di pianificazione del territorio, come i Piani attuativi del contrastato Piano di indirizzo territoriale con valenza di Piano Paesaggistico della Regione Toscana (D.R. n. 37, 25 marzo 2015 ex L.R. n. 65 2014: Norme per il governo del territorio) che introduce ulteriori
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disposizioni ed istituisce una apposita commissione per valutare la compatibilità paesaggistica delle attività di cava. Come i salmi, tutti i nuovi provvedimenti iniziano sistematicamente con le declaratorie sulla semplificazione e la riduzione degli oneri amministrativi ma, di fatto, la quantità dei documenti da allegare alle domande aumenta ogni volta a dismisura. Con tutte queste norme, in parte contraddittorie, il settore estrattivo si può ritenere in assoluto uno dei più soggetti a disposizioni regolamentari e amministrative. Nel caso dei comuni di Carrara e Massa, forti della deroga a loro riconosciuta espressamente nella legge del ’27, il quadro è ancora più ingarbugliato. L’attività estrattiva nel Comune di Carrara è stata a lungo soggetta al pagamento di una tassa introdotta nel lontano 1911. Su questa base, complesse liturgie concertative tra Comune e associazioni di categoria hanno infiammato periodicamente il confronto pubblico locale sulla gestione delle cave. Dal 1950 il sistema impositivo su blocchi, lastre e prodotti lavorati, è stato modificato in qualcuna delle sue parti anche questo mediamente ogni tre anni. Nel 1999 è intervenuto il Parlamento che, con un emendamento nella legge finanziaria, ha riconosciuto al Comune di Carrara la possibilità di tassare i sottoprodotti della escavazione delle cave; lo stesso giorno, il Consiglio Comunale di Carrara ha approvato il Regolamento degli Agri marmiferi. Solo pochi anni, settembre 2004, e la Corte di Giustizia Europea dichiara non conforme ai trattati la tassa marmi. Comune e Regione Toscana corrono ai ripari con una serie di norme che, se da un lato sanano i vizi pregressi, dall’altro creano i presupposti per la lievitazione degli oneri sul marmo il cui gettito, in soli otto anni, su un valore della produzione in cave stimato in circa 200 milioni di €, è balzato da 6 a 20 milioni di € (26 quelli previsti per il 2016!) in pratica dal 3 al 10% (15%). Nel 2015, incalzato dalla forte pressione di media, blog e gruppi di opinione, il Consiglio Regionale Toscano riapre per la terza volta in venticinque anni il faldone “cave e torbiere” e vara una nuova legge (LR 35/2015) che, oltre a rafforzare le funzioni di controllo sul settore, interviene su materie ritenute generalmente di competenza esclusiva nazionale come i diritti proprietari ma, soprattutto, consente ai comuni dei bacini marmiferi apuani di imporre contributi di escavazione e vincoli che, di fatto, ricreano le barriere doganali localistiche dei vecchi Principati spazzati via dallo Stato Unitario.
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L’uso maldestro della delega in materia di cave Resta particolarmente incomprensibile il pasticcio della tassazione dei residui della lavorazione delle pietre da taglio che i comuni (che di fatto sono solo quelli delle Alpi Apuane) possono stabilire entro il limite massimo di a 4,20 € a ton. Gli stessi prodotti, infatti, se ottenuti direttamente da scavi industriali o per inerti, sono tassati nel limite massimo del 10,50% del loro valore di mercato (che difficilmente supera i 15 € a ton, come emerge dai Prezzari delle Opere Edili e Impiantistiche curati da Cciaa Firenze). In pratica, lo stesso prodotto (e questo è esattamente quanto è successo negli ultimi anni) potrebbe essere tassato 0,20 € a ton se ottenuto in una cava di inerti e 4,20 € a ton se sottoprodotto di cava di materiali da taglio. Considerando che sono prodotti uguali che finiscono sullo stesso mercato, non si capisce perché tassare gli uni in % sul valore di mercato e gli altri in cifre assolute (€ a ton). In ogni caso, se i sottoprodotti dei materiali da taglio avessero effettivamente caratteristiche minerali, chimiche o fisiche diverse da quelli delle cave di inerti, il rispettivo valore di mercato potrebbe tranquillamente essere determinato dalla Giunta Regionale (in particolare dal Nucleo Valutazioni Cave) come prevede il primo comma dell’art. 27 per tutti gli inerti; su questo, si applicherà il 10,50% senza introdurre regimi particolari che creano mercati opachi o rendite a beneficio di un comune piuttosto che un altro. E non ha senso sostenere che la maggiore tassazione dei sottoprodotti dei materiali da taglio riflette un (presunto) differenziale di impatto ambientale o paesaggistico rispetto alle cave di inerti: questo criterio dovrebbe essere verificato caso per caso perché non si può escludere che le esternalità negative paesaggistiche o ambientali siano maggiori proprio nelle cave di inerti. In sostanza, non ci sono giustificazioni logiche, ambientali o economiche per questo doppio binario di tassazione tra materiali industriali, inerti e sottoprodotti di pietre da taglio. Associazione Industriali, Lega Coop, Cna, Confartigianato, Api, Osservazioni alla bozza (n.1 del 8/8/2014) della nuova legge sulle cave della Regione Toscana presentate al tavolo di concertazione Firenze, Ottobre 2014
La Toscana non è l’unica regione ad aver fatto un uso un po’ disinvolto delle potestà legislativa in materie di cave. Il bilancio di quaranta anni di provvedimenti regionali, spesso macchinosi, e in non pochi casi contraddittori, fa rimpiangere la precedente disciplina di impronta tecnico funzionale che faceva riferimento alle professionalità della direzione Miniere e Cave del Ministero dell’Industria e solleva perplessità sulla opportunità di devoluzione federalista di questa come di altre materie.
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Nel complesso, il rapporto tra cave e ambiente è stato affrontato dalle Regioni con divieti, limitazioni e restrizioni, ovvero lo si è regolato solo in negativo. A parità di altre condizioni, l’imposizione di standard e di oneri amministrativi sempre più elevati riduce l’estrazione complessiva senza criteri chiari ed espliciti. In questo modo si pongono sullo stesso piano tutte le cave attive in Italia, senza distinguere tra produzione di materiali ornamentali ed inerti, tra gestioni rispettose dell’ambiente e della sicurezza ed attività non regolamentate, tra sistemi produttivi sottoposti ad efficaci sistemi di controlli e cave che operano all’ombra della illegalità. Il settore estrattivo, come abbiamo già evidenziato, è tra i più soggetti a disposizioni regolamentari ed amministrative. I numerosi provvedimenti adottati sotto l’incalzante pressione di gruppi di opinione non sembrano, tuttavia, in grado di fornire risposte sensate per la gestione di un settore la cui filiera produttiva è universalmente riconosciuta ed apprezzata. Il marmo, come tutte le risorse naturali, è disponibile in quantità consistenti, ma pur sempre finite. Spesso ci si chiede per quanti anni giacimenti come quelli dei bacini apuani possono essere sfruttati, domanda a cui non è facile dare risposte nette. Nel 1934 ci hanno provato gli autori del lemma “marmo” per l’Enciclopedia Italiana Teccani.
Giacimenti di marmo per quanto tempo? .. la base (della grande formazione marmifera delle Apuane) è costituita dagli scisti permici, sopra i quali posano degli strati calcarei dolomitici .. chiamati localmente grezzoni e contenenti come fossili caratteristici specialmente Encrinus liliiformis e sopra essi ancora i banchi di marmo saccaroide bianco o colorato. L’estensione superficiale (di questa grande formazione marmifera) supera i 6000 ettari. Nelle sole valli di Carrara l’area occupata dalla massa principale raggiunge i 1000 ettari e, a un livello più alto, la lente degli statuarî rappresenta un’area di quasi 200 ettari. Tenendo conto dello spessore massimo di questa lente che supera i 250 m. e calcolando con deduzioni stratigrafiche a più di 1000 m. quello della lente principale, si può ritenere che la massa marmorea del Carrarese affiori per una superficie di circa 1000 ettari, con uno spessore massimo di 1300 m. Essa costituisce una massa imponente, in vicinanza del mare e con facilità di accesso, di marmo bianco di qualità pregevolissima superiore a tutte le altre del mondo per saldezza, docilità allo scalpello, possibilità di perfetta lucidatura e giusto sviluppo della grana. Ciò spiega come in ogni tempo la regione carrarese sia stato il centro principale dell’industria dei marmi e come tale primato possa esserle assicurato per qualche migliaio di anni con la produzione attuale. A. Scarzella, M. Piazza, A. Maraini, V. Fasolo, “Marmo” Enciclopedia Italiana Treccani (1934)
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Ancora più complicato ai fini dell’introduzione, da più parti auspicata, di tetti assoluti alle quantità che si possono estrarre ogni anno, è stabilire criteri sensati per allocare le quote della produzione tra materiali, regioni e singole cave. Queste difficoltà inducono a ritenere che il nodo del rapporto tra ambiente, risorse non riproducibili ed attività estrattive non si può proporre solo in termini di divieti e restrizioni. La sfida deve essere affrontata in positivo puntando su investimenti e innovazioni in grado di soddisfare le esigenze di tutela delle risorse naturali e, al tempo stesso, di attivare circuiti di sviluppo economico. Delle pietre e delle cave, infatti, abbiamo e avremo bisogno per le infrastrutture, le costruzioni, i sistemi di sicurezza e per le infinite applicazioni alla base della nostra vita materiale.
Cava marmo Covelano/Lasa (2200 m slm). Alpi Centrali, Parco Nazionale dello Stelvio
L’attenzione che tanti gruppi di opinione riservano al settore è una ulteriore fonte di pressione collettiva che si aggiunge alle voluminose disposizione normative e ai diffusi sistemi di controllo messi in atto dagli organi preposti. Esemplare, in questo senso, il caso della colonia di tritoni apuani che si è insediata in un lago artificiale all’interno di una cava temporaneamente dismessa situata nel Comune di Massa. La depressione che raccoglie le acque del lago si è formata in seguito ai lavori svolti per estrarre il marmo; senza questi non si sarebbe formato il lago che ha offerto agli anfibi un habitat propizio per la loro riproduzione. Nonostante le assicurazioni che non avrebbe messo a repentaglio la colonia di tritoni, la domanda di autorizzazione del gestore della cava per la ripresa dell’attività è stata respinta nel corso del relativo procedimento amministrativo da una Commissione tecnica del Comune di Massa e il diniego poco dopo è stato confermato dal Parco Alpi Apuane.
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Le norme e i divieti per difendere ambiente e biodiversità evidentemente non mancano ma, in questo caso, ha fatto molto clamore l’azione dei gruppi di opinione e delle associazioni ambientaliste che, della tutela dei tritoni, hanno fatto una bandiera.
Oasi per il tritone alpestre apuano in una cava di marmo Nel periodo in cui la Cava Valsora è rimasta inattiva (fino al 2010), grazie all’apporto di acqua meteorica e all’impermeabilizzazione del fondo causata dal depositarsi della marmettola, si è formato al suo interno un laghetto che è stato colonizzato da un ingente numero di individui di Ichthyosaura alpestris apuana (Tritone alpestre apuano). greenreport.it 22 Dicembre 2014
La sorgente non è a rischio e proteggeremo i tritoni “Nessuna interferenza con la sorgente di Renara, misure di salvaguardia della colonia dei tritoni alpestri apuani, recupero delle vie di lizza, nessun inquinamento ambientale..”; la Cava Valsora ha chiesto il rinnovo della Pronuncia di compatibilità ambientale del Parco delle Apuane per proseguire l’attività estrattiva.. la futura impostazione in galleria dell’escavazione, sostiene, comporterà un notevole contenimento dell’impatto paesaggistico; sono state progettate, inoltre, misure di salvaguardia per la colonia dei tritoni … La Nazione Massa, 22 Ottobre 2015
No di Parco e Comune La cava Valsora non può continuare la sua attività. Il 23 dicembre la commissione paesaggio del Comune di Massa ha espresso parere negativo alla proroga della Pronuncia di compatibilità ambientale (Pca) per il progetto di escavazione di Cava Valsora. Un veto decisivo che è arrivato nell’ambito della conferenza dei servizi convocata dal Parco delle Alpi Apuane .. «disattesi», fino a oggi, tutti gli accorgimenti necessari per «evitare qualsiasi contaminazione delle acque presenti nella vasca che attualmente accoglie la colonia di tritoni apuani». Qui infatti, quando la cava era chiusa, si è formata un’oasi dei rari tritoni apuani. Il Tirreno Massa Carrara, 2 Gennaio 2016
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Al di là del divieto, giusto o sbagliato non importa, resta il paradosso di una fragile colonia di tritoni neri apuani che, in qualche modo, si è acclimatata in un suggestivo scenario prodotto dai potenti mezzi meccanici di una cava di marmo.
Cava marmo Valsora, Parco delle Alpi Apuane, Massa
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Performance ambientale delle pietre
Padiglione Italia, Expo 2015. Studio Nemesi. Calcestruzzo foto-catalitico
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Capitolo 6
E
conomie a bassa emissione di CO2. Secondo il catasto Istat-Ispra, in Italia operano circa 4800 cave che, complessivamente, ogni anno asportano dalla crosta terrestre 210 milioni di tonnellate di materiali. In larga maggioranza sono dedite alla produzione di sabbie, ghiaie, argille, calcari ed altri materiali inerti. I marmi, i travertini, le arenarie, i graniti e le altre pietre “ornamentali” non arrivano al 10% del totale. Per tecnologie, apparati meccanici, organizzazione del lavoro, logiche operative e mercati, le cave di inerti e quelle di ornamentali sono molto diverse. Agli occhi di una parte della pubblica opinione, tuttavia, il settore si presenta avvolto da una unica cortina di ombre negative: inquina, esaurisce risorse, rovina l’ecosistema. Le attività di scavo alterano la morfologia dei luoghi, l’ambiente e il paesaggio ma questo, da solo, non giustifica giudizi sommari. Una parte non secondaria della diffidenza verso le cave rientra nella più generale avversione, radicata in settori della pubblica opinione, nei confronti di tutte le attività che riguardano l’uso del suolo: grandi infrastrutture, opere pubbliche, costruzioni edili, ecc... A questo sentiment generale si aggiungono fattori che niente hanno a che fare con la gestione caratteristica delle cave; basti ricordare la risonanza, anche letteraria, delle indagini della magistratura su organizzazioni criminali che hanno usato siti estrattivi abbandonati per nascondervi sostanze pericolose. Carenze normative, oggi opportunamente colmate, e la mancanza di adeguati controlli su territorio continuano a condizionare in senso negativo la percezione di questo settore: l’idea che le attività estrattive sono particolarmente aggressive è tanto radicata che sembra quasi impossibile sradicarla, perché, come sanno bene gli esperti di comunicazione, “è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”. E’ vero che le pietre, come la maggior parte delle materie prime, sono una risorsa non rinnovabile, ma ciò non toglie che possano e debbano essere gestite in modo responsabile. In effetti, se il rapporto tra ambiente e attività estrattive viene posto in termini di “questo o quello”, cave o paesaggio, cave o ambiente, il problema è privo di soluzioni. Venezia, il Duomo di Milano, la Piazza dei Miracoli a Pisa, la Fontana di Trevi a Roma e tutto il patrimonio architettonico italiano sono stati realizzati con materie prime ottenute da giacimenti non rinnovabili e con attività che hanno alterato il paesaggio: “questo e quello”, cave e bellezza non sono mutualmente esclusivi! Fuori dall’agone delle polemiche, i materiali di cave e miniere ci servono; e se riconosciamo che sono necessari, la vera sfida sta nel definire criteri razionali per assicurare che le attività estrattive siano svolte nel rispetto di parametri ottimali di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
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Vantaggi dell’uso della pietra La pietra naturale affascina La pietra è un prodotto naturale le cui proprietà individuali sono determinate dai minerali che compongono la roccia da cui deriva la pietra. Questo materiale detiene una posizione di rilievo tra tutti i materiali da costruzione: ogni pezzo è unico e la sua combinazione con altri materiali dà vita a opere inimitabili. La pietra naturale è ecologica Della pietra non si butta via nulla. Ogni percorso della filiera produttiva è ecologico e ogni piccola parte di pietra o frammento dato dalla lavorazione è riutilizzabile. La pietra naturale è ecocompatibile Stiamo parlando di un materiale da costruzione naturale e come tale non contiene sostanze inquinanti. La pietra naturale è sempre diversa Nessun altro materiale da costruzione ha caratteristiche così variegate come la pietra naturale. Grazie poi a finiture e lavorazioni sempre nuove, si possono ottenere pietre con varietà illimitata. Col tempo migliora, come il vino Molte pietre naturali sono come il buon vino: raggiungono il pieno dell’eleganza con l’avanzare degli anni. Quello che può accadere alla pietra, essendo un materiale vivo, è che si formi una patina sulla superficie esposta, ma, diciamocelo, fa parte della sua raffinatezza. La pietra naturale è prezzo interessante Se il costo totale di un materiale da costruzione è considerato su una vita utile di 30 anni o più, è facile immaginare che la pietra naturale, avendo vita molto più lunga, ha un costo inferiore sul lungo periodo. I costi di investimento relativamente elevati, sono compensati dai costi di manutenzione a lungo termine quasi inesistenti e dalla lunga durata. La pietra naturale è amica dal punto di vista termico La pietra naturale ha molto buona conducibilità termica e una grande capacità di accumulo. Se usata, ad esempio, nelle facciate degli edifici, i risvolti economici non sono da sottovalutare. Il Tirreno Massa Carrara, 2 Gennaio 2016
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Alcuni test dimostrano un fabbisogno energetico di 100 – 150 kWh / mq per edifici a più piani con facciate in pietra, contro un fabbisogno energetico di 300 – 700 kWh / mq per il riscaldamento e il raffreddamento di facciate in vetro. http://www.europietre.it/7-ragioni-per-usare-la-pietra-naturale/
Accantonata la sterile prospettiva della inconciliabilità tra cave e ambiente, il mondo delle pietre naturali offre una serie di elementi che gettano fasci di luce sul lato green del settore. Un primo ordine di considerazioni riguarda proprio il bilancio ambientale complessivo dei prodotti delle cave; basta allargare anche di poco l’orizzonte per far emergere una realtà articolata nei quali coesistono circuiti economici e valori ambientali.
Accordo globale sui cambiamenti climatici Lo scorso 12 dicembre è stato sottoscritto da 195 Paesi il primo accordo globale sui cambiamenti climatici. L’Accordo, definito “storico, ambizioso, giusto, sostenibile, equilibrato e legalmente vincolante”, impegna la comunità internazionale a mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2° C rispetto ai livelli pre-industriali…; entrerà in vigore nel momento in cui sarà ratificato dal 55% dei Paesi sottoscriventi che rappresentano almeno il 55% delle emissioni di gas serra globali. L’obbiettivo ambientale a lungo termine è quello di raggiungere la “neutralità” (emissioni nette pari a zero). I Paesi sviluppati dovranno contribuire in modo maggiore allo sforzo globale attraverso “obbiettivi di riduzione delle emissioni assoluti e applicati a tutta l’economia”. Nazioni Unite- COP 21, Conferenza delle Parti sul Clima Parigi, Dicembre 2015
Da tempo, la scelta di utilizzare le pietre naturali nelle costruzioni viene considerata, oltre che un preciso stilema architettonico, indicativa di responsabilità sociale ed ambientale.
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Nel conto costi-benefici, a favore di marmi e graniti militano le minori emissioni di CO2 rispetto a prodotti come ceramiche, cotto, vetro, alluminio, resine e materie plastiche. Tutto questo è abbastanza intuitivo se si pensa ai processi produttivi e all’energia necessari per i forni in cui nascono i prodotti industriali, a fronte di operazioni che, per quanto complesse, consistono nel solo taglio di ammassi rocciosi in blocchi e lastre. La migliore performance delle pietre naturali abbraccia numerose proprietà non sempre conosciute: coibentazione, barriere allo sviluppo di micro-organismi batterici, qualità acustica e schermatura dalle cariche elettrostatiche.
Naturale come la pietra La Pietra Naturale ha una ottima conduttività termica ed una elevata capacità di accumulare il calore, dimostra quindi una elevata capacità di isolamento termico. Non è infiammabile (classe A dei materiali edili in conformità alla normativa DIN 4102), non contiene assolutamente sostanze dannose o tossiche per la salute, non si carica elettrostaticamente. Il fabbisogno energetico per la sua produzione, nonché per il riscaldamento e condizionamento di facciate realizzate in pietra, è notevolmente inferiore rispetto a medesime facciate realizzate in alluminio o vetro. Valutato l’intero ciclo di vita, la Pietra Naturale permette un notevole risparmio energetico, dimostrandosi economicamente ed ecologicamente vantaggiosa. http://www.gaverini.it/pietra-ecocompatibile.php
Le pietre, per tutto questo, sono preferite nei capitolati della bioedilizia: “cominciando dalle fondamenta, vengono utilizzati i mattoni, la pietra naturale e il calcestruzzo magro. Per le murature dei locali interrati, i più adatti sono i mattoni e la pietra arenaria calcarea. Per le murature perimetrali, invece, vengono usati argilla, mattoni di paglia, arenaria calcarea e legno massiccio”. Recentemente sono stati svolti numerosi studi sull’impatto ambientale dei diversi materiali da costruzione secondo i principi del ciclo di vita (Comparative Life Cycle Assessment). Si tratta di studi complessi che prendono in esame, in modo dettagliato, tutta la vita di un prodotto e del suo impiego; per ogni fase, estrazione, produzione, trasporto, posa in opera, ecc…, si quantificano consumi di energia, emissioni di CO2 e di altre sostanze, comprese quelle di ipotetici casi d’incendio, produzione di scarti, formazione di ossidanti fotochimici, impatto ambientale lontano (generato cioè nella zona di estrazione/produzione), esposizione a fattori di rischio per la salute dei lavoratori nella posa in opera, inquinamento esterno, degrado nel tempo e smaltimento/riciclo dei materiali al termine del ciclo di vita.
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Escluso, in alcuni casi, il legno, gli studi dimostrano che in tutte le applicazioni l’impatto ambientale delle pietre è decisamente inferiore. Rispetto, per esempio, alle lastre di marmo lavorate a disco, il Life Cycle Assesment degli agglomerati cementizi per pavimentazioni esterne quantifica consumi energetici doppi, tre volte le emissioni di CO2, cento volte quelle di SO2 e mille volte le emissioni di etilene.
Codici etici e ambientali per le pietre naturali In alcuni paesi del Nord-Europa .. le imprese e le associazioni di categoria del settore lapideo si sono riunite con organizzazioni sociali e autorità pubbliche per sviluppare un approccio comune rispetto alla responsabilità d’impresa lungo la catena del valore dell’industria lapidea, formando il “Working Group on Sustainable Natural Stone” e definendo, nel 2007, “A code of conduct for the natural stone sector”, codice etico che affronta e regolamenta in tre sezioni separate problematiche di tipo sociale, lavorativo e ambientale e per ognuno di esse prevede modalità di verifica del rispetto del regolamento stesso. Tra le problematiche di tipo sociale viene affrontato il problema delle licenze per l’estrazione e la lavorazione del materiale, corruzione, tassazione ma anche il rapporto con gli stakeholders, in primis, la comunità locale, verso la quale le imprese firmatarie del codice si impegnano a incrementare i livelli occupazionali. Per l’aspetto lavorativo si fa riferimento alle condizioni di lavoro e si assicura il pieno rispetto dei principi stabiliti dall’International Labor Organization. CarraraMarmotec, Filiera sostenibile http://www.carraramarmotec.com/it/filiera-sostenibile/filiera-sostenibile.asp (2016)
Le valenze ecologiche ed ambientali delle pietre stanno entrando prepotentemente nel settore delle costruzioni. In Italia il mercato dell’edilizia rappresenta, nel suo insieme, una percentuale del PIL compresa tra il 13,5 e il 14,5%. Al suo interno si moltiplicano i progetti con l’impronta da low carbon economy; si diffondo i sistemi di certificazione energetici o ambientali con relativi marchi; centri di ricerca, associazioni di categoria ed enti pubblici organizzano conferenze sui temi dell’edilizia sostenibile e dell’impiego dei prodotti lapidei. Il fermento di progetti e di attività sul tema della sostenibilità delle pietre naturali che si sta diffondendo rapidamente stride, in parte, con il rigido approccio che continua a ispirare la maggior parte dei provvedimenti e delle politiche per questo settore.
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Green building
L’insistente imposizione di vincoli e di oneri sulle imprese estrattive vanifica i maggiori valori ambientali delle pietre rispetto ai materiali industriali. L’onda della sensibilità di matrice ambientale che sollecita provvedimenti restrittivi nei confronti delle cave in realtà schiude praterie ancora più vaste ai prodotti industriali con maggiore impatto ambientale. Negli Stati Uniti, il Natural Stone Council, costituito per sostenere l’impiego delle pietre naturali, ha coinvolto il centro per “Clean Products” dell’Università del Tennessee in un progetto per definire le linee guida per la corretta gestione dei sottoprodotti delle attività estrattive. Il decalogo degli esperti dell’Università esorta ad osservare scrupolosamente tutte le norme, ad adottare i metodi estrattivi che consentono di ridurre la quantità di sottoprodotti, a donare questi ultimi alle comunità locali per i progetti dove possono essere impiegati, a promuoverne il riuso e a fare il possibile per evitare che siano conferiti in discarica.
Durevole, affascinante, impeccabile “Il marmo è un materiale flessibile, in grado di accettare i cambiamenti meglio di altri materiali. Ogni qualvolta che gli architetti si confrontano con lo spazio pubblico e urbano la pietra si rivela sempre il materiale più adatto. Durevole, affascinante, impeccabile, con maggiori garanzie di qualsiasi altro materiale esposto agli agenti atmosferici e all’usura del tempo”. Fulvio Irace Carrara Marmotec 2012
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In generale tutte le cave sono osteggiate più o meno apertamente; in modo particolare lo sono quelle delle Alpi Apuane. Uno dei bersagli sul quale si concentrano i rimproveri di associazioni e gruppi di opinione sono proprio i sottoprodotti. Si tratta di macigni irregolari o di sassi di dimensioni e forme tali da non renderne economicamente sostenibile l’impiego nei telai per la segagione dei blocchi. In tutte le cave di pietre ornamentali, infatti, una quota del materiale estratto è costituita da sottoprodotti: blocchi fratturati, residui dei processi di taglio, levigatura o posa in opera. In base alle caratteristiche dei vari materiali e alla conformazione geologica delle singole cave, questa quota può raggiungere anche il 70-80% del totale escavato. Rapporti di resa analoghi, per inciso, si hanno anche in un processo di lavorazione abbastanza lineare come la scultura di opere artistiche. Gli stessi materiali che nelle cave di pietre ornamentali sono residui dei processi primari di produzione, nel caso degli inerti e dei materiali industriali costituiscono lo scopo caratteristico dell’attività delle imprese. Con una fondamentale differenza: nelle prime per ottenere blocchi da segare si usano, con approccio quasi “chirurgico”, macchine a filo diamantato e lame a catena; nel caso degli inerti si usano direttamente esplosivi e grandi escavatori. Per alcuni secoli le cave di Carrara, insieme ai famosi blocchi di marmo bianco, hanno prodotto grandi quantità di sassi che sono stati riversati nei “ravaneti”, depositi che assomigliano a cascate bianche adagiate sui fianchi dei monti, ampiamente ritratte nella ricca iconografia fotografica delle cave. Per screditare l’escavazione del marmo si ricorre all’iperbole di un settore che, per quanto focalizzato nella estrazione di blocchi di pietre ornamentali, sgretolerebbe i monti per farne … “pasta dentifricia!”.
Realtà deformata In riferimento al servizio andato in onda nel corso del TG1 RAI delle 20,00 del 1 ottobre 2010 ed alle riprese di altri mezzi di comunicazione nei quali si accusa l’industria cosmetica dei dentifrici di essere tra i principali responsabili della “selvaggia escavazione delle Alpi Apuane” per la produzione di carbonato di calcio, vogliamo rassicurare i consumatori che questa accusa è priva di ogni fondamento. La grande maggioranza (più del 90%) dei dentifrici oggi sul mercato non contengono calcio carbonato come sostanza abrasiva per la pulizia dei denti. http://www.abc-cosmetici.it/sotto-i-riflettori/archivio-2010/i-dentifrici-e-le-cave-di-marmo-pregiatodi-carrara
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L’insussistente associazione tra le cave delle Apuane e lo spazzolino da denti è diventato un mantra per associazioni, comitati e per tanti giornalisti, non solo italiani, che lo hanno fatto proprio senza sincerarsi se la cosa sia più o meno fondata: “Il saccheggio delle Alpi Apuane ridotte a dentifricio” (Il fatto quotidiano); “Carrara, dalla Pietà ai dentifrici, ora il marmo cura la carie” (altracitta.org); “Il marmo della Pietà di Michelangelo finisce nel dentifricio” (www.linkiesta.it); “I monti di Michelangelo sventrati per i dentifrici” (www.italianostra.org); “Dalla Pietà allo sbiancante per carta e dentifrici” (www.nationalgeographic.it); “Carrara Marble. They’re destroying Michelangelo’s mountain to make toothpaste” (V. Mistiaen, http://theright human.blogspot.it); e, recentissimo, “Little mountains of toothpaste highlight the plight of the Alps” (C. Wilson, New Scientist). Non è certo la ripetizione di una panzana, anche se in inglese, a rendere vera una cosa che semplicemente non lo è. Il riutilizzo dei sassi accumulati in secoli di attività nei bacini marmiferi di Carrara è iniziato solo nel secondo dopoguerra con una piccola azienda che macinava le pietre per ottenere polveri utilizzate nella produzione di vernici, stucchi e detergenti. Poco dopo nello stesso mercato entrò una seconda azienda specializzata in forniture per il settore edile. Di li a poco si aprirono altre applicazione: materie plastiche, detergenza e chimica. Nei primi anni Sessanta, le quantità riutilizzate erano ancora inferiori a 100000 ton rispetto ad un produzione totale di sassi pari circa a quindici, venti volte tanto. Gli sforzi di ricerca di nuovi impieghi continuarono; molto importante, sotto il profilo quantitativo, è stata la produzione di granulati per le “graniglie”, pavimenti molto diffusi ai tempi del boom economico e tuttora richiesti nei mercati del Nord Africa e del Nord Europa. Agli inizi degli anni Ottanta si insediarono a Carrara due grandi aziende internazionali specializzate nella macinazione dei sassi in granulometrie molto sottili. Una parte degli altri sottoprodotti, in particolare le scaglie scure e le terre, ha trovato impeghi come materia prima per cementifici, colle e malte o come sassi levigati per decoro di spazi pubblici e nella posa di muri a secco, esattamente come auspicato nelle linee guida del Natural Stone Council. Nel bilancio ambientale complessivo delle cave di marmo vanno inclusi i risparmi di cellulosa e di petrolio resi possibili grazie alla macinazione dei sassi che residuano nelle cave; il 20-25% del peso della carta patinata e il 10-15% delle materie plastiche estruse o stampate ad iniezione sono costituiti da carbonato di calcio. Anche le marmettole, un miscuglio di polvere di marmo e acqua originato dal taglio delle pietre, sono ampiamente utilizzate per abbattere la CO2 delle centrali termoelettriche e per neutralizzare l’acidità degli scarichi di alcune industrie chimiche.
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Particolarmente interessante, in questa prospettiva, anche il brevetto di una azienda (Italcementi) che utilizza le polveri della macinazione dei sassi delle cave di marmo per ottenere un particolare tipo di malta da costruzione in grado di svolgere una preziosa funzione di pulizia dell’aria. Se i sottoprodotti delle cave ornamentali non fossero riutilizzati, si dovrebbero aprire appositamente siti estrattivi di materiali inerti. In linea con quanto prescrive la Comunità Europea, invece di aprire appositamente nuove cave, oltre a riutilizzare i materiali da demolizione delle costruzioni è comunque preferibile utilizzare i sottoprodotti già disponibili di altre attività come quelli delle cave di ornamentali.
Cemento biodinamico e aria più pulita Presentata l’innovativa malta cementizia con cui sono realizzate la struttura esterna e le facciate interne di Palazzo Italia a Expo 2015. Oltre 12500 ore di ricerca per creare “i.active BIODYNAMIC”, sviluppato in “i.lab”, cuore dell’innovazione Italcementi. Un cemento bello da vedere e da accarezzare. Un materiale sostenibile, resistente e allo stesso tempo di grande qualità estetica, pronto per essere utilizzato in opere di pregio architettonico. Un nuovo materiale per l’architettura sostenibile. I.active BIODYNAMIC è una malta cementizia ad alta fluidità destinata alla realizzazione di elementi architettonici prefabbricati non strutturali, dalle geometrie complesse e a sezione sottile. Il nome del prodotto racchiude le sue innovative caratteristiche. La componente “bio” è data dalle proprietà fotocatalitiche del nuovo cemento, ottenute grazie al principio attivo TX Active brevettato da Italcementi. A contatto con la luce del sole, il principio attivo presente nel materiale consente di “catturare” alcuni inquinanti presenti nell’aria, trasformandoli in sali inerti e contribuendo così a liberare l’atmosfera dallo smog. La malta, inoltre, prevede l’utilizzo per l’80% di aggregati riciclati, in parte provenienti dagli sfridi di lavorazione del marmo di Carrara, che conferiscono una brillanza superiore ai cementi bianchi tradizionali. La “dinamicità” è invece una caratteristica propria del nuovo materiale, che presenta una fluidità tale da consentire la realizzazione di forme complesse come quelle che caratterizzano i pannelli di Palazzo Italia. Grazie alla sua particolare lavorabilità, i.active BIODYNAMIC può penetrare nei casseri – progettati uno ad uno - fino a formare il disegno finale del pannello, il tutto garantendo una straordinaria qualità superficiale. Il nuovo materiale presenta, inoltre, caratteristiche di lavorabilità e resistenza straordinarie se confrontato con le malte classiche: è due volte più resistente alla compressione e due volte più resistente alla flessione. Italcementi Milano, 10 settembre 2015 http://www.abc-cosmetici.it/sotto-i-riflettori/archivio-2010/i-dentifrici-e-le-cave-di-marmo-pregiatodi-carrara
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Il paesaggio
La Pania della Croce da Marina di Pisa. Foto Marco Migliardi, Facebook, 2015
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Capitolo 7
M
onumenti al lavoro umano. Un ampio viale, per lunghi tratti alberato, parte dal piazzale del porto e, dopo un rettilineo lungo sette km, raggiunge Carrara. Ogni anno, 1300 autobus con targhe perlopiù straniere risalgono il viale XX settembre fino all’altezza dello Stadio dei marmi; si fermano di fronte ad un vecchio distributore di carburanti trasformato in un check-point e ritirano il pass (oneroso) per portare 50000 turisti a visitare i famosi bacini marmiferi. Si stima che in realtà siano più del doppio le persone che ogni anno si inerpicano lungo i tornanti delle Alpi Apuane per ammirare da vicino le cave, operosi sistemi che qualcuno ha definito “un grande monumento al lavoro umano e alle sue fatiche”. Tanto interesse per le attività estrattive mette una zeppa, la prima di una serie, nel teorema per cui le cave vanno semplicemente bandite perché guastano le montagne. In realtà, il rapporto tra cave e paesaggio non può essere ridotto, come invece spesso viene fatto, ad un secco trade off: le cave, infatti, sono un paesaggio nel paesaggio.
Le emozioni della visita alle cave “...incantevole!” Recensito il 7 settembre 2015
Abbiamo scorrazzato per le impervie vie di arroccamento per quasi 3 ore guidati dalla bravissima Manuela con la sua jeep. Manuela -simpatica, disponibile e molto professionale - ci ha fatto scoprire un mondo: la storia delle cave, il durissimo lavoro degli uomini da quasi 2000 anni, la meraviglia di queste magnifiche montagne scavate giorno dopo giorno...
“...bellissimo!” Recensito il 7 settembre 2015
da visitare con CAVE DI MARMO TOURS: ottima organizzazione e visita completa. Vi faranno scoprire il mondo delle cave in tutti i suoi aspetti. Emozione, stupore, fascino, avventura...
“nel cuore delle cave” Recensito il 5 settembre 2015
E’ un’escursione che ti porta nel cuore delle cave di marmo, impossibile da raggiungere altrimenti. E’ ben organizzata e lascia tutto il tempo per guardare il panorama e fotografare. Da fare assolutamente.
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“l’uomo e la natura, un connubio che regala paesaggi mozzafiato” Recensito il 5 settembre 2015
Io adoro le cave di marmo, quando riesco non manco di andare a fare un giro. Lassù dove il mare è lontano e l’uomo è piccolo anche se nella sua piccola forma è riuscito a dare forma alle montagne.
“le cave di marmo: la nutura e l’uomo..insieme..a Fantiscritti” Recensito il 4 settembre 2015
Le cave di Marmo di Carrara sono una delle meraviglie più stupefacenti che si possano vedere.. vi consiglio di andare a quelle di Fantiscritti (strada a sinistra guardando l’ospedale di Carrara) e di farlo IN UN GIORNO FESTIVO...scolpite nella montagna, a poco a poco, sono l’emblema della fatica dell’uomo e il rincorrere dei suoi sogni...in verticale, a strapiombo, con improvvise cavità,...
“eccellenze italiane, poco conosciute e da valorizzare molto di più, appena appena il giusto basterebbe!” Recensito il 4 settembre 2015
Suggestivo e stupefacente. Io ho avuto la fortuna di visitare le cave dopo aver già preso un po’ di coscienza al Museo del marmo. Consiglierei di seguire lo stesso percorso, per apprezzare in pieno la storia, la realtà e anche l’attuale importanza delle cave di marmo di Carrara.
“cose uniche al mondo” Recensito il 3 settembre 2015
Scenari da ....urlo. Bellissimi panorami. Cibi da asporto e non. Antichi sapori scordati. Posti da visitare assolutamente
“stupendo” Recensito il 2 settembre 2015
Un posto veramente magico da restare senza fiato, ed è pure vicino al paese Colonnata con un lardo buonissimo, da andarci assolutamente.
“si rimane senza fiato, eccezionale!” Recensito il 1 settembre 2015
Non si può immaginare la bellezza delle cave di marmo finché non si arriva in loco. Si rimane a bocca aperta a vedere il lavoro fatto dall’uomo. Ci sono cave a galleria e cave a cielo aperto, entrambe bellissime. Un’esperienza assolutamente da fare.
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“pezzi di monte” Recensito il 29 Agosto 2015
Triste simulacro di un luogo naturale modificato irrimediabilmente dall’uomo. Triste e affascinante allo stesso tempo. dovete visitarlo assolutamente anche se sempre più il paesaggio è distrutto da quegli avidi industriali del marmo che pensano solo al loro profitto immediato non lasciando alla città e ai posteri null’altro che briciole (anzi, neppure quelle dato che vendono la polvere di marmo..) http://www.tripadvisor.it/Attraction_Review-g660764-d2160075-Reviews-Carrara_Marble_ Quarries_tours-Carrara_Province_of_Massa_Carrara_Tuscany.html
Da una decina di anni chi si occupa di cave si trova di fronte a una sorta di veto non scritto per cui ogni osservazione che non sia di secca condanna viene immediatamente sovrastata da un coro di critiche di persone schierate contro ogni alterazione del paesaggio naturale. L’idea che le accomuna, tuttavia, riflette un’accezione di paesaggio molto più angusta rispetto a quella contenuta, ad esempio, nello stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs. 42/2004) o nella Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 2000): “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e delle loro interazioni”. Le cave di marmo, al pari di molte altre attività, sono esattamente questo: suggestive manifestazioni della interazione tra l’attività dell’uomo e le risorse naturali. E’ giusto prestare attenzioni all’impatto sull’ambiente e al fatto che le risorse estratte sono esauribili; è altrettanto evidente che la complessità di una attività come quella della cave non si può considerare solo una dissipazione di valori paesaggistici. Se quest’ultimi implicano la conservazione assoluta della natura, le cave sono semplicemente una ferita; se, invece, il paesaggio è il prodotto storico dell’azione del genere umano, c’è spazio per entrare nel merito dei valori e dei disvalori generati dalle cave. Questo è ciò che riconoscono con convinzione anche il Piano operativo del Comune di Carrara e le schede d’ambito che il Piano paesaggistico della Regione Toscana riserva al territorio di Massa Carrara; qui le cave sono qualificate come un “elemento identitario del territorio”, capaci di connotare e qualificare “i paesaggi locali in modo tale da assicurare la loro riutilizzazione in funzione turistico-ricettiva” e di creare “un ulteriore valore estetico-percettivo per la forte ed imponente relazione mare-cielo-vette-cave”. Alle attività estrattive, ancora, è riconosciuto il merito di aver plasmato “il paesaggio Apuano-Versiliese, conferendogli un’identità peculiare di lunga durata, prodotta dal lavoro dell’uomo in forte legame con le risorse naturale”.
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Il valore paesaggistico delle cave Il marmo che comprende le aree dei bacini estrattivi così come definiti dal regolamento degli agri marmiferi del Comune di Carrara, le cave dismesse, i manufatti utilizzati per l’estrazione del marmo, la viabilità e le aree a servizio delle cave. Tale sistema funzionale rappresenta valore identitario e storico-culturale per la città di Carrara e, sotto il profilo paesaggistico, un valore estetico-percettivo. Il Piano Strutturale propone la valorizzazione delle cave e delle zone di escavazione dismesse e, in tal senso, detta delle direttive e criteri di utilizzazione delle risorse essenziali. Favorisce il recupero culturale della città attraverso la valorizzazione delle attività del marmo la cui lavorazione costituisce un importante elemento identitario del territorio carrarese. Comune di Carrara, Variante Strutturale Piano Strutturale, 2009
Le cave e il paesaggio Le “Alpi” caratterizzate dai rilievi, le vette, le creste e le particolari formazioni geomorfologiche risultano particolarmente leggibili e percepibili alle diverse scale e da diverse visuali, determinando un impressionante scenario paesistico … I bacini marmiferi, costituiti da un sistema articolato di attività estrattive, fronti e piazzali di cava, ravaneti con l’insieme delle attrezzature e degli impianti ad esse relazionate, determinano incisioni e alterazioni profonde dei rilievi montani che emergono paesisticamente dal profilo naturale della catena determinando un “paesaggio nel paesaggio” ed elevata criticità e al contempo di particolare interesse culturale. I versanti montani si caratterizzano per la diffusa presenza di infrastrutture, manufatti e sistemazioni tradizionali (vie di lizza, mulattiere, terrazzamenti, lunette) legate all’uso storicamente intensivo delle risorse naturali (attività estrattive e silvo-pastorali) che connotano e qualificano i paesaggi locali in modo tale da assicurare la loro riutilizzazione in funzione turistico-ricettiva. La presenza del sistema delle cave apuane di marmo lungo le pendici della Alpi Apuane, testimoniano… l’alto valore identitario e storico-culturale sia per le popolazioni dell’ambito, sia per la storia tessa delle cave.
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Per la loro posizione e percezione del paesaggio.. il sistema delle cave di marmo lungo le pendici delle vette che fronteggiano il mare, (dà) luogo ad un ulteriore valore estetico-percettivo per la forte ed imponente relazione mare-cielo-vette-cave. Regione Toscana, Quadro conoscitivo. Ambito n. 2 “Massa Carrara” Piano di Indirizzo Territoriale, 2005
Una prima considerazione. La programmazione urbanistica produce una grande quantità di indirizzi, direttive e prescrizioni. Si tratta di documenti complessi e importanti ma spesso comprensibili solo agli addetti ai lavori. La maggior parte delle persone ne prende conoscenza, e sempre in modo parziale, solo quando, in nome di quelle prescrizioni, si vede respingere i propri progetti di ristrutturazione di un piccolo edificio, di costruzione di una piscina, di posa di una recinzione o di ampliamento del capannone per la propria attività imprenditoriale. Negli stessi documenti si possono trovare enunciati che vanno in direzioni opposte. Del concetto di paesaggio, in particolare, si hanno definizioni diverse anche perché i valori paesaggistici sono soggettivi e cambiano significativamente in funzione del punto di osservazione.
Il profilo delle Apuane e le attività estrattive La coltivazione degli agri marmiferi ha concorso a plasmare il paesaggio Apuano-Versiliese, conferendogli un’identità peculiare di lunga durata, prodotta dal lavoro dell’uomo in forte legame con l’arte e la bellezza. Un paesaggio antropico del marmo in cui il confine fra natura e cultura è costantemente rimodellato dall’opera umana. Nella lenta successione dei secoli le attività estrattive hanno modificato i crinali, i versanti e il fondovalle, creando forme e caratteri distintivi di valore unico, visibili anche a grande distanza e impressi nel patrimonio simbolico del territorio. Nuove tecnologie, … efficienti e invasive, hanno ampliato in maniera significativa la capacità da parte dell’uomo dell’intervento di escavazione della montagna con il rischio di rottura di equilibri consolidati... L’intervento di tutela scaturisce da questa consapevolezza e intende arginare queste problematiche pur nel mantenimento e prosecuzione delle attività estrattive. La tutela si configura quindi nella ricerca di un equilibrio corretto tra il profilo naturale e in parte selvaggio delle Apuane e l’intervento antropico che ne completa l’identità paesaggistica.
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E’necessario indirizzare gli interventi in modo da: • favorire il miglioramento dei livelli di compatibilità ambientale e paesaggistica per le attività estrattive delle Alpi Apuane, con particolare riferimento alle cave collocate sui crinali o in posizione di elevata visibilità dalla costa e dai centri storici; • porre in essere azioni volte a migliorare la sostenibilità delle attività estrattive per le comunità locali, promuovendo la valorizzazione dei siti e beni, connessi all’attività estrattiva, di rilevante testimonianza storica, in considerazione del valore economico, sociale e culturale che l’attività di estrazione e lavorazione del marmo può rappresentare anche dal punto di vista identitario; Gli enti territoriali e i soggetti pubblici, negli strumenti della pianificazione, negli atti del governo del territorio e nei piani di settore, ciascuno per propria competenza, provvedono a: • salvaguardare la morfologia delle vette e dei crinali di maggior rilievo paesaggistico e le principali visuali del paesaggio storico apuano, regolando le attività estrattive esistenti e di nuova previsione, garantendo la conservazione delle antiche vie di lizza, quali tracciati storici di valore identitario, e delle cave storiche che identificano lo scenario unico apuano così come percepito dalla costa; • limitare l’attività estrattiva alla coltivazione di cave per l’estrazione del materiale di eccellenza tipico della zona privilegiando la filiera produttiva locale e migliorandone la compatibilità ambientale, idrogeologica e paesaggistica. Regione Toscana, Quadro conoscitivo, Scheda d’ambito 2: “Versilia e Costa Apuana” Piano di Indirizzo Territoriale, 2015
Qui il vero quesito riguarda la consistenza della minaccia paesaggista che l’attività delle cave rappresenta per le Alpi Apuane. La programmazione territoriale, sotto questo aspetto, ha già adottato numerosi strumenti di tutela a partire dalla inclusione all’interno del Parco Alpi Apuane di circa la metà dei siti estrattivi, con quanto ne consegue in termini di procedure Valutazione Impatto Ambientale, autorizzazioni sottoposte a vincoli di Commissioni Paesaggistiche e controlli. La recente adozione del Piano paesaggistico da parte della Regione Toscana ha esteso anche alle cave esterne al perimetro del parco analoghi livelli di controllo. In pratica, il quadro normativo vigente ha già posto limiti assoluti all’estensione territoriale delle attività estrattive che di fatto non potrà aumentare.
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Alpi Apuane viste da nord
Monti Contrario e Cavallo
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Come emerge dalle gallerie fotografiche è abbastanza evidente che l’impatto sul paesaggio è più tangibile a distanze ravvicinate ma anche in questo caso, come è già stato rilevato dai commentatori su Trip Advisor, le valutazioni sulla bellezza o sulla semplice azione dissipatrice delle cave divergono. Mano a mano che il punto di osservazione si allontana, la percezione dell’impatto sul paesaggio diminuisce. Verosimilmente, per la maggior parte delle persone il paesaggio delle Alpi Apuane è quello che si può osservare passando in treno o in autostrada ai suoi fianchi. Sul lato nord, nel tratto che scende dal passo della Cisa verso il mare; su quello occidentale, per tutto il lungomare parallelo alla costa tra Pisa e Sarzana; su quello orientale lungo le arterie che tagliano la piana del Serchio. Da questo perimetro esterno la visibilità delle cave è nel complesso marginale e niente fa pensare che l’integrità paesaggistica delle Apuane sia in serio pericolo. Nelle giornate di cielo terso, chi percorre l’autostrada o viaggia in treno da Pistoia a Viareggio, può ammirare all’altezza di Capannori le vette integre delle due Panie (della Croce, 1859 m, e Secca, 1711 m), inframezzate dal profilo vagamente horror dell’Omo morto, il tutto senza cogliere traccia di presenza di attività estrattive. Lo stesso, per quanti scendono da Pontremoli verso Aulla, vale per il versante nord del Pizzo d’Uccello (1781 m) e del Pisanino (1946 m). In alcuni giorni, da San Vincenzo e soprattutto da Marina di Pisa, si scorge l’elegante maestosità della Pania della Croce, la “regina” delle Apuane; anche in questo, però, senza imbattersi in ferite sullo sky line delle Apuane.
Pania della Croce, Omo morto, Pania Secca | Pizzo d’Uccello, lato nord
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Il lato più ampio della catena montuosa è quello costiero compreso tra la Valle del Magra, al confine tra Toscane e Liguria, e quella del Serchio. Qui, cielo permettendo, le vette sono sempre visibili: viaggiando in treno o in autostrada, passeggiando sui 30 km di lungomare della Versilia spingendosi sui pontili di Marina di Pietrasanta, Forte dei marmi e di Marina di Massa o lungo la diga foranea del Porto di Marina di Carrara. In questo panorama aperto su 180 gradi, i segni delle cave sono visibili solo in alcuni punti e riguardano non più del 10% di questo scenario che, salendo verso nord, presenta le vette dell’Altissimo (a dispetto del nome, solo 1589 m), della Tambura (1891 m), del Contrario (1789 m), del Cavallo (1895 m), del Grondilice (1809 m) e del Sagro (1749 m). Sono tutti visibili, con la loro caratteristica morfologia, le cuspidi, le bastionate dove affiorano i giacimenti di marmo, i valloni che precipitano verso i fiumi, le vaste macchie di boschi verdi e le strapiombanti pareti rocciose. La presenza delle cave emerge solo in alcuni segmenti del palcoscenico alle spalle di Carrara, e colpisce l’osservatore per il bianco dei ravaneti solcati dalle vie di arroccamento. In un solo caso, sopra Forte dei Marmi, il profilo superiore delle vette mostra i segni lineari dei tagli delle cave. Molti ritengono che tutto questo, ancorché alteri solo una frazione del fronte apuano, sia intollerabile; altri, per contro, lo considerano un valore distintivo.
Risorse e paesaggi apuani Dal punto di vista dell’organizzazione e del funzionamento del territorio, il contesto rilevante ai fini della comprensione e del controllo delle dinamiche del Parco si estende necessariamente all’area vasta compresa tra la costa tirrenica e l’Appennino, delimitata dalla fasce fluviali del Magra e del Serchio. Un’area di circa 2400 kmq con oltre 400000 abitanti che comprende le tre subregioni storiche della fascia costiera apuo-versiliese, della Lunigiana e della Garfagnana. Prima di passare in rassegna i principali “profili” del Parco può essere opportuno gettare uno sguardo d’insieme sul territorio che lo ospita che non può essere solo il territorio “perimetrato” dal Parco (200 kmq) ..(ma comprende) le aree limitrofe che formano con esso unità geomorfologiche, ecologiche e paesistiche indissolubili, .. un campo di studio che si estende ad un ambito compatto di circa 700/750 kmq che include per intero il vecchio perimetro del Parco (540 kmq) e l’area contigua più avanti ipotizzata… Piano del Parco, Relazione Generale Luglio, 2012
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La sovra rappresentazione che spesso viene fatta della minaccia delle cave per l’integrità del paesaggio trova conferma nei numeri relativi all’estensione delle Alpi Apuane, del Parco e delle aree estrattive. Stiamo parlando di poco più di 20 kmq di siti di cava su un totale complessivo del blocco delle Apuane, nella sua accezione più estesa, di circa 2400 kmq, meno dell’1%.
Parco ed aree limitrofe Uso e copertura Area urbanizzata Seminativo Colture Boschi-castagneto Pascolo Affioramento roccioso Aree con erosione Area estrattiva (ZCC) Corsi acqua invasi Altro TOTALE
ha 45 5.572 2.680 50.861 7.318 4.530 1.717 1.612 242 1.008 75.585
Tot. incluso bacino Carrara
76.865
Bacino estrattivo Carrara
1.280
% 0,06 7,37 3,55 67,29 9,68 5,99 2,27 2,13 0,32 1,33 100,0
1,67
(Ns elaborazioni sui dati Piano del Parco, 2012)
Restringendo il perimetro alle sole aree che, per morfologia, non sono diverse da quelle interne al Parco, fanno sempre 750 kmq e in questo caso l’incidenza dei bacini estrattivi non supera il 3%. Quanti insorgono innalzando la bandiera della tutela della flora e della fauna caratteristiche di queste montagne, sembrano ignari del fatto che il 70% delle Apuane sono coperte da boschi, il 10% è costituito da affioramenti rocciosi e fiumi, e un ulteriore 10% sono superfici da pascolo: lo spauracchio dell’aggressione al paesaggio sembra francamente un po’ esagerato. Sempre in tema del rapporto tra mondo del marmo e le pressioni per porre fine alle attività estrattive, un altro falso problema riguarda l’asserita incompatibilità delle cave con la natura del Parco Alpi Apuane e con il suo inserimento nella Rete Globale dei Geoparchi Unesco.
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Ancora pochi mesi fa, al termine di una lunga e attenta istruttoria, il Comitato di Coordinamento dell’European Geoparks Network ha certificato il rispetto da parte del Parco delle Apuane dei requisiti che consentono di fregiarsi di questo prestigioso riconoscimento. All’interno dei 200 kmq del Parco, come è noto, ci sono cave che si estendono su poco più di 10 kmq; questo, agli occhi dei valutatori indipendenti, non è stato ritenuto un fattore ostativo, segno che, in presenza di regole stringenti e di buone pratiche, le attività di cava non sono incompatibili con un progetto di alto profilo che si propone di aumentare la consapevolezza del valore della biodiversità e di promuovere la conservazione e la fruizione turistica del patrimonio geologico.
Unesco: cartellino verde al Parco Alpi Apuane Il Coordination Committee della European Geoparks Network ha reso pubblico il proprio responso: Il Parco Regionale delle Alpi Apuane continuerà, per i prossimi quattro anni, a far parte della Rete Globale dei Geoparchi, che svolge la propria attività sotto gli auspici e il controllo dell’Unesco. Risultato per niente scontato alla vigilia, nonostante i buoni giudizi espressi da due Valutatori della GGN, che hanno visitato le Apuane e valutato il lavoro del Geoparco nello scorso mese di giugno. Diversi fattori hanno reso l’esito non facilmente pronosticabile come in passato. In primo luogo si è registrata una più rigorosa e letterale applicazione delle regole di ammissione/conferma. Non per niente, durante questa sessione annuale, solo tre su dieci aspiranti Geoparchi hanno superato l’esame. Anche in merito alle rivalidazioni quadriennali c’è stata una mano più pesante da parte del Coordination Commitee. Dei sei Geoparchi ammessi nel 2011 insieme alle Apuane, ben due hanno ricevuto il cartellino giallo (Sierra Norte de Sevilla in Spagna e Katla in Islanda) e pertanto sono stati rimandati ad una prova suppletiva di riparazione tra due anni. Ulteriore aspetto non secondario di criticità specifica per le Apuane si era già palesata durante la visita dei Valutatori per effetto di dossier ricevuti dalla Rete dei Geoparchi sulla gestione e controllo delle attività estrattive. Lungo il percorso di rivalidazione, il Parco delle Apuane ha avuto modo di dimostrare, con dati alla mano, la strumentalità, l’enfatizzazione e persino la falsità di molte informazioni trasmessi da soggetti avversi a prescindere al Geoparco, che qui non meritano alcuna citazione. Il giudizio del Coordination Committee è risultato chiaro e netto nei confronti delle Alpi Apuane: esito favorevole a voto unanime con le sole raccomandazioni già scritte nel Revalidation Report. A. Bartelletti http://www.parcapuane.toscana.it, 5 Luglio, 2015
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Nelle grida che recentemente hanno falsato il confronto sul Piano paesaggistico c’è un’ultima dimensione incomprensibilmente assente. Il paesaggio toscano non è solo quello bucolico delle crete della Val d’Orcia o delle colline del Chianti; è soprattutto quello delle città d’arte, dei piccoli borghi della Lunigiana e della Maremma, delle piazze, dei palazzi e delle chiese di Pisa, Lucca, Firenze, Massa Marittima e Pienza; è un paesaggio fatto in gran parte di pietre naturali. E’ difficile pensare che cosa resterebbe nell’immaginario della Toscana se al posto della pietra serena, della pietraforte, della pietra santafiora, del marmo apuano, del tufo degli etruschi, dell’alberese di Prato e del travertino di Rapolano si fossero impiegati solo malta e mattoni. Peraltro anche nella produzione dei laterizi, ingrediente base del paesaggio nel senese, si fa uso di argille che inevitabilmente presuppongono attività di estrazione in qualche angolo della regione. Una parte importantissima dei manufatti caratteristici del paesaggio della Toscana è stata costruita usando i prodotti delle sue cave. Il valore estetico delle pietre può essere ignorato o rimosso ma si ripropone puntualmente nelle polemiche che accompagnano le scelte dei materiali negli interventi di ripristino dei centri storici.
Rottamazione sbagliata La questione della pavimentazione in pietra, o in cotto, delle città è un problema difficile da affrontare con sensibilità e attenzione storica ed è, prima ancora di ogni altra cosa, una questione di metodo. Intanto, e prima di tutto, quando dovrebbe cominciare il tempo di cui si dovrebbe conservare la memoria? Se si trattasse di pittura o scultura, o magari di architettura, non ci sarebbe alcun problema. Chiunque direbbe che opere vecchie, diciamo di 150 anni, o magari anche più vecchie, dovrebbero essere conservate. Ma quando si tratta di pavimentazione stradale il problema diventa serio. Il Sindaco osserva che per quanto riguarda i costi, il rapporto tra pavimentazione a pietra e pavimentazione ad asfalto è di 11 a 1: perché, dunque, spendere tanti soldi in più? Le strade delle città non sono semplicemente un luogo di passaggio. Sono parte di un progetto architettonico che muta nel tempo. Penso che anche a Siena, se si volesse risparmiare, si potrebbe sostituire il cotto, i mattoni a coltello, con il bitume. Bello nero, liscio, scorrevole. Certo, i risparmi sarebbero enormi; ma questo vorrebbe dire distruzione totale e immediata del rapporto fra lo spazio di ogni via e spazio costruito, i fianchi delle strade, in un nesso determinato appunto dalla pavimentazione. Un nesso che è naturalmente costituito anche di colori. Le pietre scandiscono un certo ritmo, un certo tipo di percorso.
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In tempi in cui conserviamo in Italia il neogotico in architettura e i restauri ottocenteschi finto-romanici, pavimenti compresi, e conserviamo ormai anche le strutture, che so, degli anni fra le due guerre e ancora quelle degli anni Cinquanta, comprese le pavimentazioni esterne, io credo si debba ben riflettere prima di manomettere delle strade isolando la facciata degli edifici con un bel nastro nero, magari rossiccio, uso piste ciclabili, con la scusa di proporre passaggi più veloci e magari nuove automobilistiche “letture” degli spazi costruiti. Certo anche le parole possono essere pietre. Anche pesanti. Concordo in pieno con il dovere civile e politico di rottamare la vecchia politica… che ha costretto l’Italia in un angolo. La rottamazione delle pietre, e delle strade, però lascia perplessi. Una ragione sufficiente, forse, per soprassedere… C.A. Quintavalle Corriere Fiorentino, 10 Aprile 2013
L’architetto: le pietre? La nostra anima L’asfalto al posto delle pietre? La proposta lanciata dal Sindaco per il futuro di Via Micheli e via Venezia (a Firenze; N.d.R,) continua a destare polemiche. Dopo il “ni” della sovraintende e la netta espressione negativa dell’ex Preside della Facoltà di Architettura, è adesso uno studioso delle tradizioni cittadine a contestare la proposta (dettata da ragioni di risparmio economico) fatta dal Sindaco a proposito delle due strade del centro cittadino. L’architetto Luigi del Fante tuona: “Si vorrebbe in maniera sbrigativa ed economica eliminare lastricati antichi, settecenteschi e ottocenteschi, strettamente legati alla percezione unitaria d’insieme con i palazzi che vi si affacciano, per stendervi un funereo strato d’asfalto, asfittico, impermeabilizzante, sordo. La sostanza di cui è fatta Firenze -conclude l’architetto- è costituita essenzialmente dalle arenarie pietraforte e pietra serena che ne costituiscono la materiale identità storica e culturale”. G. Cervone Corriere Fiorentino, 12 Aprile 2013
Pensare che le cave di pietre ornamentali siano una attività avversa al paesaggio è un non senso. Il contributo delle pietre alla bellezza del paesaggio costruito della Toscana avrebbe meritato ben altra attenzione nella impostazione del Piano paesaggistico anche perché, per la manutenzione dei nostri centri d’arte, avremo bisogno delle stesse materie prime di cui sono composti. Non si doveva, come invece è stato fatto, dare “un giro di vite” alle cave ma regolamentare intelligentemente una attività comunque importante.
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C.N. Balloni, C. A. Gasparini, Marble drops. Marmo statuario, cava Calocara
Pezzi di pietre di marmo per pavimenti e muri a secco
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Robot, scalpellini e Made in Italy
Laboratorio Tor Art; Fantiscritti, Carrara
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Capitolo 8
L
eggerezza, emozioni e calore del marmo. Mattina di fine primavera. Prendiamo la strada per uscire da Massa; un gruppo di ciclisti ci taglia la strada e punta San Carlo, probabilmente diretto verso il passo del Vestito e la Garfagnana. Risaliamo il corso del Frigido, una valle stretta con le fiancate verde intenso sovrastate dal grigio chiaro delle vette dei Monti Contrario, Cavallo e Tambura. In questa gola orientata verso Nord, dove l’umidità si taglia a fette, il sole si affaccia tardi la mattina e si nasconde dietro i monti presto la sera. Seguiamo via Bassa Tambura in direzione Forno, piccolo borgo solcato dalle acque azzurre dal fiume; ancora pochi km e ci avventuriamo lungo una strada sterrata. Dopo una curva a gomito, la valle si apre e troviamo una dozzina di persone con caschi colorati che si arrampicano su un ampio piano inclinato di colore grigio scuro. E’ la cava vecchia; qui, un tempo, si estraeva la dolomia. Dall’automobile si direbbe che la pendenza è di poco superiore a 50 gradi; in tutto saranno 200 metri di dislivello. Sul fronte opposto, poco più in alto, tre capre si mettono a correre irretite dal sibilo di un drone che vola sopra le loro teste. Ancora un paio di tornanti e l’auto di ferma all’ingresso di una cava di marmo. Entriamo in una lunga galleria bianca, illuminata a giorno, fino ad arrivare ad una grande cavità con alti pareti regolari di marmo bianco; sembra una cattedrale gotica. Quaranta persone prendono posto attorno a tre grossi tavoli apparecchiati; dal paravento che nasconde un banco da cucina escono veloci gli allievi dell’istituto alberghiero con le divise della scuola. Inizia il pranzo. Emozioni che non hanno prezzo.
Il mondo del marmo, da Carrara all’alta Versilia, sta cambiando pelle. Protagonisti sono ancora tanta fatica, lavoro duro e i potenti mezzi meccanici, ma sul ceppo delle attività tradizionali stanno germogliando tante cose nuove il cui comune denominatore è costituito da immaterialità, leggerezza, calore ed emozioni. Le cave si aprono verso il mondo esterno. Vi si organizzano visite guidate, concerti e riunioni conviviali; costruttori di automobili le usano come piattaforme scenografiche per presentare i nuovi modelli. I protagonisti del Made in Italy le scelgono per il lancio di collezioni di moda e linee di profumi, le case cinematografiche come set per le riprese di alcune scene per i film e le fiction. Esclusive navi da crociera sostano deliberatamente nel piccolo Porto di Marina di Carrara e mettono a disposizione degli ospiti una flotta di mezzi 4X4 per fare escursioni nelle famose cave di marmo. Nell’area del Tarnone, nel cuore dei bacini estrattivi carraresi dove un tempo i treni della vecchia marmifera caricavano i blocchi di marmo, si sta attrezzando una grande piazza con parcheggi, negozi, servizi e punto informazioni come base per accogliere comitive di turisti. I tour operator non hanno aspettato che tutto fosse pronto per inserire le cave nei loro pacchetti.
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Aprire le cave al pubblico il sabato e la domenica per mettere in scena la bellezza del marmo, rafforzerà l’identità di un settore che sta imparando a raccontarsi con un nuovo linguaggio. E’ un’altra tappa, per il momento vergata più sulla carta che sulle pietre, del nostro girovagare nel mondo delle pietre tra paesaggio, cultura, tradizioni, ingegno e innovazione.
Scalatori sulle Apuane
Sulla scia del crescente intreccio tra industria e servizi, insieme alle cave si sta aprendo verso l’esterno anche tutto quello che le circonda. Gruppi di escursionisti in bicicletta si appropriano delle strade dove, fino a poco tempo fa, passavano solo camion carichi di marmi. Comitive di persone con bastoni da passeggio e scarpe da trekking battono le vecchie vie di lizza e i sentieri del CAI. Tra i percorsi più fascinosi svetta la via Vandelli, dal nome del geografo e matematico che nella prima metà del ‘700 la progettò per facilitare gli spostamenti tra le città di Massa e di Modena. Nelle cene estive nei locali della Versilia le escursioni sulle Apuane e le visite alle cave sono sempre più oggetto di conversazione. La poliedrica offerta di programmi e di esperienze di questa parte delle Alpi Apuane include rifugi, visite a grotte, orti botanici, laghi, paesaggi lunari, una vasta scelta di circuiti per mountain bike e tante pareti per gli appassionati di free climbing. Sulla carta c’è chi pensa di mettere su, nelle aree di cava dismesse, resort, piscine e spa con vista mare.
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Marmo e wellness Nei percorsi proposti spiccano da tempo le erbe aromatiche oppure il fieno, pino mugo e siero di latte, ed ancora mela, uva, lana e la stella alpina che sono diventate di casa e stagionalmente risultano richieste dagli ospiti per accompagnare il loro soggiorno benessere. Difficile immaginare l’applicazione della polvere di marmo sulla pelle? Sicuramente conferma la filosofia delle Terme Merano che sin dalla loro struttura in vetro risultano slanciate verso la natura. L’introduzione del marmo di Lasa, pregiato materiale della Val Venosta servirà nel peeling: una base di crema nutriente con granulato fine di mandorle e polvere di marmo avrà effetto purificante ed esfoliante. Per una pelle particolarmente morbida e lucente. Chi nutre perplessità nella bontà dei trattamenti termali che oramai usano vari prodotti a sostegno dell’acqua e dell’argilla, ha l’esigenza di poter valutare facilmente la genuinità del prodotto ed il suo essere‚ innocuo per l’organismo. Da qui la ricerca di una eccellenza che possa presentarsi ricca di referenze. A. Lenoci Gogoterme.com, 7 Marzo 2016 Una maschera anti–age. Le prenotazioni sono state esaurite in pochissimi giorni. Franco Barattini, proprietario delle Cave Michelangelo a Carrara ha messo a disposizione delle Terme della Versilia le sue magnifiche cave: i blocchi diventano le pareti di una cabina di estetica a cielo aperto. Una maschera di marmo, a calco, con tanto di massaggio tonificante, nel piazzale di cava trasformato per l’occasione in una spa. Per un giorno, le Terme della Versilia trasferiscono la loro SPA in una cornice esclusiva: il cuore delle Alpi Apuane, tra la grande profusione del marmo, il sapore della storia, la magnificenza dell’arte. Il Tirreno Massa Carrara, 15 Agosto 2015 Maschera di bellezza messa a punto nei bacini di Massa e Carrara- Il marmo della provincia di Massa Carrara, che si ricava da cave centenarie utilizzate anche da Michelangelo per le sue più famose sculture, diventa una maschera di bellezza. Polvere di marmo, per un viso “scultoreo”: il prodotto Made in Italy è frutto del lavoro della dermatologa Maria Letizia D’Errigo in collaborazione con il dipartimento di chimica industriale dell’Università di Bologna. La polvere di marmo, contenuta all’interno del liquido attivatore della maschera, secondo gli studi fatti, dona al volto un effetto scultoreo e allo stesso tempo combatte rughe e segni d’espressione. Tra gli elementi contenuti nella marble mask ci sono il sodio jaluronato e il collagene, tecnologiche cellule staminali vegetali che svolgono azione antiossidante e un mix di vitamine del gruppo E, A e C. ANSA http://www.ansa.it/toscana/notizie/2016/03/14
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Anche il core business del marmo sta cambiando pelle, sempre all’insegna della leggerezza e dell’immaterialità. Passo dopo passo, le aziende estrattive si spingono a valle lungo la filiera. Insieme al mito del marmo di Carrara, al posto dei blocchi grezzi offerti all’ingrosso, vendono disegni, trame, venature e “mani” selezionate accuratamente per singoli progetti. L’avvicinamento al mercato dei prodotti finiti è iniziato dopo un paziente lavoro di riposizionamento del marmo nell’architettura e nel design. I primi a muoversi in questa direzione sono stati i produttori di statuari e calacata, che però non arrivano al 10% della produzione totale delle cave. Recentemente la new wave della vendita delle lastre ha lambito anche i marmi bianchi, che sono la fetta più consistente delle pietre apuane, e sono cresciute a vista d’occhio le lastre lucidate, fotografate e catalogate una per una, e vendute, appunto, come pezzi unici. Una parte dei clienti non sale più alle cave per scegliere i blocchi nei piazzali sporchi di polvere ma seleziona i prodotti negli stabilimenti a valle; nelle trattative commerciali il dialetto carrarino viene sostituito da semplici e-mail con tanto di fotografie scambiate in tempo reale. Diminuiscono i contratti chiusi usando come unità di misura le tonnellate ed aumentano quelli espressi in metri quadrati. Sono tanti prodromi di una piccola rivoluzione che le aziende inseguono per sintonizzarsi sui nuovi comportamenti di consumo. I mercati, infatti, richiedono cura dei dettagli, professionalità ed esclusività ed i segmenti legati al vivere bene, al wellness e all’autenticità stanno registrando successi superiori a quelli dei normali prodotti industriali. In questo le dinamiche di una parte del settore marmo ripercorrono il successo dei grandi brand della moda e del design italiani.
Competenza, virtuosismo e capacità di realizzazione Nel panorama dello stile, della moda e delle espressioni del gusto, oggi assistiamo ad un ritorno alla sostanza intesa come ricerca di consistenza di progetto ed eccellenza di prodotto. La grande riflessione che ha seguito la crisi, verte sul tema della qualità reale, che è frutto di un nuovo metabolismo della moda e delle estetiche, che si orienta sul talento del fare. Il mondo del progetto sta ristabilendo - con fatica - le sue nuove regole su parametri di autenticità, competenza, virtuosismo e capacità di realizzazione. Una sostanza, dunque, di prodotti fatti ad arte, in grado di esprimere abilità e genio, creatività ed esclusività.
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Nel mondo dello stile si vuole dunque tornare a “toccar con mano” la bellezza. La capacità di produzione estetica ed espressiva dei settori creativi affronterà così una nuova sfida, forse la più difficile: superare con un balzo le logiche dell’immagine che ne hanno sancito il lungo e universale successo, per tornare decisamente alle proprie radici di gusto attraverso dettagli, sempre più decisivi. .. i temi dell’esclusività e dell’eccellenza di prodotto e di processo, così importanti per lo stile italiano e soprattutto sempre più rilevanti per i consumatori. F. Morace, Trasformazioni nei modelli di consumo www.slideshare.net/UIP-Prato/morace-prato-paradigmi-e-tendenze, 2012
Le facciate esterne, l’arredamento dei nuovi uffici e i movimenti lenti dei carroponti che muovono le lastre nelle sempre più numerose sale esposizioni delle aziende lapidee sono il segno tangibile degli sforzi delle imprese per cavalcare questi trend. Il legame con le cave ed i loro materiali si conferma leva competitiva insostituibile ma crescono di importanza le funzioni ausiliarie che aggiungono valore d’uso: presentazioni, linguaggi estetici, precisione, certificazione, affidabilità. Di pari passo cambiano anche i profili professionali degli operatori. Insieme alla conoscenza del marmo e delle sue lavorazioni che si acquista più nella pratica sul campo che con i manuali, le aziende iniziano a cercare proprietà nei linguaggi, soprattutto quelli architettonici, e una formazione di tipo manageriale, meglio se acquisite nelle aule di istituti scolastici e università. Questa metamorfosi, per la verità, è solo iniziata e i suoi esiti non sono affatto scontati. L’imprevedibilità dei giacimenti del marmo, la globalizzazione, le mode architettoniche, le normative e le politiche per il settore potrebbero soffocare le numerose attività che stanno fiorendo attorno al mondo delle cave. Già adesso molti laboratori cercano, e sovente non trovano, gli spazi funzionali di cui avrebbero bisogno. I progetti di investimento di molte imprese sono fermi per carenza di aree o permessi urbanistici. Su un altro fronte, il persistente stallo delle opere pubbliche e le maglie strette del nuovo Piano paesaggistico non incoraggiano la ricostituzione della filiera, mentre il peso degli oneri di estrazione, che nelle Alpi Apuane sono doppi rispetto al resto della Toscana, mette i bastoni fra le ruote dei progetti di valorizzazione dei sassi e del carbonato di calcio.
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Carrara Marble Weeks 2015
Politiche e contesto generale permettendo, l’avvicinamento delle imprese più dinamiche ai mercati dei prodotti finiti dischiude un ampio spettro di strade, sin qui solo in parte esplorate, che nel giro di pochi anni potrebbero cambiare in modo sostanziale il volto del distretto. Ha già messo radici l’uso di robot nelle fasi di sbozzatura delle sculture. Laboratori artistici e artigianali li impiegano da alcuni anni; sono impianti attrezzati da piccole aziende meccaniche locali che, nonostante le dimensioni, sono riuscite a integrare automazione, informatica ed ingegneria. La domanda di copie fedeli delle statue di marmo è un segmento di mercato che potrebbe avere solide prospettive di crescita e buona parte del lavoro sarebbe svolta proprio dai robot: varie copie sono già state richieste per mettere gli originali al riparo dagli agenti atmosferici, per integrare le collezioni dei musei o in occasione dei prestiti per i pezzi che potrebbero essere danneggiati nel trasporto; pensiamo, per esempio, alla ricostruzione in scala 1:1 dei frontoni del Partenone e alla possibilità di renderne di nuovo possibile la fruizione ad Atene. Protagonisti di questi innesti sono imprese diverse rispetto a quelle tradizionali, imprese giovani e con una chiara più marcata vocazione tecnologica. La ricerca applicata ha fatto notevoli progressi; si usano scanner per l’acquisizione delle dimensioni degli originali e i relativi dati, su file, sono trasferiti ai robot per la riproduzione.
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Con un limite: le nuove tecnologie, per il momento, non sembrano in grado di sostituire la mano e la sensibilità dell’uomo nella levigatura e nella cura dei dettagli. Le innovazioni di processo verosimilmente faranno recuperare competitività al distretto nelle produzione di oggetti di design e per l’arredo urbano; da sole, tuttavia, potrebbero non essere sufficienti. Servono, infatti, anche adeguate reti distributive, fisiche e virtuali. La strada da percorrere è ancora lunga ma fortunatamente nel distretto non mancano imprenditori, giovani e meno giovani, che hanno raccolto il guanto di questa sfida. Novità forse più radicali si prospettano sul fronte degli impieghi dei sottoprodotti della estrazione dei blocchi: sassi, granulati e carbonato di calcio. Alcune aziende stanno sperimentando l’uso di polveri di marmo, opportunamente miscelate a resine o malte, nella stampa addizionale; qui le applicazioni sono praticamente infinite. Chi ha visitato recentemente i laboratori artistici tra Carrara e la Versilia, ha potuto osservare che i gessi storici spesso sono affiancati da riproduzioni di piccoli modelli di sculture famose ottenuti con stampanti 3D.
Cave, sassi e stampanti 3D Olivetti non ci mette soltanto il nome: la sua nuova e prima stampante 3D sarà prodotta interamente in Italia, o meglio in quel Canavese che è stato culla della storica azienda nata nel 1908 e oggi parte del Gruppo Telecom. Presentata all’evento internazionale Maker Faire, in corso all’Università La Sapienza di Roma, la 3D-S2 è un modello destinato alle piccole e medie imprese che da sempre sono la clientela di riferimento di Olivetti. Secondo uno studio della fondazione Make in Italy, attualmente un terzo delle grandi imprese manifatturiere italiane ha già adottato la stampa 3D. I numeri iniziano dunque a diventare interessanti, ma i margini di crescita sono ancora molto ampi. Una delle caratteristiche della nuova stampante è la sua flessibilità d’uso: può creare oggetti a partire da diversi tipi di materiale termoplastico come plastica, resina e nylon, ma anche con legno, vetro, carbonio e marmo. L’ampiezza dell’area di stampa è tale da consentire la creazione di oggetti di dimensioni notevoli, fino a un massimo di 40x40x40 centimetri. Sul fronte del software, la presenza di Arduino riduce i costi grazie all’approccio open source. http://www.ictbusiness.it/cont/news/olivetti-entra-nel-mondo-del-3d-printing-e-stampaanche-in-marmo/35692/1.html
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La nuova frontiera dell’industria delle cave parla in “digitale”. E lo fa con una stampante 3D. Un potenziale per le aziende estrattive e quelle di trasformazione dei lapidei che trovano nel distretto del marmo di Orosei il vero fiore all’occhiello dell’isola, con un fatturato di oltre 150 milioni di euro all’anno, ventidue imprese attive e circa mille addetti ai lavori, che operano nei principali mercati delle rocce ornamentali dove l’85 per cento del fatturato proviene dall’export. L’occasione per la riflessione sui nuovi orizzonti offerti dalle nuove e rivoluzionarie macchine digitali è l’evento “Le opportunità della fabbricazione digitale nel settore estrattivo, lapideo e delle pietre ornamentali” promosso dalla Confindustria Sardegna. Un progetto innovativo che a breve si concretizzerà nella creazione di un Fab Lab. Un potenziale strategico per il settore dei lapidei che si libera definitivamente dalla dittatura imposta dai materiali utilizzati, attraverso la sperimentazione di nuove miscele dove gli scarti delle polveri di marmo, basalto o trachite miscelati con appositi collanti creati ad hoc possono dar vita a una produzione parallela che genera economia e abbatte gli alti costi di smaltimento. Dalla polvere delle pietre estratte si può creare davvero di tutto e non ci si deve meravigliare se si parla di sedie fatte di marmo flessibile. La Nuova Sardegna Nuoro, 28 Maggio 2015 Carmine Deganello e Pietrasanta Industries hanno sviluppato le potenzialità Marmo Fluido, un materiale termoplastico composto da polvere di marmo e resine naturali, liquido ad alte temperature, ma duro come la roccia una volta raffreddato. Nel cortile interno dello Spazio Rossana Orlandi, grazie anche all’intervento di nove designer internazionali, Marmo Fluido ha dato prova della sua malleabilità, attraverso l’uso degli stampi più diversi: in pelle, legno, cartone e addirittura in ghiaccio. I pezzi unici che ne sono usciti, in vendita presso lo showroom milanese, sono rigorosamente riciclabili dato che non contengono componenti sintetiche o tossiche. http://www.abitare.it/it/design/eco-design/2015/06/01/nuove-idee-design-per-non-sprecaremarmo/
In molte applicazioni di frontiera legate alla stampa addizionale e ai sistemi di scansione tridimensionali gli investimenti non sono particolarmente elevati e non costituiscono un handicap per imprese prevalentemente piccole come quelle del distretto. Per tutti ricordiamo l’azienda di Pietrasanta che ha creato “marmo fluido”, miscela di polvere di marmo e resine naturali, liquida ad alte temperature ma dura come la roccia se raffreddata, e quella di Carrara che produce speciali mattoni bianchi (“martone”) utilizzando le polveri delle operazioni del taglio dei blocchi e delle lastre.
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Tessuti con polvere di marmo Alice Zantedeschi, 26 anni, studentessa di moda al Politecnico di Milano, ha avuto l’idea di rendere «indossabile» la polvere di marmo. La scelta è ricaduta sulla celebre pietra veronese per la duttilità della materia, che può essere polverizzata e combinata con il poliuretano. L’aggiunta della grana di marmo a organza o lycra produce sfumature rosate che il tessuto «non trattato» non presenta. Il brevetto del nuovo prodotto, ribattezzato Veromarmo, è già stato depositato. «Per la laurea in Design del sistema moda al Politecnico di Milano mi mancava solo la tesi -racconta- non avevo nulla di chiaro in mente». Per i primi esperimenti si è rivolta ad alcune aziende … che le hanno fornito il materiale di partenza, sassi di marmo e poliuretano. «Ho reso il marmo “indossabile”, aggiungendo della polvere del sasso alla resina di poliuretano utilizzata nel settore dell’abbigliamento, in quello sportivo in particolare».. «Si può utilizzare anche il marmo bianco, tipico di Carrara -spiega-. oppure unire alla polvere del colorante artificiale, ma in questo caso l’effetto è meno naturale». Con i suoi cinque prototipi - due cappotti e tre impermeabili - la 26enne è stata invitata lo scorso anno al Carrara Marble Weeks e alla scorsa edizione della fiera Marmomacc ed è stata selezionata per il programma di finanziamento di startup ImpresaxImpresa di Confindustria Verona, dove «Veromarmo» è stato scelto tra duecento progetti candidati. C. Pisani http://corriereinnovazione.corriere.it/2015/10/02
Un esempio curioso e ingegnoso al tempo stesso viene da un’impresa italiana che, su un sottile film di plastica, ha applicato nano polveri di marmo di Carrara ottenendo salviette particolarmente efficaci per la pulizia delle lenti degli occhiali e degli schermi di PC e smartphone.
Morbide salviette di marmo Glossy, il nuovo brevetto Plastik Textile per la pulizia di superfici vetrose. La salvietta asciutta per garantire la massima pulizia rispettando la superficie delle lenti ed il trattamento antiriflesso, non lascia aloni, non sporca le mani, assorbe l’unto e il grasso. Nata da una sofisticata tecnologia, Gloossy è costituita da una pellicola plastica microforata, che contiene del carbonato di calcio ottenuto dal purissimo marmo di Carrara. Una miscela sapientemente equilibrata e stirata per permettere alle microparticelle di carbonato di creare dei pori dove il grasso e lo sporco si concentrano. Le particelle minerali sono rivestite da una sostanza protettiva che evita strisciamenti o abrasioni sulle superfici vetrose e lisce. Il processo di produzione prevede un riscaldamento della miscela e uno stretching per orientare le molecole. http://www.plastik.it
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L’ultima tappa di questo viaggio nel mondo delle pietre si divide tra un rapido sguardo alle prospettive del settore e un invito a chi ne impone o ne chiede pesanti limitazioni. Il 22 gennaio 2014 la Commissione UE, con l’Industrial Compact, ha fissato come obbiettivo primario per i prossimi anni l’aumento del peso dell’industria sul PIL europeo dall’attuale 16% al 20%. L’industria, infatti, vale molto di più del semplice numero dei posti di lavoro e del valore aggiunto generati direttamente: è la fucina della nostra propensione ad esportare e una sorgente di innovazioni; tra le sue imprese i rapporti di lavoro sono più stabili e duraturi; i “piani industriali”, infine, si sono affermati come efficace strumento gestionale anche nelle banche, nelle aziende sanitarie e negli enti pubblici.
I profumi del marmo
Una società che non crede nei suoi settori industriali è condannata a una bassa crescita e se smarrisce il know how di un settore, non solo è molto difficile che lo ritrovi, ma questo spesso inibisce la dinamicità dei comparti contigui. La sfida dell’Industrial Compact per l’Italia non può che partire dalle cose che già abbiamo e sappiamo fare.
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Spostando di nuovo l’attenzione dal caso di Carrara a quello nazionale, nel settore della estrazione e della lavorazione delle pietre il nostro Paese è leader a livello internazionale. Più di 10000 imprese con un’occupazione totale di 68000 addetti. Insieme alla meccanica delle pietre dà vita ad una filiera con un saldo commerciale attivo per 1,6 miliardi di €. L’industria lapidea presenta un altro tratto distintivo per proporsi come uno dei motori di crescita: è saldamente ancorata al territorio. I poli dove si estraggono le pietre ornamentali sono circa sessanta; almeno dieci sono organizzati in distretti territoriali con una elevata densità imprenditoriale: Botticino (marmo), Carrara-Versilia (marmo), Trentino (porfido), Orosei (granito), Custonaci (marmo), Tivoli (travertino), Verona (marmo), Monti Ausoni (marmo), Apricena-Trani (calcare), Verbano-Cusio-Ossola (marmo), Luserna (calcare), Alto Adige (pietre naturali).
Belli e ben fatti La città, i paesaggi, le opere d’arte, il made in Italy, la creatività. Tutto ruota attorno alla bellezza, che è la principale caratteristica che il mondo riconosce all’Italia. Questa percezione talvolta supera la realtà, ma resta il fatto che la bellezza diffusa nel Paese si trasmette all’originalità e alla curata fattura che contraddistinguono i prodotti belli e ben fatti. Tanto da far coniare l’espressione artigianalità industriale, che può suonare come un ossimoro. Ma non lo è affatto. Cosa è il bello e ben fatto italiano? E’ l’insieme di quei beni di consumo di fascia medio-alta che si differenziano per il design, la cura, la qualità dei materiali e delle lavorazioni. Centro studi Confindustria, Prometeia, Esportare la dolce vita Expo Milano, maggio 2015
Se questo viaggio è riuscito a tracciare un senso (ovvero significato e direzione nello stesso tempo) al mondo delle pietre, l’invito per gli amministratori è di scrostare migliaia di norme improntate alla diffidenza verso le imprese del settore, al rigetto del rischio di impresa e alla rimozione del merito; per i comitati e i gruppi di opinione è di mettere da parte i toni aggressivi, di smorzare l’uso continuo di iperboli, di rinunciare alla violenza verbale. Il settore estrattivo può fare di più per la sfida ambientale e paesaggistica e per l’uso responsabile delle risorse ma perché questo accada ha bisogno di sentire attorno a sé una comunità che considera le cave, le professionalità dei loro lavoratori, i saperi materiali e il gusto per le cose belle e ben fatte come patrimoni e valori da difendere.
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Andrea Balestri Dal 2003 fino alla fusione con quella di Livorno (2016), ha diretto l’Associazione Industriali di Massa Carrara dove svolge tuttora le funzioni di coordinatore. E’ stato segretario di Pratofutura e del Club dei distretti industriali ed ha lavorato nei centri studi dell’Unione Industriale Pratese e della Federazione Confindustria Toscana. Laureato all’Università di Firenze, si è specializzato presso l’ISTAO (Ancona) e le Università di Edinburgh e Lancaster dove ha conseguito l’M. Phil. in Economics. Ha pubblicato monografie sui distretti e il sistema moda e articoli su riviste di sviluppo locale e management.
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