La stimolazione cognitiva nell’anziano. Percorso formativo di potenziamento delle funzioni mnesico attentive e di consolidamento della metacognizione in relazione agli stili di vita adottati. E’ stato scritto che essere attivi è il miglior trattamento per rallentare l’invecchiamento, senza ricercare l’impossibile immortalità o il Santo Graal della longevità! D’altra parte “living longer, living better?” O l’obiettivo non è piuttosto quello di aumentare il numero di anni di vita in buona salute? Parlando in generale, grandi studi longitudinali e indagini sul training fisico e cognitivo hanno dato risultati positivi sia in ambito sperimentale sia nell’uomo attraverso numerose modalità quali camminare a passo svelto, andare in bicicletta, nuotare e finanche in modo non strutturato, durante il tempo libero, oltre allo stile di vita ed all’alimentazione (v. per es. Ball e coll JAMA 2002, sull’efficacia del memory training e gli studi Paquid, Nun, Kungsholmen; gli art. di Verghese 2003, Wilson 2002, Scarmeas 2001 ecc.). Tutto ciò non ha avuto ancora la validazione definitiva avendo a disposizione solo dati empirici nella valutazione del dato su anziani “normali”, dove per normali si intende non affetti da patologie. I recenti studi prospettici sull’invecchiamento e la cognitività hanno, infatti, messo in luce come le attività piacevoli possano rallentare il decadimento cognitivo nella popolazione anziana: chi abitualmente svolge attività mentali e mantiene intense relazioni sociali dimezza il rischio relativo di demenza rispetto a chi pratica attività di piacere in misura minore. Uno studio controllato ha mostrato come un training cognitivo specifico nell’anziano normale possa ridurre il declino delle abilità mentali. Quindi, un’attività cognitiva costante proteggerebbe dal decadimento cognitivo sia perché l’esercizio rinforzerebbe alcune abilità rendendole più efficienti e meno vulnerabili, sia per una compensazione dei processi cognitivi residui. Si è osservato che il complesso delle modificazioni biologiche che il cervello subisce con l’età si accompagna ad un progressivo calo dell’efficienza cognitiva. Tutte le funzioni intellettive subiscono un’involuzione anche se l’entità di tale involuzione non appare omogeneamente distribuita. In una rappresentazione generale delle funzioni cognitive che prevede una distinzione in “processi” (efficienza dei meccanismi che provvedono
al
processamento
dell’informazione)
e
“prodotti”
(accumulo
di
conoscenza acquisita attraverso i processi), l’ageing cognitivo sembrerebbe definibile soprattutto nei termini di una progressiva riduzione dell’efficienza dei processi, con relativa stabilità dei prodotti. Le teorie più influenti sulla natura dell’invecchiamento cognitivo tendono ad escludere che esso sia la risultante di molteplici deficit che coinvolgono contemporaneamente i vari domini cognitivi, privilegiando ipotesi che assumono deficit singoli, sovramodulari, in grado di riflettersi su molte funzioni cognitive. Tre sono fondamentalmente i meccanismi ipotizzati per giustificare il complesso dei cambiamenti
che
intervengono
nell’invecchiamento
cognitivo
normale,
non
escludendo possibili combinazioni o interazioni tra questi: 1) il calo della velocità del processamento dell’informazione: se il tempo disponibile per un determinato processo è limitato, una larga proporzione di questo tempo verrà impiegata per le operazioni iniziali, e sottratta pertanto alle operazioni più tardive che non potranno quindi essere portate a termine; inoltre i prodotti delle operazioni iniziali tenderanno a decadere, non rendendosi più disponibili per il completamento dei processi. 2) il calo della risorsa disponibile in ogni determinato momento, per il processamento dell’informazione tale risorsa, vale a dire la quantità di “energia mentale” utile per processare ed immagazzinare informazione, viene identificata con la “working memory”. La teoria sul declino della risorsa mentale ha un rilevante riscontro pratico, in quanto suggerisce la possibilità che un soggetto anziano possa essere facilitato durante un compito cognitivo da un contesto che provveda a fornirgli un supporto esterno; 3) la ridotta efficienza dei processi inibitori
con l’età si assisterebbe ad una
progressiva riduzione dell’efficienza nel mantenimento dell’attenzione sugli stimoli rilevanti unitamente ad una aumentata difficoltà nell’inibizione dell’interferenza generata dagli stimoli irrilevanti. In termini generali questo spiega perché l’anziano sia più facilmente distraibile e perché esso possa assumere comportamenti talora inadeguati al contesto sociale. A sostegno dell’utilità del training cognitivo nell’anziano normale si pone l’evidenza del rapporto più volte dimostrato tra partecipazione ad attività intellettiva e incidenza della demenza. Studi retrospettivi e prospettici (baltes e lang)sono concordi nel sostenere che l’incidenza della demenza, in particolare della demenza di Alzheimer, è inferiore nei soggetti impegnati nel loro contesto ambientale, in attività intellettivamente stimolanti di varia natura.
Ugualmente rilevante nel ridurre il rischio di demenza, seppur solo parzialmente e/o indirettamente collegabile all’attività intellettiva in senso stretto, appare la partecipazione ad attività “ricreative” (lettura, parole crociate, applicazione ad uno strumento musicale, gioco delle carte, ecc.) (Prigatano , Wilson). La cosiddetta teoria della “riserva mentale” che dilaziona l’esordio della sintomatologia demenziale in soggetti esposti a stimolazione cognitiva offre una possibile spiegazione a questa serie di osservazioni. Nonostante il costrutto teorico alla base dell’invecchiamento cognitivo sia piuttosto solido, la gran parte dei lavori che riporta dati sui training cognitivi nell’anziano normale muove, come già citato, prevalentemente da basi empiriche, vale a dire delle numerose osservazioni cliniche della ridotta efficienza cognitiva dell’anziano, soprattutto nel dominio della memoria. Nell’invecchiamento normale, così come nella patologia, il declino della funzione mnesica rimane uno degli aspetti più studiati. Sappiamo tuttavia che la memoria è una funzione complessa, articolata in molteplici sottocomponenti che possono dimostrare differente sensibilità agli effetti del danno neurologico e del normale invecchiamento. Nell’invecchiamento normale le varie componenti della memoria non subiscono infatti un declino omogeneo. Molto in generale, possiamo dire che la cosiddetta memoria procedurale, intesa come l’insieme dei processi di apprendimento implicito, cioè in larga parte automatizzati che richiedono pertanto una scarsa partecipazione attiva da parte del soggetto, rimanga nel tempo sostanzialmente indenne . Al contrario, la memoria esplicita, che comprende processi di rievocazione e riconoscimento in larga parte volontari, sarebbe la componente che più risente dell’effetto dell’invecchiamento. Questo spiega perché la memoria episodica, in gran parte processo attivo, sia tra le componenti più sensibili all’aging cognitivo. In una non recente review sul trattamento non farmacologico del decadimento mnesico nell’anziano normale
veniva già
riconosciuta l’efficacia del training cognitivo nel ripristinare una adeguata efficienza intellettiva, non solo nel dominio della memoria. Il training della memoria si è confermato efficace anche in una metanalisi che ha preso in considerazione soggetti ultrasessantenni . In questa come in altre metanalisi , l’efficacia del training appare potenziata se i soggetti vengono preventivamente istruiti all’uso di strategie rivolte a facilitare l’apprendimento. Il ruolo delle strategie è ulteriormente confermato da studi che dimostrano come la capacità di memorizzare sia migliore nei soggetti che si mostrano capaci di applicare strategie più o meno complesse. Il ricorso a strategie volontarie tuttavia sembrerebbe
poco praticabile per i soggetti più anziani ed alcuni autori suggeriscono di ricorrere a tecniche basate sull’apprendimento implicito . Rimane comunque da stabilire se l’efficacia del training sulla funzione mnesica, ancorché positiva, si protragga nel tempo e si estenda a compiti ecologici. Una dimostrazione in tal senso sembra provenire da un recente lavoro di Cavallini e collaboratori. La gran parte degli studi sul training cognitivo degli anziani riguarda la funzione mnesica. Più di recente tuttavia un’attenzione particolare è stata rivolta a programmi di training che prendono in considerazione la velocità del processamento dell’informazione. Come già riferito, il declino della velocità del processamento è una delle ipotesi formulate per interpretare nel suo complesso l’aging cognitivo. In particolare, vanno citati gli studi di Jobe et al. e Ball et al. che confermano l’estensione degli effetti positivi del training cognitivo alla vita quotidiana, con miglioramento complessivo dell’autonomia e dell’efficienza in attività anche impegnative quali la gestione delle finanze, la preparazione del cibo, l’abilità nella guida e l’uso dei farmaci. Altri fattori, inoltre,
possono avere un ruolo nel condizionare le performance
dell’anziano sul piano cognitivo sono le caratteristiche di personalità , le risorse psicosociali , le modalità di coping , gli aspetti metacognitivi che giocano un ruolo fondamentale nell’estensione dei meccanismi utilizzati ,
nonché lo stile di vita
(alimentazione, attività fisica, fumo, stress), i farmaci, il lavoro, la solitudine, le condizioni economiche. Infine occorre sottolineare che la mera conoscenza degli ausili non è sufficiente ma sono necessari una specifica conoscenza delle strategie efficaci, un addestramento guidato e una pratica sostenuta. Meritano infine di essere citati alcuni lavori che riportano benefici anche sul piano intellettivo con programmi di che non prevedono esplicitamente interventi sulle funzioni cognitive ma risultano esclusivamente basati su esercizi di natura fisica (ad esempio, facilitazione del movimento e incremento della forza muscolare). In conclusione, la maggioranza degli studi sull’efficacia del training cognitivo e motorio riportano risultati positivi. Le premesse di tali studi tuttavia rimangono in larga parte empiriche, non avvalendosi esplicitamente delle ipotesi correnti sulla natura del declino intellettivo nell’invecchiamento normale. Spesso il miglioramento rimane circoscritto alla funzione esercitata, non si mantiene sufficientemente nel tempo, e solo in alcuni casi vi è chiara dimostrazione dell’estensione dei benefici alla vita quotidiana.
Nel complesso i lavori considerati sembrerebbe suggerire l’utilità di intervenire con programmi
di
training
complessi,
che
prendano
in
considerazione
contemporaneamente molti campi della cognizione e includano anche attività non strettamente cognitive. Per la prevenzione abbiamo dati veramente sconvolgenti sull’efficacia degli stili di vita. Riassuntivo di tutto si può mettere l’effetto quasi magico dell’attività, sia fisica che mentale, ma anche il ruolo delle emozioni positive legate agli svaghi. Si possono infatti davvero citare una massa
di dati, al riguardo, tenendo conto che da molto tempo nelle riviste
scientifiche degli effetti benefici dell’attività non si parla più come di un problema scientifico, ma come un problema politico e sociale. Per fare qualche esempio riferito specificamente alla prevenzione della demenza e della malattia d’Alzheimer. Uno studio canadese, su oltre 4.500 ultra 65enni, seguiti per 5 anni, ha dimostrato che alti livelli d’attività fisica si associavano ad una riduzione dei disturbi cognitivi e della demenza, rispetto ai sedentari, di circa il 50% E questo con livello d’attività corrispondente ad un esercizio tre volte alla settimana appena più intenso del semplice cammino. Non solo le attività cognitive, ma anche le attività “piacevoli” e di divertimento (leggere, giocare a giochi da tavolo, suonare strumenti musicali, danzare) risultano più protettive dell’attività fisica nei confronti dati confermati da altri studi simili in cui lo svago con attività almeno due volte la settimana nella mezza età, riduceva del 48% la demenza e del 38% la malattia d’Alzheimer11. E’ bene notare che nella maggioranza dei casi si tratta di studi longitudinali e prospettici, e quindi molto affidabili nello stabilire le associazioni con i fattori di rischio e di protezione. della demenza: ogni punto guadagnato in queste attività riduce il rischio di demenza dello 0.07%10; Obiettivi L’obiettivo
che si pone questo tipo d’intrvento è di avviare un processo di
conoscenza e approfondimento delle capacità mnesiche nel soggetto anziano, di approfondire gli aspetti implicati nel processo di memorizzazione e i fattori che incidono sul mantenimento delle abilità cognitive (stile di vita, esercizio fisico, esercizio cognitivo), anche attraverso l’utilizzo di una metodologia di tipo ecologico. La letteratura che riguarda gli interventi riabilitativi, rivolta alla funzione mnesica (Backman, 1992), sottolinea l’importanza degli aspetti motivazionali: il trattamento
riabilitativo, infatti, ottiene maggiori risultati quanto più è rivolto all’apprendimento di informazioni rilevanti per la vita del paziente. Oltre a ciò si lavorerà nell’intento di acquisire nuove strategie di elaborazione dell’informazione (mnemotecniche), e su un’intensa attività di stimolazione con esercizi specifici. Strutturazione dell’intervento L’intervento prevede un ciclo della durata di dieci settimane con due incontri settimanali di rielaborazione e acquisizione di strategie cognitive e metacognitive di gruppo della durata di 120 minuti circa, rivolto ad un gruppo di 6-8 persone. Gli incontri saranno tenuti da psicologi con formazione in ambito neuropsicologico. Il training cognitivo che andiamo a proporre si articola in tre diverse parti: -la prima è rappresentata da una fase valutativa in cui si analizzano i criteri di inclusione del soggetto nel training cognitivo proposto -la seconda presenta una parte teorica sul funzionamento della memoria, sulle sue basi biologiche, sulle caratteristiche dell’invecchiamento e sui vari metodi usati per migliorarne le potenzialità. -la terza parte, parte operativa, propone una serie di esercizi e di attività, interessanti e dotate di particolare significato personale, che possono aiutare a conservare l’efficienza mnestica o a recuperarla
Criteri di inclusione Verranno inclusi nel training soggetti adulti con più di 65 aa di età presenteranno
disturbi
della
sfera
cognitiva
oggettivati
dalla
che non
valutazione
neuropsicologica di screening che verrà loro proposta in fase iniziale. Verranno inoltre, esclusi dal training coloro che, pur in presenza dei criteri di inclusione sopra menzionati, presenteranno punteggi alla GDS (Geriatric Depression Scale) indicativi della presenza di uno stato depressivo moderato o grave. Valutazione dell’efficacia del training Per la valutazione dell’efficacia dell’intervento è stato individuato un protocollo di valutazione neuropsicologica e strumentale che permetta di quantificare il raggiungimento dei nostri obiettivi primari, vale a dire la ricaduta dal punto di vista cognitivo, funzionale ed ecologico. Tale valutazione verrà effettuata nella fase di iniziale (tempo 0), finale (tempo 1) e a distanza di 6 mesi dall'avvio dell'intervento(tempo 2).
Staff esecutivo del progetto Dott.ssa Melotto Giada, psicologo-psicoterapeuta Dott.ssa Pollero Valeria, psicologo-psicoterapeuta- perf. neuropsicologia
Durata del training cognitivo : Il training
prevede 10 incontri della durata di 2 ore ciascuno. Oltre
che una
valutazione neuropsicologica della durata di 1 ora ca. in fase iniziale , finale e a sei mesi dalla conclusione dell’intervento per ognuno dei soggetti coinvolti. 9 Durata complessiva in ore: 64 ore 9 Durata di ogni incontro: 2 ore 9 Numero complessivo di incontri: 10 incontri 9 Periodicità degli incontri: bisettimanale 9 Durata prevista per le fasi valutative di ogni partecipante: 3 ore 9 Numero partecipanti gruppo di intervento: 6-8.