LA «PRESA DI PAROLA» NELLE ESEQUIE ` , INDICAZIONI SITUAZIONE, OPPORTUNITA
Paolo Sartor
Mentre mi accingevo a stendere queste note, il teleschermo trasmetteva le immagini delle esequie di alcuni soldati italiani uccisi in Iraq. La celebrazione dei «funerali di stato» era presieduta dall’Ordinario militare, che stava leggendo un’omelia alquanto misurata nei toni e densa di contenuti tratti dalle Scritture e dall’insegnamento della Chiesa. Raramente ho visto applicare in maniera cosı` fedele l’indicazione del Rito delle esequie promulgato dopo il Vaticano II, che chiede di tenere «una breve omelia, evitando pero` lo stile di un elogio funebre» 1. In effetti il presule e` riuscito a parlare con tono misurato, sobrio, teso piu` alla sostanza del messaggio di fede che alla commemorazione dei caduti; mi domandavo pero` se la signorilita` del tratto e la pacatezza dell’eloquio non potessero risultare in qualche modo «freddi» alle persone presenti al rito, in particolare ai familiari dei militari defunti. Lo stesso RE, del resto, non disgiunge la proclamazione del significato salvifico della Pasqua di Cristo dall’esigenza che tale significato sia colto come messaggio consolante dagli uomini e dalle donne: «La liturgia cristiana dei funerali e` una celebrazione del mistero pasquale di Cristo Signore. Nelle esequie la Chiesa prega che i suoi figli, incorporati per il battesimo a Cristo morto e risorto, passino con lui dalla morte alla vita [...]. E` per questo che la Chiesa, madre pietosa, offre per i defunti il sacrificio eucaristico, memoriale della Pasqua di Cristo, e innalza preghiere e compie suffragi; e poiche´ tutti i fedeli sono uniti in Cristo, tutti ne risentono vantaggio: aiuto spirituale i defunti, consolazione e speranza quanti ne piangono la scomparsa» (RE, Premesse, 1)
All’equilibrio estremo e alla totale assenza di pathos nell’omelia ricordata devono aver contribuito non poco la ripresa televisiva e l’amplificazio1 Rito delle esequie, CEI, Roma 1974 (ed. typ. 15 agosto 1969), n. 63 (Esequie degli adulti - Celebrazione della messa). Sulla stessa linea anche i nn. 69 (Esequie degli adulti - Senza la messa: = n. 63), 95 (Esequie degli adulti - Al cimitero senza la messa: «Si tenga una breve omelia, a meno che non si faccia presso il sepolcro»); 131 (Esequie dei bambini - Celebrazione con la messa: «Si tenga una breve omelia»), 137 (Esequie dei bambini - senza la messa: = n. 95). D’ora in poi si indichera` il rituale con la sigla RE (quello della Liturgia ambrosiana con la sigla RE-Ambr).
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Rivista Liturgica
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ne mediatica ormai attesa per le prediche dei funerali di stato. Ma cio` che conta e` rilevare l’esigenza di un annuncio davvero significativo, condotto con una modalita` che rispetti la natura dell’omelia liturgica, in un contesto sociale e culturale che non pare certo il piu` adatto ad accogliere la riflessione su «la visione cristiana della morte, la preparazione alla morte, la serieta` della morte» 2.
1. L’AFASIA CONTEMPORANEA SUL MORIRE
Non e` questa la sede per una considerazione approfondita delle difficolta` che il tema della morte propone alla coscienza cristiana e alla stessa pastorale; e` pero` evidente che difficolta` e lacune sono da ricollegare all’ostinata rimozione del pensiero della morte nella cultura corrente. In particolare la «medicalizzazione» del momento del morire 3, aggiungendosi alla diffusa privatizzazione della famiglia e alla connessa declinazione solo affettiva dei rapporti familiari, conduce a pensare che tale contemporanea rimozione non sia operazione meramente formale 4. Non stupisce, quindi, di poter riscontrare una tendenziale e almeno parziale afasia del discorso cristiano sulle cose ultime, riscontrata anche a un’analisi recente di vari testi catechistici, dove dall’ars moriendi si passa alla raccomandazione del vivere buono e alla considerazione delle realta` escatologiche, ignorando pero` il morire in se´ stesso 5.
2 Come sottolinea l’editoriale La morte e il dono di se´, in «La Rivista del Clero Italiano» 73 (1992) 722-724: 722. 3 «In una societa` nella quale ‘‘si nasce in una clinica e si muore in un ospedale’’ (Auge´) la morte non solo e` sempre meno vista nel suo lato brutale e impotente [...] ma essa e` sempre di piu` letta e percepita (cioe` culturalmente interpretata) come una scelta deliberata dei soggetti dinanzi a un organismo che ‘‘oggettivamente’’ non puo` piu` operare in modo umano. [...] La struttura ospedaliera, la degenza e le analisi specialistiche, il tentativo di ricorrere a un intervento chirurgico, il sorgere di complicazioni, permettono di situare il decesso come una sorta di evento inevitabile, in qualche caso preferibile allo stato di malattia e a scenari comunque sempre piu` problematici connessi al suo aggravarsi»: S. ABBRUZZESE, Domanda simbolica e contesti di razionalizzazione nella gestione dell’evento morte, in «Ambrosius» 79 (2003) 111-125: 114-115. 4 Al riguardo, si veda la ricognizione fenomenologica proposta a suo tempo da CONSIGLIO PRESBITERALE MILANESE, Nascere e morire in Occidente, in «La Rivista del Clero Italiano» 72 (1991) 325-343.406-417: 407-409. La riflessione si richiama, tra l’altro, alle opere dello storico PH. ARIE`S (soprattutto L’uomo e la morte dal Medioevo a oggi, Laterza, Bari 1985 2) e della psicologa E. KU¨BLER-ROSS, La morte e il morire, Cittadella, Assisi 1976. 5 Cf. E. COMBI, Quando corpus morietur. Per un approccio catechistico alla morte, in «Ambrosius» 79 (2003) 151-173.
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Ora, sarebbe sorprendente se su questo punto la celebrazione cristiana si distanziasse di molto dalla catechesi, dato che il referente contenutistico non cambia (quello che possiamo chiamare il «sapere» del liturgo-omileta-catecheta). Rispetto alla considerazione catechistica, occorre pero` introdurre una variabile propria della liturgia: il fatto che esiste un «luogo» deputato all’annuncio circa la morte e la speranza cristiana, ed e` appunto la celebrazione liturgica delle esequie. In proposito X. Durand rammenta che non e` infrequente, da parte dei preti, intendere le esequie come luogo privilegiato di evangelizzazione, sia nei confronti di coloro che non praticano la fede cristiana, sia nei confronti di quanti normalmente frequentano. Infatti «tous les pasteurs savent [...] la difficulte´ de ceux qui se disent chre´tiens a` entrer dans un language de foi en la re´surrection des morts» 6. In particolare, richiamandosi al RE, l’autore francese fa notare l’incoerenza tra l’invito a tener conto della varieta` delle assemblee riunite ai funerali cristiani e la laconicita` in merito all’omelia, che pur potrebbe avere qualche carta da spendere per favorire una reale attenzione alla diversificazione dell’assemblea. Non a caso, tra le non frequentissime occasioni nelle quali i media si occupano di liturgia e di omelia, vi e` – almeno in Italia – la gia` menzionata situazione della predica tenuta durante eventi luttuosi di portata tale da meritare l’attenzione della stampa e della televisione. Talvolta, anzi, sembra che spetti appunto alla sola omelia di offrire il senso di quanto sta avvenendo, e percio` le parole del presidente dell’assemblea vengono sottoposte a vaglio accurato alla ricerca di qualche frase «memorabile» o almeno degna di menzione in un articolo o un servizio radiotelevisivo. 2. UNA PRESA DI PAROLA DISTRIBUITA IN PIU` MOMENTI
I giornalisti probabilmente rimarrebbero stupiti nell’apprendere che l’omelia e` solo uno dei momenti di «presa di parola» previsti nella celebrazione delle esequie: essa ha certamente la funzione di esprimere un senso per coloro che partecipano al rito, ma unitamente e in armonia con la scelta e la proclamazione delle letture scritturistiche, con l’esecuzione delle monizioni previste, con la gestione dei momenti di preghiera dei fedeli e di commiato. Ne consegue che per comprendere lo statuto di questa particolare omelia occorre riferirsi a quanto viene affermato a proposito della Liturgia della Parola, che per il RE ha un ruolo importante, perche´ «proclama il mistero pasquale, nutre la speranza di ritrovarsi nel regno, manifesta i legami profondi che uniscono i morti ai vivi ed esorta alla testimonianza della vita cristiana» 7. Ecco allora che, in continuita` con queste indicazioni, l’omelia funebre dovrebbe favorire il passaggio dal mistero pasquale annunciato dalle letture 6 X. DURAND, Pre´dication de laı¨cs aux fune´railles, in «La Maison-Dieu» 227 (2001) 137-146: 139. 7 RE, n. 88.
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bibliche alla testimonianza attuale della fede, attraverso la misteriosa comunione tra vivi e morti. D’altra parte, vale per il Lezionario delle esequie, e quindi per l’omelia, quanto annota F. Brovelli in margine all’esame dell’intero RE: «Il problema consiste non nella trasposizione meccanica [...], bensı` nello sforzo di far vivere nella concreta celebrazione il clima, i valori e le prospettive coi quali la Chiesa d’oggi intende porre la testimonianza della fede e della comunione di fronte alla realta` della morte» 8.
Sotto questo profilo della «creazione di un clima» nell’assemblea, colpisce il fatto che i Praenotanda non prevedano, a livello di omelia liturgica dei funerali, un intervento piu` «personale» da parte del celebrante. Come scrive ancora Durand, un’ipotesi interpretativa potrebbe essere che «une prise de parole personnelle et personalise´e est a` re´partir tout au long de la ce´le´bration ou` la pre´sence est d’autant plus vive qu’elle devient absence et se´paration. La monition d’ouverture (mot d’accueil), le commentaire homile´tique de la parole de Dieu, l’invitation au dernier adieu me´nagent plusieurs moments ou` peut eˆtre rappele´e simplement mais clairement la graˆce du myste`re pascal pour l’espe´rance des hommes confronte´s a` la mort d’un proche ou d’un ami 9.
Queste considerazioni aiutano a non dissociare mai l’omelia dal suo contesto, ovvero dall’intera liturgia esequiale. Il problema della predicazione liturgica della morte si trova cosı` precisato come quello delle opportunita` e delle difficolta` di una presa di parola (del presidente, ma anche dei lettori, del commentatore e dei fedeli stessi) durante la celebrazione cristiana della morte. Tale precisazione corrisponde del resto alla connotazione specificamente cattolica del culto cui ci riferiamo. In effetti, come scrive un autore protestante, «nella tradizione riformata la liturgia non ha mai avuto gran peso: il culto protestante e` centrato sulla parola, parola letta, parola spiegata, parola predicata»; al contrario, «nella tradizione cattolico-romana e` la celebrazione eucaristia durante la messa a costituire il centro e non l’omelia» 10. 3. UNO SGUARDO ALLA SITUAZIONE
Se passiamo dalle indicazioni di principio – gia` non abbondantissime – alla realizzazione pratica, sarebbe prezioso poter disporre di qualche verifica empirica relativa all’insieme della celebrazione esequiale, cosa che invece non 8 F. BROVELLI, Esequie, in D. SARTORE- A.M. TRIACCA (edd.), Nuovo dizionario di liturgia, Paoline, Roma 1984, pp. 463-476, qui p. 471. 9 DURAND, Pre´dication de laı¨cs, cit., p. 140. 10 E. GENRE, Introduzione, in D. BONHOEFFER, La Parola predicata. Corso di omiletica a Finkenwalde, Claudiana, Torino 1995, p. 11. D’altra parte, e` lo stesso autore a sottolineare un paradosso recente: mentre nel mondo protestante si starebbe riservando una minore attenzione al sermone del pastore, dopo il concilio nel mondo cattolico la predica avrebbe assunto un nuovo rilievo.
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si da`. La letteratura si limita a registrare alcune impressioni, anche se ben fondate nella sensibilita` liturgica e nell’esperienza pastorale 11. Quanto alla possibilita` di adattare e di ri-creare le monizioni previste da rito, per esempio, e` stato notato acutamente, a proposito della seconda ristampa aggiornata del RE-Ambr, che «nella vecchia e nella nuova edizione [le monizioni] sono sempre introdotte con l’espressione ‘‘con le seguenti od altre simili parole’’, ma sono per lo piu` usate» dagli operatori pastorali cosı` come sono scritte nel libro liturgico 12. Non risulta che le cose vadano diversamente nelle diocesi che utilizzano il rituale della liturgia romana: il testo suggerito rappresenta una «scialuppa di salvataggio» buona in tutte le occasioni, anche quando la conoscenza del defunto per il quale si prega o la familiarita` con i presenti domanderebbero di utilizzare maggiormente delle facolta` di adattamento e di creativita` che sono lasciate al presidente dell’assemblea. Per quanto attiene, inoltre, alla preghiera dei fedeli, occorre chiedersi se i problemi dell’orazione comune nei funerali siano sostanzialmente diversi da quelli che puo` globalmente incontrare oggi la pratica diffusa della preghiera dei fedeli: la tendenziale riduzione a ulteriore «lettura» proclamata, la difficile condivisione tra i fedeli, la preferenza della quantita` alla qualita`, la frequente inosservanza dell’articolazione di massima proposta nei Praenotanda. Quanto al momento del congedo finale, si devono probabilmente lamentare la «pigrizia» rilevata per le monizioni in genere. Con l’aggravio che la fretta o la sciatteria compaiono in un momento, per quanto limitato come spazio, che di natura sua prevede un accento per cosı` dire «fatico» o «lirico». In certi casi – pensiamo alle esequie di persone note alla comunita`, e tipicamente dei familiari di un presbitero – puo` essere rivestito di maggiore comunicativa e «calore» il momento dei ringraziamenti finali e degli eventuali avvisi rispetto appunto a quello dell’ultimo saluto (che appare consegnato al rito in quanto tale, al dettato stabilito dai formulari, alla successione dei momenti previsti e percio` sottratti a ogni dimensione di pathos). Alla luce di queste invero troppo brevi considerazioni, siamo rimandati al problema di partenza: preso atto dell’indubitabile «distanza» della morte dalla vita, indotta dalle forme civili complessive, a quali considerazioni puo` ricorrere il pastore per restituire invece pertinenza alla «vicinanza» obiettiva della morte alla vita di ogni uomo? Poiche´ gli spazi di presa di parola nella liturgia diversi dalla predicazione sembrano poco sfruttati, passiamo a vedere se almeno l’omelia offra opportunita` degne di nota. 11 Cf. F. DI MOLFETTA, Esequie, in M. SODI - A.M. TRIACCA (edd.), Dizionario di omiletica, LDC-Velar, Leumann-Gorle 1998, pp. 488-491 con la bibliografia ivi indicata. 12 L. MANGANINI, La seconda ristampa aggiornata del Rito delle esequie, in «Ambrosius» 79 (2003) 107-109: 107, dove conclude: «Le nuove monizioni hanno un respiro piu` biblico e anche un linguaggio piu` vivo».
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4. CIRCA L’OMELIA SULLA MORTE: UN PENSIERO OBIETTIVAMENTE «FASTIDIOSO»
Da anni si lamenta l’assenza di una verifica empirica interdisciplinare sulla predicazione in Italia, e in ogni caso neppure le ricerche dei decenni scorsi si sono occupate delle omelie dei funerali 13; si deve percio` continuare sulla via della registrazione di qualche impressione di fondo, suggerendo che non pare la stessa cosa parlare della morte in occasione della scomparsa recente di una persona conosciuta, la cui «presenza» e «ricordo» risultano palpabili nella celebrazione, e viceversa toccare l’argomento in una celebrazione domenicale, sollecitati dalle letture scritturistiche o dall’argomento della festa. Una futura auspicabile analisi delle omelie dei funerali potrebbe attendersi di registrare in questo contesto un parlare per cosı` dire «consolatorio». Nel caso delle esequie, in effetti, si trasmette l’immagine della religione come unica parola di fronte al dramma che la morte propone: «Accanto al cuore che piange c’e` sempre lo sguardo della fede che manifesta la disponibilita` all’ascolto per una consolazione che puo` venire solo da colui che si e` proclamato ‘‘la risurrezione e la vita’’» 14.
Pare invece diverso il modo di occuparsi della morte nelle usuali omelie festive, dove dovrebbe essere piu` agevole ritrovare i tratti gia` descritti dal catecheta circa la tendenziale lacuna sul morire e l’indulgenza sul «qui e oggi» della morale cristiana e sul «non ancora» del dopo morte 15. Cf. Ricerca interdisciplinare sulla predicazione, EDB, Bologna 1973; G. BUS- P. CORBETTA - F. RICARDI, Religione e periferia. Ricerca sull’atteggiamento religioso in un quartiere di Milano, Il Mulino, Bologna 1974, pp. 170-198; P. SARTOR, L’omelia a Milano dal concilio a oggi attraverso le indagini empiriche», in «La Scuola Cattolica» 124 (1996) 289-349; S. BORELLO, Comunicazione e liturgia: per un’analisi linguistica delle omelie, tesi di laurea in Linguistica generale discussa presso la Facolta` di Lettere e Filosofia dell’Universita` degli studi di Torino (Corso di laurea in Scienze della comunicazione) nell’a.a. 2001/2002; al di fuori del nostro paese, cf. almeno il recente contributo di E. GUENELEY, Quand la pre´dication se preˆte a` l’analyse..., in «La Maison-Dieu» 227 (2002) 109-126. 14 DI MOLFETTA, Esequie, cit., p. 488. 15 In attesa che forze migliori pongano mano a un’inchiesta dedicata a questo tema omiletico, non resta che rifarsi a un lavoro accademico di una decina di anni fa, il cui campione di riferimento era composto dalle prediche di una domenica di avvento (la III ambrosiana e I romana) e della solennita` dell’Immacolata concezione: cf. P. SARTOR, La «predicazione mariana», oggi. Dati e interrogativi alla luce di una verifica sul campo, in «Marianum» 46 (1994) 245-269; G. AMBROSIO - P. SARTOR, L’omelia senza identita` precisa, in «Rivista di Pastorale Liturgica»188 (1995) 3-10. Ora il materiale proposto dalle omelie considerate appare di due tipi: i riferimenti brevi al tema della morte nel quadro delle conseguenze del peccato originale; pochi esempi in cui ritorna il repertorio simbolico caratteristico della predica sulla morte della predicazione convenzionale. Poiche´ il pensiero alla morte e` di somma utilita` per la vita presente, i sacerdoti talvolta si lamentano del modo in cui esso e` spesso 13
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Al di la` delle distinzioni tra omelia nelle esequie e predica festiva, puo` essere ripetuto quanto scriveva oltre un decennio fa l’editorialista della «Rivista del Clero Italiano»: quello della morte «e` un pensiero che infastidisce, e non sempre i predicatori hanno il coraggio di infastidire» 16. In effetti una delle conclusioni dell’analisi socio-linguistica di S. Borello dedicata alla semantica dei testi omiletici rileva che «gli aggettivi sono numerosissimi, in molti casi l’uso e` ridondante ed estetizzante» 17. La ricercatrice richiama al riguardo una tendenza, rilevata a suo tempo da chi scrive e stigmatizzata come «linguaggio estetizzante», consistente nel rischio di un ricorso a «un parlare rotondo, a un’aggettivazione ridondante, a una scelta di diminutivi, esclamativi, vezzeggiativi, che dice e non dice» 18. La tendenza «sposta la direzione prevista dalla celebrazione – dal Signore all’assemblea – alle relazioni interpersonali tra le persone presenti – e a volte tra l’assemblea e l’omileta – privilegiando un transfert psico-affettivo, rassicurante e esaltante, alla coerenza della celebrazione liturgica» 19.
E` quello che C. Biscontin, dal canto suo, stigmatizza come «il proposito di radunare i partecipanti-ascoltatori in un grembo emotivamente e affettivamente caloroso, come risposta a bisogni che vanno in questa direzione» 20. Se la predicazione liturgica contemporanea si muove in questa linea, non stupisce che il pensiero della morte possa infastidire e che alla lacuna culturale finisca per corrispondere analoga lacuna pastorale. Puo` accadere insomma che il predicatore ritenga «che alcune insistenze rischiano di presentare un vangelo negativo, piu` preoccupato della vita futura che di quella presente, piu` attento a sottolineare la ‘‘verita`’’ delle cose che a mostrare il loro valore». Si comprende allora che proclami il vangelo come «una notizia che da` senso al vivere nel mondo» e che parli «della vita ‘‘nuova’’ – vittoriosa sulla morte – che Gesu` ha dischiuso alla speranza dell’uomo. Ma non parli della morte» 21. considerato: o lo si emargina per esorcizzarlo, oppure lo si valuta solo nei suoi aspetti negativi. Sembrano dunque acquisiti a questi riferimenti, peraltro sporadici, al tema della morte alcuni dei luoghi comuni della denuncia corrente nei confronti della rimozione della morte nella cultura contemporanea. Manca in realta` una significativa attenzione al fenomeno antropologico-culturale della rimozione della morte nella cultura contemporanea, capace di andare oltre i luoghi comuni. Per una rilettura sintetica, cf. anche P. SARTOR, La morte nella predicazione liturgica. Appunti per una verifica della pratica dell’omelia nelle esequie e nella Messa festiva, in «Ambrosius» 79 (2003) 175-190. 16 La morte e il dono di se´, cit., p. 722. 17 BORELLO, Comunicazione e liturgia, cit., p. 246. 18 SARTOR, La «predicazione mariana», cit., p. 249. 19 BORELLO, Comunicazione e liturgia, cit., p. 47. 20 C. BISCONTIN, Omelia e tendenze moraleggianti testuali e ad extra. Limiti di tolleranza, in A. CATELLA (ed.), L’omelia: un messaggio a rischio, EMP-Abbazia di Santa Giustina, Padova 1996, pp. 120-148, qui p. 123. 21 La morte e il dono di se´, cit., p. 722 (corsivo nel testo).
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` DELL’ANNUNCIO E SOGGETTIVITA ` DELL’ELOGIO: 5. TRA OGGETTIVITA UNA PROPOSTA PASTORALE
Torniamo in chiusura sul tema cui si alludeva iniziando: la difficolta` del predicatore a seguire la normativa che impone una predicazione ex textu e non un elogio del defunto 22. Si comprende bene l’intenzione degli estensori dei testi liturgici: i panegirici si riferiscono ai santi, non ai cristiani comuni; la lode in ogni caso spetta a Dio, non alle persone umane; nella sua Parola e non nelle vicende quotidiane va rinvenuta la via di salvezza che soccorre ogni uomo e ogni donna. D’altra parte, tale indicazione risulta segnare talvolta i confini di una via troppo stretta per l’omileta; lo conferma il fatto che spesso l’indicazione non trova riscontro nella pratica pastorale diffusa 23. Per dirlo in maniera probabilmente riduttiva, ma forse non del tutto inadeguata, le prediche nei funerali si possono raggruppare sotto due tipologie di fondo: quelle che assumono la forma di riflessioni ed esortazioni sul tema della morte e della speranza cristiana, sia pure con le incertezze e le lacune esaminate (e sono le prediche piu` frequenti, quelle tenute in occasione di esequie di persone poco note alla comunita` e al celebrante) e quelle che al contrario assumono forma meno generica, alludendo alla vita, alle scelte e alla morte della persona per la quale si prega (e si tratta delle prediche tenute alle esequie di persone conosciute). Nel primo caso, l’omileta compie il proprio dovere di «educatore delle fede» 24 e contribuisce alla testimonianza complessiva della comunita` cristiana, ben sapendo che «nel celebrare le esequie dei loro fratelli, i cristiani intendono affermare senza reticenze la loro speranza nella vita eterna» 25; d’altra parte egli corre il rischio di risultare alquanto generico e ripetitivo (e infatti il timore, nel caso di una verifica empirica che si appuntasse piu` volte sulla stessa chiesa e sullo stesso predicatore, e` appunto quello della constatazione di una ripetizione). Nel secondo caso, il predicatore rischia di imboccare la strada dell’encomio o elogio funebre, la cui forma e il cui stile andrebbero invece evitati con cura nei funerali cristiani, chiamati a essere anzitutto «celebrazione del mistero pasquale di Cristo» 26. Inoltre – in entrambi i casi, ma forse soprattutto nel secondo – esiste un pericolo ulteriore: quello di ridurre a poca cosa, oppure Cf. RE, n. 63. Un’ulteriore conferma si potrebbe vedere nell’aggiunta a cura della CEI che rinvia al momento dell’«ultima raccomandazione e commiato» eventuali «parole di cristiano commento nei riguardi del defunto»: cf. RE, Premesse, n. 22. 24 Sul sacerdote fidei educator durante la celebrazione delle esequie, si vedano le indicazioni di DI MOLFETTA, Esequie, cit., pp. 489-490. 25 RE, n. 2. 26 RE, n. 1. 22 23
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di strumentalizzare, il riferimento alle letture proclamate: si devono ascoltare le letture, ma poi... si parla del defunto! Il fenomeno pare abbastanza frequente, e del resto ci appelliamo all’esperienza e alla sensibilita` umana e pastorale del lettore per domandare se il desiderio dell’omileta di rivolgersi ai partecipanti con un discorso che non appaia scontato o generico sia cosa in se´ riprovevole. E peraltro e` ben sensata la denuncia del ritorno a un’omelia non biblica, agli stilemi dell’elogio che poco spazio lascia al vero obiettivo dell’intervento pastorale, inteso come «servizio prestato dalla fede all’uomo d’oggi per aiutarlo a ritrovare e a costruire certezze vere e a resistere alla radicale tentazione di vivere ‘‘senza speranza’’» 27. In casi dove appare praticamente inevitabile e pastoralmente opportuno riferirsi in maniera abbastanza diffusa alla vicenda umana e cristiana del defunto, ci chiediamo se non potrebbe essere piu` corretto scegliere le letture – o almeno la pericope evangelica – in base al profilo della persona per la quale si vuole pregare Dio. Per esempio, si tengono le omelie di una persona molto anziana, che ha mostrato serenita` nella malattia e ha confidato nella forza che viene dalla fede? Si potrebbe opportunamente proclamare una delle pericopi sinottiche che narrano la guarigione della suocera di Simon Pietro (Mt 8,1415 e parr.), indugiando poi nel commento del brano e nei riferimenti probabilmente non artificiali alla vicenda del defunto. Oppure si sta per ricordare una persona dotata di un certo carattere, di temperamento netto ma insieme capace di scelte di fede? Sarebbe bene leggere l’elogio di Gesu` per Natanaele, «un israelita in cui non vi e` falsita`» (Gv 1,47), o proclamare la parabola dei due figli di Mt 21,28-32, sottolineando l’atteggiamento di colui che dopo aver detto che non sarebbe andato nella vigna in realta` ci va e compie l’opera del Padre. E cosı` via, attualizzando il vangelo mediante il richiamo di eventuali elementi notevoli della vicenda del defunto. Anche a questo proposito, riteniamo con F. Brovelli che il RE vada considerato come «un modello celebrativo» non esaustivo delle molteplici possibilita` liturgiche e pastorali: esso «puo` avere una molteplicita` di interpretazioni e di attuazioni» 28. Per questa ragione, almeno in taluni casi, e` possibile ipotizzare che la scelta proposta dal Lezionario delle esequie possa utilmente venire integrata, a tutto vantaggio di una predicazione maggiormente capace di rapporto con la Parola e con la vita.
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BROVELLI, Esequie, cit., p. 471. Ivi
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