Provincia di Ferrara
Italiani e stranieri nelle imprese ferraresi Relazioni e configurazioni sociali
a cura di
Franco Mosca con la collaborazione di
Daniela Felloni Ilaria Guzzinati
Giugno 2010
Indice Introduzione
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Capitolo 1 - Mercato del lavoro e migrazioni: dati di sfondo
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- Gli stranieri nel mercato del lavoro italiano - Gli stranieri nel mercato del lavoro ferrarese
Capitolo 2 - Le caratteristiche della ricerca sul campo
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- Obiettivi e metodi d’indagine - Le dimensioni da indagare - Il campo di indagine e la definizione del piano-interviste - Le unità locali coinvolte e i lavoratori intervistati - L’atteggiamento verso l’intervista
Capitolo 3 - Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
Indagine promossa dall’Assessorato Politiche del Lavoro e Formazione Professionale della Provincia di Ferrara Raccolta dati sulle situazioni lavorative Ditta SWG s.r.l di Trieste Elaborazione dell’indagine Franco Mosca Ideazione e realizzazione grafica Daniela Felloni e Ilaria Guzzinati
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- Le caratteristiche dei lavoratori intervistati • La cittadinanza, il sesso, l’età e lo stato civile • Autoctoni e migranti (italiani e stranieri) • I livelli di scolarità dichiarati • La conoscenza e il rispetto del contratto di riferimento - Le caratteristiche degli inserimenti al lavoro • Le aree territoriali d’inserimento al lavoro • Le modalità di reperimento del lavoro • L’assunzione e l’inserimento al lavoro • I redditi e le retribuzioni mensili • L’orario di lavoro e il tipo di assunzione • La stabilità dei rapporti di lavoro • Soddisfatti e insoddisfatti del lavoro svolto • La gestione dei permessi e delle assenze • La distribuzione dei compiti e il loro svolgimento • Le preferenze sui compiti da svolgere • Il controllo sul lavoro svolto • Il disagio segnalato in relazione al lavoro svolto • I danni recati all’azienda e gli infortuni subiti • Il ricorso all’azione formativa
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- I rapporti con i colleghi e con i superiori • Le situazioni di “compresenza” (italiani e stranieri) • Le difficoltà nello svolgimento dei compiti e il loro superamento • La presenza di gruppi di lavoro separati • Gli aspetti discriminanti segnalati • Le contrapposizioni, i dissidi e i conflitti • Le esperienze critiche vissute con i colleghi di lavoro • L’uso di appellativi e soprannomi nel luogo di lavoro • Gli scambi verbali, gli aiuti e i consigli tra colleghi • I temi di confronto e di discussione con i colleghi • Le relazioni nel dopolavoro
Capitolo 4 - Approfondimenti settoriali - Analisi delle situazioni di lavoro per settore • Le condizioni di lavoro in “Agricoltura e nel Commercio Ortofrutta” • Le condizioni di lavoro negli “Autotrasporti, Logistica, Facchinaggio” • Le condizioni di lavoro nelle “Costruzioni” • Le condizioni di lavoro nel “Metalmeccanico” • Le condizioni di lavoro nei “Pubblici Esercizi”
Capitolo 5 - Conclusioni
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- La condizione dei migranti (italiani e stranieri) - Le condizioni di lavoro e le relazioni nei luoghi di lavoro
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Appendice
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Questionario di indagine per la verifica dell’integrazione tra lavoratori di varie nazionalità sul mercato del lavoro
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Introduzione Numerosi studi sulla concezione moderna del “lavoro” ne individuano il carattere “ideologico” che, largamente introiettato nelle società occidentali, vedrebbe nell’attività lavorativa continuativa e retribuita il titolo normale e pressoché esclusivo di partecipazione alla vita associata. Sono tuttora largamente diffusi detti e proverbi che attestano la permanenza nel tempo e la radicata diffusione dell’idea della “centralità” del lavoro, anche nella cultura popolare dell’Italia contemporanea. L’opinione che sia il lavoro a conferire il pieno diritto di cittadinanza risulta trasversale, interclassista, condivisa da etiche laiche e religiose. Per alcuni studiosi questa è molto più che un’ideologia, in quanto rientra nel senso comune e rappresenta una norma di comportamento e di giudizio completamente assimilata. Il lavoro è presentato anche dalle varie istituzioni come il perno dell’identità sociale e di conseguenza di quella individuale, capace cioè di “dare un senso alla stessa vita umana”. Sul piano giuridico la Costituzione Italiana sancisce la “centralità” del lavoro quando afferma: - Art. 1: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro...”. - Art. 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ...(con il proprio lavoro) concorre al progresso materiale o spirituale della società...”. - Art. 35: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale di tutti i lavoratori... Riconosce la libertà di emigrazione e tutela il lavoro degli italiani all’estero...”. - Art. 36: “Il lavoratore ha il diritto ad una retribuzione proporzionale alla quantità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa...”. Si tratta di principi generali che dovrebbero valere anche per tutti i cittadini stranieri, ma per i non comunitari sono tuttora attive o sono state emanate norme e regole per alcuni aspetti più restrittive (come, ad esempio, l’impossibilità di accedere ai pubblici concorsi, le difficoltà di riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero e/o delle esperienze formative/lavorative svolte all’estero, ecc.). La normativa sui cittadini stranieri non comunitari1, inoltre , è stata emanata in base ad orientamenti volti a limitare la presenza di clandestini ed im1
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Si veda il T.U. 286/98 e successive modifiche – le più importanti introdotte con la Legge 189/02 “Bossi-Fini”, nonché con i cosiddetti “Pacchetti Sicurezza” del 2008 e del 2009.
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pone adempimenti burocratico/amministrativi (come, ad esempio, nel caso del rilascio e del rinnovo dei permessi di soggiorno) che rischiano di rendere più gravoso l’accesso ai diritti sanciti nel testo costituzionale. Tali normative hanno soprattutto disciplinato: - le modalità e i requisiti d’ingresso regolare per lavoro subordinato (a tempo indeterminato, a tempo determinato e/o stagionale), legandole all’eventuale emanazione annuale di decreti flusso, finalizzati a stabilire quote limitate d’ingresso per nazione di provenienza e per settore lavorativo d’inserimento, a fronte di richieste/domande specifiche presentate da datori di lavoro operanti in Italia; - le modalità e i requisiti per ottenere il ricongiungimento con i propri familiari (con vincoli specifici inerenti il grado di parentela, l’effettiva convivenza, l’entità del reddito a disposizione del richiedente, la disponibilità di un alloggio adeguato, ecc.); - le modalità di primo rilascio e di successivo rinnovo dei vari tipi di permesso di soggiorno; - i requisiti necessari ad ottenere la tutela socio-sanitaria e a mantenere/rinnovare i permessi di soggiorno; - i requisiti necessari per studiare in Italia e/o per partecipare ad azioni formative e/o ottenere il riconoscimento di titoli di studio acquisiti all’estero, soprattutto in campo sanitario; - le sanzioni civili e penali per chi ospita e/o dà lavoro ad irregolari e/o clandestini; - le sanzioni civili e penali per chi è presente in Italia in condizioni di clandestinità e/o irregolarità. E’ opportuno ricordare che il sistema giuridico italiano, soprattutto in materia di accesso al lavoro (se si esclude l’accesso al lavoro nel settore pubblico), non opera distinzioni tra cittadini italiani e cittadini stranieri regolarmente presenti, considerato che l’Italia ha sottoscritto la Convenzione OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) n.143 del 24/6/75, ratificata con legge 158/81. Per i cittadini non comunitari, in particolare, si prevede “... parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani”. Viene sancito, prendendo a riferimento quanto stabilito nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro di settore, che: - la retribuzione deve essere adeguata al rapporto di scambio tra prestatore d’opera e datore di lavoro, in stretta correlazione alla consistenza qualitativa e quantitativa della prestazione di lavoro (Corte Cost. sent. n. 30/1960); - la retribuzione deve adeguarsi alle esigenze minime di vita – obiettivamente determinate – del lavoratore e della sua famiglia (Corte Cost. n. 41/1960).
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Numerose indagini, anche di diverso orientamento2 rilevano invece che gli stranieri incontrano maggiori difficoltà, specie se non comunitari, nell’accesso al mercato del lavoro, nella tutela dei rischi d’infortunio, nel riconoscimento di adeguati livelli professionali e, quindi, retributivi. Mancano, però, indagini che descrivano le modalità di coinvolgimento e la qualità delle relazioni nei luoghi di lavoro dei cittadini immigrati e dei cittadini autoctoni, tra lavoratori più “anziani” e lavoratori “nuovi arrivati” siano essi italiani o stranieri. Le nuove norme di “flessibilizzazione” del mercato del lavoro, le caratteristiche dei cosiddetti “ammortizzatori sociali” possono condizionare in modo diverso gli immigrati e le nuove generazioni che hanno di recente trovato lavoro e/o che sono alla ricerca di un’occupazione. Il diverso status sociale, la possibilità o meno di ricorrere al sostegno familiare sul piano economico e/o affettivo, le possibilità di far valere titoli di studio e/o capacità professionali acquisite nelle fasi di ricerca del lavoro e di sviluppo delle carriere lavorative, risultano elementi che possono indurre differenti atteggiamenti sia verso le opportunità di lavoro reperibili sul mercato, sia verso i contesti di lavoro organizzato. Bisogni e aspettative appaiono, inoltre, fortemente condizionati: - da opportunità e/o vincoli normativi che, ad esempio, impongono ai cittadini non comunitari di essere occupati al fine di rinnovare il permesso di soggiorno; - dalla condizione economica individuale e/o familiare che possono più o meno costringere le persone in difficoltà, soprattutto se straniere, a provvedere al sostentamento dei propri familiari anche accettando lavori pericolosi, precari, irregolari, sottopagati. Vincoli normativi, difficoltà economiche, esperienze di lavoro maturate nel paese d’origine in situazioni di irregolarità, di insicurezza e di scarso controllo delle autorità, possono indurre atteggiamenti e comportamenti inadeguati – perlomeno in linea di principio – al contesto lavorativo italiano o possono apparire, ai lavoratori che godono di tutele consolidate, come azioni che incidono negativamente sulle condizioni di lavoro complessive, soprattutto sui livelli salariali e sui diritti acquisiti. Proprio nell’ambito delle condizioni di lavoro più difficili, precarie e/o marginali possono, pertanto, emergere comportamenti di competizione/conflittualità tra “vecchi” e “nuovi” arrivati, oppure possono maturare situazioni di potenziale conflitto che, rimanendo latenti per timore e/o per convenienza,
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“La discriminazione degli immigrati nel mercato del lavoro trentino” a cura di MIGRA – Osservatorio sulla discriminazione degli immigrati nel lavoro della Provincia di Trento oppure il Rapporto 2005 “Un anno di attività contro la discriminazione razziale” del Ministero per le Pari Opportunità.
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si esprimono in mugugni, risentimenti, orientamenti sociali e politici di carattere repressivo e discriminatorio. L’indagine che qui si presenta ha preso l’avvio dalle suddette riflessioni e ha messo in evidenza come il superamento delle barriere e dei pregiudizi passi, prima di tutto, attraverso l’esperienza diretta di confronto/collaborazione e, a volte, di scontro tra autoctoni e stranieri. La conoscenza interpersonale, se non sporadica e/o superficiale, ridimensiona le diffidenze, porta spesso a considerare le ragioni dell’altro, a vedere in esse la voglia comune di migliorare le condizioni di vita sociali e personali.
Mercato del lavoro e migrazioni: dati di sfondo
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Mercato del lavoro e migrazioni
Gli stranieri nel mercato del lavoro italiano Per definire gli obiettivi dell’indagine e le modalità di svolgimento della stessa, è fondamentale acquisire adeguate conoscenze sia delle dimensioni che caratterizzano il mercato del lavoro nazionale e locale, sia delle fonti informative utili al raggiungimento di tale conoscenza. Le caratteristiche del mercato del lavoro sono condizionate da: - le imprese che attivano le assunzioni, i licenziamenti e i processi formativi dei lavoratori (per esperienza diretta nei processi di lavoro e/o tramite percorsi di formazione enucleata dal contesto lavorativo); - i lavoratori occupati e/o in cerca di occupazione (in possesso di conoscenze necessarie sia alla ricerca di una occupazione, sia all’inserimento nei vari tipi di impresa); - le strutture organizzate di “mediazione” e/o di “regolazione” che intervengono nei processi di inserimento al lavoro (Centri per l’Impiego, Agenzie private di lavoro, Sindacati dei lavoratori, Associazioni dei datori di lavoro, ecc.) sulla base delle norme emanate dal legislatore italiano e degli accordi tra le parti sociali. Soprattutto a partire dall’inizio degli anni ’90, si sono verificati in Italia importanti e rapidi cambiamenti che hanno coinvolto imprese e lavoratori. Alcuni di questi o, perlomeno, quelli più rilevanti appaiono legati: • alle scelte legislative dei vari Governi che hanno, da un lato facilitato gli scambi e gli investimenti internazionali, dall’altro introdotto nuove modalità di accesso al lavoro, ampliando la gamma sia dei modi di assunzione, sia delle strutture di intermediazione tra lavoratori e imprese (si veda, ad esempio, la costituzione delle agenzie di lavoro interinale che possono “prestare” lavoratori alle imprese per far fronte alle loro necessità occasionali e/o temporanee); • all’orientamento, messo in campo soprattutto da parte dei lavoratori autoctoni più giovani che, per diverse ragioni (quali il prolungamento degli studi, la disponibilità di redditi di sostegno provenienti dalla famiglia, la ricerca/attesa di un lavoro consono ad aspettative e studi svolti), ha portato ad un prolungamento dei tempi d’ingresso nel mercato del lavoro, rispetto alle precedenti generazioni; • all’ingresso in Italia (oltre che nei paesi più industrializzati) di un numero crescente di cittadini stranieri disponibili a svolgere attività lavorative spesso “scartate” e/o “trascurate” dai lavoratori autoctoni. Per esprimere in modo sintetico i complessi mutamenti, tuttora in atto, molti studiosi hanno fatto ricorso a termini come “deregolamentazione” e/o “flessibilizzazione” del mercato del lavoro, indotte in primo luogo dalla cosiddetta “globalizzazione” dell’economia.
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Mercato del lavoro e migrazioni
Si tratta di espressioni che rischiano, nella loro estrema sinteticità, di non dare conto della complessità delle situazioni e, soprattutto, di come il cambiamento o la persistenza assumano caratteristiche diverse nei vari contesti nazionali e locali. Tradizioni, orientamenti, abitudini quotidiane, grado di invecchiamento della popolazione autoctona, entità della presenza di lavoratori immigrati, caratteristiche strutturali delle imprese presenti in ogni territorio, influenzano le scelte dei singoli e delle istituzioni, di fronte alle spinte verso il cambiamento emergenti in campo nazionale e internazionale e mettono in crisi qualsiasi tentativo di incasellare, in un solo “modello”, le situazioni composite di ogni realtà locale e nazionale. Sul versante statistico, le fonti informative più importanti sono rappresentate, in campo nazionale e regionale, dalle rilevazioni Istat sulla forza lavoro, in ambito locale dalle banche dati dei Centri per l’Impiego che registrano le assunzioni, i licenziamenti, le sospensioni, le disponibilità e le indisponibilità verso i vari tipi di lavoro, gli stati di disoccupazione e di temporanea mobilità, le conoscenze tecniche apprese dai lavoratori tramite esperienze professionali e/o tramite percorsi scolastici e formativi enucleati. Per quanto riguarda l’Istat, sono molto significative le indagini trimestrali realizzate a campione sulla forza lavoro che forniscono dati circa l’entità dei lavoratori attivi e dei lavoratori occupati distinti per cittadinanza.
Trimestri IV Trim. 2005 IV Trim. 2006 IV Trim. 2007 IV Trim. 2008
Totale 24.666 24.727 24.981 25.125
di cui Inc. % Crescita Crescita stranieri stranieri totale stranieri 1.380 5,6% 1.508 6,1% 61 128 1.741 7,0% 254 233 2.032 8,1% 144 291
Tabella 1 Forza lavoro al IV trimestre. Anni 2005-2006-20072008 – Dati in migliaia Fonte: Elaborazioni dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione su dati Istat
Dall’analisi dei dati inerenti le rilevazioni dal IV trimestre 2005 al IV trimestre 2008 (Tabella 1) emerge che: - la forza lavoro complessiva in Italia è cresciuta dell’1,9%; - a tale crescita ha contribuito in modo determinante la forza lavoro straniera, aumentata nello stesso periodo del 47,2%; - l’incidenza della forza lavoro straniera, sul totale delle forze lavoro in Italia è salita dal 5,6% all’8,1%; - senza la crescita della forza lavoro straniera si sarebbe verificato un calo di circa 193 mila unità (-0,8%).
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Mercato del lavoro e migrazioni
Si tratta di valori che denotano quanto sia stato rilevante l’impatto della forza lavoro straniera sul mercato del lavoro italiano, tanto da costituire il vero elemento di novità, anche sul versante occupazionale. Tabella 2 Occupati al IV trimestre. Anni 2005-2006-20072008 – Dati in migliaia
Trimestri IV Trim. 2005 IV Trim. 2006 IV Trim. 2007 IV Trim. 2008
Fonte: Elaborazioni dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione su dati Istat
Totale 22.685 23.018 23.326 23.349
di cui Inc. % Crescita Crescita stranieri stranieri totale stranieri 1.224 5,4% 1.382 6,0% 333 158 1.584 6,8% 308 202 1.863 8,0% 23 279
Dal IV trimestre 2005 – 2008, secondo le rilevazioni dell’Istat (Tabella 2), gli occupati sono aumentati di 664 mila unità, pari a + 2,9%. Nello stesso periodo gli occupati stranieri sono aumentati di 639 mila unità, pari a + 52,2%. L’aumento degli occupati rilevato dall’Istat nel quadriennio, pertanto, va imputato per il 96,2% alla forza lavoro straniera, la cui incidenza passa dal 5,4% all’8% sul totale occupati. Il rapporto forza lavoro e occupati, nello stesso periodo, è passato: - nel complesso (italiani e stranieri) dal 92,0% al 92,6%; - per gli stranieri dall’88,7% al 91,7%, con oscillazioni legate soprattutto all’entità dei flussi migratori autorizzati con appositi decreti legge delle autorità di governo. Non va dimenticato, inoltre, che il mercato del lavoro italiano presenta situazioni di lavoro sommerso tra le più alte della Comunità Europea. Nel 2006, l’Istat stimava che l’apporto del lavoro irregolare raggiungeva valori oscillanti fra il 15,3% ed il 17% del PIL nazionale (pari a 230-250 miliardi di euro). I lavoratori non regolari, produttori di tale ricchezza, venivano stimati in 2 milioni e 970 mila, pari al 12% circa della forza lavoro nazionale. I tassi maggiori di irregolarità emergevano in “agricoltura” (22,7%), nel “Commercio e Pubblici Esercizi” (19%) e nelle “Costruzioni (11%). Settori ad ampio inserimento occupazionale degli stranieri che, secondo le stime Istat, costituirebbero il 12% degli occupati nel lavoro sommerso, con circa 352 mila irregolari3 . Secondo diverse fonti istituzionali e private4 , una normativa d’ingresso di difficile gestione e un’ampia offerta di lavoro irregolare, sarebbero le condi3
Rispetto agli occupati stranieri al IV trimestre 2006, pari a 1.382 mila, l’entità dei non regolari raggiungerebbe il 25,5%. Si veda in merito: “XV Rapporto sulle migrazioni” – Ismu Milano 2009; “VI Rapporto Cnel su immigrazione e integrazione” – Anno 2009; “Dossier Fillea/Cgil su lavoro e immigrati in edilizia” – Bologna 2003; “Dossier Statistico Immigrazione 2008” – Caritas/Migrantes Roma. 4
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zioni primarie a sostegno degli elevati livelli di immigrazione straniera irregolare fin dall’inizio del 2000. Eurispes, Istituto di Studi Politici Economici e Sociali di Roma, stimava che nel 2007 il 35% circa del PIL italiano derivasse dall’economica “in nero” per l’apporto di circa 6 milioni di lavoratori, spesso “doppiolavoristi”, perché costretti dalle necessità economiche familiari non soddisfatte dal reddito derivante dalla prima occupazione regolare. Le stime riguardanti gli immigrati stranieri, prodotte da detto Istituto, indicavano che circa 600.000 persone lavoravano “in nero”, mediamente per 10 ore al giorno, 300 giorni l’anno, per un controvalore di circa 18 miliardi di euro.
Gli stranieri nel mercato del lavoro ferrarese A livello provinciale i dati Istat possono offrire alcune indicazioni interessanti sul mercato del lavoro. Entrando nel dettaglio delle singole realtà provinciali dell’Emilia Romagna, emergono però problemi di rispondenza e di rappresentatività del campione, soprattutto se si vogliono osservare situazioni peculiari come quelle che coinvolgono gli stranieri nei vari contesti locali. Ciò premesso, sul versante occupazionale, secondo la media delle rilevazioni trimestrali 2007 dell’Istat, gli stranieri occupati in provincia di Ferrara rappresentano il 4,5% del totale (7.268 su 160.504 unità): - 0,7% in qualità di lavoratori autonomi (174 cittadini comunitari, pari allo 0,1% e 1.011 cittadini non comunitari, pari allo 0,6%); - 3,8% in qualità di lavoratori dipendenti (802 cittadini comunitari, pari allo 0,5% e 5.281 cittadini non comunitari, pari al 3,3%). A confronto con i dati forniti dai Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara, l’entità dell’occupazione straniera stimata dall’Istat, appare sottostimata, anche in considerazione dei particolari settori di più alto inserimento occupazionale degli stranieri (il domestico, l’agricolo, le costruzioni) che richiederebbero una ponderazione ad hoc del campione d’indagine. Alla fine del 2007, infatti, i Centri per l’Impiego ferraresi, rilevano 8.599 dipendenti stranieri, cioè 2.516 unità in più rispetto alla media delle rilevazioni trimestrali Istat, con un inserimento degli stessi nel settore domestico pari al 30,5% (oltre 2.600 unità, in larga parte donne impegante nell’assistenza familiare). Per comprendere adeguatamente l’incidenza dell’occupazione straniera conviene, pertanto, integrare il quadro delle informazioni con le rilevazioni anagrafiche dei comuni ferraresi.
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Mercato del lavoro e migrazioni
Tabella 3 Indicatori demografici costruiti su dati anagrafici della provincia di Ferrara
Sulla base di queste (Tabella 3), si osserva che: - il rapporto fra il complesso della popolazione residente e i residenti in età lavorativa, alla fine del 2007 s’attesta al 64,1% per il totale dei residenti (italiani + stranieri) e al 79,4% per i soli residenti stranieri; - l’incidenza della popolazione residente straniera sulla popolazione residente complessiva passa dal 3,8% del 2005 al 5,3% del 2007; - per quanto riguarda i residenti in età lavorativa, l’incidenza degli stranieri sulla popolazione complessiva passa dal 4,8% al 6,6%. Senza l’apporto della popolazione residente straniera, nel triennio considerato, si sarebbe registrato: - un calo complessivo dei residenti (da 338.010 a 336.952) di 1.058 unità, pari a – 0,3%; - un calo complessivo della popolazione considerata attiva pari a – 1,2%. Alla fine del 2008, dai dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara, risulta che gli stranieri occupati con un lavoro subordinato raggiungono le 9.975 unità, con un rapporto pari al 45,4% sul totale della popolazione residente straniera.
Popolazione residente in provincia di Ferrara Popolazione residente di cui fra 15 e 64 anni Indice di attività Fonte: Elaborazioni dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione su dati Istat
Al 31.12.2005 Al 31.12.2006 Al 31.12.2007 In di cui Inc. % In di cui Inc. % In di cui Inc. % complesso stranieri stranieri complesso stranieri stranieri complesso stranieri stranieri 351.452 13.442 3,8% 353.304 15.516 4,4% 355.809 18.857 5,3% 226.480 10.769 4,8% 226.964 12.260 5,4% 228.171 14.977 6,6% 64,4% 80,1% 64,2% 79,0% 64,1% 79,4%
Per avere un quadro più preciso della situazione lavorativa degli stranieri, ai 9.975 occupati dipendenti, andrebbero aggiunti 1.820 lavoratori autonomi (1.334 titolari d’impresa + 486 amministratori), per cui il tasso specifico di occupazione – in rapporto ai residenti stranieri in età lavorativa – s’attesterebbe ormai al 67,6% 5 . L’occupazione straniera, rispetto all’occupazione complessiva registrata dalla provincia, avrebbe raggiunto il 6,6%, a fronte di un’incidenza dei residenti stranieri, sul complesso della popolazione residente, pari al 6,1%. Se si vogliono individuare le caratteristiche del mercato del lavoro ferrarese e, soprattutto, se si vogliono comprendere le caratteristiche del coinvolgimento dei lavoratori, appare quindi fondamentale indagare anche sull’inserimento della forza lavoro straniera che, senza dubbio, risulta l’ele-
Mercato del lavoro e migrazioni
mento di novità più importante, capace di modificare velocemente le relazioni sociali ed economiche tra i diversi soggetti. Le medie delle rilevazioni trimestrali dell’Istat, alla fine del 2007, forniscono ulteriori informazioni sull’inserimento occupazionale nei vari settori economici della provincia di Ferrara. Secondo questa fonte, i lavoratori subordinati provinciali (italiani e stranieri), pari a 110.352 unità, risultavano così distribuiti: - 4.070 unità in “Agricoltura”, pari al 3,7% del totale; - 35.817 unità nelle “Trasformazioni Industriali”, pari al 32,5% del totale; - 6.573 unità nelle “Costruzioni”, pari al 6% del totale; - 63.892 unità nel “Commercio e Servizi”, pari al 57,9% del totale. Tale ripartizione, se paragonata a quella ricavata dai dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara, limitatamente ai dipendenti stranieri al 31.12.2007, consente di individuare quali sono i settori a più elevato inserimento della forza lavoro non italiana. In tale data, gli stranieri con rapporto di lavoro subordinato, pari a 8.599, risultavano così ripartiti: - 450 unità in “Agricoltura”, pari al 5,2% del totale (occupati stranieri); - 2.064 unità nelle “Trasformazioni Industriali”, pari al 24,0% del totale; - 1.123 unità nelle “Costruzioni”, pari al 13,1% del totale; - 4.962 unità nel “Commercio e Servizi”, pari al 57,7% del totale (di cui il 30,5% nel lavoro domestico e di assistenza familiare). Dal raffronto, pur tenendo conto della diversità delle fonti, appare evidente che gli stranieri hanno raggiunto livelli elevati di inserimento lavorativo, come lavoratori subordinati, nei settori “Agricoltura”, “Costruzioni” e “Servizi” (soprattutto nell’ambito del lavoro domestico e dell’assistenza familiare). Le situazioni di lavoro irregolare, che coinvolgono gli immigrati stranieri in provincia di Ferrara, possono essere stimate in modo molto approssimativo. Una delle poche fonti di riferimento, sono le elaborazioni svolte dal dipartimento di Demografia dell’Università Milano Bicocca, sulla base del decreto flussi 2007 e riportata il 12.05.08 in prima pagina dal “Sole 24 Ore”. Secondo tale stima erano almeno 650 mila gli occupati non comunitari presenti in Italia senza permesso di soggiorno. Di questi, in considerazione delle domande di ingresso e di assunzione presentate dai datori di lavoro presso le Poste Italiane ferraresi (la cui entità è stata presa come riferimento ai fini della stima dal “Sole 24 Ore”), circa 3.000 stavano lavorando in provincia di Ferrara. Poco meno di 900 trovavano occupazione presso imprese private, in gran parte dei settori “Costruzioni” e “Pubblici Esercizi”, mentre poco più di 2.000 prestavano la loro opera come assistenti familiari presso privati cittadini.
5 Quello complessivo (italiani e stranieri) della Provincia di Ferrara, secondo i dati al VI trimestre 2006 dell’Istat, sarebbe pari al 66,1%.
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
Le caratteristiche della ricerca sul campo
Obiettivi e metodi d’indagine L’analisi delle caratteristiche del mercato del lavoro, compiuta nel precedente capitolo, risulta fondamentale per la definizione degli obiettivi dell’indagine e degli strumenti di rilevazione. In Italia si contano diversi studi sul mercato del lavoro che assumono come modelli di riferimento i cambiamenti in atto, con diversi approcci metodologici e teorici. Ad eccezione delle analisi del quadro giuridico-istituzionale, non si sono notate finora ricerche sul campo in grado di descrivere adeguatamente l’entità e la qualità dei mutamenti effettivi, anche per le difficoltà incontrate nel paragonare il “prima” e il “dopo” di un medesimo campione ben definito di imprese e di lavoratori. L’indagine viene compiuta quando si presuppone che siano intervenuti importanti mutamenti nel contesto da indagare, spesso dando per scontato un’adeguata conoscenza della situazione prima dei mutamenti presupposti. Così, per misurare i cambiamenti intervenuti si fa spesso riferimento ad esperienze e/o a generalizzazioni teoriche prodotte dagli studiosi più importanti. Lo studio che qui si presenta, ha preferito circoscrivere il campo d’indagine su alcune variabili, evitando di azzardare confronti con le tante teorizzazioni prodotte sul “valore” del lavoro, sulla “centralità” del lavoro, sul “disamore” reale o presunto dei giovani, sulla “solidarietà tra classi e generazioni”, sulla “flessibilizzazione/precarizzazione” delle condizioni di lavoro. Alla luce di queste premesse, si sono assunti alcuni obiettivi ben delimitati, focalizzando l’attenzione sulla descrizione e sulla valutazione di alcuni aspetti inerenti le condizioni di lavoro nei settori ad elevato inserimento di cittadini stranieri. Questi aspetti, in particolare, hanno riguardato: - ad un primo livello di elaborazione, il coinvolgimento dei diversi lavoratori nei processi di lavoro, in termini di modalità di reclutamento e di selezione, di formazione al lavoro, di compensi e sviluppo di carriera, di conoscenze possedute dai soggetti agenti, di interessi e di motivazioni individuali, di vissuti e di identità; - ad un secondo livello di elaborazione, le “figurazioni sociali” definibili in campo lavorativo, in stretta correlazione alle modalità di coinvolgimento dei diversi lavoratori interessati all’indagine, cioè alle interdipendenze e alle relazioni che si vanno prefigurando tra lavoratori, soprattutto fra “autoctoni” di “vecchio” o di “recente” inserimento e fra “autoctoni” e “nuovi arrivati” provenienti da altre nazioni.
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
Le variabili oggetto d’indagine, in modo più dettagliato, hanno interessato: - la condizione lavorativa, in termini di trattamento economico, di governo e regolazione dei processi di lavoro, di percezione dei rischi; - la congruenza/incongruenza delle conoscenze possedute dai lavoratori, rispetto alle conoscenze necessarie sia per l’accesso al lavoro, sia per lo svolgimento dei compiti attribuiti e/o attribuibili (conoscenza delle norme e delle strutture che regolano il mercato del lavoro, dei contratti, dei rischi lavorativi, dei processi di produzione, ecc.); - i rapporti con i colleghi di lavoro, in termini di solidarietà/competizione/indifferenza; - l’orientamento dei lavoratori autoctoni di più antico inserimento verso i “nuovi arrivati” migranti e/o autoctoni, in termini di disponibilità a collaborare, di relazioni potenzialmente conflittuali, di potere/dipendenza, di esclusione/inclusione; - l’assunzione/l’indifferenza/il rifiuto, anche parziale, di forme di autocontrollo e autodisciplina legate alle modalità di svolgimento dei processi di lavoro; - l’orientamento dei migranti già insediati da tempo verso i migranti “ultimi arrivati” e/o l’orientamento dei migranti di una certa nazionalità verso quelli di un’altra, in termini di disponibilità a collaborare, di relazioni potenzialmente conflittuali, di potere/dipendenza, di esclusione/inclusione; - l’orientamento dei lavoratori autoctoni e dei lavoratori stranieri verso il lavoro, in termini di disponibilità, timori, aspettative, stabilità/temporaneità della condizione lavorativa acquisita; - le caratteristiche delle relazioni extralavorative che si sono instaurate tra dipendenti della medesima impresa e, in particolare, tra lavoratori autoctoni e lavoratori stranieri (chiusura/apertura al dialogo, frequentazioni nel dopo lavoro, opportunità di allargare il campo delle conoscenze/relazioni legate alla frequentazione dei colleghi di lavoro); - le possibilità di miglioramento della propria condizione lavorativa in stretta correlazione alle conoscenze possedute, alla ricerca di opportunità formative, alla motivazione individuale, alle opportunità offerte dal datore di lavoro e/o dal mercato del lavoro. Hanno orientato l’indagine due approcci teorici affini e complementari: la Teoria dell’agire organizzativo, costruita da Bruno Maggi (1990; 2003) nel solco di una concezione di organizzazione come processo di decisioni e azioni guidato da razionalità intenzionale e limitata (concezione delineata da autori quali, Max Weber, Herbert A. Simon e James D. Thompson) e la sociologia delle figurazioni sociali del sociologo tedesco Norbert Elias, con particolare riferimento alla figurazione established-outsiders (Elias, Scotson, 1965, trad. it 2004).
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
Sulla base delle indicazioni della Teoria dell’agire organizzativo, nella struttura organizzativa – intesa come coordinamento e controllo di attività – si distinguono analiticamente la struttura dei compiti e la “struttura sociale”; quest’ultima intesa come attività di coordinamento e controllo dei soggetti agenti, da cui si possono enucleare (ancora solo analiticamente) le modalità di coinvolgimento dei soggetti/lavoratori. Queste sono costituite dalle scelte di reclutamento e di selezione, di addestramento e formazione, dai compensi e dalle prospettive di carriera, dalle conoscenze possedute dai soggetti agenti, dagli interessi individuali e dalle motivazioni personali, dai significati vissuti e dalle identità. Nell’indagine realizzata si sono appunto approfonditi gli aspetti inerenti le modalità di coinvolgimento dei soggetti/lavoratori. Non è stato possibile, in questa ricerca, indagare a tutto campo le condizioni di lavoro a fronte della grande variabilità dei processi lavorativi. Per questa ragione nelle interviste realizzate si è cercato di ottenere la descrizione degli studi svolti, del reddito medio mensile percepito, delle modalità di reperimento del lavoro, delle condizioni contrattuali, dei rapporti con i colleghi di lavoro, delle opportunità di accesso a percorsi di formazione. Nella prospettiva eliasiana della figurazione sociale, l’attenzione si sposta sui processi culturali concreti, sulle regolarità che essi assumono e sulle modalità con cui co-evolvono i rapporti di potere reciproci e le personalità. “L’intreccio dei rapporti reciproci tra gli uomini, le loro interdipendenze sono ciò che li lega insieme. Sono il nucleo di quella che viene qui definita come configurazione, configurazione di uomini reciprocamente riferiti e reciprocamente dipendenti. Dato che gli uomini sono più o meno dipendenti gli uni dagli altri, innanzi tutto per natura e poi anche per l’apprendimento sociale, l’istruzione, la socializzazione e i bisogni socialmente indotti, essi si presentano soltanto come pluralità, se così ci si può esprimere, come configurazioni” (Elias, 1939b/1968, trad. it. 1988, introduzione, p. 89). Tra le figurazioni illustrate da Elias, quella denominata established-outsiders riveste particolare importanza, perché ad essa si possono ricondurre le diverse forme di disuguaglianza sociale, ad esempio quelle su base etnica tra autoctoni e immigrati. I ‘radicati’, gruppi e comunità stabiliti da tempo su un territorio, tendono a serrare i ranghi di fronte ai nuovi arrivati; tale chiusura sul piano delle relazioni di comunità è accompagnata sul piano simbolico dalla stigmatizzazione dello straniero come persona di minor valore: privo di cultura, dai modi non civili, sradicato e dunque inaffidabile, quando non pericoloso. L’identità-noi dei membri della comunità è caratterizzata da senso di orgoglio per il maggior prestigio e le maggiori opportunità di potere goduti rispetto agli outsiders. Se si percepisce un possibile cambiamento negli
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
squilibri attuali di potere, a favore degli outsiders e a svantaggio degli established, il disprezzo si può trasformare in paura, astio e risentimento. I nuovi arrivati, come gruppo sociale, hanno spesso un’opinione piuttosto bassa di sé stessi; allo stesso tempo possono coltivare sentimenti di invidia e di ostilità nei confronti degli established. Questo è ciò che accade, in modo più o meno evidente e con varie tonalità, in molte situazioni simili a quella esaminata da Elias e Scotson nel quartiere fittiziamente denominato ‘Winston Parva’ (Elias, Scotson, 1965, trad. it. 2004). In quel caso, tra established e outsiders non vi erano differenze economiche ed etniche rilevanti: la differenza fondamentale era l’anzianità di residenza nel territorio. Hermann Korte è stato tra i primi, negli anni Ottanta, a condurre nella stessa ottica una importante ricerca sui rapporti tra lavoratori stranieri e tedeschi nella Germania Occidentale (BRD). La prospettiva eliasiana, non deterministica, lo porta a concludere in questo modo l’esame retrospettivo di un trentennio di relazioni interetniche: “Tedeschi e Stranieri si trovano uniti in un processo di sviluppo di lungo termine, che può avere esiti diversi: in un caso nella direzione di più collaborazione e nell’altro di maggior conflitto. In mezzo c’è un ampio spettro di possibilità. Se queste non verranno utilizzate, sono da prevedere notevoli conflitti” (Korte, Schmidt, 1983, pag. 97, ns. traduzione). Analogamente, si può porre la seguente questione: come mutano i rapporti di potere generati dalle relazioni interetniche nella realtà italiana odierna? Senza ambizioni di generalizzazioni, il presente studio di caso cerca di dare una risposta per quanto concerne un’area rilevante, ma ben delimitata dal punto di vista geografico e temporale e con particolare attenzione alle relazioni che italiani e stranieri intrattengono nei settori di lavoro ad alto inserimento di migranti.
Le dimensioni da indagare Alla luce di questo approccio teorico si prenderanno in esame il tema dell’inserimento dei lavoratori stranieri e/o dei lavoratori più giovani nei vari contesti organizzati, le attese dei singoli legate al luogo di provenienza, agli studi svolti, all’emergere di eventuali discriminazioni e pregiudizi. Per la raccolta delle informazioni, utili a comprendere l’orientamento dei lavoratori e le caratteristiche delle relazioni nei contesti lavorativi, si è scelto di ricorrere: a 200 interviste semi-strutturate, di cui 125 rivolte a occupati con cittadinanza italiana e 75 a occupati con cittadinanza straniera, e a una decina di interviste non strutturate a datori di lavoro operanti nei diversi settori prescelti. Nel primo caso, si è preferito ricorrere all’intervista semi-strutturata, rispetto ad altri strumenti di costruzione del dato, in quanto essa risultava utile
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
al reperimento di dati qualitativi e quantitativi in tempi relativamente brevi. Le interviste semi-strutturate hanno seguito una scaletta dettata da alcuni criteri: - la coerenza tra gli obiettivi dell’indagine e le domande formulate per le interviste; - la strutturazione di domande iniziali semplici, di “prima conoscenza” e di domande successive più complesse e “coinvolgenti”, al fine di consentire agli intervistati di addentrarsi gradualmente negli argomenti dell’intervista, ma anche di rilevarne eventuali incongruenze. Esse sono state condotte in modo poco direttivo, per cui: - gli intervistati hanno potuto conversare liberamente sui temi proposti dagli intervistatori, pur rispettando l’ordine scelto da questi ultimi; - gli intervistatori hanno potuto formulare le domande tenendo conto degli interlocutori che avevano di fronte (soprattutto per farsi adeguatamente comprendere e mantenere un livello adeguato di coerenza con gli obiettivi dell’indagine); - si è raggiunto, comunque, un soddisfacente livello di comparabilità dei dati raccolti, ricorrendo anche ad alcune domande standardizzate, indispensabili ai fini dell’indagine. Si è cercato, in particolare, di comprendere: • se esistono differenze relazionali e/o di trattamento economico-normativo tra occupati nell’ambito della stessa impresa; • se le eventuali differenze dipendono da: diverse conoscenze tecniche ed abilità pratiche possedute dai soggetti, riconoscimenti legati all’anzianità lavorativa, discriminazioni legate ad aspetti burocratico/legali (difficoltà ad acquisire la residenza, difficoltà a conservare una presenza regolare, stagionalità, saltuarietà, incertezza del rapporto di lavoro), difficoltà nell’instaurare rapporti di amicizia/collaborazione col datore di lavoro e/o con altri lavoratori, ecc., attribuzione di compiti “non graditi” dagli occupati più anziani e/o autoctoni, maggior disponibilità legata alla necessità di mantenere un’occupazione da parte degli ultimi arrivati; • se durante le pause di lavoro si creano gruppi aperti di mutuo aiuto e/o chiusi, verso i “nuovi arrivati”; • se esistono timori legati alla possibile perdita del lavoro (in seguito alla sfiducia nelle proprie capacità lavorative, all’insufficienza delle competenze possedute, all’eventuale discriminazione in quanto “ultimo arrivato”); • se si sente il bisogno di aumentare le conoscenze professionali possedute (quali ostacoli si incontrano su questo versante: familiari, di lingua, di diffidenza, ecc.); • se il lavoro svolto corrisponde alle aspettative dei singoli lavoratori, se c’è congruenza tra formazione scolastica e professionale da una parte ed
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
attività lavorativa svolta dall’altra, se e come si pensa di migliorare la propria condizione lavorativa; • se il lavoro rappresenta un mezzo per la propria realizzazione, quale responsabilità si ritiene di avere verso il lavoro svolto, verso i colleghi, verso gli utenti; • il coinvolgimento percepito (cognitivo, affettivo, morale) nell’attività lavorativa svolta. Nell’intento di facilitare i contatti tra intervistatore e intervistato e di evitare eventuali difficoltà con i rispettivi datori di lavoro, si è scelto di dar corso alle interviste coinvolgendo anche questi ultimi. Si è chiesto ai responsabili delle imprese prescelte, dopo una breve illustrazione degli obiettivi dell’indagine, di contattare direttamente i lavoratori da intervistare, di raccoglierne la disponibilità e di fornire, agli intervistatori, le indicazioni necessarie a stabilire gli appuntamenti per le interviste. Con una decina di datori di lavoro, inoltre, si sono approfonditi alcuni aspetti in merito: - alle ragioni che li hanno indotti ad assumere anche lavoratori stranieri; - alle caratteristiche delle prime fasi d’inserimento al lavoro di giovani italiani e/o di cittadini stranieri, con particolare riferimento agli aspetti relazionali con i colleghi di lavoro e con lo stesso datore di lavoro; - alle situazioni relazionali maturate dopo la prime fasi di inserimento lavorativo; - alle scelte tecnico/organizzative messe in campo per superare le eventuali difficoltà incontrate. Lavoratori e datori di lavoro, pertanto, erano a conoscenza dell’iniziativa di ricerca e, in alcuni casi, direttamente coinvolti nella realizzazione della stessa. In questo modo, si è ridotto il rischio di polarizzazioni delle risposte e si è mitigato il timore di ritorsioni a carico dei lavoratori. E’ possibile che ciò abbia condizionato l’esito di alcune interviste, anche se a tutti è stata garantita la massima riservatezza sulle informazioni ottenute. L’analisi delle interviste ha tenuto conto di questo rischio, soprattutto nell’individuazione delle modalità di coinvolgimento dei lavoratori e nelle “figurazioni relazionali”. A fronte di generiche affermazioni circa l’inesistenza di qualsiasi problema o difficoltà, raccolte con le domande di carattere più generale, si sono prese in considerazione le risposte di dettaglio sulle singole questioni che, invece, davano maggiori informazioni sulle situazioni realmente vissute, in modo più o meno consapevole.
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
Il campo di indagine e la definizione del piano interviste Sulla base delle caratteristiche del mercato del lavoro nazionale e locale, degli obiettivi e della metodologia di ricerca, si è delineato il campo d’indagine. La sigla U.L., che sarà di seguito utilizzata, sostituirà il termine Unità Locali intese come luoghi fisici di svolgimento delle attività lavorative, quali: cantieri, stabilimenti, agenzie, filiali, succursali, sedi legali, uffici, ecc. Per la definizione del campo di indagine, in termini di U.L. e di lavoratori che potrebbero essere coinvolti, si è fatto di nuovo ricorso alla banca dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara. Tale banca dati è, infatti, l’unica in grado di fornire informazioni dettagliate sulle singole U.L. e sui loro occupati-dipendenti, in quanto realizzata tramite le registrazioni delle assunzioni e dei licenziamenti comunicate ai Centri per l’Impiego (per obbligo normativo), dai datori di lavoro (imprenditori e/o privati cittadini). Grazie a questa banca dati è stato possibile adottare tre criteri utili a definire, in stadi successivi, sia le potenziali U.L. da coinvolgere, sia i potenziali lavoratori da intervistare. Con il primo criterio si sono prese in considerazione solo le U.L. che denotavano situazioni di “compresenza” di lavoratori italiani e stranieri, per cui si sono esclusi tutti i rapporti di lavoro instaurati con un singolo lavoratore da cittadini privati (quali l’assunzione di domestiche, di colf, di baby sitter, di assistenti familiari, ecc.). Dopo questa prima delimitazione, con il secondo criterio si sono prese in considerazione solo quelle U.L. che operavano nell’ambito dei primi dieci settori con il più alto numero di occupati stranieri (definiti in base ai CCNL di riferimento, escluso quello dei lavoratori domestici per le ragioni sopra esposte). Con il terzo criterio si è ulteriormente ridotta l’estensione delle potenziali U.L. alle sole che denotavano la presenza di lavoratori subordinati provenienti da almeno una delle prime dieci nazioni straniere riscontrate nel mercato del lavoro provinciale. Sul versante dei potenziali lavoratori da intervistare, invece, si è assunto l’orientamento di: - coinvolgere, per ogni U.L., almeno un lavoratore straniero ed un lavoratore italiano, in modo da ottenere informazioni differenziate sulla condizione lavorativa vissuta nella medesima unità locale; - intervistare i lavoratori subordinati stranieri delle prime 10 nazionalità presenti in provincia di Ferrara, tenendo conto dei rispettivi gradi di inserimento lavorativo (cioè del numero di occupati per paese di provenienza/cittadinanza inseriti nei vari settori economici).
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
Con i suddetti criteri si sono individuate 260 U.L. che, al 31.12.08, occupavano 11.544 dipendenti, 85,9% di origine italiana e 14,1% di origine straniera. In relazione alle classi di dimensione occupazionale è emerso che, su 260 U.L.: - oltre il 75% si colloca nella classe dimensionale fino a 30 dipendenti (il 55% nelle U.L. da 1 a 15 dipendenti ed il 20,4% nelle U.L. da 15 a 30 dipendenti), con una media di 3,1 occupati stranieri per unità locale; - il 12,7% rientra nella classe dimensionale da 31 a 100 dipendenti, con una media di 11,9 occupati stranieri per unità locale; - solo il restante 11,9% ha più di 100 dipendenti, con una media di 19,8 occupati stranieri per unità locale. Si tratta di valori che evidenziano uno spiccato inserimento della forza lavoro straniera nelle strutture di piccola e/o piccolissima dimensione, per cui appare rilevante il rapporto diretto (spesso personale) col datore di lavoro e/o col responsabile dell’unità locale ai fini sia dell’assunzione, sia del mantenimento del posto di lavoro. I valori inerenti l’incidenza della forza lavoro straniera nelle diverse classi di dimensione permettono di chiarire ulteriormente quanto appena detto; infatti, nel campo d’indagine gli stranieri sono più presenti nelle piccole U.L. e la percentuale delle presenze tende a diminuire progressivamente al crescere dell’ampiezza delle U.L. (Grafico 1).
% lavoratori stranie ri
Grafico 1
91,9%
% lavoratori italiani
Campo d’indagine: rapporto tra occupati italiani e stranieri per classe di dimensione – Valori percentuali
85,9% 78,5%
76,5%
78,4%
66,7%
33,3% 23,5%
21,5%
21,6% 14,1% 8,1%
Fino a 15 dip.
Da 16 a 30 dip.
Da 31 a 50 dip.
Da 51 a 100 dip.
Oltre 100 dip.
TOTALE
Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
La presenza di lavoratori stranieri, inoltre, si presenta alquanto differenziata per settore, attestando come le opportunità di lavoro accessibili agli stranieri, nel territorio ferrarese, risultino alquanto eterogenee. Infatti, rispetto alla media d’inserimento dei lavoratori stranieri, pari al 14,1%, emersa nel campo d’indagine prescelto, si sono collocati al di sopra i seguenti settori: Grafico 2 “Costruzioni” con 612 dipendenti, di cui 180 stranieri pari al 29,4%
Le caratteristiche della ricerca sul campo
24 rumeni 86 marocchini 14 albanesi
893 (81,1% ) italiani
15 marocchini
42 altri stranieri
36 albanesi 2 cinesi
Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
Grafico 3
803 (73,8%) italiani
“Pubblici esercizi e ristorazione collettiva” con 401 dipendenti, di cui 84 stranieri pari al 20,9%
26
Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
2.857 (86,3% ) italiani
64 rumeni 95 marocchini 69 albanesi 26 cinesi 31 pakistani 7 moldavi 13 ucraini 37 nigeriani 18 tunisini 3 polacchi 89 altri stranieri
7 moldavi 25 ucraini 4 nigeriani 86 polacchi
Grafico 6 “Metalmeccanico” con 3.309 dipendenti, di cui 452 stranieri pari al 13,7%
Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
20 altri stranieri
Grafico 4
Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
122 rumeni 2 marocchini 15 albanesi 2 cinesi 2 pakistani
“Autotrasporti, facchinaggi,logistica” con 1.101 dipendenti, di cui 208 stranieri pari al 18,9%
Al di sotto della media di inserimento (14,1%) si sono collocati invece i seguenti settori:
22 altri stranieri
“Agricoltura e Commercio di prodotti ortofrutticoli” con 1.088 dipendenti, di cui 285 stranieri pari al 26,2%
Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
8 pakistani 21 moldavi 8 ucraini 21 tunisini 5 polacchi
6 ucraini 1 nigeriani 11 tunisini 2 polacchi
42 rumeni
432 (70,6% ) italiani
10 pakistani 12 moldavi
Grafico 5
317 (79,1% ) italiani
16 rumeni 6 marocchini 9 albanesi 3 cinesi 6 moldavi 12 ucraini 2 nigeriani 1 tunisini 1 polacchi 28 altri stranieri
14 rumeni 9 marocchini 7 albanesi 14 moldavi 769 (87,0% ) italiani
Grafico 7 “Imprese di Pulizia” con 884 dipendenti, di cui 115 stranieri pari al 13%
23 ucraini 3 nigeriani 3 tunisini 7 polacchi 35 altri stranieri
Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
Grafico 8
15 rumeni 17 marocchini 7 albanesi 17 cinesi
“Tessile, abbigliamento, calzature” con 794 dipendenti, di cui 96 stranieri pari al 12,1%
698 (87,9% ) italiani Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
Grafico 9 “Chimica, gomma, materie plastiche, industria farmaceutica” con 541 dipendenti, di cui 45 stranieri pari all’8,3%
Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
1298 (94,5% ) italiani
1 cinesi 4 moldavi 3 ucraini 2 nigeriani 2 polacchi 37 altri stranieri
Grafico 11 “Commercio e terziario (escluse imprese di pulizia)” con 1.374 dipendenti, di cui 76 stranieri pari al 5,5%
Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
Si tratta di una variabile importante da considerare, soprattutto se si tiene conto che il complesso delle relazioni lavorative è influenzato anche dall’incidenza dei nuovi lavoratori stranieri assunti, rispetto agli autoctoni.
2 rumeni 2 marocchini 8 albanesi 2 pakistani 496 (91,7% ) italiani
3 moldavi 3 ucraini 2 nigeriani 23 altri stranieri
Grafico 10
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17 rumeni 7 marocchini 3 albanesi
26 altri stranieri
“Servizi socio/assistenziali e sanitari” con 1.440 dipendenti, di cui 82 stranieri pari al 5,7%
Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
3 moldavi 2 ucraini 4 nigeriani 2 tunisini 3 polacchi
Le caratteristiche della ricerca sul campo
1.358 (94,3% ) italiani
17 rumeni 3 marocchini 9 albanesi 10 moldavi 7 ucraini 2 nigeriani 10 polacchi 24 altri stranieri
L’analisi dei settori d’inserimento lavorativo degli stranieri permette di “tipicizzare” alcuni aspetti dell’inserimento dei dipendenti stranieri per settore attraverso l’utilizzo di due indicatori: - i livelli di presenza (alta, media, bassa), legati dall’incidenza degli occupati dipendenti stranieri per settore, in rapporto all’entità degli occupati dipendenti complessivi (italiani e stranieri) per settore (estrapolati dai dati Istat e dai dati dei Centri per l’Impiego); - i livelli di concentrazione/diffusione (alta/poco, mediamente/mediamente, bassa/molto) delle situazioni di “compresenza” nei vari settori, dato dal rapporto tra il totale delle U.L. con addetti (fornito dalla CCIAA di Ferrara – come da tabella allegata al presente report) e le U.L. incluse nel campo di indagine, con dipendenti sia italiani che stranieri. Sulla base di questi due indicatori, l’inserimento della forza lavoro straniera può essere definito: - nel settore “Costruzioni”: molto elevato, per la massiccia presenza nell’edilizia, ma poco concentrato/molto diffuso, in relazione all’insediamento di numerosi cantieri che, censiti come U.L. di medio/piccola e piccola dimensione, vantano spesso occupati sia italiani che stranieri; - nel settore “Agricoltura–Commercio Ortofrutta”: molto elevato, dato che sono alquanto numerosi i dipendenti stranieri e molto concentrato/poco diffuso, in quanto le “compresenze” sono riscontrabili soprattutto in alcune grandi U.L., rispetto alle numerosissime U.L. registrate dalla CCIAA; - nel settore “Pubblici esercizi”: molto elevato, anche per l’entità delle presenze riscontrato negli alberghi e nei ristoranti insediati nei lidi ferraresi che mantengono alti i livelli di inserimento medio complessivo, ma poco concentrato/molto diffuso, considerate le numerose U.L. che offrono la-
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
voro contemporaneamente a italiani e stranieri; - nel settore “Autotrasporti, facchinaggi, logistica”: molto elevato, per la massiccia presenza nelle attività di facchinaggio e la crescita in atto nel ramo dei trasporti, ma mediamente concentrato/mediamente diffuso, data l’elevata incidenza, soprattutto nell’ambito dei trasporti, di numerose U.L. di piccola e piccolissima dimensione gestite da artigiani autoctoni, ancora “chiuse” all’ingresso di lavoratori stranieri; - nel settore “Metalmeccanico”: mediamente elevato, soprattutto per l’esiguità degli occupati nelle grandi imprese del ramo meccanico che tiene bassa l’incidenza complessiva nel settore, ma mediamente concentrato/mediamente diffuso, in relazione al prevalere delle “compresenze” nelle U.L. del ramo metallurgico (fonderie, carpenterie metalliche, centri di saldatura, ecc.) anche di media e/o di medio/piccola dimensione e alla scarsa rilevazione di situazioni di compresenza negli altri rami della metalmeccanica; - nel settore “Imprese di pulizia”: mediamente elevato, considerato che offre lavoro al 3,8% del totale degli stranieri dipendenti in provincia di Ferrara, ma molto concentrato/poco diffuso, in quanto emergono situazioni di compresenza soprattutto nelle imprese di maggior consistenza sul mercato; - nel settore “Tessile, abbigliamento, calzature”: mediamente elevato, sulla spinta dell’ingresso recente di donne rumene e, soprattutto, cinesi come lavoratrici dipendenti e mediamente concentrato/mediamente diffuso, in quanto la “compresenza”, tuttora in fase di evidente espansione, appare comunque circoscritta ad un numero non elevato di U.L. sparse sul territorio; - nel settore “Chimica, gomma, materie plastiche”: poco elevato, in relazione all’esiguità dei dipendenti stranieri rispetto ai dipendenti complessivi e molto concentrato/poco diffuso, in quanto si rileva la “compresenza” (italiani + stranieri) in un numero molto esiguo di unità locali; - nel settore “Servizi socio-sanitari”: poco elevato, anche per le difficoltà di ingresso nel settore dettate dai vincoli professionali stabiliti dalla normativa in vigore, ma mediamente concentrato/mediamente diffuso, in virtù di una “compresenza”, spesso con poche unità straniere, nelle diverse case di cura e nelle case di riposo gestite da privati (un numero crescente di donne straniere, dopo aver svolto l’attività di assistente familiare, grazie anche alla frequentazione di specifici percorsi formativi, trova opportunità di lavoro nelle strutture socio sanitarie private, non sottoposte al vincolo del concorso pubblico che impedisce l’assunzione stabile di non comunitari); - nel settore “Commercio-Servizi”: poco elevato, per l’esiguità dell’inserimento straniero in rapporto agli occupati complessivi e molto concentrato/poco diffuso, dato che si stanno “aprendo” all’ingresso di forza-lavoro straniera, creando situazioni di compresenza, alcune grandi e medie catene di distribuzione.
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
INDICE DI PRESENZA DEI DIPENDENTI STRANIERI
INDICE DI CONCENTRAZIONE/ DIFFUSIONE DELLE PRESENZE PER UNITA’ LOCALE
Molto concentrato/ poco diffuso
Molto elevato
Mediamente elevato
Poco elevato
“Agricoltura – Commercio Ortofrutta”
“Imprese di pulizia”
“Chimica, gomma, materie plastiche” “Commercio e Servizi”
Mediamente concentrato/ mediamente diffuso
“Autotrasporti, facchinaggi, logistica”
Poco Concentrato/ molto diffuso
“Pubblici esercizi”
“Metalmeccanico (industria e artigianato)”
“Servizi socio sanitari”
“Tessile, abbigliamento, calzature”
“Costruzioni”
Dopo aver definito il campo d’indagine, si è elaborato un piano di campionamento delle interviste da realizzare. Nelle fasi di elaborazione, si è tenuto conto degli obiettivi dell’indagine, dell’impostazione teorico-metodologica utilizzata e della diversa incidenza dei lavoratori immigrati “nuovi arrivati” nei vari settori e nelle varie aree della provincia, in stretta correlazione con la variabile “paese di provenienza/cittadinanza”. Si è così deciso di realizzare duecento interviste semi strutturate e, per cogliere adeguatamente anche gli orientamenti dei “nuovi arrivati”, quali potenziali apportatori di mutamenti significativi nel contesto lavorativo, si è scelto di intervistare: - 125 lavoratori con cittadinanza italiana, pari al 62,5% del totale; - 75 lavoratori stranieri, pari al 37,5% del totale.
Quadro riepilogativo Indice di presenza e di diffusione/concentrazione dei lavoratori stranieri per Unità Locale in provincia di Ferrara Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
Relativamente ai lavoratori stranieri da intervistare, si è individuato un numero indicativo di interviste per paese di provenienza/cittadinanza che fosse proporzionato al numero degli occupati per cittadinanza rilevato dai Centri per l’Impiego (Tabella 4). Per agevolare lo svolgimento delle interviste, tenuto conto che i lavoratori e/o i responsabili delle U.L. potevano scegliere di non collaborare, si è deciso che le eventuali modifiche al piano interviste, sopra descritto, potevano essere effettuate se coerenti con alcuni specifici criteri, definiti sulla base delle caratteristiche dei processi migratori. Le migrazioni provenienti dai Paesi ad elevato tasso migratorio, infatti, possono essere raggruppate in relazione agli obiettivi perseguiti dai migranti, alla componente di genere e all’età dei migranti, alla durata reale e/o presunta della permanenza nel paese prescelto, ai mezzi/percorsi maggiormente utilizzati (regolari, irregolari, clandestini) per raggiungere il paese prescelto.
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
Servizi Autotrasp.L CommerChimica Metalmecassist., Pubblici Imrese di ogistica e cio e Plastica canico sanitari, Esercizi pulizia FacchiTerziario Gomma (Art.+Ind.) naggio farmacie Romania 1 1 2 2 1 2 Polonia Albania 1 2 1 Moldova 1 1 1 1 Ucraina 1 1 1 Serbia/Montenegro 1 1 Marocco 1 1 4 1 3 Tunisia 1 1 Nigeria 1 1 Camerun 1 Senegal 1 Cina 1 2 Filippine 1 Pakistan 1 1 Iran 1 Libano 1 Russia 1 Cuba 1 Brasile 1 TOT. STRANIERI 4 2 11 2 16 5 9 6 4 18 3 27 8 15 TOT. ITALIANI Settore/Paese di origine
Tabella 4 Campione dei lavoratori da intervistare per cittadinanza e per settore d’inserimento Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
Costruzioni 2 1 4 2 1 3 1 2 16 27
Le caratteristiche della ricerca sul campo
Tessile Abbigliam. Calzat. -
Agricoltura/Orto- TOTALE frutta 3 3 5
2 3 1 1 7 12
13 4 9 6 5 2 13 3 2 1 1 6 1 4 1 1 1 1 1 75 125
La conoscenza di tutti questi aspetti è stata acquisita: - con la consultazione dei numerosi e recenti studi in materia, quali ad esempio: - “1° Rapporto sugli immigrati in Italia”, Ministero dell’Interno, dicembre 2007; - “Badanti: la nuova generazione” di Sergio Pasquinelli e Giselda Rusmini, Istituto per la Ricerca Sociale Milano, novembre 2008; - “Le determinanti dei flussi migratori nelle province italiane: 19912001” di Roberto Basile e Marco Causi, Università degli Studi di Roma Tre – Dipartimento di Economia; - “Il migrante marocchino come agente di sviluppo e di innovazione nelle comunità di origine”, a cura di AMERM – Ass. marocchina di studi e ricerche sulle migrazioni, Rabat, Marocco – Exodus Edizioni s.r.l., Milano 2002; - con l’esperienza maturata nelle quotidiane attività di orientamento al lavoro dei cittadini stranieri e di consulenza ai datori di lavoro interessati all’assunzione di personale straniero, svolte nell’ambito dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione. Durante lo svolgimento dell’indagine, pertanto, si sono assunti i seguenti orientamenti: - sostituire la mancata intervista di un lavoratore proveniente dall’Asia con un altro di origine asiatica (ad esempio un cinese con un pakistano, con
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un indiano o con un filippino) sulla base del presupposto che molti cittadini provenienti da detto continente: - da un lato, tendono a “chiudersi” nelle loro comunità, spesso costituite da gruppi parentali e/o amicali, tenuti insieme anche dal desiderio di preservare, almeno in parte, le tradizioni e le culture acquisite nel territorio d’origine; - dall’altro, in stretta correlazione alla “chiusura” in relazioni di comunità, non acquisiscono facilmente un’adeguata capacità di esprimersi in lingua italiana, per cui possono emergere ulteriori difficoltà di comunicazione e di interazione con gli italiani e con le altre etnie, soprattutto nei contesti di lavoro; difficoltà che, di fatto, alimentano sia le percezioni di “separatezza” e di “diversità” (l’idea alla base delle espressioni “noi” - “loro”), sia il bisogno di mantenere un’identità di gruppo, separato dal contesto, come fonte di sicurezza e di mutuo aiuto (questo aspetto può, in parte, spiegare il massiccio inserimento lavorativo dei cittadini asiatici, in particolare dei cinesi e dei pakistani, presso imprese gestite da connazionali o presso imprese che offrono lavoro a numerosi connazionali); - sostituire la mancata intervista di un lavoratore neo comunitario dell’Est Europa con un altro lavoratore neo comunitario dell’Est Europa (ad esempio un polacco con un rumeno e viceversa), considerato che le esperienze maturate e le motivazioni di base del viaggio migratorio potevano presentare caratteristiche similari (migrazioni alla ricerca di un lavoro stagionale in agricoltura o nell’industria del turismo, oppure di un lavoro a termine nel campo dell’assistenza familiare, al fine di accantonare le risorse necessarie al proprio nucleo familiare, con la prospettiva di un ritorno in patria nel breve periodo); - sostituire la mancata intervista di un lavoratore non comunitario dell’Est Europa con un altro lavoratore di provenienza analoga (ad esempio un ucraino con un moldavo e viceversa), tenuto conto delle similitudini che caratterizzano i processi migratori di questi lavoratori: dapprima emigrano soprattutto le donne oltre i 40 anni per lavorare nel settore domestico e/o dell’assistenza familiare, in situazioni di convivenza, con un progetto migratorio temporaneo; poi, con l’attivazione di percorsi di ricongiunzione familiare che coinvolgono mariti e figli, la migrazione può diventare stabile e/o definitiva, specie se sostenuta dal desiderio di non perdere i diritti acquisiti con l’ottenimento di un regolare permesso di soggiorno, dopo anni di irregolarità/clandestinità e di sacrifici personali (quali, ad esempio, la rinuncia ad una “normale” vita intima e sociale, l’accettazione di un sottosalario irregolare, la mancanza di un’abitazione stabile e personale, la convivenza con situazioni difficili e/o di sofferenza che caratterizza il
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
lavoro nell’ambito dell’assistenza familiare, ecc.); - sostituire la mancata intervista di un lavoratore proveniente dal Nord Africa con un altro lavoratore di analoga provenienza (ad esempio, un marocchino con un tunisino e/o con un algerino e viceversa), dato che le migrazioni della maggior parte dei nord africani si connotano al maschile, con un progetto di lungo periodo e un’elevata conservazione degli orientamenti culturali acquisiti nel luogo d’origine, spesso legati alla religione islamica; i processi di ricongiunzione familiare, che oggi rappresentano la principale modalità d’ingresso regolare dei cittadini nord africani, sono attivati, in molti casi, solo dopo diversi anni di permanenza in Italia, in quanto la normativa in vigore subordina i ricongiungimenti a parametri abitativi e di reddito che vengono acquisiti con difficoltà nel medio/lungo periodo. Ad esempio, l’inserimento lavorativo nelle costruzioni, nelle attività di facchinaggio e nella meccanica pesante, oppure l’avvio di un’attività autonoma nel settore commerciale, che caratterizza i migranti di questi paesi nelle fasi iniziali del processo migratorio, per varie ragioni, può rimanere a lungo precario, fonte di frequenti migrazioni interne dal Centro-Sud al CentroNord dell’Italia, alla ricerca di un lavoro a tempo pieno, stabile e regolare; - sostituire la mancata intervista di un lavoratore del Centro e/o dell’Africa del Sud con un altro lavoratore di provenienza analoga, in quanto un buon numero di questi cittadini, giunto in Italia in modo irregolare e/o clandestino, spesso fuggendo dal proprio paese, ha affrontato un lungo percorso di regolarizzazione chiedendo asilo politico. Questi cittadini, inoltre, possono aver subito discriminazioni per il colore della propria pelle, possono essere stati indotti e/o “costretti” a frequentare quasi esclusivamente i connazionali con cui condividono lo “status” di richiedenti asilo, e, quindi, possono incontrare molte difficoltà ad esprimersi in lingua italiana non essendo, in qualche modo, obbligati a farne uso per la conversazione quotidiana. Allo scopo di integrare i risultati delle interviste ai lavoratori, tramite l’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione, si è deciso di: - realizzare una decina di interviste dirette non strutturate, della durata di circa un’ora, a datori di lavoro coinvolti nell’indagine; - prendere in considerazione i colloqui telefonici più significativi e pregnanti realizzati nella fase di acquisizione delle disponibilità a collaborare. Il ricorso ai vari punti di vista (lavoratori / datori di lavoro) è apparsa subito molto importante ai fini di un’adeguata comprensione di alcuni aspetti poco sviluppati e/o appena accennati durante lo svolgimento delle interviste ai lavoratori, e dell’elaborazione di alcune configurazioni sociali che sembrano caratterizzare i rapporti tra lavoratori autoctoni/lavoratori stranieri e tra datori di lavoro/lavoratori stranieri.
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
Le unità locali coinvolte e lavoratori intervistati Le 200 interviste si sono svolte, in larga parte, tra la seconda metà di ottobre e la fine di dicembre 2008. Esse hanno coinvolto un campione formato da 89 U.L. e 5.400 dipendenti, di cui 4.702 italiani (pari all’87,1%) e 698 stranieri (pari al 12,9%). Rispetto al campo d’indagine prescelto, il campione si può considerare rappresentativo – anche se in modo non proporzionale – alle diverse realtà di settore. Sono state interessate, infatti, il 34,2% delle U.L. e il 46,8% dei lavoratori dipendenti occupati (il 47,4% degli italiani e il 43% degli stranieri). Tali valori, in sintonia con gli obiettivi prefissati, appaiono alquanto differenziati per settore (Tabella 5).
Unità Locali oggetto Unità locali prescelte come campo di indagine di indagine SETTORI Lavoratori dipendenti Unità Lavoratori dipendenti Unità Italiani Stranieri Totale Locali Italiani Stranieri Totale Locali Agricoltura - Commercio Ortofrutta 492 198 690 6 803 285 1.088 13 Pubblici esercizi 229 58 287 12 317 84 401 22 Commercio e Servizi (escluse pulizie 948 22 970 6 1.298 76 1.374 15 Imprese di pulizia 306 43 349 5 769 115 884 14 Servizi Socio/Assist.li e Sanitari 196 19 215 2 1.358 82 1.440 7 Autotrasporti, facchinaggi, logistica 838 113 951 10 893 208 1.101 19 Chimica, gomma e materie plastiche 449 30 479 3 496 45 541 9 Tessile, abbigliamento, calzature 52 18 70 3 698 96 794 23 Costruzioni 172 52 224 24 432 180 612 72 Metalmeccanica 1.020 145 1.165 18 2.857 452 3.309 66 TOTALE 4.702 698 5.400 89 9.921 1.623 11.544 260
Tabella 5 Raffronto fra campo di indagine prescelto e campione indagato
Rapp. % U.L. indagate e U.L. del campo di indagine Lavoratori dipendenti Unità Italiani Stranieri Totale Locali 61,3% 69,5% 63,4% 46,2% 72,2% 69,0% 71,6% 54,5% 73,0% 28,9% 70,6% 40,0% 39,8% 37,4% 39,5% 35,7% 14,4% 23,2% 14,9% 28,6% 93,8% 54,3% 86,4% 52,6% 90,5% 66,7% 88,5% 33,3% 7,4% 18,8% 8,8% 13,0% 39,8% 28,9% 36,6% 33,3% 35,7% 32,1% 35,2% 27,3% 47,4% 43,0% 46,8% 34,2%
Relativamente al settore “Tessile, abbigliamento, calzature”, che presenta il rapporto più basso tra campione e campo d’indagine (solo il 13% delle U.L. risultano coinvolte), ci si è orientati a cogliere l’aspetto più significativo della presenza straniera legata all’inserimento di donne provenienti dalla Cina contestualmente all’ingresso nel settore di imprenditori cinesi. La dimensione media delle 89 U.L. rientranti nel campione indagato, inoltre, si presenta molto diversa per settore: dai 9,3 dipendenti delle “Costruzioni” ai 159,7 dipendenti della “Chimica, gomma, materie plastiche”, in sintonia con i livelli di presenza e “concentrazione/diffusione” degli occupati stranieri per settore e per unità locali di settore (si veda il capitolo “Il campo d’indagine e la definizione del piano interviste”). Tale dimensione media appare, come si è sottolineato in precedenza, una variabile molto importante e va tenuta nella debita considerazione in sede di valu-
Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
Tabella 6 Unità Locali oggetto di indagine, distinte per settore e per numero di occupati italiani e stranieri Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione su dati dei Centri per l’Impiego della Provincia di Ferrara
tazione delle risposte dei lavoratori intervistati, soprattutto se si considera che: - nelle piccole U.L. è probabilmente più facile conoscersi vicendevolmente e si è, in qualche modo, “costretti” ad intrattenere relazioni interpersonali, sia col responsabile della propria struttura (che spesso coincide con il titolare), sia con i colleghi di lavoro; - nelle U.L. di più grande dimensione è probabilmente meno facile conoscere tutti i colleghi e si può più agevolmente evitare, in primo luogo chi non lo cerca e/o lo rifiuta, il contatto diretto con i colleghi (specie se stranieri) e/o col responsabile della propria struttura, limitandolo alle necessità imposte dal lavoro. Quanto tali aspettative corrispondano alla realtà è oggetto di verifica nell’analisi delle interviste, soprattutto laddove si esaminano le risposte alle domande tese a valutare le caratteristiche delle relazioni intrattenute coi colleghi e/o col responsabile della propria U.L. In merito alle 200 interviste effettivamente realizzate, l’incidenza sul totale dei dipendenti riscontrati nelle 89 U.L. coinvolte è stata pari al 3,7% (2,7% nel caso dei lavoratori italiani e 10,7% nel caso dei lavoratori stranieri), con valori alquanto differenziati per settore, ma coerenti con le caratteristiche del campo d’indagine e gli obiettivi prefissati.
Unità Locali oggetto di indagine Lavoratori dipendenti Unità U.L./ Italiani Stranieri Totale Locali Tot.dip. Agricoltura - Commercio Ortofrutta 492 198 690 6 115,0 Pubblici esercizi 229 58 287 12 23,9 Commercio e Servizi (escluse pulizie) 948 22 970 6 161,7 Imprese di pulizia 306 43 349 5 69,8 Servizi Socio/Assist.li e Sanitari 196 19 215 2 107,5 Autotrasporti, facchinaggi, logistica 838 113 951 10 95,1 Chimica, gomma e materie plastiche 449 30 479 3 159,7 Tessile, abbigliamento, calzature 52 18 70 3 23,3 Costruzioni 172 52 224 24 9,3 Metalmeccanica 1.020 145 1.165 18 64,7 TOTALE 4.702 698 5.400 89 60,7 SETTORI
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
Nello specifico (Tabella 6), rispetto all’entità degli occupati per settore rilevati nel campione, le interviste realizzate hanno coinvolto: - il 18,5% dei dipendenti delle “Costruzioni” (14% italiani e 32,7% stranieri), con 24 U.L.; - l’11,4% dei dipendenti del “Tessile, Abbigliamento, Calzaturiero” (9,6% italiani e 16,7% stranieri), con 3 U.L.; - il 10,8% dei dipendenti dei “Pubblici Esercizi” (8,3% italiani e 20,7% stranieri), con 12 U.L.; - il 3,6% dei dipendenti del “Metalmeccanico” (2,6% italiani e 10,3% stranieri), con 18 U.L.; - il 2,9% dei dipendenti delle “Imprese di pulizia” (2% italiani e 9,3% stranieri), con 5 U.L.; - il 2,8% dei dipendenti dei “Servizi Socio Sanitari (2% italiani e 10,5% stranieri), con 2 U.L.; - il 2,8% dei dipendenti della “Agricoltura/Commercio Ortofrutta (2,4% italiani e 3,5% stranieri), con 6 U.L.; - il 2,6% dei dipendenti degli “Autotrasporti, facchinaggi e logistica” (1,8% italiani e 8,0% stranieri), con 10 U.L.; - l’1,2% dei dipendenti del “Commercio/Terziario allargato (escluse le imprese di pulizia, 1,1 italiani e 18,2% stranieri), con 5 U.L.; - l’1,0% dei dipendenti della “Chimica, Gomma, Materie Plastiche” (0,7% italiani e 6,7% stranieri), con 3 U.L.. La variabile “lavoratori stranieri” risulta, pertanto, ampiamente considerata nell’indagine svolta, in quanto si sono ampiamente considerati: - il loro grado inserimento occupazionale, rispetto all’occupazione complessiva (italiani e stranieri) riscontrabile nei vari settori considerati; - la percentuale di stranieri occupata per settore rispetto al totale degli occupati straneri in provincia di Ferrara.
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
L’atteggiamento verso l’intervista I responsabili delle U.L., che occupavano i lavoratori prescelti per le interviste, hanno manifestato in larga parte interesse rispetto ai temi oggetto d’indagine ed hanno dichiarato la loro disponibilità a contattare i propri dipendenti per verificare se accettavano di farsi intervistare. Solo nel caso delle “imprese di pulizia” si sono incontrate diverse indisponibilità già nella fase di primo contatto (spesso telefonico). Non hanno, infatti, accettato di collaborare i responsabili di 9 U.L., rispetto alle 14 U.L. individuate in sede di definizione del campo d’indagine. Dopo il primo contatto, ottenuta la disponibilità di massima a collaborare, nel momento di effettivo svolgimento delle interviste, gli intervistatori hanno riscontrato da parte dei datori di lavoro e/o dei responsabili delle 89 U.L. coinvolte il seguente atteggiamento: - presso 75 U.L. (l’84,3%) “nessuna difficoltà” a collaborare, anche attraverso la messa a disposizione di locali aziendali per lo svolgimento dell’intervista; - presso 14 U.L. (il 15,7%) alcune difficoltà legate a situazioni di “diffidenza” (7 U.L.), di “scarso interesse” (4 U.L.), di “insofferenza/fastidio” (2 U.L.), di “poca disponibilità” (1 U.L.). L’analisi per settore di attività mette in rilievo che gli atteggiamenti meno positivi, da parte delle U.L. coinvolte, si sono riscontrati: nel “Commercio – terziario”, con alcune situazioni di “scarso interesse” e di “diffidenza”; nei “Pubblici esercizi”, con alcune situazioni di “diffidenza”; nella “Chimica, plastica, gomma”, con alcune situazioni di “scarsa disponibilità”. Le difficoltà messe in campo da parte dei responsabili/datori di lavoro delle U.L. coinvolte, pur se di scarsa rilevanza, sono state prese in considerazione perché potevano influenzare l’atteggiamento dei lavoratori intervistati, sia sul piano della disponibilità all’intervista, sia sul versante della “evasività/reticenza” delle risposte al questionario. Per verificare l’esistenza e la rilevanza di questa possibile relazione, si è proceduto ad incrociare gli atteggiamenti dei responsabili/datori di lavoro delle U.L., con gli atteggiamenti dei lavoratori intervistati. Dall’incrocio non è emersa alcuna associazione significativa tra le due variabili, per cui gli intervistati, nella quasi totalità dei casi, non sembrano aver subito condizionamenti dagli atteggiamenti “poco positivi” di un numero molto esiguo di responsabili/datori di lavoro. Nel dettaglio, infatti: - a fronte degli atteggiamenti di “diffidenza” messi in campo dai responsa-
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
bili/datori di lavoro delle U.L., l’82,4% dei lavoratori-dipendenti di queste U.L. - non manifestava difficoltà; - mentre i limitati atteggiamenti di “scarso interesse” messi in campo dai responsabili/datori di lavoro di 4 U.L., di cui si sono intervistati n° 9 dipendenti, si sono incrociati con 3 intervistati con atteggiamento di “diffidenza”. Le maggiori difficoltà, invece, si sono incontrate da parte dei lavoratori italiani che, con varie motivazioni, spesso rimandavano e/o si defilavano dall’intervista, costringendo gli intervistatori ad una ventina di sostituzioni, anche per contenere i tempi di realizzazione delle interviste. Nel complesso, superata la fase finalizzata ad ottenere le necessarie disponibilità e a definire il luogo, la data e l’ora degli appuntamenti, si sono realizzate ben 173 interviste (pari all’86,5% del totale) senza incontrare alcuna difficoltà da parte dei lavoratori coinvolti. Non sono mancate, tuttavia, situazioni di “diffidenza” (16 casi), di “scarso interesse” (6 casi), di “ostilità” (2 casi), di “poca disponibilità” (2 casi) e di “insofferenza/fastidio” (1 caso). Il 68,5% delle interviste si è svolto presso le U.L. luogo di lavoro (l’8,5% presso il “cantiere”, il 29,5% presso la “fabbrica” e il 30,5% presso “altro luogo lavorativo”, in genere uffici e/o sale mensa del datore di lavoro), il 16% “a casa dell’intervistato” ed appena il 9,5% in “altro luogo extralavorativo”. Il luogo di svolgimento delle interviste, vista la rilevanza di quelle realizzate nei luoghi di lavoro, ha certamente inciso sulle risposte. Gli intervistati possono aver assunto un atteggiamento prudente, per cui hanno evitato di esplicitare aspetti che potevano, in vario modo, influire negativamente sul mantenimento del posto di lavoro e/o provocare atteggiamenti ostili e/o rimproveri da parte del datore di lavoro. Occorre, pertanto, valutare con molta attenzione le risposte di dettaglio fornite dagli intervistati, dopo la generica affermazione dell’inesistenza di problemi/difficoltà nel lavoro. Il luogo di svolgimento dell’intervista, inoltre, si presenta variamente collegato all’atteggiamento di “diffidenza” rilevato dagli intervistatori, in quanto nei casi: - “altro luogo extralavorativo” (soprattutto presso sale di pubblici esercizi) essa raggiunge il 15,8% delle interviste realizzate in questo ambito; - “cantiere, luogo di lavoro” essa s’attesta all’11,8% delle interviste realizzate in questi luoghi; - “altro luogo di lavoro” (soprattutto uffici e/o sale mense del datore di lavoro) essa raggiunge l’11,5% delle interviste realizzate in questi luoghi.
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Le caratteristiche della ricerca sul campo
Si tratta di valori percentuali molto contenuti che, tra l’altro, non hanno inciso negativamente sulla validità complessiva delle interviste, anche quando l’atteggiamento degli intervistati non è apparso del tutto positivo. Anzi, di tale atteggiamento si deve tener conto nella fase di elaborazione dei risultati dell’indagine, in quanto può fornire importanti indicazioni sulle modalità di coinvolgimento e sulle caratteristiche delle figurazioni sociali emergenti nei luoghi di lavoro. Ad esempio: quando un lavoratore è coinvolto positivamente nel proprio lavoro, anche se all’inizio può aver assunto un atteggiamento “negativo” verso l’intervista, nel corso della stessa sarà portato a parlarne con entusiasmo, ad esaltarne gli aspetti positivi; mentre se è coinvolto in modo poco positivo, se soffre per condizioni di disagio e/o di conflitto, tenderà a mantenere una certa “freddezza” (l’atteggiamento più o meno “negativo” potrebbe risultare una costante dell’intera intervista); non solo, egli potrebbe manifestare un atteggiamento di “distacco” fra sé ed il contesto lavorativo di cui parla, oppure potrebbe “nascondersi” dietro risposte evasive, spesso sintomo di uno stato di insofferenza. Se si esclude un singolo e anomalo atteggiamento di “ostilità”, la situazione più favorevole allo svolgimento dell’intervista è risultata quella “a casa dell’intervistato”(“nessuna difficoltà” nel 96,9% dei casi), dove probabilmente vi erano anche le condizioni per un ampio superamento di eventuali diffidenze e reticenze nel rispondere alle domande più problematiche. Gli stranieri che non hanno manifestato difficoltà nello svolgimento dell’intervista sono risultati percentualmente inferiori agli italiani (80%, contro il 90,4%). Tutto sommato, la differenza è minore di quanto si poteva supporre (“diffidenza” nel 13,3% dei casi, “scarso interesse” nel 2,7% dei casi, oltre a singoli casi di “ostilità”, “poca disponibilità” e “insofferenza/fastidio”). Peraltro, a fronte di questi atteggiamenti poco positivi, sono risultati numerosi gli stranieri ospitali, disponibili cioè a svolgere l’intervista presso la propria abitazione (18,7% degli stranieri contro il 14,4% degli italiani). Nel complesso le interviste realizzate nei vari luoghi di lavoro sono state pari al 72% nel caso degli italiani e al 62,7% nel caso degli stranieri che, forse, nutrivano maggiori timori nell’affrontare l’intervista in situazioni di vicinanza e potenziale controllo di colleghi e/o responsabili/datori di lavoro.
Le caratteristiche della ricerca sul campo
casi che hanno manifestato difficoltà per “scarso interesse” è risultata più elevata in coloro che hanno più di 50 anni. Rispetto all’atteggiamento negativo degli stranieri verso l’intervista, si nota una buona corrispondenza tra “età” anagrafica e anni di “presenza” in Italia, per cui coloro che sono giunti in Italia da oltre 6 anni hanno manifestato una minor disponibilità. Questo “scarso interesse” e questa “scarsa disponibilità” si potrebbero interpretare anche come segnali di “chiusura” verso gli altri legata ad esperienze poco positive, oppure come indicatori di un calo dei livelli di “curiosità/tensione” al “nuovo” e/o di “timore” verso il “nuovo”, vissuto come una “scocciatura”, come un impegno “sgradevole”, soprattutto al termine di quella che si può definire la prima fase dei processi migratori (abbandono del paese natale, ingresso in un paese “estraneo”, ricostruzione di un sistema di relazioni sociali e di amicizia). Se si opera una distinzione per sesso, tra italiani e stranieri emerge una situazione inversa, in quanto: - nel caso degli stranieri, sono gli uomini a mostrare maggiori difficoltà (il 25,5% ha manifestato diversi atteggiamenti non positivi, contro il l’8,3% delle donne); - nel caso degli italiani, gli atteggiamenti negativi sono più diffusi tra le donne (17,6%, contro 4,1% degli uomini). Il fatto che l’intervista sia stata svolta da sole donne ha certamente influenzato gli atteggiamenti di alcuni degli intervistati uomini stranieri e italiani. Qualcuno per ragioni religiose, culturali, etc. può aver assunto una posizione difensiva, ritenendo poco consono che le donne dovessero essere in posizione dominante nella relazione asimmetrica insita nell’intervista. Altri, invece, possono aver assunto un atteggiamento di apertura, ritenendo doveroso dimostrare gentilezza e buone maniere verso l’intervistatrice. Si è trattato, comunque, di atteggiamenti “negativi” sporadici che spesso venivano superati con il procedere dell’intervista.
Gli atteggiamenti poco positivi, rispetto all’intervista, sono risultati maggiori in relazione all’età dei lavoratori intervistati (più alti della media sono apparsi la “diffidenza”, pari al 18,2% e lo “scarso interesse”, pari al 9,1% negli ultracinquantenni). Nel caso degli stranieri, l’atteggiamento di “diffidenza” è apparso più evidente nella fascia d’età compresa tra i 41 e i 50 anni, mentre l’incidenza dei
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
Le caratteristiche dei lavoratori intervistati
Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
16 rumeni
La cittadinanza, il sesso, l’età e lo stato civile Dal punto di vista delle nazionalità di appartenenza dei dipendenti intervistati, seguendo in modo coerente le scelte assunte in fase di definizione del piano - interviste, si sono realizzate le seguenti interviste (Grafico 12): - 125 a lavoratori italiani, di cui 3 nati all’estero; - 16 a lavoratori rumeni, particolarmente presenti in U.L. operanti nelle aree di Ferrara (7 interviste) e del “Basso Ferrarese (6 interviste), con inserimenti significativi nei settori “Agricoltura/Commercio Ortofrutta” (4 interviste) e “Autotrasporti, facchinaggi e logistica” (3 interviste); - 12 a lavoratori marocchini, particolarmente presenti in U.L. dislocate nell’area di Ferrara (8 interviste), con inserimenti significativi nei settori “Costruzioni” (5 interviste) e “Metalmeccanico” (4 interviste); - 9 a lavoratori albanesi, particolarmente presenti in U.L. dislocate nell’area di Ferrara (6 interviste), con inserimenti prevalenti nel settore “Costruzioni” (5 interviste); - 7 a lavoratori ucraini, particolarmente presenti in U.L. operanti nell’area di Ferrara, con inserimenti alquanto variegati, tra i quali spicca il settore dei “Pubblici Esercizi” (3 interviste); - 6 a lavoratori moldavi, particolarmente presenti in U.L. dislocate nell’area di Ferrara (4 interviste), con inserimenti significativi nel settore “Costruzioni” (3 interviste); - 5 a lavoratori cinesi, presenti in U.L. dislocate in varie aree territoriali (tra le quali si nota l’area Medio Ferrarese - zona Argenta/Portomaggiore con 2 interviste) e con 3 interviste realizzate a lavoratori del settore “Tessile, abbigliamento, calzature”; - 4 a lavoratori pakistani, presenti in U.L. dislocate in varie aree territoriali, tra cui si nota l’area del Basso Ferrarese (due interviste), con inserimenti nel settore “Autotrasporti, facchinaggi e logistica” (2 interviste); - 3 a lavoratori tunisini, in larga parte presenti in U.L. dislocate nell’area di Ferrara (2 interviste), nei settori “Metalmeccanico”, “Autotrasporti, facchinaggi e logistica” e “Costruzioni”; - 13 a lavoratori di diversa nazionalità, ad inserimento lavorativo minore (2 cittadini nigeriani, 2 serbo/bosniaci, 2 camerunensi e 2 iraniani; un cittadino polacco, un senegalese, un egiziano, un filippino e un brasiliano). L’esiguità delle interviste realizzate per ogni gruppo di cittadinanza straniera non consente di rilevare l’eventuale presenza di aspetti discriminanti
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125 (62,5% ) italiani
12 marocchini 9 albanesi 7 ucraini 6 moldavi 5 cinesi 4 pakistani 3 tunisini 2 nigeriani 2 camerunensi 2 iraniani 1bosniaco brasiliano 1 1 egiziano 1 filippino serbo/montenegr. 1 1senegalese 1 polacco
Grafico 12 Lavoratori intervistati per cittadinanza
Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione
e/o di pregiudizi diffusi sul piano religioso ed etnico. E’ possibile, però, individuare linee di tendenza per aree di provenienza, quali: l’Europa neo-comunitaria (con particolare riferimento a rumeni e polacchi), l’Europa dell’Est non comunitaria (moldavi e ucraini), l’Africa del Nord (marocchini e tunisini), l’Africa Centrale (nigeriani, camerunensi e senegalesi) e l’Asia (cinesi, pakistani e filippini). La distinzione per sesso degli intervistati, pur trattandosi di una variabile secondaria rispetto agli obiettivi dell’indagine, evidenzia percentuali sostanzialmente analoghe all’occupazione straniera maschile e femminile nei settori/comparto individuati. Nel caso delle donne straniere, in particolare, l’incidenza rilevata al 31.12.08 sul complesso degli stranieri occupati, in base ai dati dei Centri per l’Impiego, era pari al 32,9%, mentre le intervistate straniere, sul totale degli stranieri intervistati, s’attestano al 32%. La differenza, rispetto all’incidenza delle italiane sul totale degli italiani intervistati (pari al 40,8% circa), è dovuta all’attuale limitatezza delle opportunità lavorative per le donne straniere in settori come i “Servizi Socio Sanitari”, il “Commercio – Terziario” e il “Chimico, Plastica, Gomma”, dove la presenza di donne autoctone, invece, risulta più elevata. Se si paragonano i valori percentuali degli intervistati distinti per sesso, cittadinanza e fasce d’età (Tabella 7), con gli analoghi valori medi percentuali ricavati dai dati Istat sugli occupati (media delle rilevazioni trimestrali 2007), si può affermare che nel complesso i dipendenti intervistati sono, specialmente nel caso della componente straniera, più giovani della media Istat inerente l’insieme dei dipendenti provinciali (gli intervistati tra i 15 e i 34 anni sono il 36,5%, contro il 31,6% dei valori Istat).
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
Fasce d’età da 15 a 24 anni da 25 a 34 anni da 35 a 44 anni da 45 a 54 anni 55 anni e oltre Totale
Italiani
Stanieri
Totale
Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
ISTAT
Maschi Femm. Totale Maschi Femm. Totale Maschi Femm. Totale Maschi Femm. Totale 9,5% 3,9% 8,3% 10,7% 10,4% 5,3% 9,3% 6,6% 7,2% 11,8% 8,5% 8,0% 23,0% 29,4% 25,6% 29,4% 37,5% 32,0% 25,6% 32,0% 28,0% 26,7% 20,1% 23,6% 33,8% 33,3% 33,6% 37,3% 41,7% 38,7% 35,2% 36,0% 35,5% 31,9% 37,8% 34,7% 27,0% 23,5% 25,6% 17,6% 12,5% 16,0% 23,2% 20,0% 22,0% 24,9% 29,3% 27,0% 6,8% 9,8% 3,9% 0,0% 5,6% 6,7% 7,2% 6,2% 8,0% 2,7% 6,0% 6,7% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%
Tabella 7 Suddivisione percentuale degli intervistati per sesso, cittadinanza, fasce d’età e confronto con i valori rilevati dall’Istat nel 2007 per la provincia di Ferrara (media delle rilevazioni trimestrali) Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine e dei dati Istat a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione
L’orientamento di rilevare preferibilmente le condizioni di lavoro dei lavoratori più giovani e dei “nuovi arrivati” (soprattutto stranieri), per coglierne le eventuali difficoltà d’inserimento nel mercato del lavoro, trova quindi corrispondenza nel complesso delle interviste realizzate. Considerata la forte influenza dei processi migratori italiani e stranieri sulla struttura demografica e sul mercato del lavoro, risulta importante prendere in esame lo stato civile dei lavoratori intervistati. Lo stato civile, infatti, può fornire indicazioni di prospettiva sia sull’andamento della domanda di servizi sociali (anche in relazione alle ricongiunzioni familiari potenzialmente attivabili dai migranti), sia sull’atteggiamento verso il lavoro (in stretta relazione con i bisogni emergenti in ambito familiare con le unioni matrimoniali e la nascita dei figli). Tra gli intervistati, i coniugati erano 107 (53,5% del totale), i celibi/nubili 73 (36,5%), i separati 8, i divorziati 9 ed i vedovi 3. I valori risultano molto vicini a quelli rilevati dall’Istat sui cittadini residenti all’1.1.2009 in provincia di Ferrara dai 16 ai 64 anni, che evidenziano: il 55,8% di coniugati/e, il 38,4% di celibi/nubili, il 3,7% dei divorziati/e e il 2,1% di vedovi/e. Se si effettua una distinzione per stato civile, per sesso e per cittadinanza, tra gli intervistati, emerge che: - sul versante femminile: - rispetto alle 24 straniere intervistate, 13 erano coniugate, 8 erano nubili e 3 erano divorziate/separate; - rispetto alle 51 donne italiane intervistate, 21 erano coniugate, 20 erano nubili, 8 erano divorziate/separate e 2 erano vedove; - sul versante maschile: - a fronte di 51 stranieri intervistati, 41 erano coniugati, 9 erano celibi e uno era vedovo; - a fronte di 74 italiani intervistati, 32 erano coniugati, 36 erano celibi e 6 erano divorziati/separati. Senza pretese di generalizzazione statistica, si nota nel campione una presenza di coniugati decisamente più alta tra gli stranieri (Grafici 13 e 14).
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Il 72,% di essi, infatti, era coniugato, contro il 42,4% degli italiani, con una concentrazione nelle fasce d’età medio/basse (tra i 20 ed i 40 anni) che si accentua ulteriormente per la componente maschile. 14 (11,2% ) separati/divorziati
ITALIANI
Grafici 13 e 14 Lo stato civile degli intervistati (italiani e stranieri)
3 (4,0% ) separati/divorziati 1 (1,3% ) vedovi/e
STRANIERI
2 (1,6% ) vedovi/e
56 (44,8% ) celibi/nubili
17 (22,7% ) celibi/nubili 53 (42,4% ) coniugati/e
54 (72,0% ) coniugati/e
Si tratta di dati in linea con l’opinione diffusa (sostenuta anche da alcuni indicatori statistici Istat) che, rispetto agli italiani, i migranti stranieri: - tendono a costruire prima un proprio nucleo familiare (diverso da quello dei propri genitori), soprattutto appena raggiunta la maggiore età; - sono maggiormente inclini a procreare più di un figlio, anche in giovane età, spesso subito dopo il matrimonio; - entrano prima nel mercato del lavoro sulla spinta dei bisogni familiari, specie se assunti col matrimonio; - sono maggiormente condizionati, sul piano delle relazioni sociali e lavorative, dagli impegni familiari assunti verso il coniuge e verso i figli, anche per la lontananza dei nuclei parentali rimasti in patria (con minor tempo libero e minori disponibilità economiche da dedicare ad attività di svago e divertimento).
Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione
Autoctoni e i migranti (italiani e stranieri) L’anno di arrivo in Italia può essere utile in sede di valutazione delle caratteristiche dell’inserimento socio-lavorativo maturate soprattutto dagli intervistati nati all’estero. L’analisi dei lavoratori coinvolti nell’indagine per nazionalità e per anno di arrivo in Italia consente di rilevare che: dei 125 dipendenti italiani, solo 3 lavoratori, presenti peraltro in Italia da oltre 6 anni, sono nati all’estero; dei 75 dipendenti stranieri, 49 sono presenti in Italia da più di 6 anni, 19 sono presenti in Italia dai 3 ai 6 anni, 7 sono presenti in Italia da meno di 3 anni.
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
Tabella 8 Gli stranieri intervistati per fascia d’età e per anni di presenza in Italia
Fasce d'età da 15 a 24 anni da 25 a 34 anni da 35 a 44 anni da 45 a 54 anni 55 anni e oltre Totale
Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
Risulta, pertanto, consistente l’entità degli stranieri intervistati che hanno superato i 6 anni di permanenza in Italia e che dovrebbero ormai aver maturato esperienze di rilievo sul versante lavorativo, dato che il possesso di un’occupazione è il requisito fondamentale ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno nel territorio italiano. Se si incrociano i dati fra età anagrafica e anni di presenza in Italia (Tabella 8) si nota che esiste una poco significativa interdipendenza tra le due variabili, in quanto la giovane età non implica arrivo recente dal paese di provenienza e/o di cittadinanza. Il legame tra le due variabili si collega soprattutto alle due principali modalità di arrivo regolare in Italia: - per lavoro e, in questo caso, le varie fonti statistiche attestano che molti emigrano in età “matura”, tra i 30 e i 40 anni, per cui diversi stranieri, che si collocano in questa fascia d’età, possono essere arrivati in Italia da pochi anni (il 38% circa degli intervistati stranieri è giunto, infatti, da meno di 6 anni); - per ricongiungimento familiare e, in questo caso, nelle fasce d’età più basse degli stranieri al lavoro, si possono trovare diversi ex minorenni ricongiunti che, ormai da tempo in Italia, si sono trovati “costretti” a ricercare un’occupazione per evitare di essere rimandati nel paese d’origine al momento del raggiungimento della maggiore età, come prevede la normativa in vigore.
Valori assoluti
Anni di presenza in Italia Valori percentuali
Meno di 1 da 1 a 3 da 3 a 6 oltre 6 anno anni anni anni 3 2 3 8 16 1 3 7 18 2 10 2 1 6 19 49
Totale 8 24 29 12 2 75
Meno di da 1 a 3 da 3 a 6 oltre 6 1 anno anni anni anni 0,0% 37,5% 25,0% 37,5% 0,0% 0,0% 33,3% 66,7% 3,4% 10,3% 24,1% 62,1% 0,0% 0,0% 16,7% 83,3% 0,0% 0,0% 0,0% 100,0% 1,3% 8,0% 25,3% 65,3%
Totale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%
Grafico 15
46,0%
Intervistati (italiani e stranieri) per anni di presenza in provincia di Ferrara
italiani 27,5%
stranieri 92 17,0%
36
27
8,0% 1,5%
11
19 7 dalla nascita
da oltre 6 anni
da 3 a 6 anni
5 da 1 a 3 anni
1
2
meno di 1anno
Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione
Come si può notare dal Grafico 15, infatti, emerge che: - gli autoctoni, cioè gli italiani nati in provincia di Ferrara, sono 92 (73,6% su 125 italiani intervistati); - gli italiani giunti in provincia di Ferrara da meno di 6 anni sono 14 (11,2% su 125 italiani intervistati); - gli italiani arrivati in provincia di Ferrara da oltre 6 anni sono 19 (15,2% su 125 intervistati); - gli stranieri presenti in provincia di Ferrara da oltre 6 anni sono 36 (48,0% su 75 stranieri intervistati); - gli stranieri giunti in provincia di Ferrara da 3 a 6 anni sono 27 (36,0% su 75 stranieri intervistati); - gli stranieri arrivati in provincia di Ferrara da meno di 3 anni sono 12 (16,0% su 75 stranieri intervistati). Dei 75 stranieri intervistati, 44 (pari al 58,7%) sono immigrati direttamente in provincia di Ferrara, per cui i rimanenti 31 (pari al 41,3%) hanno affrontato il primo processo di migrazione dall’estero nell’ambito di altre province italiane.
I livelli di scolarità dichiarati Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione
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Se si analizzano, invece, gli intervistati per nazionalità e per anno di arrivo in provincia di Ferrara, si evince un ulteriore ampliamento della condizione di migranti (italiani e stranieri) provenienti da altre province italiane.
L’esame degli studi svolti mette in rilievo ulteriori differenze tra gli italiani e gli stranieri intervistati, sia in termini di titoli di studio acquisiti, sia sotto l’aspetto degli anni di frequenza scolastica. Relativamente alla frequenza scolastica, ad esempio, si nota che: - 2 stranieri (2,7%) hanno frequentato le scuole per meno di 5 anni, contro nessun italiano;
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
Grafici 16 e 17 Gli anni di frequenza scolastica degli intervistati (italiani e stranieri)
ITALIANI anni di frequenza scolastica
- 3 stranieri (4%) hanno studiato dai 5 ai 7 anni, contro 9 italiani (7,2%); - 13 stranieri (17,3%) dichiarano d’aver studiato dagli 8 ai 10 anni, contro 63 italiani (51,2%); - 46 stranieri (61,3%) hanno frequentato le scuole dagli 11 ai 15 anni, contro 48 italiani (37,6%); - 11 stranieri (14,7%) hanno studiato per oltre 16 anni, contro 5 italiani (4%). Le differenze tra italiani e stranieri appaiono marcate (Grafici 16 e 17) e trovano conferma anche sul versante dei titoli di studio acquisiti, in quanto: - 13 stranieri (17,3%) dichiarano di essere in possesso di una laurea e/o di un diploma universitario, contro 4 italiani (3,2%); - 47 stranieri (62,6%) dichiarano di aver conseguito un diploma di scuola secondaria di II grado, contro 38 italiani (30,4%).
5 (4,0% ) 16 anni e oltre 48 (38,4% ) da 11 a 15 anni
63 (50,4% ) da 8 a 10 anni
Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
STRANIERI anni di frequenza scolastica
11 (14,7% ) 16 anni e oltre
9 (7,2% ) da 5 a 7 anni 46 (61,3% ) da 11 a 15 anni
2 (2,7% ) meno di 5 anni 3 (4,0% ) da 5 a 7 anni 13 (17,3% ) da 8 a 10 anni
Le donne italiane e, soprattutto, le donne straniere evidenziano livelli di scolarità più alti della componente maschile: 45 di esse, pari al 60% delle femmine intervistate, hanno frequentato le scuole per oltre 11 anni, contro 64 maschi, pari al 51,2% dei maschi intervistati. Il livello di scolarità, nel caso delle donne straniere, risulta elevato anche nell’ambito degli studi universitari, con 6 di esse (25%) che dichiarano d’aver studiato oltre i 15 anni. Se si distinguono gli stranieri intervistati per area di provenienza, i livelli di scolarità appaiono elevati soprattutto tra i lavoratori dell’Europa dell’Est, mentre si riscontrano alcuni casi di scolarità molto bassa tra gli intervistati del Nord Africa. Il campione delle interviste realizzate, comunque, contraddice ampiamente l’immagine, un po’ stereotipata, di una immigrazione straniera composta di persone di “bassa cultura”, prive dei mezzi necessari per tentare l’integrazione nel mercato del lavoro italiano, incapaci di comprendere le caratteristiche del contesto sociale del paese di accoglienza.
Le differenze riscontrate sul versante degli studi svolti, inoltre, non si traducono per gli stranieri in inserimenti lavorativi con contenuti tecnici superiori a quelli degli italiani; anzi, come si vedrà meglio in seguito dall’analisi delle retribuzioni mensili, sembra vero il contrario, per cui l’attività lavorativa svolta dagli stranieri raramente è coerente con le credenziali educative.
La conoscenza e il rispetto del contratto di riferimento Le risposte, sul versante delle situazioni contrattuali, rivelano un atteggiamento prudenziale legato, probabilmente, alle modalità di svolgimento delle interviste (si vedano le osservazioni svolte nei capitoli precedenti). L’inesistenza di problemi di ordine contrattuale e lavorativo, dichiarata di fronte alle prime domande (dirette, ma generiche), appare infatti contraddittoria rispetto alle risposte sul grado di conoscenza dei contratti di categoria. Alla domanda se esistono problematiche contrattuali, in particolare, si rileva che: - non esistono problemi di tipo contrattuale per 165 intervistati, pari all’82,5%; - esistono alcuni problemi, legati soprattutto a una retribuzione ritenuta troppo scarsa, per 32 intervistati (16%); - si astengono dal rispondere 3 intervistati (1,5%). Alla domanda sulla conoscenza del CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) applicato, gli intervistati rispondono(Grafici 18 e 19): - “non lo conosco” in 127 casi, pari al 63,5%; - “lo conosco”, citando però in modo inadeguato il loro contratto d’assunzione individuale (apprendistato, part-time, tempo determinato), in 19 casi (9,5%); - “lo conosco”, citando però in modo incompleto o parziale il settore d’inserimento lavorativo, in 54 casi (27%). Grafici 18 e 19 42 (33,6%) lo conosce in modo parziale
15 (12,0%) lo conosce in modo inadeguato
68 (54,4%) non lo conosce
12 (16,0%) lo conosce in modo parziale
4 (5,3%) lo conosce in modo inadeguato
59 (78,7%) non lo conosce
La conoscenza del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di riferimento da parte degli intervistati (italiani e stranieri)
Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
Attestano questa scarsa conoscenza del CCNL anche le successive risposte, spesso generiche ed evasive, quando si chiede il livello d’inquadramento contrattuale, da cui dipende gran parte dello stipendio/salario corrisposto. A tale quesito, infatti, rispondono: - con l’indicazione di un livello, dopo una risposta parzialmente adeguata sul proprio CCNL di riferimento, 45 intervistati (22,5%); - con l’indicazione di un livello (probabilmente letto sulla busta paga e/o appreso confrontandosi con i propri colleghi di lavoro), pur ammettendo di non conoscere il proprio CCNL, 103 intervistati (51,5%); - con l’indicazione di un livello, pur avendo manifestato una conoscenza inadeguata del proprio CCNL, 15 intervistati (7,5%); - non indicando alcun livello specifico, dopo aver ammesso di possedere una conoscenza inadeguata per proprio CCNL, 37 intervistati (18,5%). La scarsa conoscenza dei diritti e dei doveri legati alla normativa contrattuale, pertanto, induce a ritenere che le valutazioni espresse sulle condizioni di lavoro e sull’applicazione dello stesso contratto nazionale non siano dettate da razionali considerazioni sul rispetto reciproco delle norme esplicite che regolano il rapporto di lavoro, ma siano influenzate dagli atteggiamenti prevalenti in azienda rispetto al lavoro svolto, dai rapporti interpersonali intrattenuti con i colleghi e col datore di lavoro, dalle regole tacite e informali del rapporto di lavoro, dalla valutazione più o meno negativa delle precedenti esperienze lavorative rispetto a quella in corso.
Le caratteristiche degli inserimenti al lavoro Le aree territoriali d’inserimento al lavoro In merito alla distribuzione territoriale (Grafici 20 e 21), le 200 interviste realizzate hanno riguardato: - nell’Area di Ferrara, 106 lavoratori (67 italiani e 39 stranieri), pari al 53% del totale, distribuiti in 48 U.L. (53,9% del totale), con una media di 2,2 interviste per U.L.; - nell’Area dell’Alto Ferrarese, 34 lavoratori (24 italiani e 10 stranieri), pari al 17% del totale, distribuiti in 15 U.L. (16,9%), con una media di 2,3 interviste per U.L.; - nell’Area del Basso Ferrarese, 17 lavoratori (8 italiani e 9 stranieri), pari all’8,5% del totale, distribuiti in 7 U.L. (7,9%), con un numero di 2,4 interviste per U.L.; - nell’ Area del Medio Ferrarese – Zona Copparo/Berra, 23 lavoratori (12 italiani e 11 stranieri), pari all’11,5% del totale, distribuiti in 10 U.L. (11,2%), con una media di 2,3 interviste per U.L.;
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
- nell’ Area del Medio Ferrarese – Zona Argenta/Portomaggiore, 20 lavoratori (14 italiani e 6 stranieri), pari al 10% del totale, distribuiti in 9 U.L. (10,1%), con un numero di 2,2 interviste per U.L.. L’insediamento delle U.L. per area territoriale non era una variabile inclusa nei criteri di definizione delle quote delle interviste da realizzare, ma nel complesso queste appaiono sufficientemente rappresentate, anche in rapporto alle residenze territoriali dei cittadini stranieri
Italiani intervistati per area territoriale
12 (9,6%) Area Medio F. Copparo 8 (6,4% Area Basso Ferrarese
24 (19,2%) Area Alto Ferrarese
14 (11,2%) Area Medio F. Argenta
Stranieri intervistati per area territoriale
11 (14,7%) Area Medio F. Copparo 67 (53,6%) Area di Ferrara
9 (12,0%) Area Basso Ferrarese
6 (8,0%) Area Medio F. Argenta
39 (52,0%) Area di Ferrara
10 (13,3%) Area Alto Ferrarese
Grafici 20 e 21 Gli intervistati (italiani e stranieri) per area territoriale
Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione
Le modalità di reperimento del lavoro Nell’intento di approfondire le varie modalità d’inserimento nel mercato del lavoro, si è chiesto ai lavoratori intervistati di indicare il modo con cui hanno trovato il lavoro che stavano svolgendo (Grafici 22 e 23). Dalle risposte si evince che i primi contatti utili al reperimento del lavoro sono stati: - “amici e/o conoscenti italiani” per 58 intervistati (29%), di cui 39 italiani (31,2%) e 19 stranieri (25,3%); una differenza riconducibile alla condizione di persone provenienti da altri Paesi (caratterizzata spesso da un minor capitale sociale e dalla carenza di “legami forti”); - “presentandosi direttamente al datore di lavoro” per 40 intervistati (20%), di cui 28 italiani (22,4%) e 12 stranieri (16%); un diverso approccio che può essere spiegato con la maggiore conoscenza del territorio e del suo sistema produttivo probabilmente posseduta dagli italiani, specie se nati in provincia di Ferrara; - “passaparola conoscenti/amici” per 29 intervistati (14,5%), di cui 5 italiani (4%) e 24 stranieri (32%); in questo caso sono gli stranieri ad utilizzare maggiormente il capitale sociale, sfruttando meglio la “forza dei
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
legami deboli”6, per far fronte agli obblighi normativi inerenti al rinnovo del permesso di soggiorno in Italia (quando si incontrano amici e conoscenti l’elemento centrale di discussione e di confronto è quasi sempre il lavoro: come e dove trovarlo o come è possibile migliorare la propria condizione lavorativa); - “presentazione domanda/chiamata” per 23 intervistati (11,5%), con punte significative tra le donne italiane (19,6%) e tra le donne straniere (16,7%). Seguono, tra le varie modalità meno rilevanti, il ricorso alle Agenzie private per il lavoro con 17 casi (8,5%), il ricorso ai Centri per l’Impiego e “Su segnalazione del precedente datore di lavoro” entrambi con 11 casi (5%). Lo “svantaggio” legato alla scarsa conoscenza di “amici e/o conoscenti italiani”, nel caso degli stranieri appare compensato dalla rilevanza che assume il “Passaparola tra conoscenti/amici”, che sembra aver acquisito le caratteristiche di un vero e proprio canale informativo/divulgativo sulle opportunità presenti nel mercato del lavoro. Sulla base dell’esperienza acquisita nell’attività di orientamento al lavoro rivolta a cittadini stranieri e di consulenza a datori di lavoro interessati all’assunzione di cittadini non italiani, presso l’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione, è possibile affermare che questa modalità di reperimento delle informazioni sulle potenziali occasioni di lavoro è diffusa tra le donne straniere disponibili a lavorare come assistenti familiari. Spesso sprovviste di permesso di soggiorno, si incontrano in luoghi prestabiliti (giardini pubblici, centri di accoglienza, appartamenti privati presi in affitto) per scambiarsi opinioni e conoscenze utili a fronteggiare l’instabilità lavorativa che caratterizza il lavoro di cura prestato presso le famiglie ferraresi. In tali luoghi d’incontro, infatti, si formano “reti di conoscenza” che rappresentano una importante fonte di notizie e informazioni in merito alla situazione economico-sociale del paese d’origine, la condizione di lavoro in cui si è coinvolti, le nuove opportunità di lavoro. L’incontro, inoltre, può attenuare la condizione di isolamento vissuta in qualità di immigrate/conviventi con persone italiane (spesso anziani in difficoltà). Si tratta di una vera e propria “rete” di relazioni informali che, come confermano le numerose testimonianze raccolte tra le stesse donne straniere dagli operatori dei Centri per l’Impiego, ha assunto anche le caratteristiche di un mercato del lavoro “parallelo” a quello previsto dalle normative in vigore. Sono le stesse donne straniere a sostenerlo e ad incrementarlo attraverso lo scambio di informazioni sulle opportunità di lavoro reperibili presso le varie famiglie italiane che, 6 M.Granovetter (1973), The Strenht of Weak Ties, Chicago, trad, it. La forza dei legami deboli e altri saggi, Liguori Napoli 1998.
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
spesso legate da un rapporto di parentela, di amicizia, di conoscenza o di semplice vicinato con il proprio assistito, si rivolgono a loro per la ricerca di un’assistente familiare. In molti casi sono loro stesse a presentare la persona interessata al lavoro di assistenza, caldeggiandone l’assunzione. Questa attività di “mediazione” è spesso fonte di lucro per speculatori improvvisati e/o appositamente organizzati che, in molti casi, sono coinvolti nei processi di emigrazione irregolare e/o clandestina verso l’Italia, da parte delle donne dell’Europa dell’Est. Il ricorso ad “amici e/o conoscenti italiani” che, comunque, è stato il canale utilizzato da uno su quattro degli stranieri intervistati, può trovare ampia giustificazione dall’analisi delle modalità d’ingresso in Italia. Molti degli stranieri oggi regolarmente presenti, infatti, sono entrati in modo clandestino e/o irregolare, si sono fatti conoscere e apprezzare dai datori di lavoro italiani che, a fronte dei decreti flussi emanati dai vari Governi e/o dei decreti di “sanatoria/regolarizzazione”, hanno deciso di attivare le procedure burocratiche per rendere legale il loro soggiorno. In modo più o meno coinvolgente, molti di questi datori di lavoro, come è emerso dalle interviste effettuate ai datori di lavoro (di cui si tratterà in seguito) si sono fatti carico delle difficoltà del cittadino straniero regolare e/o regolarizzato e hanno attivato processi di aiuto all’inserimento lavorativo, successivi alla prima fase di ingresso/regolarizzazione. Il legame sociale con i cittadini italiani (spesso imprenditori e/o famiglie che richiedono lavori domestici e di cura) ha quasi sempre origine nel bisogno economico, insito in molti processi migratori, e nel bisogno di emergere, regolarizzarsi, vivere in Italia in modo soddisfacente (rispetto agli standard anche molto bassi che caratterizzano spesso i paesi d’origine). Considerate le caratteristiche di questo legame (costituitosi in condizioni fortemente asimmetriche di necessità/bisogno), può insorgere un debito di “riconoscenza” dello straniero/immigrato che, latente o atteso/riconosciuto in modo chiaro e manifesto da entrambe le parti, può essere fonte di tensioni e conflitti, creando i presupposti per l’insorgere di pregiudizi etnici nella popolazione autoctona e di atteggiamenti “opportunistici” da parte degli stranieri coinvolti. Il datore di lavoro italiano che ha “chiuso” in modo conflittuale e/o “negativo” un rapporto di lavoro con un cittadino straniero, è indotto ad estendere questa negatività a tutti i migranti provenienti dalla stessa nazione, soprattutto se questi sono “raggruppabili” pregiudizialmente per credo religioso, per colore della pelle o per aspetti psico-somatici ritenuti predominanti. L’esperienza maturata nell’ambito dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione consente di affermare che sono numerose le famiglie e/o i datori di lavoro “delusi” dal comportamento dello straniero “regolarizzato”, così come sono numerosi gli stranieri che, dopo la “regolarizzazione”, si sentono “liberati”, in quanto possono cercarsi un lavoro alternativo, senza alcun ri-
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
catto morale ed economico (diversi di loro hanno avviato vertenze nell’intento di ottenere il riconoscimento dei diritti contrattuali non rispettati durante la fase di lavoro irregolare). L’elevata “informalità” dei processi di inserimento/ricerca di un lavoro, lo scarso “peso” delle istituzioni abilitate per legge a gestire la “mediazione” lavoratore/datore di lavoro, sono condizioni che agevolano la nascita di rapporti “anomali”, di “favoritismo/riconoscenza” e di “tensione/conflitto”, tra datore di lavoro, lavoratore e “mediatore” (parente, amico, conoscente, persona influente per ragioni politico/sociali, ecc.) e che possono alimentare aspettative molto più ampie del consueto nell’ambito dei diversi rapporti di lavoro.
L’assunzione e l’inserimento al lavoro Dalle risposte alla domanda “quali requisiti sono stati richiesti in fase di assunzione?” emerge una particolare sottovalutazione dei criteri di selezione adottati dal datore di lavoro/selezionatore; infatti, gli intervistati hanno dichiarato: - in 98 casi (49%) che “non erano necessari”, con un’incidenza più alta tra gli italiani (50,4%) che tra gli stranieri (46,7%); - in 40 casi che sono state richieste le eventuali precedenti esperienze di lavoro, con una leggera prevalenza tra gli stranieri; - in 29 casi che sono state richieste “referenze”; - in 19 casi che è stato necessario avere una specifica abilitazione, una qualifica e/o un diploma professionale, con un’incidenza più alta tra gli italiani; - in 13 casi (6,5%) che è stata sufficiente la “disponibilità ad imparare”, con un’incidenza nettamente più elevata tra gli stranieri (12%) che tra gli italiani (3,2%) ; - in 1 caso di non sapere e/o di non voler rispondere. Si tratta di risposte che risultano sostanzialmente coerenti con quelle riscontrate per le modalità di reperimento del lavoro e che delineano alcuni convincimenti diffusi tra i lavoratori nell’ambito dei settori economici indagati, secondo i quali: - più delle conoscenze tecniche possedute sono rilevanti, ai fini del reperimento di un lavoro, le relazioni sociali intrattenute da cui attingere le informazioni sulle opportunità lavorative presenti sul mercato (amici, parenti e, in misura significativa, semplici conoscenti che possono orientare e/o sostenere le singole candidature al lavoro); - con la volontà d’imparare, in breve tempo, si possono acquisire quelle conoscenze e quelle abilità ritenute “elementari” per svolgere il lavoro richiesto con efficienza e rapidità”. D’altra parte sono proprio questi tipi di convincimento a sostenere molti
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
progetti migratori (così come si è potuto verificare durante l’attività dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione): - volontà, disponibilità, sacrificio, coraggio, grande fiducia in se stessi; - sottovalutazione delle difficoltà legate all’inadeguata conoscenza della lingua e degli usi e delle tradizioni che regolano la vita sociale del Paese verso cui si emigra; - scarsa conoscenza e/o sottovalutazione dei rischi connessi al viaggio irregolare e/o clandestino e delle norme che consentono la permanenza nel paese prescelto. Le riflessioni sopra delineate si presentano, inoltre, coerenti con gli orientamenti degli intervistati emergenti dall’incrocio tra diverse domande sull’inserimento al lavoro previste nel questionario. Se si incrociano le risposte sul grado di soddisfazione per il lavoro svolto e le conoscenze tecniche ritenute necessarie per svolgerlo, si rileva che: - per 55 intervistati (27,5%) il lavoro svolto coincide con quello cercato e che per svolgerlo non sono necessarie particolari abilità tecnico/professionali; una combinazione di affermazioni che sembrano attestare condizioni di “assuefazione” al proprio contesto lavorativo, caratterizzate dall’assenza di forti “ambizioni” e/o di forti aspettative di crescita professionale (un orientamento che coinvolge maggiormente gli italiani, con 40 casi pari al 32% degli intervistati, rispetto agli stranieri, con 15 casi pari al 20% degli intervistati); - per 43 intervistati (21,5%) il lavoro svolto non coincide con quello cercato e che per svolgerlo non sono necessarie particolari abilità professionali; dichiarazioni che sembrano indicare la presenza di tensioni e di aspettative tese al miglioramento della propria situazione lavorativa anche attraverso la ricerca di un’altra occupazione (un orientamento che coinvolge maggiormente gli stranieri, con 20 casi pari al 26,7% degli intervistati, rispetto agli italiani, con 23 casi pari al 18,4% degli intervistati). Alla domanda sulle “eventuali difficoltà incontrate all’inizio del rapporto di lavoro”, 118 intervistati (59%) rispondono “nessuna difficoltà iniziale”, con una notevole differenza di genere tra gli stranieri: 35 casi tra gli uomini (68,6%) e 10 casi tra le donne (41,7%) che, quindi, sembrano più “sensibili” alle difficoltà di gestione dei compiti loro attribuiti. Le difficoltà maggiormente segnalate, invece, hanno riguardato: in 25 casi (12,5%) la mancanza di un aiuto adeguato; in 24 casi (12%) la carenza delle conoscenze necessarie; in 4 casi (3,5%), tutti stranieri, la scarsa capacità di farsi comprendere dai colleghi dovuta all’inadeguata conoscenza della lingua italiana. In 27 casi (13,5%) si è fatto ricorso all’aiuto di colleghi in affiancamento e/o di superiori.
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
Se si combinano le risposte alle due domande sui requisiti richiesti in fase di assunzione e le eventuali difficoltà incontrate subito dopo l’ingresso nel contesto lavorativo, gli aspetti di sottovalutazione delle conoscenze necessarie allo svolgimento del lavoro assegnato diventano molto evidenti. Tra coloro che hanno dichiarato non necessario il possesso di particolari requisiti in fase di assunzione, solo 60 lavoratori su 98 (pari al 61,2%) non hanno manifestato difficoltà nella fase di inserimento al lavoro, mentre 38 di essi (pari al 38,8%) hanno messo in evidenza diversi problemi: 11 intervistati (6 italiani e 5 stranieri) ritenevano di non avere sempre le conoscenze necessarie; 10 intervistati dichiaravano di non essere stati adeguatamente aiutati (5 italiani e 5 stranieri); 16 intervistati (14 italiani e 2 stranieri) hanno detto di essere stati comunque aiutati per affiancamento e/o dal proprio superiore; 1 intervistato straniero ha ammesso d’aver affrontato problemi di comprensione legati alla lingua. Nelle dichiarazioni di dettaglio emergono anche difficoltà di relazione con i colleghi più anziani e atteggiamenti discriminatori legati alla condizione di straniero e/o di “ultimo arrivato”, soprattutto nella fase iniziale d’inserimento al lavoro: - “... ho dovuto imparare da solo (tunisino, venticinquenne)”; - “... mi hanno assegnato i compiti più gravosi (italiano, quarantenne)”; - “... difficoltà iniziali nel farsi capire con i colleghi più anziani (italiano, trentunenne)”; - “... ho avuto problemi con una persona all’inizio (rumena, ventisettenne)”; - “... problemi con un ex collega marocchino (italiano, ventiseienne)”. Non mancano, però, situazioni di aiuto solidale o incondizionato sia tra colleghi più giovani e colleghi più anziani, sia tra italiani e stranieri: - “... se ho qualche difficoltà chiamo i colleghi più anziani (rumeno, ventitreenne)”; - “... abbiamo imparato nuovi metodi [dalle cinesi] e viceversa ne abbiamo insegnati altri (italiana, cinquantottenne)”; - “... in qualche occasione, per alcuni lavori che non avevo mai svolto, qualche collega straniero mi ha aiutato (italiano, quarantacinquenne)”; - “... mi ha aiutata una collega più anziana (italiana, venticinquenne)”.
I redditi e le retribuzioni mensili Dal punto di vista della retribuzione percepita nell’ultimo mese, si delineano almeno due evidenti differenziazioni per sesso e per cittadinanza dovuti, in larga parte, all’inquadramento contrattuale inferiore e al minor numero di ore di lavoro svolte nel mese (come si vedrà in seguito). In parti-
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
colare, hanno dichiarato di aver percepito: - fino ad un massimo di 1.000 euro, 27 donne italiane (53%), contro 19 donne straniere (79,2%) e 9 uomini italiani (12,2%), contro 11 uomini stranieri (21,5%); - tra i 1.001 e i 1.500 euro, 21 donne italiane (41,2%), contro 4 donne straniere (16,7%) e 51 uomini italiani 68,9%), contro 27 uomini stranieri (52,9%); - oltre i 1.500 euro, 2 donne italiane (4%), contro 1 donna straniera (4,2%) e 13 uomini italiani (17,6%), contro 12 uomini stranieri (23,6%). Le caratteristiche degli inserimenti lavorativi nei vari settori considerati comportano, in larga parte, redditi mensili oscillanti tra i 1.000 e i 1.500 euro, in quanto 72 italiani (57,6%) e 31 stranieri (41,3%) hanno dichiarato di rientrare in questa fascia di reddito, ma appare rilevante anche la quota di stranieri che percepiscono tra i 1.501 e i 2000 euro mensili, in stretta relazione con un inserimento lavorativo qualificato e/o specializzato. Accanto alla diversità retributiva tra italiani e stranieri, emerge anche una contraddittoria situazione retributiva fra i generi. Le donne e gli stranieri, infatti, pur denotando maggiori livelli di scolarità media, dichiarano mediamente di percepire minori redditi da lavoro mensili.
ITALIANI fasce di reddito mensile
51 (40,8%) da 1.001 a 1.300 €
21 (16,8%) da 1.301 a 1.500 €
12 (9,6%) da 1.501 a 2.000 € 3 (2,4%) oltre 2.000 € 2 (1,6%) non risponde 1 (0,8%) meno di 400 €
STRANIERI fasce di reddito mensile
7 (9,3%) da 1.301 a 1.500 €
Grafici 24 e 25 11 (14,7%) da 1.501 a 2.000 €
2 (2,7%) oltre 2.000 €
La retribuzione mensile dichiarata dagli intervistati (italiani e stranieri)
1 (1,3%) non risponde 24 (32,0%) da 1.001 a 1.300 €
10 (8,0%) da 400 a 800 € 25 (20,0%) da 801 a 1.000 €
11 (14,7%) da 400 a 800 €
19 (25,3%) da 801 a 1.000 €
Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione
L’orario di lavoro e il tipo di assunzione Strettamente legate alla situazione retributiva risultano le differenze inerenti alle ore di lavoro svolte a part-time e/o a tempo pieno da parte degli intervistati. Infatti, erano a tempo pieno 111 italiani (pari all’88,8%), contro 63 stranieri (pari all’84%), con una notevole differenza in base al genere: 38 donne italiane (74,5%), contro 15 donne straniere (62,5%) e 73 uomini italiani (98,6%), contro 48 uomini stranieri (94,1%). Si tratta di differenze che, in parte, giustificano le maggiori retribuzioni dichiarate, da un lato, dagli uomini rispetto alle donne, dall’altro, le maggiori
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
retribuzioni dichiarate dagli italiani rispetto agli stranieri. La maggiore scolarità media della componente femminile e della quota degli stranieri intervistati non appare sufficiente a garantire inserimenti lavorativi analoghi a quelli riscontrati per la componente maschile e, in particolare, dei maschi italiani. In sintesi, si notano minori ore di lavoro dichiarate, livelli tendenzialmente più bassi d’inquadramento, minore retribuzione complessiva per gli intervistati di origine straniera e/o di sesso femminile. Le donne, in particolare, sembrano scontare anche l’inserimento in settori con trattamenti economici tendenzialmente inferiori a quelli d’inserimento della forza lavoro maschile.
La stabilità dei rapporti di lavoro Sul versante dell’anzianità di lavoro maturata dagli intervistati nell’impresa coinvolta, si notano significative differenze sia luogo di provenienza tra italiani e stranieri, sia per genere. Ad esempio, lavorano nell’attuale impresa, da oltre 6 anni, 31 maschi italiani (41,9%), contro 11 maschi stranieri (21,6%); una differenza percentuale dovuta in parte anche al recente arrivo e/o alla recente regolarizzazione di molti stranieri. Se si tiene conto, inoltre, che 59 stranieri (78,7%) lavorano nella medesima impresa da più di un anno e che 32 di essi (42,7%) vi lavorano da più di 3 anni, l’anzianità di lavoro nella medesima impresa appare elevata e in contrasto con la convinzione diffusa che gli stranieri siano orientati, nella stragrande maggioranza dei casi per ragioni culturali e/o problemi di adattamento/integrazione, a cambiare frequentemente datore di lavoro. Tra gli intervistati, i livelli meno elevati d’anzianità lavorativa nella medesima impresa, sembrano coinvolgere soprattutto la componente femminile e, in particolare, le donne straniere. Lavorano, infatti, nella medesima impresa da oltre 6 anni 20 italiane (39,2%), contro 31 italiani (41,9%) e 3 donne straniere (12,5%), contro 11 uomini stranieri (21,6%). Si presenta, comunque, molto elevata la quota di donne con anzianità di lavoro nella medesima impresa superiore a 1 anno: 62 unità (pari all’82,7%), di cui 42 italiane (82,4%) e 20 straniere (83,3%). Sul versante delle precedenti esperienze lavorative, l’83% degli intervistati (166 casi) ha dichiarato d’aver avuto altri datori di lavoro, per cui solo il 17,0% (34 casi) era alla prima esperienza lavorativa. Se si effettua la distinzione tra italiani e stranieri, però, si notano importanti differenze, in quanto: - rispetto ai 75 stranieri intervistati, 56 (pari al 74,7%) affermano d’aver avuto precedenti esperienze di lavoro, mentre 19 (pari al 25,3%) dichiarano d’essere alla prima esperienza lavorativa; - a fronte dei 125 italiani intervistati, 110 (pari all’88%) affermano d’aver avuto precedenti esperienze di lavoro, mentre 15 (pari al 12%) dichiarano
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
d’essere alla prima esperienza lavorativa. - il 25,3% degli stranieri dichiara d’essere alla prima esperienza lavorativa in Italia, contro il 12% degli stranieri. Dal raffronto con l’anzianità lavorativa maturata presso l’impresa di riferimento, contrariamente a quanto riscontrato per gli italiani, emerge che la percentuale degli stranieri con altre esperienze di lavoro decresce con l’aumento della durata del rapporto di lavoro in essere. Anche questi valori sembrano contrastare un preconcetto circa l’elevato livello di “mobilità lavorativa” degli stranieri, dedotto spesso attraverso l’analisi dei dati sui licenziamenti e sugli avviamenti al lavoro. E’ probabilmente vero che gli stranieri sono coinvolti, più degli italiani, nei lavori stagionali e/o precari (per cui emergono valori statistici elevati negli avviamenti e nei licenziamenti), ma reperito un lavoro stabile essi sembrano cambiarlo con minore frequenza degli italiani. Sostengono questa ipotesi, oltre che i dati emersi dalle interviste, le seguenti constatazioni: - la stabilità lavorativa è fondamentale per lo straniero ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno e per attivare eventuali ricongiungimenti familiari; - il passaggio da un lavoro stabile ad un altro lavoro stabile è spesso più difficile per un lavoratore straniero rispetto ad un lavoratore italiano (è presumibile che, nella maggior parte dei casi, il capitale sociale utile a reperire e/o a sostenere, anche economicamente, la fase di passaggio a un lavoro alternativo sia più ampio e consolidato per i cittadini italiani). L’instabilità lavorativa appare una condizione che caratterizza soprattutto le situazioni di difficoltà a convivere e a relazionarsi col contesto socio-economico di riferimento incontrate a volte dai migranti (italiani e stranieri). Difficoltà che possono rivelarsi temporanee, in quanto legate alla prima fase d’inserimento nel mercato del lavoro subito dopo l’arrivo in Italia (nel caso delle migrazioni dall’estero) o in provincia di Ferrara (nel caso delle migrazioni interne), quando si è più disponibili ad accettare tutti i tipi di lavoro pur di ottenere un minimo di reddito e/o un regolare permesso di soggiorno; oppure durevoli/croniche, in quanto si connettono alle fasi successive del processo migratorio, quando falliscono (per varie ragioni) i diversi tentativi di convivenza e/o di inserimento nei vari contesti di lavoro. L’analisi delle risposte di chi ha avuto almeno un altro rapporto di lavoro, sembrano supportare le suddette riflessioni (cioè che l’instabilità lavorativa coinvolta una fascia ristretta di stranieri in relazione alle problematiche d’inserimento incontrate), se si considera che dichiarano di: - aver cambiato poche volte il proprio datore di lavoro 87 italiani su 125 (pari al 69,6%), contro 35 stranieri su 75 (pari al 46,7%); - di averlo, invece, cambiato più volte 23 italiani su 125 (pari al 18,4%), contro 21 stranieri su 75 (pari al 28%).
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
Tra le motivazioni che hanno indotto 44 su 200 intervistati (pari al 22%) a cambiare spesso occupazione, spiccano: - il reperimento di un “lavoro migliore” per 16 lavoratori (8%), di cui 7 stranieri (9,3%) e 9 italiani (7,2%); - il “mancato rispetto dei propri diritti” per 13 lavoratori (6,5%), di cui 8 stranieri (10,7%) e 5 italiani (4%); - la “instabilità/precarietà” del lavoro svolto per 12 lavoratori (6%), di cui 6 stranieri (8%) e 6 italiani (4,8%). Le motivazioni addotte spiegano ampiamente le ragioni per cui sotto l’aspetto statistico, soprattutto una parte degli stranieri, risulti cessato e avviato più volte al lavoro sulla spinta di almeno due necessità contrapposte: da un lato, il bisogno di lavorare che li porta ad accettare qualsiasi tipo di lavoro (per garantirsi un reddito minimo mensile), dall’altro il bisogno e il desiderio di migliorare e di stabilizzare il proprio rapporto di lavoro per elevare il proprio tenore di vita e superare i vincoli normativi inerenti il rinnovo del proprio permesso di soggiorno (in particolare il possesso di un reddito formale e documentato e di un alloggio conforme alle previsioni normative). Le ragioni che hanno indotto gli intervistati a cambiare sporadicamente occupazione appaiono alquanto variegate e, in larga parte, non esplicitate. Si possono, comunque, menzionare: - gli stati di necessità legati alla “chiusura dell’azienda” per 4 intervistati, di cui 2 stranieri e 2 italiani; - lo scarso gradimento per il lavoro svolto, indicato solo da 4 italiani; - il non rispetto dei diritti, compreso il mancato pagamento dei contributi, indicato solo da 2 stranieri. La distinzione per genere delle risposte consente di rilevare che sono soprattutto le donne italiane (con 47 casi, pari al 92,2%, contro il 62,5% delle straniere) ad aver avuto altri rapporti di lavoro; mentre per i maschi il divario per nazionalità risulta molto più contenuto: 41 casi tra gli stranieri, pari all’80,4%, contro 63 casi tra gli italiani, pari all’85,1%. Se si opera una distinzione tra uomini e donne e per nazionalità, risultano alquanto differenziate le dichiarazioni sulla frequenza di cambiamento del proprio datore di lavoro, in quanto affermano di aver cambiato spesso occupazione: - 11 donne (14,7%) e, in particolare, 6 italiane (11,8%), contro 5 straniere (20,8%); - 33 uomini (26,4%) e, in particolare, 17 italiani (23%), contro 16 stranieri (31,4%). Sulla base delle interviste e dei rispettivi settori economici d’inserimento occupazionale, pur tenendo conto della loro limitata rappresentatività sul piano statistico, risulta che in provincia di Ferrara, i gli uomini italiani, rispetto alle donne italiane, riescono più agevolmente a reperire un lavoro che,
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
in qualche modo, li soddisfa. Tale condizione si realizzerebbe sia nella fase di primo inserimento nel mercato del lavoro (11 italiani, pari al 14,9%, sono ancora alla prima esperienza lavorativa, contro 4 italiane, pari al 7,8%), sia nelle fasi successive di ricerca di un’occupazione alternativa (il 17 italiani, pari al 23%, hanno cambiato diverse volte datore di lavoro, contro 6 italiane, pari all’11,8%). I lavoratori stranieri, invece, rispetto alle lavoratrici straniere sembrano incontrare maggiori problemi di adattamento/stabilizzazione sul mercato del lavoro ferrarese (10 stranieri, pari al 19,6%, sono ancora alla prima occupazione, contro 19 straniere, pari al 37,5%; 16 stranieri, pari al 31,4%, hanno cambiato diverse volte datore di lavoro, contro 5 straniere, pari al 20,8%). Si tratta di una differenza tra italiani e stranieri spiegabile, almeno in parte, con le diverse opportunità d’inserimento sul mercato del lavoro ferrarese e con le diverse caratteristiche dei percorsi migratori femminili e maschili. Tra gli intervistati italiani e stranieri, che hanno lavorato presso più datori di lavoro in condizioni di irregolarità e sfruttamento, appaiono significative le seguenti affermazioni: - “... ero sempre sfruttato e i colleghi non mi rispettavano (italiano, quarantaduenne)”; - “... non ero in regola (cinese, trentatreenne)”; - “... lavoravo sempre in nero (marocchino, trentatreenne)”; - “... non volevano mettermi in regola nell’ultimo lavoro (albanese, quarantaduenne)”; - “... sfruttamento, paga bassa, ho trovato in questa nuova azienda un lavoro migliore (rumena trentanovenne)”; - “... nel lavoro precedente non mi venivano pagati i contributi (rumeno, trentanovenne)”; - “... in un lavoro non ero pagato, in un altro ho lasciato per motivi familiari (ucraino, quarantacinquenne)”; - “... l’ultimo lavoro, in sette anni, non mi hanno mai pagato ferie e permessi (moldavo, quarantanovenne)”. Solo in un caso è emersa una situazione di attrito con i superiori basata, probabilmente, su pregiudizi etnici: “ho subìto... maltrattamenti da parte del capo cantiere e per ragioni di soldi (marocchino, tretaduenne)”.
Soddisfatti e insoddisfatti del lavoro svolto Alla domanda se il lavoro svolto coincide con quello cercato, si nota che hanno risposto “Sì, è quello che cercavo”: 133 intervistati (66,5%), di cui 89 italiani (71,2%) e 44 stranieri (58,7%).
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
Grafici 26 e 27 Gli intervistati (italiani e stranieri) soddisfatti e insoddisfatti del lavoro svolto
Nel caso della componente maschile le risposte affermative sono state: 85 (68%), di cui 54 italiani (73%) e 31 stranieri (60,8%); mentre nel caso della componente femminile sono state 48 (64%), di cui 35 italiane (68,6%) e 13 straniere (54,2%). Sia tra gli italiani che tra gli stranieri, solo una minima parte (poco più di 1 su 10) ha abbassato la soglia di adeguatezza del lavoro trovato rispetto alle aspettative iniziali. Tra gli italiani sono soprattutto le donne ad affermare di essersi adeguate: 9 su 51 intervistate (17,6%), contro 6 su 74 maschi intervistati (8,1%); mentre nel caso degli stranieri la differenza appare meno rilevante: 6 su 51 intervistati (11,8%) per la componente maschile, contro 3 su 24 intervistati (12,5%) per la componente femminile. Nel campione, i più soddisfatti della propria condizione lavorativa risultano gli intervistati italiani e, in particolare, gli uomini con cittadinanza italiana. Nel complesso (Grafici 26 e 27), oltre un terzo dei 200 intervistati (67 unità) non è ancora soddisfatto del lavoro che svolge. Solo 72 intervistati (il 36 % dei 200 intervistati) ritiene che il lavoro svolto sia adeguato alla formazione e all’esperienza lavorativa maturata. Dall’analisi di dettaglio delle motivazioni per cui il lavoro svolto non coincideva con quello cercato si nota che: - 15 uomini stranieri (29,4%) lo ritengono inadeguato alla formazione e/o all’esperienza maturata, contro 14 uomini italiani (18,9%); - 6 donne straniere (25%) lo giudicano insoddisfacente, contro 7 donne italiane (13,7%).
INTERVISTATI ITALIANI soddisfatti/insoddisfatti del lavoro svolto 13 (10,4%) è insoddisfacente 23 (18,4%) è inadeguato alla propria formazione e esperienza
15 (12,0%) mi sono adeguato
Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
51 (40,8%) è adeguato alla propria formazione e esperienza
INTERVISTATI STRANIERI soddisfatti/insoddisfatti del lavoro svolto 11 (14,7%) è insoddisfacente
20 (26,7%) è inadeguato alla propria formazione e esperienza
21 (28,0%) è adeguato alla propria formazione e esperienza
14 (18.7%) mi piace/è vicino a casa 23 (18,4%) mi piace/è vicino a casa
Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione
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9 (12,0%%) mi sono adeguato
L’orientamento positivo verso il lavoro svolto, espresso nel complesso da 133 intervistati, è stato ulteriormente specificato da 31 lavoratori con le motivazioni che si possono così sintetizzare: - “Ho trovato questo e va bene/va bene qualsiasi lavoro” (per 13 intervistati: 3 uomini italiani, 2 donne rumene, 6 donne italiane e 1 uomo e 1
donna moldavi); - “Mi serve per vivere” (1 donna ucraina, 1 uomo marocchino e 1 uomo pakistano); - “E’ meno pericoloso del precedente” (1 uomo italiano); - “Si adatta alle esigenze familiari” (1 donna italiana); - “Mi piace perché è a contatto con il pubblico” (2 donne italiane e 1 donna rumena); - “E’ un lavoro stabile” (1 donna italiana, 1 donna rumena e 1 uomo albanese); - “Mi consente di continuare a studiare” (1 donna italiana); - “Ho più ore libere, prima ero badante” (2 donne ucraine); - “Sono in regola” (1 uomo marocchino); - “Qui mi rispettano” (1 donna moldava); - “Era il lavoro svolto anche da mio padre” (1 donna rumena e 1 uomo italiano); - “E’ vicino a casa” (2 uomini italiani); - “Volevo lavorare di notte” (1 donna italiana); - “Amo i lavori meccanici su macchine e motori” (1 uomo italiano). L’orientamento poco positivo verso il lavoro svolto, espresso nel complesso da 67 intervistati, è stato ulteriormente specificato da 66 lavoratori con le motivazioni che si possono così sintetizzare: - “Ho dovuto accettare per necessità economiche e ragioni familiari” [33 intervistati: 7 uomini italiani, 8 donne italiane, 12 uomini stranieri (1 albanese, 1 bosniaco, 2 camerunensi, 3 marocchini, 1 polacco, 2 rumeni, 1 tunisino e 1 ucraino), 6 donne straniere (1 rumena, 1 nigeriana, 1 ucraina, 1 egiziana, 1 albanese, 1 cinese)]; - “Ho accettato per necessità economiche e altre ragioni diverse”[18 intervistati: 8 uomini italiani, 3 donne italiane, 2 uomini stranieri (1 brasiliano e 1 marocchino), 5 donne straniere (3 ucraine, 1 marocchina, 1 rumena)]; - “Ho dovuto cambiare e accettare questo lavoro per ragioni di salute personale” (1 uomo italiano e 2 donne italiane); - “Era stato assunto per un altro tipo di lavoro” (2 uomini italiani, 1 donna italiana); - “E’ pericoloso e temporaneo” (1 uomo italiano, 1 uomo pakistano); - “E’ impossibile fare il lavoro che mi piace” (1 uomo tunisino, 1 uomo marocchino, 1 uomo moldavo, 1 uomo albanese); - “E’ l’unico lavoro che ho trovato” (1 uomo italiano, 1 donna italiana, 1 donna rumena). Se si incrociano i dati con l’anzianità lavorativa nell’U.L. di riferimento, si nota che i livelli di “insoddisfazione” sono piuttosto elevati tra coloro che
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
Grafici 28 e 29 Gli intervistati (italiani e stranieri) soddisfatti e insoddisfatti del lavoro svolto in base all’anzianità di lavoro nell’impresa
Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
lavorano da pochi mesi (il 55,6% di chi è occupato dai 3 ai 6 mesi) e tra coloro che vi lavorano da diversi anni (il 38,6% di chi è occupato da 3 a 6 anni e il 33,8% di chi è occupato da oltre 6 anni); ma se si suddividono le risposte per nazionalità, sembra emergere una netta divergenza tra italiani e stranieri. I livelli più elevati di “insoddisfazione”, infatti, si notano: - nel caso degli italiani, tra coloro che hanno un’anzianità lavorativa inferiore all’anno (circa la metà di chi lavora dai 3 ai 6 mesi e, in misura di poco inferiore, chi lavora dai 6 ai 12 mesi); - nel caso degli stranieri, tra coloro che hanno un’anzianità di lavoro superiore a 1 anno (oltre 6 su 10 tra chi è occupato da più di 6 anni e oltre 4 su 10 tra chi è occupato da 1 a 3 anni o da 3 a 6 anni).
ITALIANI INTERVISTATI - soddisfatti e insoddisfatti del lavoro svolto in base all'anzianità lavorativa nella propria impresa
STRANIERI INTERVISTATI - soddisfatti e insoddisfatti del lavoro svolto in base all'anzianità lavorativa nella propria impresa
13
INSODDISFATTI
INSODDISFATTI
12
SODDISFATTI
SODDISFATTI
8 4
1 9
38
9 15
5 4 4 meno di 6 mesi
21
11
17
7 da 6 a 12 mesi
Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione
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da 1 a 3 anni
da 3 a 6 anni
10
1
oltre 6 anni
1 2 non risponde
5
2 meno di 6 mesi
da 6 a 12 mesi
da 1 a 3 anni
da 3 a 6 anni
oltre 6 anni
0 1 non risponde
Passata la prima fase migratoria che, stante la normativa in vigore, “costringe” gran parte degli stranieri ad accettare di buon grado qualsiasi tipo di lavoro, maturano aspettative più consone alle capacità e agli studi svolti e, quindi, una sorta di insoddisfazione verso quei lavori che si sono dovuti accettare per restare regolarmente in Italia. Per gli italiani, invece, le aspettative non trovano corrispondenza proprio nelle fasi iniziali, di primo impatto con il contesto lavorativo; ma affiorano situazioni di scarsa soddisfazione anche tra coloro che hanno un’anzianità lavorativa superiore ai 3 anni, legata alla constatazione della scarsa valorizzazione delle capacità e degli studi svolti. Se si incrociano i dati con gli anni di studio, infatti, sia italiani che stranieri, manifestano un grado di “insoddisfazione” che cresce con l’aumentare i livelli di scolarità.
Si dichiarano insoddisfatti, con studi: - dagli 8 ai 10 anni, 18 italiani su 63 e 4 stranieri su 13; - dagli 11 ai 15 anni, 16 italiani su 48 e 18 stranieri su 46; - dai 16 anni e oltre, 2 italiani su 5 e 8 stranieri su 11. Una conferma degli aspetti sopra descritti emerge pure dall’incrocio per fasce d’età, in quanto i “meno soddisfatti” sono: - tra gli italiani i giovani con meno di 25 anni (5 su 9) in maggioranza con bassa anzianità lavorativa, e le persone “mature” con più di 45 anni (11 su 32 dai 45 ai 54 anni e 3 su 10 dai 55 anni e oltre), in gran parte con elevata anzianità di lavoro; - tra gli stranieri coloro che hanno meno di 45 anni (13 su 29 dai 35 ai 44 anni, 11 su 24 dai 25 ai 34 anni e 3 su 8 dai 15 ai 24 anni), soprattutto con elevata anzianità di lavoro.
La gestione dei permessi e delle assenze La domanda su come ci si comporta quando ci si deve assentare dal lavoro per ragioni personali e/o familiari, permette di rilevare le eventuali differenze tra italiani e stranieri, considerato che diversi datori di lavoro lamentavano scarsa attenzione e/o atteggiamenti poco corretti sul tema delle assenze proprio da parte degli stranieri. Le risposte ottenute dagli intervistati non sembrano supportare l’ipotesi di comportamenti molto diversi tra italiani e stranieri, anche se emerge una maggior propensione a programmare le eventuali assenze da parte degli italiani. Nel caso di bisogno di permessi, infatti, si sono riscontrate le seguenti affermazioni da parte degli intervistati: - 29 italiani cercano di programmarli preavvisando la propria impresa, contro 7 stranieri; - 95 italiani (76%) preavvisa semplicemente l’azienda, contro 67 stranieri (89,3%); - soltanto uno straniero dichiara di non sapere bene come deve comportarsi, mentre un italiano non sa/non risponde. Sul versante dell’ottenimento dei permessi emergono risposte similari, anche se 3 stranieri dichiarano che le eventuali richieste di permesso possono mettere a rischio il loro posto di lavoro. Le risposte alla domanda su “chi concede i permessi” non presentano aspetti problematici, in quanto 123 intervistati (61,5%) ne fanno richiesta al titolare dell’azienda, 60 intervistati (30%) al superiore diretto, 11 intervistati (5,5%) all’ufficio personale, 4 non sanno/non rispondono (2%) e 2 intervistati (1%) si rapportano anche con l’azienda committente. Dalle risposte, comunque, si
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Il coinvolgimento al lavoro degli intervistati
evince la rilevanza del rapporto diretto fra titolare d’azienda e lavoratori. Alcune criticità, invece, emergono alla domanda se i permessi spettanti vengono pagati. Infatti, 102 italiani (81,6%) dichiarano d’essere retribuiti, contro 53 stranieri (70,7%); 13 italiani affermano di non percepire alcuna retribuzione, contro 11 stranieri; 10 italiani e 10 stranieri non sanno/non rispondono; un solo straniero afferma che a volte vengono pagati a volte no. Il quesito teso a verificare la presenza di problematiche legate ad assenze di lunga durata, conferma la segnalazione dei datori di lavoro sul fatto che queste siano insorte più frequentemente con lavoratori stranieri, considerato che hanno risposto: - “nessun problema” 113 italiani (90,4%), contro 62 stranieri (82,7%); - “non ho mai fatto assenze prolungate” 8 italiani, contro 14 stranieri; - “ho avuto problemi” 2 italiani, contro 6 stranieri; - non sanno/non rispondono 2 italiani e 1 straniero. Le risposte di dettaglio raccolte per comprendere in modo adeguato le modalità di gestione dei permessi, oltre a documentare alcune difficoltà che i lavoratori e i datori di lavoro incontrano nella gestione quotidiana dei rapporti di lavoro, denotano e confermano la mancanza di conoscenza delle normative contrattuali che regolano assenze e permessi da parte dei lavoratori. Le dichiarazioni critiche più significative hanno messo in rilievo alcuni comportamenti discriminanti (o, perlomeno, vissuti come tali): - “altre persone hanno avuto problemi, derivanti spesso dalla loro provenienza” (italiano, trentunenne); - “il responsabile di settore nega i permessi e non so perché” (camerunense, trentaquattrenne); - “ho avuto discussioni con i colleghi perché invidiosi”(albanese, ventinovenne). Non sono mancate, tuttavia, dichiarazioni che attestano l’adozione di scelte poco conformi alla normativa contrattuale, in stretta correlazione con la scarsa conoscenza della stessa: - “c’è uno scambio ore per recuperare i permessi presi” (cinese, ventiquattrenne); - “i permessi si compensano con ore di recupero” (cinese, quarantatreenne); - “io informo il titolare tre giorni prima, ma non sempre è possibile avere permessi perché non siamo tutti sostituibili sempre” (camerunense, ventottenne); - “... sono tornata prima della fine della malattia per paura di perdere il lavoro” (ucraina, quarantenne); - “... ogni volta che chiedo un permesso non me lo danno... chiedo più per-
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messi di quelli che ho...” (nigeriano, ventunenne); - “non permettono più di una settimana perché ci sono problemi con il lavoro” (italiano, trentasettenne). In alcuni casi gli stranieri sottolineano l’uso delle ferie, anche oltre i termini prescritti, per il rientro temporaneo in patria: - “ho tre settimane di ferie d’estate, ma di solito sto via un mese e non ci sono problemi” (albanese, quarantaduenne); - “torno al mio Paese durante le ferie e, quindi, non ho problemi” (nigeriana, trentanovenne); - “sono tornato in Pakistan da mia moglie per un mese e mezzo e sono stato licenziato” (pakistano, cinquantacinquenne).
La distribuzione dei compiti e il loro svolgimento Uno degli aspetti rilevanti del coinvolgimento nei processi di lavoro è rappresentato dalla distribuzioni dei compiti e, in particolare, da chi vengono distribuiti (se si tratta della persona gerarchicamente preposta o meno) e come vengono distribuiti, in quanto possono emergere situazioni percepite come discriminanti, dettate da “favoritismi” e/o da pregiudizi. Le risposte alla domanda su chi distribuisce i compiti, però, non fanno emergere situazioni incongruenti, dato che gli intervistati indicano: il “superiore diretto” in 77 casi (38,5%), il “titolare” in 61 casi (30,5%), il “responsabile di produzione” in 28 casi (14%), il “titolare e altri superiori” in 24 casi (12%). Suscita curiosità la risposta secondo cui avviene una “autodistribuzione tra colleghi”. Questa affermazione è stata fornita da due italiani maschi, da un cinese maschio e da un marocchino maschio, ma essa si presenta alquanto circoscritta quando si analizzano le risposte successive che sottolineano una rigida separazione dei compiti, oppure una distribuzione dei compiti in base alle conoscenze e alle abilità acquisite. La domanda su come viene ripartito il lavoro delinea, in parte, le caratteristiche dell’attività svolta dagli intervistati, in quanto affermano: - “c’è una rigida separazione dei compiti” (in quanto non è permessa e/o prevista un alternanza in altri compiti più o meno complessi) in 93 casi (46,5%); - “c’è una ripartizione in base al lavoro da svolgere e/o alle abilità/conoscenze” dei singoli in 71 casi (35,5%); Appaiono, invece, poco rilevanti le dichiarazioni inerenti il ricorso a “preferenze personali” (1 caso) e a “discriminazioni tra italiani e stranieri” (1 caso). Nel complesso emerge una sorta di “adeguamento rassegnato” che “reifica” la struttura organizzativa di riferimento. Prevale l’atteggiamento di accettazione del lavoro per cui si è stati assunti, lo si difende, vivendo come
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ingiusto l’eventuale spostamento verso altri compiti ritenuti spesso non pertinenti e/o impropri. Si tratta un orientamento contraddittorio, di difesa, dato che poi molti lamentano la “rigida separazione dei compiti” e l’attribuzione degli stessi “in base alle abilità/capacità” che, naturalmente, sono acquisibili soprattutto attraverso spostamenti, in particolare se sostenuti da affiancamenti con personale esperto, in altri ambiti lavorativi della medesima impresa. Questo atteggiamento sposta l’eventuale momento discriminatorio alla fase di assunzione, quando il datore di lavoro può decidere di assumere uno o più stranieri dopo aver sperimentato inserimenti fallimentari di altri lavoratori italiani e/o dopo aver verificato l’indisponibilità degli stessi a svolgere il lavoro che si propone. Alcune ricerche (già citate in precedenza) hanno rilevato l’emergere di atteggiamenti discriminanti (più o meno consci) di diversi datori di lavoro, quando sono chiamati a scegliere la persona da assumere partendo da una lista di candidati italiani e stranieri. In molti casi, dopo aver maturato la scelta di assumere uno straniero prevale, probabilmente, un orientamento che punta a non far fallire il processo d’inserimento lavorativo, soprattutto se si riscontra la validità dell’apporto lavorativo della persona straniera assunta. I quesiti sui compiti svolti avevano lo scopo di far emergere eventuali atteggiamenti discriminatori che, alla domanda diretta tesa a conoscere le ragioni di eventuali diversità, sono stati in vario modo negati dagli intervistati. Le risposte ottenute, infatti, tenuto conto che un solo intervistato non ha risposto, sono state: - “svolgiamo gli stessi compiti” per 153 lavoratori, pari al 76,5%; - “svolgiamo compiti diversi” per 46 lavoratori, pari al 23%.
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io ed ora sono capo turno... A me non hanno mai dato questa responsabilità... (camerunense, trentaquattrenne)”; “...in contabilità siamo tutte donne impiegate amministrative, in magazzino invece ci sono lavoratori di diverse nazionalità (italiana, quarantaduenne)”; “...a livello organizzativo ci sono italiani, a livello operaio stranieri (italiano, trentunenne)”; “...necessità diverse per mansione... non c’è rotazione nei compiti duri (italiano, trentunenne)”; “...gli altri fanno stampi e io assemblo, è un lavoro di maggiore responsabilità (italiano, cinquantacinquenne)”; “...mi stacca e mi divide in più lavori, gli altri no (marocchino, trentaduenne)”.
In modo analogo, risultano evasive anche le risposte alla domanda sull’assegnazione o meno di compiti di fiducia, in quanto dichiarano che il proprio superiore e/o datore di lavoro: - “si fida di me” in 176 casi (87,5%); - “non so, non mi è mai capitato” in 15 casi (7,5%); - “no, non si fida di me” in 8 casi (4%); - non sanno/non rispondono in 2 casi (1%). L’eventuale mancanza di fiducia, inoltre, è così motivata: “sono giovane” per 2 lavoratori; “sono l’ultimo arrivato” per 3 lavoratori; “sono straniero” per 3 lavoratori.
Le preferenze sui compiti da svolgere Relativamente alle ragioni addotte in merito allo svolgimento di compiti diversi da parte dei colleghi, sono emerse risposte così raggruppabili: - “ho competenze tecniche superiori” in 19 casi; - “sono diversi i compiti da svolgere” in 11 casi, oppure “siamo stati assunti con compiti diversi” in 9 casi o, ancora, “decide il datore di lavoro” in 1 caso; frasi che non affrontano il problema o che attestano un’accettazione passiva della ripartizione del lavoro fra le varie persone decisa a priori dal proprio superiore e/o dal titolare; - “dipende dall’esperienza” maturata da ogni lavoratore in 5 casi. In un solo caso la risposta è stata “mi hanno discriminato”. Molto più incisive e significative risultano, invece, alcune affermazioni effettuate dopo la prima evasiva risposta. Ad esempio, diversi lavoratori si sono espressi affermando: - “... ci sono persone arrivate dopo di me, meno esperte, a cui ho insegnato
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Alla domanda sulle eventuali preferenze rispetto ai compiti da svolgere, utile a comprendere il livello di adattamento al contesto lavorativo e l’eventuale esistenza di pregiudizi e/o discriminazioni, è emerso che: - 137 intervistati (pari al 68,5% del totale) non indicano alcuna preferenza, per cui si adattano a svolgere qualsiasi compito senza difficoltà; - 63 intervistati (pari al 31,5% del totale) dichiarano di prediligere alcuni compiti, in quanto comportano: l’attivazione di relazioni dirette con l’utenza e/o con la clientela in 9 casi; minor impegno e minor fatica psico-fisica in 11 casi; un più adeguato ricorso alle abilità e alle esperienze acquisite in 25 casi; un maggior coinvolgimento in termini di responsabilità/creatività in 25 casi; uno svolgimento individuale e tranquillo (non richiedendo una cooperazione e/o ripartizione con altri colleghi) in 8 casi (4%).
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E’ da sottolineare la maggior disponibilità/adattabilità degli stranieri che, infatti, nel 72% dei casi (54 casi su 75) non dichiarano preferenze, contro il 66,4% degli italiani (83 casi su 125). Le differenze tra italiani e stranieri, in termini di disponibilità, sono più evidenti nel caso della componente maschile; affermano di avere preferenze nei compiti da svolgere; - 26 uomini italiani su 74 (3,5 su 10), contro 14 uomini stranieri su 51 (2,7 su 10); - 16 donne italiane su 51 (3,1 su 10), contro 7 donne straniere su 24 (2,9 su 10). L’analisi di dettaglio delle risposte consente di rilevare che: * per gli stranieri, manifesta una tendenza a svolgere lavori da soli/tranquilli e, quindi, ad “isolarsi” dal contesto lavorativo, soprattutto da parte della componente femminile; mentre da parte della componente maschile si nota soprattutto un orientamento ad essere impegnati in base alle abilità e alle esperienze acquisite; * per gli italiani, in particolare da parte della componente femminile, emerge una predilezione (laddove il contesto lavorativo lo consente) per i lavori di relazione con utenti/clienti, oltre che più consoni ad abilità/esperienza; mentre da parte della componente maschile si nota, in aggiunta al desiderio di svolgere compiti consoni ad abilità/esperienza, un orientamento a svolgere lavori di responsabilità/creatività o meno pesanti/impegnativi.
Il controllo sul lavoro svolto Il quesito voleva cogliere eventuali incongruenze legate al controllo dei lavoratori in ambito aziendale. In particolare, si prefiggeva di verificare se esistono controlli svolti indebitamente da altri colleghi di lavoro e se i controlli si limitano agli aspetti strettamente produttivi o si estendono ai comportamenti e ai possibili conflitti tra colleghi nei luoghi di lavoro. Le risposte ottenute non hanno fatto emergere particolari incongruenze: i controlli erano svolti in larga parte dai soggetti “preposti” al controllo secondo 169 intervistati (pari all’84,5%) e, nello specifico, dal “superiore diretto” (67 casi), dal “responsabile di produzione” (21 casi), dal “titolare” (59 casi), dagli “addetti al controllo” (12 casi), dal “committente” (10 casi, da cui traspare una situazione un po’ anomala, presente nei in appalto, dato che non si tratta del datore di lavoro). Una presumibile scarsa conoscenza del contesto lavorativo, invece, sembra emergere da parte di 29 intervistati (19 italiani e 10 stranieri) che affermano l’inesistenza di controlli sull’attività svolta7. 7 Alcune risposte richiederebbero un supplemento di indagine. In particolare, quando si afferma che i controlli avvengono: “tra di noi “(italiana, 58 anni, confezionatrice), tramite “i colleghi più anziani” (italiana, 24 anni, cameriera di sala), “noi stessi” (un uomo italiano, 25 anni, tagliatore di lamiere e una donna, 27 anni, assemblatore meccanico), “il mio collega italiano” (marocchino 33 anni, montatore meccanico), “altri operai” (due italiani, di 42 e 53 anni, entrambi saldatori), “un ragazzo dell’ufficio” (italiano, 46 anni, verniciatore di metalli), “colleghi” (italiano, 45 anni, carpentiere e saldatore).
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Il disagio segnalato in relazione al lavoro svolto Alla domanda tesa a sondare l’esistenza di eventuali problemi legati alle condizioni di lavoro (in termini di luogo di lavoro, di fatica psico-fisica, di orari insoddisfacenti), si notano in larga parte risposte in sintonia con il grado di soddisfazione complessivo per i compiti svolti. Infatti, 154 intervistati (77%) dichiarano di non incontrare problemi di rilievo; tuttavia, tale numero scende a 114 unità (57%) se si considerano le risposte alle domande successive, volte ad entrare nel dettaglio delle eventuali problematiche lavorative. Questa differenza può essere interpretata come un indicatore della “reificazione” del processo di lavoro, considerato nei termini di una realtà ineluttabile. Se si escludono i 114 intervistati che non hanno segnalato problemi, i restanti 86 intervistati hanno dichiarato problematiche legate a: “fatica fisica e psicofisica” (33 casi), “turni e orari di lavoro costrittivi” (16 casi), “attriti e dissidi con colleghi e superiori” (12 casi), “luogo e mezzi di protezione costrittivi” (11 casi), “difficoltà nel governo dei processi di lavoro” (11 casi), “trattamento economico insoddisfacente” (3 casi). L’analisi delle risposte per genere e per nazionalità consente di rilevare che sono soprattutto le donne straniere ad affermare l’inesistenza di problemi lavorativi. Dichiarano, infatti, “nessuna situazione problematica” 44 stranieri (5,9 casi su 10), contro 70 italiani (5,6 casi su 10) e, in particolare, 15 donne straniere su 24 (6,3 casi su 10), contro 27 donne italiane su 51 (5,3 casi su 10) e 29 uomini stranieri su 51 (5,7 casi su 10), contro 43 maschi italiani su 74 (5,8 casi su 10).
attriti/dissidi 7 (5,6%) con colleghi
1 (0,8%) trattamento economico insoddisfacente
19 (15,2%) fatica fisica e psicofisica 10 (8,0%) luogo/mezzi di protezione cotrittivi
Grafici 32 e 33
STRANIERI INTERVISTATI condizioni di lavoro problematiche
ITALIANI INTERVISTATI condizioni di lavoro problematiche
attriti/dissidi 5 (6,7%) con colleghi
2 (2,7%) trattamento economico insoddisfacente
Le condizioni di lavoro problematiche segnalate da parte degli intervistati (italiani e stranieri)
14 (18,7%) fatica fisica e psicofisica
70 (56,0%) no problem
difficoltà 6 (4,8%) nel governo dei processi 12 (9,6%) turni e orari costrittivi
1 (1,3%) luogo/mezzi di protezione cotrittivi difficoltà 5 (6,7%) nel governo 4 (5,3%) turni e orari costrittivi dei processi
44 (58,7%) no problem
Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione
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Relativamente alle problematiche più segnalate, invece, si nota che: * per la componente femminile spiccano gli aspetti problematici legati agli orari di lavoro e alla fatica (si segnalano: in 12 casi “turni e orari di lavoro costrittivi”; in 11 casi “fatica fisica e psico-fisica”) e, in misura minore a situazioni che presentano “qualche attrito con colleghi e superiori” (3 casi); * per la componente maschile emergono aspetti inerenti la fatica e, in modo più contenuto, ai rapporti con colleghi e superiori, al luogo di svolgimento del lavoro e ai mezzi di protezione utilizzati (si segnalano: in 19 casi “fatica fisica e psico-fisica”, in 9 casi “qualche attrito con colleghi e superiori” e in altri 9 casi “il luogo e i mezzi di protezione troppo costrittivi”). Se si considera il quadro complessivo delle risposte sul tema della condizione lavorativa, tra coloro che affermano di non incontrare problemi di rilievo sembra prevalere un atteggiamento prudenziale legato sia al timore di incrinare i rapporti con il proprio datore di lavoro (qualora egli venisse a conoscenza di dichiarazioni critiche da parte dei propri dipendenti), sia alle precedenti esperienze negative di lavoro che, se paragonate con l’esperienza in corso, possono indurre a limitare e/o a sottovalutare le eventuali problematiche lavorative. Alcuni aspetti delle relazioni tra colleghi di lavoro si possono desumere dalle dichiarazioni di vari intervistati. Tra coloro che hanno affermato di non aver problemi, ad esempio: - una delle varianti che può caratterizzare il rapporto tra lavoratori “esperti” e lavoratori “inesperti” (perché “nuovi arrivati”) emerge dalla seguente dichiarazione: “Sono affiancato da una persona che mi sta insegnando... lui vuole raggiungere certi obbiettivi che in... (azienda) non esistono, ha paura... che diventi più bravo di lui. Lui sa tutto, ci sono aspetti pericolosi, l’esperienza e’ fondamentale, non è una cosa facile... ci si fa del male e lui mi sta insegnando un po’ a rilento perché ha paura che dopo mandino me da solo,quando ci sono le emergenze. Però questo non e’ un problema per me perché ha ragione... lui giustamente si preoccupa... però non gli faccio le scarpe (italiano, quarantanovenne, facchino)”; - tra le varianti che possono caratterizzare i rapporti tra lavoratori esperti, ma con abitudini ed esperienze lavorative diverse, oltre che di diversa nazionalità, appare molto significativa l’affermazione di seguito riportata: “Ci sono modi di fare e lavorare diverse da quelli cinesi... Dopo ci siamo venuti incontro. Noi eravamo un po’ all’antica... per certe cose aveva ragione lei. Erano tutte culture diverse, modo di lavorare diversi. Fare cose più... invece di metter tanto tempo a far questa cosa, più artigianale... lei ci ha sveltito di più il lavoro, si è velocizzato con sistemi nuovi (italiana,
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cinquantottenne, cucitrice/confezionatrice) “; - almeno due dei possibili rapporti tra datore di lavoro italiano e lavoratore straniero si delinea nelle seguenti dichiarazioni: - “L’orario va bene... il mio datore di lavoro dice che sono bravo e mi elogia per come svolgo i miei compiti... mi trovo bene a lavorare per questa azienda... Non sento di fare fatica psico-fisica... il carico di lavoro riesco a sostenerlo bene (moldavo, cinquantacinquenne, manovale edile)”; - “La fatica c’è, però la distribuzione dell’orario il mio capo mi è venuto tanto incontro col fatto del bambino, quindi va benissimo. Non ci sono problematiche. Abbiamo un bellissimo rapporto (rumena, ventisettenne, cassiera/commessa)”; - “Io non ho problemi ma gli stranieri attorno hanno paura di parlare perché hanno paura di perdere il posto... (italiano, cinquantacinquenne, fonditore)”; - una delle modalità che agevola l’inserimento lavorativo di uno straniero emerge dalla seguente affermazione di un giovane straniero: “Quando sono entrato c’era già mio fratello... nel '90 fino al '92 ho imparato la lingua..., ho frequentato degli amici italiani…ed allora quando sono andato a lavorare non ho avuto difficoltà... conoscevo già bene la lingua, con i miei colleghi di lavoro mi ha aiutato conoscere la lingua... capire le persone quando si scherza e quando no... (marocchino, trentanovenne, coibentatore)”. Tra coloro che hanno affermato di avere problemi legati alle condizioni di lavoro, ad esempio si può evidenziare che: - alcuni intervistati, soprattutto italiani hanno segnalato, da parte dei colleghi più anziani e con maggior esperienza lavorativa, forme di “nonnismo” e/o di autoritarismo che, a volte, facevano leva su debolezze e pregiudizi etnici, come si può evincere dalle due brevi citazioni sotto riportate: o “Fenomeni di nonnismo nei confronti degli ultimi arrivati, degli stranieri e dei meridionali, bisogna rispettare vecchie maniere, vecchi stereotipi come nei militari... allora non si va d'accordo. Questi fenomeni sono tuttora presenti... (italiano, trentasettenne, manovale edile)”; o “Solo all'inizio ho avuto problemi con i colleghi più anziani che erano autoritari...(italiano trentaseienne, carrellista)”; - alcuni lavoratori stranieri hanno segnalato, anche indirettamente, l’esistenza di rapporti tesi con i lavoratori italiani e di incongruenze nel governo dei processi di lavoro, attraverso le seguenti affermazioni: o “All’inizio ho fatto molta fatica fisica, il lavoro era pesante, si lavorava tanto... con gli italiani non mi sono mai trovato in condizioni di disa-
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gio rispetto agli altri... molto probabilmente è per quello che sono rimasto. Ancora non avevo la famiglia che mi trattenesse.. poi quando ho compiuto 18 anni ci tenevo a fare esperienza all’estero... l’orario è distribuito su 8/10 ore, talvolta si lavora anche il sabato, ma non è un problema... quello che crea un po’ di disagio, come in tutte le grandi aziende è l’organizzazione... (polacco, ventisettenne, carrellista/magazziniere)”; “Si lavora senza pausa al freddo e non c'è rispetto tra colleghi...(straniero che ha acquisito la nazionalità italiana, quarantaquattrenne, magazziniere)”; “La direzione è lontana (in un altra provincia) e non abbiamo mai contatti diretti con loro... la responsabile qui non è all'altezza del suo ruolo e non riesce a gestire le questioni; c'è poco personale e facciamo fatica ad andare in ferie o ad avere permessi; il lavoro è faticoso ed è all'aperto, quindi soggetto alle condizioni meteo; quando mi sono iscritta all'università mi hanno negato i diritti allo studio... (ucraina, quarantenne, pulitrice di locali)”; - l’esistenza di rapporti tesi tra colleghi e le difficoltà dovute ad incongruenze organizzative, comunque, sono state segnalate anche da lavoratori italiani che, ad esempio, hanno affermato: “Se c'erano dei problemi riguardo lo svolgimento del mio lavoro non avevo modo di difendermi; dovevo eseguire le pulizie senza protestare anche se il problema non dipendeva da me... (italiana, cinquantaduenne, pulitrice di locali)”; “quando sono arrivata a giugno c'era molto da fare, non avevo mai lavorato in un posto di mare; a volte c'erano rapporti tesi coi colleghi, con i titolari è subito andato tutto bene... (italiana, ventiseienne, portiere d’albergo)”; “Non tanto buone. non sono fumatrice e devo subire il fumo passivo dei clienti che si trovano nelle sale adibite ai fumatori. Non c’è più una disciplina all’interno della sala, io sono entrata facendo un corso specifico, i nuovi assunti, invece, non sono tenuti a farlo, per cui sapendo come amministrare in maniera corretta il lavoro non mi trovo con il nuovo modo di gestire l’attività che non rispetta un criterio specifico... questo mi porta a scontrarmi con gli altri. E’ un tipo di impiego creato per lo svago per cui occorre lavorare quando gli altri si divertono... per il fine settimana e per le feste si rimane occupati per 10-12 ore al giorno, durante i giorni feriali bastano anche 4 ore, ma e’ normale per questo tipo di attività. Sono problematici a volte i rapporti con i clienti perché non tengono sempre un comportamento corretto, mentre io
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devo rispettare delle regole precise, l’azienda e’ comunque la prima che lo permette... (italiana, quarantunenne, commessa)”; - alcuni lavoratori stranieri, infine, hanno manifestato difficoltà di comunicazione e di interazione legate alla scarsa conoscenza della lingua italiana e/o all’uso del dialetto ferrarese da parte degli autoctoni: “fatica nel seguire le direttive sulla meccanica, riguardo alla lingua...(marocchino, trentaduenne, montatore meccanico)”; “Non ero preparato alla fatica di lavorare all'aperto, poi all'inizio i colleghi parlavano solo stretto ferrarese e non capivo, ma sono stati gentili e si spiegavano... (albanese, trentottenne, elettricista)”.
I danni recati all’azienda e gli infortuni subiti Sul versante dei danni causati all’azienda e/o degli infortuni subiti in azienda emerge che 39 intervistati dei 200 intervistati (19%) ne sono stati coinvolti. Contrariamente alle aspettative, inoltre, gli eventi negativi hanno coinvolto in misura percentualmente maggiore gli italiani (27 su 125, pari al 21,6%), rispetto agli stranieri (11 su 75, pari al 14,7%), con una incidenza che raggiunge quasi il 30% tra i maschi italiani (22 casi), probabilmente in stretta correlazione alla loro maggiore anzianità lavorativa. Sono, comunque, le donne a dichiarare meno danni e/o incidenti sul lavoro (8 casi su 75, pari al 10,7%, contro 30 casi su 125, pari al 24,0% tra i maschi), considerata la minor pericolosità dei loro settori d’inserimento, come si evince dalle statistiche Inail degli infortuni sul lavoro. Gran parte degli eventi negativi sembrano collegarsi a situazioni fortemente condizionate dalla combinazione di stanchezza e disattenzione, ma anche ad una sottovalutazione dei potenziali rischi legati alle caratteristiche del luogo di lavoro; si considerino, ad esempio, le seguenti dichiarazioni: - “... sono scivolata su dell’acqua ghiacciata... sono stata in malattia due settimane (egiziana, trentenne, pulitrice di locali)”; - “... mi ero arrampicata sui sedili e sono caduta battendo la schiena...” e, ancora, “...per aprire una porta bloccata mi sono schiacciata un nervo... quindici giorni d’infortunio (italiana, quarantanovenne, pulitrice di locali)”; - "... il foglio [di lavoro] stava andando da un’altra parte... io ho saltato per tirarlo fuori e ho sbattuto la testa sul ferro (camerunense, trentaquattrenne, manutentore di macchinari)”; - “...sono caduto perché era ghiacciato e scivolando ho battuto il viso su un ferro, ma nulla di grave... sono rimasto a casa due settimane (italiano,
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sessantenne, tubista/trafilatore)”; - “...andando sotto a un macchinario... la porta di questo si è chiusa e mi ha sbattuto sulla schiena... 10 giorni a casa, ma nulla di rotto...” e, ancora, “...un’altra volta... mentre tiravo un filo di rame... questo si è rotto e ho sbattuto la mano in uno spigolo... ma non mi sono fratturato (italiano, quarantenne, tecnico di reparto)”; - “...mi sono tagliato con un ferro dietro la gamba a causa di una mia distrazione... si è risolto tutto in cinque giorni (italiano, trentunenne, muratore/camionista)”; - “...mi hanno mandato giù un secchio con dei rottami... facendo pendolo mi sono sbagliato a fermarlo e mi è venuto addosso rompendomi tre costole (italiano, quarantasettenne, gruista)”; - “...un incidente fortuito... mi è caduta una scatola... sul piede e sono dovuta andare al pronto soccorso (ucraina, trentunenne, cameriera ai piani)”; - “...scottature... ma sono all’ordine del giorno in cucina (filippino, quarantaduenne, cuoco)”; - “...qualche bicchiere rotto (italiana, quarantaseienne, cameriera di sala)”; - “... sono caduto da una scala... mi sono fatto male al piede sinistro... è stato un errore di distrazione (italiano, quarantunenne, magazziniere)”; - “... ho avuto una distorsione al polso nello spostare barre di ferro (italiano, ventunenne, saldatore/carpentiere metallico)”; - “... contusione alla clavicola... ho sbattuto contro un cavalletto (italiano, quarantasettenne, pulitore di locali”; - ”... mentre giravo un pezzo... mi sono rotto un dito (italiano, venticinquenne, lamierista/carpentiere)”; - “... ho messo un piede in un grigliato... sono caduto e mi sono rotto due costole contro una valvola (italiano, trentenne, montatore meccanico)”; - “... ho dato una testata ad un bancale... mi hanno messo due punti in testa (italiano, trentasettenne, autista di camion )”; - “... mi è caduto un pezzo di macchinario su un piede (camerunense, ventottenne, montatore meccanico)”; - “... sollevando i pesi mi è venuta un’ernia (italiano, tretanovenne, manovale meccanico)”; - “... mi sono tagliata le mani con una bottiglia (italiana, quarantenne, cassiera)”. Si notano, inoltre, dichiarazioni di danni causati e di infortuni subiti legati anche ad imperizia, scarsa esperienza e uso inadeguato dei mezzi di protezione: - “... un colpo di frusta usando il carrello (italiano, trentunenne, carrellista/magazziniere)”; - “... mi sono tagliata un dito, ero apprendista e non c’erano ancora i guanti
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(italiana, trentunenne, stiratrice)”; - “all’inizio, ero stato assunto da poco ... spostando dei grossi pesi... non sapendo usare i mezzi mi sono fatto male alla schiena (italiano, trentunenne, tecnico di produzione)”; - “... schegge negli occhi e fratture alle mani (italiano, quarantacinquenne, carpentiere metallico)”; - “... mi sono tagliato un dito con un flessibile... (pakistano, trentanovenne, saldatore)”; - “... schegge negli occhi, ho la maschera... ma entrano lo stesso (tunisino, trentottenne, smerigliatore)”; - “... mi sono schiacciato un dito con il ferro (italiano, quarantaseienne, verniciatore di metalli)”; - “... mi sono tagliato con l’attrezzatura da potatura (rumeno, ventiseienne, potatore)”; - “... ho rovesciato dei cassoni contro una porta (italiano, ventunenne, carrellista)”.
Il ricorso all’azione formativa Alla domanda sull’eventuale attività formativa svolta per volontà della propria azienda si sono ottenute delle risposte alquanto differenziate per genere e per paese di provenienza: - hanno partecipato ad almeno un corso di formazione 83 intervistati (41,5%), di cui 61 italiani (48,8%) e 22 stranieri (29,3%), con una prevalenza della componente maschile (44%), rispetto a quella femminile (37,3%); - hanno partecipato e/o partecipano a situazioni formative per affiancamento ad un collega esperto 57 intervistati (28,5%), di cui 29 italiani (23,2%) e 28 stranieri (37,3%); - ritengono che il lavoro svolto non necessiti di alcuna formazione 33 intervistati (16,5%), di cui 21 italiani (16,8%) e 12 stranieri (16%), con una netta prevalenza della componente femminile (28%), rispetto a quella maschile (9,6%); - avvertono che non c’è interesse, da parte delle aziende, alla formazione dei propri dipendenti 16 intervistati (8%), di cui 8 italiani ed 8 stranieri; - solo 2 intervistati stranieri affermano d’essere stati discriminati nell’accesso alla formazione; mentre solo 2 intervistati (un italiano e uno straniero) segnalano lo scarso interesse dei colleghi verso eventuali opportunità di formazione; - non sanno e/o non vogliono rispondere 4 intervistati (2 uomini italiani e 2 uomini stranieri) e dichiarano semplicemente di non aver svolto alcuna
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formazione 3 intervistati (tutti italiani). Le risposte ottenute sembrano, quindi, evidenziare: - da un lato il prevalere di modalità formative legate a: corsi enucleati dal processo lavorativo nel caso degli italiani (48,8% su 125 intervistati); formazione per affiancamento durante l’attività lavorativa nel caso degli stranieri (37,3% su 75 intervistati); - dall’altro lato una sopravvalutazione d’essere in possesso delle conoscenze necessarie a svolgere il proprio lavoro soprattutto da parte della componente femminile. Nonostante emerga che il 70% degli intervistati è stato coinvolto, in attività formative, solo il 51,5% afferma che l’azienda si interessa alla formazione e provvede ad informarne i lavoratori. Nel caso della componente femminile, il disinteresse alla formazione attribuito all’azienda raggiunge il 60% (45 donne, di cui 32 italiane e 13 straniere, su 75 intervistate). Se al disinteresse attribuito all’azienda verso la formazione, si affianca il dato che 21 donne intervistate (28%) negano l’esistenza di bisogni formativi, emerge una valutazione alquanto negativa dei contenuti professionali del lavoro svolto dalla componente femminile. Una valutazione che appare coerente con l’elevato grado di insoddisfazione verso il lavoro svolto espresso dalle donne (come segnalato in precedenza).
I rapporti con i colleghi e con i superiori Le situazioni di “compresenza” (Italiani e stranieri) Un ulteriore aspetto considerato nelle interviste riguarda le caratteristiche delle situazioni di “compresenza” di italiani e stranieri, mediante le quali si comprende meglio come si inseriscono i “nuovi arrivati” nei luoghi di lavoro. Sulla base delle risposte, comunque, emerge che: - lavorano con colleghi italiani e con colleghi stranieri 81 intervistati (40,5%), di cui 53 italiani (42,4%) e 28 stranieri (37,3%); - lavorano con colleghi in maggioranza stranieri 16 intervistati (8%), di cui 10 italiani (8%) e 6 stranieri (8%); - lavorano con colleghi in maggioranza italiani 101 intervistati (50,5%), di cui 60 italiani (48%) e 41 (54,7%) stranieri; - soltanto 2 intervistati, pur avendo colleghi stranieri, affermano di svolgere il proprio lavoro senza avere contatti con altri dipendenti (2 donne
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delle imprese di pulizia). L’incidenza delle presenze straniere è un aspetto che può influenzare notevolmente l’insorgere o meno di scontri, dissidi o conflitti legati alla diversa nazionalità d’origine. Nelle U.L. scelte come campo di indagine, inoltre, si è notato che, in ogni singola impresa, la variabile ‘ Paese di origine ’ dei lavoratori stranieri tende ad essere omogenea, i numeri sono cioè concentrati in poche nazionalità. L’assunzione di un primo straniero, infatti, è spesso il presupposto per le successive assunzioni di altri stranieri provenienti dallo stesso Paese, soprattutto quando il datore di lavoro valuta positivamente l’esito di questa prima assunzione. L’esperienza positiva porta, quasi per estensione, a ritenere che vi sia una predisposizione etnica o una maggiore capacità di adattamento al contesto lavorativo da parte degli stranieri appartenenti alla stessa nazione del primo straniero assunto. In molti casi i primi stranieri assunti agiscono, più o meno consapevolmente, come “apripista” e/o si fanno “garanti” rispetto ai connazionali di cui, spesso, promuovono l’assunzione.
Le difficoltà nello svolgimento dei compiti e il loro superamento Alla domanda sulle difficoltà eventualmente incontrate durante il lavoro, le risposte risultano variegate ed evidenziano orientamenti e atteggiamenti diversi tra italiani e stranieri, come si può evincere dalle seguenti dichiarazioni: - “non ho incontrato difficoltà” 104 intervistati (52%), di cui 45 stranieri (60%) e 59 italiani (47,2%); - “ho avuto delle difficoltà, ma mi hanno aiutato” 77 intervistati (38,5%), di cui 24 stranieri (32%) 53 italiani (42,4%); - “ho avuto delle difficoltà, ma nessuno mi ha aiutato” 19 intervistati (9,5%), di cui 6 stranieri (8%) e 13 italiani (10,4%). Risulta, pertanto, che gli stranieri complessivamente hanno avvertito meno difficoltà degli italiani nelle varie fasi di inserimento e di svolgimento dell’attività lavorativa. Tale percezione, però, vale per gli uomini , in quanto le donne affermano: - “non ho incontrato difficoltà 37 intervistate (49,3%), di cui 11 straniere (45,8%) e 26 italiane (51%); - ho avuto difficoltà, ma mi hanno aiutato” 33 intervistate (44%), di cui 11 straniere (45,8%) e 22 italiane (44,1%); - “ho avuto difficoltà, ma nessuno mi ha aiutato” 5 intervistate (6,7%), di cui 2 straniere (8,3%) e 3 italiane (6%).
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Come era logico attendersi, il superamento delle difficoltà è avvenuto in larga parte con l’ausilio dei superiore e del datore di lavoro e solo parzialmente ricorrendo a colleghi (in larga parte per affiancamento). Le fonti di difficoltà sul lavoro, segnalate da 96 lavoratori (su 200 intervistati) sono risultate: - “scarsa formazione e/o poca conoscenza dei processi di lavoro” per 47 intervistati (pari al 49%); - “scelte organizzative non sempre adeguate” per 12 intervistati (pari al 12,5%); - “scarsa collaborazione tra colleghi” per 11 intervistati (pari all’11,5%); - “tensione e/o scarso rispetto sul lavoro” per 7 intervistati (pari al 7,3%). Le situazioni di “scarsa formazione e/o poca conoscenza dei processi di lavoro” sono indicate soprattutto dagli stranieri (18 casi su 30, pari al 60%) e, in particolare, dalle donne straniere (10 casi su 13, pari al 76,9%), mentre le situazioni di “tensione e/o scarso rispetto sul lavoro” sono segnalate esclusivamente dagli italiani (7 casi su 66, pari al 10,6%) e, in particolare, dalle donne italiane (4 casi su 25, pari al 16%). Considerate le caratteristiche delle risposte, risultano molto interessanti le dichiarazioni di dettaglio espresse dagli intervistati in merito alle difficoltà lavorative incontrate. Ad esempio, emergono difficoltà legate alla fatica, allo stress da lavoro o al luogo di svolgimento dell’attività: - “... dobbiamo restare fuori [all’aperto] per lungo tempo per scaricare (serbo, trentanovenne, autista camion)”; - “... stress mentale per il troppo lavoro (italiano, cinquantaduenne, carrellista)”; - “... troppo lavoro, senza pause e poco personale (italiano, trentaseienne, carrellista)”; - “... lavoro troppo pesante, impossibilità di fare le ferie, poco personale... quindi dovevo fare mansioni che non mi spettavano (ucraina, quarantenne, pulitrice di locali)”; - “... sono stato in malattia... ho spesso mal di schiena a causa del lavoro (albanese, quarantaduenne, muratore)”; - “... non essere riusciti a finire un lavoro in cantiere... ma è bastato lavorare di più il giorno dopo (rumeno, trentenne, manovale edile)”; - “... difficoltà legate alla natura del lavoro, soprattutto in alta stagione quando di accavallano molti arrivi e molte partenze (italiano, ventiseienne, portiere d’albergo)”; - “... mi sentivo sotto pressione a causa di un periodo di sensibilità emotiva (italiana, trentaduenne, cassiera)”. Risultano frequenti, inoltre, anche i problemi legati ai rapporti con la
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clientela, ad esempio: per scarso senso civico e/o non rispetto delle norme: - “... viaggiatori che fumavano nel bus... (rumeno, ventitreenne, conducente di autobus)”; - “... ho avuto problemi con le persone nei reparti... quando trovavo persone maleducate che gettavano qualcosa a terra... io provavo a farglielo presente... ma qualcuno mi ha risposto male... (nigeriana, trentanovenne, pulitrice di locali)”; per scarso rispetto delle persona e del loro lavoro: - “...infermieri, medici o altri pretendevano che svolgessi compiti che non mi spettavano... come portare il caffè... O se chiamavano da un reparto perché era sporco...anche se non dipendeva dal nostro lavoro, dovevamo comunque pulire...ora è diverso (italiana, cinquantaduenne, pulitrice di locali)”; - “...minacce da parte dei clienti (italiana, quarantunenne, cassiera sala giochi)”; - “... situazioni create dai clienti e loro esigenze... (italiano, quarantaseienne, verniciatore di metalli)”; - “...i condomini non erano soddisfatti (italiana, ventiseienne, pulitrice di locali)”. Molto significative, infine, sono risultate le dichiarazioni inerenti ad esempio: discussioni e conflitti con i compagni di lavoro e con i superiori: - “... la responsabile non viene incontro alle mie difficoltà... se ho problemi lei non li risolve e con la ditta non riusciamo a parlare... (egiziana, trentenne, pulitrice di locali)”; - “... incomprensioni... (italiana, ventiseienne, portiere d’albergo)”, oppure “... questioni di incomprensioni con i colleghi, poi passati (italiana, trentaseienne, barista)”; - “... dispetti fra colleghi (italiano, quarantunenne, addetto al montaggio e allo smontaggio di parti metalliche)”; - “... mancanza di rispetto ad un collega che io avevo difeso... ci sono mancanze di rispetto e intolleranze reciproche all’interno dell’azienda (italiano, quarantasettenne, manovale meccanico)”; - “... disaccordo tra colleghi... uno è entrato come inizio al livello superiore al mio e a me... che sto lì da tanto tempo non mi andava bene (italiano, trentunenne, addetto al controllo qualità dei materiali metallici)”; - “... conflitti tra colleghi e problemi dovuti a scherzi sul lavoro (tunisino, trentottenne, smerigliatore)”; le difficoltà linguistiche di comunicazione: - “... tra colleghi c’è la difficoltà della lingua perché il 30% del personale è straniero e, quindi, c’è difficoltà nella comunicazione (italiano,
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cinquantacinquenne, tecnico di produzione)”; - “... difficoltà di comunicazione con i colleghi che parlavano in dialetto e chiamavano le attrezzature in un modo che non conoscevo (albanese, trentottenne, elettricista)”; l’emergere di pregiudizi legati alla presenza di colleghi stranieri: - “... incomprensione coi colleghi stranieri che sono un po’ scorbutici (italiana, ventiseienne, selezionatrice di prodotti ortofrutticoli)”. - “... razzismo... ero il primo albanese nell’azienda... sono riuscito a risolvere i problemi, ma con difficoltà (albanese, ventinovenne, manovale meccanico)”.
La presenza di gruppi di lavoro separati Il quesito era finalizzato soprattutto a verificare se, secondo gli intervistati, sono presenti nella loro U.L. gruppi di lavoratori che tendono, in vario modo, ad isolarsi o a separarsi dagli altri e, nell’eventualità, per quale ragione si verifichi tale separazione o isolamento. Le risposte, pur rivelando nella maggior parte dei casi l’assenza di gruppi percepiti come separati, risultano interessanti, anche per una percezione leggermente diversa del contesto lavorativo tra italiani e stranieri. Non esistono gruppi di lavoro separati secondo 152 dei 200 intervistati (76%), mentre questi sono percepiti da 46 intervistati (23%), 33 italiani (26,4%) e 13 (17,3%). La divisione in gruppi, secondo i 46 intervistati, è dovuta: - al diverso lavoro da svolgere e, quindi, a scelte di ripartizione del lavoro, per 6 italiani e 8 stranieri; - al paese di provenienza per 11 italiani, con nessuna indicazione in tal senso da parte degli stranieri (per cui emergono situazioni di “chiusura” in gruppi su base etnica); - all’amicizia interpersonale e, quindi, a forme di “favoritismo” da parte dei superiori, per 5 italiani e 3 stranieri; - all’anzianità di lavoro per 7 italiani e 2 stranieri, per cui si evince una separazione tra “vecchi” e “nuovi arrivati”; - alla competizione tra gruppi per 4 italiani, con nessuna indicazione in tal senso da parte degli stranieri. Alcuni intervistati hanno fornito ulteriori indicazioni sulle motivazioni che hanno portato alla costituzione di gruppi separati. Per esempio, alcuni hanno affermato la presenza di: gruppi costituiti in base al paese di provenienza, con probabili situazioni di pregiudizio e/o di “chiusura” verso le altre etnie: - “... c’è solo il gruppo dei musulmani che parlano fra loro in arabo per
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non farsi capire... è la banda dei ‘musulmani’ che si allungano le ferie con i permessi e la malattia e gli italiani li rimbeccano che portano via il lavoro a loro (italiano, cinquantaduenne, carrellista)”; - “... gli stranieri si auto escludono, parlano la loro lingua e, quindi, restano solo tra di loro (italiano, trentaseienne, carrellista)”; - “... solo all’inizio, all’arrivo dei colleghi stranieri è stato un po’ più difficile integrarsi a causa della lingua, ma con il tempo si è risolto tutto... (italiano, cinquantenne, muratore)”; - “... i siciliani fanno un gruppo separato (italiano, ventiduenne, impiegato addetto alla segnaletica di cantiere)”; - “... alle volte gli stranieri si auto escludono perché parlano la loro lingua e noi non li capiamo (italiano, cinquantaduenne, muratore)”; - “... il criterio dei ‘gruppetti’ è la lingua (italiano, quarantanovenne, operaio chimico)”; - “... i nuovi arrivati... più che altro marocchini... o anche gli italiani fanno fare i lavori più gravosi a quelli che arrivano dopo... i marocchini non ti aiutano, danno più che altro ordini... (italiano, trentunenne, , addetto al controllo qualità dei materiali metallici, con oltre 6 anni di anzianità di lavoro nell’azienda)”; altri, invece, hanno segnalato la presenza di gruppi basati sull’anzianità lavorativa: - “... si teme che i nuovi arrivati portino via il lavoro (marocchino, trentaduenne, facchino)”; - “... si fanno i gruppi degli ultimi arrivati... come me (italiano, quarantaquattrenne, magazziniere)”; - “... alcuni che conosco poco... parlano solo fra di loro (italiana, ventottenne, non nata a Ferrara, addetta al ritiro e consegna merce)”; - “... i nuovi arrivati devono fare il lavoro che gli “anziani” non vogliono più fare (italiano, quarantasettenne, addetto all’imballaggio)”; - “... ci sono gli anziani che si aggregano e i fannulloni... (italiano, trentottenne, addetto agli impianti chimici e carrellista, con oltre tre anni di anzianità di lavoro nell’azienda)”. Si notano, inoltre, affermazioni che tendono a ridurre l’importanza dei gruppi sorti in ambito aziendale, attribuendo la loro nascita ad aspetti esteriori e/o ad affinità interpersonali, oppure negando la loro influenza nel contesto lavorativo: - “... si creano ‘gruppi’ in base alla simpatia e all’aspetto... per come ci si pone... (italiana, trentunenne, stiratrice)”; - “... ci sono gruppi, ma non sono divisi tanto... non ci sono problemi (ucraino, quarantacinquenne, manovale meccanico)”.
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Non mancano, infine, alcune sottolineature sui gruppi nati sulla base della valutazione dell’apporto lavorativo dei singoli, oppure per ragioni di convenienza e/o competizione lavorativa: - “... c’è competitività sul lavoro (italiana, sessantaquattrenne, assistente anziani)”; - “... ogni tanto succede, se c’è qualcuno che ‘fa troppo’ o ‘troppo poco”, di essere esclusi (italiana, trentaduenne, fisioterapista)”; - “... quelli che guidano [...] all’estero si sentono superiori (italiano, cinquantacinquenne, autista pullman)”; - “... ci sono gruppi di chi ha voglia di lavorare mentre gli altri che non hanno voglia vengono esclusi (italiano, quarantanovenne, facchino, da poco assunto nell’azienda)”; - “...diffidenza tra i gruppi, indipendentemente dal tipo di persona (italiano, trentasettenne, autista di camion, assunto da un paio d’anni nell’azienda)”; - “... [nascono]... a seconda della convenienza (ucraina, quarantenne, pulitrice di locali)”.
Gli aspetti discriminanti segnalati Alla domanda sulle eventuali disparità di trattamento hanno affermato “non noto differenze” 185 intervistati (92,5%); dei 14 intervistati che, invece, hanno dichiarato “ci sono differenze” 7 sono italiani e 7 sono stranieri. Pur con alcune differenze, si presentano in sintonia con tali risposte anche le dichiarazioni rilevate con la successiva domanda, relativa all’eventuale percezione di aspetti ingiusti nel trattamento lavorativo. Si rileva, infatti, che: - per 166 intervistati (83%) non esistono aspetti ingiusti; - per 15 intervistati la retribuzione è troppo bassa rispetto al lavoro svolto (7 stranieri e 8 italiani); - per 7 intervistati esistono discriminazioni (5 stranieri e 2 italiani); - per 3 intervistati (italiani) esistono discriminazioni dovute a simpatie personali dei superiori e/o dei titolari; - per 2 intervistati (italiani) le disparità sono legate all’attribuzione dei lavori più pesanti; - per 7 intervistati esistono aspetti discriminanti (2 stranieri e 5 italiani) legati a variegate situazioni lavorative. L’invito a descrivere più precisamente eventuali episodi di ingiustizia vissuti nel contesto lavorativo, rivela l’esistenza di situazioni discriminanti e/o di potenziale conflitto, spesso sottaciute dagli altri colleghi intervistati: - “... se chiedo cambi di turno non mi vengono concessi... le ferie in inverno
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non riusciamo a prenderle... devo svolgere dei lavori rischiosi... alla responsabile non piacciono gli extracomunitari e in generale non fa da portavoce dei nostri problemi alla direzione, quindi le difficoltà persistono... (egiziana, trentenne, pulitrice di locali)”; “... pur avendo più esperienza di altri non passo capoturno e mi dà fastidio il modo in cui il capoturno si rivolge a me... in modo arrogante... con gli italiani parla in modo pacato... Mi sono rivolto al caporeparto, ma fa finta di non vedere... (camerunense, trentaquattrenne, montatore meccanico)”; “... razzismo... come stipendio e come integrazione... adesso mi sento più integrato, ma lo stipendio è basso... (albanese, ventinovenne, manovale meccanico)”; “... un livello più basso del mio so che percepisce più stipendio (camerunense, ventottenne, montatore meccanico)”; “... mi sento trattato male, devo fare lavori che gli altri non vogliono fare... poi i colleghi vanno a dire che non ho fatto il lavoro... ma il titolare sa che io lo faccio... (tunisino, trentottenne, smerigliatore)”; “... problemi di razzismo con alcuni... (marocchino, trentaduenne, facchino)”; “... i colleghi più giovani mi giudicano male perché lavoro di più (italiano, cinquantaduenne, carrellista)”; “... rapporti poco corretti... (italiana, quarantunenne, cassiera)”; “... non hanno fiducia in me... discriminato perché ultimo arrivato (italiana, ventiseienne, addetta al ricevimento)”; “... razzismo all’inverso da parte degli stranieri (italiano, quarantacinquenne, smerigliatore)”; “... discriminato perché straniero... (marocchino, trentaduenne, montatore meccanico)”.
Se si leggono le varie dichiarazioni (comprese quelle riportate nei precedenti paragrafi) si evincono diverse modalità di discriminazione degli stranieri come: il mancato accoglimento di richieste legate a particolari problemi personali e/o familiari; il non riconoscimento di inquadramenti contrattuali più elevati; l’erogazione di una retribuzione più bassa rispetto ai colleghi di pari livello; l’assegnazione di compiti non graditi dagli altri colleghi di lavoro; ma anche, all’inverso, situazioni discriminatorie degli stranieri verso gli italiani, quando questi sono minoritari nel contesto lavorativo e si trovano a subire le “chiusure” in clan degli stranieri. Da alcune affermazioni, inoltre, emergono situazioni di esclusione/inclusione legate all’età e, soprattutto, all’anzianità lavorativa: il diverso atteggiamento verso il lavoro dei più anziani, rispetto ai lavoratori assunti di recente; l’adozione di atteggiamenti di sfiducia e di isolamento verso i nuovi arrivati da parte di chi ha più esperienza lavorativa.
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Le contrapposizioni, i dissidi e i conflitti Le difficoltà e le ingiustizie patite o, comunque, vissute come tali, possono sfociare in dissidi, contrapposizioni e conflitti; spesso però restano latenti, non si ha la forza o il coraggio di affrontare i problemi, si teme di perdere il posto di lavoro, di dover subire ulteriori vessazioni, di dover far fronte ad un innalzamento dei livelli di difficoltà e/o di scontro. Meglio tacere e subire finché è possibile, in un ottica di riduzione del danno. Alla domanda sugli eventuali conflitti affrontati in azienda, inoltre, si notano risposte che spostano l’attenzione su contrapposizioni di carattere collettivo, su vertenze da affrontare e/o affrontate con le rappresentanze sindacali. Le dichiarazioni degli intervistati, infatti, evidenziano che in 176 casi (88%) si nega l’esistenza di tensioni e/o di conflitti; i 24 intervistati che affermano d’aver affrontato situazioni conflittuali, indicano motivi inerenti a: “permessi e ferie” non sempre garantiti (3 casi), “scarsa retribuzione e/o tardiva retribuzione” (5 casi), “scarsa formazione” (2 casi), “altri motivi”, non raggruppabili (8 casi). Le descrizioni più dettagliate delle ragioni di potenziale conflitto riportano in evidenza alcuni aspetti costrittivi. Qualcuno, ad esempio, lamenta uno scarso coinvolgimento nelle scelte organizzative e/o di “marginalità” rispetto al contesto lavorativo: - “... non vengo ascoltato in merito all’organizzazione del lavoro (italiano, cinquantaduenne, carrellista)”; - “... le richieste di miglioramento non vengono accolte (ucraina, femmina)”, oppure “... non accolgono le proposte di miglioramento (egiziana, trentenne, pulitrice di locali)”. Altri segnalano incongruenze nelle scelte di gestione dei rapporti di lavoro, nelle caratteristiche fisiche del luogo di lavoro, nell’inadeguatezza degli strumenti di lavoro: - “... i materiali che ci venivano forniti... non erano adatti al tipo di lavoro... (italiano, quarantenne, capo reparto)”; - “... i motivi sono legati al modo di porsi con i dipendenti... mai un sorriso... (italiana, trentunenne, addetta alle presse da stiro)”; - “... sono entrato in un corso professionale a metà e pretendevano che sapessi come gli altri (italiano, ventiduenne, impiegato addetto alla segnaletica di cantiere)”; - “... per condizioni climatiche [molto difficili]... volevo un cambio ogni
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settimana e non ogni due (italiano, quarantanovenne, operaio chimico)”; - “... per ragioni economiche... ma sono intervenuti i sindacati, non è stata una mia azione personale (italiana, ventitreenne, cassiera)”; - “poco ricambio di aria e troppo caldo... (bosniaco, quarantenne, saldatore)”. Altri ancora sottolineano aspetti discriminanti e/o punitivi di cui sono o possono essere oggetto: - “... non posso avere conflitti altrimenti mi mandano a casa... (italiano, quarantaquattrenne, magazziniere)”; - “... talvolta, penso, mi diano i turni più faticosi (brasiliano, ventiquattrenne, cassiere)”; - “... non mi sento apprezzato dal capo... (pakistano, trentanovenne, saldatore)”; - “... dovevo pulire al sole... dopo un po’ non ce la facevo più... ho chiesto un cambio e ho avuto conflitti (italiano, trentottenne, conduttore di impianti chimici)”. Le dichiarazioni sui conflitti aziendali si ridimensionano ulteriormente se si considerano le indicazioni dei 24 casi di conflitto riscontrati inerenti: - la frequenza degli stessi, per la quale hanno risposto: “raramente” 9 intervistati, “talvolta” 8 intervistati, “spesso” 5 intervistati, 2 intervistati non hanno risposto; - i soggetti a cui si sono rivolti gli intervistati per ottenere aiuto e/o tutela che sono risultati: “ai superiori in azienda” in 10 casi, “a nessuno” in 4 casi; “ai sindacati” in 2 casi, mentre non rispondono in 8 casi.
Le esperienze critiche vissute con i colleghi di lavoro La domanda sugli eventuali momenti di criticità vissuti con i colleghi di lavoro, è stata utile a verificare l’attendibilità delle risposte emerse sui quesiti inerenti alle difficoltà, ai conflitti e alle discriminazioni che hanno caratterizzato e/o caratterizzano il rapporto di lavoro; essa, inoltre, ha consentito di raccogliere ulteriori descrizioni sui rapporti di lavoro. Il ventaglio degli aspetti di vita quotidiana nei luoghi di lavoro si è, infatti, ulteriormente allargato in quanto il 25,5% degli intervistati (51 casi) si è soffermato a raccontare, in modo più o meno preciso e dettagliato, aspetti problematici nelle relazioni tra colleghi. I principali episodi critici emersi riguadano: - per 25 intervistati, problemi di incomprensione (20 italiani e 5 stranieri); - per 17 intervistati, eventi discriminanti legati all’attività lavorativa (11 italiani e 6 stranieri);
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- per 7 intervistati, problemi di competizione e/o gelosie tra colleghi (6 italiani e 1 straniero); - per 2 intervistati (1%) non si evince alcuna risposta (2 italiani). Dai racconti più dettagliati è possibile comprendere meglio le caratteristiche degli episodi critici vissuti. Così, ad esempio, la presenza di pregiudizi legati alla provenienza degli stranieri è desumibile dalle seguenti espressioni: “... ci sono problemi con un tunisino che spesso non vuole lavorare... non ha voglia e ogni volta ha una malattia diversa... solo che così noi dobbiamo fare il suo lavoro... spesso gli extracomunitari fanno quello che vogliono perché non sono stati educati al lavoro (italiano, ventenne, conduttore di impianti chimici)”; - “... gli italiani hanno paura di perdere il lavoro e sono offensivi nei termini... mi paragonano ai marocchini (italo argentino, quarantaquattrenne, magazziniere)”; - “... con i ... capiturno ho avuto problemi per il loro modo arrogante di trattarmi e di parlarmi... (camerunense, trentaquattrenne, montatore meccanico)”; - “... in particolare ci sono problemi con un marocchino perché vuole fare il lavoro come vuole lui... poi ci sono problemi di integrazione e il titolare deve aiutarlo (italiano, quarantottenne, capo reparto)”; - “... mi davano la colpa se qualcosa andava male... le mie colleghe erano invidiose di me perché ero sempre al centro dell'attenzione (moldava, trentaduenne, allestitrice c/o supermercato)”; - “... qualche litigio con un tunisino per il suo carattere (albanese, trentacinquenne, aiuto cuoca)”; - “...con gli extracomunitari perché non lavorano con precisione e non si riesce a legare con loro (italiano, quarantacinquenne, smerigliatore)”; - “...ho fatto un lavoro che non è piaciuto ai colleghi (albanese, ventinovenne, manovale meccanico)”; - “...ho aiutato un collega e un altro ha sollevato critiche (tunisino, trentottenne, smerigliatore)”. Le situazioni di incomprensione e/o di difficoltà di relazione, invece, vengono così commentate: - “...c’era un caporeparto che sgridava tutti (marocchino, trentaduenne, facchino)”; - “...una diceva che avevo messo le cose da una parte e io dicevo che non era vero e che era lei ad averle messe da un’altra parte... solo questioni di carattere momentaneo... (italiana, ventottenne, addetta al controllo merce in entrata e in uscita)”;
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- “... all’inizio è successo con un collega... siamo stati mandati a fare un lavoro veloce, ma io ero inesperto e non parlavo bene l’italiano... lui si è innervosito ... poi... lui mi ha detto che non era nervoso con me ma per il lavoro (albanese, trentottenne, elettricista)”; - “... ho avuto divergenze con un ex collega che mi chiedeva tutti i giorni le sigarette (italiano, cinquantaduenne, muratore)”; - “... per problemi personali non pensavo al lavoro e ho avuto qualche problema (italiano, quarantaseienne, muratore)”; - “... si tende a scaricare le responsabilità su altri, scontri per differenti punti di vista (italiana, quarantaduenne, cassiera)”; - “...io ho la mia impostazione rispettosa delle regole, per cui devo sopportare la mancanza di disciplina negli altri... con i colleghi che ricoprono le posizioni più alte l’attrito sale... non parlo mai però alle spalle degli altri... se c'è qualcosa fuori posto non riesco a stare zitta... ci sono stati altri conflitti in cui non mi sono sentita tutelata... per i quali avrei voluto che il direttore [...] avesse preso una posizione netta, anche perché creavano disordine non solo a me... il problema è che non esiste coordinazione tra... [i diversi servizi] (italiana, quarantunenne, cassiera, allestitrice di supermercato)”; - “... alcune volte non mi capiscono e mi fraintendono... poi però mi chiarisco subito... (marocchino, ventiquattrenne, porta pizze a domicilio)”; - “... ci sono state discussioni, sempre chiarite e legate a incompatibilità di carattere (italiana, quarantaseienne, cameriera di sala)”; - “... è capitato qualche litigio per motivi di carattere (italiana, trentaseienne, barista)”, oppure “... un battibecco con un collega che poi si è risolto (italiano, quarantasettenne, pulitore di locali) o, ancora, “... a volte piccole incomprensioni (italiano, trentunenne, addetto al controllo qualità)”; - “... talvolta è capitata qualche situazione da chiarire con i colleghi... credo sia abbastanza normale nei luoghi di lavoro... (iraniano, trentunenne, pizzaiolo)”; - “... alcuni colleghi si sono picchiati (italiano, cinquantacinquenne, fonditore)”; - “... con un pakistano ho avuto un litigio, ma si è risolto (italiano, ventunenne, saldatore)”; - “... con un extracomunitario, per difficoltà di comunicazione, c’è stato un litigio... ma si è risolto (italiano, quarantaseienne, verniciatore di metalli)”; - “... ogni tanto ci sono conflitti tra colleghi... mi hanno offeso e mancato di rispetto per un fatto personale (italiano, trentottenne, conduttore di impianto chimico)”; - “... con una signora [connazionale] un po’ maleducata... volevo aiutare una sua amica che si era sentita male.. ma lei si è risentita offendendomi...
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ora la evito (italiana, trentaseienne, carrellista)”; - “... differenti punti di vista (italiano, trentaseienne, muratore)”, oppure “... questioni banali, facilmente risolvibili (italiana, cinquantatreenne, selezionatrice di ortofrutta)” o, ancora, “... con una collega ho litigato per ragioni personali e non lavorative (italiana, trentaduenne, cassiera)”. Non mancano, infine, gli accenni ai problemi di governo e controllo dei processi di lavoro: - “... persone che si assentavano e non venivano sostituite e, quindi, ci toccava fare più ore per sostituire chi mancava (italiano, trentaduenne, magazziniere)”; - “... c’è competizione professionale tra i due gruppi di italiani (italiano, trentaseienne, carrellista)”; - “... siccome il mio lavoro dipende da quello di... [un altro], se questo va a fare dei giri, io devo recuperare il tempo che perdo... (ucraina, quarantenne, pulitrice di locali)”; - “... quando ho preso lavori di altre mie colleghe e non erano in buono stato... infatti avevano ricevuto lamentele... (italiana, cinquantunenne, pulitrice di locali)”; - “... appena arrivato nell’azienda c’erano criteri di ripartizione del lavoro che, secondo me, non erano giusti... mancava forse la direzione... non era spesso presente [il titolare]... ora tutto si è risolto (italiano, cinquantaseienne, capo cantiere)”; - “... per l’orario distribuito in maniera non equa (italiana, ventisettenne, banconista di supermercato)”; - “... solo qualche gelosia tra colleghi [dovuta all’ineguale distribuzione delle giornate di lavoro]... (italiana, ventiseienne, selezionatrice ortofrutta)”, oppure “... qualche battibecco sull’organizzazione (italiana, venticinquenne, cassiera c/o supermercato)”; - “... un collega è andato in pausa senza avvisare (italiano, ventunenne, carpentiere/lamierista)”; - “... a causa di montaggi di carpenteria c’è stato un problema... ho discusso con chi ha effettuato l’operazione.. (italiano, trentottenne, addetto al controllo qualità)”. Se si analizzano le risposte sugli episodi critici legati ai rapporti tra colleghi di lavoro, emergono interessanti differenze di valutazione nel caso si tratti di situazioni che coinvolgono lavoratori di diversa nazionalità. Tra autoctoni si tende a parlare di “incompatibilità di carattere”, tra persone provenienti da paesi differenti (in particolare, tra italiani e stranieri), si è portati a generalizzare e ad attribuire le “criticità” a tutti i cittadini di una specifica
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nazione o, addirittura, a tutti quelli che non appartengono alla propria nazionalità.
L’uso di appellativi e di soprannomi nel luogo di lavoro Conoscere il modo con cui si viene chiamati nel luogo di lavoro, specie quando non si utilizzano per intero i nomi e i cognomi anagrafici, può fornire informazioni sulle relazioni tra i lavoratori: se si tende a mantenere un certo distacco, se si prediligono rapporti diretti, se si nutre rispetto reciproco, se si fa ricorso ad appellativi canzonatori di tipo giocoso o dispregiativo. Si può affermare che le relazioni variano in base ai soggetti coinvolti, per cui a volte è molto significativo cogliere le eccezioni, rispetto alle modalità correnti utilizzate per coinvolgere le persone. Nella stragrande maggioranza dei casi (circa il 90%), infatti, emerge che si utilizza il nome e il pronome “tu”, che apre ad un rapporto informale/confidenziale, quando ci si rivolge ad un collega; ma non mancano le eccezioni come l’utilizzo, in casi specifici, di diminutivi del nome e di appellativi di diversa intonazione, come si può notare dalle seguenti dichiarazioni di dettaglio: - “... a volte mi dicono ‘argentino di m.... come ai marocchini (italo argentino, quarantaquattrenne, magazziniere)”; - “... alcuni mi chiamano ‘capo’ (italiano, quarantaseienne, capo cantiere)”; - “... mi chiamano ‘nonno’ per la mia età (italiano, cinquantatreenne, saldatore)”; - “... alcuni fischiano per chiamarmi (camerunense, trentaquattrenne, montatore meccanico)”; - “...con l’abbreviazione del mio nome... perché è difficile (marocchino, trentatreenne, intonacatore)”; - “... con un nome italiano perché il mio nome è troppo difficile (rumena, quarantenne, pulitrice di locali)”; - “... mi chiamano ‘alba’... in modo dispregiativo (albanese, ventinovenne, elettricista)”; - “...mi hanno dato un nome italiano (marocchino, quarantaduenne, manovale edile)”, oppure “... mi chiamano con un nome italiano (moldavo, cinquantacinquenne, manovale edile)”; - “... per ridere, mi chiamano ‘l’uomo nero’ (marocchino, trentaduenne, montatore meccanico)”; - “... il collega straniero, per scherzare, lo chiamo ‘fatoum’... ma per scherzare (italiano, cinquantenne, muratore)”. Alla domanda su come l’intervistato chiama i suoi superiori si notano ri-
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sposte molto più variegate: - “sempre per nome” in 97 casi (48,5%) con un’evidente differenza tra italiani (42,4%) e stranieri (58,7%); - “del ‘Tu’, con rispetto” in 33 casi (16,5%), con una prevalenza tra gli italiani (18,4%) rispetto agli stranieri (13,3%); - “del ‘Lei’ in 32 casi (16%), con un’incidenza più elevata tra gli italiani (17,6%, dovuta soprattutto alla componente femminile che raggiunge il 31,4%), rispetto agli stranieri (13,3%); - “con alcuni del tu, con altri del lei reciproco” in 14 casi, con una prevalenza tra gli italiani (9,6%), rispetto agli stranieri (2,7%); - “con un appellativo legato al titolo di studio” in 10 casi (5%) o “capo”, in quanto superiore in linea gerarchica, in 3 casi (1,5%). Non mancano, però, anche per questa domanda risposte particolari che segnalano diversi orientamenti culturali ed educativi, ma anche un certo timore reverenziale da parte di alcuni stranieri: - “...la direttrice la chiamo ‘Signora Direttrice’ e la responsabile con il nome (rumena, trentunenne, assistente di base c/o casa di riposo)”; - “... solo con gli anziani uso il ‘Lei’ (tunisino, ventiseienne, carrellista)”; - “...all'inizio davo del "lei" poi sono stati loro a voler essere chiamati per nome (camerunense, trentaquattrenne, muratore)”; - “... i titolari richiedono il titolo, i responsabili il "tu" (italiana, quarantaquattrenne, capobanco selezionatrice ortofrutta)”; - “... lo chiamo ‘capo’ (termine usato da due maschi: un pakistano quarantasettenne, muratore e un nigeriano, ventunenne, fonditore)”; - “... dico ‘Signor...’ (tunisino, trentottenne, smerigliatore)”.
Gli scambi verbali, gli aiuti e i consigli tra colleghi Le relazioni verbali, finalizzate al mutuo aiuto e a far conoscere la propria personalità sono, indubbiamente, un altro indicatore importante delle relazioni che intercorrono tra colleghi di lavoro. Le risposte inducono a ritenere che è molto difficile diventare “amici”, in modo profondo e strutturato, nei luoghi di lavoro; ma è possibile diventare, almeno con alcuni, “buoni conoscenti”, fino al punto da riuscire a parlare dei propri problemi personali. Si sono rilevate, infatti, dichiarazioni così raggruppabili: - in 58 casi (29%) “non parlo dei miei problemi personali”, con un’incidenza che raggiunge il 32% tra gli stranieri (24 casi), contro il 27,2% tra
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gli italiani (34 casi) e che rivela una maggiore “riservatezza” nel caso della componente maschile (32%, contro il 24% tra le femmine); - in 139 casi (69,5%) “parlo dei miei problemi personali” e, in particolare, con: “tutti i colleghi” in 82 casi (41%), con una netta prevalenza tra gli stranieri (50,7%) rispetto agli italiani (35,2%); “alcuni colleghi più vicini” in 24 casi (12%), ma con una netta prevalenza tra gli italiani (15,2%) rispetto agli stranieri (6,7%); “alcuni colleghi più anziani” in 19 casi (9,5%), con una netta preponderanza tra gli italiani (12,8%), rispetto agli stranieri (4%); “alcuni colleghi più giovani” in 8 casi, con un’incidenza similare tra italiani e stranieri; “alcuni colleghi connazionali” in 6 casi, con una prevalenza tra gli italiani, rispetto agli stranieri; - in 3 casi “non sa/non risponde”. Alcune dichiarazioni di dettaglio aiutano a comprendere quali sono le caratteristiche delle relazioni verbali. Ad esempio, si notano: situazioni di aiuto e di comprensione circoscritte e limitate: - “... parlo con le colleghe che sono anche amiche (rumena, trentunenne, assistente di base c/o casa protetta)”; - “... ho avuto comprensione in un momento particolare e ciò mi ha aiutata (italiana, trentaduenne, fisioterapista)”; - “... solo con gli ultimi arrivati (italiano, nato all’estero, quarantaquattrenne, magazziniere)”; - “... solo con una mia amica che frequento anche fuori dal lavoro (italiana, cinquantasettenne, barista)”; - “... parlo solo con due colleghi (marocchino, trentaduenne, montatore meccanico)”; - “... pochissime persone (albanese, ventinovenne, elettricista)”; - “... solo con alcuni (cinese, quarantaduenne, selezionatrice ortofrutta; italiano, quarantunenne, carpentiere metallico, capo reparto; pakistano, quarantaquattrenne, facchino)”; in altre situazioni si registrano atteggiamenti di rifiuto del dialogo o prudenziali: - “... cerco di essere prudente... con le persone non si sa mai come va a finire (italiana, cinquantaseienne, assistente di base)”; - “... no, non mi interessa avere rapporti coi colleghi... solo arrivare alla pensione (italiano, cinquantacinquenne, autista pullman)”; - “... parlavo ai colleghi dei miei problemi personali in passato, ma ora non lo faccio più (italiana, trentanovenne, cameriera di sala)”.
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I temi di confronto e di discussione con i colleghi Una domanda sugli argomenti oggetto di discussione nei momenti di pausa e/o di tempo libero dal lavoro era finalizzata sia a verificare la congruenza delle risposte precedenti sulle caratteristiche delle relazioni tra colleghi, sia a valutare i livelli di scambio verbale intrattenuti e la portata del loro coinvolgimento interpersonale. Le risposte sono risultate alquanto congruenti con quelle delle precedenti domande sul tema delle relazioni tra colleghi, anche se emergono importanti differenze di genere e per paese di origine. Le più significative sono state: - si parla soprattutto di “sport” per 53 maschi su 125 (42,4%), contro 5 donne su 75 (6,7%); - si parla di “lavoro” per 16 stranieri su 75 (21,3%), contro 17 italiani su 125 (13,6%); - si parla di “famiglia e di rapporti personali” per 22 donne su 75 (29,3%), contro 7 uomini su 125 (5,6%). Nonostante la presenza di stranieri nella propria azienda, l’interesse verso i loro costumi e le loro tradizioni appare del tutto assente tra gli italiani; d’altra parte solo un paio di stranieri lo pongono come uno degli argomenti in discussione. Alcuni, inoltre, confermano il loro orientamento a non confondere lavoro e amicizie ed affermano di parlare “... di tutto, meno che di cose personali (italiano, quarantaquattrenne, facchino; italiana, trentanovenne, cameriera di sala)”; oppure dichiarano: “... ci lamentiamo del lavoro (italiana, trentunenne, stiratrice)”; o, ancora, di non trovare riscontro al proprio desiderio di uscire dalla superficialità delle discussioni: “... vorrei parlare anche di politica e di attualità, ma non trovo riscontro nelle colleghe (italiana, cinquantaduenne, pulitrice di locali)”. C’è anche chi delinea un personale isolamento più o meno volontario: “... non parlo mai durante le pause (pakistano, quarantasettenne, muratore)”; mentre in diversi ci tengono a sottolineare l’orientamento a non parlare di lavoro: “... di tutto, meno che del lavoro (italiano, trentacinquenne, cuoco e italiana, quarantatreenne, selezionatrice ortofrutta)”. Piuttosto ricorrenti, infine, sono le affermazioni che attestano orientamenti un po’ canzonatori e goliardici, finalizzati, forse, ad alleggerire la “pressione” lavorativa: “... parliamo... di attualità e scherziamo (italiana, quarantottenne, capobanco selezionatrice ortofrutta)”; facciamo “... battute (italiano, trentottenne, manovale edile)”; oppure “... facciamo gli scherzi (rumeno, trentottenne, elettricista)” o, ancora, “... ci raccontiamo barzellette (italiano,
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quarantaduenne, saldatore)”. Alla domanda tesa ad individuare chi sono i colleghi con cui si parla di solito durante le pause e i momenti liberi dal lavoro, si nota una generale “esaltazione” della propria disponibilità (non si vuol passare per persone “chiuse” e “musone”), in quanto in 158 casi (79%) si registra l’affermazione “parlo con tutti”, in parte contraddetta dalle precedenti risposte incentrate sulle caratteristiche delle relazioni intrattenute con i colleghi. Trovano conferma, comunque, alcuni aspetti problematici, in quanto si afferma di: - parlare solo con i propri connazionali in 7 casi, di cui 5 stranieri e 2 italiani; - di non avere alcun interesse a parlare con i colleghi in 4 casi, di cui 3 italiani e 1 straniero; - di parlare soprattutto con i colleghi più giovani in 4 casi, tutti stranieri; - di parlare solo con una/un collega in 4 casi, di cui 2 italiani e 2 stranieri; - di parlare soprattutto con i colleghi più anziani in 2 casi, entrambi italiani. Se si analizzano le risposte di dettaglio, emergono alcune relazioni particolari, quasi esclusive, tra italiani e stranieri, come se l’incontro nel luogo di lavoro avesse attivato atteggiamenti protettivi: “... [parlo] solo con un italiano (egiziana, trentenne, pulitrice di locali)”; oppure: “... [parlo soprattutto] con una ragazza marocchina (italiana, trentenne, pulitrice di locali)”; riemergono, inoltre, difficoltà legate alla lingua e all’interazione con stranieri di altra nazionalità: “... se parlo... lo faccio solo con gli italiani che capiscono meglio la lingua (pakistano, quarantasettenne, muratore)”; ma anche alcune preclusioni di genere: “... [parlo più volentieri con] figure maschili. Mi trovo meglio a parlare con gli uomini piuttosto che con le donne (italiana, cinquantatreenne, selezionatrice ortofrutta)”. Risultano assenti gli orientamenti volti alla “reciproca conoscenza” e pare sopita persino la “curiosità” verso l’altro; soprattutto verso lo straniero sembra assente la voglia di conoscere le ragioni della migrazione, di conoscere come egli valuta la vita quotidiana in Italia.
Le relazioni nel dopolavoro Le relazioni che maturano nel contesto lavorativo (per quanto limitate e circoscritte come appare dalle risposte ottenute in precedenza) possono favorire momenti di aggregazione anche nel contesto sociale. Soprattutto per gli stranieri esse rappresentano una possibilità di allargamento delle conoscenze e delle amicizie, al di là dei rapporti familiari e/o parentali, coinvolgendo autoctoni e/o altri stranieri di diversa nazionalità.
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Si tratta, quindi, di un aspetto particolarmente importante da indagare, che può fornire indicazioni sui processi d’insediamento sociale dei migranti (italiani, nel caso delle migrazioni interne e stranieri, nel caso delle migrazioni dall’estero) e sulle relazioni di influenza reciproca nel passaggio dalle situazioni di lavoro alle situazioni extralavorative, indipendentemente dal paese di provenienza. Alla domanda se si frequentano i propri colleghi al di fuori dell’orario di lavoro, in 62 casi (31%) si afferma di non frequentare nessuno, soprattutto perché non si vuole mischiare lavoro e amicizia in 61 casi (30,5%); nei 136 casi (68%) in cui si dichiara di frequentarli, le modalità appaiono alquanto differenziate e si possono così raggruppare: in 63 casi (31,5%), con sporadici incontri con alcuni colleghi, indipendentemente alla provenienza; in 25 casi (12,5%), con frequenti incontri con alcuni colleghi, indipendentemente dalla provenienza; in 25 casi (12,5%), con sporadici incontri con alcuni colleghi connazionali; in 18 casi (9%), con frequenti incontri con alcuni colleghi connazionali; in 4 casi, con frequenti feste e incontri con i colleghi; in 1 caso, con incontri solo tra giovani; in 2 casi non si hanno risposte. Gli orientamenti di maggior chiusura verso frequentazioni extralavorative sembrano emergere tra gli stranieri (Grafici 34 e 35), considerato che 28 di essi su 75 (37,3%) affermano di non voler mischiare lavoro e amicizia, contro 33 italiani su 125 (26,4%); ma tra gli stranieri che non dichiarano preclusioni, anche sul versante della provenienza dei colleghi, emerge che: - in 26 casi (34,7%) si dichiarano incontri sporadici con alcuni colleghi, contro 37 casi tra gli italiani (29,6%); - in 12 casi (16%) si dichiarano incontri frequenti con alcuni colleghi, contro 13 casi tra gli italiani (10,4%). Si tratta di affermazioni che fanno emergere, tra gli stranieri, due modalità relazionali: una parte di essi (poco più di un terzo) sembra orientata a “chiudersi”, mentre un’altra parte più consistente, sembra orientata ad “aprirsi” al dialogo e al confronto, anche se con prudenza e circospezione. Tra gli italiani, invece, è un po’ più diffuso l’orientamento a frequentare solo connazionali, in quanto: - in 23 casi (18,4%) si afferma di incontrarsi sporadicamente solo con colleghi connazionali, contro 2 casi tra gli stranieri; - in 14 casi (11,2%) si afferma di incontrarsi con frequenza solo con colleghi connazionali, contro 4 casi tra gli stranieri.
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ITALIANI INTERVISTATI incontri tra colleghi extralavorativi frequenti incontri 14 (11,2%) con connazionali 23 (18,4%) sporadici incontri con connazionali
16 (12,8%) frequenti incontri senza distinzione 37 (29,6%) sporadici incontri senza distinzione
1 (0,8%) solo con i colleghi più giovani 1 (0,8%) non rispondono 33 (26,4%) non frequenta nessuno
STRANIERI INTERVISTATI incontri tra colleghi extralavorativi frequenti incontri 4 (5,3%) con connazionali 2 (2,7%) sporadici incontri con connazionali
1 (1,3%) non rispondono
13 (17,3%) frequenti incontri senza distinzione
Grafici 34 e 35 Gli incontri extralavorativi con i colleghi di lavoro da parte degli intervistati (italiani e stranieri)
29 (38,7%) non frequento nessuno
26 (34,7%) sporadici incontri senza distinzione
Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione.
Se si distingue in base alle componenti di genere, non emergono differenze sostanziali; sono comunque le donne a dichiarare maggiori frequentazioni extralavorative (il 70,7%, contro il 66,4% dei maschi), con una particolare prevalenza nel caso dell’intensità delle frequentazioni, in quanto esse affermano di avere: - frequenti incontri con alcuni colleghi, indipendentemente dalla provenienza, in 11 casi (14,7%), contro 14 casi rilevati tra i maschi (11,2%); - frequenti incontri solo con alcuni colleghi connazionali in 10 casi (13,3%), contro 8 casi rilevati tra i maschi (6,4%). Tra le motivazioni addotte sulla frequentazione o meno dei colleghi al di fuori dell’orario di lavoro, spiccano, nel caso delle donne (sia italiane che straniere), la mancanza di tempo legata alla necessità di gestire al meglio la vita familiare, mentre i maschi non si dilungano in spiegazioni particolari. Solo un paio di stranieri affermano: - “... ho invitato qualche volta i miei colleghi italiani a casa... (rumeno, trentacinquenne, autista camion)”; - “... solo... quando ci sono cantieri fuori città... (marocchino, trentanovenne, coibentatore)”. Un ulteriore approfondimento delle opportunità di “socialità”, connesse ai rapporti intrattenuti in ambito lavorativo, è rappresentato dalla domanda se si sono conosciute nuove persone da frequentare fuori orario di lavoro grazie alla mediazione dei colleghi di lavoro. Le risposte hanno evidenziato che: - in 137 casi (68,5%) non si sono fatte nuove conoscenze grazie ai colleghi di lavoro, con una notevole differenziazione tra italiani (74,4%) e stranieri (58,7%); - in 61 casi (30,5%) si sono fatte nuove conoscenze, con significative differenze per paese di provenienza, in quanto in 46 casi (23%) si dichiara “tutti mi hanno aiutato”, con gli stranieri che con 23 casi raggiungono il
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30,7%, contro 23 italiani che però rappresentano solo il 18,4% dei connazionali intervistati. Un numero esiguo di intervistati si è espresso in modo più dettagliato sulle nuove conoscenze acquisite e/o acquisibili tramite i colleghi. Alcune dichiarazioni, ad esempio, hanno circoscritto la portata delle nuove conoscenze, affermando: - “... sì, ho conosciuto colleghi di lavoro di altre categorie (italiana, trentaduenne, fisioterapista)”; - “... con persone della mia età (pakistano, quarantaquattrenne, facchino)”; - “...solo con gli ultimi arrivati (italiano, quarantaquattrenne, magazziniere)”; - “... capita che si organizzano cene nelle quali conosco amici e familiari delle mie colleghe (nigeriana, trentatreenne, pulitrice di locali)”; - “... il collega tunisino con cui esco al bar il fine settimana ha conosciuto i miei amici e parenti... mentre io nessuno (albanese, quarantaduenne, muratore)”; - “... ho conosciuto le fidanzate dei miei colleghi e anche i loro amici (rumeno, trentaseienne, muratore)”; - “... sì, grazie a colleghi italiani (albanese, trentottenne, elettricista)”; - “... sì, mi hanno aiutato a trovare nuove amicizie e conoscenze... uscivo con un ex collega giordano che mi ha presentato i suoi amici italiani e stranieri... tuttora ci frequentiamo (marocchino, ventiquattrenne, porta pizze a domicilio)”; - “... alcuni colleghi mi hanno presentato altre persone... ma non ci esco (italiano, trentaseienne, muratore)”; - “...sì, talvolta è capitato...una volta sono uscita assieme a una mia collega, sua sorella e all’amica della sorella (italiana, quarantenne, cassiera)”. Altre intervistati hanno negato la possibilità di pervenire a nuove conoscenze grazie ai colleghi di lavoro, dichiarando: - “... non sono interessata... sto con la mia famiglia (cinese, trentatreenne, cucitrice)”; - “... non ho bisogno (italiana, quarantasettenne, selezionatrice ortofrutta)”; - “... il lavoro mi porta a conoscere nuove persone... non però da frequentare (italiana, trentottenne, impiegata)”. Dopo aver sondato le relazioni intrattenute tra colleghi nel dopo lavoro e le caratteristiche verbali tra colleghi, la domanda sugli eventuali momenti di svago comune (oltre che verificare la congruenza delle risposte ai precedenti quesiti) era mirata a sapere se, e in quale misura, i rapporti di lavoro avevano contribuito a far nascere anche rapporti di amicizia nel più ampio contesto sociale. Rispetto ai 200 intervistati, 144 lavoratori (pari al 72%) hanno dichiarato di non aver mai avuto momenti di svago comune con i propri colleghi di la-
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voro, 2 lavoratori non hanno risposto, mentre 54 lavoratori (pari al 27%) hanno affermato l’esistenza di rapporti extralavorativi alquanto differenziati. Tali rapporti, infatti, erano ritenuti: - “sporadici” in 27 casi (13,5%); - circoscritti ad “alcuni colleghi connazionali” in 15 casi (7,5%), di cui 12 italiani e 3 stranieri; - “frequenti e con tutti i colleghi” in 10 casi (5%), di cui 5 italiani e 5 stranieri; - limitati ad “alcuni colleghi più giovani” in 2 casi, esclusivamente stranieri. La condizione lavorativa, vissuta in comune quasi quotidianamente, non rappresenta, nella stragrande maggioranza dei casi, un incentivo alla frequentazione extralavorativa, così come non è apparsa utile all’instaurazione di rapporti d’amicizia e/o confidenziali. Gli intervistati sembrano maggiormente orientati a tenere separata la vita lavorativa dalla vita extralavorativa, privilegiando probabilmente i rapporti familiari e amicali nati prima dell’ingresso nel mondo del lavoro ed è da questi che si aspettano l’eventuale possibilità d’allargare il campo delle frequentazioni. Le risposte di dettaglio aiutano a comprendere l’esiguità delle frequentazioni e delle relazioni con i colleghi al di fuori dell’orario di lavoro: - “... una volta all’anno, a Natale si mangia tutti assieme (serbo, trentanovenne, autista camion)”; - “... vengo invitata alla cena che organizza il reparto in cui lavoro (italiana, cinquantaduenne, pulitrice di locali)”; - “... qualche volta festeggiamo il compleanno di un collega di lavoro (albanese, trentottenne, elettricista)”; - “... al mare assieme a qualche collega indipendentemente dalla nazionalità (italiana, trentasettenne, impiegata)”; - “... un collega è venuto in Bosnia con me in vacanza (bosniaco, quarantenne, saldatore)”. La disponibilità alle frequentazioni extralavorative nel campione indagato risulta in relazione inversa con l’età anagrafica e, contro intuitivamente, non si presenta legata agli impegni familiari: sono, infatti, i coniugati a manifestare una maggiore propensione verso attività di svago fuori dell’orario di lavoro con i colleghi (il 31,8%, contro il 21,9% dei celibi/nubili). Per quanto concerne il genere, si manifestano un po’ “più aperte” allo svago extralavorativo con i colleghi di lavoro le donne (30,7% delle intervistate, contro il 24,8% degli intervistati) e, in particolare, le donne di origine italiana (33,3% delle intervistate).
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Approfondimenti settoriali
Approfondimenti settoriali
Scheda sintetica delle interviste realizzate per settore e per nazionalità degli intervistati Fonte: elaborazione delle informazioni raccolte nel corso dell’indagine a cura dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione.
Settori/ Nazione Albania Bosnia Brasile Camerun Cina Egitto Filippine Iran Italia Marocco Moldavia Nigeria Pakistan Polonia Romania Senegal Serbia/Mont. Tunisia Ucraina TOTALE
L’analisi delle situazioni di lavoro per settore
Le condizioni di lavoro in “Agricoltura e nel Commercio Ortofrutta”
Nell’intento di cogliere in modo più adeguato le caratteristiche delle relazioni tra i diversi lavoratori, tenuto conto dei condizionamenti che possono scaturire dalla variabilità dei processi di lavoro nei vari settori, si sono realizzati alcuni approfondimenti settoriali.
Nel settore emergono due ambiti di inserimento lavorativo. Il primo, legato ai vari lavori agricoli svolti, di solito, in pieno campo, si caratterizza per attività di raccolta della frutta (nello specifico mele) e attività di potatura. Queste attività risultano fortemente condizionate dalle situazioni climatiche e atmosferiche che contraddistinguono i mesi di novembre e dicembre, mesi in cui si sono svolte le interviste. Gli intervistati, infatti, sottolineano aspetti quali la bassa temperatura, il terreno gelato, l’inizio e il termine della giornata di lavoro dettato dalla durata della luce solare (si inizia dopo le 9,00 e si termina entro le 16,30).
Gli approfondimenti sono supportati, oltre che dalle interviste semi-strutturate effettuate ai duecento lavoratori sin qui analizzate, anche dalle interviste non strutturate che hanno coinvolto una decina di responsabili aziendali e/o titolari d’impresa. Considerato il numero di interviste realizzate per ogni contesto lavorativo e per nazionalità, si è ritenuto opportuno circoscrivere l’approfondimento ai seguenti cinque settori: “Agricolo/ Ortofrutticolo”, “Autotrasporti, Logistica, Facchinaggio”, “Costruzioni”, “Metalmeccanico” e “Pubblici Esercizi”. Gli aspetti ritenuti comuni a tutte le interviste sono stati poi riassunti nelle considerazioni conclusive della presente indagine.
AutotraChimica CommerAgricolo sporti Costru- Imprese OrtofrutPlastica cio e Logistica zioni di Pulizia ticolo Gomma Terziario Facchin. 1 5 1 1 1 1 12 15 5 9 24 6 2 1 4 1 3 1 2 1 1 1 2 1 4 3 1 1 1 1 1 1 19 25 7 12 41 10
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Approfondimenti settoriali
Metalmeccanico 1 1 1 27 4 1 1 1 2 1 1 1 42
Tessile Servizi Pubblici Abbigl. Assist. TOTALE Esercizi CalzaSanitari ture 2 9 1 1 1 2 3 5 1 1 1 2 2 18 4 5 125 1 12 1 6 2 4 1 2 1 16 1 1 3 3 7 30 6 8 200
Nel caso della “raccolta frutta”, gli intervistati affermano che le abilità e le capacità richieste sono facilmente acquisibili: è sufficiente qualche giorno di esperienza, si apprende sul campo, imitando e seguendo le indicazioni dei colleghi più esperti. Nel caso della “potatura”, invece, gli intervistati ritengono necessarie abilità e capacità più complesse che possono essere apprese sia con specifici corsi di formazione, sia con un adeguato periodo di “affiancamento” a colleghi esperti: la preparazione teorica e l’esperienza diretta sotto la guida di un esperto sono requisiti fondamentali per non commettere errori e per non compromettere la crescita e la produzione frutticola delle piante. In entrambi i casi si tratta di lavoro classificato, dalla normativa in vigore, come “stagionale”, in quanto si alternano periodi ad elevato impegno lavorativo con periodi di fermata, totale o parziale, dell’attività in relazione al ciclo produttivo delle piante. Il secondo ambito di inserimento lavorativo riguarda l’attività di preparazione alla vendita dei prodotti ortofrutticoli. Le persone intervistate in questo ambito svolgono lavori di “cernita” e di “movimentazione/trasporto” dei prodotti ortofrutticoli. La cernita avviene tramite l’utilizzo di macchine selezionatrici, programmate per il lavaggio e la suddivisione del prodotto per pezzatura. Ai lavoratori, in gran parte donne, contrattualmente denominate “cernitrici”, viene richiesto soprattutto di tenere sotto controllo il funzionamento delle macchine, di asportare dai nastri a scorrimento i prodotti non commerciabili e di imballare, in vario modo, quelli destinati alle strutture di vendita. Ai lavoratori coinvolti nelle attività di movimentazione/trasporto sono assegnati i compiti di carico e scarico dei prodotti dai mezzi di trasporto, di supporto alla fase di cernita (alimentando le macchine selezionatrici e recuperando i prodotti lavorati e imballati) e di stivaggio/prelevamento dalle celle frigorifere dei prodotti. Questi compiti richiedono soprattutto capacità e abilità di uti-
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lizzo dei carrelli elevatori, per cui contrattualmente gli operatori vengono denominati “carrellisti”. Per lo svolgimento di queste attività le imprese richiedono, anche per ragioni di sicurezza, il possesso di una specifica abilitazione (patentino) e/o anni di documentata esperienza nell’uso del carrello. L’orario di lavoro è fortemente condizionato dall’andamento delle fasi di raccolta nei campi dei prodotti e dalla variabilità delle richieste dei mercati di vendita. Si notano, anche in questo caso, periodi ad alta intensità lavorativa (a volte si ricorre a turni di lavoro notturni e/o si lavora nei giorni festivi), alternati a periodi di scarsa e/o nulla attività, tipica del lavoro denominato “stagionale”. I lavoratori intervistati nel settore sono stati 19, di cui 12 italiani e 7 stranieri (5 di questi provenienti da paesi dell’Europa dell’Est neo-comunitaria). Tra gli italiani, 10 risultano nati in provincia di Ferrara, per cui la presenza di italiani provenienti da altre province (16,7%) è inferiore alla media del campione intervistato, mentre si presenta maggiore il ricorso a forza lavoro non italiana. La “stagionalità” delle lavorazioni comporta una consistente richiesta di personale nei momenti di elevata occupazione in tutta Italia, per cui il fabbisogno di lavoratori non può essere soddisfatto unicamente con manodopera autoctona e/o extraprovinciale, ma con crescenti flussi migratori dall’estero. Flussi che possono risultare economicamente meno onerosi, soprattutto se non si rispettano gli obblighi contributivi e le tariffe contrattuali. L’anzianità di lavoro dichiarata nella stessa U.L. appare molto alta, nonostante la “stagionalità” dell’offerta di lavoro e si lega, probabilmente, alla periodica riassunzione delle medesime persone da parte delle aziende per evitare ricorrenti azioni di preparazione/adattamento del personale necessario (7 vi lavorano da oltre 6 anni, 7 da più di 3 anni, 2 da più di un anno, 3 da meno di 1 anno). Le persone straniere intervistate hanno un’età media di 34,6 anni, mentre le persone italiane intervistate raggiungono un’età media di 40,8 anni. La consistente presenza di lavoratori stranieri nel settore, più giovani degli italiani, è un indizio plausibile di un processo di “sostituzione”, magari solo parziale, dei lavoratori autoctoni con lavoratori stranieri. Questa tendenza appare confermata anche dall’elevata anzianità di lavoro nella medesima U.L. dichiarata dagli stranieri intervistati (delle 7 persone straniere intervistate: 3 vi lavorano da 6 anni e oltre, 3 da 3 a 6 anni, 1 da più di un anno). I livelli di “insoddisfazione” verso il lavoro svolto sono leggermente più elevati della media dell’intero campione (pari al 33,5% dei 200 intervistati), in quanto non sono soddisfatti: 7 intervistati su 19 (36,8%), di cui 4 italiani e 3 stranieri.
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Nel caso degli italiani le ragioni di “insoddisfazione” si legano soprattutto alla “stagionalità” del lavoro svolto, all’instabilità del reddito con esso ricavato e alla difficoltà di conciliare gli orari di lavoro con le relazioni familiari e sociali. Per gli stranieri, le ragioni di “insoddisfazione” si legano all’incongruenza tra lavoro svolto ed elevati livelli di studio, all’eccessiva variabilità del reddito percepito rispetto ai fabbisogni personali e familiari, all’instabilità/precarietà della situazione lavorativa, tipica dei lavori stagionali. Anche tra coloro (italiani e stranieri) che si dicono “soddisfatti”, emergono dichiarazioni di “rassegnato adattamento”, che tiene conto delle difficoltà a reperire sul mercato del lavoro ferrarese un’occupazione adeguata alle proprie aspettative e agli studi svolti. Rispetto ai 19 lavoratori del settore intervistati, solo 7 conoscono la denominazione del CCNL loro applicato (però 2 non sanno poi indicare il proprio livello di inquadramento). I restanti 12 intervistati non la conoscono, pur sapendo in gran parte il livello d’inquadramento (probabilmente perché citato sulla propria busta paga). Le retribuzioni percepite nell’ultimo mese confermano l’incidenza della discontinuità lavorativa tipica del settore, oltre che alcune differenze di inquadramento. Infatti, 2 intervistati dichiarano: meno di 801 euro; 9 tra 801e 1000 euro; 7 tra 1001 e 1.300 euro e, solo in un caso, più di oltre 1.300 euro. Tutti i lavoratori coinvolti risultano assunti con contratto stagionale a tempo pieno, con una durata dell’orario di lavoro giornaliero legata alle diverse variabili prima descritte. Nessuno degli intervistati, inoltre, dichiara di essere impegnato in attività di lavoro presso altre U.L., probabilmente per l’imprevedibilità delle “chiamate” giornaliere al lavoro che ostacolano eventuali inserimenti lavorativi temporanei in altre imprese (quando il datore di lavoro “chiama” al lavoro bisogna presentarsi con puntualità, pena l’esclusione dalla lista dei lavoratori disponibili su cui l’impresa fa affidamento nei momenti di bisogno). Solo 3 lavoratori dichiarano di vivere “condizioni di lavoro problematiche” per gli orari che spesso contrastano con le esigenze familiari, per il freddo che si patisce sul luogo di lavoro e per la fatica. Un lavoratore dell’Europa dell’Est, indirettamente, segnala una situazione latente di attrito con i colleghi di lavoro italiani, affermando: “ all’inizio ho fatto molta fatica fisica, il lavoro era pesante, si lavorava tanto... Con gli italiani non mi sono mai trovato in condizioni di disagio rispetto agli altri... probabilmente è per questo che sono rimasto, ancora non avevo la famiglia che mi trattenesse... Poi quando ho compiuto 18 anni ci tenevo a fare espe-
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rienza all’estero. L’orario e’ distribuito su 8/10 ore, talvolta anche il sabato, ma non e’ un problema... Quello che crea un po’ di disagio, come in tutte le grandi aziende, è l’organizzazione...” Lo stesso intervistato dichiara che, non ci sono problemi di natura contrattuale, ma anche che “... svolgo spesso i lavori più gravosi... “. Un altro lavoratore dell’Europa dell’Est, analogamente, dopo aver affermato che sta imparando un lavoro che gli piace, segnala di essere costretto a svolgere attività diverse e più faticose rispetto a quelle per cui era stato assunto. Ottenere permessi per assentarsi dal lavoro, anche per periodi di lunga durata, non presenta alcuna difficoltà: tutti gli intervistati affermano che è facile ottenerli e che cercano di programmarli, preavvisando i responsabili aziendali e/o i propri superiori diretti. Molto più articolate, invece, sono le risposte circa la retribuzione dei permessi richiesti; risposte che, comunque, confermano la non conoscenza dei propri diritti contrattuali, se si considera che: 7 ritengono che non vengano pagati; 4 che siano pagati e che 8 non lo sanno. La stragrande maggioranza degli intervistati (14 su 19) ha intrattenuto rapporti di lavoro con altre imprese, ma nessuno di essi ritiene di aver “cambiato spesso” datore di lavoro. Alla domanda se i compiti svolti personalmente siano uguali a quelli svolti dai colleghi, solo 4 rispondono negativamente, motivando peraltro le differenze con il possesso personale di abilità e capacità diverse e spesso superiori agli altri dipendenti. In merito alla possibilità che vengano assegnati compiti di “fiducia”, 17 ritengono di riscuotere la fiducia del proprio superiore, 1 di essi aggira la domanda rispondendo: “ ...tutti svolgono gli stessi compiti...” (confermando l’atteggiamento di “diffidenza” riscontrato dalla intervistatrice all’inizio dell’intervista) e un altro attribuisce la mancanza di fiducia al fatto di “... essere l’ultimo arrivato...” (è inserito nell’attuale U.L. da poco più di 3 mesi). Alla domanda sulle eventuali difficoltà incontrate sul lavoro, si sono registrate le seguenti risposte: - per 8 lavoratori, 4 italiani e 4 stranieri, “nessuna difficoltà”; - per 11 lavoratori, 8 italiani e 3 stranieri, le difficoltà sono in gran parte legate a carenze di conoscenze e di abilità personali e, quindi, di formazione. Solo una giovane italiana ha imputato le difficoltà alla scarsa collaborazione fra colleghi, sottolineando che erano presenti situazioni di “... incomprensione con i colleghi stranieri perché sono un po’ scorbutici...”, mentre un giovane diplomato dell’Europa dell’Est ha attribuito le
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difficoltà all’inadeguatezza dei mezzi e dei macchinari a sua disposizione. L’aiuto ad affrontare le difficoltà incontrate, solo in due casi (entrambi italiani) è stato fornito dai colleghi, mentre 9 intervistati hanno avuto l’ausilio del proprio superiore e/o del proprio datore di lavoro. Tutti i 19 intervistati sanno che esiste un controllo sul lavoro svolto da parte di altri lavoratori appositamente abilitati/autorizzati o gerarchicamente superiori. La distribuzione dei compiti è svolta, analogamente al controllo, dai diretti superiori, dai responsabili di produzione o direttamente dai titolari. I criteri che ispirano tale distribuzione, secondo gli intervistati, sono: - una rigida separazione dei compiti, per 10 persone (7 italiani e 3 stranieri), in gran parte donne addette alla cernita dei prodotti ortofrutticoli; - una rigida separazione dei compiti, accompagnata da una rotazione per squadre negli stessi, per 1 persona (straniera), addetta alla cernita dei prodotti ortofrutticoli; - le abilità e delle capacità dei soggetti, per 4 persone (due italiani e due stranieri), soprattutto addetti alla conduzione di carrelli elevatori; - il contesto organizzato, per cui non c’è necessità di ripartire i compiti, in quanto tutti fanno lo stesso lavoro, per 2 persone (italiane), addette alla cernita dei prodotti ortofrutticoli; - le esigenze di produzione, per 1 soggetto (italiano), impiegato amministrativo; - senza alcuna discriminazione, per 1 soggetto (straniero), addetta alla cernita dei prodotti ortofrutticoli. Si tratta di risposte eterogenee che sembrano collegate alla diversità dei compiti svolti nell’U.L. Tale diversità, infatti, consente ai soggetti coinvolti una diversa “visione” ed ”interpretazione” del contesto organizzato, oltre che differenti livelli di responsabilità e/o di discrezionalità nell’ambito del processo di produzione aziendale. Questo aspetto è molto rilevante e consente di comprendere le ragioni per cui gli intervistati, con una sola eccezione, affermano di essere trattati in modo analogo ai propri colleghi, negano o minimizzano l’esistenza di tensioni e/o conflitti e non prendono in considerazione altre variabili che sottostanno alle scelte di distribuzione dei compiti. Chi conosce questo settore produttivo sa che nell’attribuzione di compiti si tiene conto, ad esempio (Cfr. Mosca, Breveglieri, 1994): della velocità di esecuzione, del grado di precisione (soprattutto nella fase di cernita dei prodotti), dell’adattabilità al lavoro in squadra dei singoli soggetti, della resa produttiva misurata nelle diverse “postazioni di lavoro”, della disponibilità oraria e settimanale al lavoro in relazione alle esigenze di stivaggio/conservazione e/o di commercializzazione dei prodotti.
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Su questi aspetti si sono spesso decise le periodiche riassunzioni stagionali (per gli stranieri addirittura il richiamo/reingresso dai rispettivi paesi di origine), come più volte sottolineato da alcuni responsabili delle U.L. intervistate. D’altra parte, molte controversie con i sindacati dei lavoratori hanno avuto e avevano per oggetto le riassunzioni dei medesimi lavoratori, con la stipula di apposite “convenzioni” aziendali tese a garantire ad un nucleo definito di dipendenti un numero minimo di giornate lavorative nell’arco dell’anno (idonee a garantire, in base alla normativa in vigore, la percezione delle indennità di disoccupazione e un minimo di copertura contributiva). Ulteriori elementi di conoscenza delle condizioni di lavoro si sono ricavate dall’intervista ad un responsabile del personale di un’azienda di conservazione, selezione e commercio di prodotti ortofrutticoli. Secondo le indicazioni fornite da questo responsabile, la direzione aziendale, nell’intento di evitare dissidi, conflitti e gelosie tra i lavoratori, ha deciso da tempo di gestire il personale con accordi sindacali e apposite “convenzioni” tese ad assicurare un’equa distribuzione dei turni e delle giornate di lavoro. Relativamente ad alcune assunzioni che hanno coinvolto lavoratori di sesso maschile provenienti dall’Africa Centro Occidentale, inoltre, sono emersi elementi di criticità legati all’instabilità del rapporto di lavoro incentrato su inserimenti giornalieri, in stretta correlazione con le esigenze produttive aziendali. Detti lavoratori, infatti, dopo aver dichiarato la loro disponibilità, non sempre si sono presentati al lavoro a fronte delle “chiamate” dell’azienda, creando così difficoltà e rallentamenti al processo produttivo. Le difficoltà maggiori sembrano emergere sul versante degli orari di lavoro, soprattutto quando vengono richieste prestazioni in giornate festive o semifestive, per far fronte alle repentine richieste del mercato di riferimento. In questo caso molti lavoratori italiani hanno assunto l’orientamento di non accettare le “chiamate” aziendali, lasciando così ulteriore spazio agli inserimenti lavorativi di cittadini neo-comunitari (in particolare polacchi e rumeni). In merito alle relazioni tra lavoratori, appianati i possibili conflitti legati alle giornate lavorative, il responsabile aziendale ha raccontato un episodio conflittuale di carattere etnico con una lavoratrice autoctona che ha accusato una lavoratrice africana di essere “nera”, “sporca” e “inetta al lavoro”. Un episodio che è stato subito circoscritto e che era stato in parte alimentato anche dall’atteggiamento della lavoratrice africana: poco propensa al dialogo, sempre in disparte durante le pause, a volte aggressiva verso chi la interpellava per questioni di lavoro. I “nuovi arrivati” hanno turbato un precario equilibrio che sembrava garantire, nei momenti di elevato bisogno, la periodica assunzione di gran parte
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del personale italiano disponibile sul mercato, con un ampia tolleranza sulla qualità e sulla quantità del lavoro prestato. In un settore caratterizzato da una costante riduzione annuale delle giornate lavorative, il massiccio ingresso di lavoratori stranieri stagionali è stato spesso vissuto, dai lavoratori italiani interessati e, in parte, dalle loro rappresentanze sindacali, come una “minaccia”, come uno strumento gestito dai datori di lavoro in modo ricattatorio per abbassare i livelli di tutela contrattuale. Questa convinzione, a volte latente, altre volte fortemente sostenuta dai lavoratori, è stata spesso confutata dai datori di lavoro a fronte delle difficoltà che incontravano, per carenza di manodopera, nelle fasi estive di maggior intensità lavorativa (durante la raccolta di frutta e verdura) e nei processi di lavoro più costrittivi (durante la raccolta primaverile delle fragole o nel periodo di potatura invernale). Oggi sembra emergere una situazione che può mettere sempre più in competizione italiani e stranieri, in quanto: - il bisogno impellente di assicurarsi un reddito e un lavoro (compreso il reingresso su chiamata negli anni successivi) pone su un piano di notevole subalternità gran parte degli stranieri che appaiono, pertanto, più disposti ad accettare peggiori condizioni di lavoro rispetto agli italiani (soprattutto sul piano delle retribuzioni, degli orari e della sicurezza); - il rischio di un abbassamento dei livelli di tutela contrattuale e di vedersi sostituiti dagli stranieri nelle successive chiamate al lavoro stagionale, induce molti lavoratori autoctoni a “diffidare” dei nuovi arrivati, ad adottare atteggiamenti di “esclusione” e ad elaborare pregiudizi etnici (per stare al passo con “loro” si debbono aumentare i ritmi, evitare assenze, accettare turni e orari più costrittivi ed una ripartizione al ribasso delle giornate di lavoro, soprattutto nei momenti di flessione delle produzioni agricole e/o di crisi delle vendite). In questa fase, forse soltanto una comune assunzione di responsabilità e una consapevolezza diffusa delle questioni da affrontare può attenuare i conflitti palesi e/o latenti ed avviare l’elaborazione di regole condivise idonee a mediare bisogni e aspettative.
Le condizioni di lavoro negli “Autotrasporti, Logistica, Facchinaggio” Ad un primo sguardo superficiale, il settore potrebbe sembrare eterogeneo, composto cioè da attività poco interdipendenti, da indagare in modo separato. Se si prende in considerazione il termine “logistica” ed il complesso di attività che esso dovrebbe sottointendere emergono, invece, notevoli aspetti di contiguità dei processi di lavoro e di sovrapposizione/interdipendenza ri-
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spetto agli altri rami del settore. La “logistica”, secondo la definizione dell’Associazione Italiana di Logistica, è “l’insieme delle attività organizzative, gestionali e strategiche che governano nell’azienda i flussi di materiali e delle relative informazioni dalle origini presso i fornitori, fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti e al servizio post vendita”. In epoche remote, chi era assegnato alla “logistica” svolgeva azioni di supporto agli eserciti, al fine di assicurare agli stessi quanto necessario per vivere, muovere e combattere il nemico (approvvigionamenti alimentari, di armi e munizioni, fornitura e utilizzo di mezzi di trasporto per gli spostamenti dell’esercito). Oggi, il complesso delle attività attribuite alla logistica si è notevolmente ampliato: da attività sussidiarie e di supporto a processi primari ad attività, spesso svolte da diverse imprese in stretta correlazione, di imballaggio, di trasporto, di movimentazione delle merci in tutte le fasi della produzione, dall’acquisizione delle materie prime, alla loro trasformazione, dalla consegna ai clienti dei prodotti finiti, all’assistenza post vendita dei clienti. La maggioranza delle imprese del settore definisce “logistica integrata” il complesso delle azioni – obiettivo svolte a favore di altre imprese nell’ambito delle “pulizie civili e industriali”, dei “rapporti con i fornitori”, dello “stoccaggio temporaneo”, del “confezionamento”, dei “noleggi di mezzi di trasporto e di movimentazione” (con o senza operatore), della “movimentazione aziendale meccanizzata” e della “gestione dei magazzini”. L’intero settore e, in particolare, le attività di facchinaggio sono oggetto di precise normative che regolano il campo d’azione delle imprese, l’avvio dell’attività, i rapporti con i committenti e i rapporti tra imprese e lavoratori. Per queste ragioni, il luogo di lavoro è spesso presso l’impresa che ha ceduto, in appalto, alcuni processi di lavoro ritenuti sussidiari e/o secondari o gestibili da altre strutture in modo più adeguato, come descritto in precedenza. Le condizioni di sicurezza sul lavoro, quindi, sono legate alle scelte sia dell’impresa appaltatrice, sia dell’impresa committente. Quest’ultima, oltre al luogo fisico di svolgimento dell’attività lavorativa, in molti casi fornisce attrezzature, macchinari e mezzi di protezione ai lavoratori dell’impresa appaltatrice, a volte mettendo in campo azioni di governo e di regolazione dei compiti da svolgere e delle persone coinvolte nell’appalto. L’orario di lavoro viene spesso strutturato in modo da garantire un supporto continuativo alla produzione rimasta in gestione all’impresa committente. Si notano, infatti, orari su turni diurni e/o notturni, orari spezzati da frequenti pause e interruzioni legate ai bisogni di alimentazione/sostegno”
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dei processi produttivi. Segnalano tali condizioni le numerose descrizioni del proprio lavoro fornite dagli intervistati. Ad esempio, quando si soffermano a descrivere alcuni aspetti dell’orario spezzato, si rileva: - “... per lavorare 6 ore sto impegnato per 12 ore... trasporto persone a breve distanza (all’interno di un insediamento produttivo molto grande)... da un settore all’altro per circa un’ora; poi sono “libero” per sessanta minuti e riprendo il lavoro di trasporto per altre due ore... e così via... (italiano, cinquantacinquenne, autista pullman)”; - “... dipende da dove devi andare, da cosa devi caricare e quanti scarichi e giri devi fare... poi ci sono le ore di pausa da rispettare per legge (rumeno, trentacinquenne, autista camion)”. Alcuni mettono in rilievo un lavoro su turni, dichiarando: - “... ho fatto turno di notte... ho iniziato alle 10 (di sera)... fatto subito caffè e due chiacchiere con amici... poi subito a lavorare... mi fermo a fumare una sigaretta... faccio sempre sacchi... (tunisino, ventiseienne, facchino)”; - “... turno del pomeriggio... arrivo alle due... prendo i box dell’imballaggio e li riempio... mi prendo un caffè e vado avanti fino alle dieci... quelli del secondo turno preparano i box...(marocchino, trentaduenne, facchino); - “...quando arrivo, siccome sono capoturno devo guardare la situazione numerica degli addetti (sulla base della richiesta fatta anticipatamente dal committente)... mi confronto con gli altri miei colleghi capoturno per verificare le caratteristiche del lavoro da svolgere e il personale a disposizione... ogni squadra è composta da 10 a 20 persone... di conseguenza ci organizziamo per il lavoro... siamo preposti al controllo qualità... prima che il prodotto venga immagazzinato e spedito... è molto impegnativo. Facciamo 8 ore continuative, con pause non fisse... (italiano, cinquantacinquenne, tecnico-capoturno). Altri forniscono una breve descrizione dell’attività svolta nell’ambito dello stoccaggio in magazzino, della movimentazione delle merci e/o del recupero dei cascami di produzione: - “... si entra alle otto... andiamo nello spogliatoio, ci cambiamo... prendiamo il camion e poi andiamo sul posto di lavoro... dobbiamo raccogliere... (il liquido) che fuoriesce dagli impianti e rifluisce in apposite “trappole”... lo aspiriamo e lo mettiamo in appositi contenitori per lo smaltimento... Ci sono gli addetti di un’altra società di controllo che ci controllano, presidiano la sicurezza... ci dicono dove andare e cosa fare... si lavora fino alle diciassette, con un’ora di pausa pranzo... (italiano, qua-
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rantanovenne, facchino)”; - “... entro alle otto fino alle dodici... pausa pranzo di mezz’ora, poi avanti fino alle sedici e trenta... Al mattino vado dal caposquadra, controllo il lavoro svolto dal turno precedente... cambio tutto (scarpe, cappotto)... mi attrezzo in base al posto dove devo andare... prendo un caffè... carico pedane, nastri... facile... no difficile... (pakistano, quarantaquattrenne, facchino)”; - “... comincio alle sette e trenta... timbro alle sette e venti/sette e venticinque... puliamo il piazzale prima dell’arrivo dei camion... tutto i prodotto lavorato a ciclo continuo viene buttato sul piazzale... noi dobbiamo accatastarlo e tenere liberi i passaggi per gli autotreni... (italiano, cinquantaduenne, carrellista)”; - “... arrivo alle otto... Come responsabile di magazzino debbo controllare che la merce in stoccaggio sia pronta per entrare nel processo produttivo... Tutto il giorno prepariamo si preparano gli ordini, prevalentemente di stoccaggio... di pause ne facciamo... per i caffè... (italiano, trentaduenne, magazziniere)”. I lavoratori intervistati nel settore sono stati 25, di cui 15 italiani e 10 stranieri (3 rumeni, 2 marocchini, 2 pakistani 1 serbo, 1 tunisino e 1 albanese). Gli italiani nati in Italia sono 14 (uno è nato all’estero e ha acquisito successivamente la cittadinanza italiana), di cui 11 nati in provincia di Ferrara. Sulla base del campione intervistato, ma anche secondo gli stessi datori di lavoro contattati per concordare le interviste, la presenza di italiani provenienti da altre province e/o dall’estero si presenta alquanto elevata, così come si presenta elevato il ricorso a forza lavoro non italiana (si vedano i capitoli precedenti). L’anzianità di lavoro dichiarata nella stessa U.L. non appare molto alta, per cui si può ipotizzare che le aziende debbano gestire numerosi avviamenti e licenziamenti, con un ricambio frequente di lavoratori che (secondo quanto dichiarato dagli stessi datori di lavoro) “migrano” verso altre imprese del settore e/o di altri settori, con l’intento di ottenere un miglioramento delle proprie condizioni. Tra i 25 intervistati, infatti, si nota la seguente anzianità di lavoro nella medesima impresa: 8 da più di sei anni; 5 dai tre ai sei anni; 3 da uno a tre anni; 9 da meno di un anno. Le persone straniere intervistate hanno un’età media di 36,5 anni, inferiore dunque all’età media degli italiani intervistati che è di 43,3 anni. E’ una differenza che può essere assunta come l’indicatore di un parziale processo di “sostituzione” dei lavoratori autoctoni con lavoratori stranieri, soprattutto nell’ambito dei lavori più faticosi e/o con turni notturni. Rafforzano questa ipotesi: - i livelli di “insoddisfazione” verso il lavoro svolto espresso dagli italiani: 6 su 15, contro 1 su 10 riscontrato tra gli stranieri; - i livelli di inquadramento contrattuale degli intervistati che, nell’ambito
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della “logistica” e del “facchinaggio”, evidenziano l’attribuzione dei compiti di coordinamento delle squadre di lavoro agli italiani (probabilmente in seguito all’esperienza da essi acquisita) e l’assegnazione agli stranieri dei compiti ritenuti più semplici e di facile apprendimento. Rispetto ai 25 lavoratori del settore intervistati, solo 3 conoscono la denominazione del CCNL loro applicato e sanno indicare il proprio livello di inquadramento. I restanti 22 intervistati non conoscono o hanno una conoscenza inadeguata del loro CCNL. Le retribuzioni percepite nell’ultimo mese appaiono congruenti con le differenze di inquadramento contrattuale citate in precedenza, anche se 4 stranieri su 10 si collocano nella fascia oltre i 1.500 euro in relazione alle indennità percepite (per turni e lavori faticosi) e/o all’assunzione con compiti di autista. I livelli retributivi mensili dei 24 rispondenti (uno straniero non fornisce risposte) mostrano la seguente distribuzione: - con meno di 1.000 euro 4 lavoratori, di cui 2 stranieri e 2 italiani; - dai 1.001 a 1.300 euro 9 lavoratori, di cui 3 stranieri e 6 italiani; - dai 1.301 ai 1.500 euro 4 lavoratori, tutti italiani; - dai 1.501 a 2.000 euro 6 lavoratori, di cui 3 stranieri e 3 italiani; - con più di 2.000 euro 1 lavoratore straniero. Quasi tutti risultano assunti a tempo pieno; soltanto una donna straniera è a tempo parziale. Nessuno degli intervistati, inoltre, dichiara di essere impegnato in attività di lavoro presso altre imprese. Ben 11 lavoratori dichiarano di essere coinvolti in “condizioni di lavoro problematiche”, soprattutto in relazione alla fatica psico-fisica e al disagio legato al luogo di lavoro (al freddo, al caldo, all’aperto, in situazioni di potenziale pericolo), mentre non emergono problemi in merito agli orari, nonostante i turni e le peculiarità del lavoro di autista. La concessione di permessi per assentarsi dal lavoro, con adeguato preavviso e regolare richiesta di autorizzazione, non sembrano incontrare ostacoli da parte dei responsabili, anche per periodi di lunga durata. Alquanto differenziate, invece, appaiono le risposte circa la retribuzione dei permessi richiesti, per cui riemerge il tema della non conoscenza dei propri diritti contrattuali. Le risposte degli intervistati, infatti, sono state: “mi vengono pagati” in 12 casi; “non sono retribuiti” in 8 casi; “non lo so” in 5 casi. Quasi tutti gli intervistati (23 su 25) hanno intrattenuto rapporti di lavoro con altre imprese e addirittura 12 (6 stranieri e 6 italiani) dichiarano di aver “cambiato spesso” datore di lavoro in stretta connessione al mancato rispetto dei propri diritti e/o alla precarietà/instabilità dei rapporti di lavoro prece-
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denti; aspetti che sembrano rappresentare situazioni peculiari del settore, in sintonia con le rilevazioni Inps e Inail. Soltanto 3 lavoratori (tutti italiani) ritengono di svolgere compiti inadeguati rispetto alle abilità e alle conoscenze possedute e, quindi, di essere discriminati nella distribuzione dei compiti stessi. Sul versante dell’eventuale assegnazione di compiti di “fiducia”, 19 ritengono di riscuotere la fiducia del proprio superiore, 2 ritengono di non riscuoterla perché assunti da poco tempo; 2 affermano che non gli viene richiesto per le caratteristiche della struttura organizzativa; 2 non sanno o non rispondono. Le risposte al quesito inerente alle difficoltà eventualmente incontrate sul lavoro, si sono così articolate: - “nessuna difficoltà” per 15 lavoratori, 7 italiani e 8 stranieri; - “alcune difficoltà” per 10 lavoratori, 8 italiani e 2 stranieri, legate a scarsa formazione (5 casi), fatica psico-fisica (3 casi), scarsa collaborazione tra colleghi (1 caso) e a problemi con gli utenti (1 caso). L’aiuto ad affrontare le difficoltà incontrate, secondo gli intervistati, è risultato alquanto limitato: 7 lavoratori sono stati lasciati soli, 2 hanno trovato appoggio nei colleghi, mentre soltanto 1 ha ricevuto l’assistenza di un superiore. Rispetto ai 25 intervistati, 21 sanno che esiste un controllo sul lavoro svolto da parte di altri lavoratori appositamente abilitati/autorizzati o gerarchicamente superiori, oppure da parte dei committenti/utenti, 3 ritengono che non esistano controlli, 1 risponde di non sapere se avvengono controlli e chi li fa. Analogamente al controllo, la distribuzione dei compiti è svolta dai diretti superiori, dai responsabili di produzione o direttamente dai titolari, sulla base dei seguenti criteri: - attraverso una rigida separazione dei compiti, per 11 intervistati (6 italiani e 5 stranieri), in gran parte impegnati in lavori di facchinaggio; - tramite una rigida separazione dei compiti, a cui si accompagna anche una rotazione per 1 intervistato italiano, addetto alla conduzione di automezzi di trasporto; - tenendo conto delle abilità e delle capacità dei soggetti, per 8 intervistati (6 italiani e 2 stranieri), a cui sono attribuiti lavori di facchinaggio e/o di trasporto merce; - in relazione al lavoro da svolgere per 3 intervistati (1 italiano e 2 stranieri), impegnati in compiti diversi (conduzione mezzi di trasporto, facchinaggio, gestione magazzini); - non sanno/non rispondono 2 intervistati (1 italiano e 1 straniero). Pur polarizzandosi intorno a valutazione di “rigida separazione dei com-
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piti”, le risposte tendono a evadere la questione delle scelte organizzative che stanno alla base di qualsiasi attribuzione dei compiti. Le dichiarazioni dei lavoratori sembrano fortemente condizionate sia dai livelli di soddisfazione/insoddisfazione verso il proprio lavoro, sia dal punto di vista che si assume ai diversi livelli di responsabilità assunti nella struttura organizzativa. Questi due aspetti, inoltre, si coniugano con la tendenza ad assumere una “visione” e una ”interpretazione” del contesto lavorativo analoga a quella dei colleghi di pari grado, magari più anziani, con cui si collabora quotidianamente e con cui si è in maggior sintonia. Si stenta ad uscire dal senso comune e a formulare una diagnosi più obiettiva. Coerenti con queste considerazioni appaiono le risposte in merito all’esistenza di gruppi separati nel contesto aziendale, per cui la separazione si intende legata: - al paese di provenienza (gli stranieri tendono a fare gruppo con i propri connazionali), secondo 2 maschi italiani; - all’anzianità di lavoro per 2 maschi, un italiano e un marocchino; - alla competizione in atto, secondo 1 maschio italiano; - al diverso lavoro da svolgere, secondo 3 maschi italiani. Come si può notare, solo uno straniero su nove segnala la presenza di gruppi separati (tra l’altro in base all’anzianità lavorativa). Gli italiani sembrano avere meno timori e, forse, una “visione” più consapevole della situazione lavorativa, anche se non si colgono gli elementi di discrimine che si attivano fin dal momento dell’assunzione (non trovando italiani disponibili, si assume uno straniero che può essere costretto, dalla sua condizione personale, ad accettare condizioni di lavoro che spesso non vengono accettate dagli autoctoni). Soltanto chi si trova coinvolto in qualche forma palese di emarginazione/esclusione, anche se afferma di essere trattato in modo analogo ai propri colleghi, alla domanda posta in modo diretto su cosa ritiene ingiusto si pone in termini critici, affermando: “... non hanno fiducia in me ... (tunisino, ventiseienne, carrellista)”; “... problemi di razzismo... con alcuni (marocchino, trentaduenne, facchino)”; “... i giovani mi giudicano male perché lavoro di più... (italiano, cinquantaduenne, carrellista)”; “... trattamenti in base a simpatie personali... (italiano, trentaduenne, magazziniere)”. Secondo alcuni responsabili di aziende del settore, appositamente intervistati, nella fase di attribuzione dei compiti nel campo della logistica e del facchinaggio, si tiene conto: della “adattabilità” al lavoro in squadra dei singoli soggetti, della “affidabilità/responsabilità” e della precisione nell’esecuzione dei compiti assegnati, della resa produttiva misurata nelle diverse “postazioni” di lavoro, della disponibilità oraria e settimanale al lavoro in re-
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lazione alle esigenze aziendali (specie per la sostituzione di chi si assenta dal lavoro per varie ragioni). Su questi aspetti si sono spesso decise le assunzioni e le eventuali riassunzioni legate ai cicli lavorativi e ai fabbisogni non pianificati emergenti dalle imprese committenti. Il titolare di un’impresa di trasporti intervistato telefonicamente ha dichiarato: “... certo, con i tempi che corrono è difficile trovare buoni camionisti... la passione per il mestiere mi sembra una delle cose più importanti: passione per il camion e per la vita sulla strada, per i viaggi e le avventure che questi comportano (imprevisti e contrattempi sono all’ordine del giorno). Solo con la passione maturano la disciplina e la pazienza... Se devo assumere un nuovo autista cerco sempre di capire le sue caratteristiche... se maturerà o ha maturato disciplina e pazienza... se ha passione. Se ha già fatto il camionista cerco informazioni presso i suoi precedenti datori di lavoro, se è serio e affidabile... se ha senso di responsabilità... invece se non ha esperienza, mentre gli insegno, cerco di misurare la sua energia e il suo entusiasmo per capire se è ha la stoffa del camionista. In questi anni ho notato che molti pensano di potercela fare, ma molti appena possono scappano... ripiegano verso un’altra professione... Altri... fanno i furbi... pensano di non essere controllati perché fuori sede e rallentano le consegne... ho imparato, però, a riconoscerli grazie all’esperienza maturata in anni di lavoro come camionista... In questo mestiere è fondamentale l’organizzazione di ogni singolo viaggio sia all’andata che al ritorno... tutti i camionisti e i loro camion debbono essere utilizzati al meglio e non viaggiare mai scarichi... bisogna conoscere i tempi d’attesa (per il carico e lo scarico) nei luoghi di ritiro e consegna della merce in modo da programmare per ogni autista il numero giusto dei viaggi giornalieri... tutti gli incastri di tempi, merci, luoghi, pause, tratte da percorrere e clienti (nei percorsi di andata e ritorno) vanno realizzati per ogni camion dell’azienda... solo grazie all’esperienza di possono combinare tutte queste variabili, compresa l’ora migliore per la consegna o il ritiro in ognuna delle tappe pianificate...”. E’ evidente, in questo caso, il tentativo di mettere sotto controllo un processo di lavoro condizionato da molte variabili, spesso indipendenti e non definibili a priori, quali l’intensità del traffico, i blocchi e gli ingorghi stradali, gli incidenti di percorso, le situazioni che si incontrano nei vari luoghi di carico e di scarico, le scelte di altre imprese e di altri lavoratori con cui si deve interagire per portare a termine il trasporto e le rispettive consegne. Variabili che rendono più o meno costrittivo il lavoro di chi guida il camion, come si può evincere dalla seguente breve intervista rilasciata da un lavoratore assunto come “autotrasportatore” per il ritiro e la consegna di merci
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imballate: “... bisogna essere sul piazzale del magazzino entro le sei e trenta per caricare la merce, anche per non incorrere in multe e sanzioni... Scendo dal camion... entro nel magazzino... ci sono scatole... teli di cellophane sparsi per terra... pedane imballate sparse un po’ ovunque... i facchini corrono con i carrelli nelle operazioni di carico e scarico dei mezzi... urlano per coordinarsi... tanti non sono italiani (marocchini, tunisini, rumeni, serbi, ecc.)... entro in ufficio e ritiro le bolle di consegna... leggo gli indirizzi delle ditte a cui vanno portate le merci... elaboro (anche sulla base dell’esperienza acquisita sui percorsi, sul traffico, sull’ubicazione delle ditte, sui loro tempi di carico e scarico) il percorso teoricamente migliore per eseguire le consegne nel più breve tempo possibile... debbo caricare i bancali di merce in modo da occupare il minor spazio possibile sul camion ed evitare eventuali problemi durante il trasporto (spostamenti durante le curve, rovesciamenti, rotture, ecc., soprattutto quando si affrontano le rotonde stradali più strette)... finalmente posso partire... i giri di solito si ripetono e si impara a conoscere i vari contesti presso cui si consegnano le merci... nelle fasi di scarico indico sempre ai facchini/carrellisti i bancali da scaricare... poi mi reco presso l’ufficio della ditta destinataria... consegno i documenti di spedizione/ritiro merce... a volte devo attendere anche alcune ore perché ci sono altri camion davanti al mio, in fila per lo scarico... finite le consegne posso pranzare... poi telefono al magazzino della mia ditta per sapere se ci sono dei ritiri di merce da eseguire e dove mi debbo eventualmente recare per evaderli... non so cosa c’è nei pacchi... a volte lo intuisco dal tipo di imballaggio... Se tutto va bene entro le diciotto torno al mio magazzino di partenza e scarico la merce ritirata... guadagno in media 70 euro al giorno... non sono tanti per mantenere una famiglia... questo è un mestiere che non si improvvisa: alzarsi all’alba o viaggiare di notte, guidare nel traffico senza perdere la pazienza, aspettare in coda nei posti di fornitura e consegna, aiutare a caricare e scaricare la merce per accelerare i tempi... stare molto lontano dalla famiglia, non pensare mai di poter essere a casa a un’ora definita in partenza... (italiano, trentaquattrenne, autista camion)”. Nascono così relazioni di interesse, sulla spinta delle necessità lavorative, per cui l’autista del camion deve evitare litigi con gli addetti al carico/scarico, individuare chi può agevolare il suo lavoro (come ad esempio il “carrellista” che può sospendere il lavoro in cui è impegnato e dedicarsi in breve tempo al carico/scarico del camion), intrattenere, cioè, buoni rapporti con tutti coloro che risultano “strategici” nel velocizzare il ritiro e la consegna delle merci (non è raro lo scambio di “favori”, l’elargizione di “mance” o regali, specie durante le festività natalizie); un complesso di relazioni informali finalizzate ad ottenere un servizio di carico/scarico veloce, soprattutto quando si è in ritardo rispetto alla tabella di marcia.
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Come si è potuto intuire dalle descrizioni fornite dai diversi intervistati, il lavoro svolto nelle diverse situazioni in appalto è sottoposto ad un controllo assiduo da parte delle imprese committenti che debbono garantirsi un adeguato supporto ai propri processi di produzione. In questi casi, chi governa e regola l’attività è spesso un soggetto diverso dal datore di lavoro. Il più delle volte si tratta di un tecnico delegato al controllo dall’impresa committente, con cui è fondamentale stabilire “buone” relazioni (una sua segnalazione negativa può comportare la perdita dell’occupazione e/o azioni sanzionatorie). Si deve, pertanto, rimanere pronti e attenti ad assecondare le eventuali richieste che il controllante può avanzare, indipendentemente dai compiti prefissati in sede di appalto (il soggetto controllante, infatti, può influenzare sia le scelte dell’azienda committente durante le fasi di riassegnazione dell’appalto, sia le scelte dell’azienda appaltante nelle fasi di distribuzione dei compiti tra i propri dipendenti e/o di riassunzione periodica del personale necessario).
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minazione e segnaletica per strade, ferrovie, aeroporti e pori, ecc.. Gran parte delle attività, sopra descritte, sono svolte in appalto anche dalle imprese intervistate che procedono con assunzioni e licenziamenti in relazione ai fabbisogni produttivi o ricorrono ad altre imprese con cui intrattengono buoni rapporti di collaborazione. Si tratta di lavori fortemente condizionati dalle situazioni climatiche e atmosferiche che contraddistinguono soprattutto i mesi invernali, mesi in cui si sono svolte le interviste. Gli intervistati, infatti, sottolineano aspetti quali la bassa temperatura, il terreno gelato, l’inizio e il termine della giornata di lavoro dettato dalla durata della luce solare (si inizia intorno alle 7,30 – 8,00 del mattino e si termina verso le 17,00 - 17,30). In relazione ai condizionamenti climatici, l’occupazione risulta molto elevata nei mesi primaverili ed estivi, mentre si riduce drasticamente durante l’inverno (le imprese tendono a mantenere un rapporto di lavoro stabile solo con coloro che sono ritenute persone tecnicamente preparate e affidabili, un nucleo da cui ripartire con la ripresa del lavoro dopo l’inverno).
Le condizioni di lavoro nelle “Costruzioni” Il settore è costituito da rami d’attività molto variegati. L’Istat adotta una classificazione basata su 4 grandi aree: 1 – i lavori generali di costruzione che comprendono: la costruzione di alloggi, di edifici adibiti ad uffici, di negozi, di edifici pubblici, di edifici agricoli, ecc., nonché la costruzione di opere del genio civile come autostrade, strade, ponti, gallerie, strade ferrate, campi di aviazione, porti e altre opere idrauliche, la costruzione di sistemi di irrigazione e di fognatura, impianti industriali, condotte e linee elettriche, impianti sportivi, ecc.; 2 – i lavori speciali di costruzione per edifici e opere di ingegneria civile che comprendono: le costruzioni di parti di edifici e i lavori di ingegneria civile o le attività di preparazione a tale scopo (palificazione, lavori di fondazione, la perforazione di pozzi d’acqua, la realizzazione di armature, i betonaggi, la posa in opera di mattoni e pietre, il montaggio di ponteggi, la copertura di tetti, ecc.); 3 – i lavori di completamento di un fabbricato che comprendono: la posa in opera di vetri, intonacatura, tinteggiatura e imbiancatura, piastrellatura di muri e pavimenti, installazione di altri rivestimenti come parquet, moquette, carta da parati, ecc., levigatura di pavimenti, lavori di carpenteria per finitura, opere di acustica, pulitura dell’esterno, ecc.; 4 – i lavori di installazione che comprendono tutti i lavori accessori necessari al funzionamento della costruzione (installazione di impianti igienicosanitari, di riscaldamento e condizionamento dell’aria, di isolamento (idraulico, termico, sonoro), di lattoneria e refrigerazione commerciale, illu-
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Su 41 lavoratori intervistati, 21 (13 italiani e 8 stranieri, uomini) ritengono di essere stati assunti senza la richiesta di particolari requisiti; 10 (3 italiani e 7 stranieri, uomini) ritengono che fosse rilevante il possesso di un’adeguata esperienza; 4 (italiani, uomini) dichiarano che è stato importante presentare le proprie referenze; 3 (1 italiano e 2 stranieri, uomini) affermano come è stato fondamentale dimostrare disponibilità ad imparare; 3 (maschi italiani) dichiarano che sono state necessarie abilità e qualifiche professionali specifiche. Anche in questo settore i lavoratori intervistati sottovalutano i requisiti necessari all’assunzione e i criteri di assunzione che spesso adottano i datori di lavoro, nonostante un inquadramento contrattuale piuttosto articolato che presuppone il possesso di diverse abilità e conoscenze tecniche. In base alla descrizione fornita durante l’intervista, infatti, si è dedotto che: - 10 erano “manovali edili” o “manovali generici” (4 italiani e 6 stranieri, uomini); - 19 erano “muratori” (9 italiani e 10 stranieri, uomini); - 7 erano “tecnici di cantiere (italiani, uomini); - 2 erano “impiegati amministrativi (1 donna e 1 uomo italiano); - 1 era “carpentiere edile” (italiano, uomo); - 1 era “gruista” (italiani, uomo); - 1 era “elettricista” (straniero, uomo). Dei 41 lavoratori intervistati, 24 erano italiani, contro 17 stranieri (5 nord africani, 5 albanesi, 4 dell’Europa dell’est non comunitari, 2 rumeni, 1 pakistano). Tra gli italiani, 18 sono nati in provincia di Ferrara, per cui la presenza di italiani provenienti da altre province (6 lavoratori) s’attestava su livelli su-
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periori alla media del campione intervistato. Queste caratteristiche trovano corrispondenza con quelle dell’intero settore dove si rileva un elevata presenza di migranti di origine italiana e straniera (come ricordato in precedenza). L’anzianità di lavoro dichiarata nella stessa U.L. appare molto alta (anche nel caso degli stranieri), nonostante la descritta variabilità delle situazioni occupazionali e si lega, probabilmente, al periodo di effettuazione delle interviste: all’inizio dell’inverno, quando resta nell’impresa il nucleo di lavoratori più stabili (20 vi lavorano da oltre 6 anni, 6 dai 3 ai 6 anni, 11 da 1 a 3 anni, 4 da meno di 1 anno). L’età media delle persone intervistate è di 40,8 anni, senza sensibili differenze tra stranieri e italiani; l’inserimento dei lavoratori stranieri appare ormai un aspetto consolidato (è iniziato nella seconda metà degli anni ’90), trattandosi di migranti presenti in Italia da diverso tempo (13 da oltre 6 anni, 3 da 3 a 6 anni e 1 da 1 a 3 anni). I livelli di “insoddisfazione” verso il lavoro svolto sono elevati, nettamente al di sopra di quelli riscontrati nell’intero campione, con una notevole differenza fra italiani e stranieri: insoddisfatti si dichiarano 5 italiani (1 su 5), contro 9 stranieri su 17 (1 su 2). Una insoddisfazione che per gli stranieri si collega, come visto in precedenza, alla bassa corrispondenza tra gli studi e la formazione svolta e i livelli d’inserimento lavorativo. Come nella maggior parte dei casi, l’attuale lavoro è stato accettato sia per ragioni economiche, sia per le difficoltà di reperimento di occasioni di lavoro congruenti alle aspettative e alla preparazione tecnica acquisita. A fronte di 41 lavoratori del settore intervistati, solo 4 (italiani) conoscono almeno la denominazione del CCNL loro applicato, 8 (6 italiani e 2 stranieri) forniscono una risposta inadeguata, mentre 29 (14 italiani e 15 stranieri) dichiarano di non conoscerlo. Se si tiene conto dell’elevata anzianità lavorativa rilevata in ambito aziendale, le risposte attestano una profonda ignoranza delle normative contrattuali, soprattutto da parte degli stranieri. Molto più elevato, invece, risulta il numero di coloro che dichiarano di conoscere il proprio inquadramento contrattuale, probabilmente perché risulta citato sulla propria busta paga: ne hanno una conoscenza adeguata 33 intervistati su 41 (19 italiani e 14 stranieri). Le retribuzioni percepite nell’ultimo mese aiutano a comprendere, anche le ragioni di insoddisfazione verso il lavoro svolto, soprattutto da parte degli stranieri, che lo valutano spesso faticoso, pericoloso e per molti poco retribuito. Secondo le dichiarazioni degli intervistati esse erano così distribuite per fasce di reddito mensile: da 801 a 1000 euro in 4 casi (3 stranieri e 1 ita-
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liano); da 1001 a 1.300 euro in 20 casi (12 italiani e 8 stranieri); da 1.301 a 1.500 euro in 8 casi (5 italiani e 3 stranieri); da 1.501 a 2.000 euro in 8 casi (5 italiani e 3 stranieri); un lavoratore non ha risposto. Solo uno dei lavoratori intervistati lavora a tempo parziale; i restanti 40 risultano assunti a tempo pieno, quasi tutti a tempo indeterminato. Dichiarano di svolgere anche un’altra attività residuale 2 lavoratori (1 italiano e 1 straniero), allo scopo di arrotondare il reddito mensile altrimenti troppo basso. Appena 6 lavoratori (4 italiani e 2 stranieri), affermano di lavorare in “condizioni problematiche”, in relazione alla fatica fisica e alle condizioni climatiche (freddo d’inverno e caldo d’estate). Uno di essi segnala anche la presenza di forme di prevaricazione da parte dei lavoratori più anziani verso i più giovani. Ottenere permessi per assentarsi dal lavoro, anche per periodi di lunga durata, non presenta alcuna difficoltà: 40 intervistati su 41 affermano che è facile ottenerli e che cercano di programmarli, preavvisando i responsabili aziendali e/o i propri superiori diretti. Per 38 intervistati, inoltre, tali permessi sono retribuiti, mentre 3 rispondono di non sapere bene cosa sia di loro spettanza. Quasi tutti affermano di aver intrattenuto rapporti di lavoro con altre imprese (37 su 41), fanno eccezione 3 italiani e uno straniero alla loro prima esperienza lavorativa. Soltanto 9 intervistati (2 su 10) ritengono, però, di aver cambiato spesso datore di lavoro: 4 italiani, sopratutto per migliorare il proprio inquadramento professionale e la propria retribuzione; 5 stranieri perché ritenevano che non fossero rispettati i loro diritti, oppure perché il lavoro svolto in precedenza aveva carattere temporaneo. Alla domanda se i compiti svolti fossero uguali a quelli svolti dai colleghi, solo 10 hanno risposto negativamente, motivando peraltro le differenze con il possesso personale di abilità e capacità diverse e spesso superiori agli altri dipendenti. In relazione alla possibile assegnazione di compiti di “fiducia”, ben 38 ritengono di riscuotere la fiducia del proprio superiore, uno di essi dichiara di dover fare ancora un po’ d’esperienza prima di ottenerla (“ ... sono l’ultimo arrivato...”) e 2 non hanno risposto. Al quesito sulle eventuali difficoltà incontrate sul lavoro, invece, si sono registrate affermazioni incongruenti, rispetto alla valutazione espressa in merito ai requisiti di assunzione. Hanno dichiarato: - d’aver incontrato “nessuna difficoltà”, 23 lavoratori (6 su 10), 11 italiani e 12 stranieri;
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- d’aver incontrato “difficoltà”, 18 lavoratori (4 su 10), 13 italiani e 5 stranieri. Tra questi ultimi, le difficoltà insorte erano in gran parte legate a carenze di conoscenze e di abilità personali e, quindi, di formazione (6 casi) o a incongruenze organizzative legate alle scelte di conduzione dei cantieri (5 casi). Solo un maschio (italiano) ha imputato le difficoltà alla tensione e allo scarso rispetto tra lavoratori, mentre due maschi (un italiano e uno straniero) hanno attribuito le difficoltà allo stress da lavoro e un maschio (italiano) all’inadeguatezza dei mezzi e dei macchinari a sua disposizione. L’aiuto ad affrontare le difficoltà incontrate, è stato fornito in gran parte dai superiori e dal datore di lavoro (8 casi), dai colleghi (4 casi), dai colleghi e dai superiori (1 caso); ma ben 5 intervistati affermano di non aver avuto alcun aiuto (3 italiani e 2 stranieri). In rapporto ai 41 intervistati, soltanto uno ritiene che non ci siano controlli sul lavoro svolto, gli altri sono consapevoli che esiste un controllo da parte di altri lavoratori appositamente abilitati/autorizzati o gerarchicamente superiori. La distribuzione dei compiti è svolta, analogamente al controllo, dai diretti superiori, dai responsabili di cantiere o direttamente dai titolari. I criteri che ispirano tale distribuzione, secondo gli intervistati, sono: - le abilità e delle capacità dei soggetti, per 21 persone (13 italiani e 8 stranieri); - una rigida separazione dei compiti, per 8 persone (6 italiani e 2 stranieri); - in base al lavoro da svolgere per 2 persone (italiane). Secondo 1 intervistato non c’è la necessità di una distribuzione dei compiti in quanto tutti fanno lo stesso lavoro e, infine, 8 intervistati (3 italiani e 5 stranieri) tengono a precisare che non ci sono discriminazioni. Le risposte appaiono alquanto eterogenee e dettate probabilmente dal grado di diversità dei compiti svolti e delle responsabilità gerarchiche assunte nelle rispettive U.L. Tale diversità, infatti, consente ai soggetti coinvolti una diversa “visione” ed ”interpretazione” del contesto organizzato, oltre che differenti livelli di discrezionalità nell’ambito del processo di produzione aziendale. Di fronte alla domanda sulla distribuzione dei compiti sembrano eclissarsi tutte le perplessità legate alle incongruenze organizzative e/o ai rapporti di tensione vissuti con i colleghi. Le scelte organizzative sembrano date per scontate, i rapporti di lavoro si presentano come “reificati”. I compiti e le modalità di svolgimento degli stessi sembrano assunti come immodificabili già all’atto dell’assunzione. Sulla base di quanto affermato da un datore di lavoro del settore, nell’attribuzione dei compiti si tiene conto, ad esempio: delle abilità dimostrate sul
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campo nello svolgimento dei diversi lavori, dell’esperienza acquisita, della velocità di esecuzione (ad esempio nella realizzazione degli intonaci e dei muri), del grado di precisione (ad esempio nell’uso dei mezzi meccanici durante le fasi di scavo delle fondamenta e/o nei lavori di urbanizzazione di nuove aree), dell’adattabilità al lavoro in squadra dei singoli soggetti, della disponibilità oraria e settimanale al lavoro in relazione alle esigenze di cantiere. Su questi aspetti si sono spesso decise: - le eventuali assunzioni a tempo indeterminato, dopo un periodo più o meno lungo di “prova”; - l’inserimento nel gruppo ristretto dei lavoratori a cui l’impresa assicura continuità lavorativa anche nei periodi di riduzione/rallentamento dell’attività (come ad esempio durante i mesi invernali); - le periodiche riassunzioni nelle fasi di ripresa/espansione dell’attività (nel periodo primavera/estate). In provincia di Ferrara, l’analisi compiuta sulle caratteristiche della regolarizzazione degli stranieri, avvenuta nel periodo 2002 – 2004 con la Legge Bossi-Fini, ha consentito di rilevare che 420 “regolarizzati” su 907 circa (pari al 46,3%) avevano instaurato un rapporto di lavoro con artigiani del settore edile. Questi dati, coerenti con tutti gli studi e le ricerche sul comparto “Costruzioni”, inducono a ritenere che persistano nel settore livelli molto elevati di lavoro irregolare prestato da stranieri, i quali debbono dimostrarsi molto “affidabili” e “disponibili” se vogliono: - ottenere un’adeguata continuità lavorativa e superare le difficoltà legate al rinnovo del permesso di soggiorno, qualora siano già regolarmente presenti; - indurre il datore di lavoro a presentare l’istanza di regolarizzazione e/o di nuovo ingresso (in base ai decreti governativi) se sono ancora irregolari e/o clandestini. La condizione di “subalternità”, in questo caso, appare evidente e risulta ulteriormente rafforzata se si considera l’impellente bisogno di reperire una fonte di reddito che caratterizza gran parte dei percorsi di migrazione; un bisogno che porta, a volte, a eludere o a violare le regole in vigore anche a rischio della propria salute (come risulta dai dati Inps e Inail sull’evasione contributiva e sugli infortuni). Ulteriori elementi di conoscenza sulle relazioni nel contesto lavorativo si sono ricavate dalle interviste di due datori di lavoro del settore edile che hanno assunto lavoratori stranieri. Uno di questi che, da alcuni anni, ha alle proprie dipendenze un cittadino del Camerun, commenta: “ All’inizio i miei dipendenti, anche i più stretti collaboratori, avevano persino il timore di stringergli la mano... era un uomo nero... c’era diffidenza, forse anche paura di contrarre chissà quale malattia. Poi, hanno dovuto mangiare insieme, spe-
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cie nei cantieri fuori sede... ritenevano che “l’uomo nero” mangiasse chissà quali schifezze... anche se dovevo mandarlo a svolgere lavori in casa di privati c’erano diffidenze... non lo si poteva lasciare da solo, bisognava stare attenti alle sue mosse... Per me è stato come adottare qualcuno, in un certo senso ho dovuto imporlo, sorvolare sulle diverse critiche che gli altri lavoratori mi sottoponevano... lui di fatto era controllato a distanza... come lavorava... soprattutto se arrivava tardi sul lavoro (succedeva spesso perché non aveva mezzi adeguati per spostarsi o conviveva in situazioni difficili con altri connazionali), mi dicevano che ero troppo tollerante, che trattavo meglio lui di loro, che facevo differenze... c’era gelosia. Forse era vero... per evitare che ritardasse gli ho regalato un vecchio motorino che non usavo più. Lui lo ha probabilmente prestato a qualche suo amico connazionale... sta di fatto che l’hanno distrutto... forse in un incidente, per cui si è ritrovato senza mezzi per arrivare puntuale al lavoro... Non so se è un comportamento diffuso, ma tra connazionali si aiutano, c’è una sorta di “clan”... se uno trova un lavoro, appena può tenta di far assumere anche un proprio connazionale. Ora è diventato molto bravo, anche se continua ad essere discontinuo nelle presenze e non sempre arriva puntuale sul lavoro. Nel realizzare muri in pietra a vista, ad esempio, è meglio degli italiani... è preciso, pignolo e veloce... Sul versante delle relazioni extralavorative posso dire che organizziamo cene, si festeggiano compleanni. C’è un buon cameratismo, si ride, si scherza, ma permangono le gelosie... sembra quasi che gli altri, gli italiani, non vogliano ammettere che lui è diventato bravo quanto e forse più di loro e non accettano che io tolleri i suoi ritardi e sue le assenze più alte della media motivate nei modi più disparati...”. Il secondo datore di lavoro a sua volta ha sottolineato: “... lavorare nel settore, comunque, è sempre più difficile... sono sempre meno i giovani italiani disponibili ad imparare il mestiere e gli stranieri, non tutti forse... hanno spesso un solo obiettivo... guadagnare... non importa la qualità del lavoro... bisogna controllarli continuamente per indurli a fare le cose come si deve... Sta venendo meno, anche tra gli italiani, la passione per il proprio lavoro, la soddisfazione d’averlo svolto “a regola d’arte” e, forse, l’inserimento di molti stranieri è anche il sintomo di questo decadimento... I polacchi, ad esempio, si sono organizzati... c’è qualcuno che li organizza in squadre, su richiesta, li manda a svolgere i lavori più pesanti di sbancamento, di sgombero aree, di demolizione... arrivano, lavorano anche dieci o dodici ore, fanno una fatica incredibile, poi tornano in patria... pronti a ripartire per altri lavori... Alcuni datori di lavoro con cui intrattengo da anni rapporti di amicizia mi hanno segnalato che i “vecchi” muratori, quelli “bravi”, abituati a lavorare in situazioni di mercato meno competitive e più attente alla qualità, fanno fatica ad adattarsi alla nuova situazione... Nell’assunzione mas-
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siccia di stranieri (marocchini, tunisini, albanesi) vedono un abbassamento della qualità del lavoro, una sorta di “imbarbarimento” delle relazioni nei luoghi di lavoro e l’avvio di un processo che abbassa le tutele sul piano della sicurezza e delle retribuzioni... e allora se ne vanno... cercano imprese dove non ci sono stranieri... dove pensano che si punti ancora sulla qualità delle realizzazioni, invece che ad un ribasso generalizzato dei costi... dal materiale più scadente e meno costoso utilizzato nelle pavimentazioni, nell’idraulica, negli impianti elettrici, negli infissi... agli intonaci premiscelati che non fanno traspirare a sufficienza i muri e si sfarinano facilmente perché realizzati con poca calce e con sabbia entrambe di scarsa qualità... Io sto puntando alla qualità... lo dico subito ai miei committenti... cerco di tenermi stretti quei 4-5 operai “bravi”, di fiducia... so che posso fidarmi di loro anche quando non sono in cantiere...”. Si tratta di due interviste che delineano a sufficienza lo stato delle relazioni nei contesti di lavoro e i cambiamenti in atto sul piano produttivo. Nella morsa della competizione e della riduzione dei costi sembra non esservi spazio per la formazione, soprattutto sul versante della sicurezza, come si può evincere anche dalle risposte ottenute ad alcuni quesiti in materia. Ad esempio: - alla domanda se l’azienda ha interesse per la formazione dei propri dipendenti si sono riscontrate le seguenti risposte: in 24 casi “Sì, si interessa” (6 su 10); in 15 casi “No, non ha interesse” (4 su 10); in 2 casi “Non lo so”; - alla domanda inerente gli eventuali corsi sulla sicurezza frequentati, solo 7 lavoratori (5 italiani e 2 stranieri) hanno risposto affermativamente. Sono soprattutto gli stranieri a dichiarare il disinteresse del datore di lavoro verso la formazione (9 casi su 17) e d’aver appreso (8 casi) le tecniche necessarie a svolgere il proprio lavoro soprattutto tramite affiancamento a colleghi esperti. Hanno dichiarato, invece, d’aver partecipato a corsi di formazione in aula 13 italiani (5 su 10), contro 4 stranieri (2 su 10). Se si tiene conto che le interviste si sono svolte in pieno inverno e che, pertanto, si sono coinvolti soprattutto i lavoratori che hanno un rapporto più stabile con l’impresa, le risposte ottenute testimoniano adeguatamente le difficoltà che attraversa il settore, anche sul versante delle relazioni lavorative.
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Le condizioni di lavoro nel “Metalmeccanico” In una dichiarazione a verbale del CCNL dei Metalmeccanici si afferma che l’industria metalmeccanica, a cui va applicato il Contratto, comprende gli stabilimenti: a) nei quali la lavorazione del metallo abbia una presenza esclusiva, prevalente o quantitativamente rilevante; b) che tradizionalmente sono considerati affini ai metalmeccanici come unità di produzione e/o di servizio; c) che evidenziano significative interconnessioni con il settore metalmeccanico come unità di produzione e di servizio, di ricerca, di progettazione e sviluppo. Per meglio definire le imprese che possono considerarsi metalmeccaniche si procede, inoltre, all’indicazione di specifici settori, quali: • il Siderurgico, che comprende gli stabilimenti di produzione della ghisa di prima fusione, dell’acciaio, delle ferroleghe, dei sottoprodotti come blumi, billette, bidoni, grossi e medi fucinati, dei laminati e trafilati con processo iniziale a caldo, dei tubi laminati e trafilati con processo iniziale a caldo, della latta; • l’Autoavio, che comprende gli stabilimenti addetti alla costruzione in serie delle autovetture, degli autocarri e degli aeromobili, nonché quelli impegnati nella costruzione in serie di carrozzerie; • l’Elettromeccanico ed Elettronico, che comprende gli stabilimenti di produzione di macchine e macchinari che utilizzano elettricità e nei quali la parte elettrica sia tipica e di importanza fondamentale come ad esempio: le macchine elettriche, le apparecchiature elettriche complesse, gli strumenti di misura elettrici, gli apparecchi per telefonia, radiotelegrafia, radio-tecnica, elettronica e gli elettrodomestici (fabbricazione completa e in grandi serie); • le Fonderie di seconda fusione, che comprende gli stabilimenti di fusione della ghisa e/o dell’acciaio in getti; • il Cantieristico, che comprende gli stabilimenti di costruzione, riparazione e demolizione di navi, compreso l’esercizio di bacini di carenaggio; • la Meccanica generale, che comprende gli stabilimenti dove si svolgono tutte le altre attività indicate nel campo di applicazione del Contratto. Si tratta di un campo di attività estremamente vasto e complesso, con confini non sempre definibili in modo chiaro e preciso. L’indagine svolta, però, si è concentrata su 18 imprese che evidenziano la compresenza di lavoratori italiani e di lavoratori stranieri e che svolgono la loro attività nei seguenti ambiti produttivi: “Carpenteria metallica” 9 U.L.; “Fonderie di seconda
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fusione” 3 U.L.; “Fonderie leggere” 1 U.L.; “Impiantistica elettrica industriale” 2 U.L.; “Produzione di impianti e macchinari” 3 U.L.. Si tratta, in tutti i casi, di ambiti produttivi dove si prevedono spesso lavorazioni faticose, su turni anche notturni, con luoghi di produzione particolarmente costrittivi (per fonti rumorose dovute alla lavorazione delle lamiere, per esposizione al calore generato dai forni, per fumi prodotti dalle lavorazioni, ecc.). Il processo di produzione nell’ambito della “Carpenteria metallica” si articola in almeno quattro fasi: “predisposizione dei macchinari, delle attrezzature e degli utensili per la lavorazione dei metalli”; “taglio dei materiali metallici”; “deformazione/saldatura dei materiali metallici”; “rifinitura e assemblaggio pezzi e insiemi metallici”. La sommaria descrizione della giornata di lavoro degli intervistati che lavorano in questo ambito delinea lo svolgimento di compiti su due turni giornalieri: - “... arrivo alle 6,00 – 6,15, preparo il mio disegno e quello degli altri... quindi sia il mio lavoro che quello degli altri... Poi dò retta a tutti tutto il giorno... Siamo 7 capi reparto ed organizziamo circa 200 operai... pausa pranzo a mezzogiorno e ripresa del lavoro alle 13,30 e così via... (italiano, quarantunenne, caporeparto)”; - “... la mattina si arriva 15 minuti prima dell’orario, si timbra e si va negli spogliatoi, ci si cambia... Si aspetta il suono della sirena per iniziare il lavoro. Nel mio reparto siamo in coppia, siamo in sei su tre macchine. Ma siamo uno per ogni macchina perché si fanno due turni... Si segue la macchina che carica e scarica i pezzi... si controlla che tutto vada come da programma... Se si finisce una lavorazione, si riprogramma la macchina... non ci sono pause (italiano, trentunenne operatore meccanico qualificato)”; - “... inizio alle 7,50... accendo la macchina... taglio le lamiere fino alle 12,00 quando facciamo la pausa pranzo di 1 ora... Poi si riprende fino alle 17,30 (italiano, venticinquenne, operatore meccanico qualificato)”; - “... ho iniziato alle 7 e ho lavorato con i tubolari e con le piastre... ho montato inferriate... pausa pranzo di mezz’ora... poi avanti fino alle 18,00 (ucraino, quaranticinquenne, manovale meccanico)”; - “... ho iniziato alle 14,00 fino alle 22,00... fatto stampati e tranciatura... (marocchino, quarantatreenne, operatore meccanico qualificato)”. Nell’ambito delle “fonderie di seconda fusione”, il metallo da lavorare ha già subito una prima fusione in altoforno e si presenta di solito in forma di pani. Questi vengono fusi di nuovo e colati in appositi stampi in modo da ottenere il “getto”, cioè il pezzo che si intende realizzare. Tradizionalmente queste fonderie vengono classificare in tre categorie principali: “Fonderie in terra”, in quanto gli stampi di colata vengono realizzati con “terra di fonde-
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ria” (è il modo esclusivo per dare forma alla ghisa fusa); “Fonderie in conchiglia”, in quanto gli stampi utilizzati divisi a metà sono in acciaio (da qui il nome di stampo a conchiglia), mentre il materiale fuso non può essere la ghisa, che richiede temperature molto alte (intorno ai 1.200° C), ma alluminio, bronzo, ottone, ecc., con temperature intorno ai 700° C.; “Pressofusioni”, ovvero fonderie in conchiglia sottopressione, per cui il metallo fuso (l’alluminio) viene iniettato tramite un pistone nello stampo. Nel territorio ferrarese, la maggior parte delle fabbriche metalmeccaniche di media dimensione (in termini di addetti) e, soprattutto di grande dimensione, non hanno alle loro dipendenze lavoratori stranieri. Questi ultimi risultano, però, quasi sempre presenti negli stabilimenti delle grandi fabbriche metalmeccaniche ferraresi come dipendenti delle imprese chiamate a svolgere, in appalto, attività di servizio e/o accessorie alla produzione (come l’imballaggio, la manutenzione, la gestione dei magazzini). Gli altri processi legati alla “Impiantistica elettrica industriale” e alla “Produzione di impianti e macchinari”, risultano alquanto eterogenei e non si hanno, da parte degli intervistati, descrizioni adeguate per definirne le caratteristiche. I lavoratori intervistati nel settore sono 42, di cui 27 italiani e 15 stranieri (2 provenienti da Balcani, 3 dall’Africa Centro Occidentale, 5 dal Nord Africa, 2 dall’Europa dell’Est non comunitaria, 1 dal Pakistan e 2 dall’Europa dell’Est neo-comunitaria). Le donne intervistate sono 3 (2 italiane e 1 rumena). Tra gli italiani, 21 risultano nati in provincia di Ferrara, per cui la presenza di italiani provenienti da altre province (22,2%) è superiore alla media del campione intervistato. L’anzianità di lavoro dichiarata nella stessa U.L. non appare molto alta e segnala, forse, la costrittività del lavoro svolto da molti addetti che, quando possono, si spostano verso altre professioni. Infatti: 12 (3 su 10) vi lavorano da oltre 6 anni, 8 (2 su 10) da 3 a 6 anni, 15 (4 su 10) da 1a 3 anni, 6 (1 su 10) da meno di 1 anno (1 non risponde). Le persone straniere intervistate hanno un’età media di 36,4 anni, contro i 37 anni degli italiani; nel complesso (italiani e stranieri) l’età media (36,8 anni) è relativamente bassa rispetto alla media dell’intero campione. Contrariamente alle aspettative, i livelli di “insoddisfazione” espressi verso il lavoro svolto sono simili a quelli rilevati nel complesso dell’indagine: 14 su 42 intervistati (il 33,3%, contro il 33,5% sul totale dei 200 intervistati). In dettaglio, si dichiarano insoddisfatti 8 italiani su 27 e 6 stranieri su 15. Per gli italiani e per gli stranieri il lavoro cercato non coincide con il lavoro svolto, soprattutto per la sua diversità rispetto agli studi svolti e all’esperienza lavorativa maturata; gran parte di essi, infatti, affermano d’averlo accettato spinti da necessità economiche.
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Tra coloro che si dichiarano soddisfatti, invece, degna di nota è la motivazione riguardante la congruenza del lavoro svolto con le abilità e le conoscenze tecniche acquisite (è il caso dei saldatori e degli operatori su macchine utensili); in diversi casi, soprattutto fra gli stranieri, prevale il valore positivo attribuito alla stabilità dell’inserimento lavorativo, rispetto alle situazioni di precarietà precedentemente sperimentate. Rispetto ai 42 lavoratori del settore intervistati, 14 conoscono la denominazione del CCNL loro applicato (33,3% , di cui 11 italiani e appena 3 stranieri). I restanti 28 intervistati non la conoscono, pur sapendo in gran parte il livello d’inquadramento (probabilmente perché citato sulla propria busta paga). Le retribuzioni percepite nell’ultimo mese attestano livelli di reddito non molto elevati, nonostante il lavoro su turni, faticoso, in luoghi pericolosi e costrittivi. Infatti, hanno percepito nell’ultimo mese: - da 801 a 1.000 euro, 7 intervistati (5 italiani e 2 stranieri); - da 1.001 a 1.300 euro, 16 intervistati (10 italiani e 6 stranieri); - da 1.301 a 1.500 euro, 10 intervistati (7 italiani e 3 stranieri); - da 1.501 a 2.000 euro, 7 intervistati (3 italiani e 4 stranieri); - oltre 2.000 euro, 2 intervistati (italiani). Tutti gli intervistati risultano assunti a tempo pieno e soltanto uno di essi (maschio, straniero) dichiara di svolgere un altro lavoro per meno di 20 ore settimanali. Affermano di vivere “condizioni di lavoro problematiche” 15 intervistati (in gran parte italiani); quasi tutti segnalano tra gli aspetti problematici il luogo fisico di lavoro (caldo, polveri, rumori, ecc,) e la fatica. Ottenere permessi per assentarsi dal lavoro, anche per periodi di lunga durata, non presenta alcuna difficoltà per la stragrande maggioranza degli intervistati; solo uno di essi afferma che non è facile ottenerli, ma che comunque li ottiene. Pochi, però, riescono a programmarli, mentre tutti affermano di preavvisare i responsabili aziendali e/o i propri superiori diretti. Quasi tutti gli intervistati, inoltre, affermano che i permessi richiesti vengono retribuiti (39 su 42), per cui sembrano non sussistere problemi con i responsabili aziendali. Soltanto 3 stranieri segnalano l’insorgere di difficoltà legate ad assenze prolungate effettuate per ragioni familiari. Circa 2 intervistati su 3 (29 su 42) hanno intrattenuto rapporti di lavoro con altre imprese ed oltre un terzo (14) valuta di aver “cambiato spesso” il proprio datore di lavoro, per ragioni legate alla ricerca/reperimento di una condizione migliore, con gli stranieri che segnalano soprattutto il non rispetto dei propri diritti nell’ambito dei precedenti inserimenti lavorativi.
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Alla domanda se i compiti svolti personalmente siano uguali a quelli svolti dai colleghi, 14 rispondono negativamente, motivando le differenze con l’attribuzione di compiti diversi per ragioni organizzative, con il possesso personale di abilità e capacità diverse e spesso superiori agli altri dipendenti. Ma non mancano alcune segnalazioni che testimoniano disparità di trattamento: - “... a livello organizzativo ci sono italiani, a livello operaio stranieri (italiano, trentunenne che dichiara anche di possedere conoscenze tecniche superiori e di essere responsabile della produzione di reparto)”; - “... necessità diverse per mansione... Non c'è rotazione dei compiti duri (italiano, trentunenne, assunto da pochi mesi)”; - “... mi stacca e mi divide in più lavori, gli altri no... (marocchino, trentaduenne, assunto da pochi mesi)”. In merito alla possibilità che vengano assegnati compiti di “fiducia”, 38 intervistati ritengono di riscuotere la fiducia del proprio superiore, uno di essi aggira la domanda rispondendo: “ ... ognuno svolge i propri compiti... (italiano, quarantatreenne, assunto da meno di un anno)”; uno si ritiene discriminato affermando: “... sono straniero... non si fida (ventenne, nigeriano, assunto da pochi mesi)”; un altro attribuisce la mancanza di fiducia al fatto di “... essere giovane, assunto da poco ... (italiano, trentunenne, inserito da poco più di 3 mesi)”; e, infine, un altro asserisce: “... non so se si fida o meno... (marocchino, trentatreenne, assunto da più di tre anni)”. Alla domanda sulle eventuali difficoltà incontrate sul lavoro, si sono registrate le seguenti risposte: - per 17 lavoratori (4 su 10), 10 italiani e 7 stranieri, “nessuna difficoltà”; - per 25 lavoratori (6 su 10), 17 italiani e 8 stranieri, “ho avuto difficoltà”. Le difficoltà segnalate erano motivate da: “scarsa formazione e scarse abilità tecniche” per 12 intervistati; “scarsa collaborazione tra colleghi” per 5 intervistati; “tensione e scarso rispetto tra colleghi” per 2 intervistati; “mezzi e macchinari inadeguati” per 2 intervistati; “incongruenze nel governo dei processi di lavoro” per 2 intervistati; “rapporti difficili con l’utenza” per 1 intervistato; “scarsa retribuzione” per 1 intervistato. Solo in un caso (quarantacinquenne, ucraino), l’aiuto ad affrontare le difficoltà incontrate è stato fornito dai colleghi; 22 intervistati affermano d’aver usufruito dell’aiuto del proprio superiore e/o del proprio datore di lavoro; mentre in 2 casi (un italiano e uno straniero, entrambi maschi) si lamenta la mancanza di qualsiasi aiuto da parte di terzi. Rispetto ai 42 intervistati, 7 (3 italiani e 4 stranieri) ritengono che non ci sia controllo sul lavoro che essi svolgono. I rimanenti 35 sanno che esiste un controllo sul lavoro svolto da parte di altri lavoratori appositamente abili-
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tati/autorizzati o gerarchicamente superiori. Nella quasi totalità dei casi si afferma che la distribuzione dei compiti è svolta, analogamente al controllo, dai diretti superiori, dai responsabili di produzione o direttamente dai titolari; fanno eccezione 2 intervistati che, in modo anomalo, la attribuiscono ai colleghi, mentre un intervistato non sa come questa distribuzione avvenga. I criteri che ispirano la distribuzione dei compiti, secondo i 41 dei 42 intervistati (uno non sa/non risponde), sono: - una rigida separazione dei compiti per 28 persone (7 su 10) di cui 16 italiani e 12 stranieri), in gran parte personale inserito nei cicli di produzione di impianti e macchinari e delle fonderie leggere; - le abilità e delle capacità dei soggetti, per 6 persone (5 italiani e 1 straniero), in prevalenza addetti qualificati nella gestione di parti di processo; - dettati dalle esigenze di produzione, per 3 persone (italiane), qualificate nella gestione di parti di processo; - senza alcuna discriminazione, per 3 persone (2 italiani e 1 straniero), inseriti in imprese della carpenteria metallica; - con criteri discriminanti fra italiani e stranieri, per 1 maschio straniero, inserito in una fonderia leggera. Si tratta di risposte eterogenee che sembrano dettate sia dal grado di diversità dei compiti svolti nell’U.L, sia dalla diversità dei rispettivi processi produttivi di inserimento. Emerge soprattutto un’ampia accettazione del contesto organizzato, dove ognuno sembra occupare una “casella” rigidamente definita. Chi esercita attività ritenute superiori e/o di responsabilità – anche minima – sembra privilegiare affermazioni incentrate sulle abilità personali e sulle esigenze di produzione. Restano, così, in secondo piano o del tutto latenti altri criteri che influenzano la distribuzione dei compiti tra “vecchi” e “nuovi”, soprattutto se straneri. La denuncia dei criteri discriminanti, avanzata da un maschio straniero, non è colta dagli altri colleghi italiani inseriti nella stessa azienda. L’alibi che giustifica ogni discriminazione è la rigidità dei processi di lavoro, l’incasellamento di ogni lavoratore in quella stessa rigidità o il possesso di abilità e di conoscenze tecniche ritenute diverse o più significative rispetto a coloro che svolgono compiti ritenuti inferiori. Questa osservazione consente di comprendere le ragioni per cui gli intervistati, con poche eccezioni, affermano di essere trattati in modo analogo ai propri colleghi, negano l’esistenza di tensioni e/o conflitti e non prendono in considerazione altre variabili che sottostanno alle scelte di distribuzione dei compiti. Non va, tuttavia, trascurata la dichiarazione di un italiano (cinquantacinquenne, fonditore esperto) che afferma: “... io non ho problemi, ma gli stranieri attorno hanno paura di parlare... perché hanno paura di perdere il
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posto...”; a cui si aggiunge la dichiarazione di un altro italiano (trentunenne, addetto al controllo degli scarti di lavorazione) che sottolinea: “... altre persone hanno avuto problemi derivanti, spesso, dalla loro provenienza...” Dall’intervista realizzata con un datore di lavoro emerge che, nell’attribuzione dei compiti e nell’assegnazione ai reparti si tiene particolarmente conto: dell’adattabilità al lavoro in squadra dei singoli soggetti, della resa produttiva misurata nelle diverse postazioni di lavoro, della disponibilità oraria e settimanale al lavoro in relazione alle esigenze di produzione. Nel caso di lavoratori stranieri si considera molto importante un’adeguata conoscenza della lingua sia per comprendere le istruzioni del piano sicurezza, sia per interagire coi colleghi di lavoro. Questo datore di lavoro ritiene che, a volte, gli stranieri affermino d’aver compreso le istruzioni anche se ciò non corrisponde al vero perché temono di non essere assunti, sottovalutano le situazioni di pericolo e pongono al di sopra di tutto il bisogno di lavorare, anche se il lavoro quotidiano viene affrontato con molti problemi. Ad esempio, spesso non hanno mezzi di trasporto adeguati per raggiungere il luogo di lavoro (i mezzi pubblici non rispondono alle necessità, specie nel caso di un lavoro su turni, spesso si arriva tardi o si è costretti a partire molto presto), la situazione familiare (figli a carico, nessun parente a supporto), il complesso iter burocratico per rinnovare i documenti, ma anche la fatica ad adattarsi alle condizioni di lavoro della fabbrica, incrementano in molti casi i giorni d’assenza dal lavoro. Il complesso dei problemi citati, inoltre, può influenzare negativamente la qualità del lavoro prestato e far lievitare i rischi d’infortunio, specialmente quando ci si presenta al lavoro già stanchi e si fa fatica a stare concentrati sul lavoro da svolgere; così, alcuni lavori vengono affrontati in modo poco corretto, senza considerare i rischi d’infortunio e manifestando insofferenza verso i mezzi di protezione. Stanchezza, scarsa concentrazione e inadeguato utilizzo dei mezzi di protezione caratterizzano, a volte, anche lo svolgimento dei compiti da parte di cittadini italiani che, soprattutto, nel fine settimana abusano di alcolici o fanno uso di sostanze stupefacenti. Questa situazione è stata segnalata da diversi datori di lavoro intervistati nella fase di pianificazione delle interviste ed appare supportata dai dati Inail relativi agli infortuni sul lavoro e/o in itinere, mentre ci si reca al lavoro8. Altri aspetti che hanno alimentato situazioni di potenziali conflitto e di emarginazione di alcuni lavoratori stranieri sono lo scorretto utilizzo dei servizi igienici e la scarsa pulizia personale e il cibo consumato nella sala mensa che, per i lavoratori italiani appare disgustoso e maleodorante. 8“
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Indagine nazionale sull’abuso di alcool”, periodo 2007-2008, Casellario Centrale Infortuni Inail.
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Le relazioni tra lavoratori in questi casi diventano difficili, anche durante le pause gli stranieri tendevano ad isolarsi, a non fare gruppo. Il datore di lavoro intervistato, ad esempio, ha sottolineato: “... un cittadino pakistano che avevo assunto da poco... se ne stava da solo per tutta la durata della pausa pranzo... sdraiato per terra su dei cartoni suscitava critiche e alimentava gli atteggiamenti di emarginazione... Alcuni stranieri li ho presi in carico... facevo il giro con l’auto, li caricavo in modo che potessero arrivare puntuali, oppure li ho aiutati a trovare un alloggio decente... ma questo suscitava gelosie da parte degli altri lavoratori che giudicavano non equo e troppo tollerante il mio comportamento... e poi... questi rapporti quasi amichevoli finivano col sovrapporsi alle esigenze lavorative... alcuni stranieri tendevano ad approfittarne, ad aumentare la richiesta di aiuto. Perdevo autorità, soprattutto quando le relazioni scivolavano troppo sul personale e restavo coinvolto anche emotivamente nelle loro vicissitudini...”. Su invito del datore di lavoro si procede ad una breve perlustrazione alle linee di produzione: “... gli operai, sono in piedi presso il proprio banco e/o presso la propria macchina utensile, controllano le varie fasi di taglio delle barre o delle lamiere di metallo, altri procedono alla sbavatura e alla sagomatura dei pezzi; altri ancora saldano tra loro alcune componenti... Ogni tanto si fa una tappa... ci vengono presentati diversi lavoratori stranieri... Alcuni sorridono... parlano poco e male l’italiano e si aiutano con i gesti... per lo più ascoltano il nostro accompagnatore che parla di loro e del lavoro che svolgono (da dove vengono, se hanno fatto corsi, con quale contratto sono stati assunti)... un lavoratore cinese, di bassa statura, lo sguardo abbassato, ci guarda appena... “lavora a testa bassa - ci dice la persona che ci accompagna – ma non ha ancora imparato l’italiano... usa solo qualche parola”... Il capannone è ben illuminato e aerato, i macchinari sono poco rumorosi e in gran parte automatizzati, ma ognuno è solo nella sua postazione... di fianco o di fronte sono accatastati i pezzi grezzi da lavorare, è difficile interagire con gli altri lavoratori. Si notano alcuni rapidi cenni tra loro, fatti di sguardi e di ammiccamenti... poi l’attenzione torna alla macchina assegnata e al lavoro da svolgere. E così si comprende che l’unico momento di interscambio verbale è durante la pausa pranzo, in sala mensa; ma c’è poco tempo... il nostro accompagnatore ci riferisce che il lavoratore cinese se ne sta appartato... che le cosce di pollo affondate nel brodo tengono alla larga i commensali... poi ci presenta un giovane marocchino... ci dice, a bassa voce, che lui non ha grande stima dei marocchini, viste le precedenti esperienze negative... poca puntualità, difficoltà di interazione con gli altri, prestazioni lavorative appena sufficienti..., ma questo ragazzo sottolinea “si è
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già ben integrato, mangia all’italiana, parla benissimo l’italiano ed è preciso e pulito nel suo lavoro”... il giro è ormai finito e restiamo un po’ frastornati... abbiamo fatto visita ad una delle migliori imprese meccaniche del ferrarese, soprattutto per l’attenzione con cui gestisce il proprio personale...”. Se si considerano tutte le interviste svolte nel settore, non emerge una direzione univoca sul processo di convivenza/interazione tra lavoratori italiani e lavoratori stranieri. Fondamentale risulta l’orientamento dei singoli, la loro capacità e la loro volontà di attivare relazioni, in un contesto organizzato che non le prevede, attento soltanto ai risultati produttivi. Quando ci si percepisce come troppo diversi sembra prevalere la diffidenza, l’esperienza compiuta con alcuni (specie se negativa) alimenta forme latenti di pregiudizio. Si rischia di “etichettare” per paese di provenienza i “vizi” e le “virtù” che, invece, fanno parte delle caratteristiche dei singoli. Chi non li evidenzia è spesso considerato una eccezione. Manca la curiosità, la voglia di mettersi in gioco, di conoscere le abitudini e le ragioni dell’altro. Forse non si ha il tempo per farlo, il lavoro e il suo contesto sono un vincolo, una costrizione da accettare per tirare avanti. Anche quando lo straniero è percepito ormai simile ai tanti italiani, prevale l’indifferenza e, a tratti, la gelosia se fa carriera, se viene considerato molto bravo dal datore di lavoro. Secondo 21 intervistati (la metà dei 42), l’azienda non ha interesse a formare i propri dipendenti, 2 intervistati non sanno cosa rispondere, mentre 19 ritengono che tale interesse sussista, dato che hanno partecipato ad attività formative. Appena 5 intervistati affermano di essere stati coinvolti in corsi sulla sicurezza (3 italiani e 2 stranieri).
Le condizioni di lavoro nei “Pubblici Esercizi” Le U.L. coinvolte nell’indagine, se si segue la classificazione Istat delle attività economiche, fanno parte delle “Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione” e delle “Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento”. Nel dettaglio, infatti, si sono realizzare 30 interviste a lavoratori occupati in 12 U.L., così suddivise: - 27 interviste a lavoratori occupati in 11 U.L., rientranti nelle “Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione” e, in particolare, nei sottosettori “ristoranti e attività di ristorazione mobile”, con 21 interviste presso 7 U.L.; “fornitura di pasti preparati (catering) e altri servizi di ristorazione”, con 4 interviste presso 2 U.L.; “alberghi e strutture simili”, con 4 interviste presso 2 U.L.; - 3 interviste a lavoratori occupati in una U.L., inseribile tra le “Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento” e, in particolare, nel sottosettore delle “ lotterie, scommesse, case da gioco”, con annesso bar e sala di ristoro.
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Si tratta, soprattutto, di attività che forniscono servizi alle persone nei momenti in cui sono libere da impegni lavorativi e che , pertanto, denotano una distribuzione dell’orario di lavoro che si estende ai week-end e ai periodi festivi. I lavoratori del settore, come sottolineato da alcuni datori di lavoro contattati per concordare le interviste, lavorano quando la maggioranza dei cittadini non lavora. In molti casi, specie nelle località turistiche, il lavoro cala o cresce, seguendo un andamento stagionale, per cui i dipendenti del settore sono spesso assunti per brevi periodi spesso a tempo determinato e a tempo parziale, per far fronte alle variazioni di flusso della clientela. Le 30 interviste svolte nel settore hanno coinvolto: 18 cittadini italiani, di cui 14 donne e 4 uomini e 12 cittadini stranieri, di cui 7 donne e 5 uomini (3 ucraini, 2 albanesi, 2 rumeni, 2 iraniani, 1 marocchino, 1 filippino). Tra gli italiani, solo 9 risultano nati in provincia di Ferrara, per cui la presenza di italiani provenienti da altre province (50%) risulta decisamente elevata e si accompagna, come nel settore agricolo, ad un consistente ricorso a lavoratori di sesso femminile e di provenienza straniera. Le interviste realizzate appaiono, pertanto, molto coerenti con i dati statistici del settore. Secondo un’indagine “Eurisko” commissionata dalla Fipe (Federazione degli Esercizi Pubblici della Confcommercio), nel 2009 il 26% degli esercizi ha impiegato lavoratori immigrati. In testa figurano le pizzerie con il 35% circa, seguite dai bar e dai pub ciascuno con il 16% circa. In base alla nazionalità, primeggiano le presenze dei rumeni (26% circa) e degli albanesi (20% circa), seguiti dai marocchini (13% circa), dai polacchi (10% circa) e dagli ucraini (7% circa). Nelle varie regioni d’Italia emergono orientamenti diversi tra gli esercenti; quelli del Nord Ovest vedono nell’inserimento degli stranieri uno strumento di forte integrazione; quelli del Sud pongono l’accento sui vantaggi gestionali (minor costo – maggiore flessibilità); quelli del Centro affermano che si tratta di una scelta quasi obbligata, dato che gli italiani disponibili sono inferiori alle necessità; gli esercenti del Nord Est, infine, sembrano opporre resistenze maggiori, anche se le difficoltà nel reperire personale italiano, li costringe comunque a ricorrere a personale straniero. Secondo questa indagine, chi ha fatto ricorso a lavoratori stranieri appare meno critico sul loro inserimento, valuta in modo più razionale il loro apporto lavorativo e tende a superare i preconcetti. Ci sono, però, diverse difficoltà iniziali da affrontare: l’apprendimento adeguato della lingua italiana, la regolarizzazione, l’aiuto nella ricerca di un alloggio e nell’inserimento lavorativo – relazionale con gli altri lavoratori. Nella maggior parte dei casi gli immigrati sono considerati “motivati”, “disponibili ad apprendere”, “rispettosi” e “flessibili” nei confronti del cliente; mentre le difficoltà maggiori sarebbero legate alla scarsa conoscenza
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della lingua (di ostacolo al dialogo e alla comprensione reciproca) e a una diversa concezione dei “ritmi” e della “igiene” (legata all’esperienza e alla cultura assunta nel contesto familiare nei luoghi d’origine, più che all’appartenenza etnica). Il 69% circa degli esercenti ritiene che ormai la clientela abbia accettato d’essere seguita da personale straniero, ma il 40% sospetta che questa presenza non sia del tutto gradita agli utenti (cala la fiducia, emergono remore a frequentare il locale, ecc.). Un sospetto che sale al 48% tra gli esercenti che non utilizzano personale straniero. Il 59% di chi fa ricorso a dipendenti stranieri ritiene che la loro presenza non comporti cambiamenti sostanziali ai servizi resi ai clienti. La stragrande maggioranza dei titolari, inoltre, ritiene fondamentale l’inserimento degli stranieri in appositi percorsi di formazione. Per quanto riguarda l’inquadramento professionale, nella presente indagine, si sono intervistati: 9 “camerieri”, 5 “aiuto cuochi”, 3 “cuochi”, 3 “pizzaioli”, 3 “baristi”, 3 “commessi”, 2 “portieri/addetti alla reception”, 1 “porta pizze a domicilio” e 1 “impiegato amministrativo”. Per comprendere il loro orientamento verso il lavoro da svolgere, possono essere interessanti le brevi descrizioni della giornata lavorativa rilevate tramite l’intervista. Queste mettono in rilievo la routine giornaliera, un atteggiamento di “sufficienza-sottovalutazione” verso il lavoro quotidiano: - “... serata tranquilla, non c’era tanta gente e, quindi, si è lavorato bene... Ho lavorato dalle 19,00 alle 22,00, svolgendo il mio servizio in sala... nessuna variazione rispetto ai miei compiti... (albanese, ventenne, cameriera)”; - “... quando arrivo la mattina di solito prendo un caffè... chiedo al ricevimento quello che c’è da fare... mi metto a lavorare. Ho una pausa verso mezzogiorno... un’ora per il pranzo... Ora che la cucina è chiusa (è finita la stagione estiva) sistemo anche le camere per i clienti che pernottano nell’albergo... poi passo ai piani successivi... preparo la loro chiusura per tutto l’inverno... faccio qualche piccolo lavoro di pulizia in preparazione della prossima stagione: lavo le tende, controllo la scadenza dei prodotti del frigo-bar presente nelle stanze, pulisco i tappeti, ecc... (rumena, quarantenne, aiuto cuoco)”; - “... il mio è un lavoro di routine: prendo le cartelle, le porto ai tavoli, vendo le cartelle, consegno i premi e torno alla cassa, versando tutto il ricavato... poi riprendo il giro... una partita dopo l’altra fino all’una/due di notte... (italiana, quarantunenne, commessa-cassiera)”; - “... l’ultima giornata è stata domenica... (lunedì è il giorno di chiusura) sono andato la mattina alle 9,30... ho preparato la sala, apparecchiato per il pranzo... ho fatto servizio ai tavoli fino alle 15,30 (la domenica si lavora sempre un po’ di più)... mezz’ora di pausa, poi ho sistemato i tavoli per la
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sera e ho fatto un po’ di pulizie perché alle 17,00 iniziava il turno serale ed il wine bar era già pronto... (italiano, quarantasettenne, cameriere)”; - “... ho lavorato dalle 8,00 alle 16,00: ho rifatto le camere... poi ho pulito l’esterno, spazzato, e lavato... infine ho caricato i carrelli con la roba (lenzuola, asciugamani, biancheria) da portare ai piani per il prossimo cambio (ucraina, trentunenne, cameriera ai piani)”; - “... è stata una giornata come le altre... ho preparato la cucina per essere pronto all’arrivo dei clienti... alcune verdure e le pietanze... ho fatto questo sia nel turno diurno, sia nel turno serale... la mattina ho cominciato alle 10,30 e ho finito alle 14,30... la sera sono arrivato alle 18,30 e ho proseguito fino alle 22,00 circa, quando la serata si è conclusa... (filippino, quarantaduenne, cuoco)”; - “... ho preparato delle insalate e degli insalatoni misti, ho cotto le verdure e la pasta per i clienti, ho preparato il ragù, ho lavato i piatti, i bicchieri, i vassoi e ho servito i clienti al banco... ho fatto il turno dalle 6,30 alle 15,30, con due brevi pause... (italiana, trentaseienne, cuoca – barista)”. L’anzianità di lavoro maturata nell’ultima U.L. risulta alquanto bassa, probabilmente in relazione alla “stagionalità” degli inserimenti al lavoro e al forte turn-over, tipico del settore: si tende a cambiare spesso datore di lavoro, approfittando delle numerose opportunità lavorative stagionali che offrono i diversi contesti turistici (al mare, in collina, in montagna, ecc.). Dalle interviste, infatti, emerge che 4 lavorano nella medesima impresa da oltre 6 anni, 9 da 3 a 6 anni, 10 da 1 a 3 anni, 5 da 6 a 12 mesi, 2 da 3 a 6 mesi. Le persone straniere intervistate sono in media (34,5 anni) un po’ più giovani di quelle italiane (36,7 anni). La consistente presenza nel settore di lavoratori stranieri, tendenzialmente più giovani degli italiani, è un indizio plausibile di un processo di “sostituzione”, magari solo parziale, dei lavoratori autoctoni con lavoratori stranieri, soprattutto nei compiti più gravosi (come lavapiatti, aiuto cuoco, camerieri di piano, ecc). I livelli di “insoddisfazione” verso il lavoro svolto sono leggermente inferiori alla media del campione (8 casi, pari al 26,7%, contro il 28,8% dell’intero campione), ma si dichiarano poco soddisfatti soprattutto gli stranieri (6 su 12) e, in particolare, le donne straniere che hanno dovuto accettare l’attuale condizione lavorativa per necessità economiche e familiari, nonostante il possesso di abilità, esperienze e titoli di studio diversi e/o più ampi rispetto a quelli richiesti dal contesto organizzativo. Molti di coloro che si proclamano “soddisfatti” (22 su 30), affermano anche che si trovano a svolgere un lavoro conforme alla propria esperienza e alla propria formazione (17 casi), mentre risultano soltanto 5 coloro che, pur essendo soddisfatti, dichiarano d’essersi adeguati.
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Rispetto ai 30 lavoratori del settore intervistati, solo 9 conoscono la denominazione del CCNL loro applicato (uno non sa poi indicare il proprio livello di inquadramento). Gli altri 21 intervistati non lo conoscono, pur sapendo in gran parte il livello d’inquadramento (letto forse sulla propria busta paga). Le retribuzioni percepite nell’ultimo mese, probabilmente per l’elevato numero di assunzioni a tempo parziale (14 su 30) risultano piuttosto basse: per 1 intervistato meno di 400 euro; per 9 intervistati da 401 a 800 euro; per 8 intervistati da 801 a 1.000 euro; per 11 intervistati da 1.001 a 1.300 euro (un intervistato non ha risposto). Due intervistati, inoltre, dichiarano di essere impegnati in attività di lavoro presso altre U.L., allo scopo di sopperire alle esigenze economiche personali e familiari. Soltanto 4 lavoratori dichiarano di vivere “condizioni di lavoro problematiche” per gli orari che spesso contrastano con le esigenze familiari e che tengono impegnati quasi tutto il giorno, per le pause e le frequenti interruzioni, pur se assunti con un contratto a tempo parziale. Non mancano, tuttavia, le segnalazioni di problemi legati al rapporto con i clienti, ritenuti poco rispettosi sia del lavoro altrui, di cui usufruiscono, sia delle regole di comportamento previste per i pubblici esercizi (si fuma, si sporca per terra, ci si rivolge ai lavoratori in modo brusco e poco rispettoso, ecc.). I permessi per assentarsi dal lavoro, anche per periodi di lunga durata, vengono concessi senza problemi per 28 su 30 intervistati, che cercano di programmarli, preavvisando i responsabili aziendali e/o i propri superiori diretti. Molto più articolate, invece, sono le risposte circa la retribuzione dei permessi richiesti, risposte che, comunque, confermano la scarsa conoscenza dei propri diritti contrattuali, in quanto: 4 ritengono che non vengano pagati; 24 che siano pagati; 2 non lo sanno. La stragrande maggioranza degli intervistati (25 su 30) ha intrattenuto rapporti di lavoro con altre imprese, ma soltanto 2 di essi ritengono di aver “cambiato spesso” datore di lavoro; una considerazione che in parte contrasta con i bassi livelli di anzianità lavorativa presso l’ultimo datore di lavoro (evidentemente questo convincimento è influenzato dalle caratteristiche di elevata mobilità lavorativa che contraddistinguono il settore, per cui si ritiene di cambiare datore di lavoro in modo analogo o addirittura meno di tanti colleghi). Alla domanda se i compiti svolti personalmente siano uguali a quelli svolti dai colleghi, solo 7 rispondono negativamente, motivando peraltro le differenze con l’attribuzione ad ognuno di specifici compiti utili a fornire i servizi richiesti dai clienti.
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Approfondimenti settoriali
In merito alla possibilità che vengano assegnati compiti di “fiducia”, 25 ritengono di riscuotere la fiducia del proprio superiore, 4 di essi aggirano la domanda rispondendo: “ ...tutti svolgono gli stessi compiti... oppure non è necessario che mi vengano affidati..”, mentre soltanto una donna italiana afferma che non le vengono assegnati, senza addurre motivazioni. Alla domanda sulle eventuali difficoltà incontrate sul lavoro, si sono registrate le seguenti risposte: - per 18 lavoratori (6 su 10), 10 italiani e 8 stranieri, “nessuna difficoltà”; - per 12 lavoratori (4 su 10), 8 italiani e 4 stranieri, le difficoltà sono in gran parte legate a carenze di conoscenze e di abilità personali e, quindi, di formazione (5 intervistati), a carenze sul versante delle scelte di coordinamento e controllo del lavoro da svolgere (4 intervistati), a scarsa collaborazione tra colleghi (2 intervistati), a conflitti con la clientela (1 intervistato). L’aiuto ad affrontare le difficoltà incontrate, in 5 casi è stato fornito dai colleghi, in 6 casi dal proprio superiore e/o dal proprio datore di lavoro e solo in un caso si sottolinea la mancanza di qualsiasi aiuto. In modo anomalo e contraddittorio 11 intervistati negano l’esistenza di controlli sul lavoro svolto, nonostante la loro attività richieda rapporti con la clientela e con altri colleghi che, in vario modo, debbono rispondere ai clienti dell’adeguatezza dei servizi prestati. La distribuzione dei compiti è svolta, secondo gli intervistati, dai diretti superiori, dai responsabili del servizio erogato o direttamente dai titolari. I criteri che ispirano tale distribuzione, secondo gli intervistati, sono: - una rigida separazione dei compiti, per 16 persone (9 italiani e 7 stranieri); - le abilità e delle capacità dei soggetti, per 8 persone (5 italiani e 3 stranieri); - dettati dal contesto organizzato, per cui non c’è necessità di ripartirli, in quanto tutti fanno lo stesso lavoro, per 1 persona (donna, rumena), addette alla distribuzione pasti; - dettati dalle esigenze di servizio, per 1 soggetto (maschio, filippino) inquadrato come “cuoco”; - senza alcuna discriminazione, per 3 soggetti (donne, italiane dipendenti di 3 diverse U.L.); - anche in base a preferenze personali, per 1 persona (donna italiana). Si tratta di risposte eterogenee che non sembrano trovare giustificazione nelle specifiche situazioni di lavoro, in quanto si tratta di contesti con un numero contenuto di addetti a cui il datore di lavoro richiede “adattabilità” e “attenzione” per soddisfare le esigenze della clientela.
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Approfondimenti settoriali
La pretesa “rigidità” delle scelte organizzative sembra rappresentare un inconsapevole “alibi”, dietro il quale difendersi, evitando di analizzare il contesto lavorativo. Le differenze, se ci sono, risultano dettate da una preesistente struttura organizzativa, assunta a priori come “modello organizzativo” a cui è naturale adattarsi. Secondo un datore di lavoro intervistato durante la pianificazione delle interviste, nell’attribuzione di compiti si tiene conto, oltre che delle conoscenze tecniche specifiche richieste dai compiti che si vogliono assegnare, della capacità di relazionarsi con la clientela, dell’aspetto esteriore in termini di pulizia e presentabilità, della disponibilità oraria giornaliera e settimanale al lavoro in relazione ai flussi di clientela. Su questi aspetti si sono spesso decise le periodiche riassunzioni stagionali (per gli stranieri addirittura il richiamo/reingresso dai rispettivi paesi di origine), come più volte sottolineato da alcuni responsabili delle U.L., con cui si è concordato lo svolgimento delle interviste. Ulteriori elementi di conoscenza delle condizioni di lavoro si sono ricavate dall’intervista svolta ad un responsabile del personale di un’azienda alberghiera, molto attento a evitare situazioni di irregolarità, soprattutto nei rapporti con il proprio personale dipendente: “... l’assunzione di personale poco preparato influisce negativamente sulla qualità del lavoro ed è conveniente solo per chi pensa che il prezzo sia la sola attrattiva in grado di richiamare clienti... assumere in modo regolare è svantaggioso sul piano strettamente economico, ma se si fa un discorso di prospettiva tutto questo non paga... chi è in regola è più motivato, lavora meglio, è più sereno... tutti aspetti che fanno presa sulla clientela... tanti preferiscono i “famosi” rumeni per risparmiare. Ci sono diversi alberghi dove lavorano per meno di 1.000 euro al mese, oppure con buona parte della retribuzione in nero... altri... i “tuttofare” percepiscono fuori busta anche 2.000 euro... vivono in albergo, non hanno orari e fanno di tutto... chi si affida a personale straniero sfrutta la loro presunta “flessibilità” e disponibilità al lavoro... in realtà sono spesso poco preparati... costano meno ed è questo che fa la differenza... il loro arrivo è organizzato da “agenzie”... una forma di caporalato, dato che in cambio i lavoratori riconoscono alle agenzie quote anche consistenti del salario percepito... Penso che un dipendente ben formato e con esperienza influisca sugli altri, con l’esempio e con l’insegnamento può contribuire ad elevarne la professionalità... da me le mele marce vengono eliminate dal gruppo... non sono in sintonia e vengono emarginate e poi espulse... Il problema vero è la qualificazione del personale... ce ne sono pochi in giro, finisce che ce li rubiamo a vicenda, perché è su di loro che fa perno tutto il servizio in albergo... ma non ci sono tanti lavoratori che vogliono inserirsi stabilmente nel nostro
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settore... c’è un “mordi e fuggi”, “prendi i soldi (tutti quelli che puoi) e scappa... questo lavoro è visto come un riempitivo... Chi invece investe nella professione può guadagnare... c’è una ragazza che prima lavora con me tutta la stagione estiva, poi in inverno va in montagna... alla fine si assicura un reddito di tutto rispetto... C’è la necessità di personale qualificato anche per riassestare le camere... ad esempio una lampadina fulminata, un accessorio del bagno malfunzionante, ecc., vanno subito segnalati alla manutenzione... questo eleva la qualità del servizio e il cliente si sente al centro dell’attenzione!...” Secondo 26 intervistati (quasi 9 su 10), l’azienda non ha interesse a formare i propri dipendenti, mentre appena 4 ritengono che tale interesse sussista, dato che hanno partecipato ad attività formative. Appena 2 intervistati affermano di essere stati coinvolti in corsi sulla sicurezza. Trattandosi di un settore che pone il lavoratore al centro di un sistema di relazioni interpersonali (coi colleghi, con i datori di lavoro e con i clienti), appare interessante prendere in considerazione i rapporti lavorativi ed extralavorativi. Sul versante delle relazioni tra colleghi, soprattutto se si raffrontano le risposte tra rapporti nei luoghi di lavoro e rapporti extralavorativi, si notano risposte che, a una prima analisi superficiale, appaiono contraddittorie: - si parla con tutti (22 casi, di cui 11 italiani e 11 stranieri), ma non si hanno momenti di svago comune (23 casi, di cui 14 italiani e 9 stranieri) o, per alcuni solo momenti sporadici (5 casi, di cui 3 italiani e 2 stranieri); - “tutti mi ascoltano e mi danno consigli” (16 casi, di cui 7 italiani e 9 stranieri), ma nessun aiuto nell’acquisire nuove conoscenze (24 casi, di cui 16 italiani e 8 stranieri). L’analisi delle risposte sul contenuto degli scambi verbali aiuta, forse, a comprendere le suddette contraddizioni: sembra emergere la “superficialità” dei rapporti, il loro attestarsi sulla soglia delle “amichevoli formalità”, considerato che si deve convivere e, in varia misura, collaborare in ambito lavorativo. Al quesito “di cosa parla?”, infatti, si rileva una forte disarticolazione delle risposte e una forte mancanza di interesse sugli aspetti personali, in particolare scompare qualsiasi curiosità sulla condizione di immigrato straniero: - in 9 casi si affrontano, in modo generico, “argomenti generali” (4 italiani e 2 stranieri) o “di tutto” (2 italiani e 1 straniero); - in 5 casi di parla di hobby e di vacanze (1 italiano e 4 stranieri); - in 6 casi di lavoro (4 italiani e 2 stranieri), sottolineando in 5 casi l’orientamento a non parlare di argomenti extralavorativi; - in 2 casi di “sport” (1 italiano e 1 straniero); - in un caso si evade la domanda affermando “non abbiamo pause per parlare” (italiano);
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- in solo 7 casi (3 italiani e 4 stranieri), infine, si parla della propria famiglia e dei problemi personali (ma solo con alcuni, verso i quali si ha “più confidenza”). Le risposte sulle frequentazioni nel dopo lavoro confermano questa sostanziale “freddezza” nei rapporti, nonostante la possibilità di avere tempo libero in comune sia più alta tra colleghi (vista la distribuzione dell’orario di lavoro), che tra lavoratori di altri settori. Una “freddezza” più marcata tra gli stranieri intervistati, tento conto che: - in 11 casi, 6 italiani e 5 stranieri, si afferma di avere “sporadici incontri, indipendentemente dalla provenienza”; - in 9 casi (4 italiani e 5 stranieri) si sottolinea “non frequento nessuno/non mi piace mischiare lavoro e amicizia”; - in 6 casi, 5 italiani e 1 straniero, si dichiara di avere “frequenti incontri, indipendentemente dalla provenienza”; - in 2 casi, 1 italiano e 1 straniero, si afferma di avere “frequenti incontri con alcuni connazionali”; - in 2 casi, entrambi italiani, si dichiara di avere “sporadici incontri con connazionali”.
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Conclusioni
Conclusioni
Conclusioni
La condizione dei migranti (italiani e stranieri) Dall’analisi delle informazioni raccolte con il questionario, emerge chiaramente la consistenza delle migrazioni “interne” (da altre province italiane) verso la provincia di Ferrara, messe in atto dai lavoratori intervistati. “Migrazioni interne” che hanno coinvolto 33 italiani (26,4%) e 11 stranieri (18,7%) dei nostri intervistati. Se si sommano le “migrazioni interne” alle migrazioni dall’estero risulta che i lavoratori intervistati non nati in provincia di Ferrara sono 108, pari al 54% del campione. L’elevata presenza di migranti italiani nel territorio ferrarese (e più in generale nelle regioni del Nord Italia) è un dato strutturale, anche se risulta poco considerato nelle cronache correnti. Quasi nessuno se ne occupa, come se si trattasse di un processo ormai esaurito o in via di esaurimento. L’attenzione collettiva è spostata, quasi esclusivamente, sulle migrazioni provenienti dall’estero. L’analisi dei dati sui movimenti anagrafici rilevati annualmente dall’Istat consente, invece, un’adeguata valutazione dell’entità di tutti i flussi migratori (si veda il grafico sotto riportato). La provincia di Ferrara, in particolare, nel periodo 2002-2008 ha registrato nuove iscrizioni anagrafiche, cioè nuovi residenti in “ingresso” (compresi i nati nel periodo), pari al 29,2% della popolazione residente, a fronte di cancellazioni anagrafiche, cioè in “uscita” per cambio di residenza o decesso, pari al 25,3%, con un saldo positivo dei residenti pari al 3,9%. Grafico 36 Le variazioni intercomunali delle residenze dal 2002 a 2008 in Italia, in Emilia Romagna e in provincia di Ferrara
Bilancio residenti dal 2002 (base:100) al 2008 ITALIA
Emilia Romagna
+ 31,0% 2,05%
+ 29,2%
+ 38,4% Altri iscritti
2,03%
5,01%
Iscritti dall'estero
17,13%
Iscritti da altri Comuni
6,84%
6,96%
Nati
22,65%
6,77%
-16,81%
Fonte: elaborazioni dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione su dati Istat
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- 0,81%
Morti
Cancellati per altri Comuni Cancellati x l'estero
1,72%
Altri iscritti Iscritti dall'estero
Iscritti da altri Comuni
Nati
0% - 6,97%
Provincia di Ferrara
4,68%
17,69%
Iscritti dall'estero
Iscritti da altri Comuni
5,15%
Nati
- 9,16%
Morti
- 14,02%
Cancellati per altri Comuni
0%
0% - 8,14%
- 19,14%
- 0,70% -1,55%
Morti
Cancellati per altri Comuni Cancellati x l'estero Altri cancellati
-1,07% Altri cancellati
- 25,7%
Altri iscritti
- 29,5%
- 25,3%
- 0,49%
Cancellati x l'estero
- 1,58%
Altri cancellati
Si tratta di dati di flusso aggregati, che non consentono di distinguere la quantità di residenti “in uscita” dalla provincia (verso Comuni extraprovinciali), rispetto alla quantità dei residenti che si sono “soltanto” spostati in un altro Comune del territorio ferrarese. I dati, però, segnalano livelli di mobilità territoriale che, in pochi anni, possono incidere profondamente sulla struttura demografica dei vari contesti locali, soprattutto sul piano dell’età e delle componenti di genere. Per la provincia di Ferrara, nel periodo considerato (2002-2008, dati Istat), le iscrizioni e le cancellazioni registrate sono risultate imputabili a: - iscritti per nascita + 5,15%, a fronte di cancellati per decesso - 9,16%, con un saldo negativo del 4,01%; - iscritti da altri comuni + 17,69%, a fronte di cancellati per altri comuni 14,02%, con un saldo positivo del 3,67%; - iscritti dall’estero + 4,68%, a fronte di cancellati per l’estero - 0,49%, con un saldo positivo del 4,19%; - altri iscritti + 1,72%, a fronte di altri cancellati - 1,58%, con un saldo positivo dello 0,14%. Se si considerano i cambiamenti socio-economici in atto a livello mondiale e il “ricambio” della popolazione residente, rilevato in Italia dai dati Istat e all’estero dalle varie fonti statistiche internazionali, emerge una situazione sociale tutt’altro che statica. Si tratta di processi rapidi e profondi che dovrebbero indurre a rivedere l’idea (a volte promossa superficialmente anche dai mass-media) che esistano tuttora in Italia e nel mondo grandi comunità sospese in una sorta di limbo, coese per tradizioni e valori culturali esclusivi e condivisi. Tale idea, legata ad una concezione del passato mitica, nostalgica e altatamente idealizzata, è spesso utilizzata in modo ideologico per dividere e fomentare scontri sociali in ambito nazionale e internazionale (si vedano, ad esempio, le guerre scoppiate tra i paesi dell’ex Jugoslavia). La stessa Italia, al di là della lingua ufficiale, ha una cultura tutt’altro che omogenea, testimoniata, ad esempio dalla ricchezza di dialetti, dal pluralismo culinario, dalla varietà di feste e rituali locali (sacri e profani) a cui da tempo si affianca il “rimescolamento” demografico indotto dai grandi flussi migratori interni e dall’estero, dopo le grandi emigrazioni verso altre nazioni che hanno caratterizzato la storia d’Italia, almeno fino alla fine del ‘900. Limitando l’analisi ai solo aspetti demografici in provincia di Ferrara, dal 2002 al 2008, si è registrata, da un lato una “emigrazione” di residenti verso altri Comuni (provinciali ed extraprovinciali) superiore al 16%, dall’altro una “immigrazione” di residenti da altri Comuni (provinciali ed extraprovinciali) superiore al 24%; in soli sette anni, è avvenuto un “ricambio” della popolazione che, al netto delle nascite e dei decessi, appare più che sufficiente a demolire i preconcetti utilizzati per etichettare le persone sulla base di
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Conclusioni
“cristallizzazioni” immaginarie dell’idea di cultura e/o di appartenenza etnica. Questi dati rivelano che oggi sono certamente più numerose le persone che hanno vissuto nel corso della propria esistenza una fase migratoria, più o meno rilevante in termini spazio-temporali, rispetto alle persone che hanno sempre vissuto nel luogo di nascita. Il “ricambio”, inoltre, anche dal punto di vista storico, è fondamentale sul piano biologico e culturale; esso è alla base di ogni trasformazione sociale ed economica e da sempre fa parte della condizione umana. Una cultura che non muta nel tempo, chiusa in un suo equilibrio immaginario, è una cultura “morta” che non partecipa più alle vicende umane. La focalizzazione dell’attenzione dei mass-media sugli episodi negativi che, a volte, coinvolgono gli stranieri immigrati, non agevola una riflessione pacata e serena sui mutamenti in atto e, in Italia, pone in secondo piano sia l’elevata incidenza della migrazione italiana tra le province italiane, sia l’attrazione che tuttora esercitano alcuni settori economici ed alcune attività produttive verso gli italiani provenienti da contesti territoriali caratterizzati da un’offerta occupazionale inadeguata. Si sottovaluta così l’impatto migratorio nelle varie regioni d’Italia come, ad esempio, il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione che di solito coinvolgono molti luoghi da cui si emigra; la crescita dei fabbisogni abitativi, della domanda di assistenza sociosanitaria e di formazione scolastica/professionale che di solito coinvolgono i luoghi di immigrazione. L’assenza di un governo adeguato dei mutamenti in atto può favorire l’innalzamento dei livelli di conflitto, soprattutto tra coloro che si sentono in qualche modo “minacciati” dai “nuovi arrivati” e dall’accelerazione dei cambiamenti sociali che questo può comportare. I migranti italiani (in ambito nazionale) e gli autoctoni in difficoltà socio-lavorativa, infatti, possono più facilmente trovarsi in competizione con i migranti stranieri, in particolare nelle fasi di accesso al lavoro e nelle fasi di utilizzo dei servizi erogati dalle comunità locali; una competizione fra persone in “difficoltà” che può diventare apertamente conflittuale quando non si provvede ad adeguare, da un lato le politiche del lavoro, l’offerta abitativa, formativa ed educativa, dall’altro le azioni di prevenzione e contrasto necessarie ad arginare le varie forme di sfruttamento, le attività illecite e/o criminose, sempre pronte a inserirsi nei processi di cambiamento. La riflessione sulle caratteristiche dei processi migratori e l’elaborazione di attività di governo degli stessi, non può che essere affrontata attraverso un’attenta elaborazione di un approccio teorico di riferimento e di criteri interpretativi adeguati. Per questa ragione, occorre ricordare che ogni processo migratorio, indipendentemente dalla sua durata e dalla distanza tra luogo di arrivo e luogo di
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Conclusioni
partenza, si collega al desiderio – più o meno razionale – di migliorare le proprie condizioni di vita. La migrazione è perlopiù un mezzo, raramente un fine: ci si sposta per elevare le proprie condizioni di benessere presenti e future. Questo orientamento ha, fin dalle origini, caratterizzato gli spostamenti dei popoli migranti ed è rimasta un’importante alternativa percorribile, da singoli e/o da gruppi di persone, insoddisfatte della propria vita nei luoghi di residenza. La decisione di migrare ha l’obiettivo di promuovere condizioni di benessere più soddisfacenti per sé, per i propri cari e, a volte, involontariamente per tutti i cittadini del proprio paese (ad esempio con le rimesse) e del paese verso cui si emigra (contribuendo, ad esempio, alla produzione di nuova ricchezza). A monte di qualsiasi azione migratoria, pertanto, c’è un’attività di valutazione delle condizioni di benessere economico-sociale del contesto locale di partenza e delle prospettive di miglioramento delle stesse, rispetto alle opportunità che sembrano offrire altri contesti, più o meno conosciuti. Quando si ritengono poco soddisfacenti le proprie condizioni di benessere e, soprattutto, inadeguate le prospettive di miglioramento delle stesse, si è indotti ad elaborare progetti di vita che possono prevedere l’attivazione di processi migratori, di durata più o meno lunga, anche verso nazioni diverse dalla propria. Una scelta elaborata attraverso la comparazione dei costi e dei benefici che offrono i luoghi verso cui emigrare (in particolare quando si sceglie un’altra nazione) richiederebbe un’ampia e dettagliata conoscenza delle opportunità di miglioramento che possono offrire i vari contesti (nazionali e internazionali), delle difficoltà che si possono incontrare, delle relazioni di sostegno all’eventuale migrazione. Il più delle volte è importante poter fare affidamento su amici, parenti o gruppi di connazionali che sono partiti in precedenza, oppure su associazioni, enti e istituzioni che possono offrire accoglienza al momento dell’arrivo e aiuto nelle prime fasi di inserimento socio-lavorativo. Spesso chi emigra possiede conoscenze e informazioni largamente insufficienti o, peggio ancora, sbagliate e distorte. Il desiderio di cambiare e l’inadeguata qualità dell’esistenza nei luoghi di partenza, inducono probabilmente a ritenere attendibile ciò che si “sente dire”, a far proprie le opinioni diffuse, a fantasticare sui racconti edulcorati che possono fare i connazionali, tendenzialmente orientati a nascondere (per orgoglio o per prestigio personale, anche in modo non intenzionale) le difficoltà incontrate o l’eventuale delusione patita per la scarsa corrispondenza tra aspettative e risultati conseguiti. Dopo aver scelto il luogo verso cui emigrare, è necessario gestire tutte le fasi del progetto miglioramento delle condizioni di benessere attraverso la gestione del processo migratorio. Sono fondamentali le fasi di preparazione alla partenza, la “contrattazione” con le organizzazioni (legali o illegali) che
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Conclusioni
possono organizzare il “trasferimento”, la valutazione e la gestione delle situazioni che si possono presentare nel corso del viaggio, la valutazione e la gestione delle situazioni da affrontare al momento dell’arrivo nel luogo prescelto e, infine, la valutazione e la gestione delle situazioni di convivenza, specie se la scelta riguarda un luogo ubicato in un paese straniero. Migrare non è semplice, richiede coraggio e, spesso, comporta scelte dolorose: l‘abbandono dei genitori, degli amici, dell’eventuale moglie o fidanzata, degli eventuali figli, del luogo natio; chi non ha risorse economiche adeguate, in molti casi, deve ricorrere all’indebitamento personale e familiare, spesso anche alla vendita, totale o parziale, dei beni posseduti, per finanziare il progetto migratorio; chi emigra deve far fronte all’incertezza, al timore e al senso di pericolo che incute il trasferimento verso luoghi poco conosciuti. La sola scelta di cambiare casa, di traslocare, di programmare uno spostamento anche di pochi chilometri, rappresenta per molte persone un evento traumatico che sconvolge la routine quotidiana per molti mesi; ricordarlo può essere utile per cogliere in modo simpatetico alcuni aspetti delle migrazioni internazionali. Un’azione di governo istituzionale dei processi migratori dovrebbe conoscere le varie fasi del processo migratorio e intervenire con regole e azioni idonee a ridurre le incongruenze legate, ad esempio, ai potenziali conflitti sociali, al costituirsi di forme di sfruttamento più o meno organizzate, al mancato rispetto dei diritti umani, con la consapevolezza che la fonte dell’immigrazione straniera è, in primo luogo, sostenuta dall’inadeguatezza delle condizioni di vita nei luoghi di origine e dall’incongruenza delle informazioni sulle caratteristiche dei luoghi prescelti, sulle prospettive che essi possono offrire e che proprio su questa inadeguatezza è necessario intervenire. Impedire con la forza e con strumenti coercitivi la ricerca di una vita migliore, può dare qualche risultato apparente nel breve periodo; può “tranquillizzare” in parte chi si sente “minacciato” dai “nuovi arrivi”; ma presenta molte controindicazioni: il proliferare di organizzazioni criminali che sfruttano i migranti sin dall’inizio del processo migratorio; l’innalzamento dei costi economici e umani dei viaggi di trasferimento (ad esempio con l’aumento dei rischi e della mortalità per sfuggire ai controlli); la crescita delle discriminazioni e delle conflittualità sul piano nazionale e internazionale; il diffondersi ulteriore di violenze sociali che (sia individuali che collettive) incidono sulla qualità della vita di tutti. Dato che, contrariamente ai vincoli di fatto imposti dalla legge, i datori di lavoro non assumono in modo stabile persone straniere sconosciute, ma ricorrono ai decreti flusso e/o alle regolarizzazioni solo dopo averne speri-
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mentato le capacità e l’affidabilità, il primo ingresso per lavoro in Italia avviene quasi esclusivamente in modo irregolare e/o clandestino; come emerge dalla presente indagine, questa irregolarità/clandestinità, più o meno lunga, comporta costi sociali non irrilevanti (anche in termini di evasione fiscale e contributiva) e si riflette negativamente sia sulle condizioni di primo inserimento socio-lavorativo degli stranieri, sia sulle condizioni di accesso e permanenza al lavoro di gran parte degli italiani, già occupati od orientati ad inserirsi nei settori da tempo interessati all’assunzione di lavoratori immigrati.
Le condizioni di lavoro e le relazioni nei luoghi di lavoro L’indagine svolta mette in rilievo (in sintonia con altre, già citate in precedenza) che in situazioni di “compresenza” con i lavoratori italiani, gran parte degli stranieri vanta un livello di scolarità superiore agli autoctoni, ma beneficia di un livello di inquadramento professionale tendenzialmente inferiore e, quindi, di una retribuzione mensile più bassa. Una condizione che sembra coinvolgere anche la componente femminile, storicamente oggetto di discriminazioni, nonostante l’emanazione di norme positive e di contrasto. Le donne intervistate, infatti, denotano maggiori assunzioni a tempo determinato e/o stagionale, redditi mensili spesso inferiori, a cui si accompagnano livelli d’inquadramento contrattuale non corrispondenti all’elevata scolarità (una situazione analoga a quella rilevata più volte dal Censis e dall’Istat). In merito all’inserimento lavorativo degli intervistati, uno degli aspetti su cui riflettere è la contraddizione tra le dichiarazioni inerenti l’inesistenza di problemi contrattuali e la non conoscenza delle norme contrattuali che regolano il rapporto di lavoro. Probabilmente le affermazioni raccolte miravano a sottolineare l’assenza di conflitti col proprio datore di lavoro, più che la certezza del rispetto della normativa in vigore. Gli intervistati sono in buona parte estremamente attenti alla retribuzione effettivamente percepita, ma trascurano ampiamente le altre regole e gli altri diritti contrattuali. Il parametro di valutazione più utilizzato, per valutare differenze e/o discriminazioni, è il raffronto con il salario percepito dagli altri colleghi, specie se inquadrati nello stesso livello contrattuale. La piccola o medio-piccola dimensione di quasi tutte le aziende coinvolte comporta, in molti casi, un confronto diretto e quotidiano con il proprio datore di lavoro, per cui l’emergere di conflitti e discussioni può mettere a rischio la prosecuzione del rapporto di lavoro e, nella maggior parte dei casi, si preferisce evitare dissensi e discussioni, mantenendo un atteggiamento defilato o simile a quello degli altri colleghi. Nella maggior parte dei casi, come
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si evince dall’analisi delle risposte sulle relazioni tra colleghi, l’attenzione è quasi esclusivamente concentrata su se stessi, sull’evitare “noie” e “fastidi”, interessa poco conoscere chi sono gli “altri”, i loro problemi, meglio evitare d’essere coinvolti nelle “faccende” degli altri. Ad esempio, contrariamente alle aspettative, tra gli italiani e gli stranieri non è emerso alcun reciproco interesse sulle abitudini quotidiane, sulle tradizioni e sui costumi dell’altro, sulle condizioni di vita sperimentate nei rispettivi Paesi, sui “sogni” e sulle aspettative che possono rinsaldare i rapporti interpersonali. Emerge una situazione di “adattamento passivo” al contesto, che giustifica in parte il “timore”, soprattutto da parte degli stranieri, di far emergere gli aspetti più critici della propria condizione lavorativa (si vedano i paragrafi precedenti). Le modalità di reperimento del lavoro (descritte nello specifico paragrafo), in larga parte incentrate sull’utilizzo di rapporti informali (amici, parenti, conoscenti) intrattenuti nel contesto sociale di riferimento, possono rappresentare uno degli aspetti che hanno agevolato l’insorgere di “timori” e di “adattamenti”. Le istituzioni preposte legalmente all’attività di intermediazione al lavoro, quali i Centri per l’Impiego e le Agenzie private per il lavoro, sono state utilizzate da poco più del 13% degli intervistati (una percentuale sostanzialmente analoga ai dati elaborati dall’Istat), per cui è lecito supporre che il massiccio ricorso a parenti, amici e conoscenti abbia fatto insorgere, verso gli stessi, “debiti di riconoscenza” più o meno onerosi e vincolanti. Porsi in modo critico può rappresentare una scelta che mette in difficoltà le persone che hanno, in vario modo, contribuito all’assunzione (si tradisce la loro “fiducia” e/o la “buona parola” che ha agevolato il colloquio di lavoro e il successivo inserimento al lavoro). Le persone straniere, in particolare, in presenza di una normativa che subordina l’arrivo dall’estero e la permanenza in Italia al possesso di un’occupazione stabile, debbono far fronte ad una condizione di subalternità che li espone a possibili ricatti e ritorsioni da parte dei datori di lavoro o di organizzazioni malavitose che organizzano la migrazione e l’inserimento lavorativo in Italia. La legge italiana sull’immigrazione non prevede solo il reperimento di un lavoro stabile prima dell’arrivo e, successivamente, per restare regolarmente in Italia; essa “obbliga” il datore di lavoro, se vuole assumere un cittadino non comunitario a “farsi carico” del migrante. Lo “costringe” in prima persona a sottoscrivere un contratto di soggiorno in qualità di “garante” della situazione occupazionale e abitativa dello stesso ed, eventualmente, a sostenere il pagamento delle spese di rientro in patria, qualora lo straniero sprovvisto delle necessarie disponibilità economiche debba farvi ritorno in modo forzoso. Un
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insieme di obblighi che rappresentano un deterrente all’assunzione di personale non comunitario per tutti gli imprenditori e che, in parte, giustifica la scarsa presenza di stranieri nelle grandi aziende. Gli amministratori, appositamente delegati, e/o i presidenti dei consigli di amministrazione di queste grandi aziende dovrebbero, infatti, recarsi periodicamente presso lo Sportello Unico per l’Immigrazione per perfezionare l’eventuale pratica d’ingresso di ogni singolo cittadino straniero prescelto e/o impegnare l’azienda e gli azionisti a sostenere i costi diretti e indiretti derivanti dalla sottoscrizione del contratto di soggiorno. L’intero percorso da attivare per ottenere l’ingresso per motivi di lavoro di un cittadino non comunitario appare estremamente complesso e farraginoso; richiede tempi lunghi (almeno 12 mesi dalla data di presentazione della domanda) e non offre alcuna certezza che l’istanza venga accolta. Una situazione che aiuta a comprendere le ragioni per cui gran parte delle grandi imprese vi rinunciano a priori. Nella stragrande maggioranza dei casi, inoltre, le grandi imprese non possono inserire, nel loro processo produttivo, lavoratori clandestini e/o irregolari, nell’attesa di un’eventuale regolarizzazione; il loro “status” comporta una “visibilità sociale” elevata (ad esempio, si debbono garantire prodotti e processi certificati e far fronte al controllo esercitato dalle organizzazioni sindacali e dalle pubbliche istituzioni). L’esperienza maturata nell’ambito dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione, consente di affermare che quando un datore di lavoro utilizza i decreti flusso del Governo e, successivamente, si presenta presso gli organi preposti alla pubblica sicurezza per sottoscrivere il contratto di soggiorno, accettando di far emergere dall’irregolarità e/o dalla clandestinità un migrante straniero, anche solo inconsapevolmente, si aspetta riconoscenza. Spesso l’aspettativa di riconoscenza travalica e si trasforma in una richiesta di “fedeltà incondizionata”, di “sudditanza”, di acritica accettazione di un rapporto di lavoro che, emergendo dall’irregolarità, può presentarsi ormai inadeguato alle aspettative del migrante (si veda il paragrafo sulle “Modalità di reperimento del lavoro” del presente studio). Le varie caratteristiche di questa “aspettativa” emergono chiaramente dalle dichiarazioni risentite di numerosi datori di lavoro e, in particolare, dai familiari delle persone anziane che sono state o sono tuttora assistite da cittadine straniere, prima irregolari e poi regolarizzate (spesso per la bravura e l’attaccamento dimostrato), ricorrendo alle normative in vigore: “prima era molto più attenta e premurosa”; “dopo la regolarizzazione ha cominciato a fare storie e ad accampare pretese”; “ora vuole uscire troppo spesso”; “pretende più soldi per rimanere”; “io l’ho aiutata e ora mi gira le spalle e se ne va”. Alcuni datori di lavoro intervistati hanno raccontato di aver “preso a
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cuore” i problemi di uno o più migranti stranieri e di averli, non solo assunti, ma aiutati nel trovare un’abitazione adeguata e nell’affrontare le difficoltà quotidiane di integrazione in Italia. Tra loro c’era chi manifestava delusione per il fallimento del loro tentativo di aiuto, sottolineando d’aver perso tempo inutilmente o l’impossibilità di raddrizzare una situazione difficile dovuta agli atteggiamenti sbagliati degli stranieri interessati; ma c’era anche chi si sentiva orgoglioso del “successo” ottenuto, nonostante le critiche avanzate da collaboratori e dipendenti. Le aspettative maturate da questi datori di lavoro, sia nel caso di “fallimento”, sia nel caso di “successo”, sono apparse subito rilevanti anche sul piano sociale, ma testimoniano la condizione di minorità tipica di ogni processo migratorio e la mancanza di un’azione collettiva idonea ad affrontarla. Le possibili situazioni di subalternità, inoltre, sono emerse dalle diverse affermazioni degli stranieri intervistati che hanno cambiato il “primo” datore di lavoro con le seguenti motivazioni: “non ero in regola”, “non ero rispettato”, “ero sottopagato”, “non riconoscevano i miei diritti”. L’aver sperimentato le difficoltà della vita di migrante straniero irregolare e/o clandestino ha comportato, in molti casi, l’abbandono di ogni atteggiamento critico e l’abbassamento delle aspettative. L’ottenimento di una assunzione regolare e di una retribuzione analoga a quella colleghi può, pertanto, apparire, per un periodo più o meno lungo, come la realizzazione di un obiettivo, estremamente appagante, a lungo perseguito. Ad esempio, anche dopo la regolarizzazione, l’eventuale svolgimento di lavori pesanti, fonte di stress psico-fisico e/o pericolosi può passare, per diverso tempo, in secondo piano; non si percepisce in questa prima fase la condizione di minorità che contraddistingue il processo di inserimento nel mercato del lavoro. In molti casi la consapevolezza di svolgere nel concreto la gran parte dei compiti per i quali gli italiani, a parità di conoscenze tecniche e professionali, sono spesso indisponibili è, comunque, presente; ma si è portati ad accettare la situazione, spesso sorretti dalla speranza di un miglioramento futuro e/o di riuscire con questi “sacrifici” a garantire migliori prospettive ai propri cari ricongiunti o rimasti in patria. Il tentativo di superare questo atteggiamento è emerso con chiarezza, in un modo che può essere giudicato cinico ed egoista, nelle dichiarazioni di un cittadina italiana di origine albanese in cerca di un’occupazione: “... ho atteso dieci anni, ma ora sono italiana e mi aspetto di essere trattata come gli italiani... anch’io ho diritto di precedenza... prima gli italiani, poi gli extracomunitari...”. Come si evince dalle interviste, inoltre, l’inserimento di italiani e stranieri in settori lavorativi socialmente “poco apprezzati” e le modalità spesso informali di reperimento di un’occupazione, possono indurre a sottovalutare i
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criteri di selezione adottati dal datore di lavoro in fase di assunzione e a ritenere quasi del tutto inutile il possesso di specifiche conoscenze tecnico-professionali (si veda il paragrafo su “L’assunzione e l’inserimento al lavoro” del presente studio). Superata la fase di irregolarità e/o di clandestinità e dopo alcuni anni di lavoro incongruente, rispetto alle conoscenze tecniche possedute, può farsi strada una insoddisfazione crescente verso la propria condizione lavorativa. Tra gli intervistati, infatti, quasi il 40% degli italiani non è soddisfatto, contro il 53% circa degli stranieri. Questi più elevati livelli di insoddisfazione, inoltre, possono essere interpretati anche come il segnale di una maggiore propensione a cercare occasioni di miglioramento della propria condizione lavorativa, una manifestazione del desiderio di affermarsi in un paese diverso da quello di origine; una volontà di raggiungere traguardi socio-lavorativi fondata su profonde spinte motivazionali che rendono differenti i “nuovi arrivati” dai “radicati”. Un sicuro sostegno familiare, un minor stato di necessità, una maggiore incertezza sui risultati da perseguire, nel caso dei “radicati”, possono aver “affievolito” la volontà e l’impegno quotidiano teso alla rapida conquista di obiettivi sociali e personali; volontà e impegno che, invece, hanno spesso spinto i “nuovi arrivati” alla migrazione (si veda il paragrafo su “Soddisfatti e insoddisfatti del lavoro svolto”, del presente studio). Anche questa maggiore “aggressività/vitalità” protesa alla conquista di traguardi di primaria importanza, può essere percepita dai “radicati”, quasi in modo latente, come un “pericolo”; la voglia di affermarsi in breve tempo, il “coraggio” nell’affrontare le varie difficoltà della vita di migrante, possono essere interpretati dai “radicati” come atteggiamenti “aggressivi”, in grado di cambiare lo “status quo” e di “sottrarre” benefici sociali, traguardi e riconoscimenti che si pensavano già propri per nascita e condizione. In linea con queste osservazioni, occorre sottolineare che diversi datori di lavoro, contattati telefonicamente per concordare il piano interviste, si sono espressi molto positivamente verso i propri dipendenti stranieri, riconoscendo che essi “hanno una marcia in più” degli italiani sperimentati in precedenza negli stessi compiti aziendali; ma appare significativo ricordare che una delle espressioni ricorrenti da essi utilizzata era: “... i miei sono bravi... perché volete intervistarli? Non ci sono problemi..” e, implicitamente, miravano ad evidenziare: “i miei sono diversi da quelli di cui si occupa la cronaca nera degli organi d’informazione”. Questi, infatti, raccontando quasi esclusivamente gli episodi di cronaca nera e gli eventi negativi, veicolano e sostengono nell’opinione pubblica la “classica” rappresentazione dei “nuovi arrivati”, quella che li “conserva” nella loro condizione di minorità e che può apparire, nonostante tutto, meno minacciosa: “sporchi”, “cattivi”, “sotto acculturati”, dediti all’alcool e alle
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droghe, particolarmente propensi alla criminalità, Si rafforza, così, il convincimento che sia sufficiente potenziare periodicamente il controllo burocratico - amministrativo e il potere repressivo per “tenerli tutti a bada” e, magari, impedire il loro arrivo. Per questa ragione, il collega di lavoro straniero che esce con forza, per atteggiamento e comportamento quotidiano, da questa rappresentazione, anche se nel concreto rappresenta un competitore più agguerrito, “tranquillizza” e conferma il convincimento dei “radicati”. Si pensa di discriminare correttamente tra chi “merita” e chi “non merita” di soggiornare in Italia. Rimane latente, spesso del tutto inconsapevole, la tendenziale discriminazione che può caratterizzare l’atteggiamento di numerosi “radicati”, quando si ricorre alla classica frase: “... non ci sono problemi... basta che si comportino bene..”, a cui si lega l’idea che il “nuovo arrivato” va tenuto comunque “sotto controllo” perché non è ancora completamente “affidabile”, può avere ancora “qualcosa” che non va; così, ad esempio, si è pronti a sottolineare che lo straniero: “è poco puntuale e ritarda sul lavoro”; “sgarra e scansa le fatiche se non gli si tiene il fiato sul collo”; “mangia cose schifose”; “può essere portatore di strane malattie”; “emana cattivo odore”; “è poco professionale e tende a non usare i mezzi di protezione”; “lavora a testa bassa e finisce col danneggiarci di fronte ai superiori”. Nella maggioranza dei casi, i “radicati” non percepiscono che l’eventuale rischio di abbassamento dei livelli di tutela lavorativa, se da un lato coincide con l’arrivo dei migranti, dall’altro trova riscontro nelle scelte organizzative, nella marginale inclusione dei “nuovi arrivati”, nel non allargamento delle tutele. La divisione concettuale tra “noi” e “loro”, che spesso viene adottata, crea i presupposti per l’accettazione delle sperequazioni tra “vecchi” e “nuovi arrivati”, per l’eventuale degrado delle condizioni di lavoro (c’è sempre qualche straniero, diverso da “noi”, “disposto” ad accettarle) e la “spontanea fuoriuscita” dai lavori più pericolosi, faticosi e meno tutelati, dei “radicati” che, per relazioni sociali e per abilità professionali, possono inserirsi in altri ambiti lavorativi meglio retribuiti e meglio tutelati, “preclusi” in vario modo agli stranieri (si veda il caso dei muratori italiani, già descritto). La configurazione “radicati” e “nuovi arrivati”, che emerge dalle interviste, appare stratificata su diversi piani e si presta ad articolate interpretazioni (ad esempio, in alcuni casi, la si rileva anche tra italiani delle regioni del Nord e italiani delle regioni del Sud); ma le risposte degli intervistati, sulle caratteristiche degli scambi verbali e delle frequentazioni lavorative ed extralavorative, sulla distribuzione dei compiti, sul controllo del lavoro svolto, unite alle descrizioni della giornata lavorativa, accreditano l’ipotesi di una “frantumazione” delle relazioni tra colleghi che influenza decisamente detta configurazione. La struttura dei compiti e le modalità di svolgimento degli stessi,
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che si evincono dall’indagine, sembrano ridurre al minimo le possibilità di dialogo e il confronto tra lavoratori. Contrariamente alle attese, che potrebbero indotte dalla letteratura manageriale mainstream, (che connota l’attuale fase storica come se fosse largamente caratterizzata da “nuove forme organizzative”, “post-tayloriste”), nei settori presi in esame sembra essersi accentuata la divisione del lavoro, la “specializzazione” degli addetti per singole fasi strutturate in successione e il controllo gerarchico. Anche nei cantieri, ad esempio, la realizzazione di opere edili e/o infrastrutturali procede per fasi “scorporate” e “coordinate” a monte dai progettisti e dai capi cantiere; le squadre di operai che si succedono al lavoro non hanno bisogno di interagire. Gran parte degli interventi sono preordinati in modo standard, la produzione è strutturata per “step” in sequenza, predefiniti in modo molto dettagliato. L’attività produttiva appare governata e regolata in modo similare a quella delle imprese meccaniche di montaggio/assemblaggio delle diverse componenti, fino al prodotto finito. Molti intervistati, collocati in questi contesti lavorativi, affermano che non c’è il tempo materiale per dialogare o, più esattamente, che sono molto rare le occasioni di dialogo nel corso della giornata lavorativa; “se ci si parla”, dichiarano, è soprattutto per affrontare questioni inerenti il lavoro da svolgere. Le situazioni che potrebbero consentire l’instaurazione di confronti e di dialoghi appaiono circoscritte ai momenti di condivisione di pause brevi (ad esempio: presso i distributori automatici di bevande e di generi alimentari preconfezionati), e di pause per il pranzo e/o per la cena (quando, per varie ragioni, non è possibile tornare a casa per il consumo dei pasti). In questo contesto, dall’elaborazione delle risposte emergono, comunque, alcune significative differenze tra gli intervistati. Gli stranieri sembrano meno “selettivi” degli italiani nell’instaurare un dialogo con i colleghi (oltre il 50% afferma “parlo con tutti”), ma una quota consistente di loro appare orientata a “chiudersi” al dialogo (il 32% circa dichiara “non parlo dei miei problemi personali”). Nel caso degli uomini, gli argomenti di dialogo più frequenti attestano un coinvolgimento “esteriore”, “poco compromettente” dello scambio verbale, spesso incentrato su temi di carattere sportivo (oltre il 42% delle risposte), mentre nel caso delle donne, spicca la propensione a confrontarsi sui temi che riguardano la gestione quotidiana della famiglia (oltre il 29% delle risposte). La “frantumazione” delle relazioni nei luoghi di lavoro si riflette anche sulla scarsa consistenza delle relazioni extralavorative: sporadici o del tutto assenti gli incontri per svaghi comuni, molto rari e circoscritti a uno o due colleghi i rapporti di amicizia. Nel dopo lavoro, il 31% circa dichiara di non frequentare i colleghi e, soprattutto, di non voler mischiare lavoro e amicizia; mentre meno del 13% af-
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ferma di frequentare spesso i colleghi, indipendentemente dalla loro provenienza. Riemerge, anche su questo versante, l’atteggiamento ambivalente di molti stranieri intervistati (già ricordato, ad esempio, nei paragrafi inerenti l’atteggiamento verso l’intervista) in quanto, rispetto alle relazioni interpersonali con i colleghi di lavoro, una parte sembra orientata in modo netto a “chiudersi” e una parte ad “aprirsi”. L’atteggiamento di “chiusura” però risulta molto più consistente tra gli stranieri coniugati e/o presenti da diverso tempo in Italia e, al contrario, l’atteggiamento di “apertura”, seppur circoscritta a chi si dimostra più disponibile, sembra caratterizzare coloro che sono da poco tempo in Italia e/o liberi da vincoli matrimoniali. L’esperienza maturata, la maggior conoscenza probabilmente acquisita della società italiana, dopo vari anni di permanenza e, forse, il bisogno di “proteggere” e “rinsaldare” il legame con i familiari ricongiunti (magari dopo anni di attesa), orientano molti stranieri a “disinvestire” sul versante delle relazioni extrafamiliari. I responsabili aziendali intervistati si sono manifestati, come era logico attendersi, molto meno “timorosi” dei lavoratori intervistati ed hanno evidenziato diversi aspetti critici inerenti le fasi di “convivenza” tra italiani e stranieri nei luoghi di lavoro; aspetti che sono emersi solo in modo frammentario ed episodico nelle risposte dei lavoratori coinvolti. Ad esempio, è emersa la tendenza ad attribuire alcune caratteristiche, specie se giudicate negative, in base al paese di provenienza e ad osservare sulla scorta di queste il comportamento dei lavoratori stranieri di diversa nazionalità. I “radicati” (in qualità di datori di lavoro o di dipendenti) sembrano adottare un atteggiamento di “diffidenza” preventiva, tendono a verificare se i “difetti”, ritenuti tipici per nazionalità trovano riscontro nel comportamento degli stranieri e compete al singolo lavoratore non italiano dimostrare di non rientrare nello schema interpretativo assunto, in modo più o meno rigido, a priori. In alcuni casi, questo tipo di approccio è emerso, indipendentemente dalla nazionalità, nella distinzione tra “vecchi” (cioè dipendenti in possesso di una pluriennale esperienza lavorativa) e “giovani” (sia per età che per anni di anzianità lavorativa): con i “vecchi” che ritenevano i “giovani” troppo svogliati, poco propensi ad imparare, privi di etica professionale; ed i “giovani” che accusavano i “vecchi” di “nonnismo”, di eccessivo attaccamento al lavoro, di essere “gelosi” delle loro conoscenze professionali. Il carattere episodico con cui sono emerse queste configurazioni è imputabile, probabilmente, anche all’accennata struttura del processo lavorativo (che “isola” i lavoratori) e al numero contenuto di addetti raggruppabili per nazionalità e/o per età (considerata la piccola e medio - piccola dimensione delle U.L. coinvolte nell’indagine). L’esigua entità dei dipendenti organizzati per U.L., infatti, rende più problematica la formazione di gruppi di per-
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sone; si stenta, cioè, a percepirsi parte di un gruppo distinto e omogeneo che, sentendosi minacciato, si chiude e si coalizza per far fronte comune alla minaccia. La stessa presenza nelle U.L. di stranieri con diversa nazionalità, oltre che di italiani nati in altre regioni, non facilita l’adozione di un solo schema di esclusione/inclusione, ma orienta verso la costituzione di più schemi interpretativi che tendono a graduare i livelli di esclusione/inclusione e a differenziarli sul piano dei contenuti (diversi per paese di provenienza e/o per gruppi di paesi ritenuti similari). In linea con queste osservazioni, si sono notate alcune espressioni volte ad etichettare negativamente i gruppi nazionali maggiormente presenti in provincia e nei luoghi di lavoro, come ad esempio nel caso dei tunisini e dei marocchini accomunati come “scansafatiche”, “litigiosi”, “assenteisti”, “propensi più a comandare che a fare”; degli albanesi percepiti come “piantagrane”, “vendicativi”, “poco affidabili”; dei rumeni e dei cittadini di altre nazioni dell’ex URSS accomunati come “alcolizzati”, “trafficoni”, “disposti a tutto per quattro soldi”. Sul versante delle relazioni lavorative ed extralavorative, il disagio che incontrano i “nuovi arrivati” (italiani e stranieri) appare evidente anche dal seguente racconto di una ragazza italiana, ventenne (intervista raccolta durante un colloquio nell’ambito dell’attività dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione): “... a sedici anni sono stata assunta come apprendista... le colleghe mi trattavano con superiorità e così facevo fatica ad imparare... poi mi utilizzavano come jolly – tuttofare... scaricare, pulire... lavori da cui i più anziani si sentivano di fatto esentati. Così, a fine giornata non avevo prodotto secondo le aspettative del capo che mi rimproverava di essere poco sveglia e inadatta al lavoro da svolgere. Alla fine del primo periodo di apprendistato poi, per mantenermi nella condizione di apprendista, mi hanno fatto assumere da un’altra impresa di proprietà del titolare... Facevo lo stesso lavoro, ma in questo modo mi avevano allungato il periodo di prova e, sopratutto, potevano continuare a pagarmi poco... Avevo perso la fiducia in me stessa... mi sono licenziata... Poi ho trovato quest’altro lavoro in una piccola fabbrica. Ora lavoro su due turni, dalle 6,00 alle 14,00, oppure dalle 14,00 alle 22,00. Durante il periodo scolastico frequentavo la chiesa e l’oratorio dove mi incontravo con alcune amiche ed alcuni amici... Ma col lavoro su turni tutto è cambiato... Loro fanno i campeggi in giugno ed io ho le ferie solo in agosto... Ho finito per chiudermi sempre più in me stessa... Le colleghe con cui lavoro sono più vecchie di me... a volte siamo uscite insieme in discoteca o al pub, ma il più delle volte passo le domeniche in casa da sola... Non trovo un senso a ciò che faccio, alla vita che conduco... Cambiare turno ogni settimana è stancante... Spezza il ritmo di vita... Programmo un sacco di cose che poi non riesco a fare... non ne ho la forza. Se faccio il turno se-
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rale vado a letto alle 23,00, ma spesso fino all’una non riesco a prendere sonno... Allora mi alzo quasi sempre tardi e la mattina vola senza che riesca a combinare nulla... Fare i turni ha mandato in crisi i miei impegni e le mie relazioni con le persone... Non posso prendermi un impegno continuativo... lavoro un sabato su due... così, non vado in palestra, né in piscina, né a danza come fanno le mie amiche sia per l’orario di lavoro che varia e spesso non coincide con il loro, sia perché mi sento sempre stanca... Per uscire con gli amici debbo sempre aspettare la settimana in cui faccio il primo turno, per poi rientrare prima degli altri... Alle 23,00 è già tardi perché alle 6,00 del mattino debbo già essere al lavoro... Vivo coi miei genitori... ma ci si vede poco... lavorano anche loro e fanno orari diversi... I rapporti con le colleghe non sono brillanti... quattro fanno il normale... in sei ci turniamo, per cui sono sempre insieme solo con due di loro... con una c’è anche un po’ d’amicizia, ma con l’altra c’è un rapporto di sopportazione reciproca: ci si aiuta poco e non si condivide quasi nulla della vita extralavorativa... Credo in Dio... ho fatto alcuni incontri spirituali che volevo condividere con le mie colleghe... ma ho trovato indifferenza... a volte anche derisione... non ci confrontiamo neppure tanto su altri temi meno impegnativi... Ho proposto loro un incontro con una mia amica sindacalista per riuscire a conoscere un po’ di più le leggi e i contratti... mi hanno detto che si va al sindacato solo quando si viene licenziati o quando la busta paga non è in regola... nessuna pensa di iscriversi... si ha paura d’esser presi di mira...”. Nel corso di un altro colloquio, sempre nell’ambito dell’attività dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione, è stato possibile raccogliere un secondo interessante racconto sulle relazioni lavorative ed extralavorative tra colleghi di lavoro. Esso evidenzia una certa consapevolezza della situazione vissuta, sorretta dalla volontà di non farsi travolgere dalle difficoltà, ma anche amarezza e delusione: “... quando si comincia a lavorare si vive subito una drastica riduzione del tempo da dedicare alle relazioni... la voglia e il bisogno di trovare un lavoro, all’inizio, pone in secondo piano questo aspetto... ma ho cominciato a capire perché mio padre era poco presente in famiglia ... io che spesso lo rimproveravo per questo... ma, se ci penso, non è che non ci sia più tempo per le relazioni... bisogna adattarsi ad un cambiamento radicale del modo in cui si vivono... si entra in un’altra dimensione... C’è quasi uno sdoppiamento tra le relazioni extralavorative (di solito intrattenute con gli amici del liceo) e quelle lavorative... si crea una sorta di confusione dentro... Io vivo il lavoro in maniera omnicomprensiva... mi piace... mi sembra socialmente utile quello che faccio... ma gli amici di prima fanno fatica a comprendermi... Solo qualcuno a volte, a malincuore, fa uno sforzo per comprendere... Dopo 10 ore di lavoro uscire per il pub, la discoteca... non me ne importa niente... meglio leggere un buon libro... Anche al di fuori del lavoro
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si devono fare le cose che si sentono, condividere dei valori forti... altrimenti tutto diventa faticoso, quasi una sofferenza...”. Nella fase d’inserimento del personale straniero, secondo i responsabili delle aziende intervistati, è spesso importante il primo impatto. Alcuni italiani avevano, come si è visto, timore a stringere la mano a chi ha la pelle scura e/o a mangiare sullo stesso tavolo insieme a persone scure di pelle. Solo gradualmente, con la conoscenza reciproca, è stato possibile superare gran parte di queste diffidenze. L’atteggiamento dello straniero è spesso fondamentale nell’improntare i rapporti con chi vanta maggiore esperienza ed anzianità lavorativa, specie se italiani. Ad esempio, il non chiudersi in sé, dimostrare disponibilità verso l’altro, assumere un comportamento aperto, volto a conoscere l’altro e ad imparare da chi ha maggiore esperienza, può facilitare il confronto nelle fasi di convivenza. E’ lo straniero, come “nuovo arrivato” che deve fare il “primo passo”, una sorta di “riverenza” dovuta per non essere valutato come indisponente e scorbutico. Uno dei rischi da evitare, secondo i responsabili aziendali, è la formazione di gruppi separati per Paese di origine che, a volte, sulla spinta della comune condizione di immigrati e della solidarietà tra connazionali, sostenuta dall’uso di una lingua comune, possono costituire vere e proprie coalizioni e/o “clan” per paese e/o per località di provenienza. Quando questo avviene ci si aiuta solo tra connazionali nelle fasi di assunzione e di svolgimento dell’attività lavorativa, ci si pone in competizione con gli altri gruppi, si addossano agli altri tutte le responsabilità di eventuali eventi negativi legati al processo produttivo. L’atteggiamento di diffidenza e di esclusione, in questi casi, può manifestarsi anche fra gruppi di stranieri di diversa nazionalità, soprattutto se si trovano a competere per inserimenti lavorativi nei medesimi settori, con attività e inquadramenti professionali similari. Uno degli aspetti negativi, più volte sottolineato da alcuni datori di lavoro intervistati, riguarda l’incapacità degli stranieri di amministrare le proprie risorse. Dal loro punto di vista, la conquista di un lavoro, soprattutto per gli stranieri più giovani, può portare ad un eccesso nei consumi: “... alcuni sono portati a spendere tutto e subito... magari non hanno ancora un’adeguata residenza, oppure sono ancora ospiti di amici o di associazioni, ma si comprano scarpe da tennis e tute da ginnastica firmate... poi prima della fine del mese vengono a chiedere degli anticipi..”. Si tratta di un comportamento che, a volte, può essere utilizzato per motivare la minorità dei migranti stranieri se non si tenta di individuarne una spiegazione più razionale legata, ad esempio, al senso di privazione matu-
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rato fin dall’inizio del percorso migratorio, al desiderio di accedere rapidamente allo standard apparente dei consumi degli italiani, alla voglia di “omologarsi”, con un’integrazione esteriore basata sull’acquisto di articoli simboleggianti il raggiungimento di uno “status economico” rassicurante. Una delle difficoltà segnalate dai datori di lavoro intervistati è l’approccio con la clientela, quando fra i propri dipendenti sono presenti persone straniere. Ad esempio, l’invio di personale straniero a lavorare presso terzi, soprattutto presso imprese individuali e/o presso nuclei familiari, a volte, ha suscitato “diffidenza”, ha provocato lamentele. Alcuni hanno anche esplicitato il timore di averli esposti al rischio di successive rapine, dato che il lavoratore non comunitario poteva essere in contatto con bande di malviventi stranieri specializzate nei furti presso abitazioni e/o in rapine e, quindi, fungere da “basista”; altri asserivano che i dipendenti stranieri inviati avevano poca voglia di lavorare, non erano attenti nell’evitare di sporcare e non sembravano adeguatamente preparati, oppure che parlavano di chissà cosa, tra di loro, in modo incomprensibile. Un albergatore intervistato, ad esempio, sottolineava che preferiva evitare di attribuire agli stranieri, specie se di pelle scura o con un linguaggio dotato di accenti marcatamente non italiani, compiti (come quelli di cameriere e barista) a diretto contatto col pubblico; temeva le rimostranze o la perdita di clienti che si sentivano poco tutelati dal contatto con personale non italiano; temeva la loro “cattiva pubblicità” presso amici e conoscenti. Per questa ragione, secondo la sua opinione, l’assunzione di personale africano, specie se di pelle scura, era circoscritta alle attività di “retrobottega”, che non richiedono contatti quotidiani e diretti col cliente (in cucina, a rifare le stanze, ecc.). Si configura, pertanto, una stratificazione differenziata degli inserimenti lavorativi di personale italiano e straniero, condizionata dalle “credenze” sugli orientamenti della clientela e dalle opportunità lavorativa spesso non colte dai cittadini da tempo residenti e ormai considerati “autoctoni”. Alla stratificazione degli inserimenti si accompagna una stratificazione degli atteggiamenti, con gradi più o meni evidenti di sperequazione (verso le donne, verso i meridionali, verso gli stranieri bianchi, verso i neri, ecc.), sostenuta dall’assenza di azioni concrete volte a garantire “pari opportunità” e, a volte, alimentata dalla diffusione di informazioni e dall’esplicitazione di opinioni quasi esclusivamente negative sulla presunta diversità/minorità dei “nuovi arrivati” o di alcune categorie di cittadini. Emergono molti aspetti su cui intervenire, ma l’azione fondamentale da mettere in campo deve essere tesa a far comprendere che pregi e difetti appartengono alla sfera individuale. Si tratta di evitare che si consolidino orientamenti generalizzanti, basati sull’appartenenza etnica e/o religiosa con cui si classificano le persone.
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Occorre, infine, ricordare che la condizione di migrante (italiano o straniero) non è di per sé sufficiente sia a garantire la necessaria consapevolezza delle caratteristiche del contesto sociale ed economico in cui si è vissuto e/o nel quale si vive dopo la migrazione, sia a far maturare quel rispetto reciproco su cui si basano tutte le convivenze. Si sono notate “ignoranze” reciproche, sia sul versante della non conoscenza dell’altro (si ignora perché non si conosce), sia sotto l’aspetto del disinteresse reciproco (si ignora perché si è indifferenti e/o non si vuole essere coinvolti nelle vicissitudini altrui). In ogni parte della terra, nel quotidiano, si è immersi in un contesto locale che non agevola la comprensione dei mutamenti in atto nella comunità mondiale; si stenta a considerare cosa significa oggi convivere su un pianeta che ormai conta quasi sette miliardi di persone, con una tecnologia che ha ridotto e che ridurrà sempre più i vincoli spazio-temporali, accrescendo i livelli di interdipendenza di tutti gli avvenimenti e di tutte le scelte presenti e future di ogni raggruppamento umano.
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APPENDICE
QUESTIONARIO DI INDAGINE PER LA VERIFICA DELL’INTEGRAZIONE TRA LAVORATORI DI VARIE NAZIONALITÀ SUL MERCATO DEL LAVORO FERRARESE NOTE A CURA DELL’INTERVISTATORE 1. Intervistatore (Nome e cognome)____________________________ 2. Presenza di mediatore: 1)sì 2)no 3. (se sì) per quale lingua?_______________ 4. Comune di rilevazione: ____________________________ 5. Luogo di rilevazione: Cantiere, luogo di lavoro; Fabbrica, luogo di lavoro; Altro luogo di lavoro; A casa dell’intervistato; Altro luogo extra-lavorativo; Locali della provincia; altro (specificare:______________________). 6. Momento di rilevazione: durante il lavoro; nella pausa prevista; a fine lavoro; prima dell’inizio del lavoro; un giorno festivo; altro (specificare: __). 7. Difficoltà per l’appuntamento/intervista da parte del datore di lavoro: Ostilità; Diffidenza; Scarso interesse; Poca disponibilità; Insofferenza/fastidio; altro (specificare: __); Nessuna. 8. Difficoltà per l’appuntamento/intervista da parte del lavoratore: Ostilità; Diffidenza; Scarso interesse; Poca disponibilità; Insofferenza/fastidio; altro (specificare:_______); Nessuna.
DATI SULL’INTERVISTATO Sesso:
(M)
(F)
Paese di nascita: __________ Anno di arrivo in Italia: ______
Anno di nascita: ________________ Cittadinanza attuale: __________________ Anno di arrivo in provincia di Ferrara: ________
Stato civile: _______________________ Titolo di studio riconosciuto in Italia: _______________________________ Complessivamente quanti anni ha studiato in Italia?______ Titolo di studio riconosciuto all’estero: __________________________________ Complessivamente quanti anni ha studiato all’estero?___________________________ Settore economico in cui lavora: 1)commercio e terziario 2)servizi assistenziali/sanitari/farmacia 3)pubblici esercizi 4)chimica, plastica, gomma 5)metalmeccanico 6)imprese di pulizia 7)autotrasporto, logistica e facchinaggio 8)costruzioni 9)tessile/abbigliamento/calzature 10)agricoltura/ortofrutta Che tipo di lavoro svolge? Provi a descrivermi le sue mansioni._____________________
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Sa con quale contratto nazionale è inquadrato?
(sì)
Se sì, perché cercava questo tipo di lavoro? 1) è conforme agli studi svolti 2) è conforme alla preparazione professionale 3) è conforme all’esperienza acquisita 4) sta imparando il lavoro che gli piace 5) Altro (specificare: ________________________________________________) 6) non sa/non risponde
(no)
(Se sì) Quale CCNL?____________________________________________ Sa a quale livello del contratto nazionale è inquadrato?
(sì)
(no)
(Se sì) Quale livello?____________________________________________ A quanto ammontava lo stipendio netto che ha percepito nell’ultimo mese? 1)meno di 400 euro 2)da 400 a 800 euro 2)da 801 a 1000 euro 3)da 1001 a 1300 euro 4)da 1301 a 1500 euro 5)da 1501 a 2000 euro 6)oltre 2000 euro 7)non risponde Lei è assunto:
(1) a tempo pieno
Se no, perché questo lavoro non coincide con quello che cercava? 1) è difforme agli studi svolti 2) è difforme alla preparazione professionale 3) è difforme all’esperienza acquisita 4) sta imparando il lavoro che non gli piace 5) Altro (specificare: ____________________________________________ 6) non sa/non risponde Se no, perché ha dovuto accettare questo tipo di lavoro? 1) per necessità economiche 2) perché era impossibile trovare il lavoro desiderato 3) perché si tratta di un’occupazione temporanea 5) Altro (specificare: ____________________________________________ 6) non sa/non risponde
(2) a part-time
(Se part-time) Complessivamente, per quante ore settimanali lavora? (Se part-time) Complessivamente, per quanti giorni a settimana lavora? Da quanto tempo lavora presso l’attuale datore di lavoro? __________ Lei svolge altri lavori oltre a questo?
(sì)
(no)
Se sì, quante ore settimanali dedica a quest’altro lavoro? Come ha trovato il lavoro attuale? 1) Tramite “passaparola” con parenti, amici o conoscenti immigrati 2) Tramite amici o conoscenti italiani 3) Presentandosi direttamente al datore di lavoro 4) Tramite invio domanda di lavoro e successiva chiamata del datore di lavoro 5) Su segnalazione di precedenti datori di lavoro 6) Tramite istituti religiosi (Caritas, parrocchia, ecc.) o gruppi di volontariato 7) Su segnalazione di associazioni di cittadini stranieri 8) Su segnalazioni di associazioni di cittadini italiani 9) Tramite Centri per l’Impiego 10) Tramite agenzie di lavoro interinale 11) Dopo un percorso di formazione 12) Tramite annunci sui giornali 13) Altro (specificare: ________________________________________________) 14) Non risponde
Quali condizioni di lavoro ha trovato (riguardo all’ambiente, alla fatica psico-fisica, alla distribuzione dell’orario, ecc.)? 1)è troppo faticoso 2)non è molto faticoso 3)è troppo stressante 4)non comporta troppo stress 5)non è ben organizzato 6)l’organizzazione è buona 7)c’è poca collaborazione tra colleghi 8)c’è una soddisfacente collaborazione tra colleghi 9)non ci sono separazioni in gruppi 10)ci sono separazioni in gruppi 11)altro (specificare: _____________________________________________ 12)non sa/non risponde Racconti un episodio esemplificativo delle condizioni di lavoro incontrate: _______________________________________________________________________ Può descrivere le condizioni contrattuali del suo lavoro (esplicitare le regole, se conosciute, inerenti l’orario, giorni lavorativi, la paga, le ferie, i permessi per malattia e/o per ragioni familiari, ecc.)? ____________________________________________________________________
Con chi lavora attualmente? 1) Da solo, sono l’unico dipendente 2) Solo con altri colleghi italiani 3) Solo con altri colleghi stranieri 4) Con altri colleghi in maggioranza italiani 5) Con altri colleghi in maggioranza stranieri 6) Con altri colleghi sia italiani che stranieri 7) Altro (specificare: ______________________________________________)
Ci sono compiti/mansioni che fa con piacere e altre malvolentieri? 1) svolge senza problemi tutti i lavori 2) svolge lavori non adeguati alle competenze 3) svolge spesso i lavori più gravosi 4) c’è turnazione nei lavori più gravosi 5) altro (specificare:_____________________________________________) 6) non sa/non risponde
Domande aperte sul tema del lavoro:
Se sì, quali sono le mansioni che preferisce?______________________________ Per quali ragioni preferisce queste mansioni?______________________________
Il suo lavoro attuale coincide con quello che cercava?
(sì)
(no) Può descrivere l’ultima sua giornata di lavoro? (orari, compiti svolti, pause, variazioni significative) __________________________________________________________
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Come si comporta quando ha bisogno di tempo libero dal lavoro per pratiche burocrati che, impegni familiari o altro : 1)preavvisa l’azienda per tempo 2)cerca di programmare le assenze 3)non sa bene come comportarsi 4)non risponde Ottiene facilmente permessi dai suoi datori di lavoro? 1) sì 2) no, ma li ottiene 3) se si assenta rischia di perdere il lavoro 4) altro (specificare:_______________________________________) 4) non risponde
Per quale altro motivo svolgono mansioni diverse? Racconti un episodio in proposito. ______________________________________________________________ Il suo datore di lavoro le assegna compiti/mansioni di fiducia? Perché? 1) sì, si fida di lei 2) no, non si fida perché straniero 3) no, non si fida perché ultimo arrivato 4) no, non si fida perché è giovane 5) no, non si fida perché non è preparato 6) no, perché non valuta le sue competenze 7) altro (specificare:________________________________________________) 8)non risponde Se no, per quale altro motivo non si fida?_________________________________
Chi le concede i permessi? ________________________________________ Sì è mai trovato in difficoltà sul lavoro? (sì)
(no)
(non risponde)
Chi altri concede permessi? _______________________________________________ Se sì, con chi hai affrontato azienda?____________________________ I permessi che le spettano vengono pagati?
(sì)
(no)
(non risponde)
Ha avuto problemi in caso di assenze prolungate? 1) sì 2) no 3) non ha mai fatto assenze prolungate, perché i permessi sono troppo brevi per il rientro in patria e/o a casa 3) non risponde
Se sì, a cosa erano dovute queste difficoltà? 1) carenza di conoscenze ed abilità professionali 2) carenza di informazioni tecniche 3) lavoro pericoloso con scarsi mezzi di protezione 4) scarsa collaborazione con i colleghi 5) carenza di attrezzi e di strumenti di lavoro 7) altro (specificare: _____________________________________________) 8)non risponde
Altro su concessione di assenze e permessi. Racconti un episodio in proposito: ______________________________________________________________________
Descriva in dettaglio a cosa erano dovute le eventuali difficoltà?_________________ C’è un controllo sul lavoro che fa?
Ha avuto altri datori di lavoro? 1) sì 2) no, è il primo datore di lavoro 3) non risponde
(sì)
(no)
non risponde)
Chi fa il controllo? ______________________________________________________ A che titolo avviene il controllo da parte degli eventuali controllori?_______________
Se sì, cambia spesso datore di lavoro? (sì)
(no)
(non risponde) Chi distribuisce i compiti di lavoro? _____________________________________
Per quale ragione ha cambiato datore di lavoro(specificare almeno le ragioni dell’ultimo cambio di lavoro)? 1) per mancanza di lavoro 2) perché non erano rispettati i suoi diritti 3) per divergenze con il datore di lavoro 4) ha trovato un lavoro migliore 5) si sentiva discriminato 6) altro (specificare: ______________________________________________) 7) non risponde
Come viene ripartito il lavoro? 1) c’è una rigida separazione dei compiti 2) la ripartizione è discriminante tra anziani e neo-assunti 3) la ripartizione è discriminante tra italiani e stranieri 4) si tiene conto delle abilità professionali e delle competenze acquisite 5) si fa in base a preferenze personali 6) non ci sono discriminazioni di alcuni tipo 7) altro (specificare: ____________________________________________________) 8)non risponde
I suoi colleghi (italiani o stranieri) svolgono compiti/mansioni simili alle sue? In quale altro modo viene eventualmente ripartito il lavoro?______________________ (sì)
(no)
(non risponde)
Se no, perché svolgono mansioni diverse? 1) perché ho competenze tecniche superiori 2) perché ho competenze tecniche inferiori 3) sono discriminato perché straniero 4) sono discriminato perché ultimo arrivato 5) sono discriminato perché più giovane 6) altro (specificare: _________________________________________) 7) non risponde
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Sul lavoro ti senti trattato/a in modo analogo agli altri colleghi di lavoro? __________ Ci sono aspetti del suo trattamento lavorativo che ritiene ingiusti? Quali? 1) mi pagano poco rispetto alle mie prestazioni 2) faccio troppe ore non pagate 3) svolgo lavori troppo pesanti 4) non hanno fiducia in me 5) sono troppo discriminato perché straniero 6) sono troppo discriminato perché ultimo arrivato 7) altro (specificare: ____________________________________________________) 8) no 9) non risponde
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Racconti un episodio in cui si è sentito trattato ingiustamente: ____________________ Sono capitati “conflitti” con l’azienda? (sì)
(no)
(non risponde)
Se “sì”, per quale motivo (salario, lavoro straordinario, ferie, assistenza sanitaria, cassa integrazione, formazione professionale, ecc.)? 1) sì, tensioni dovute ai carichi di lavoro 2) sì, sono sottopagato rispetto al lavoro che svolgo 3) sì, le richieste di miglioramento non vengono accolte 4) sì, vengono imposti orari di lavoro troppo pesanti 5) sì, per motivi legati a permessi/ferie 6) sì, per motivi legati alla cassa integrazione 7) sì, per motivi legati alla formazione professionale 8) altro (specificare: ____________________________________________________) 9) no, non ho tensioni né conflitti 10) non risponde Racconti un episodio indicativo dell’eventuale situazione vissuta in modo conflittuale ______________________________________________________________________ Con quale frequenza si sono verificati conflitti con l’azienda? 1) spesso 2) talvolta 3) raramente 4) non risponde A chi si è rivolto per chiedere “aiuto” e/o tutela?_______________________________
Come chiama i suoi superiori (per nome, per cognome, utilizzi il “lei” o il “tu”, richiedono di essere chiamati con il loro titolo di studio come, ad esempio, dottore, geometra, ragioniere, ingegnere, ecc.)? 1) sempre per nome 2) per cognome 3) con alcuni uso il tu, con altri il lei in modo reciproco 4) uso un appellativo legato al titolo di studio 5) ci diamo tutti del tu con rispetto 6) altro (specificare: ____________________________________________________) 7)non risponde In quale altro modo eventualmente chiama i suoi superiori e perché?______________ Ha vissuto episodi critici con i colleghi di lavoro? Ci può raccontare un episodio che consideri rilevante? 1) non ha episodi da raccontare 2) è capitato per ragioni legate alla sua provenienza 3) è capitato per ragioni discriminanti legate al lavoro (relativamente alla divisione dei compiti) 4) è capitato spesso e ha dovuto subire passivamente 5) è capitato ma ha quasi sempre fatto valere le proprie ragioni 6) ha chiesto aiuto al proprio superiore ottenendolo 7) ha chiesto aiuto al proprio superiore senza ottenerlo 8) ha rischiato di perdere il posto di lavoro 9) altro (specificare: ___________________________________________________) 10)non risponde Descrizione di un eventuale episodio indicativo della situazione critica vissuta ______________________________________________________________________
Domande aperte sulle forme di cortesia e sulla presenza di gruppi di lavoro: Come viene chiamato nell’azienda in cui lavora (per nome, ti danno del “tu”, usano un soprannome o un appellativo particolare)? 1) sempre per nome 2) da alcuni per nome, da altri con un appellativo o un soprannome canzonatorio 3) con un dispregiativo legato alla provenienza 4) usano un appellativo che non mi piace 5) usano un appellativo che mi piace 6) tutti mi danno del tu 7) solo con alcuni uso reciprocamente il tu 8) alcuni pretendono del lei, ma con me usano il tu 9) altro (specificare: ____________________________________________________) 10) non risponde
Ci sono gruppi di lavoro separati che tendono a chiudersi e ad escludere i nuovi arrivati? Se “sì”, in base a quali criteri sono nati? 1) in base al tipo di lavoro da svolgere 2) in base ai livelli di amicizia interpersonale 3) in base all’anzianità di lavoro 4) in base al paese di provenienza 5) altro (specificare: ____________________________________________________) 6) non ci sono gruppi di lavoro separati 7) lavoro da solo 8) non risponde Descrizione delle ragioni che hanno portato alla nascita di eventuali gruppi di lavoro separati: ______________________________________________________
Descrizione di come viene chiamato e perché: _________________________________ Domande aperte sul dopolavoro: Come chiama i suoi colleghi (per nome, gli dai del “tu”, usi soprannomi o appellativi particolari sia per quelli più anziani che per quelli meno anziani)? 1) sempre per nome 2) alcuni per nome, altri con un appellativo o un soprannome canzonatorio 3) con un dispregiativo legato alla provenienza 4) uso un appellativo che non piace al collega interessato 5) uso un appellativo che non dispiace al collega interessato 6) ci diamo tutti del tu 7) solo con alcuni uso reciprocamente il tu 8) alcuni pretendono del lei, ma con me usano il tu 9) altro (specificare: _____________________________________________) 10) non risponde In quale altro modo eventualmente chiama i suoi colleghi e perché? ________________
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Le capita di frequentare fuori dall’orario di lavoro le persone con cui lavora (spesso, a volte, mai, solo da poco, non mi piace mischiare lavoro e amicizia, ecc.)? 1) non frequento nessuno dei colleghi/non mi piace mischiare lavoro e amicizia 2) sporadici incontri con alcuni colleghi connazionali 3) frequenti incontri con alcuni colleghi connazionali 4) sporadici incontri con alcuni colleghi indipendentemente dalla loro provenienza 5) frequenti incontri con alcuni colleghi indipendentemente dalla loro provenienza 6) si fanno spesso feste e incontri con i colleghi 7) non si festeggia insieme neppure per le festività 8) ci si incontra solo tra anziani 9) ci si incontra solo tra giovani 10) altro (specificare: ___________________________________________________) 11) non risponde
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Descrizione delle eventuali frequentazioni di colleghi al di fuori dell’orario di lavoro: ______________________________________________________________________ Ha conosciuto nuove persone da frequentare fuori orario di lavoro grazie ai colleghi di lavoro? L’hanno aiutata a trovare nuove amicizie e/o conoscenze? 1) nessun aiuto 2) tutti si sono prestati ad aiutarmi 3) i più anziani mi hanno aiutato 4) i più giovani mi hanno aiutato 5) solo alcuni connazionali mi hanno aiutato 6) altro (specificare: ____________________________________________________) 7) non risponde Descrizione delle eventuali situazioni che hanno portato a conoscere altre persone grazie ai colleghi di lavoro: ______________________________________________ Le capita di parlare dei suoi problemi personali (come quelli legati alla salute, al lavoro, alla famiglia, al rapporto con le istituzioni) a qualche collega e/o al datore di lavoro? Se sì, trova comprensione, aiuto, consiglio? 1) no, ci sono solo rapporti di lavoro 2) tutti mi ascoltano e mi danno consigli 3) solo i miei connazionali mi ascoltano e mi danno consigli 4) parlo di più con i colleghi più anziani 5) parlo di più con i colleghi più giovani 6) altro (specificare: ____________________________________________________) 7) non risponde Descrizione dei legami che inducono o meno a parlare dei propri problemi personali:___________________________________________________________________ E’ mai andato/a a fare gite o vacanze con i suoi colleghi (con tutti indistintamente, oppure solo con connazionali, solo con quelli più anziani, solo con i più giovani neo-assunti, ecc.)? 1) nessun momento di svago comune 2) capita spesso 3) capita solo i miei connazionali 4) capita solo con i colleghi più anziani 5) capita solo con i colleghi più giovani 6) altro (specificare: _______________________________________________________) 7)non risponde Descrizione dei momenti di svago eventualmente vissuti con i colleghi:____________ Di quali argomenti parla con i suoi colleghi durante le pause di lavoro e/o nei momenti di tempo libero? 1) non parlo con i colleghi di argomenti extralavorativi 2) sport 3) hobby/vacanze 4) famiglia/rapporti personali 5) altro 6) non risponde Descrizione degli eventuali temi di discussione sul lavoro:___________________ Solitamente con chi parla durante le pause di lavoro e/o nei momenti di tempo libero? 1) parlo con tutti 2) parlo solo con i miei connazionali 3) parlo con i più anziani 4) parlo con i più giovani 5) altro (specificare: _______________________________________________) 6) non risponde
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Descrizione delle eventuali relazioni verbali intrattenute nel luogo di lavoro nei momenti liberi: ________________________________________________________ Domande aperte su qualificazione e formazione: Le sono stati chiesti, in fase di assunzione, requisiti minimi di formazione e/o conoscenze tecniche necessarie a svolgere il suo lavoro? Se “sì”, quali? 1) non erano necessari 2) hanno chiesto soprattutto disponibilità ad imparare 3) giovane età (apprendista e/o contratto d’inserimento) 4) hanno richiesto referenze 5) hanno richiesto competenze che non erano necessarie per questo lavoro 6) la mia provenienza (da un altro Stato o da un altro comune) è stata un ostacolo 7) la provenienza (da un altro Stato o da un altro comune) mi ha agevolato 8) altro (specificare: ____________________________________________________) 9) non risponde Descrizione dell’esperienza vissuta nella fase di assunzione: _____________________ Ha trovato difficoltà, inizialmente, nello svolgimento del suo lavoro? Qualche collega l’ha istruita sui suoi compiti? 1) nessuna difficoltà 2) non sempre ho le competenze necessarie 3) non mi hanno adeguatamente aiutato 4) la mia provenienza è stata di ostacolo all’aiuto 5) non riuscivo a farmi capire dai colleghi 6) i compiti assegnati erano i più gravosi 7) alcuni colleghi mi mettono in difficoltà 8) altro (specificare: ____________________________________________) 9) non risponde Descrizione delle eventuali difficoltà iniziali:_________________________________ Ha avuto infortuni e/o causato danni dovuti soprattutto all’inesperienza lavorativa? (sì) (no) (non risponde) Racconti cosa è avvenuto._________________________________________________ L’azienda ha creato occasioni di formazione professionale nei suoi confronti? Se “sì”, la affianca a volte a un altro lavoratore esperto con l’obiettivo di farle acquisire nuove conoscenze tecniche? 1) sì, mi hanno inserito in un percorso di formazione 2) sì, se c’è un lavoro nuovo mi si affianca un collega esperto 3) no, perché non c’è interesse da parte dei colleghi 4) no, perché non c’è interesse del datore di lavoro 5) no, colleghi e datore non hanno interesse 6) no, perché il lavoro che svolgo non richiede formazione 7) no, si insegna solo ad alcuni in modo discriminante 8) altro (specificare: ____________________________________________________) 9) non risponde Descrizione delle condizioni che agevolano e/o ostacolano la formazione in azienda:___________________________________________ L’azienda s’interessa e la informa sui corsi di formazione a cui vorrebbe partecipare? (sì) (no) (non risponde)
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