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[email protected] INDIA: GUIDA PER LE IMPRESE ITALIANE Introduzione Capitolo n. 0. Background Capitolo n. 1. Sistema economico-commerciale - L'impresa e la società Sotto Capitolo n. 1.1. Disciplina degli investimenti stranieri Sotto Capitolo n. 1.2. Disciplina degli investimenti stranieri Sotto Capitolo n. 1.3. Tipologie societarie e procedure di costituzione Sotto Capitolo n. 1.4. Aspetti organizzativi e di gestione societaria Sotto Capitolo n. 1.5. Bilancio di esercizio, controllo dei conti e principi contabili Sotto Capitolo n. 1.6. Joint ventures in India Capitolo n. 2. Disciplina dei contratti Sotto Capitolo n. 2.1. Principi generali Sotto Capitolo n. 2.2. Disciplina del contratto di agenzia Sotto Capitolo n. 2.3. Disciplina del contratto di vendita Sotto Capitolo n. 2.4. Disciplina del franchising Sotto Capitolo n. 2.5. Disciplina del leasing e della vendita a rate Capitolo n. 3. I diritti di proprietà industriale Sotto Capitolo n. 3.1. Domanda Internazionale di Brevetto Sotto Capitolo n. 3.2. Marchio di fabbrica Capitolo n. 4. Disciplina del lavoro dipendente Sotto Capitolo n. 4.1. Orario e organizzazione aziendale Sotto Capitolo n. 4.2. Organizzazione sindacale Sotto Capitolo n. 4.3. Ferie e permessi Sotto Capitolo n. 4.4. Malattia e maternità Sotto Capitolo n. 4.5. Licenziamento Sotto Capitolo n. 4.6. Fonti legislative in materia di lavoro Capitolo n. 5. Il sistema di soluzione delle controversie Sotto Capitolo n. 5.1. Tribunale Sotto Capitolo n. 5.2. Arbitrato e conciliazione in India Sotto Capitolo n. 5.3. UNCITRAL Capitolo n. 6. Il sistema bancario e finanziario Sotto Capitolo n. 6.1. Premessa Sotto Capitolo n. 6.2. La vigilanza bancaria Sotto Capitolo n. 6.3. Deregolamentazione del settore bancario Sotto Capitolo n. 6.4. Il settore delle banche cooperative Sotto Capitolo n. 6.5. La protezione dei depositi in India Sotto Capitolo n. 6.6. Investimenti nel settore bancario Capitolo n. 7. Il mercato dei capitali Sotto Capitolo n. 7.1. L'autorità di vigilanza Sotto Capitolo n. 7.2. La regolamentazione del mercato dei capitali Sotto Capitolo n. 7.3. Gli sviluppi del mercato dei capitali in India Sotto Capitolo n. 7.4. Emissione di strumenti finanziari Sotto Capitolo n. 7.5. Negoziazioni su strumenti finanziari
Sotto Capitolo n. 7.6. Il mercato obbligazionario in India Capitolo n. 8. Il sistema valutario e gli investimenti esteri diretti Sotto Capitolo n. 8.1. Emissioni di Ricevute di Deposito Globale (GDR), Ricevute di Deposito Americane (ADR’s), Obbligazioni convertibili in valuta estera (FCCB) Sotto Capitolo n. 8.2. Il rimpatrio di capitali e profitti Sotto Capitolo n. 8.3. Gli investitori istituzionali esteri: disciplina Capitolo n. 9. Finanza agevolata Sotto Capitolo n. 9.1. I finanziamenti di organismi internazionali Sotto Capitolo n. 9.2. Gli strumenti previsti nell'ordinamento italiano Capitolo n. 10. Il sistema fiscale in generale Sotto Capitolo n. 10.1. L'amministrazione delle imposte Capitolo n. 11. L'imposizione sui redditi delle persone fisiche Sotto Capitolo n. 11.1. Soggetti passivi e base imponibile Sotto Capitolo n. 11.2. Aliquote Sotto Capitolo n. 11.3. Deduzioni, detrazioni ed esenzioni Sotto Capitolo n. 11.4. Redditi d'impresa e di lavoro autonomo Sotto Capitolo n. 11.5. Plusvalenze e minusvalenze Sotto Capitolo n. 11.6. Compensi ad amministratori Sotto Capitolo n. 11.7. Adempimenti dichiarativi e liquidazione dell’imposta Capitolo n. 12. L'imposizione sui redditi societari Sotto Capitolo n. 12.1. Soggetti passivi Sotto Capitolo n. 12.2. Periodo d'imposta Sotto Capitolo n. 12.3. L’imposizione sulle società residenti Sotto Capitolo n. 12.4. L’imposizione sulle società non residenti Sotto Capitolo n. 12.5. Incentivi fiscali agli investimenti Sotto Capitolo n. 12.6. Transfer pricing Sotto Capitolo n. 12.7. La disciplina fiscale sui gruppi e le riorganizzazioni societarie Sotto Capitolo n. 12.8. Adempimenti formali e sostanziali Capitolo n. 13. Aspetti di fiscalità internazionale Sotto Capitolo n. 13.1. I trattati in vigore contro le doppie imposizioni sui redditi Sotto Capitolo n. 13.2. La Convenzione Italia – India contro le doppie imposizioni sul reddito Sotto Capitolo n. 13.3. Il credito per le imposte assolte all’estero Capitolo n. 14. Altre principali imposte Sotto Capitolo n. 14.1. Imposta patrimoniale Sotto Capitolo n. 14.2. Verso l’introduzione dell’imposta sul valore aggiunto Sotto Capitolo n. 14.3. Imposta di fabbricazione Sotto Capitolo n. 14.4. Dazi doganali Sotto Capitolo n. 14.5. Imposta sulle vendite di beni mobili Sotto Capitolo n. 14.6. Imposta sui servizi Sotto Capitolo n. 14.7. Altre imposte minori Capitolo n. 15. Italia-India: Riflessi fiscali di alcuni percorsi operativi Sotto Capitolo n. 15.1. Imposte dirette Sotto Capitolo n. 15.2. Imposte indirette e dazi doganali Capitolo n. 16. Distribuzione commerciale indiretta: il franchising Sotto Capitolo n. 16.1. I contratti di franchising nella prassi internazionale e nella normativa italiana Sotto Capitolo n. 16.2. Caratteristiche del rapporto di franchising Sotto Capitolo n. 16.3. Le forme del franchising internazionale Sotto Capitolo n. 16.4. I riflessi fiscali dei contratti di franchising stipulati dalle imprese italiane Capitolo n. 17. Accordi relativi a diritti industriali Sotto Capitolo n. 17.1. Premessa Sotto Capitolo n. 17.2. Il regime fiscale delle importazioni di tecnologia nell’ordinamento indiano Sotto Capitolo n. 17.3. Il regime fiscale dei trasferimenti internazionali di tecnologia nell’ordinamento italiano Capitolo n. 18. Produzione con presenza in India Sotto Capitolo n. 18.1. Acquisizione di partecipazioni in una società indiana già esistente Sotto Capitolo n. 18.2. Costituzione di unità locali e sedi secondarie Sotto Capitolo n. 18.3. Costituzione di società controllate Sotto Capitolo n. 18.4. Joint Ventures Capitolo n. 19. Prospetti di sintesi Capitolo n. 20. Principali riferimenti normativi Capitolo n. 21. Alcuni siti di interesse Capitolo n. 22. Indice abbreviazioni e acronimi principali
Introduzione India: Guida per le imprese italiane
Dopo la Cina l’India rappresenta l’economia mondiale più dinamica ed il mercato di più ampie proporzioni, con oltre 1 miliardo di abitanti; si calcola che tra questi, almeno il 10% della popolazione abbia un reddito superiore alle medie europee. In questo promettente quadro economico l’industria italiana vanta una presenza ancora limitata, non all’altezza della qualità e della competitività che il nostro Paese è in grado di esprimere. Ciò si lega a ragioni varie e complesse, non ultimo la scarsa permeabilità del mercato indiano alle produzioni più tipiche del “Made in Italy”, causa le forti barriere daziarie che ancora insistono sui beni di consumo, in generale. Credo che però il problema principale sia ancora una volta rappresentato dal deficit di internazionalizzazione che affligge le nostre imprese. L’Italia è soltanto il diciassettesimo partner esportatore dell’India, alle spalle dei nostri principali competitori europei, Francia, Germania e Gran Bretagna, ma anche di paesi le cui potenzialità industriali sono certamente inferiori alle nostre, come ad esempio il Belgio. Anche nel caso dell’India si rende evidente come la scarsa radicazione delle nostre piccole e medie imprese e l'insufficiente numero di iniziative produttive italiane finiscano per penalizzare anche le esportazioni tradizionali. Per questi motivi abbiamo ritenuto che anche l’India vada guardata con attenzione, come obiettivo geografico del crescente interesse delle nostre imprese per un ruolo da protagoniste, nell’economia globale. Da questo punto di vista l’India presenta non poche attrazioni, in particolare se messa a confronto con gli altri importanti mercati dell’area asiatica: l’India ha adottato schemi organizzativi di tipo anglosassone, quindi vicini ai modelli europei, mentre il popolo indiano parla normalmente l’inglese. Per le PMI che vogliono radicarsi in India questo significa un approccio più semplice ed una più facile individuazione del management da coinvolgere localmente. Queste semplici osservazioni non devono fare dimenticare i problemi di un paese distante geograficamente e culturalmente, le complicazioni burocratiche e le mille difficoltà che ne conseguono. Per aiutare le nostre imprese ad affrontare questi inevitabili problemi ci siamo ancora una volta impegnati nel realizzare una guida informativa. Lo hanno fatto, ancora una volta, i colleghi Adamo Dalla Fontana e Michele Amenduni, nell’ambito delle loro competenze, in materia di commercio estero e fisco. A loro va il mio personale e doveroso ringraziamento, unitamente al plauso destinato al Centro di Ricerca sulla Finanza e Fiscalità Internazionale che, anche sull’India, ha saputo riunire un Gruppo di qualificati studiosi, capaci di sviluppare un'indagine davvero approfondita ed esauriente. Un grazie ancora alla Banca Popolare di Vicenza per il supporto che continua ad assicurare ai progetti che la nostra Associazione sta sviluppando in materia di internazionalizzazione.
Capitolo n. 0 Background
Un territorio di circa 3 milioni e 287 mila chilometri quadrati fa dell’Unione Indiana (di seguito indifferentemente India o Unione) il settimo paese al mondo per estensione geografica, mentre il suo miliardo e trenta milioni di abitanti (in base al censimento del 2001) lo situa al secondo posto fra i paesi più popolati al mondo, immediatamente a ridosso del “gigante” cinese. Con la sua caratteristica forma di un triangolo, l’India presenta una notevole variabilità topografica: a nord si innalza la regione delle montagne, occupata per buona parte dall’impressionante catena dell’Himalaya, con le sue vette pressoché insormontabili; ai piedi delle montagne, si estende la vasta area delle fertili pianure alluvionali, solcate da grandi fiumi come l’Indo, il Gange, il Brahmaputra, che durante la stagione dei monsoni frequentemente esondano dal proprio letto a causa delle enormi quantità d’acqua che scendono dai ghiacciai; deserti rocciosi dominano il nordest del Paese; nel sud, la regione peninsulare, caratterizzata da un tavolato piuttosto alto, il Deccan, si protende sull’Oceano Indiano ed il Golfo del Bengala, nella cui prossimità si trova l’area più intensamente popolata. L’alternarsi delle stagioni nel subcontinente indiano è scandito dai monsoni, in particolare il monsone di nordest, o monsone invernale, che spira dalla terraferma verso il mare nei mesi di ottobre e novembre, ed il monsone di sudovest, o monsone estivo, che soffia dal mare verso il continente, che dà vita tra giugno e settembre alla stagione delle piogge, ed influenza in misura determinante la tradizionale attività economica del Paese, l’agricoltura. A parte l’influenza generalizzata dei monsoni, il clima e le temperature variano sensibilmente da una macroarea geografica all’altra. In inverno, a parte le montagne, in cui come è comprensibile le temperature sono rigidissime, il termometro scende spesso sotto lo zero al nord, mentre raramente sotto i dieci gradi centigradi a sud; in estate, nelle zone centrali si superano con una certa frequenza i 40 gradi. La popolazione del Paese rappresenta circa il 16% di quella mondiale, ma occupa un territorio che costituisce solo il 2,42% dell’area del pianeta, con una densità media di 324 abitanti per chilometro quadrato, ed un tasso di incremento del 1,5%/2% annuo. Dal punto di vista etnico, essa rappresenta l’esito di una complessa e millenaria vicenda di popolamento e mescolanza di genti appartenenti fondamentalmente a tre ceppi: quello europeo, quello australe, e quello mongolo. Alla multietnicità è venuto accompagnandosi nel corso dei secoli anche il multilinguismo, fenomeno che in questa area del mondo presenta connotati del tutto sconosciuti agli altri paesi, se non forse alla Cina. Delle innumerevoli lingue e dialetti parlati in India, ben 18 sono riconosciuti e tutelati dalla Costituzione, fra i quali vanno citati il bengali, l’urdu, il punjabi, il sankrit, il tamil, il nepali, il kashmiri e, ovviamente, l’hindi, che, nella grafia devanagari, costituisce la lingua ufficiale dell’Unione (art. 343 Cost.). Va tuttavia detto che, nonostante gli sforzi compiuti da organizzazioni governative per intensificare e diffondere l’uso dell’Hindi, lo stesso Governo, la pubblica amministrazione e l’industria comunicano in inglese, lingua ufficiale delle relazioni d’affari (lo stesso art. 120 della Costituzione, ad esempio, prevede che il Parlamento utilizzi l’hindi o l’inglese; l’inglese è poi lingua “obbligata” per le comunicazioni tra lo Stato centrale e gli Stati che non hanno adottato l’hindi quale lingua ufficiale). Sebbene l’India sia uno stato laico che garantisce la libertà di credo religioso (artt. 25 – 28 della Costituzione), nondimeno la religione costituisce un aspetto fondamentale della società indiana. L’Induismo, una religione-filosofia caratterizzata da un’estrema varietà di forme e nuclei tradizionali diversi, raccoglie poco meno di 700 milioni di seguaci in tutto il Paese (oltre l’80% della popolazione), ponendosi quindi in una posizione di netta predominanza. Ciò non toglie, però, l’importanza di altri movimenti religiosi e filosofici: in particolare, il Buddismo e il Gianismo, per quanto contino nel loro complesso un numero di devoti pari solamente all’1,2% della popolazione, hanno avuto un’influenza determinante nella storia, nell’arte e nella società indiana. Un altro gruppo religioso molto attivo in India è rappresentato dai musulmani, che a partire dall’inizio del diciottesimo secolo, si espansero dal Medio Oriente verso l’Asia del Sud: con circa 100 milioni di fedeli (12% della popolazione) la comunità musulmana dell’India è attualmente la quarta al mondo, dietro Indonesia, Pakistan e Bangladesh. Non
vanno infine dimenticati i Sikh, che iniziarono a diffondersi nel sedicesimo secolo nel Punjab, e che oggi superano i 16 milioni, ed i Cristiani, che si attestano attorno ai 20 milioni. Sulla società indiana, con la sua tradizionale divisione in caste gerarchicamente ordinate, moltissimo vi sarebbe da dire, ma evidentemente ciò esula dagli scopi del presente lavoro, ed in particolare di questa breve introduzione. Basterà qui ricordare che in base all’art. 17 della Costituzione emanata il 26 novembre 1949 lo status di “intoccabile” (paria) è stato abolito e che ogni trattamento discriminatorio conseguente a tale status è vietato; è inoltre vietata qualunque discriminazione basata sul sesso, sulla religione, o sull’appartenenza a caste. Tuttavia, come del resto avviene in molte nazioni “occidentali”, nonostante i molti progressi degli ultimi decenni, alla uguaglianza formale non ha ancora fatto seguito una piena uguaglianza sostanziale, spesso a causa della persistenza di antiche tradizioni ed usanze. Qualche dato, invece, può dare conto dello stato socio-economico del Paese, che si caratterizza oltre che per la distinzione fra ceti e fra uomini e donne, per la dicotomia tra città e campagne: secondo il censimento del 2001, il 72% degli indiani vive in una zona rurale, il 28% in agglomerati urbani; il 35,5% dispone di un conto in banca (la percentuale scende al 30,1% nelle zone rurali, e sale al 49,5% negli agglomerati urbani), il 31,6% possiede un apparecchio televisivo (18,9% nelle zone rurali, 64,3% negli agglomerati urbani) il 9,1% è intestatario di un’utenza telefonica di rete fissa (3,8% nelle zone rurali, 23% negli agglomerati urbani), il 2,5% possiede un autoveicolo (1,3% nelle zone rurali, 5,6% negli agglomerati urbani). Il tasso di alfabetizzazione totale delle persone adulte è passato dal 52,2% al 65,2% nel periodo compreso tra il 1991 e il 2001; l’alfabetizzazione maschile nel 2001 è salita al 75% nel 2001 contro il 56% del 1981 e il 27% del 1951; l’alfabetizzazione femminile nel 2001 era del 54%, contro il 30% del 1981 e il 9% del 1951. Il tasso di iscrizione alla scuola primaria è raddoppiato negli ultimi cinquant’anni: dal 42,6% del 1950/1951 al 92,14% nel 1998/1999. L’India è una repubblica federale costituita da 29 Stati e 6 Territori dell’Unione (Dadra, Nagar Haveli, Goa, Daman, Diu e Pondicherry), indipendente dal 1947, quando ha posto fine alla sovranità britannica. A livello centrale la struttura dello Stato presenta la tradizionale tripartizione di poteri caratteristica delle democrazie occidentali: legislativo, esecutivo e giudiziario. Il potere esecutivo ha il suo più alto vertice nel Presidente della Repubblica (artt. 52 e ss. Cost.), che viene eletto da un collegio speciale e rimane in carica 5 anni, ma i cui compiti sono però per lo più rappresentativi e di natura formale. L’effettivo potere esecutivo a livello federale è affidato al Consiglio dei Ministri (Union Cabinet), presieduto dal Primo Ministro. Quest’ultimo viene formalmente nominato dal Presidente, ma come avviene anche in Italia, è in realtà espressione del partito o coalizione che detiene la maggioranza parlamentare; una volta nominato, sottopone a sua volta al Presidente la nomina dei ministri componenti il consiglio. Il Parlamento indiano (artt. 79 e ss. Cost.), modellato in gran parte sul sistema parlamentare britannico, è composto dal Rajya Sabha, Consiglio degli Stati, e dal Lok Sabha, Camera Popolare. Il Consiglio dei Ministri risponde del proprio operato al Lok Sabha. Gli organi locali di ciascuno Stato o Territorio dell’Unione eleggono 238 membri del Rajya Sabha (ad ogni Stato spetta l’elezione di un certo numero di membri) ed il Presidente ne nomina altri 12, scegliendoli tra persone che abbiano approfondite conoscenze o provata esperienza in ambito letterario, artistico, scientifico o sociale. Ciascun membro del Rajya Sabha rimane in carica sei anni, con un ricambio di un terzo dei membri ogni due anni. Il Lok Sabha, invece, è composto da 545 membri, di cui 543 sono eletti a suffragio popolare diretto ogni 5 anni, salvo eventuali elezioni anticipate, mentre i restanti due sono nominati dal Presidente. A livello dei singoli Stati, la struttura politica ricalca esattamente il modello centrale, con il Capo dei Ministri che risponde ai propri organi legislativi, così come il Primo Ministro risponde al Parlamento nazionale. Per ogni Stato, il Presidente della Repubblica nomina un Governatore, che può diventare una diretta emanazione del potere centrale, assumendo ampi poteri. Per quanto concerne la suddivisione di competenze fra Unione e Stati che la compongono, l’art. 245 Cost. prevede che determinate materie elencate nella cosiddetta Union List (quali, ad esempio, quelle relative a trasporti, telecomunicazioni, questioni militari e belliche, diritto commerciale e finanziario, imposte sui redditi, etc.) siano di competenza esclusiva del Parlamento dell’Unione, altre siano di competenza esclusiva dei Parlamenti dei singoli Stati (State List), altre ancora, infine, presentino una competenza concorrente (Concurrent List).
In linea generale, il Governo centrale esercita una maggiore influenza sui Territori dell’Unione che non sugli Stati, sebbene alcuni Territori abbiano nel tempo guadagnato maggior potere di altri, riuscendo ad amministrarsi con una certa autonomia. Così come in altre democrazie parlamentari, le funzioni principali del Parlamento indiano sono l’approvazione delle leggi, la sorveglianza sul potere esecutivo, l’approvazione dei piani economico-finanziari e l’assunzione di decisioni in questioni di livello nazionale ed internazionale (trattati, organizzazione dello Stato, etc.). La prima iniziativa per l’adozione di un nuovo testo di legge può essere presa indifferentemente da un ramo o dall’altro del Parlamento. In generale una legge può essere promulgata solo quando sia stata approvata da entrambi i rami nello stesso testo (art. 107 Cost.); per le leggi che hanno un impatto economico per l’Unione (leggi finanziarie, leggi concernenti i tributi, etc.), deve essere seguito un iter parzialmente diverso, essendo previsto che l’iniziativa legislativa spetti sempre al Lok Sabha, che trasmette poi il testo al Rajya Sabha perché quest’ultimo esprima le proprie raccomandazioni, alle quali, tuttavia, il Lok Sabha può anche non attenersi (artt. 109 e 110 Cost.). Il sistema giudiziario, anch’esso modellato su quello anglosassone, è strutturato secondo la seguente gerarchia: z
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Corte Suprema (artt. 124 e ss. Cost.): è la più alta autorità giudiziaria del Paese in materia di interpretazione dalla Costituzione e delle leggi. E’ composta da un Giudice Supremo, e da altri 25 membri, nominati dal Presidente su proposta del Primo Ministro, che rimangono in carica fino all’età di 65 anni, a meno che non si renda necessaria la loro destituzione per provata disonestà o incapacità nello svolgimento delle proprie mansioni. La giurisdizione della Corte Suprema può avere carattere consultivo, diretto o d’appello. La giurisdizione d’appello si estrinseca in tutti i procedimenti civili e penali che comportino decisioni sull’interpretazione delle leggi, analogamente alla Corte di cassazione prevista dall’ordinamento italiano; la Corte invece ha diretta ed esclusiva competenza nelle controversie tra organi dello Stato centrale, come la nostra Corte costituzionale; ha infine potere consultivo su questioni sollevate dal Presidente, che può appellarsi alla Corte affinché decida su questioni di diritto di rilevanza generale. Corti Alte (artt. 214 e ss. Cost.): l’India ha 18 Corti Alte, ciascuna competente su uno o più Stati e Territori. Il Primo Giudice di ogni Corte Alta viene nominato dal Presidente, d’intesa con il Giudice Supremo dell’India e il Governatore dello Stato interessato. Gli altri membri sono nominati dal Presidente in accordo con il Giudice Supremo dell’India e il Primo Giudice dell’Alta Corte dello Stato. Tutti i membri delle Corti Alte rimangono in carica fino all’età di 62 anni. La maggior parte delle Corti Alte ha solamente giurisdizione d’appello, sebbene alcune abbiano anche giurisdizione diretta per le controversie tra poteri dello Stato federato. Corti Basse (artt. 233 e ss. Cost.): in India gli Stati sono suddivisi in distretti che hanno una propria corte. I membri delle Corti Basse (o distrettuali) vengono nominati dal Governatore dello Stato cui appartiene il distretto, d’intesa con la relativa Alta Corte. Le Corti Basse sono generalmente corti di prima istanza.
L’economia dell’India si presenta come una delle più interessanti e stimolanti dell’attuale contesto economico mondiale. Ad affermarlo, del resto, più che gli operatori o gli analisti, sono gli stessi indicatori macroeconomici, assai eloquenti. Si consideri, ad esempio, che per l’anno fiscale 2004 (cioè il periodo 1° aprile 2003 – 30 marzo 2004) ha fatto registrare una crescita del PIL dell’8,2%, grazie soprattutto al contributo del settore agricolo (che incide sul PIL per circa il 25%), cresciuto del 9,1%, un tasso che non si registrava da circa 15 anni, e del settore dei servizi (57% del PIL), cresciuto del 7,5%. D’altra parte, nonostante una certa discontinuità, l’India è costantemente cresciuta negli ultimi dieci anni, e cioè a partire dal 1991 quando il governo indiano ha intrapreso una riforma economica che ha posto fine a quaranta anni di sviluppo sostenuto e guidato dallo Stato, con un ritmo impensabile per molti paesi industrializzati, con tassi superiori al 7% nel periodo 1994 – 1997, e superiori all’8% nel biennio 2003 – 2004. L’unità monetaria locale, è la Rupia (INR), divisibile in centesimi, detti Paisa, e pienamente convertibile. In base ai dati forniti dall’Ufficio Italiano Cambi, nel mese di febbraio 2005 il cambio medio INR/EUR è stato di 56,8331 rupie per un euro; quello INR/USD di 43,6696 rupie per un dollaro.
Capitolo n. 1 Sistema economico-commerciale - L'impresa e la società
Sotto Capitolo n. 1.1 Disciplina degli investimenti stranieri
1.1. Opzioni di ingresso per l ’investitore straniero Le forme societarie ed associative disponibili per l’imprenditore estero che decida di costituire una società in India sono varie, ed in genere si discostano di poco dai modelli societari tipici dei paesi di common law. L’investitore potrà stabilire la propria presenza in India: costituendo una società a capitale interamente straniero (Wholly Owned Subsidiaries): il capitale di provenienza straniera - Foreign Equity - può giungere sino al 100% della società, in relazione alle esigenze dell’investitore, compatibilmente con eventuali parametri di capitalizzazione (equity caps) relativi all’area di attività svolta; z partecipando con un partner indiano alla costituzione di una società (c.d. Joint Venture) o acquisendo una partecipazione in una società già esistente; z operando attraverso entità prive di alcuna forma societaria o personalità giuridica, ossia attraverso: (i) un “ufficio di collegamento” (Liaison office), che regola le attività organizzative tra le società operanti in loco e la società controllante; (ii) sedi secondarie (Branch Office), tramite le quali le società estere possono essere rappresentate in India per quanto concerne la gestione delle compravendite, per le attività di import/export, ovvero al fine di promuovere possibili collaborazioni tecniche o finanziarie con ditte locali; (iii) un “ufficio di progettazione” (Project Office). z
Il funzionamento di questi uffici è regolato dal "Foreign Exchange Management Regulation 2000 (Establishment in India of branch or office of other place of business)", mentre per la loro costituzione è previsto che: z venga richiesta l’autorizzazione da parte della Reserve Bank of India (RBI) per lo stabilimento di un ufficio di collegamento o di una Filiale; z la registrazione dell'ufficio o della Filiale, così come previsto dal Companies Act del 1956, sia effettuata entro 30 giorni dalla data di insediamento in India; z qualora sia necessario disporre di una proprietà immobiliare, sia possibile addivenire alla stipula di un contratto di locazione di durata non eccedente 5 anni (per durate superiori è richiesta una specifica autorizzazione). La fattispecie societaria più utilizzata dagli operatori stranieri è la società a responsabilità limitata. Le società di persone, le ditte individuali e le associazioni, sebbene molto diffuse nella prassi indiana, vengono invece normalmente viste con una certa diffidenza dall’investitore estero, a causa del regime di responsabilità illimitata gravante sui soci. Tutte le società che conducono in India un'attività commerciale o, più in generale, svolgono un'attività economica, devono essere regolarmente registrate così come previsto dal Companies Act del 1956. Per la costituzione e la registrazione di dette società, è necessario presentare un'apposita domanda al ROC (Registrar of Commerce – Registro delle Imprese). Attraverso tale registrazione, l'entità giuridica così costituita sarà definitivamente assoggettata alla legislazione nazionale applicabile alle società di dirtto indiano. 1.1.1. Ufficio di rappresentanza Le attività che un ufficio di rappresentanza indiano (detto anche Liaison Office) può svolgere, consistono nel: z rappresentare la società madre o le società del gruppo; z svolgere attività di promozione per le attività di import/export da e verso l’India; z svolgere attività di promozione per la collaborazione tecnico-finanziaria tra la società madre o le società del gruppo da un lato, e le società indiane dall’altro; z agire come canale di comunicazione tra la società madre e le società costituite in India. Questa tipologia di ufficio non può intraprendere, né direttamente né indirettamente, alcun tipo di attività
commerciale od industriale, né può generare qualsivoglia tipologia di profitto. Di conseguenza, tutte le spese dovranno essere sostenute attraverso l’invio di denaro dall’estero. Quale effetto della sua inidoneità a generare profitti, il Liaison Office non è soggetto a tassazione. L’autorizzazione alla costituzione di un Liaison Office deve essere rilasciata dalla Reserve Bank of India (RBI), la quale autorizza anche le rimesse economiche inviate dalla casa madre e necessarie al funzionamento dell’ufficio. Il permesso per l’apertura dell’ufficio di rappresentaza ha durata triennale ed è rinnovabile. Poiché non è consentito l’acquisto di immobili da destinare ad ufficio, sarà necessario procedere alla sottoscrizione di un apposito contratto di locazione, il quale dovrà essere autorizzato dalla RBI qualora abbia una durata superiore a cinque anni. Ai fini della sottoscrizione del contratto di locazione, è necessario esibire anche la seguente documentazione: (i) l’autorizzazione della RBI, (ii) una dichiarazione certificata relativa ad entrate ed uscite della società madre e infine (iii) una dichiarazione che il predetto ufficio non svolgerà attività commerciale o industriale. 1.1.2. Sede Secondaria L'investitore straniero può anche procedere all’apertura di una sede secondaria della propria impresa (detta anche Branch Office). Le sole entità straniere che possono operare attraverso sedi secondarie in India sono le banche, le compagnie aeree e le compagnie di navigazione che abbiano sede in Paesi che offrano analoghe facilitazioni a società indiane su basi reciproche. Le società straniere, tuttavia, possono costituire uffici di rappresentanza e uffici di progettazione per l’elaborazione dei progetti, così come meglio previsto ai paragrafi 1.1.1 e 1.1.3. Le attività consentite al Branch Office sono: attività di import/export; servizi di assistenza professionale e consulenza; attività di ricerca in cui viene coinvolta anche la società madre; attività di promozione della collaborazione tecnico-finanziaria tra le società indiane, la società madre e gruppi di società estere; z attività di rappresentanza della società madre in India, in qualità di agente per la vendita o l’acquisto di prodotti; z servizi di Information technology e sviluppo di software in India; z supporto tecnico per i prodotti forniti dalla società madre o da società del gruppo; z attività di trasporto marittimo od aereo. Il Branch Office, soggetto all’approvazione della RBI, può liberamente rimpatriare gli eventuali profitti derivanti dalla sua attività, ma non è autorizzato a svolgere attività di produzione diretta, pur potendola subappaltare ad un’impresa indiana. z z z z
I Branch Offices definiti come “On Stand Alone Basis” sono quei Branch Offices isolati e confinati nelle c.d. Special Economic Zones (SEZ), per i quali nessuna attività o transazione è permessa al di fuori delle SEZs stesse. Non è richiesta alcuna autorizzazione da parte della RBI per lo svolgimento, da parte del Branch Office all’interno della SEZ, dell'attività di fabbricazione o per i servizi resi nel rispetto delle condizioni previste dalle normative speciali. Come previsto dal Foreign Exchange Regulation Act (Fera), sono subordinate all’autorizzazione da parte della RBI: z l’apertura di nuove filiali, uffici o altre sedi di affari per conto di società estere; z lo svolgimento di qualsivoglia attività di scambio di beni e servizi; z l’acquisizione di imprese indiane che svolgono le attività di scambio di cui al punto che precede; z l’acquisto di azioni di società indiane; z la richiesta di prestiti in denaro da parte di un soggetto residente in India; z l’accettazione della nomina di agente, o tecnico o management advisor.
Il Branch Office va registrato entro trenta giorni dalla sua apertura presso il registro delle imprese (Registrar of Companies, “ROC”). A cadenze annuali, alla società estera è richiesta la redazione dello stato patrimoniale e del conto economico delle proprie attività, nonché il deposito di detta documentazione in triplice copia (in inglese) presso il Registro delle imprese (il Central Government può tuttavia accordare una deroga a tali previsioni per singole società). 1.1.3. Project Office La costituzione di un Project Office, limitato a ben determinati e specifici progetti, non fa altro che testimoniare la presenza di una società straniera in loco senza troppi coinvolgimenti o investimenti. Anche questa presenza deve essere autorizzata dalla RBI e l’autorizzazione ha una durata pari alla durata effettiva del progetto. Non è invece richiesta l'autorizzazione per la costituzione di un Project Office, ogniqualvolta la società straniera abbia stipulato un contratto per la realizzazione di un progetto in India, e nello stesso tempo alternativamente: z il progetto sia finanziato attraverso l’invio di denaro dall’estero; z il progetto sia finanziato da una Bilateral International Finance Agency; z il progetto sia stato visionato ed approvato da un'autorità competente; z l'entità indiana che ha concluso il contratto, abbia ottenuto un prestito per la realizzazione del progetto da una Public Financial Institution o da un'altra banca. I profitti prodottisi a seguito della realizzazione del progetto, possono essere liberamente rimpatriati nel rispetto degli adempimenti fiscali previsti dalla legislazione indiana.
Sotto Capitolo n. 1.2 Disciplina degli investimenti stranieri
1.2.1. Procedure di approvazione degli investimenti stranieri L’Industrial Policy Resolution del 1956 e lo Statement on Industrial Policy del 1991 forniscono il quadro normativo di base della politica industriale globale del Governo indiano. Gli investimenti stranieri vengono approvati secondo due diverse modalità procedurali: (i) in via automatica o governativa, (ii) in base alle modalità dell’investimento previste per il singolo settore interessato dallo stesso. 1.2.2. Procedura automatica Secondo le disposizioni della Legge 6 marzo 1934 (The Reserve Bank of India Act) come successivamente modificata ed emendata, possono essere sottoposti ad approvazione automatica della RBI, gli investimenti stranieri che osservino le seguenti previsioni: z l’investimento non superi determinate percentuali a seconda della tipologia di settore coinvolto (es. il 50 % per il settore minerario - ad eccezione di oro, argento, diamanti e pietre preziose); z l’investimento non richieda una licenza industriale o non sia effettuato in settori riservati alla piccola impresa; z l’investimento non superi il 24% del capitale in società che producono beni riservati alla piccola impresa (Cfr. par. 1.2.5); z l’investimento non sia effettuato mediante acquisizione di azioni di una società indiana; z il partner straniero non abbia precedentemente costituito una Joint Venture o avviato altre forme di collaborazione in India. La via automatica per l’investimento diretto straniero (FDI – Foreign Direct Investiment) può essere percorsa non solo dalle nuove aziende ma anche dalle aziende già esistenti, che intendano incrementare il proprio capitale, aprendosi agli investitori stranieri. Le aziende già esistenti che possiedono un piano di espansione, devono presentare requisiti aggiuntivi ai fini dell’esperibilità della procedura di approvazione automatica. Detti requisiti sono: z vi sia un reale aumento di capitale, e non semplicemente un'acquisizione di quote già in circolazione da parte di investitori stranieri (l’incremento del livello azionario deve essere calcolato sulla base dell’espansione azionaria dell’azienda esistente senza tener conto dell’acquisizione di azioni da parte di investitori NRI – Non Resident Indian/stranieri); z l’investimento sia effettuato in valuta estera; z il piano di espansione proposto indichi i settori per i quali sia possibile utilizzare la procedura automatica. Se questi requisiti non sono soddisfatti, la proposta necessiterà anche dell’approvazione del Governo tramite l’Ente per la Promozione degli Investimenti Stranieri (FIPB). Ai fini dell’approvazione del FDI secondo la via automatica, le proposte devono pervenire alla banca centrale. Per una maggiore semplificazione delle procedure di concessione dell’approvazione in via automatica, la banca centrale ha autorizzato le aziende indiane ad accettare l’investimento estero, senza richiedere la sua previa approvazione. Gli investitori sono tuttavia tenuti ad informare l’ufficio regionale della RBI dell’avvenuta ricezione delle rimesse, nonchè a presentare specifici documenti presso gli uffici regionali della RBI competenti, entro 30 giorni dall’emissione delle azioni a loro favore. Le domande di approvazione devono essere presentate su un apposito formulario e devono essere inviate all’Ufficio competente di zona della RBI. La RBI generalmente rilascia il proprio benestare entro 15 giorni.
Tutte le attività per le quali non è possibile adottare la procedura automatica, sono soggette all’approvazione del Governo indiano attraverso l’Ente per la Promozione degli Investimenti (FIPB). 1.2.3. Approvazione del governo Sono soggette all’approvazione governativa tutte le rimanenti proposte di investimento che non soddisfino le condizioni previste dalla procedura di approvazione automatica. Il sistema per ottenere le autorizzazioni governative è stato progressivamente liberalizzato negli anni ‘90 (per effetto dei mutamenti avvenuti nella politica industriale avviati nel 1991) con: (i) la sostanziale abolizione del sistema di licenze industriali ora circoscritte esclusivamente a taluni settori particolari (vedi Par. 1.2.6), (ii) l’introduzione di misure atte a facilitare gli investimenti stranieri ed il trasferimento delle tecnologie, (iii) l’apertura di aree di investimento prima riservate ai soli investimenti pubblici. Le domande devono essere sottoposte al FIPB (Foreign Investment Promotion Board). La proposta di approvazione può essere anche presentata al Secretary for Industrial Assistance (SIA), all’Entrepreneurial Assistance Unit (EAU), o a qualsiasi missione diplomatica in India, le quali provvederanno a trasmetterere automaticamente al FIPB dette richieste, entro 15 giorni. È stata inoltre recentemente attivata una mailbox (all’indirizzo
[email protected] ) sul sito web della SIA per la presentazione delle domande al FIPB via e-mail (è neccesario, tuttavia, il previo invio di una copia cartacea del progetto). Il FIPB è competente per le proposte di investimento sino ad un ammontare massimo di 6 miliardi di INR. Gli elementi adottati dal FIPB per la valutazione dei progetti di investimento diretto estero - detti elementi non sono legalmente vincolanti e permettono al FIPB di valutare le proposte con notevole flessibilità risultano essere principalmente i seguenti: z la necessità di ottenere una licenza industriale e la valutazione della sussistenza dei presupposti per il suo eventuale conseguimento; z la sussistenza di un impatto tecnologico positivo del progetto sul territorio indiano; z il soddisfacimento di eventuali requisiti obbligatori per l’esportazione e la valutazione dell’idoneità del richiedente ad assumere particolari impegni; z la valutazione dei particolari progetti di esportazione, delle modalità e delle destinazioni dell’esportazione; z la presenza di restrizioni relative alla possibilità di stabilimento in determinate zone; z la valutazione dei presupposti considerati necessari per creare una nuova Joint-Venture o concludere un nuovo trasferimento di tecnologia, nel caso in cui il progetto sia connesso ad una precedente Joint-Venture ovvero ad un accordo per il trasferimento di tecnologia o marchi (technology transfer/trademark agreement) inerente al medesimo campo o in campi affini all’interno del territorio indiano, ovvero la prova che il nuovo progetto non potrà in alcun modo pregiudicare l’interesse della joint venture esistente, o del technology trademark partner, o di altri detentori di partecipazioni. Inoltre, nel considerare le proposte, la priorità viene generalmente riconosciuta alle seguenti attività: attività che rientrano in quelle sottoposte alla procedura automatica di approvazione; attività rientranti nel settore delle infrastrutture; attività da cui possa derivare un incremento delle esportazioni; attività che possano comportare un incremento dell’occupazione; attività di notevole rilevanza sociale (es: ospedali); attività che contribuiscano allo sviluppo tecnologico.
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Si rinvia al par. 1.2.8 per una esposizione dettagliata delle linee guida settoriali emanate dal FIPB. È di specifica competenza del FIPB l’approvazione dei seguenti investimenti: investimenti realizzati da controllate al 100% di società commerciali straniere, che effettuano attività di cash and carry o d'importazione di beni e servizi, destinati per il 75% ad essere venduti a società dello stesso gruppo; z svolgimento di altri tipi di attività quali in via esemplificativa la fornitura di servizi post-vendita, la vendita all’ingrosso di prodotti all’interno di joint venture partecipate dalla società commerciale, il commercio di articoli di hi-tech, medicinali per il settore sociale, prodotti delle piccole imprese, fornitura di prodotti per l’esportazione. z
L’approvazione per gli investimenti di valore superiore ai 6 mld di INR, è di competenza del Cabinet
Committee on Economic Affairs (CCEA). I tempi di approvazione variano dalle 4 alle 6 settimane e la decisione finale del governo viene comunicata dal SIA entro 30 giorni dalla presentazione della proposta. Una volta ottenuta l’approvazione a livello centrale (dalla RBI o dal FIPB), l’investitore straniero deve ottenere tutta una serie di ulteriori autorizzazioni dal governo locale dello stato in cui viene effettuato l’investimento. Con riferimento agli aspetti patologici relativi al funzionamento del sistema Indiano (per quanto riguarda l’approvazione dei progetti), è doveroso osservare che le procedure adottate dal FIPB purtroppo mancano di trasparenza e gli orientamenti decisionali di quest'organo possono cambiare di settimana in settimana. Per questa ragione, prima di sottoporre la proposta, è opportuno condurre una ricerca sui termini e sulle condizioni richieste dall’agenzia per l’approvazione di progetti affini nelle settimane immediatamente precedenti. Come già in precedenza accennato, attualmente, la politica indiana relativa agli investimenti diretti esteri sta subendo una progressiva liberalizzazione. Gli investimenti diretti esteri sono ora permessi in molti settori ed attività in base alla procedura di approvazione automatica. Tuttavia, restano preclusi generalmente nei seguenti campi: .. gioco d’azzardo, scommesse e lotterie; .. settore della proprietà immobiliare; .. energia atomica; .. settore dell’agricoltura con eccezione del settore del tè (si veda par. 1.2.8.). 1.2.4. Nuove aziende In India, in linea di principio gli investimenti diretti esteri sono ammessi fino al 100% dell’investimento e con procedura automatica di approvazione. Sono tuttavia fatte salve le eccezioni di seguito riportate: z tutte le attività produttive che richiedono una licenza industriale (vi rientrano le imprese che intendono produrre articoli per i quali è necessaria la Licenza Industriale come previsto dall’Atto per lo Sviluppo e per la Regolamentazione delle Industrie del 1951, le imprese in cui l’investimento straniero supera il 24% del capitale in caso di produzione di articoli riservati alla piccola industria, le imprese che intendono produrre articoli che richiedono una licenza industriale secondo le leggi sulla localizzazione industriale adottata dal Governo nell’ambito della Nuova Politica Industriale del 1991 – si veda par. 1.2.6); z tutte le iniziative imprenditoriali in cui l’investitore estero abbia in India un’impresa o qualsivoglia altra forma di collaborazione, nel medesimo o analogo settore; z tutte le iniziative dell’investitore straniero che prevedono l’acquisizione di partecipazioni di società indiane già esistenti; z tutte le iniziative che non rientrano in una politica settoriale regolamentata o che hanno a che fare con settori per i quali il FDI non è consentito. Le società a capitale interamente straniero (wholly foreigned owned subsidiary) possono ottenere l’approvazione automatica laddove operino nei settori ad alta priorità, quali: z produzione di energia elettrica (centrali idroelettriche, centrali termoelettriche a carbone/lignite, a petrolio e a gas); z distribuzione di energia elettrica per uso domestico, industriale e commerciale; z costruzione e manutenzione di strade, autostrade, ponti, gallerie e porti. In questi casi, gli investitori devono notificare al Regional Office della RBI il versamento del capitale sociale entro trenta giorni dall'effettuazione del versamento stesso, e devono presentare la necessaria documentazione presso il medesimo ufficio entro trenta giorni dall’emissione delle azioni agli investitori stranieri. Il FIPB può comunque esprimere il proprio parere tenendo in considerazione parametri sussidiari, quali: credenziali della casa madre; settore di attività (favorite le proposte per esplorazioni e studi di mercato nel settore petrolifero, progetti per centrali elettriche, strade, porti, aeroporti, parchi e aree industriali, turismo); z tecnologia importata (se è sofisticata e deve essere protetta); z orientamento all’esportazione (se almeno il 50% della produzione viene esportata). z z
I vantaggi di una società a capitale interamente straniero consistono: nell’indipendenza e nella libertà di stabilire proprie strategie; nel pieno controllo delle operazioni e del management;
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nella maggiore efficienza; nella possibilità di godere, in ogni caso, di eventuali benefici concessi alle altre società indiane, partecipate da partner locali.
Tra gli svantaggi, rientrano, ad esempio: la necessità di dover provvedere autonomamente alla creazione della società, senza alcun supporto da parte di partner locali; z la necessità di dover far fronte a tutti gli esborsi e le spese generali conseguenti; z l’impossibilità di contare su reti di relazioni già consolidate, di un eventuale partner indiano. z
1.2.5. Investimenti esteri nel settore delle piccole imprese In India si considera piccola impresa (SSI – Small Scale Industry) l'unità produttiva industriale, il cui investimento in impianti, macchinari e beni patrimoniali non superi i 10.000.000 di INR. Il governo indiano riconosce massima priorità alle piccole imprese che contribuiscano in modo significativo alle esportazioni e al livello occupazionale del paese. Pertanto ha predisposto una serie di agevolazioni di natura fiscale, ed ha riservato a tale settore la produzione in via esclusiva di circa 800 articoli industriali. L’investimento straniero nella piccola impresa è limitato per legge al 24% del patrimonio netto e per quanto riguarda le partecipazioni nella produzione di articoli riservati, sussiste l’obbligo di esportare il 50% della produzione. Va detto che le speciali agevolazioni concesse al settore hanno innescato un circolo vizioso, pervenendo al risultato che è preferibile rimanere piccoli pur di sfruttare i vantaggi derivanti dalla dimensione. Non è di scarsa frequenza che un unico proprietario gestisca 5 o 6 o anche 10 aziende di piccole dimensioni, attive nello stesso settore, solo al fine di sfruttare il favorevole regime fiscale proprio di tali imprese, rinunciando, nel contempo, alle economie di scala e alle conseguenti possibilità di crescita. Tutte le società devono inoltre tenere registri e libri contabili, e sottoporre la propria contabilità a revisione da parte di un soggetto appartenente all’Albo Ufficiale Indiano dei Revisori. In alcuni stati è possibile far effettuare le relazioni di revisione da parte di membri di altre organizzazioni. Le società sono tenute a presentare ulteriore rendicontazione, tra cui, in via meramente esemplificativa: la dichiarazione dei redditi annuale, lo stato patrimoniale, il conto economico, le relazioni e gli emolumenti dei revisori e del Consiglio di Amministrazione. 1.2.6. Licenza industriale All’interno del territorio indiano, ai fini dello svolgimento dell’attività produttiva in determinati settori, è obbligatorio ottenere una licenza industriale. In particolare l’obbligo è limitato ai settori: z riservati allo Stato (armi, munizioni e articoli per la difesa, energia atomica, trasporti ferroviari); z d’interesse strategico, sociale e ambientale; z riservati alla piccola impresa. Le licenze industriali sono regolate dall’Industries Act del 1951 (Development and Regulation). I requisiti per ottenere una licenza industriale sono stati progressivamente ridotti. Al momento, l’esigenza di ottenere una licenza industriale sussiste: z nei settori di attività per i quali è stato mantenuto l’obbligo della licenza: tra essi rientrano la distillazione e preparazione di bevande alcoliche, la fabbricazione di sigari, sigarette e sostituti del tabacco, l’elettronica aerospaziale e la produzione di strumenti di difesa di ogni tipologia, esplosivi industriali inclusi, detonatori, polvere da sparo, nitrocellulosa, la chimica pericolosa, la produzione di droghe e farmaci (in base alla Drug Policy così come emendata nel febbraio 1999); z per i prodotti riservati alla piccola impresa (Small Scale Industries - SSI): come già accenato, si considera piccola l’impresa il cui investimento in beni patrimoniali, macchinari e attrezzature non ecceda i 10 milioni di INR. Le piccole imprese possono venire registrate presso il Directorate of Industries Centre of the State Government, possono fabbricare qualsiasi prodotto e sono esenti da restrizioni territoriali. Le imprese non piccole, invece, possono produrre i prodotti specificatamente riservati alla piccola impresa solo dopo aver ottenuto una licenza industriale, ma in ogni caso sono tenute ad esportare almeno il 50% della produzione. Inoltre, nell’eventualità che in una SSI l’investimento straniero o proveniente da attività industriale, straniera o interna, sia superiore al 24%
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del patrimonio netto, l’unità perde lo status di unità su piccola scala, anche se l’investimento complessivo in macchinari ed attrezzatura non eccede i 10 milioni di INR. quando sussistono restrizioni territoriali: in linea generale, vi è libertà di individuare il territorio su cui localizzare le iniziative industriali. E’ tuttavia richiesta la licenza industriale se si intende localizzare l’attività entro i 25 KM che individuano il limite della Standard Urban Area di 23 città con una popolazione di 1 milione di abitanti (quali, ad esempio, Delhi U.A., Kanpur U.A., Maturai U.A. ecc.). Le restrizioni territoriali non si applicano: (i) quando l’iniziativa viene localizzata in un’area designata come “industrial area”; (ii) per le industrie operanti nel settore dell’elettronica, del software e qualsiasi altra industria che in futuro possa essere qualificata come industria non inquinante.
Procedure per ottenere una licenza industriale La licenza industriale, solitamente entro 4-6 settimane dalla presentazione della domanda redatta su apposito modulo, viene rilasciata dal Governo Indiano presso il Secretariat for Industrial Assistance -SIA-, su raccomandazione del Licensing Committee. Le industrie che non necessitano della suddetta licenza sono tenute esclusivamente alla presentazione dell’Industrial Entrepreneur Memoranda (IEM) presso il SIA, che consente loro di ottenere un Numero di Registrazione fornito dal SIA. Non è richiesta alcuna ulteriore approvazione. Tutte le attività industriali, che necessitino o meno della licenza industriale obbligatoria, sono tenute a produrre mensilmente un rendiconto della produzione che deve essere sottoposto all’Industrial Statistic Unit (ISU). Le attività su piccola scala, che per effetto della propria crescita produttiva superino il limite di investimento prescritto, esigono la richiesta di un Carry on Business Licence (COB), basato sulla migliore produzione dei tre anni precedenti. Tuttavia, in caso di ulteriore crescita rispetto al livello previsto nella licenza COB, l’unità dovrà necessariamente richiedere una licenza industriale. Gli imprenditori devono inoltre ottenere tutte le approvazioni previste dalla legge per il controllo dell’inquinamento e dell’ambiente, sulla base delle disposizioni dell’Environment Protection Act del 1986. Tuttavia, se l’investimento nel progetto è inferiore al miliardo di INR, le autorizzazioni ambientali non sono necessarie, salvo che il progetto non riguardi pesticidi, amianto e prodotti dell’amianto, grandi quantitativi di farmaci e medicinali, attività di stesura di catrame nelle aree dell’Himalaya, distillerie e fonderie. Lo stabilimento di industrie in certe aree considerate fragili dal punto di vista ambientale è sottoposto alla supervisione del Ministero dell’Ambiente del Governo indiano. 1.2.7. Le Zone per la Promozione delle Esportazioni e le Zone Economiche Speciali Di particolare interesse per l’investitore straniero risultano le Export Processing Zones (EPZs) per la promozione delle esportazioni e la creazione di opportunità di investimento. Esse comprendono, tra le altre: Santacruz Electronics Export Processing Zone in Maharashtra; Kandla Export Processing Zone in Gujarat; Falta Export Proicessing Zone in Westy Bengal; Noida Export Processing Zone. Le EPZs garantiscono un ambiente economico libero da dazi, da cui ne consegue, pertanto, uno status internazionalmente competitivo per le produzioni destinate all’esportazione a basso costo. A capo di ogni EPZ vi è un sovrintendente allo sviluppo, il cui ufficio è responsabile della gestione e dello sviluppo dell’export della zona. Le principali prerogative offerte in favore degli insediamenti nell’ambito di siffatte zone possono essere, in via esemplificativa, individuate: z nella partecipazione straniera fino al 100% per impiego di tecnologia e marketing straniero da considerarsi essenziali; z nell’obbligo di esportazione minimo del 75% dell’output per le unità industriali localizzate in queste zone. Il restante 25% può essere commercializzato nell’area tariffaria interna a fronte del pagamento di alcune imposte; z nel rimpatrio dei profitti realizzati in maniera proporzionale al capitale investito;
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nella libera importazione di capitale immobilizzato, materie prime, componenti; nell’esenzione dalle imposte centrali e da quelle sui consumi; nella riduzione delle imposte locali; nell’esenzione per i primi 10 anni dall’imposizione sul reddito.
Nell’aprile del 2000, al fine di agevolare e sostenere soprattutto le esportazioni di prodotti manifatturieri, il governo indiano preannunciò il progetto di creazione di varie zone internazionalmente competitive ed esenti da tassazione, definite Zone Economiche Speciali (Special Economic Zones, “SEZs”). Lo scopo di tale progetto era duplice: attrarre investimenti stranieri e fornire un supporto alla capacità di esportazione indiana. Le unità produttive localizzate all’interno di dette zone, non sono soggette né agli obblighi di esportazione né alle norme sugli scarti delle materie prime e del prodotto finito. Le SEZs sono infatti definite “duty free enclaves” e vengono considerate territorio straniero per ciò che concerne le operazioni commerciali, le imposte doganali e le tariffe. Non sono richieste licenze per l’esportazione mentre sono previste esenzioni da dazi doganali per ciò che concerne capitale e materie prime. Al fine di stabilire una unità produttiva all’interno di una SEZ, è necessario presentare domanda al Development Commissioner (DC) della SEZ interessata. Il progetto di costituzione di una unità in una SEZ, oltre a dover ottenere la prescritta licenza commerciale, deve essere approvato dal Development Commissioner entro 15 giorni dalla presentazione della domanda. Quando il progetto richiede una licenza industriale, esso dovrà essere approvato dal Development Commissioner dopo che la proposta è stata preliminarmente esaminata dal Board of approval and Department of Industrial Policy and Promotion della SEZ, entro 45 giorni. La Letter of Permission (LOP)/Letter of Intent (LOI) rilasciata dal Development Commissioner per le unità SEZs, costituisce una licenza valida per tutte le finalità, inclusa la fornitura di materie prime e merce deperibile, sia direttamente che indirettamente. La LOP/LOI deve specificare i termini dell’attività di servizi o manifatturiera, la capacità annuale di esportazione per il primo anno (valore espresso in dollari), il NET Foreign Exchange Earnings (NFE), le limitazioni, se esistenti, relative alla vendita di beni finiti, così come ogni altra indicazione necessaria in base alle condizioni esistenti. L’attività dell’unità SEZ viene ad essere monitorata da un Committee costituito dal Development Commissioner della SEZ. Una zona economica speciale di 3.500 ettari è stata creata per il settore privato a Pipavav in Gujarat, sulla costa occidentale, mentre un’altra SEZ è stata costituita a Tuticorin in Tamil Nadu. Inoltre, le EPZs di Mumbai, Kandla, Vishakapatnam e Cochin saranno, in un prossimo futuro, convertite in SEZs. E’ stata di recente avanzata una proposta per permettere ad assicuratori stranieri di stabilire delle affiliate in queste zone. Gli assicuratori stranieri sono stati autorizzati ad operare in India sin dall’inzio del nuovo millennio, tuttavia i regolamenti limitano la partecipazione della eventuale Holding straniera al 26% di una impresa di assicurazione indiana. Si prevede tuttavia che tale restrizione verrà ben presto meno, almeno per quanto riguarda le assicurazioni straniere all'interno delle SEZs. Ciò darà origine ad una serie di opzioni particolarmente interessanti per tutti quegli assicuratori, riassicuratori, brokers e periti, i cui interessi potrebbero non essere tali da giustificare un investimento (in termini finanziari, di tempo e di energie) mediante una Joint Venture di assicurazioni. 1.2.8. Linee guida FIPB Settori di attivit à
Linee guida elaborate dal FIPB per valutare le richieste di investimenti diretti esteri (FDI) z
Linee aeree per i voli interni
FDI (Foreign Direct Investment) è ammesso fino al 40% a condizione che non ci sia alcuna partecipazione diretta o indiretta nel capitale azionario da parte di una compagnia aerea
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Aeroporti Telecomunicazioni
Petrolifero (esclusa la raffinazione)
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Per i servizi di base, cellulari, i servizi accessori, le comunicazioni satellitari, l’FDI è concesso fino al 49% a condizione che siano state ottenute tutte le necessarie autorizzazioni e siano state rispettate tutte le norme di sicurezza. z Per i fornitori di servizi internet (ISP) con portali, cercapersone ed a banda larga “end to end”, l’FDI è ammesso fino al 74%. L'FDI superiore al 49% richiede però l’approvazione governativa. È necessario ottenere le autorizzazioni richieste e rispettare le norme di sicurezza vigenti per questi servizi. z Il limite massimo di capitale azionario straniero non è applicabile alle attività di fabbricazione. z L’FDI è ammesso fino al 100% per le seguenti attività del settore telecomunicazioni: a) servizi di internet (ISP) senza portali (cavi satellitari e sommergibili). b) Fornitori di infrastrutture di ‘fibre scure" (Dark Fibre). c) Servizi di posta elettronica. d) Servizi di “Voice Mail”. Quanto detto sopra sarà soggetto alle seguenti condizioni: a) Se queste imprese sono quotate in altre borse internazionali, l’FDI è ammesso fino al 100% a condizione che tali imprese vendano il 26% del loro capitale azionario al pubblico indiano entro 5 anni. b) Dove necessario, i servizi sopra menzionati dovranno ottenere le autorizzazioni richieste e rispettare le norme di sicurezza. c) Il FIPB valuterà singolarmente ogni caso che prevede un FDI superiore al 49%. z
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Petrolifero (raffinazione)
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Edilizia residenziale
straniera. Il 100% dell’investimento può essere effettuato dagli NRI (indiani non residenti). Non è disponibile la procedura automatica. L’FDI è ammesso fino al 100%, ma quando supera il 74% richiede l’approvazione governativa.
In base alla politica di esplorazione, il FDI è ammesso fino al 100% in via automatica se l’attività è svolta in pozzi di piccole e medie dimensioni. L’FDI è ammesso fino al 100% in via automatica, per la commercializzazione dei prodotti petroliferi. L’FDI è ammesso fino al 100% in via automatica, per costruzione di oleodotti in conformità alle politiche del governo e ai regolamenti in materie. Per le condotte del gas naturale e GPC, l’FDI è ammesso fino al 100% previa l’approvazione del governo indiano Il 100% d’investimento diretto secondo le direttive FIPB è ammesso per studi di mercato. Per il marketing è permesso l’investimento estero al 100% se specificamente autorizzato dal FIPB. L’FDI è ammesso fino al 26% per le unità di raffinazione statali (Public Sector Units- PSU). Queste saranno possedute per il 26% dallo stato e il restante 48% dal pubblico. La procedura automatica non è applicabile. Per le ditte private indiane, l’FDI è ammesso fino al 100% con la procedura automatica.
L’investimento diretto dall’estero non è ammesso in questo settore ad eccezione dello sviluppo di centri urbani integrati e di insediamenti abitativi. In questo caso, l’FDI può essere concesso fino al 100% con l’approvazione governativa. Gli NRI/le OCB possono investire nelle seguenti attività: z Lo sviluppo di lotti con servizi predisposti e la costruzione di edifici residenziali. z L’investimento nelle costruzioni di unità residenziali e commerciali compresi business center e uffici. z Lo sviluppo dei centri urbani. z Le infrastrutture urbane e di competenza regionale come strade e ponti. z L’investimento nella produzione di materiali da costruzione, che
è aperto anche al FDI. Settore delle infrastrutture e dei servizi
Per quanto riguarda le società che operano nel settore delle infrastrutture e dei servizi, c’è un limite massimo prescritto per l'investimento straniero, ma questo limite riguarda solo l’investimento diretto e l’investimento straniero effettuato attraverso una società investitrice non verrà considerato in questo limite a condizione che l'investimento diretto dall’estero (di tale società) non superi il 49% e che la società sia gestita dai proprietari indiani. La procedura automatica non è consentita.
Il commercio
Nel settore commerciale l’FDI è ammesso con la procedura automatica fino al 51% a condizione che si tratti principalmente di attività d’esportazione e che l’impresa sia una “export house”/ "trading house"/ “super trading house”/ “star trading house”. Comunque, secondo la procedura del FIPB : z l’FDI è ammesso fino al 100% per le società commerciali che si occupano delle seguenti attività: - esportazione; - Importazione all’ingrosso con vendite vincolate. - Commercio all’ingrosso del tipo “cash and carry” (paghi e porti via). - Altre importazioni di merci e servizi in cui almeno il 75% sia destinato all’approvvigionamento e alla vendita di merci e di servizi fra imprese dello stesso gruppo e non all’uso di terzi e successiva distribuzione e vendita. z Sono ammessi anche i seguenti tipi di attività secondo le disposizioni della politica relativa al commercio estero: a) le ditte che forniscono servizi assistenza post-vendita (il che non è di per sé commercio). b) Il commercio nazionale dei prodotti delle Joint Venture è ammesso all’ingrosso per quelle società commerciali che desiderano vendere i prodotti fabbricati per conto loro da Joint Venture indiane nelle quali loro hanno una partecipazione azionaria. c) Il commercio dei prodotti di alta tecnologia (hi-tech) e di prodotti che richiedono servizi di assistenza post vendita specializzati. d) Il commercio di prodotti per il settore sociale. e) Il commercio dei prodotti “hi-tech”, pertinenti al campo medico e diagnostico. f) Il commercio dei prodotti provenienti da imprese classificate come piccole industrie nel caso di un particolare prodotto fabbricato sotto il proprio marchio con propria tecnologia e caratteristiche di qualità speciale. g) L’approvvigionamento di prodotti locali per l’esportazione. h) Il “test marketing” di prodotti per cui la società è già stata autorizzata a condizione che il periodo di prova sia di 2 anni, e che l'investimento necessario per installare gli impianti di fabbricazione abbia inizio simultaneamente con il “test marketing”. i) FDI ammesso fino al 100% nel settore dell’e-commerce a patto che l’azienda smobilizzi il 26% del capitale azionario a favore di residenti entro 5 anni.
Minerali atomici
Possono ricevere FDI che investimenti da parte degli indiani non residenti, le seguenti tre attività: z attività di estrazione e di separazione dei minerali. z Arricchimento per i prodotti del punto sopra. z Attività integrate (che includono entrambe le precedenti). La partecipazione sotto forma di FDI è ammessa: z fino al 74% nei progetti di puro arricchimento e in quelli integrati. z Per progetti di puro arricchimento e per quelli integrati con un valore aggiunto intermedio, l’FDI è ammesso fino al 74% nelle joint venture con PSU centrali/ statali in cui il capitale azionario di almeno un PSU non sia inferiore al 26%. z In casi eccezionali, l’FDI è ammesso oltre il 74%, se si ottiene l’autorizzazione della Commissione per l’Energia Atomica (Atomic Energy Commission) prima dell’approvazione del FIPB.
Agricoltura
Non è ammesso né l’FDI né investimento da parte degli NRI, ad eccezione del settore del tè (comprese le piantagioni) dove l’FDI è ammesso fino al 100% previa approvazione governativa e previo il rispetto delle seguenti condizioni:
z z
vendita obbligatoria del 26% del capitale azionario a partner indiani o al pubblico indiano entro un periodo di 5 anni. Approvazione governativa per utilizzare la terra in questione per altri scopi.
Stampa
La partecipazione straniera attraverso l’FDI in società proprietarie di giornali e periodici è permessa previa autorizzazione governativa nei seguenti casi: z L’FDI è ammesso fino al 100% per la pubblicazione o la stampa delle riviste, delle pubblicazioni periodiche, dei giornali scientifici e tecnici. z L’FDI è ammesso fino al 26% per la pubblicazione di giornali e periodici di attualità e informazione generale purché siano verificati i precedenti dell’investitore straniero. Il controllo editoriale e gestionale va lasciato ai residenti indiani ed è necessario assicurare il mantenimento della partecipazione indiana. Le direttive a riguardo sono state emanate dal Ministero dell’Informazione e della Diffusione Radiotelevisiva.
Diffusione radiotelevisiva
z Programmi televisivi L’investimento straniero è ammesso fino al 100% a condizione che: i) siano rispettate tutte le leggi riguardanti la Diffusione Radiotelevisiva e non vi siano pretese di privilegi o di protezioni in virtù dell’approvazione accordata. ii) Non si intraprenda alcuna Diffusione Radiotelevisiva su territorio indiano senza l’approvazione governativa. z Installazione delle infrastrutture (uplinking, HUB, etc.) Società private di diritto indiano con un capitale azionario sottoscritto da FII/NRI/OCB/ PIO (persone di origine indiana) entro i limiti prescritti (nel caso del settore delle telecomunicazioni l’FDI è permesso fino al 49%, comprendente sia gli investimenti stranieri che gli investimenti di portafoglio) possono installare collegamenti o “Uplinking hub” (teleports) da dare in affitto o noleggiare alle stazioni emittenti. L’FDI è ammesso fino al 100% per i progetti relativi alla produzione, alla trasmissione e alla distribuzione di elettricità e per gli impianti di reattori atomici. Non c’è un limite per il costo del progetto né per la quantità di investimento diretto dall’estero. L’FDI fino al 100% è ammesso con la procedura automatica per la produzione di farmaci e di prodotti farmaceutici, a condizione che le attività non richiedano le concessioni obbligatorie per i brevetti e non implichino l’uso della tecnologia di manipolazione del DNA o l’uso di formulazioni dirette a cellule specifiche. Le proposte di FDI per la produzione di farmaci e dei prodotti farmaceutici sotto licenza e di farmaci generici prodotti con l’uso della tecnologia di manipolazione del DNA e le formule orientate a cellule o tessuti specifici, richiedono l’approvazione governativa. z Il settore delle pubblicità L’FDI fino al 100% è ammesso con la procedura automatica. z Il settore cinematografico (la direzione, la proiezione e la distribuzione dei film inclusi i servizi/prodotti relativi). L’FDI fino al 100% è ammesso con la procedura automatica senza alcuna condizione d’accesso. Il Governo ha reiterato il divieto di qualsiasi forma d’investimento diretto dall’estero (FDI) e di collaborazione tecnica straniera (FTC) nel business della lotteria, del gioco d’azzardo e delle scommesse. È ammesso l’FDI del 100% in questo settore con la procedura automatica. La categoria ”hotel” include ristoranti, resort sulle spiagge, e altri complessi turistici che offrono alloggio e/o servizi di ristorazione ai turisti. L’industria turistica comprende le agenzie di viaggio, le agenzie di tour operator, le agenzie di trasporto per il turismo, le agenzie che organizzano gite culturali, d’avventura e di wild life, le agenzie che si occupano di servizi di trasporto (stradale, aereo o navale), le agenzie che offrono servizi ricreativi, di divertimento,
Elettricità
Farmaci e prodotti farmaceutici
Pubblicità e film
Lotterie e gioco d’azzardo
Alberghi e turismo
L’estrazione di minerali
Il servizio postale Controllo e gestione dell'inquinamento
sportivi, agenzie che offrono gli health spa, e quelle che organizzano seminari e conventions. Per gli accordi tecnologici con l’estero, l’approvazione automatica è accordata se: z fino al 3 % del costo capitale del progetto è destinato al pagamento dei servizi di consulenza e di tecnologia incluse le spese per gli architetti, per il design, per la supervisione, etc. z Fino al 3% del turnover netto è destinato al franchising e alle spese di supporto marketing/ pubblicità. z Fino al 10% dell’utile lordo operativo è destinato alle spese del management, inclusi gli incentivi. z Per l’individuazione e l’estrazione dei diamanti e delle pietre preziose, l’FDI è ammesso fino al 74% con la procedura automatica. z Per l’individuazione e l’estrazione dell’oro, dell’argento, dei minerali, (esclusi diamanti e pietre preziose, trattamenti metallurgici e processi di lavorazione) l’FDI è ammessa fino al 100% con la procedura automatica. Per i servizi di corriere l’FDI è ammesso fino al 100% previa approvazione governativa ad eccezione della distribuzione della posta, la quale è riservata esclusivamente allo stato. L’FDI fino al 100% è ammesso con la procedura automatica per la fabbricazione delle attrezzature di controllo dell’inquinamento e per attività di consulenze sull’integrazione di diversi sistemi di controllo nel campo dell’inquinamento.
Sotto Capitolo n. 1.3 Tipologie societarie e procedure di costituzione
Le società registrate in India e le filiali di imprese straniere sono regolate dalla legge societaria indiana, il Companies Act. Il Foreign Exchange Management Act e la New Industrial Policy regolano invece gli aspetti finanziari, valutari e procedurali di dette società. La legislazione contenuta nel Foreign Exchange Management Act (“FEMA”) del 2000 determina la percentuale di partecipazione straniera (in quota capitale) permessa per settore, le tipologie delle attività autorizzate, l’utilizzo dei beni immobili, la rimessa all’estero di profitti e dividendi, il cambio di valuta e l’accesso alle strutture bancarie. Per ciò che concerne l’autonomia negoziale dei partners, i piccoli e medi imprenditori del settore privato hanno completa autonomia decisionale. Generalmente l’imprenditore/proprietario partecipa agli incontri con la controparte supportato dai membri della propria famiglia coinvolti nel businnes e da un ristretto team di esperti di fiducia. Più complessa è la negoziazione con le aziende di proprietà statale, dove il centro decisionale è concentrato ai vertici dell’amministrazione pubblica. Arrivare ad interloquire con funzionari di alto livello non è semplice, ed implica una serie di passaggi attraverso interlocutori minori che richiede tempi piuttosto lunghi. Un’ulteriore complicazione, per nulla trascurabile, è data dalla possibilità che durante le negoziazioni cambino gli interlocutori stessi al cambiare dei governi. 1.3.1. Companies Act del 1956 Quando sette o più persone nel caso di società “aperte”, oppure, due o più persone, in caso di società “chiuse”, si associano per uno scopo lecito, possono, attraverso la sottoscrizione dell’Atto costitutivo (Memorandum of Association) e rispettando le previsioni del Companies Act relative alla registrazione, costituire una società con o senza responsabilità limitata. La legge societaria indiana prevede analogamente alla nostra legislazione, diverse tipologie societarie in cui: z la responsabilità dei soci può essere limitata alla quota di partecipazione sottoscritta e liberata (company limited by shares); z la responsabilità dei soci può essere limitata all’ammontare che ciascun socio, nell’Atto costitutivo, si è impegnato a versare in società. In questi casi, i soci sono responsabili solo per un importo predefinito (company limited by guarantee); z la responsabilità dei soci può essere illimitata (unlimited company). La forma societaria comunemente utilizzata dall’investitore straniero è la società a responsabilità limitata (Limited liability company) e la società per azioni (Joint stock company). Le società a responsabilità illimitata, sebbene esistenti, sono molto meno diffuse. Il Companies Act prevede inoltre la possibilità di costituire società per azioni aperte al pubblico, che possono ricorrere al pubblico risparmio (di seguito anche “società aperte”), e società a responsabilità limitata o società per azioni a partecipazione ristretta (di seguito anche società “chiuse"). 1.3.2. Panoramica generale sulle societ à “chiuse” Le società di capitali “chiuse” (private limited companies) sono costituite da un minimo di 2 sino ad un massimo di 50 soci (esclusi i soci d’opera), devono avere almeno due amministratori, sono soggette a limitazioni per il trasferimento di quote capitali e qualora possiedano capitale azionario, e non possono ricorrere al mercato del capitale di rischio. Il capitale minimo sottoscritto deve ammontare a 100.000 INR.
Il vantaggio derivante dall'adozione di questo tipo di società è quello di non soggiacere a eventuali limitazioni, quali in via meramente esemplificativa la pubblicazione dei dati finanziari o la redazione di eventuali prospetti informativi. Per costituire un valido quorum per l’assemblea dei soci, è richiesta la presenza di almeno due azionisti. A tal fine, la presenza di un soggetto autorizzato dall’azionista, viene equiparata alla presenza dello stesso azionista. Una società chiusa è libera di limitare il trasferimento delle proprie azioni o quote (con conseguente presenza di right of first refusal, lock-in period, put e call option). Un’ulteriore importante differenza intercorrente tra le società chiuse e le società aperte è costituita dalla libertà di remunerazione degli amministratori nel primo caso, che si contrappone alla rigida determinazione dei compensi nella seconda ipotesi. Gli amministratori di una società chiusa sono tenuti a rendere pubblica la sussistenza di eventuali interessi personali in conflitto con quelli della società. È previsto tuttavia che durante la deliberazione essi possano comunque esercitare il loro diritto di voto. Se una società aperta acquisisce il controllo di una società chiusa, è richiesto che anche quest’ultima si trasformi immediatamente in società aperta, e che quindi si adegui alle previsioni stabilite dalla legge per questa fattispecie societaria. Generalmente, le società a maggioranza di partecipazione straniera sono società di tipo chiuso. 1.3.3. Panoramica generale sulle societ à “aperte” Le società per azioni di tipo “aperto” (public limited companies) sono costituite da un minimo di 7 persone, mentre non è prevista alcuna limitazione masima al numero di soci. Il capitale sociale minimo sottoscritto deve ammontare a 500.000 INR. La legge societaria indiana richiede l'adozione della società di tipo “aperto” per: le società indiane, comprese quelle a capitale straniero, partecipate da società “aperte” per oltre il 25% del capitale; z le società con una partecipazione al capitale di società aperte superiore al 25%; z le società con fatturato annuo medio, calcolato nel corso di tre esercizi consecutivi, superiore 250 milioni INR; z le società che fanno ricorso al pubblico risparmio. z
Questa tipologia societaria è regolata da una normativa accuratamente dettagliata, che definisce specificatamente ogni aspetto relativo all’eventuale offerta pubblica, alla gestione della società, all’indebitamento e alle negoziazioni poste in essere con i creditori. Alla luce di quanto dianzi evidenziato, è possibile pacificamente sostenere che questa tipologia societaria rappresenta la forma che maggiormente tutela l’investitore straniero che possegga una quota di minoranza. Per il raggiungimento del quorum costitutivo dell’assemblea dei soci di una società aperta, è necessaria la presenza di almeno 5 azionisti. A tal fine è possibile che un azionista si faccia sostituire da un’altra persona. Il quorum non viene comunque condizionato dal numero di azioni detenute dagli azionisti presenti all'assemblea. Per l'emissione di nuove azioni è necessaria l'adozione di una speciale delibera straordinaria. Le azioni di una società aperta sono liberamente trasferibili ed il consiglio di amministrazione non ha alcun potere di limitarne o impedirne la circolazione, tanto che un eventuale previsione statutaria in tal senso non può considerarsi vincolante per i soci. Gli amministratori di una società aperta non possono esprimere il loro voto nelle delibere che vedono coinvolti i loro interessi personali, e ricevono una remunerazione determinata in misura fissa conformemente a quanto previsto dal Companies Act. Le società aperte che abbiano un capitale versato pari a o superiore ai 50 milioni di INR, a differenza delle
società chiuse, sono tenute a provvedere alla nomina di un Comitato di revisori. L’effettuazione di un investimento, la dazione di un prestito o la concessione di una garanzia verso un’altra società richiedono, nelle società aperte, il consenso di tutti gli amministratori presenti nel C.d.A. (Sez. 316 Companies Act 1956). Per l’avvio dell’attività svolta dalla società, è inifine necessario ottenere il Certificate of Commencement of Business. 1.3.4. La costituzione di una societ à Sia le società aperte che quelle chiuse sono costituite attraverso la registrazione dell’Atto Costitutivo e dello Statuto Sociale presso l’Ufficio del Registro (Registrar of Companies – ROC) dello Stato in cui è posta la sede amministrativa della società. Il certificato di costituzione (Certificate of Incorporation) viene rilasciato dopo circa 8 settimane, dietro pagamento di una somma - Registration Fee - variabile proporzionalmente in base all’ammontare del capitale nominale della società (per le società aperte varia da 400 INR a 8 milioni di INR). Il certificato di costituzione conferma l'osservanza delle disposizioni del Companies Act previste in materia di registrazione e comporta a tutti gli effetti l’esistenza legale della società. Il ROC e la Commissione sul Diritto Societario (Company Law Board – CLB), garantiscono la conformità alla legge della società neo-costituita. 1.3.5. Documenti richiesti per la costituzione della societ à Dopo aver ottenuto l’approvazione, da parte del Registro competente, del nome della società, i promotori devono procedere alla preparazione dei seguenti documenti: z Atto costitutivo (Memorandum of Association) z Statuto sociale (Articles of Association) z Prospetto (non richiesto in caso di costituzione di società chiusa) z Copia degli accordi di importazione z Dichiarazione statutaria z Copia della lettera del ROC indicante l’approvazione del nome z Atto di nomina z Indicazione della sede sociale (Form 18) ed in particolare degli amministratori (Form 32) In dettaglio, l’atto costitutivo deve indicare: il nome della società con l’inciso “Limited” quale ultima parola del nome in caso di società aperta a responsabilità limitata, e con “Private Limited” quale ultima parola del nome in caso di società chiusa a responsabilità limitata; z lo Stato in cui è dislocato l’ufficio per le eventuali comunicazioni o notifiche (il registered office); z in caso di società già esistente prima dell’entrata in vigore del Companies Act del 1965: gli scopi della società; z in caso di società costituitasi dopo l’entrata in vigore del predetto atto: (i) gli scopi principali della società e gli scopi accessori o secondari rispetto al perseguimento di quelli principali, e (ii) gli altri obiettivi della società non inclusi nel precedente punto; z in caso di società (oltre alle ipotesi di società commerciali) che perseguano obiettivi non confinati all'interno di un determinato Stato: gli Stati nei cui territori gli scopi della società si estendono. z
L’atto costitutivo della società a responsabilità limitata per azioni o garanzia (limited by shares o by guarantee) deve indicare che la responsabilità dei suoi soci è limitata. L’atto costitutivo di una società a responsabilità limitata da garanzia (limited by guarantee) deve inoltre indicare la misura (non eccedente uno specifico ammontare) dell’impegno assunto da ciascun socio - per il periodo in cui è membro della compagine sociale e comunque non oltre un anno dalla fuoriuscita dalla compagine societaria - al pagamento dei debiti societari (e ai costi, oneri e spese di liquidazione) nonchè a far fronte alle responsabilità della società, nell’eventualità in cui essa venga posta in liquidazione. Nel caso in cui la società abbia capitale azionario: salvo che la società sia a responsabilità illimitata (cioè una unlimited company), l’atto costitutivo deve indicare l’ammontare del capitale azionario con cui la società deve essere costituita nonché il numero di azioni di ammontare fisso; z nessun sottoscrittore dell’atto costitutivo può detenere meno di una azione; z
z
ciascun sottoscrittore dell’atto costitutivo deve riportare a fianco del proprio nome il numero delle azioni detenute.
L’atto costitutivo deve essere redatto in forma scritta, suddiviso in paragrafi numerati consecutivamente, ed essere sottoscritto da ciascun sottoscrittore (che dovrà indicare il suo indirizzo e la sua occupazione) in presenza di almeno un testimone che attesti la veridicità della sottoscrizione. Per ciò che concerne lo statuto sociale delle società a responsabilità illimitata (unlimited company), esso deve indicare il numero dei soci con cui la società deve essere registrata e, nell'ipotesi in cui la società possieda capitale azionario, l’ammontare dello stesso. In caso di società a responsabilità limitata da garanzia (limited by guarantee), lo statuto deve indicare il numero di soci con cui la società deve essere registrata. In caso di società chiusa (private company) con capitale azionario, lo statuto deve contenere le previsioni inerenti le restrizioni al diritto di trasferimento delle azioni, la limitazione del numero dei soci a 50 (con esclusione dei soci d’opera), la proibizione del ricorso all’offerta al pubblico per la sottoscrizione delle azioni o l'emissione di obbligazioni della società. Lo statuto deve essere redatto per iscritto, diviso in paragrafi numerati consecutivamente e sottoscritto dagli stessi sottoscrittori dell’atto costitutivo in presenza di almeno un testimone che attesti la veridicità delle sottoscrizioni. In base alle disposizioni contenute nel Companies Act e nello stesso Atto Costitutivo, una società può modificare lo Statuto con una speciale deliberazione. Una volta che le modifiche apportate allo Statuto hanno ricevuto l’approvazione dal Central Government, la società deve presentare copia dello statuto modificato al ROC entro un mese dalla data di ricezione dell’Ordine di Approvazione (Order of Approval). Con la registrazione, il ROC certifica l’avvenuta costituzione della società, ed in caso di società a responsabilità limitata (limited company), viene attestata la responsabilità limitata della società stessa. Dalla data di costituzione menzionata nel certificato di costituzione, i sottoscrittori dell’atto costitutivo e gli altri soggetti che possono far parte della società, vengono a costituire il corpo societario (body corporate), e sono in grado di esercitare tutte le funzioni di una società regolarmente costituita secondo la legislazione indiana (incorporated company). L’atto costitutivo e lo statuto devono essere redatti al momento della costituzione della societò o comunque entro 30 giorni dalla data di costituzione della stessa. È inoltre necessario che essi siano sottoscritti da coloro che si rendono promotori della costituzione della società ed abbiano sottoscritto la domanda per l’ottenimento del nome.
Sotto Capitolo n. 1.4 Aspetti organizzativi e di gestione societaria
1.4.1. Ufficio notifiche Una società deve, dal momento in cui avvia l’attività, o comunque entro il trentesimo giorno successivo alla sua registrazione, individuare un ufficio (c.d. Registered Office) al quale tutte le comunicazioni o le eventuali notificazioni alla società devono essere indirizzate. L'indicazione della ubicazione dell’ufficio notifiche e di ogni successivo mutamento deve essere fornita, entro trenta giorni dalla data di registrazione della società o dalla data del mutamento, al ROC che dovrà provvedere alla modifica della relativa documentazione. L’inosservanza delle disposizioni relative all’ufficio di cui in parola, comportano l’applicazione di una sanzione amministrativa nei confronti della società e del funzionario della società direttamente responsabile dell’inosservanza, di 500 INR per ogni giorno in cui viene perpetuata l’inosservanza stessa. 1.4.2. Consiglio di Amministrazione Ogni società deve avere un consiglio di amministrazione. Il Consiglio di Amministrazione di una società deve essere composto da un minimo di 2 consiglieri (per la società aperta) o di 3 consiglieri (per la società chiusa), e normalmente non deve superare i dodici membri. Non sono previste restrizioni alla cittadinanza o alla residenza dei membri del C.d.A. Solamente le persone fisiche, sia indiane che straniere, possono essere nominate alla carica di amministratori. Il Central Government è autorizzato a nominare eventuali amministratori governativi per salvaguardare effettivamente gli interessi della società, dei suoi azionisti o l’interesse pubblico. Non esistono inoltre restrizioni di nazionalità per ciò che concerne la gestione dell’impresa: il partner straniero con una partecipazione superiore al 15% può nominare un amministratore delegato straniero. L’incarico è limitato ai primi 10 anni di attività dell’impresa qualora il partner contribuisca con una quota inferiore al 26%. Il mandato dell’amministratore delegato è quinquennale e può essere rinnovato. I membri del C.d.A. vengono eletti per maggioranza semplice o tramite la procedura indicata nello Statuto Sociale. Il C.d.A. ha pieni poteri ed è tenuto a riunirsi una volta ogni 3 mesi. Le delibere del C.d.A. sono adottate a maggioranza semplice degli amministratori presenti. I quorum del C.d.A. sono regolati dalle disposizione contenute nella Sec 287 del Companies Act del 1956. Tali disposizioni definiscono le figure del “total strenght”, espressione che indica la composizione del Consiglio così come fissata dal Companies Act, con l’esclusione degli eventuali posti vacanti, e dell’ “interested director”, espressione che indica l’amministratore la cui presenza non può valere per la formazione del quorum al momento della discussione o votazione su una certa questione. Il quorum in Consiglio è pari ad 1/3 del suo total strenght, o di due amministratori qualora sia più elevato. Resta inteso che, nel caso in cui il numero degli interested directors sia pari ai 2/3 o ecceda il total strenght, il numero dei rimanenti amministratori, ossia il numero di amministratori che non si trovino in conflitto di interessi con la società per la questione all'ordine del giorno in assemblea, costituiranno il quorum durante l’assemblea, a condizione che siano almeno due. Le remunerazioni riconoscibili agli amministratori dalle società aperte o dalle società chiuse controllate da società aperte, sono soggette a dei massimali. Quando una società dispone solamente di un amministratore a tempo pieno o (amministratore) dirigente, la remunerazione che potrà essere
corrisposta allo stesso non potrà eccedere il 5% dei profitti netti. Se vi sono più dirigenti a tempo pieno, la quota massima sarà pari al 10 % dei profitti netti per ciascuno degli amministratori. L’incremento della remunerazione pagata agli amministratori di tali società richiede l’approvazione del Central Government. Il Governo può fissare delle linee guida volte a stabilire l’ammontare massimo di salario pagabile agli amministratori. Un amministratore può, allo stesso tempo, essere un impiegato a tempo pieno della società: non esiste, infatti, conflitto fra i due ruoli. Vi sono, però, delle restrizioni sullo stipendio e sui benefici accessori da corrispondere agli amministratori che ricoprano il doppio ruolo. Va aggiunto, nondimeno che, salvo ragioni specifiche che giustifichino una decisione diversa, la persona che è stata assunta per svolgere attività manifatturiera non potrà essere nominata amministratore. Disciplina della responsabilit à degli amministratori in una societ à a responsabilità limitata In relazione alla responsabilità degli amministratori verso i soci o verso terzi, dall’analisi della legislazione indiana, si può osservare quanto segue. In capo agli amministratori vi è un dovere di carattere fiduciario di agire nell’interesse della società e ad attenersi ai criteri della buona fede nell’esercitare i diritti-doveri che derivino loro dalla carica ricoperta, quando, in particolare, operano con la società o per conto della stessa. Agli amministratori è fatto espresso divieto di usare le proprietà della società, denaro, informazioni o quant’altro fosse nella loro disponibilità in relazione al ruolo ricoperto, al fine di ottenere vantaggi personali a discapito della società; nel caso in cui ciò avvenga, sono tenuti a ripristinare la situazione pregressa in capo alla società. Gli amministratori, inoltre, deliberano collegialmente: di conseguenza essi non sono singolarmente responsabili per le deliberazioni assunte dall’intero Consiglio di Amministrazione. I soci possono approvare soltanto le decisioni degli amministratori che riguardano gli scopi societari. Gli atti ultra vires, invece, possono essere ratificati dai soci solo nel caso in cui, pur essendo estranei alle competenze e ai poteri degli amministratori, rientrano comunque negli scopi sociali. In caso contrario, tali atti non potranno essere fatti propri dalla società e gli amministratori risponderanno personalmente di ogni danno occorso alla società a causa dei predetti atti. Per quanto riguarda la delega di poteri agli amministratori, nell’ipotesi in cui vengano delegate ad un amministratore specifiche funzioni, quest’ultimo resta comunque responsabile anche per le deliberazioni assunte dagli amministratori collegialmente e, dunque, non soltanto per quelle compiute nell’ambito delle funzioni a lui delegate. Gli amministratori sono, comunque, generalmente responsabili per tutti gli atti che pongono in essere in proprio nome, senza dichiarare che stanno agendo per conto della società. L’amministratore che deleghi a sua volta ad un proprio dipendente o collaboratore in genere, un incarico a cui egli è in primis tenuto, risponde dell’operato dei suoi ausiliari, sebbene egli non abbia preso direttamente parte all’operazione. Gli amministratori esecutivi hanno una maggiore responsabilità rispetto a quelli non esecutivi per le conseguenze che discendono dagli affari quotidiani svolti per la società. Resta, comunque, la responsabilità solidale degli amministratori nel caso di decisioni deliberate collegialmente. 1.4.3. Soci ed Assemblea In base a quanto stabilito dal Companies Act deve essere considerato socio di una società colui che: avendo sottoscritto l’atto costitutivo di una società, ha acconsentito a divenire socio della stessa ed al momento della registrazione, viene incluso tra i soci nel Libro soci (Register of Members); z ha acconsentito per iscritto a divenire socio della società ed il cui nome viene incluso nel Libro soci (Companies Act, Section 41 "Definition of a member"); z colui che detiene capitale in azioni ordinarie nella società ed il cui nome risulta come proprietario z
beneficiario (beneficial owner) nei registri del deposito. Ogni società a responsabilità limitata per azioni o per garanzia (rispettivamente limited by shares e limited by guarantee) e con capitale azionario, deve entro un periodo non inferiore ad un mese né superiore a sei dalla data in cui ha diritto ad avviare la propria attività, tenere un’assemblea generale dei soci (statutory meeting). Il Consiglio di amministrazione deve, almeno 21 giorni prima della convocazione dell’assemblea, inviare una relazione (“statutory report”) a ciascun socio, la quale deve indicare: a. il numero complessivo di azioni assegnate, la distinzione delle azioni integralmente o parzialmente liberate (paid-up) non in danaro, l’indicazione, in caso di azioni parzialmente liberate, dell’ammontare sino al quale sono state liberate ed in ogni caso, il corrispettivo per cui sono state assegnate; b. la somma complessiva ricevuta dalla società in relazione a tutte le azioni assegnate, distinte come sopra indicato; c. un estratto delle ricevute della società e dei pagamenti effettuati, sino alla data corrispondente a sette giorni antecedenti la data della relazione, un preventivo concernente le prime spese della società, che mostri separatamente ogni commissione o sconto pagato o che deve essere pagato sull’emissione o la vendita di azioni od obbligazioni; d. nominativo, residenza ed occupazione di ciascuno degli amministratori della società e dei revisori, e se esistenti, del manager e segretario, nonché gli eventuali mutamenti di tali nominativi avvenuti dalla data di incorporazione della società; e. i dettagli di ogni contratto, le modificazioni o le proposte di modifica del contratto stesso, che devono essere sottoposte all’assemblea per la sua approvazione, unitamente ai dettagli delle modifiche o delle proposte di modifica; f. l’ambito in cui e le ragioni per cui, ciascun contratto di collocamento vincolato di titoli non è stato eseguito; g. gli arretrati, se esistenti, dovuti da ciascun amministratore e dal manager; e h. i dettagli di ogni commissione o mediazione pagata o che deve essere pagata in connessione con l’emissione o la vendita di azioni od obbligazioni ad ogni amministratore. La relazione deve essere certificata come corretta da parte di due amministratori della società, uno dei quali deve essere il managing director - amministratore delegato -, nel caso ve ne sia uno. Dopo la certificazione della relazione, i revisori della società devono a loro volta certificare la correttezza di quanto contenuto nella relazione con riferimento alle azioni assegnate dalla società, il danaro ricevuto in riferimento a tali azioni e le ricevute ed i pagamenti della società. Il Consiglio di amministrazione provvederà senza indugio a consegnare copia della relazione debitamente certificata al ROC per i dovuti adempimenti e copie dello stesso report a ciascuno dei soci della società. Il Consiglio è inoltre tenuto a rendere disponibile una lista indicante i nominativi, la residenza e l’occupazione dei soci della società ed il numero di azioni detenute dagli stessi rispettivamente, al momento dell’avvio della seduta finalizzata alla preparazione della relazione e a far sì che la stessa rimanga accessibile ad ogni socio durante la seduta. I soci presenti in assemblea sono liberi di discutere di ogni questione relativa alla formazione della società o che possa sorgere in relazione al contenuto della relazione, che sia stata data o meno previa notifica della stessa (tuttavia nessuna decisione può essere presa se non vi è stata la dovuta previa notifica in parola). L’assemblea dei soci deve essere riunita almeno una volta l’anno - annual general meeting - e non possono decorrere più di 15 mesi tra un’assemblea annuale generale e la successiva. Una società deve convocare la prima assemblea annuale generale entro 18 mesi dalla data della sua costituzione. Per ciò che concerne il quorum per l’assemblea, le previsioni del Companies Act, 1956 stabiliscono che, salvo che lo statuto non preveda un più alto numero, cinque membri personalmente presenti in caso di società aperta (public company), e due membri personalmente presenti in caso di società chiusa (private company) costituiscono un valido quorum. a. Salvo che lo statuto della società non stabilisca diversamente, le previsioni seguenti trovano applicazione sia con riferimento a società chiuse che con riferimento a società aperte: se entro
mezz’ora dal momento fissato per l’inizio dell’assemblea non si raggiunge il quorum, la seduta, se convocata su richiesta dei soci, viene sciolta; b. in ogni altro caso, l’assemblea viene riconvocata nel medesimo giorno, nello stesso luogo ed alla stessa ora della settimana successiva, o in altro luogo o momento determinato dal Consiglio; c. se l’assemblea, in seconda convocazione, non raggiunge il quorum entro mezz’ora dall’orario fissato per l’assemblea stessa, i membri presenti costituiscono il quorum. Salvo che lo statuto della società non preveda diversamente, i membri personalmente presenti all’assemblea devono nominare tra di loro il presidente per alzata di mano. I diritti dei soci sono definiti in base alla contribuzione al capitale: z al di sotto del 10% : potere di impedimento di azioni illegali z oltre il 10% : potere di citazione per cattiva gestione z oltre il 25% : potere di veto su risoluzioni speciali, che richiedono il 75% dei voti z oltre il 50% : potere di veto su risoluzioni ordinarie quali: approvazione dei rendiconti annuali, struttura del capitale, nomina e remunerazione dei revisori contabili, nomina e remunerazione dei consiglieri, liquidazione volontaria z oltre il 75% : potere di veto su risoluzioni speciali quali: modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto sociale, avvio di un nuovo tipo di attività e cambiamento dell’oggetto sociale, modifica dei diritti nelle tipologie di azionisti z 100% : all'evidenza, i soci godono e conseguentemente possono esercitare tutti i diritti consentiti dalla legge. Il Consiglio di Amministrazione di una società deve, su richiesta di un certo numero di soci, procedere senza indugio alla convocazione dell’assemblea straordinaria (extraordinary meeting). La richiesta deve indicare le questioni per le quali si convoca l’assemblea, deve essere sottoscritta dai soci richiedenti e deve essere depositata presso l’ufficio notifiche della società. Il numero di soci autorizzati a richiedere la convocazione di una assemblea si differenzia a seconda delle tipologie societarie, come segue: z in caso di società con capitale azionario, un numero di soci che detenga, al momento della richiesta di convocazione, non meno di 1/10 del capitale versato nella società e che abbia il diritto di voto sulle questioni sollevate; z in caso di società che non possiede capitale azionario, un numero di soci che detenga non meno di 1/10 dei diritti di voto complessivi di tutti i soci sulle materie da trattare. Se il Consiglio, entro 21 giorni dalla data del deposito di una valida richiesta, non convoca l’assemblea, al più tardi, entro i 45 giorni successivi alla stessa data della richiesta, l’assemblea può essere convocata: z dagli stessi soci richiedenti; z in caso di società con capitale azionario, da tanti richiedenti che rappresentino la maggioranza del valore del capitale versato o non meno di 1/10 di tale capitale versato nella società; z in caso di società che non dispone di capitale azionario, da tanti richiedenti che rappresentino non meno di 1/10 dei diritti di voto complessivi. Per quanto riguarda la contabilità, devono essere mantenuti i libri contabili relativi agli otto anni precedenti: gli stessi devono essere messi a disposizione dei consiglieri e dei funzionari del governo, in caso di ispezioni. Le imprese devono nominare revisori e contabili esterni. I possessori di azioni ed obbligazioni devono ricevere il bilancio revisionato ed il conto economico prima dell’assemblea annuale, durante la quale avviene la presentazione dei rendiconti annuali. Inutile sottolineare che stato patrimoniale e bilancio devono essere redatti secondo principi molto simili a quelli vigenti nel nostro diritto societario, in modo da offrire visioni veritiere e corrette dell’andamento della gestione ordinaria e straordinaria. 1.4.4. Tipologia di deliberazioni La disciplina per l’adozione delle deliberazioni è la medesima per società chiuse ed aperte. Gli azionisti possono adottare deliberazioni solo in assemblea. Esistono due tipologie di deliberazioni: Ordinarie: l’adozione di deliberazioni ordinarie avviene a maggioranza semplice (50% più uno) degli azionisti, che possono votare personalmente o attraverso rappresentante (es. l’adozione dei conti annuali, questioni inerenti la nomina dei revisori e loro remunerazione, questioni relative alla nomina degli amministratori, incluso l’amministratore delegato, la loro remunerazione ed il permesso per
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l’esercizio di certi poteri, questioni relative allo scioglimento della società). Speciali: l’adozione di una deliberazione speciale avviene con il 75 % dei voti degli azionisti presenti e votanti in assemblea, personalmente o attraverso un rappresentante (es. mutamenti nell’atto costitutivo e nello statuto, approvazione di un nuovo business, alterare i diritti dei titolari di una speciale classe di azioni, specifiche questioni relative alla liquidazione della società).
Tali disposizioni contenute nel Companies Act possono essere liberamente modificate dagli azionisti nell’atto costitutivo, dove è possibile richiedere una percentuale più alta di voti per l’adozione di deliberazioni. 1.4.5. Nomina e remunerazione dei revisori Ogni società deve, ad ogni assemblea annuale generale, nominare uno o più revisori che rimangono in carica sino alla successiva assemblea annuale generale e deve, entro sette giorni dalla nomina, darne notifica a ciascuno dei revisori così nominati. Ogni revisore entro 30 giorni dalla ricezione da parte della società della notifica della sua nomina, deve informare per iscritto il ROC dell’accettazione o del rifiuto della nomina stessa. Ogni revisore di una società ha il diritto di accedere in ogni momento ai libri, conti e vouchers della società, sia che vengano conservati nella sede centrale o altrove, e ha il diritto di richiedere ai funzionari della società tutte le informazioni o spiegazioni che ritiene siano necessarie per adempiere ai propri doveri in qualità di revisore. In particolare, il revisore ha il dovere di investigare se: prestiti o anticipi effettuati dalla società sulla base di garanzie, siano stati propriamente assicurati e se le modalità con cui sono stati erogati pregiudica l’interesse della società o dei suoi membri; z le transazioni della società indicate esclusivamente dai libri delle entrate sono o meno pregiudiziali per l’interesse della società; z laddove la società non sia qualificabile come una società di investimenti o una società bancaria, se i cespiti della società rappresentati da azioni, obbligazioni o altre garanzie, sono stati venduti ad un prezzo inferiore rispetto a quello per cui sono state acquistate; z prestiti e anticipi fatti dalla società sono stati presentati come depositi; z spese personali sono state addebittate sul conto economico; z laddove nei libri e nelle carte della società si attesta che ogni azione è stata assegnata per danaro, se il danaro è stato realmente ricevuto in relazione a tale assegnazione e, nel caso in cui nessun esborso di danaro sia stato realmente ricevuto, se la posizione così come dichiarata nei libri contabili e in bilancio è corretta, regolare e non fuorviante. z
I revisori devono redigere una relazione destinata ai soci e relativa ai conti esaminati e ad ogni bilancio, conto profitti e perdite (Profit and Loss account) ed ogni documento che fa parte di questi ultimi. In tale relazione, i revisori sono tenuti ad indicare se, nella loro opinione e sulla base delle informazioni raccolte, tali documenti sono stati redatti in conformità alle disposizioni del Companies Act e se offrono una visione giusta e veritiera (“fair and true”). 1.4.6. Capitale sociale L’atto costitutivo stabilisce l’ammontare del capitale sociale. In linea generale, è possibile sostenere che il capitale sociale può essere aumentato con delibera ordinaria, se previsto dallo statuto della società. Sempre se previsto dallo statuto, può essere anche diminuito con delibera ordinaria ma solo in caso di mancata sottoscrizione. In ogni altro caso, la riduzione del capitale sociale richiede una delibera straordinaria e la ratifica (omologazione) dell’autorità giudiziaria. Determinati indici di rapporto debito/capitale (DER – Debt equity ratio) sono richiesti per una società che emette azioni privilegiate o azioni gratuite (bonus shares), nonchè in caso di società industriali che cercano assistenza finanziaria da istituzioni pubbliche. Una società “aperta” o una società “chiusa” controllata da una società aperta, può emettere solamente azioni ordinarie e azioni privilegiate. Tali società non possono emettere azioni con diritti (di voto, ai dividendi, al capitale, o altri diritti) sproporzionati rispetto ai diritti spettanti alle altre azioni.
In base alle previsioni del Companies Act 1956, una società a responsabilità limitata con capitale azionario può, se previsto dallo statuto, in sede di assemblea generale e senza necessità di approvazione da parte dell’autorità giudiziaria, modificare le previsioni dell’atto costitutivo nei seguenti modi: z aumentare il capitale azionario per l’importo ritenuto conveniente con l’emissione di nuove azioni; z consolidare e dividere tutto o parte dello capitale azionario in azioni di più alto valore rispetto a quello esistente; z convertire tutto o parte del suo capitale in azioni completamente liberate in giacenze (stock), e riconvertire tali giacenze in azioni completamente liberate di qualsiasi denominazione; z suddividere le sue azioni o alcune delle stesse, in azioni di importo inferiore a quello fissato nell’atto costitutivo, (articolo 94 Companies Act). Una società a responsabilità illimitata con capitale azionario può, in sede di delibera di trasformazione in società a responsabilità limitata, procedere alternativamente o congiuntamente sulla base alle previsioni del Companies Act, 1956 (art. 98 Companies Act): z all’aumento del valore nominale del suo capitale azionario attraverso un aumento del valore nominale di ogni azione; z prevedere che una specifica porzione del suo capitale azionario non possa essere richiamato salvo in caso di messa in liquidazione della società. Una società a responsabilità limitata per azioni o per garanzia (limited by shares o limited by guarantee) e con capitale azionario può, se ciò è previsto dal suo statuto, con delibera straordinaria e soggetta all’approvazione dell’autorità giudiziaria, ridurre il suo capitale azionario in qualsiasi modo (Art. 100 Companiea Act), in particolare: z estinguere o ridurre la responsabilità su ogni azione con riferimento al capitale azionario non versato; z sia in presenza che in assenza di estinzione o riduzione della responsabilità su ciascuna delle sue azioni, cancellare ogni capitale azionario interamente versato che è andato perduto o non risulta rappresentato da cespiti disponibili; z sia in presenza che in assenza di estinzione o riduzione della responsabilità su ciascuna delle sue azioni, corrispondere il capitale azionario interamente versato che risulta in eccesso rispetto al fabbisogno della società. E’ inoltre possibile, se e nella misura in cui è necessario, modificare il proprio atto costitutivo attraverso la riduzione dell’importo del suo capitale azionario e delle sue azioni. 1.4.7. Azioni Le azioni e le obbligazioni od altre partecipazioni in società devono essere considerate patrimonio mobiliare (movable property), trasferibili con le modalità indicate nello Statuto della società stessa. Ciascuna azione in una società con capitale azionario deve essere distinta da un apposito numero. Questa previsione non si applica alle azioni detenute con un deposito (depository). Un certificato, che presenta l’apposizione del timbro della società e che specifica le singole azioni detenute da ogni socio, costituisce prima facie prova della titolarità delle stesse da parte del socio (Certificate of Shares). Il Companies Act prevede due tipologie di capitale azionario: Capitale privilegiato (Preference share capital). Tale capitale individua, con riferimento ad ogni società a responsabilità limitata per azioni, formatasi sia prima che dopo l’entrata in vigore del Companies Act, quella parte del capitale azionario della società che presenta le seguenti caratteristiche: a. per quanto riguarda i dividendi, attribuisce al portatore delle azioni un diritto preferenziale nel loro pagamento (il corrispettivo può essere costituito da un ammontare fisso o da un ammontare calcolato con un tasso fisso); b. per quanto riguarda il capitale, attribuisce, al momento della messa in liquidazione della società o del rimborso del capitale, un diritto preferenziale al rimborso dei conferimenti; z Capitale in azioni ordinarie (Equity share capital). Tale capitale indica, con riferimento a qualsiasi società, tutto il capitale azionario che non è capitale privilegiato. z
Il capitale azionario di una società a responsabilità limitata per azioni potrà essere quindi soltanto di due tipologie:
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Capitale in azioni ordinarie (i) con diritti di voto o (ii) con diritti differenziati per quanto riguarda i dividendi ed il voto; Capitale rappresentato da azioni privilegiate.
Ciascun socio di una società a responsabilità limitata per azioni, che detenga azioni ordinarie, disporrà del diritto di voto, con riferimento a tale capitale, in ogni delibera della società ed il suo diritto di voto risulterà in proporzione alla sua partecipazione nel capitale in azioni ordinarie versato. Nel caso in cui le azioni detenute non siano azioni ordinarie bensì privilegiate, il titolare disporrà del diritto di voto, non già per ogni delibera posta innanzi alla società bensì soltanto con riferimento a quelle delibere che direttamente vengono a condizionare i diritti connessi a tali azioni privilegiate. Per ciò che concerne le restrizioni nel trasferimento di azioni, è necessario tenere presente che, in base alle previsioni del Companies Act, 1956, ciascun corpo societario che si trovi sotto il medesimo management, e che detiene singolarmente o in aggregato il 10% o più del valore nominale del capitale in azioni ordinarie sottoscritto da una società deve, prima di procedere al trasferimento di una o più di tali azioni, notificare tale intenzione al Central Government, e tale notifica deve contenere l’indicazione delle particolarità delle azioni che devono essere trasferite ed altre indicazioni che possono essere nel caso prescritte o richieste. 1.4.8. Emissione del capitale Una società chiusa non può fare ricorso al pubblico risparmio, bensì eslcusivamente a canali privati. La società provvederà in primo luogo, ad emettere azioni a favore di coloro che hanno sottoscritto l’atto costitutivo o altri soci. Il capitale emesso non può eccedere il capitale autorizzato, tuttavia, se la società desidera emettere capitale in misura maggiore, deve innanzitutto innalzare il capitale autorizzato attraverso l’adozione di una delibera - speciale od ordinaria - per poi rivolgersi al ROC presentando un apposito modello e versando le imposte di registrazione dovute. 1.4.9. Emissione di azioni con diritti diversificati da parte di societ à aperte Le società aperte indiane possono ora emettere azioni cui sono connessi diritti di voto differenziati. Il Governo ha infatti provveduto ad emanare il Companies Rules, 2001 (“Rules”). In base a tali regole, tutte le società indiane possono emettere azioni con diritti diversificati per ciò che concerne i dividendi, il voto o su altre materie, qualora presentino le seguenti caratteristiche: z la società ha avuto profitti distribuibili nei tre precedenti anni finanziari anteriori all’anno in cui le azioni con differenti diritti devono essere emesse; z la società non ha mancato di corrispondere nel tempo dovuto, depositi o interessi sui depositi, di pagare dividendi o far fronte alle proprie obbligazioni; z la società è autorizzata dal suo statuto ad emettere azioni con differenti diritti; z la società non ha violato previsioni del Securities and Exchange Board of India Act, 1992, Securities Contracts (Regulatioon) Act, 1958, e il Foreign Exchange Management Act, 1999; z la società ha ottenuto approvazione da parte dei suoi azionisti in sede di assemblea generale, all’incremento del capitale sociale attraverso l’emissione di nuove azioni con diritti diversificati; z in caso di società aperta, ha ottenuto approvazione da parte degli azionisti attraverso una votazione postale (postal ballot); z il verbale dell’assemblea in cui la decisione è stata assunta deve contenere una spiegazione sul tipo di voto che l’azione incorpora, la proporzione della variazione dei diritti di voto, l’impegno da parte della società di non convertire il suo capitale in azioni ordinarie in capitale con diritti di voto diversificati e viceversa, dichiarazione della società in cui si stabilisce che le azioni con diritti di voto diversificate non potranno eccedere il 25 % del capitale sociale complessivo della società. 1.4.10. Definizione di societ à controllata in base al companies act 1956 Una società viene definita “controllata” da altra società se, e soltanto se: 1. la seconda società controlla la composizione del consiglio di amministrazione della prima, oppure 2. quando la seconda controlla più della metà dei diritti di voto della prima; 3. quando la seconda risulta titolare di più della metà, in valore nominale, del capitale in azioni ordinarie della prima; 4. in tutti quei casi in cui una società eserciti il controllo su di una società, che a sua volta controlli altra società e pertanto la prima controllerà anche l’ultima ( A controlla B, B controlla C, di conseguenza A
controlla C). 1.4.11. Scioglimento e liquidazione delle societ à La liquidazione di una società può avvenire attraverso liquidazione volontaria, giudiziaria o sotto la supervisione della corte giudiziaria. Liquidazione volontaria Avviene nel caso in cui l’attività societaria oltrepassi la data di estinzione, se prevista, indicata nello atto costitutivo; quando viene raggiunto, se possibile e determinabile, l’oggetto sociale, o quando la società diventa solvibile e in questi casi può essere decisa dai soci. In caso contrario la decisione spetta ai creditori, che nominano un liquidatore per la distribuzione del patrimonio societario. In entrambi i casi deve essere data comunicazione della risoluzione delle rispettive assemblee dei soci e dei creditori al ROC. La distribuzione delle attività ai soci (e l’eventuale contribuzione per il soddisfacimento dei debiti pendenti) è proporzionale ai rispettivi diritti e interessi nella società. Liquidazione giudiziaria Avviene quando: ad un anno dalla registrazione al ROC la società non ha avviato le attività oppure ha sospeso le operazioni per più di un anno; z se si riscontrano vizi di forma nell’atto societario dopo l’iscrizione al ROC; z se il numero dei soci si riduce, nel caso di una società aperta, sotto i 7, e nel caso di una società chiusa, sotto i 2; z la società non è in grado di pagare i debiti; z ogni qualvolta la Corte ritenga opportuno disporre in tal senso. z
Liquidazione sotto supervisione dell ’autorità giudiziaria In ogni momento del processo di liquidazione volontaria iniziato dai soci, la Corte, secondo i casi previsti nella regolamentazione specifica e quando lo ritiene opportuno, può intervenire, garantendo ai creditori il corretto proseguimento della liquidazione, e sostituendo, se opportuno, i liquidatori precedentemente nominati. Prima di procedere alla liquidazione, la società deve ottenere l’approvazione del governo per la chiusura dell’attività ed il licenziamento dei lavoratori secondo quanto previsto dall’Industrial Disputes Act. Le imprese in perdita, o potenzialmente in perdita, rinviate al Board of Financial and Industrial Construction, possono essere passibili di liquidazione su ordine del Board. Una società, che intenda chiudere una unità manifatturiera senza sciogliere l’intero assetto societario, deve ottenere la previa autorizzazione dal governo, secondo quanto previsto dall’Industrial Disputes Act. La liquidazione finale dei membri del consiglio di amministrazione della società deve essere autorizzata dalla RBI, una volta che sia stato accertato l’ammontare del pagamento. 1.4.12. Sulla questione relativa alla validit à dei contratti futuri di acquisto di azioni di una societ à chiusa In India la disciplina dei titoli azionari è regolata dal Securities Contracts (Regulation) Act, 1956, (“SCRA”). In base alla Sezione 16 dello SCRA, il Governo Centrale ha il potere di limitare od impedire transazioni relative a titoli connotate da intenti speculativi. In base alle previsioni dello SCRA, nessun soggetto in India è libero di acquistare o vendere titoli, salvo che sulla base di una autorizzazione del Governo Centrale fatta eccezione per spot delivery contract definiti come contratti che richiedono la consegna dei titoli ed il pagamento del prezzo contestuale alla conclusione del contratto o il giorno successivo al suo perfezionamento - contract for cash, contratti con consegna speciale dei titoli. I titoli sono definiti nello SCRA come azioni, certificati obbligazionari provvisori, stocks, bonds, obbligazioni, o altri titoli che risultino commerciabili di altre società.
Per legge, le società chiuse sono tenute ad imporre restrizioni al trasferimento di azioni (sezione 3 (1) (iii) del Companies Act, 1956). L’alta corte di Bombay in Dahiben Umeddbhai Patel v. Norman James Hamilton (1983), ha stabilito che un contratto di vendita di azioni di una società chiusa non è governata dallo SCRA dal momento che tali azioni per loro natura non sono liberamente trasferibili sul mercato. Nel Black Law Dictionary, titoli commerciabili sono definiti come stocks e bonds che possono essere prontamente venduti in stock exchanges o sui mercati ristretti. Si può dunque ritenere che le azioni delle società chiuse non ricadano nelle previsioni dello SCRA, dal momento che le azioni di tali società non sono liberamente commerciabili.
Sotto Capitolo n. 1.5 Bilancio di esercizio, controllo dei conti e principi contabili
Tutte le società sono obbligate a tenere un apposito libro dei conti e ad archiviare i conti di revisione con il Registrar. I conti archiviati con il Registrar sono a disposizione per ogni pubblica ispezione. La forma e i contenuti del bilancio patrimoniale e del conto profitti e perdite sono prescritti nel Companies Act. I libri contabili e le ricevute (documenti) devono essere conservati almeno per 8 anni. La pratica contabile è basata su ciò che è prevalente nel Regno Unito. Come si è illustrato nel par. 1.4.5, ad ogni società è richiesto di nominare uno o più revisori esterni. La stesura e la redazione dei documenti di bilancio, in India, sono regolati da una serie di leggi (principalmente il Company Act del 1956 e l’Income Tax Act del 1961) e da disposizioni di istituzioni varie tra cui Securities Exchange Board of India, Department of Company Affaire e Reserve Bank of India (RBI). Inoltre, il Governo Centrale provvede, con appositi atti, all’emanazione di specifiche regole per la stesura dei prospetti di bilancio. L’organo responsabile dell’emanazione dei principi e delle pratiche contabili è individuato nell’Institute of Chartered Accountants of India (ICAI). Tutte le società, nell’ambito dei loro adempimenti contabili, si devono conformare agli Accounting Standards emanati da tale organo centrale, che si basano principalmente sugli International Financial Reporting Standars – IFRS, soprattutto in merito alla trattazione di voci quali: beni immobili, ammortamenti, magazzino, operazioni in valuta estera, etc. Ma l’operatività dell’ICAI non è limitata all’emanazione dei soli Accounting Standards, poiché da tale ente provengono anche: z Guidance Notes e Auditing and Assurance Standards – forniscono i principi guida ai revisori dei conti nell’assolvimento dei loro compiti; z Export Advisory Committee Opinion e General Clarification – possono essere assimilati a dei pareri, i quali hanno il compito di chiarire le corrette modalità contabili con cui vanno trattate determinate voci. 1.5.1. Formazione del bilancio e sistema dei controlli Il bilancio di esercizio per un soggetto indiano, obbligato alla sua redazione, si compone essenzialmente dei seguenti documenti: z Stato Patrimoniale; z Conto Economico; z Nota Integrativa; z Relazione dei revisori dei conti; z Rendiconto finanziario - per le società quotate e per le società che presentino un fatturato superiore a INR 500.000.000. Relazione degli amministratori Il bilancio di esercizio deve essere firmato da almeno due amministratori, di cui almeno uno deve essere anche amministratore delegato. Gli amministratori sono, inoltre, tenuti a redigere una relazione di accompagnamento al bilancio la quale, tra l’altro, deve obbligatoriamente contenere: z una sintesi dell’attività economica svolta dall’impresa, e l’indicazione di ogni cambiamento che sia eventualmente intervenuto nell’attività svolta; z l’ammontare dei dividendi che può essere distribuito; z un dettaglio degli investimenti effettuati in R&S (Ricerca e Sviluppo), nonché una sintesi degli effetti prodotti (miglioramenti, vantaggi, etc.) a seguito di tali investimenti; z l’elenco dei dipendenti, qualora vi siano, che abbiano ricevuto un compenso mensile superiore a INR 200.000 o annuale superiore a INR 2.400.000; z una dichiarazione di responsabilità degli amministratori, in cui si elencano e si esplicano i principi guida che sono stati seguiti nella redazione dei documenti del bilancio, nonché i metodi di valutazione utilizzati per determinare gli importi delle voci principali contenute nei diversi prospetti. Dovrà essere
dichiarato, inoltre, che la contabilità e l’organizzazione dell’azienda sono state gestite in conformità con le disposizioni contenute nel Companies Act del 1956 e nel rispetto del principio della continuità aziendale (going concern). Revisione dei conti Tutte le società, le banche e gli istituti finanziari devono sottoporre a processo di revisione il loro bilancio. Il revisore deve essere designato, nel primo esercizio di attività, dagli amministratori, ed in seguito in ogni periodo lo stesso deve essere nominato dall’Assemblea generale dei soci che ne stabilisce anche il compenso. Il revisore designato deve essere membro dell’Institute of Chartered Accountants of India, ma è consentito che possano svolgere tale compito anche membri appartenenti ad altre organizzazioni. La stabile organizzazione di una società straniera deve essere sottoposta a revisione da parte dei revisori della società o da parte di altra persona abilitata a svolgere il processo di revisione. Il parere, riservato ai revisori dei conti nella propria Relazione, deve includere una sintesi della situazione finanziaria della società e l’attestazione della conformità dei prospetti di bilancio con quanto registrato in contabilità dalla società. Inoltre, i revisori devono approfondire e riportare nel loro prospetto le materie statuite espressamente nel Manufacturing and Other Companies (Auditor’s Report) Order del 1988 ed emanato dal Governo Centrale indiano. Annualmente all’Assemblea generale degli azionisti, i revisori devono presentare la loro relazione ed esporre nel dettaglio i controlli operati sulle voci che compongono lo Stato Patrimoniale e il Conto Economico e sulle quali essi abbiano svolto verifiche nel corso del loro incarico. Per le società che abbiano un fatturato lordo superiore a INR 4.000.000, sono previsti ulteriori ed approfonditi controlli che possono essere disposti su ordinanza del Governo Centrale. È obbligatorio predisporre un sistema di controllo interno per quelle società che abbiano un capitale sociale versato che ecceda INR 2.500.000 all’inizio del periodo o il cui valore medio delle vendite degli ultimi tre esercizi sia pari o superiori a INR 20.000.000. Società con titoli quotati in mercati regolamentati Per le società i cui titoli sono negoziati su mercati regolamentati, sono previste delle disposizioni particolari e aggiuntive. Infatti, per tali società si rende necessario predisporre anche dei prospetti infrannuali, tra i quali: z Prospetti trimestrali – gli stessi devono essere predisposti, a cura di un sub-comitato composto da non meno di un terzo dei membri del Consiglio di Amministrazione, entro un mese dalla chiusura del trimestre di riferimento. Tale prospetto non necessita della verifica da parte di revisori, ma deve essere approvato dal Consiglio di Amministrazione e controllato solo da revisori interni; inoltre, non deve essere trasmesso all’ente regolante i mercati regolamentati se la società si impegna a comunicare i risultati del prospetto entro tre mesi dalla chiusura del trimestre di riferimento. Tuttavia alla borsa valori andrà trasmesso il prospetto di verifica e controllo dei revisori interni. Se i risultati aggregati dei quattro prospetti trimestrali si discostano di oltre il 20% dai risultati consuntivi esposti nel bilancio annuale, la società dovrà motivare la causa di tali scostamenti alla borsa valori; z Prospetti semestrali – i prospetti semestrali sono soggetti a sommaria revisione e devono essere approvati dal Consiglio di Amministrazione. Tali prospetti devono essere inviati alla borsa valori entro due mesi dalla chiusura del semestre; tuttavia, non è necessario inviare alla borsa valori anche i prospetti di revisione dei dati contenuti nella situazione semestrale se la società decide di pubblicare autonomamente i risultati entro due mesi dalla chiusura del semestre. 1.5.2. Principi e pratiche contabili Di seguito sono esposti schematicamente e sinteticamente i principali Standards che devono essere utilizzati e a cui le società si devono conformare nella redazione dei bilanci. Ogni valutazione deve poi trovare giustificazione nella “Nota Integrativa” in cui vanno esposti i metodi seguiti per la determinazione delle singole poste. z Rimanenze: devono essere valutate al minore tra il costo di acquisto e il corrispettivo attuale di vendita. z Beni immobilizzati: vanno iscritti al costo di acquisto, comprensivo di ogni spesa direttamente ad essi imputabile per l’installazione, il collaudo, etc., e al netto di ogni eventuale sconto fruito. Si devono inoltre capitalizzare i costi finanziari in cui si è incorsi, indebitandosi o dilazionando il credito, per
procedere all’acquisto del bene. Se si procede alla costruzione interna del bene, i costi che devono essere capitalizzati sono quelli direttamente imputabili al bene costruito e i costi generali che possono essere ragionevolmente ripartiti e imputati allo stesso. Il valore dell’avviamento, e di altri beni immateriali, non viene solitamente esposto in contabilità a meno che gli stessi non entrino nella disponibilità aziendale in seguito ad un acquisto. Il valore di un bene immateriale può essere “riconosciuto” solo nel caso in cui il bene assicuri futuri vantaggi all’impresa e che il suo costo sia realisticamente determinabile. .. z Ammortamenti: gli ammortamenti vengono dedotti sistematicamente in ogni periodo in base alla residua vita utile del bene. I metodi maggiormente utilizzati sono da ricercarsi nel metodo di ammortamento a quote costanti e nel metodo di ammortamento a quote proporzionali ai valori residui. Il costo originario del bene, il fondo di ammortamento accantonato, e la quota ammortamento di esercizio devono trovare separata indicazione ed evidenza. z Investimenti: gli investimenti in azioni e obbligazioni sono generalmente valutati al costo. Per effetto di tale regola generale, bisogna fare una distinzione tra (i) i titoli che vengono ricompresi tra le immobilizzazioni finanziarie, che vanno esposti al costo di acquisto eventualmente diminuito di permanenti perdite di valore, e (ii) i titoli ricompresi nell’attivo circolante, i quali vanno iscritti al minore tra il costo di acquisto e il valore di mercato. z Commesse pluriennali: Se l’esito di una commessa pluriennale può essere determinato con ragionevole certezza, la società può determinare i costi e i ricavi imputabili in bilancio in base ai metodi dello stato di avanzamento dei lavori o al metodo dei corrispettivi maturati. Se l’esito di una commessa pluriennale, viceversa, non può essere determinato con ragionevole certezza, i costi e i ricavi possono venire imputati solo nel momento in cui vengono sopportati/generati. Devono comunque trovare ampia trattazione le spiegazioni dei metodi utilizzati per l’imputazione dei componenti positivi e negativi e di come vengono applicati i metodi dello stato di avanzamento dei lavori o dei corrispettivi maturati. z Contributi governativi: sono riconosciuti se vi è una ragionevole certezza che saranno effettivamente erogati e tutte le condizioni per la loro ricezione sono rispettate. Se il contributo governativo viene assegnato in seguito ad una spesa sopportata, tale spesa si intenderà compensata. Se il contributo governativo afferisce l’acquisto di un’immobilizzazione, dal suo valore di iscrizione in bilancio va dedotto quanto ricevuto a titolo di contributo. z Contributi pensionistici: i contributi pensionistici versati a Fondi di Previdenza (Provident Fund) o ad altre forme previdenziali, sono iscrivibili in Conto Economico nel periodo in cui tali versamenti sono dovuti. z Trattamento del leasing per la società conduttrice: il leasing finanziario è capitalizzato al minor valore tra il fair value (equo valore, valore ragionevole o giusto in base al quale un investitore ha diritto di ricevere un reddito equo) ed il valore attuale dei pagamenti residui all’inizio del periodo. I canoni pagati devono essere scissi tra la quota interesse pagata per il finanziamento derivante dal leasing e la quota capitale che va a diminuire il valore del bene capitalizzato. I pagamenti effettuati per l’apertura della pratica di leasing, le spese legali o altro costo iniziale direttamente imputabile vanno capitalizzati. Se alla fine del contratto di leasing non si ha la certezza di entrare effettivamente in possesso del bene, lo stesso deve essere ammortizzato secondo il più veloce periodo di ammortamento previsto per tale categoria di bene oppure seguendo la cadenza del periodo di leasing. La definizione di leasing operativo si ha quando tutti i rischi derivanti dalla proprietà del bene restano nelle mani del locatore. Le spese derivanti dal leasing operativo vengono imputate a Conto Economico in quote costanti durante il periodo di durata del leasing. z Trattamento del leasing per la società locatrice: per i beni che si concedono in leasing, occorre aprire una voce nell’attivo dello Stato Patrimoniale che delinei l’entità dell’investimento compiuto per acquistare il bene che viene poi concesso in locazione. I canoni che si ricevono sono scissi in due parti, una quota capitale che va a diminuire il valore dell’investimento e una quota di interessi che rappresenta il ricavo. Le spese per l’apertura della pratica, per le spese legali e altri costi direttamente collegati al contratto di leasing possono essere spesati nell’esercizio. Per quanto concerne i leasing operativi i beni oggetto di tali contratti sono iscritti tra le immobilizzazioni. I redditi che ne derivano vengono iscritti in contabilità ogni anno per quote costanti. I costi, compresi gli ammortamenti, trovano iscrizione nel Conto Economico. z Tassazione differita: la società deve inoltre considerare le componenti di tassazione differita che
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emergono a seguito della diversità di determinazione della base imponibile con i metodi contabili e fiscali. La quantificazione della tassazione differita deve essere fatta in base alle aliquote in vigore al momento in cui si redigono i prospetti di bilancio. Le imposte differite possono essere accantonate/registrate solo qualora vi sia ragionevole certezza che i redditi cui si riferiscono saranno in futuro realizzati. Operazioni in valuta estera: le operazioni che vengono effettuate in valuta estera devono essere contabilizzate in INR applicando il cambio in essere nel giorno di realizzo dell’operazione. Gli utili o le perdite su cambi devono trovare evidenza all’interno del prospetto di Conto Economico. Contabilità di gruppo: Il SEBI (Securities Exchange Board of India), obbliga le società, le cui azioni siano scambiate su mercati regolamentati e che abbiano una o più società affiliate, a presentare un bilancio in forma consolidata, oltre ai singoli bilanci di esercizi. Il bilancio consolidato serve ad indicare ed individuare il gruppo come unica entità e quindi mostrare agli azionisti (share/stockholders) quale sia la vera entità delle risorse a disposizione del gruppo, quale sia l’entità delle sue obbligazioni e il fatturato ricavato dallo sfruttamento di tali risorse. I metodi di consolidamento previsti sono: quello integrale, quello proporzionale (di solito applicato per le joint venture) ed il metodo del patrimonio netto.
Sotto Capitolo n. 1.6 Joint ventures in India
Una joint venture viene generalmente intesa come una collaborazione tecnico finanziaria, ma non esiste nell'ordinamento indiano una definizione di tipo tecnico legale. Tuttavia, il Governo Indiano ha fissato alcune linee guida, che distinguono la joint venture da altre tipologie di enti. Le forme di collaborazione fruibili da parte dell’investitore straniero possono consistere in Joint Venture contrattuali (vedi par. 1.6.2) ovvero in Joint Venture Societarie. Le Joint Ventures Societarie indiane solitamente vengono costituite da due o più soggetti o società, una delle quali deve essere non residente, che decidono di collaborare tra loro costituendo una società indiana di tipo chiuso o aperto, nelle proporzioni desiderate. Il contratto di joint venture primariamente deve disciplinare le modalità con cui gli azionisti della Joint Venture stessa possono trasferire o disporre delle proprie azioni. A) Considerazioni preliminari all ’investimento Settore dell’investimento Vi sono settori, come quelli relativi alle macchine industriali o allo sviluppo del software, dove il Governo indiano autorizza l’investitore straniero a costituire una società controllata interamente partecipata senza necessità di una preventiva autorizzazione. Nel settore delle telecomunicazioni, al contrario, le restrizioni governative non permettono ad una società straniera di possedere più del 49 % del capitale di una joint venture. Nel caso in cui un investitore straniero tenti di acquisire più del 49 % in una joint venture di telecomunicazioni, l’autorizzazione dovrà essere richiesta in prima istanza al Foreign Investment Promotion Board o al Secretariat of Industrial Approvals, a seconda del quantum dell’investimento. Controllo della joint venture Ai fini della detenzione del controllo della joint venture ovvero del potere di influire in modo significativo sullo svolgimento dell’attività della società, è necessario tenere in debita considerazione l’ammontare delle partecipazioni che garantiscono ai soci un certo peso nell’assunzione di specifiche decisioni. A questo proposito è opportuno richiamare brevemente quanto detto in tema di tipologie di delibere adottabili dall’assemblea (vedi par. 1.4.4). In base alle disposizioni del Companies Act, 1956 , una società può adottare due tipologie di delibere, quelle ordinarie e quelle speciali. Le delibere ordinarie possono essere adottate dai soci che detengono il 50,01 % (51 %) delle azioni con diritto di voto, mentre delibere speciali possono essere adottate dagli azionisti che detengono il 75% delle azioni con diritto di voto. Una delibera speciale è richiesta, ad esempio per apportare modifiche all’atto costitutivo o allo statuto, per emettere nuove azioni, per dare prestiti o garanzie ad altre società. Il 51% delle azioni assicura quindi il controllo dell’attività quotidiana della società. Normalmente le joint venture indiane presentano partecipazioni pari a 51% - 49% (equity break-up) rispettivamente tra il socio straniero e quello nazionale. Protezione delle informazioni commerciali Al fine di proteggere informazioni commerciali sensibili dalla divulgazione impropria, accordi di confidenzialità e di non divulgazione (confidentiality e non-disclosure agreements) vengono conlclusi prima dell’inizio di eventuali ulteriori negoziazioni.
Le corti indiane riconoscono la validità di tali accordi e garantiscono ingiunzioni sulla base di adeguate prove di violazione dell’accordo. Tuttavia, a causa del sistematico ritardo con cui vengono portate avanti le cause per danni, l’emissione del decreto con cui si riconosce il risarcimento alla parte danneggiata può richiedere lungo tempo. B) Formazione della Joint Venture Gli accordi tra gli azionisti e lo statuto della joint venture costituiscono la base della joint venture stessa. Gli accordi tra gli azionisti possono stabilire eventuali restrizioni al trasferimento di azioni, se esistenti, che vengono inserite nello statuto della joint venture. In India, le joint ventures possono assumere la forma di società, associazioni (partnership) o joint working agreement. Per ciò che concerne la foma societaria, ricordiamo che le società che possono essere costituite in India appartengono a tre tipologie (vedi par. 1.3.1): z Companies limited by share z Companies limited by guarantee z Companies having unlimited liability Le joint venture in India possono essere rappresentate dalla costituzione di società sia "aperte" che "chiuse". In realtà, salva l'ipotesi in cui si vogliano reperire fondi dalle istituzioni pubbliche, i soci della JV, la gran parte delle volte, optano per l'adozione di una fattispecie societaria aperta. In India, le associazioni (partnership) sono definite dalla Sezione 4 dell’Indian Partnership Act, come accordi attraverso cui viene a crearsi un'associazione per lo svolgimento di un'attività commerciale (partnership business) nell'interesse di un singolo o di tutti i soggetti coinvolti, al fine di divederne i profitti. La forma associativa della partnership non conosce limitazioni della responsabilità dei rispettivi partners, sicchè il rischio associato a tale forma di business è molto elevato e non è consigliabile per nessun tipo di JV. I Joint working agreements possono essere orientati al soddisfacimento primario dell'interesse o del mercato o del particolare cliente, a seconda delle necessità dei partners. In tali accordi, il partner indiano produce i componenti contraddistinti da un costo effettivo, mentre il partner straniero provvede all'importazione in territorio Indiano di quei componenti che non possiedono un costo effettivo. Il prodotto finale derivante dalla collaborazione dei soci, sarà rappresentato dalla fusione dei predetti componenti. In caso di Joint working agreements, non vi potrà essere un completo trasferimento di tecnologia, bensì un trasferimento graduale. Si realizzerà, inoltre, una graduale condivisione di entrate tra le parti. Al fine di assicurare validità legale al JV agreement, i requisiti richiesti dall’ Indian Contract Act a dal Company Act devono di necessità essere rispettati. Questi sono in estrema sintesi, rappresentati (i) dalla sottoscrizione delle parti, (ii) dalla costituzione del consiglio di amministrazione, (iii) dalla natura vincolante dell’accordo, (iv) dalle previsioni sul trasferimento di azioni, (v) termination clause, (vi) dalla diluition clause, (vii) dalla dispute resolution clause. Affinché il contratto di JV sia valido, le parti sono altresì tenute alla corresponsione di una certa somma a titolo di imposta di bollo sullo stesso accordo di JV. C) Divisione dei poteri In base al diritto indiano, è possibile raggiungere un perfetto bilanciamento dei poteri tra le parti del contratto di JV. Tutto dipende dal controllo che le parti possono cercare di raggiungere ed il capitale che intendono conferire nella JV. Lo statuto, che incorpora le previsioni chiave dell’accordo tra azionisti, disciplina il controllo della JV. L’esercizio del controllo viene esercitato su due livelli: nel consiglio di amministrazione e dagli azionisti. L’accordo tra gli azionisti stabilisce il numero degli amministratori, il quorum per le assemblee generali e
degli amministratori, il day to day management della società, le procedure da seguire in caso di estinzione o bancarotta di un socio della JV. Al fine di prevenire la paralisi, il presidente del consiglio di amministrazione può essere dotato di un casting vote, in caso di parità di voti in consiglio. Le società straniere solitamente si riservano il diritto di nominare il presidente del consiglio di amministrazione. Se, per qualche ragione, il meccanismo del casting vote non previene l’arresto, questo può essere superato facendo ricorso a mezzi di risoluzione delle controversie alternativi, come la conciliazione e/o l’arbitrato. In base al diritto indiano, le società possono svolgere attività attraverso l’adozione di delibere ordinarie o straordinarie, nelle modalità stabilite nel Company Act. Se un azionista dispone del 51 % dei voti nel consiglio e nella JV, può adottare delibere ordinarie vincolanti per la società, mentre come già esposto in precedenza (vedi par. 1.4.4.), il 75 % consente pieni poteri per lo svolgimento di qualsiasi attività. In caso di bancarotta di uno dei soci, i contratti di JV solitamente prevedono che l’accordo venga terminato. In caso di morte di un socio, le due opzioni possibili consistono nel trasferimento delle azioni secondo particolari modolità o la terminazione del contratto. In circostanze normali, la JV è guidata dal consiglio di amministrazione i cui poteri sono stabiliti dallo statuto. D) Ripartizione degli utili L'accordo tra gli azionisti può includere la previsione di restrizioni sulla divisione dei profitti o sul pagamento dei dividendi. Una volta che l'investitore straniero ha ottenuto l’autorizzazione del Governo ad investire in una JV indiana, può rimpatriare sia il guadagno principale sia i dividendi o altre tipologie di guadagno, senza alcuna limitazione. E) Trasferimento di azioni Non vi sono previsioni legali specifiche che devono essere necessariamente seguite in caso di trasferimento di azioni. Le condizioni di trasferimento dipendono quindi da quanto fissato all’interno del contratto di JV. Comunque, per dare effetto ad un trasferimento, gli azionisti devono dar corso ad una share transfer form e consegnare tale form alla società, unitamente al certificato azionario originale. Deve essere puntualizzato che, in base alla sezione 111 del Company Act, una società ha il potere di rifiutare la registrazione del trasferimento di azioni, a condizione che il rifiuto sia motivato da specifiche ragioni. L’appello contro tale rifiuto deve essere proposto innanzi al Company Law Board. Tale previsione viene spesso utilizzata per bloccare il trasferimento di azioni. Le clausole di un contratto di JV spesso implicano l’impossibilità per un nuovo socio di entrare senza il nulla osta di tutti gli altri soci. Lo statuto può giungere a prevedere una assoluta proibizione di trasferimento di azioni ad altre parti, cosa alquanto comune per le società chiuse. Al fine di impedire che l’azionista di maggioranza possa abbandonare la società improvvisamente, l’accordo tra azionisti può prevedere un lock-in period. F) Restrizioni regolamentari /approvazioni Tutte le proposte di JV sono esaminate dalla Reserve Bank of India (“RBI”), dal FIPB e dal ministro dell’industria coinvolto, in base al quantum e alla natura dell’investimento straniero. Non è possibile in alcun modo evitare l'operatività delle restrizioni regolamentari. I permessi della RBI e della FIPB sono validi per due anni. Ogni sei mesi, è necessario provvedere alla sottoposizione al SIA di una dichiarazione riguardante lo status del progetto e l’ammontare dell’investimento. Se le parti mancano di compiere gli atti necessari come da permission letter, il permesso può non essere rinnovato allo spirare dei due anni. Normalmente, i soci della JV non possono svolgere attività in competizione con la JV stessa. Gli accordi tra azionisti possono contenere specifiche previsioni a questo riguardo. Specifiche clausole di non concorrenza possono essere efficacemente fatte valere anche a seguito dell'uscita di un socio dalla JV,
se risultano ragionevoli e non contro la public policy. H) Conflitti e scioglimento di una JV Non esistono disposizioni che fissino una durata per la validità dell’accordo. Molti contratti di JV contengono clausole che prescrivono tutta una serie di procedure da seguire nel caso in cui una JV si sciolga. Ai fini della disciplina della risoluzione delle controversie, conciliazione e arbitrato sono le previsioni più comuni. L’arbitrato può essere condotto al di fuori dell’India in base alla disciplina dell'ICC o altre regole eventualmente applicabili. La RBI e il FIPB stabiliscono che sia la legge indiana a dover governare l’accordo tra gli azionisti. Il contenzioso e l’eventuale esecuzione di una decisione straniera devono essere condotte innanzi le corti indiane e sulla base del diritto indiano. Se necessario, le corti garantiscono l’imposizione di stay orders per impedire alla controparte di disporre degli assets della JV, inclusi i diritti di proprietà intellettuale. Nel caso in cui un socio voglia uscire dalla JV, è usuale che lo stesso offra agli altri soci l’opzione di acquisto delle proprie azioni ad un prezzo fissato in base ad una valutazione delle azioni della JV medesima. 1.6.1. Patti parasociali all’interno delle Joint Ventures All’interno delle Joint Ventures, i soci possono accordarsi tra loro per esercitare il diritto di voto in particolari modi su questioni inerenti la società stessa (pooling agreement). Tali accordi vengono considerati come veri e propri contratti il cui effetto risulta essere quello di incanalare i voti connessi alle azioni detenute dai vari azionisti in un’unica direzione. L’Alta Corte di Bombay, tuttavia, ha stabilito in varie pronunce (tra cui Rolta India Ltd. V., Venire Industries Ltd. del 2000) che un pooling agreement intervenuto tra gli azionisti di una società, non può considerarsi vincolante nei confronti della stessa società, nonostante essa abbia riconosciuto l’esistenza dell’accordo ed abbia agito in conformità ad esso. Tale pronuncia è conforme all’indirizzo della giurisprudenza inglese, in base alla quale nonostante lo statuto preveda che gli amministratori debbano dare effetto ai pooling agreements intervenuti tra gli azionisti, tali accordi non devono essere assimilati a parte dello statuto. Ogni azione assunta in rispetto di tali accordi non può essere ratificata di conseguenza. Per di più, anche nell’eventualità che tali accordi vengano considerati come parte dello statuto, non possono comunque essere considerati vincolanti contro l’interesse della società. L’Alta Corte di Bombay inoltre, ha stabilito che sulla base di un pooling agreement, gli azionisti non possono comunque violare i diritti e i doveri fiduciari di un amministratore. Per di più, gli azionisti non possono imporre decisioni agli amministratori, salvo il caso in cui esercitino il diritto, previsto dal Companies Act, 1956, di rimuoverli dalla carica. A questo proposito, la Corte indiana si è attenuta all’orientamento fissato dalle corti americane in relazione ai pooling agreements. Le corti americane hanno infatti stabilito che gli accordi che ostacolino la decisione di un amministratore di agire nell'interesse della società non possono essere riconosciuti come vincolanti. Dal momento che è dovere di un amministratore salvaguardare il progresso della società, tale dovere non può essere limitato per tutelare gli interessi dei singoli azionisti. Inoltre, i pooling agreements sono misure operanti nel breve periodo e rimangono in forza sino alla successiva assemblea generale. La libertà d’azione degli amministratori nel gestire gli affari della società non può essere ostacolata da simili accordi. I pooling agreements non possono pertanto essere utilizzati per imporre restrizioni ai poteri degli amministratori nel gestire la società. Questo si giustifica per il semplice motivo che, mentre gli azionisti attraverso i pooling agreements gestiscono la loro stessa proprietà, gli amministratori sono fiduciari della società e sono tenuti ad agire nel miglior interesse della società stessa. Nella medesima prospettiva, un pooling agreement tra gli amministratori relativo
all’esercizio dei loro poteri, è invalido. L’unico modo attraverso cui gli azionisti possono influenzare l’andamento della società è rappresentato dalla modifica dello statuto sociale o la rimozione dalla carica degli amministratori. L’alta Corte di Bombay si è attenuta a quanto stabilito da Browne v. Trinidad 33, Ch. D. 1, dove un pooling agreement prevedeva che il socio fondatore non avrebbe mai dovuto essere rimosso dalla carica di amministratore, mentre successivamente si era cercato di rimuoverlo. La corte Inglese stabilì che, nonostante gli amministratori si fossero tenuti a quanto fissato nell’accordo, lo stesso non poteva considerarsi vincolante per la società. Per questi motivi, un pooling agreement non può risultare vincolante nei confronti della società, salvo che la società non sia essa stessa parte dell’accordo e l’accordo sia parte dello statuto della società. 1.6.2. Joint venture contrattuali (accordi di licenza) La collaborazione tecnica è la soluzione adatta all’investitore italiano interessato a stringere accordi iniziali non eccessivamente impegnativi, come banco di prova per poi passare alla costituzione di una Joint Venture societaria. Questa forma di collaborazione implica esclusivamente un trasferimento di tecnologia dalla ditta italiana a quella indiana, ed evita la costituzione di una entità giuridica separata. La tecnologia trasferita consiste esclusivamente in know-how, disegni e progetti, servizi di engineering e royalties. Gli elementi essenziali di un accordo di cooperazione tecnica risultano essere, in estrema sintesi, seguenti: z l’individuazione dello scopo della tecnologia z la specificazione dell'avvenuto trasferimento o licenza z l’impegno al supporto tecnologico ad opera della parte che trasferisce la tecnologia z l’indicazione della base esclusiva o non esclusiva del trasferimento z l’impegno all’aggiornamento e allo sviluppo ad opera delle parti z l’indicazione delle royalty, fisse o variabili z l’indicazione della durata dell’accordo e del suo eventuale rinnovo z l’indicazione dei diritti del concessionario successivi alla durata dell’accordo La ditta indiana interessata può ottenere l’autorizzazione automaticamente presso la Reserve Bank of India entro 2 settimane dalla richiesta, purchè siano soddisfatte alcune condizioni standard, e cioè: z il pagamento forfettario non deve superare i 2 milioni di USD; z le royalties non devono essere superiori al 5% delle vendite e all’8% delle esportazioni per un periodo di 10 anni dalla stipula dell’accordo, o 7 anni dall’inizio della produzione, a seconda dell'azione che avviene per prima; z i pagamenti sono soggetti ad un limite dell’8% delle vendite totali al netto delle tasse indiane per un periodo di 10 anni; z gli articoli prodotti non devono richiedere licenza industriale o essere riservati alla piccola impresa; z la controparte straniera non deve aver precedentemente stipulato accordi nello stesso settore o in settori affini. Le proposte di collaborazione che non rientrano nei parametri sopra indicati devono essere inoltrate al SIA, che comunica la propria decisione in 4-6 settimane. Tra i criteri di valutazione adottati è compresa la natura del prodotto, la possibilità di importazione dello stesso, l’eventuale possibilità di esportare il prodotto indiano etc. Sempre al SIA deve essere presentata la richiesta di proroga degli accordi già esistenti.
Capitolo n. 2 Disciplina dei contratti
Sotto Capitolo n. 2.1 Principi generali
In India la disciplina dei contratti è contenuta nell’Indian Contract Act - ICA- del 1872. L’ICA ha largamente mutuato le previsioni codicistiche di altri paesi ed è possibile sostenere che larga parte della disciplina in parola si fondi sui principi contrattualistici propri della common law. Attraverso successive modifiche, le previsioni riguardanti specifici contratti, incluso il contratto di partnership, il contratto di trasporto ed il contratto di vendita, sono state rimosse dall’ICA ed inserite in separati provvedimenti legislativi. Nel corpo dell’ICA vengono espressi i principi generali della disciplina dei contratti, riguardanti: z la formazione del contratto; z la capacità a contrarre delle parti; z la validità del contratto; z l’inadempimento del contratto; z il risarcimento dei danni. Alcuni degli aspetti caratteristici della disciplina contenuta nell’ICA risultano essere i seguenti: per la conclusione del contratto, vi deve essere una proposta e l’accettazione della proposta: quando una persona manifesta ad un’altra la propria volontà di fare o di astenersi dal fare qualche cosa, per ottenere la sua approvazione a tale fare o non fare, si ha la formulazione di una proposta. Inoltre, quando una persona alla quale la proposta è presentata, manifesta la sua approvazione, la proposta risulta accettata. Una proposta, quando accettata, si trasforma in una promessa da cui scaturiscono particolari effetti giuridici (la persona che presenta la proposta è denominata “promisor” e la persona che accetta è denominata “promisee”, mentre dall’incontro delle volontà del promisor e del promisee deriva la formazione di un accordo); z un contratto è valido ed efficace solo se concluso da un soggetto che abbia raggiunto la maggiore età e che disponga della normale capacità di agire; z un contratto può rivestire forma scritta, orale e può perfezionarsi per comportamento concludente delle parti (accordo tacito); z un contratto dovrebbe presentare un corrispettivo - legittimo, reale, di valore consistente anche se non necessariamente adeguato - e deve possedere un oggetto lecito; z il corrispettivo può essere versato da una parte all’altra ovvero provenire da una terza parte; z esiste un vincolo peculiare (c.d. privity) proprio del contratto in virtù del quale i contratti hanno efficacia solo tra le parti. Tuttavia, il contratto a favore di terzo può essere efficace verso detta terza parte; z vi sono due rimedi alla violazione del contratto: il risarcimento dei danni o il risarcimento in foma specifica. I danni possono essere liquidi o non liquidi. Le penali o risarcimenti esemplari non sono validi. Adempimenti specifici possono essere previsti in certi casi di inadempimento contrattuale espressamente previsti dal Specific Relief Act del 1963; z
- l’esecuzione in forma specifica viene imposta a discrezione della Corte, tuttavia non può essere disposta in caso di: (i) contratto di servizi a carattere personale; (ii) quando è richiesto un regolare controllo da parte della Corte; (iii) quando il danaro può servire da giusta compensazione; (iv) in caso di presunzione della sussistenza di adeguata compensazione nel caso di patrimonio mobiliare; - l’esecuzione in forma specifica è invece garantita quando: (i) non sussiste standard alcuno per la misurazione dei danni; (ii) è stata promossa azione legale per l’iscrizione di una ipoteca; (iii) si presume la mancanza di adeguata compensazione in caso di contratti aventi ad oggetto proprietà immobiliari; z i contratti aleatori sono nulli e non efficaci, fatte salve le previsioni di leggi speciali; z la parte adempiente ha diritto alla corresponsione ad opera della parte inadempiente di un risarcimento generale per i danni derivanti dalla violazione delle pattuizioni contrattuali. Il risarcimento dei danni derivanti da una remota od indiretta perdita verrà disposto se ciò rientrava nelle originarie previsioni delle parti. Vi deve essere infatti una connessione causale tra la violazione del contratto e la perdita sostenuta dalle parti; z i danni che usualmente non si producono nella normale pratica degli affari - special damages -,
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possono derivare da una violazione del contratto, ma quelli che sorgono in circostanze speciali non risulteranno risarcibili salvo che le medesime speciali circostanze fossero conosciute o fossero state comunicate alla parte inadempiente; le parti possono fissare al momento del contratto i danni che verranno corrisposti in caso di inadempimento. In tali casi è importante determinare se l’importo viene previsto per la liquidazione dei danni o se si tratta di una penale che intende dissuadere una parte dell’inadempimento. Le corti indiane solitamente danno effetto alle previsioni di liquidazione dei danni, ma non riconoscono il diritto al risarcimento dei danni in caso di penale; la verifica atta a stabilire se una somma predeterminata vale come liquidazione dei danni o come penale, comporta una valutazione sulla perdita dell’attore e sul se possa essere calcolata. Se la perdita può essere calcolata e l’ammontare fissato è più elevato, allora l’importo previsto deve essere considerato come una penale. Quando la perdita non può essere calcolata anticipatamente e l’importo previsto nell’accordo appare ragionevolmente proporzionato alla perdita attualmente sofferta, l’importo in questione non potrà essere considerato come penale; in caso di sostituzione di un contratto esistente con un nuovo contratto che valga a risolvere od estinguere il precedente, il primo contratto non necessita ovviamente di essere eseguito. Sono questi i casi della Novation, della Alteration (è questo, in particolare, il caso dell’aggiunta di nuovi termini e condizioni che alterano le originarie previsioni contrattuali ed ove tuttavia il contratto rimane in essere pur in una forma alterata), e della Recession (è questo il caso della terminazione dell’originario contratto expressis verbis perché il secondo contratto presenta il medesimo oggetto ma modalità differenti di esecuzione, per cui sussiste l’impossibilità che entrambi siano eseguiti); vi sono accordi che risultano nulli secondo il diritto indiano, ed in particolare si tratta dei casi di:
A. Mancanza di corrispettivo , salvi i casi di: z z z z
Parti che si trovano in relazioni di parentela; Compensazione per un’attività gia svolta; Pagamento di un debito caduto in prescrizione; Contratto di agenzia
B. Accordi sulla limitazione della concorrenza Un accordo, in particolare risulta nullo se ostacola l’esercizio legittimo del commercio o di una professione di qualsiasi tipo. Le eccezioni si rinvengono nei casi in cui, considerata la natura del business, la stessa corte ritenga che la restrizione sia ragionevole. C. Accordi sulla limitazione dell ’azione giudiziale La nullità colpisce quegli accordi con cui una parte si vede preclusa la possibilità di far valere i propri diritti in giudizio o con cui viene limitato il tempo in cui è data alla parte la possibilità di far valere i propri diritti in giudizio. D. Mancanza del consenso L’incontro della volontà delle parti risulta essenziale per la validità del contratto. Il consenso deve essere libero, ossia non deve essere prestato per effetto di errore, coercizione, frode, o derivare da dichiarazioni false. La nullità del contratto, in questi casi, può essere fatta valere dalla parte il cui consenso sia stato viziato. E. Termine essenziale Il contratto può essere considerato nullo nei casi in cui vi sia stato decorso del termine previsto dal contratto e lo stesso termine doveva considerarsi essenziale, tenuto conto delle previsioni delle parti, le intenzioni delle stesse, le circostanze e la natura del contratto.
Sotto Capitolo n. 2.2 Disciplina del contratto di agenzia
La disciplina del contratto di agenzia è contenuta nell’Indian Contract Act del 1872 agli artt. 182-238. Non sono rinvenibili norme imperative nell’interesse dell’agente, ad eccezione della previsione secondo la quale l’eventuale clausola di non concorrenza non deve risultare troppo vincolante o limitativa dell’attività dell’agente. Il rapporto di agenzia è il rapporto concluso tra l’ ”agent”e il “principal”: il primo è colui che si impegna ad agire per conto e nell’interesse del secondo, ossia il principal, e a rappresentarlo innanzi a terze parti. Può rivestire la qualità di agente chiunque abbia raggiunto la maggiore età e disponga della naturale capacità di agire. I poteri conferiti all’agente possono essere espressi o impliciti: i poteri sono espressi quando sono conferiti per via orale o per iscritto mentre sono impliciti quando vengono desunti da comportamenti concludenti delle parti e dalle circostanze (quali, ad esempio cose dette o scritte oppure gli usi seguiti normalmente negli affari). I poteri di un agente si estendono fino a ricomprendere il compimento di ogni atto lecito necessario per la realizzazione dell’incarico conferito, come il compimento di uno specifico atto o lo svolgimento dell’attività produttiva. In casi di emergenza l’agente ha il potere di compiere tutti gli atti necessari per proteggere gli interessi del preponente che sarebbero stati compiuti da una persona di normale diligenza nelle medesime circostanze. L’agente non può legittimamente assumere un terzo soggetto per svolgere le mansioni che egli si è impegnato a svolgere personalmente, salvi i casi in cui gli usi della pratica commerciale permettono, o la natura del rapporto di agenzia imponga, l’assunzione di un sub-agente. Il sub-agente è per definizione colui che viene assunto e che agisce sotto il controllo dell’originario agente. L’agente è responsabile nei confronti del preponente degli atti del sub-agente, mentre il sub-agente normalmente risponde delle sue azioni nei soli confronti dell’agente, tuttavia risponde anche verso il preponente nei casi di dolo o mala fede. Ovviamente, nel caso in cui un agente nomini un sub-agente senza averne i poteri, instaurerà con tale soggetto un rapporto da preponente ad agente, mentre l’originario preponente rimarrà totalmente estraneo a tale rapporto. Il rapporto di agenzia può risolversi con: la revoca dei poteri inizialmente conferiti da parte del preponente o con la rinuncia dell’incarico da parte dell’agente; z per il raggiungimento degli scopi dell’agenzia; z per morte o perdita della capacità di agire da parte del preponente o dell’agente; z per dichiarazione dello stato di insolvenza del preponente. z
In caso di revoca dei poteri da parte del preponente o di rinuncia dell’incarico da parte dell’agente revoca e rinuncia possono essere espresse o implicite - viene previsto il riconoscimento di un idennizzo da parte del revocante o del rinunciante. La cessazione dell’incarico dell’agente non diviene efficace nei confronti dello stesso se non nel momento in cui lo stesso ne prende conoscenza. L’agente è tenuto a svolgere la propria attività sulla base delle direttive impartitegli dal preponente o, in assenza delle stesse, in base agli usi esistenti nella pratica commerciale nel luogo e nel tempo in cui l’agente è tenuto a svolgere la sua attività.
Se, in caso di inosservanza delle direttive o degli usi, l’agente causa perdite al preponente, sarà tenuto a tenerlo indenne dalle stesse. L’agente è tenuto a svolgere l’incarico con la diligenza propria dell’agente medio ed è tenuto a fornire al preponente gli opportuni documenti a richiesta di quest’ultimo. È dovere dell’agente, in caso di difficoltà ad utilizzare la dovuta diligenza, cercare di comunicare con il preponente e di ottenere le sue istruzioni. L’agente ha il dovere di corrispondere al preponente tutte le somme ricevute per suo conto, tuttavia ha il potere di trattenere le somme a lui dovute in conseguenza di spese anticipate o, più semplicemente, a titolo di remunerazione per aver agito come agente. In assenza di specifiche previsioni nel contratto, i pagamenti dovuti all’agente maturano nel momento del compimento degli atti relativi alla sua attività. Inoltre, l’agente non ha diritto a remunerazione alcuna nei casi in cui abbia agito violando i propri doveri. In assenza di diversa pattuizione contrattuale, un agente ha diritto di trattenere beni, documenti o altre proprietà, mobili o immobili, di appartenza del preponente, che siano stati da lui ricevuti nell’esercizio della sua attività, fintanto che non gli siano state corrisposte le provvigioni o i rimborsi per le spese e i servizi relativi a tale ultima attività. I contratti conclusi attraverso l’agente e le obbligazioni nascenti dagli atti compiuti dall’agente, possiedono la stessa efficacia e producono le stesse conseguenze legali che avrebbero avuto se fossero stati conclusi dallo stesso preponente. Quando l’agente oltrepassa i limiti dei poteri conferitigli ed è possibile mantenere una separazione tra l’attività svolta nel rispetto dei suddetti limiti e l’attività che eccede dagli stessi, soltanto la prima vincolerà il preponente. Al contrario, nel caso in cui non sia possibile separare l’attività svolta nel rispetto dei limiti e quella svolta al di fuori dei poteri conferiti all’agente, il preponente non può considerarsi vincolato alla transazione conclusa. In assenza di una diversa previsione, l’agente non può personalmente far valere i contratti conclusi nell’interesse del preponente, né risulta personalmente vincolato dagli stessi; tuttavia sussiste una presunzione in senso contrario quando: z z z
il contratto è stato concluso dall’agente per la vendita o il commercio di beni nell’interesse di un preponente residente all’estero; quando l’agente non spende il nome del preponente; quando il preponente, anche se presente, non può essere chiamato in causa.
Colui che agisce in qualità di agente senza avere potere alcuno, salvo il caso di ratifica da parte del preteso preponente, è tenuto a risarcire il terzo che abbia concluso un contratto nella convinzione di concludere un affare con un agente munito di poteri, ed in particolare è tenuto a tenerlo indenne dai danni e dalle perdite che questo potrebbe aver subito in conseguenza della conclusione di tale contratto.
Sotto Capitolo n. 2.3 Disciplina del contratto di vendita
Il Sale of Goods Act del 1930, governa i contratti relativi alla vendita di beni: esso trova applicazione in tutto il territorio indiano salvo lo Stato di Jammu & Kashmir. I contratti di vendita di beni sono soggetti ai principi generali della common law, contenuti nell’Indian Contract Act più volte menzionato. E’ data la possibilità di concludere contratti di vendita per iscritto, oralmente o per comportamenti concludenti. I beni che formano oggetto di un contratto di vendita possono essere beni esistenti, di cui il venditore è proprietario, o beni futuri. Il Sale of Goods Act prevede l’esistenza di contratti di vendita condizionati o non condizionati. Può infatti configurarsi un contratto di vendita di beni la cui acquisizione da parte del venditore dipenda da un fatto contingente, che può accadere o non accadere. La vendita di beni futuri viene intesa come un “agreement to sell”. A questo proposito, è inoltre possibile evidenziare la distinzione tra “contract of sale”da un lato e “agreement to sell” dall’altro. L’”agreement to sell” diviene un “contract of sale” quando è decorso il tempo prefissato o si sono realizzate le condizioni, soddisfatte le quali la proprietà viene trasferita. Il contratto di vendita si compone di una offerta di vendita o di acquisto di beni e l’accettazione di tale offerta. Lo stesso, può disciplinare (i) l’immediata consegna dei beni o (ii) l’immediato pagamento del prezzo o (iii) entrambi, oppure (iv) la consegna e il pagamento a rate, o ancora (v) che il pagamento e la consegna siano posticipati. Nel caso in cui sia stato concluso un contratto di vendita di beni specifici e questi, senza che il venditore ne abbia avuto conoscenza, risultino al momento della conclusione del contratto periti o danneggiati in misura tale da non corrispondere più alla descrizione iniziale, il contratto di vendita in questione diviene nullo. Il prezzo del contratto di vendita può risultare fissato dal contratto stesso, può essere fissato secondo modalità concordate esternamente dalle parti oppure può essere deciso nel corso della trattazione delle parti stesse. Se il prezzo non risulta determinato secondo una delle modalità sopra menzionate, il compratore è tenuto alla corresponsione di un prezzo ragionevole (“reasonable price”). Che cosa debba intendersi per reasonable price è una questione di fatto dipendente dalla circostanze del caso concreto. Quando si è concluso un “agreement to sell” in base al quale il prezzo dei beni deve essere determinato dalla valutazione di un terzo, ed il terzo non effettua tale valutazione, l’agreement viene annullato. Il trasferimento della proprietà avviene secondo modalità diverse a seconda dei casi. In particolare, quando la vendita ha ad oggetto beni non determinati, la proprietà passa nel momento in cui i beni sono verificati ed individuati dal compratore. Nel caso di vendita di specifici beni consegnabili (“deliverable”), la proprietà si trasferisce al momento della conclusione del contratto stesso. Se il venditore è tenuto ad eseguire le operazioni necessarie per rendere i beni "deliverable", la proprietà si trasferisce nel momento in cui tale adempimento viene effettuato. Così avviene inoltre, in tutti quei casi in cui la merce è individuata ed è “deliverable”, ma il venditore è tenuto a specifici adempimenti per la misurazione, o l’effettuazione di altri test sulla merce stessa. Vi possono essere inoltre casi in cui la vendita viene effettuata secondo i termini “on sale or return”.
In tali ipotesi, la proprietà si trasferisce: a. quando il compratore manifesta la propria accettazione o approvazione; b. quando, pur non manifestando la propria accettazione o approvazione, trattiene i beni senza dare comunicazione del rifiuto. In tal caso la proprietà si trasferirà al momento dello spirare del termine prefissato. Salvo che non sia stato diversamente pattuito, i rischi relativi al perimento dei beni permangono in capo al venditore fintanto che la proprietà non si è trasferita al compratore. Quando la proprietà risulta trasferita, i rischi si trasferiscono in capo al compratore, indipendentemente dall’avvenuta consegna o meno. L’Act precisa che, se la consegna è ritardata da una mancanza del compratore o del venditore, i rischi del perimento graveranno sulla parte che ha causato il ritardo, con riferimento a ogni perdita che può essere ricollegata a tale mancanza. L’India non ha sottoscritto la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale dei beni; tuttavia, come è noto, l’applicabilità della Convenzione di Vienna non è necessariamente esclusa là dove le parti non abbiano le loro sedi d’affari in Stati contraenti. In virtù di una soluzione classica, prevista dall’art.1, comma 1°, lett b) della convenzione, la normativa uniforme si applica, infatti, anche ai casi in cui una o addirittura entrambe le parti abbiano le proprie sedi d’affari in Stati contraenti diversi, purchè le norme di diritto internazionale privato portino all’applicazione della legge di uno Stato contraente.
Sotto Capitolo n. 2.4 Disciplina del franchising
L’utilizzo del franchising sta progressivamente assumendo una importanza notevole all’interno del territorio indiano. A tutt’oggi non esiste una disciplina specifica che governi la fattispecie del franchising in India, tuttavia il Governo Indiano ha fissato alcune regole che devono essere osservate nella collaborazione con soggetti stranieri e che hanno effetto anche sulla disciplina del franchising. Innanzi tutto, sono stati imposti limiti all’ammontare di royalties che possono essere addebitate da un franchisor straniero ad un franchisee indiano. Tale ammontare dipende da vari fattori, quali l’utilizzo del marchio, il trasferimento della tecnologia e dei processi coinvolti. I franchisors possono addebitare royalties anche per il solo utilizzo del marchio da parte del franchisee, senza necessità di trasferire tecnologia o l’assunzione di responsabilità alcuna: opportunità particolarmente vantaggiosa e remunerativa per i franchisors. Qualora un franchisor internazionale aspiri a imporre royalties in misura maggiore del limite prescritto, è necessaria una preventiva autorizzazione da parte della RBI, l’autorità principale in materia di regolamentazione dell’uscita di valute estere, nonché da parte del Foreign Investment Promotion Board (FIPB). Nella pratica, molti franchising sono offerti a persone fisiche e hanno forma contrattuale. Il contratto in parola, predisposto dal franchisor, fissa certi standards e introduce determinate indicazioni a cui il franchisee è tenuto ad aderire. Solitamente tutte le spese derivanti dall’operazione contrattuale, vengono sostenute dal franchisee. I franchisors conservano l’opzione esclusiva di mutare gli standards e le indicazioni sopra menzionate. Se queste vengono modificate con scadenza regolare, i costi di gestione sostenuti dal franchisee aumenteranno, dal momento che lo stesso dovrà effettuare mutamenti rilevanti nella conduzione degli affari in osservanza alle linee guida stabilite dal franchisor. Il franchisor può, in vista ovviamente della tutela del proprio interesse, impedire al franchisee di svolgere una attività concorrente durante il periodo di validità del contratto. Nello stesso tempo, i franchisors possono concludere contratti di franchising simili con varie parti, nella medesima area ove opera un franchisee con cui è stato concluso un contratto similare. A questo proposito, è importante evidenziare che i franchisors sono comunque assolti da qualsiasi perdita eventualmente subita da un determinato franchisee, in conseguenza della conclusione da parte del franchisor, di altri contratti di franchising similari nella medesima zona. Dal momento che non esistono attualmente disposizioni legislative che tutelino il franchisee da tale pratica, ci si può ragionevolmente attendere riluttanza alla partecipazione in simili operazioni da parte del piccolo businessman Indiano. Inoltre, come detto, non è dato rinvenire specifiche regole o disposizioni relative all’ammontare di royalty che possono essere addebitate al franchisee. Tuttavia, tutti i franchisors, ed in particolare i franchisors stranieri, aspirano all’instaurazione di un sistema veloce ed efficace volto ad assicurare che non vi siano ostruzioni nella raccolta di royalty.
I franchisors autorizzano il franchisee all’utilizzo della proprietà intellettuale del franchisor stesso, quale il marchio di fabbrica, il nome commerciale, il domain name ecc. Sebbene il Trade Marks Act, 1999 abbia introdotto una ragionevole protezione della proprietà intellettuale, i franchisor risulterebbero sicuramente più tutelati se venissero introdotte previsioni particolari con specifico riferimento al rapporto di franchising. In particolare, la disciplina della cessazione dell’utilizzo del marchio di fabbrica del franchisor da parte del franchisee alla fine del rapporto è un aspetto cruciale la cui disciplina positiva è stata tralasciata. Una ulteriore parte cruciale del contratto di franchising è la clausola di cessazione del rapporto. Spesso i franchisors limitano la possibilità per il franchisee di avviare una attività similare o in concorrenza per un certo periodo di tempo successivo alla cessazione del rapporto. Sebbene tale prassi venga dai franchisors giustificata in relazione alla esigenza di tutela dei propri interessi commerciali, la stessa altro non è che una illegittima restrizione della libertà commerciale nei confronti del franchisee. Sino a che limite questa possibilità di restrizione possa applicarsi, è un ulteriore aspetto del franchising indiano che necessiterebbe di specifica disciplina tuttora inesistente.
Sotto Capitolo n. 2.5 Disciplina del leasing e della vendita a rate
I soggetti principali dell’industria del leasing sono il lessor e il lessee. Nel febbraio 1994, la RBI ha autorizzato le banche a concludere direttamente contratti di leasing. Sino ad allora, infatti, solo società affiliate alle banche potevano concludere contratti di leasing, dal momento che tale attività veniva considerata come attività non bancaria. La Notificazione del 1994, tuttavia, ha evidenziato una sostanziale similarità tra il leasing finanziario e il prestito tradizionale, equiparando pertanto le due attività ed estendendone la possibilità di esercizio anche a soggetti prima esclusi. Non esistevano ostacoli all’esercizio dell’attività di leasing sino al gennaio 1997, quando la RBI ha richiesto per la società finanziaria non bancaria, quale requisito per l’esercizio di tale attività, una previa registrazione presso la stessa RBI. Esiste una molteplicità di istituzioni finanziarie sia a livello centrale che a livello statale (es. la Banca per lo Sviluppo Industriale, Industrial Finance Corporation e altre agenzie finanziarie che si occupano di industrie in stato di difficoltà finanziaria, turismo, agricoltura, piccola industria, ferrovie, strade, energia ecc.) che utilizzano lo strumento del leasing unitamente ai tradizionali strumenti finanziari. Per quanto concerne il leasing praticato dalle stesse case produttrici, è possibile notare come tale forma abbia trovato largo sviluppo in India in quanto, come noto, consente di trasferire i beni senza che gli acquirenti siano costretti a versarne immediatamente il prezzo. Attualmente, i venditori di automobili, di beni di consumo durevoli ecc. hanno spesso instaurato alleanze o joint venture con le società di leasing al fine di proporre una locazione finanziaria congiuntamente alla vendita dei propri prodotti. Tuttavia, nel panorama indiano non è ancora rinvenibile quella figura propria dei mercati sviluppati, quale quella della specifica società di leasing o dello specifico programma di leasing in stretto ed esclusivo collegamento con i prodotti di un venditore. I soggetti che possono rivestire il ruolo di lessees sono i più vari, dal Governo, alle aziende del settore pubblico sino ai consumatori (specialmente nel settore delle automobili). Il leasing e l’acquisto rateale sono essenzialmente operazioni in cui il possesso dei beni viene trasferito unitamente al diritto di disporre degli stessi, per un periodo determinato e dietro pagamento di un corrispettivo. Le suddette operazioni rientrano nella categoria del deposito dei beni in garanzia; pertanto, il leasing e la vendita a rate sono disciplinate dalla common law concernente il deposito dei beni in garanzia. Il diritto contrattuale indiano è diritto, come detto, di common law e trova disciplina positiva nell’Indian Contract Act del 1872. Tuttavia, viene continuamente integrato dai contributi derivanti dalle pronunce delle corti Indiane così come da quelle Inglesi. La disciplina applicabile al leasing e alla vendita a rate è ricavabile dagli articoli 148 e 171 dell’Indian Contract Act che, come accennato, regolano il deposito di beni in garanzia, nonché da una lunga serie di pronunce giudiziarie. La disciplina della vendita a rate, essenzialmente in vista di una standardizzazione delle procedure e per eliminare eventuali illiceità nella prassi, è stata emanata nel 1972, in linea con l’English Hire-Purchase Act (legge sulla vendita a rate). Tale legge, nonostante i vari tentativi di modifica e di esecuzione, non è ancora entrata in vigore. Nel corso degli anni vi sono stati così tanti mutamenti nella realtà commerciale relativa alla pratica della vendita a rate che i concetti e le impostazioni della legge del 1972 sono diventati attualmente anacronistici.
Dal punto di vista dei diritti e delle obbligazioni, non vi sono differenze tra il leasing e la vendita a rate. Entrambe le operazioni sono viste come depositi di beni in garanzia. Pertanto, la common law applicabile alla vendita a rate è applicabile, in via generale, anche al leasing e viceversa. La differenza tra le due operazioni in esame si ritrova principalmente nella mancanza della previsione dell’opzione di acquisto nel caso dell’operazione di leasing. In altre parole, l’operazione di leasing che contenga la previsione, implicita o esplicita, della facoltà di acquisto, verrà qualificata come vendita a rate. Vi possono essere differenze significative per ciò che concerne la disciplina fiscale, tuttavia non sussistono differenze di rilievo riguardo ai diritti delle parti. La vendita a rate è tenuta distinta dalla vendita condizionata, dal momento che la prima prevede la facoltà, e non l’obbligo, di acquisto del bene oggetto del contratto. Sia il contratto di leasing che la vendita a rate devono, per essere validi, porsi come validi depositi di beni in garanzia. Di conseguenza, ai fini della validità del contratto di leasing o di vendita a rate, devono essere rispettati tutti i presupposti per un valido deposito di beni in garanzia. La consegna dei beni si pone come elemento essenziale per la sussistenza di un contratto di leasing. Dal momento che il contratto di leasing prevede la consegna dei beni al lessee, e il contratto stesso cessa di avere effetto con la restituzione dei beni al termine del leasing, i beni devono presentare necessariamente le seguenti caratteristiche: z Durevolezza: i beni devono durare almeno per la durata del periodo di leasing. Salvo che il lessor non provveda alla sostituzione dei beni e i beni così sostituiti non vengano fatti oggetto dell’originario contratto di lease, il contratto in parola cessa di avere efficacia nel momento stesso in cui i beni oggetto del rapporto cessano di esistere. z Mobilità e separabilità: i beni in leasing devono essere restituiti al termine del periodo contrattuale. Da ciò ne consegue che i beni non possono essere inglobati in modo permanente ad una proprietà immobiliare e pertanto resi immobili, o essere uniti a qualsiasi altra proprietà in modo inseparabile. Il diritto della proprietà mobiliare e immobiliare indiano riprende ampiamente il diritto anglosassone, dove il carattere della proprietà è determinato dal grado di unione del bene con il terreno e dallo scopo dell’unione. z Identificabilità: al fine di assicurare che il depositario detenga i beni di proprietà del depositante, i beni posseduti dal lessee devono essere tenuti distinti e resi individuabili; in altre parole, i beni in leasing non devono essere fatti oggetto di confusione e resi non identificabili. La disciplina dei contratti distingue tra confusione con e senza il consenso del lessor. Laddove la confusione sia intervenuta senza il consenso del lessor e i beni siano inseparabili, il depositante ha diritto al risarcimento per la perdita dei beni, mentre in caso di confusione con il consenso del depositante, quest’ultimo e il depositario risulteranno comproprietari del bene complessivo in proporzione dei rispettivi contributi. L’autorità giudiziaria indiana ha generalmente riconosciuto il diritto di proprietà del lessor sui beni oggetto del leasing. Anche nel caso in cui il leasing si ponga apertamente come leasing finanziario, come nel caso di vendita a rate, l’autorità giudiziaria rispetta le modalità con cui le parti hanno dato sistemazione ai propri interessi. Sebbene mantenga i diritti del proprietario, il lessor può virtualmente non assumere tutte le obbligazioni relative, ad esempio, alle condizioni di adeguatezza, di qualità, di idoneità allo scopo, o responsabilità per danni causati dalla difettosità del prodotto. Tali obbligazioni possono infatti non essere assunte dal lessor sulla base di specifiche clausole di rinuncia inserite nell’accordo e comprovate dal fatto che il lessor non è stato coinvolto nella selezione dei beni né ha influenzato la decisione del lessee concernente i beni. Nel caso in cui il lessee violi il contratto e risulti inadempiente, il lessor in qualità di proprietario dei beni, può rescindere il contratto e rientrare nel possesso dei beni stessi. Non è richiesto, a questo proposito, l’intervento dell’autorità giudiziaria; tuttavia, la prassi viene condizionata dalla facilità con cui il lessor può riacquisire dal punto di vista fisico e materiale i beni, nonché dall’eventuale esigenza di invadere a questo scopo proprietà private.
La riacquisizione dei beni si pone come un rimedio straordinario, pertanto deve essere utilizzato con estrema cautela e nel pieno rispetto delle regole della correttezza e buona fede. La legislazione indiana in materia di veicoli a motore contiene specifiche previsioni relative al leasing e alla vendita a rate. Per tutti i veicoli a motore, la registrazione presso le autorità competenti è obbligatoria. Il certificato di registrazione indica il nome del “proprietario”: in base alle disposizioni legislative, il proprietario è colui che effettivamente utilizza i beni e pertanto in caso di leasing o vendita a rate verrà indicato il nome del lessee o dell’acquirente. Il nominativo del proprietario legale, ossia il lessor o il venditore, è indicato esclusivamente come avallo. Tuttavia, è chiaro che né il nominativo indicato sul certificato di registrazione, né l’avallo in esso contenuto inficiano in alcun modo la legale proprietà del veicolo. È inoltre previsto che il trasferimento per leasing o per vendita a rate del veicolo non sia permesso se non con il nulla osta del lessor o del venditore in caso di vendita a rate.
Capitolo n. 3 I diritti di proprietà industriale
Sotto Capitolo n. 3.1 Domanda Internazionale di Brevetto
La legge brevettuale indiana ha subito una profonda revisione per essere resa conforme ai Trattati Trips. In particolare è stata prevista: z l’estensione a 20 anni della durata dei singoli brevetti; z la possibilità di brevettare prodotti farmaceutici e chimici; z il riconoscimento dell’importazione di articoli brevettati come attuazione del brevetto considerato; z limitazione alla concessione di licenze obbligatorie; z la descrizione obbligatoria dell’origine del materiale biologico nelle invenzioni biotecnologiche per le quali viene richiesto il brevetto. Tutti questi emendamenti avvicinano ulteriormente la legislazione brevettuale indiana alle legislazioni dei paesi occidentali. 3.1.1. Comproprietà Ciascun comproprietario può valorizzare in proprio l’invenzione brevettata senza rendere conto all’altro (o agli altri) comproprietario/i. Tuttavia nessun comproprietario può concedere la licenza per lo sfruttamento dell’invenzione o può cedere la propria quota di proprietà senza il consenso dell’altro comproprietario (o degli altri comproprietari). 3.1.2. Licenza ed attuazione del brevetto Il brevetto deve essere attuato entro tre anni dalla data di concessione. Per attuazione si intende la produzione di prodotti brevettati in India in misura adeguata e su scala commerciale. L’importazione dei prodotti brevettati dall’estero non viene considerata dalla presente legge una attuazione del brevetto. Ogni titolare o licenziatario del brevetto in questione deve fornire uno statement annuale riportante la situazione dell’attuazione del brevetto su scala commerciale in India. Lo statement deve essere presentato entro tre mesi dalla fine dell’anno considerato ed entro tre mesi dalla fine dell’anno solare in cui è stato concesso il brevetto. La mancata presentazione dello statement viene punita con una multa. Nel caso di mancata attuazione può essere fatta richiesta di licenza obbligatoria oppure il brevetto può essere fatto rientrare nelle disposizioni riguardanti le licenses of right (par. 3.1.3.). In ogni caso, dopo due anni dalla concessione di una licenza obbligatoria o dalla concessione della prima licenza nell’ambito delle Licences of Right, può essere avviata da terzi la procedura di annullamento per insufficiente attuazione. I requisiti previsti per la concessione di una licenza obbligatoria sono soddisfatti nei seguenti casi: se a causa di una mancata o insufficiente produzione del prodotto brevettato in India, oppure di una fornitura del brevetto a termini non ragionevoli, da parte del titolare, o di un rifiuto del titolare di concedere una licenza: - vengono pregiudicati la nascita o lo sviluppo di attività commerciali in India, - la domanda del prodotto brevettato non viene soddisfatta nei quantitativi richiesti in termini ragionevoli, - viene pregiudicato lo sviluppo dell’esportazione del prodotto; z se a seguito delle condizioni imposte dal titolare del brevetto in relazione alla concessione di licenze o alla vendita del prodotto brevettato, viene pregiudicata l’attività manifatturiera e commerciale di prodotti o materiali non protetti dal brevetto oppure viene pregiudicato lo sviluppo di attività produttive e commerciali in India; z se l’invenzione brevettata non viene comunque sviluppata e commercializzata in maniera adeguata in India; z se la domanda del prodotto brevettato viene soddisfatta prevalentemente con l’importazione del prodotto da parte del titolare, o da terzi che acquistano direttamente o indirettamente il prodotto dallo stesso o da parte di terzi che importano il prodotto senza che il titolare agisca per contraffazione z
z
contro di essi; se l’attuazione del brevetto viene impedita od ostacolata dall’importazione di prodotti rientranti nel brevetto considerato da parte del titolare o da terzi come indicato al punto precedente.
Qualsiasi licenziatario, a cui sia stata concessa una licenza obbligatoria, può agire in proprio per far valere il brevetto a fronte di azioni di contraffazione da parte di terzi se, entro due mesi dalla notifica di tali azioni di contraffazione, il titolare non ha intrapreso alcuna iniziativa in tal senso. Poiché la concessione di licenze obbligatorie è finalizzata all’attuazione in misura adeguata dell’invenzione in India, tali licenze non contemplano in genere il diritto di importare i prodotti oggetto di licenza. Va rilevato che il titolare di un brevetto dipendente da quello considerato può comunque richiedere, in ogni momento a partire dalla concessione del brevetto principale, una licenza obbligatoria necessaria per consentire al titolare del brevetto dipendente di poter attuare la propria invenzione. Tuttavia, una licenza obbligatoria può essere concessa in questi casi solo se il titolare del brevetto dipendente è disposto a concere al titolare del brevetto principale una licenza a termini ragionevoli e se l’attuazione dell’invenzione dipendente contribuisce effettivamente allo sviluppo industriale e commerciale indiano. Il titolare del brevetto può naturalmente concedere licenze sullo stesso; il relativo contratto di licenza deve essere registrato pena l’invalidità dello stesso. 3.1.3. Licenses of Right Prescindendo dall’eventualità di concedere licenze obbligatorie, le autorità governative possono sempre richiedere che il brevetto considerato venga fatto registrare come soggetto a Licenses of Right, se la sua attuazione è insufficiente o il prezzo dei relativi prodotti brevettati non è ragionevole per gli acquirenti. In tale evenienza, qualsiasi persona può richiedere una licenza non esclusiva per attuare, a termini e condizioni ragionevoli, l’invenzione brevettata. Va rilevato che brevetti relativi a sostanze alimentari, medicine, farmaci, ai procedimenti per la preparazione di dette sostanze oppure relativi a procedimenti per la preparazione di sostanze chimiche, rientrano automaticamente nella categoria dei brevetti registrati come soggetti a Licenses of Right. Le royalties per le licenze su tali sostanze non dovranno comunque essere superiori al 4% dei prezzi ex-stabilimento. L’India è membro del PCT (Patent Cooperation Treaty - Trattato di cooperazione in materia di brevetti), firmato a Washington il 19 giugno del 1970. In base a tale Trattato le invenzioni che possono essere oggetto di protezione sono tutte quelle che rispondono ai requisiti previsti dalla legislazione dei paesi membri designati nella domanda internazionale di brevetto. Può richiedere la protezione ogni persona fisica o giuridica residente in uno Stato membro del PCT o avente in esso uno stabilimento industriale o commerciale serio ed effettivo. La domanda internazionale di brevetto può essere presentata indipendentemente dall’esistenza di un precedente brevetto nazionale. Il deposito della domanda deve avvenire presso la sede dell’OMPI/WIPO (Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale) a Ginevra (Svizzera) oppure presso un Ufficio brevetti di uno Stato Membro del PCT. Le lingue ufficiali da utilizzare nella domanda sono il cinese, il francese, il giapponese, l’inglese, il russo, lo spagnolo e il tedesco. Al deposito, il testo può essere in italiano, ma dovrà essere tradotto obbligatoriamente in una lingua ufficiale. È possibile rivendicare la priorità della anteriore domanda di brevetto depositata in uno Stato membro della Convenzione di Parigi o della Organizzazione Mondiale del Commercio entro 12 mesi dalla data di tale prima domanda. Sono ammesse più priorità. Se invece si tratta di un primo deposito, la domanda di
brevetto internazionale può costituire diritto di priorità al momento del deposito di domande in altri paesi della Convenzione di Parigi per la stessa invenzione (l’India è membro della Convenzione di Parigi). È obbligatorio designare nella domanda gli Stati Membri in cui il titolare dell’invenzione intende ottenere la protezione brevettuale. Il deposito della domanda internazionale equivale ad un deposito nazionale in tutti gli Stati che vengono designati nella domanda stessa, a condizione che entro i termini stabiliti venga soddisfatta la condizione dell’apertura delle procedure nazionali. L’Ufficio Internazionale effettua una ricerca di novità sull’invenzione che viene messa a disposizione del titolare. È possibile, di conseguenza, richiedere di effettuare un esame preliminare internazionale della domanda di brevetto ed in tale fase è concesso di migliorare e modificare il contenuto della domanda stessa. Non sono dovute tasse annuali per il mantenimento della domanda internazionale.
Sotto Capitolo n. 3.2 Marchio di fabbrica
La disciplina della proprietà intellettuale con riferimento ai marchi industriali è contenuta nel Merchandise Marks Act del 1958. La protezione del marchio è riconosciuta per un periodo di sette anni, che può essere esteso indefinitamente per successivi periodi di sette anni. Opposizioni alla registrazione possono essere proposte entro tre mesi dalla data di pubblicazione nel Trade Mark Journal. Per i disegni industriali ed i modelli è applicato dal 1911 il Disegn Act. La protezione è fornita per un periodo di 5 anni, che può essere esteso per due periodi ulteriori di 5 anni ciascuno. Non possono essere registrati i marchi: z il cui utilizzo generi confusione o tragga in inganno; z che includano o contengano materiale osceno o scandaloso; z che includano o contengano materiale suscettibile di urtare il sentimento religioso; z che risultano identici o simili a marchi già registrati con riferimento agli stessi beni o a beni di natura similare. z che corrispondano ad un nome di persona comune, o ad una abbreviazione comune, o al nome di una casta o tribù indiana; z che corrispondano ad un nome di una sostanza chimica o di un composto chimico, con riferimento alle sostanze chimiche. Ogni soggetto che si dichiari proprietario di un marchio di fabbrica può fare domanda di registrazione. Tale domanda può essere proposta nel nome di un individuo, di un socio, di una azienda, di una società. La registrazione del marchio rimane in vigore per 7 anni, ma può essere rinnovata. L’India ha concluso convenzioni concernenti la proprietà intellettuale con 130 paesi. 3.2.1. Protezione del marchio non registrato in India Il Trade and Merchandise Marks Act, 1958 non definisce la “passing off action” (ossia l’azione contro lo spaccio di prodotto con marchio falso), ma prevede le regole procedurali ed i rimedi disponibili. L’esperibilità di una azione per violazione dipende dalla validità della registrazione del marchio. A differenza della violazione, nelle passing off actions l’avvenuta registrazione del nome commerciale è irrilevante. In questo caso, infatti la priorità nell’adozione e nell’uso del trade mark è superiore alla priorità nella registrazione. La protezione dei marchi non registrati si estende ai marchi stranieri, che godono di buona reputazione in India grazie ad una diffusa campagna pubblicitaria. La protezione viene accordata in tutti quei casi in cui le parti commercializzino prodotti similari o prodotti strettamente correlati.
Capitolo n. 4 Disciplina del lavoro dipendente
L’India dispone di un vasto quadro normativo, che tutela i lavoratori da licenziamenti arbitrari ed obbliga al pagamento di una compensazione al termine del rapporto di lavoro: attua insomma una normativa, che in linea generale, assicura buone condizioni di lavoro e tutela gli interessi dei lavoratori. Il paese è membro dell’International Labour Organization – ILO – e si conforma alle convenzioni da essa ratificate.
Sotto Capitolo n. 4.1 Orario e organizzazione aziendale
La settimana lavorativa per l’industria di norma è di 6 giorni per 8 ore al giorno, mentre gli uffici sono aperti 5 oppure 6 giorni a settimana. È consentito un massimo di 9 ore lavorative giornaliere e 48 ore a settimana. I lavoratori hanno inoltre diritto per legge a 5 settimane di ferie retribuite all’anno (limite spesso non rispettato dal datore di lavoro). In generale il lavoro straordinario viene pagato doppio rispetto al normale compenso orario. Lo straordinario non può eccedere in generale il limite di 50 ore ogni tre mesi. Tale limite, subordinatamente a talune circostanze, può essere ulteriormente esteso.
Sotto Capitolo n. 4.2 Organizzazione sindacale
La remunerazione dipende da settore a settore ed è determinata sulla base della contrattazione collettiva per ogni impresa e settore. La legge prevede il riconoscimento dei sindacati, ed i lavoratori hanno diritto di formare o aderire a sindacati di loro scelta. Sono più di 7 milioni i lavoratori affiliati a federazioni sindacali nazionali, che godono di ampio potere particolarmente nelle imprese statali di grandi dimensioni. La forte politicizzazione dei sindacati ha però talvolta creato problemi per i datori di lavoro, sia locali che stranieri. Tuttavia il governo riesamina continuamente diverse leggi in materia occupazionale per mantenerle al passo con il cambiamento delle situazioni. Queste normative affrontano diverse problematiche quali: le condizioni lavorative, gli schemi retributivi, il sistema assicurativo e pensionistico.
Sotto Capitolo n. 4.3 Ferie e permessi
In generale le ferie riconosciute ai lavoratori per ogni anno oscillano da un minimo di 12 ad un massimo di 30 giorni. Nell’ambito delle industrie manifatturiere, nel momento in cui un lavoratore ha accumulato 240 giorni lavorativi acquisisce titolo ad avere un giorno di ferie pagato per ogni 20 lavorati. I contratti collettivi prevedono normalmente dai 7 ai 12 giorni di assenza su semplice richiesta del lavoratore. Tredici festività, alcune fisse, altre a data mobile, sono osservate in tutto il paese; le date precise indicate di seguito si riferiscono al 2005: 1. Inizio anno 1° gennaio 2. Festa della Republica 26 gennaio 3. Festa di Holi 25 marzo (data mobile) 4. Venerdì Santo (Good Friday) 25 marzo (data mobile) 5. Pasqua 27 marzo (data mobile) 6. Anniversario dell’Indipendenza 15 agosto 7. Janamashtmi 26 agosto 8. Gandhi Jayanti 2 ottobre 9. Dussehra 12 ottobre (data mobile) 10. Diwali 1 novembre (data mobile) 11. Guru Nanak Jayanti 26 novembre 12. Natale 25 dicembre 13. S. Stefano (boxer’s day) 26 dicembre Le restanti – e numerose – festività variano da stato a stato.
Sotto Capitolo n. 4.4 Malattia e maternità
Normalmente il lavoratore può disporre annualmente di 14 giorni di malattia pagati al 100%; se il lavoratore partecipa alla contribuzione del Fondo di assicurazione per i lavoratori, il datore di lavoro partecipa soltanto parzialmente al pagamento del salario durante il periodo di malattia. Il periodo totale di maternità solitamente riconosciuto è pari a 12 settimane (sei prima della nascita del bambino e sei successivamente). In questo periodo lo stipendio viene pagato al 100%.
Sotto Capitolo n. 4.5 Licenziamento
Norme sul licenziamento sono previste soltanto dall’Industrial Disputes (Amendment) Act del 1976 che si applicano alle imprese con almeno dieci lavoratori. Secondo questa legge, le autorità devono essere informate (e dare il proprio assenso) per ogni riduzione di attività, interruzione o chiusura, almeno 90 giorni prima della realizzazione del programma relativo. I lavoratori coinvolti devono ricevere un preavviso di almeno tre mesi, per lavoratori operanti in imprese con oltre 100 dipendenti, o l’equivalente in danaro. Per le imprese con meno di 100 dipendenti il preavviso scende ad un solo mese. La ragione del licenziamento dovrà essere indicata. Dal 1982 sono previste procedure di composizione delle vertenze per le imprese con almeno 50 dipendenti. In teoria può avvenire che un lavoratore licenziato sia riammesso al lavoro o, ove questo non avvenga, debba ricevere normale retribuzione fino al momento in cui non avrà trovato un altro lavoro. L’attribuzione di specifici bonus viene corrisposta in base al Payment Bonus Act del 1965 a lavoratori di imprese industriali con forza lavoro superiore alle 20 unità. L’indennità spetta per licenziamenti dovuti a ragioni economiche ed è espressamente esclusa per licenziamenti disciplinari o per lunga malattia (fa però eccezione, a questo proposito, lo stato del Bengala), pensionamento, scadenza del contratto a termine. L’indennità è pari a 15 giorni di salario per ogni anno di servizio o frazione di anno superiore ai sei mesi. Per i lavoratori di livello più elevato tutta la materia è regolata dai contratti individuali o dalle politiche aziendali. Il Payment Bonus Act 1965 prevede altresì pagamenti aggiuntivi in favore dei lavoratori impiegati in aziende con oltre 20 dipendenti. I lavoratori che percepiscono uno stipendio mensile sino a 3.500 INR hanno diritto a bonus che possono variare dall’8 al 20 % del salario annuo. Per gli altri lavoratori pagamenti corrispondenti sono di fatto molto frequenti.
Sotto Capitolo n. 4.6 Fonti legislative in materia di lavoro
La normativa di base in materia occupazionale è contenuta nei provvedimenti legislativi di seguito riportati. Le relazioni industriali sono regolate dalla Legge sul Contenzioso Industriale (Industrial Disputes Act 1947), che prevede la definizione giusta ed equa delle remunerazioni attraverso gli strumenti della trattativa, della conciliazione, dell’arbitrato o della decisione giudiziale, nonchè la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva, al fine di limitare gli scontri tra lavoratori e datori di lavoro. La Legge sulle Industrie (Factories Act – 1948) regola le condizioni di lavoro nelle fabbriche meccanizzate con più di 10 dipendenti ed in stabilimenti non meccanizzati con oltre 20 addetti, prescrivendo i requisiti minimi delle condizioni di lavoro e degli impianti, relativamente ai processi di produzione, alla movimentazione e conservazione dei materiali, all’eliminazione dei residui, alle precauzioni antincendio, all’orario di lavoro, ai servizi di assistenza medica, etc. La Legge sui Salari (Payment of Wages Act – 1936) e quella sul salario minimo (Minimum wages Act – 1948) regolano la retribuzione dei lavoratori e danno ai governi degli stati la facoltà di stabilire e rivedere le retribuzioni e le indennità minime per i lavoratori e per specifici impieghi, di regolare le condizioni di lavoro in termini di orario massimo giornaliero consentito, giorni di riposo e lavoro straordinario.Il lavoratore ha diritto al pagamento per ogni ora o frazione di ora in più lavorata, e la normativa vigente stabilisce che la retribuzione del lavoro straordinario sia doppia di quello ordinario. La Legge sulla Gratifica (Payment of Bonus Act – 1965) impone la corresponsione di un premio ai lavoratori di unità produttive sulla base dei profitti realizzati o della produttività. Il premio è proporzionale ai profitti netti dell’unità produttiva registrati in bilancio e sul conto economico (anche se sussistono tuttavia dei dubbi sull’affidabilità di questi due documenti e sull’operato dei revisori contabili). È prevista, inoltre, la corresponsione coattiva di gratifiche a determinate categorie di lavoratori, il cui stipendio mensile non supera le 5.000 INR. Tale legge garantisce la corresponsione di una gratifica minima pari all’8% dello stipendio annuale fino ad arrivare ad un massimo del 20% del totale delle mensilità. La legge sulla Liquidazione (Payment of Gratuity Act – 1965) impone al datore di lavoro di corrispondere la liquidazione, simile al nostro TFR, a determinate categorie di lavoratori al termine del rapporto lavorativo. Questa legge vale per tutti i lavoratori, senza alcun tetto di retribuzione. La Legge sul Fondo di Previdenza dei Lavoratori (Employees’ Provident Fund Act) interessa quelli che percepiscono uno stipendio mensile inferiore alle 5.000 INR in determinati tipi di unità produttive. Il datore di lavoro e il lavoratore devono versare al Fondo dal 10% al 12% dello stipendio. La Legge sull’Assicurazione dei Lavoratori (The Employees’ State Insurance Act) garantisce indennità ai lavoratori in caso di malattia, maternità e infortuni sul lavoro, nonchè l’assistenza sanitaria agevolata ai lavoratori e alle loro famiglie. Negli ultimi anni molte aziende hanno utilizzato con successo piani pensionistici volontari (Voluntary Retirement Schemes) nel tentativo di ristrutturare le attività, attuare un ricambio generazionale della forza lavoro o abbandonare un determinato ramo d’azienda. Sono stati adottati, inoltre, programmi di aggiornamento per incentivare produttività e competitività. Le statistiche occupazionali indiane indicavano nel 2002 una riduzione del 69% del numero di giorni/uomo perduti a causa di vertenze sindacali nell’ultimo quinquennio.
Capitolo n. 5 Il sistema di soluzione delle controversie
Per la soluzione delle controversie il sistema giuridico indiano prevede il ricorso presso il tribunale locale, l’arbitrato nazionale o l’arbitrato internazionale.
Sotto Capitolo n. 5.1 Tribunale
Il ricorso in tribunale non costituisce in realtà una buona soluzione per la risoluzione di dispute riguardanti contratti internazionali, soprattutto perchè secondo il codice di procedura civile (Code of Civil Procedure, 1908), il caso è di competenza della corte in cui ha sede l’impresa o avviene la transazione. Poichè gli investimenti esteri possono essere localizzati in qualsiasi parte del paese, la corte in questione potrebbe non avere le competenze adatte a discutere il caso.
Sotto Capitolo n. 5.2 Arbitrato e conciliazione in India
Nel 1996 il governo indiano ha introdotto la cosiddetta “New Law” (Arbitration and Conciliation Act) basata sulla “Legge modello” dell’arbitrato commerciale internazionale e sulla normativa di conciliazione dell’UNCITRAL, allo scopo di armonizzare la legge indiana con quella internazionale e stabilire un quadro normativo per i ricorsi in arbitrato. Essa riunisce in un unico provvedimento normativo le leggi sull’arbitrato nazionale, sull’arbitrato commerciale internazionale, sull’applicazione dei lodi esteri e sulla conciliazione e permette alle parti contraenti di decidere la sede dell’arbitrato e di sottoporre il procedimento arbitrale alle istituzioni internazionali di arbitrato ed ai rispettivi regolamenti. Questo tipo di soluzione offre una serie di vantaggi rispetto al ricorso in tribunale, perchè è più semplice e più rapida, ha costi inferiori ed è condotta a porte chiuse. Inoltre il lodo arbitrale è definitivo ed il ricorso in appello è previsto solo per un numero limitato di casi. Il collegio arbitrale può essere costituito da un solo arbitro o più arbitri in numero dispari, scelti dalle parti. Queste sono libere di fissare il numero degli arbitri, che possono avere qualsiasi nazionalità. Le decisioni del collegio arbitrale sono votate a maggioranza, a meno che non sia diversamente concordato dalle parti. Il lodo arbitrale, come detto, è definitivo e vincolante. Le controversie possono essere risolte anche per via conciliatoria, tramite una composizione amichevole con l’assistenza di uno o più conciliatori. È una soluzione maggiormente flessibile e meno formale, che garantisce completa riservatezza. In estrema sintesi, gli obiettivi che l’Arbitration and Conciliation Act del 1996 si proponeva di raggiungere sono i seguenti: z z z z z z z z
disciplinare complessivamente l’arbitrato interno e l’arbitrato commerciale internazionale, dando piena attuazione alle previsioni di New York e Ginevra; dettare una disciplina per il procedimento arbitrale che sia giusta, efficiente e in grado di soddisfare i bisogni di uno specifico arbitrato; garantire che il Tribunale Arbitrale sia in grado di motivare le proprie decisioni; assicurare il rispetto della propria giurisdizione da parte del Tribunale Arbitrale; minimizzare il ruolo delle corti nel processo arbitrale; permettere al Tribunale Arbitrale di utilizzare la mediazione, conciliazione ed altri procedimenti al fine di incoraggiare la definizione delle controversie; assicurare l’osservanza del lodo arbitrale nello stesso modo in cui verrebbe rispettato il provvedimento di una Corte; assicurare che un accordo raggiunto dalle parti quale risultato di una conciliazione abbia lo stesso status ed effetto di un lodo arbitrale su termini concordati relativi alla sostanza della disputa reso da un Tribunale Arbitrale.
Sotto Capitolo n. 5.3 UNCITRAL
Il terzo modo per risolvere le controversie in India è fare ricorso alla Normativa per l’arbitrato dell’UNCITRAL (United Nations Commission on International Trade Law), oppure ad una sede estera scelta dalle parti. Le parti possono decidere di sottomettere la disputa al giudizio del tribunale locale, delle istituzioni arbitrali del paese oppure alla normativa UNCITRAL o all’arbitrato istituzionale sotto l’egida delle istituzioni arbitrali internazionali. Svizzera, Svezia e Londra sono le sedi arbitrali favorite per la composizione delle dispute. L’India non è membro dell’International Center for the Settlement of Investment Disputes (ICSID), ma è membro della New York Convention del 1958.
Capitolo n. 6 Il sistema bancario e finanziario
Sotto Capitolo n. 6.1 Premessa
Al vertice del sistema bancario indiano vi è la Reserve Bank of India (RBI). Istituzione fondata il 1° aprile 1935 secondo le disposizioni della Legge 6 marzo 1934 (The Reserve Bank of India Act), come successivamente modificata ed emendata, ha operato in qualità di organismo privato sino all’atto della sua nazionalizzazione, avvenuta nel 1949. La RBI opera raggruppando in sé le funzioni tipiche di un istituto di credito centrale e, segnatamente: assume le funzioni di autorità monetaria. In tal senso, formula, implementa e monitora la politica monetaria con l’obiettivo prioritario di mantenere la stabilità dei prezzi ed assicurare un costante flusso di capitale di credito ai settori produttivi dell’economia; z assume le funzioni di autorità di regolamentazione e supervisione del sistema finanziario indiano. A tal fine, definisce tutta una serie di parametri operativi in tema di sana e prudente gestione cui le banche ed istituzioni finanziarie del sistema devono conformarsi in un’ottica di garanzia della fiducia dei risparmiatori nel sistema bancario; z assume le funzioni di gestione del sistema dei cambi, secondo le previsioni del Foreign Exchange Management Act del 1999. Gli obiettivi che guidano l’azione della Banca Centrale lungo tale direttrice attengono ad uno sviluppo ordinato del mercato dei cambi in India; z agisce in qualità di istituto di emissione, garantendo al sistema economico un adeguato flusso di moneta nell’ambito e secondo i vincoli posti dal generale obiettivo della stabilità dei prezzi; z svolge una vasta attività promozionale con l’obiettivo di supportare un ampio novero di interessi nazionali. z
Accanto alle suddette funzioni che definiscono l’attività istituzionale della banca nella sua qualità di Banca Centrale, vi sono altre funzioni correlate che hanno a riguardo ai rapporti con il governo ed il sistema bancario. Tali funzioni assegnano alla RBI un ruolo di merchant bank verso il governo nonché la gestione dei conti di riserva detenuti dalle banche commerciali. La Banca Centrale, inoltre, detiene partecipazioni di controllo in talune istituzioni creditizie e finanziarie quali la National Housing Bank (NHB), la National Bank for Agricoltural and Rural Development (NABARD), la Deposit Insurance and Credit Gurantee Corporation of India (DICGC) e la Bharatiya Reserve Bank Note Mudran Private Limited of India (BRBNMPL).
Sotto Capitolo n. 6.2 La vigilanza bancaria
Il quadro legale in materia di vigilanza bancaria trova espressione nella legge di disciplina del sistema bancario (Banking Regulation Act del 1949). Negli anni, le modalità organizzative ed i principi della vigilanza bancaria hanno subito una profonda rivisitazione. Fino al 1994, una pluralità di dipartimenti della Banca Centrale erano coinvolti nell’esercizio della funzione di vigilanza su banche e istituzioni finanziarie non bancarie. Al fine di attribuire caratteri di maggiore uniformità e coerenza alla funzione di vigilanza e rafforzare gli strumenti di prevenzione delle crisi bancari è stato costituito presso la RBI un apposito organismo, il Board for Financial Supervision, cui sono conferite competenze in materia di supervisione sulla generalità delle istituzioni bancarie e finanziarie operanti in India. Il dissolversi delle tradizionali distinzioni tra diverse tipologie di intermediari finanziari per effetto dell’incedere della competizione internazionale e dei conseguenti processi di integrazione cross-border ha indotto le autorità indiane a ripensare i modelli di vigilanza sulle istituzioni finanziarie. L’approdo di tale processo è la progressiva convergenza dei modelli di vigilanza finanziaria alle best practices invalse a livello internazionale, sia pure con un adattamento alle specificità nazionali. Per quanto concerne i destinatari dell’attività di vigilanza, la banca centrale esercita le proprie funzioni nei confronti di banche commerciali, banche cooperative ad operatività legata al territorio municipale (urban cooperatives banks), istituzioni finanziarie di sviluppo (Development Finance Institutions – DFI) e società finanziarie non bancarie (Non-Banking Financial Companies – NBFC). Al 2004 vi erano 293 banche commerciali, 1926 banche cooperative, 9 istituzioni finanziarie di sviluppo e 13.671 società finanziarie non bancarie (delle quali 584 autorizzate a raccogliere e mantenere depositi) sottoposte alla vigilanza della banca centrale. In aggiunta, la banca centrale vigila l’operatività delle banche cooperative statali. La vigilanza sulle imprese d’assicurazione e sulle società di gestione di fondi comuni d’investimento è sottratta alle competenze della banca centrale per essere ricondotta sotto l’egida di altre due authority: la Insurance Regulatory and Development Authority (IRDA) per le compagnie d’assicurazione e la SEBI (Securities and Exchange Board of India) per le società di gestione di fondi comuni. I filoni lungo i quali si snoda l’attività di vigilanza sono sostanzialmente due ed attengono alla governance delle istituzioni bancarie e finanziarie ed alla definizione di standard di vigilanza prudenziale. Tali filoni s’incardinano in un processo di progressiva deregolamentazione del settore finanziario e mirano al controllo dei rischi inerenti la gestione del business in un ambiente dinamico e competitivo. 6.2.1. Corporate Governance delle banche L’esigenza di assicurare la stabilità del sistema finanziario ha indotto le autorità di vigilanza a prestare crescente attenzione ai requisiti di integrità dei partecipanti al capitale delle banche. Alla luce di tali considerazioni, la RBI ha adottato diverse misure volte a rafforzare i criteri di trasparenza della gestione bancaria e migliorare le pratiche di corporate governance. Nel febbraio del 2004 la banca centrale ha emanato delle linee guida in materia di trasferimento di proprietà azionarie nelle banche del settore privato. In generale, l’acquisto di una partecipazione pari o superiore al 10% del capitale di una banca richiede la preventiva autorizzazione della banca centrale. Le linee guida in discorso definiscono i criteri che dovrebbero ispirare la banca centrale nella concessione della suddetta autorizzazione. Tali criteri identificano dei fattori di rischio connessi con la partecipazione al capitale.
E’ stata prevista la costituzione di un comitato indipendente che dovrà esercitare funzioni consultive verso la banca centrale nel processo autorizzativo. I principi cardine che le linee guida pongono alla base del provvedimento di autorizzazione o diniego sono la desiderabilità di una base proprietaria il più possibile diversificata della banca, la professionalità e competenza dei soggetti titolari di funzioni di direzione e controllo e l’adeguata capitalizzazione dell'istituto. Attenzione maggiore deve essere prestata dalla banca centrale nel momento in cui sia chiamata ad autorizzare l'acquisizione di una partecipazione superiore al 30%, nel qual caso oltre alle considerazioni sopra menzionate deve avere particolare riguardo all’interesse generale. Nel caso di partecipazione al capitale di una banca da parte di un soggetto societario, la banca centrale è tenuta ad accertare la sufficiente diversificazione della compagine proprietaria della società acquirente. Va, altresì, notato come le citate linee guida in tema di partecipazione al capitale non trovino applicazione agli investimenti di banche estere nel sistema bancario domestico. Infatti, la materia relativa a tali investimenti rimane disciplinata da un provvedimento separato. Al fine, poi, di stimolare la capitalizzazione delle istituzioni bancarie e sterilizzare i rischi di insolvenza connessi con la bassa patrimonializzazione, le linee guida citate prevedono che le banche debbano operare con un patrimonio netto non inferiore a determinate soglie e richiedono l’adeguamento a tale livello di patrimonializzazione entro un lasso di tempo ragionevole. Infine, le linee guida tendono a scoraggiare le partecipazioni reciproche nel capitale delle banche in misura superiore al 5%. 6.2.2. Requisiti prudenziali Il caposaldo della vigilanza prudenziale è assicurare che le banche esercitino le proprie attività istituzionali secondo una sufficiente dotazione di mezzi patrimoniali, ove il concetto di sufficienza va misurato con riferimento alla capacità di coprire eventuali perdite derivanti dalla gestione. Le misure implementate a tutela della stabilità patrimoniale delle banche sono, sostanzialmente, le seguenti: z definizione di una riserva (Investment Fluctuation Reserve – IFR) nella misura del 5% del portafoglio di negoziazione delle banche; z requisito di capitale (rapporto tra attivi ponderati e patrimonio della banca) non inferiore al 9%; z adeguamento ai precetti di Basilea I con riferimento alla copertura dei rischi di mercato (come noto, il primo Accordo di Basilea sul Capitale del 1988, come successivamente emendato nel 1996, richiede che il patrimonio di vigilanza delle banche sia pari almeno all’8% degli attivi ponderati per il rischio); z rafforzamento dei sistemi di controllo interno delle banche in vista dell’adozione del secondo Accordo di Basilea sul capitale; z definizione di taluni parametri sulla concentrazione dei rischi. In tal senso, è stabilito che il credito concesso ad un singolo prenditore non possa superare il 20% dei mezzi propri della banca; tale limite è innalzato al 40% per il credito concesso ad un gruppo di prenditori; z definizione di linee guida per la gestione del rischio paese. Tali linee guida richiedono alle banche l’effettuazione di appostiti accantonamenti a fronte del rischio paese con riferimento a quei paesi verso i quali le banche stesse detengono un’esposizione netta superiore al 2% del totale degli attivi. Tabella 1 – Principali indicatori finanziari relativi alle banche commerciali
Capitale/attivi ponderati ROA ROE Cost/income ratio
Anno 2003 2004 2003 2004 2003 2004 2003 2004
Banche commerciali 12,3 13 1 1,2 17,5 19,8 48,3 45,7
DFI's 22,4 22 0,9 -0,2 4,1 -1,2 11,8 26,1
PD's 29,8 42,7 6,6 5,9 24,1 19,9 13,6 16,9
NBFC's 21,9 19,2 1,4 na 10,4 na 67,1 na
Fonte: Reserve Bank of India
Al fine di meglio controllare l’assunzione di rischi nel settore bancario, nel dicembre 2003 la banca centrale istituì un gruppo di lavoro (nel quale trovò rappresentanza pure l’autorità di vigilanza sul mercato dei capitali – SEBI) incaricato di definire dei principi per un corretto ed efficiente monitoraggio dei conglomerati finanziari.
Il suddetto gruppo di lavoro produsse un report nel quale riassunse le conclusioni della propria attività conoscitiva nel giugno del 2004. I punti qualificanti, secondo la visione del gruppo di lavoro, l’effettivo esercizio della vigilanza nei confronti dei conglomerati finanziari, possono essere così riassunti: z identificazione dei confini del conglomerato finanziario e, soprattutto, della rete di transazioni infragruppo. Entro tale contesto attenzione particolare deve essere riservata alle esposizioni reciproche tra le diverse entità che compongono il conglomerato; z definizione ed identificazione delle esposizioni rilevanti verso controparti esterne al conglomerato; z identificazione di un soggetto all’interno del conglomerato in capo al quale formalizzare la responsabilità di produrre un flusso continuo di comunicazioni verso l’autorità di vigilanza competente. Parimenti, si ritiene opportuno formalizzare dei meccanismi finalizzati allo scambio reciproco di informazioni tra le entità comprese nel gruppo; z definizione di un quadro regolamentare complementare per i diversi segmenti del conglomerato che ricadano sotto la competenza di differenti autorità di vigilanza (banca centrale, SEBI, IRDA); z definizione di un sistema di reporting verso le autorità di vigilanza che ponga attenzione particolare a movimenti insoliti nei rapporti infragruppo ovvero ad eventuali esposizioni di dimensioni anomale di alcune entità del conglomerato verso altre entità dello stesso. Al proposito, si ritiene opportuno formalizzare dei limiti massimi alle esposizioni infragruppo. Un capitolo di notevole importanza nel sistema dei controlli è alimentato dall’insieme di azioni intraprese con riferimento alla gestione dei crediti in sofferenza. Dal punto di vista normativo la materia è regolata da una legge del 2002 (Securitization and Reconstruction of Financial Assets and Enforcement of Securities Interest – SARFAESI Act). Una recente innovazione nel novero delle opzioni a disposizione delle banche per la gestione dei crediti in sofferenza è la costituzione di ARCs (Asset Reconstruction Companies), apposite società per la ristrutturazione dei crediti. Il capitolo più interessante aperto dal SARFAESI Act concerne, tuttavia, la costituzione ed il funzionamento di società per la cartolarizzazione e la ristrutturazione dei crediti. La legge in discorso, consente alle banche di pignorare gli attivi dei debitori in sofferenza, previo preavviso non inferiore a 60 giorni, ed alienarli onde recuperare il proprio credito. Sulla base delle disposizioni della legge, la banca centrale ha poi provveduto all’emanazione di linee guida in tema di società di cartolarizzazione. Tali linee guida sono tese, in modo particolare, alla definizione di criteri volti a facilitare la cessione di crediti in sofferenza delle banche alle società di cartolarizzazione. Una società per la ristrutturazione dei crediti in sofferenza (Asset Reconstruction Company of India Ltd. ARCIL) fu costituita a cavallo tra il 2003 e 2004; ad essa varie banche ed istituzioni finanziarie cedettero un ammontare consistente di crediti in sofferenza. Il SARFAESI Act, inoltre, tendeva a favorire la realizzazione dei crediti in sofferenza senza l’intervento di corti o tribunali. La legge prevedeva, altresì, che il debitore fosse tenuto a costituire un deposito pari al 75% del proprio debito nel caso in cui decidesse di proporre appello contro il processo di ristrutturazione del credito vantato dal prestatore. Si trattava di una norma chiaramente tesa a scoraggiare il ricorso a corti o tribunali. Un intervento della Corte Suprema nell’aprile del 2004, tuttavia, pur sancendo la legittimità costituzionale dell’impianto normativo, fece cadere la norma che disponeva l’obbligo del deposito cauzionale. Il punto da notare, in proposito, è che l’appello del debitore può essere proposto solamente dopo il pignoramento dei propri attivi da parte della banca; la Corte Suprema, in altri termini, non nega il diritto delle banche di pignorare gli attivi dei debitori in default. In definitiva, la pronuncia della Corte Suprema tende a realizzare una soluzione di equilibrio sancendo, da un lato, il diritto del creditore bancario alla cessione dei crediti verso imprese in default. ma, nel contempo, riconoscendo il pieno diritto del debitore di proporre appello. Non v’è dubbio, tuttavia, che la decisione della Corte Suprema possa creare qualche difficoltà alle banche nel processo di ristrutturazione dei propri crediti, data la concreta eventualità di dover fronteggiare una lunga sequela di appelli. Tabella 2 – Stato di avanzamento del programma di ristrutturazione dei debiti corporate
Progetti per i quali si è chiesta l'ammissione al programma di ristrutturazione del debito - Progetti approvati - Progetti rigettati - Casi pendenti
N° di casi
Ammontare coinvolto
135
72.139
94 30 11
64.017 5.445 2.677
Sotto Capitolo n. 6.3 Deregolamentazione del settore bancario
Di pari passo col rafforzamento delle istituzioni e delle funzioni di vigilanza sulle banche, le autorità indiane perseguono un obiettivo di continua deregolamentazione del settore. Notevoli progressi, in tal senso, sono stati effettuati in tre direzioni: • distribuzione di dividendi; • concessione di crediti non garantiti; • estensione del business bancario. Entro il suddetto contesto di progressiva deregolamentazione, alle banche che soddisfino determinati requisiti in termini di crediti in sofferenza è concesso di distribuire dividendi senza la preventiva autorizzazione della banca centrale se il pay-out ratio (la quota di dividendi distribuita sugli utili prodotti) non eccede la misura del 33%. Le banche che non soddisfino i suddetti criteri minimi, ovvero vogliano distribuire dividendi in misura superiore alla soglia del 33%, sono tenute a richiedere la preventiva autorizzazione della banca centrale. Le banche estere sono abilitate a rimettere i profitti netti derivanti dalle operazioni condotte in India su base trimestrale senza necessità di ottenere la preventiva autorizzazione della banca centrale, se sono in grado di soddisfare determinate condizioni minime, e precisamente: • sottopongano i propri conti a revisione su base trimestrale; • aderiscano alle direttive emanate dalla banca centrale. Il processo di deregolamentazione si estende poi alle politiche creditizie delle banche commerciali e, segnatamente, ha ad oggetto la concessione di credito alla clientela non assistito da garanzie o collateral. Sotto questo profilo, il processo di deregolamentazione ha segnato una importante cesura rispetto alle linee guida dettate in materia dalla banca centrale nel 1967. In effetti, le banche non erano abilitate ad assumere esposizioni non garantite verso la clientela oltre determinate soglie fissate dalla banca centrale. Alla luce dei mutamenti nelle prassi operative delle banche indian,e tendenti sempre più a basare le proprie strategie di concessione del credito sulla capacità attesa del debitore di generare flussi di cassa idonei ad assicurare il tempestivo adempimento delle obbligazioni, piuttosto che sulla presenza di garanzie, la stessa banca centrale ha modificato il proprio orientamento in tema di crediti non garantiti, facendo cadere le precedenti restrizioni. Ora, le banche sono abilitate a definire le proprie strategie in termini di politica creditizia. L’unico vincolo che permane riguarda la necessità di effettuare accantonamenti nella misura del 20% nel momento in cui un’esposizione non garantita diventa sub-standard. Sotto il profilo dell’estensione del business della banca, particolare attenzione è stata riservata ai rapporti con l’attività assicurativa. Nel caso di specie, con effettività a decorrere dal 22 settembre 2003, le banche non necessitano più dell’autorizzazione della banca centrale per la distribuzione di prodotti assicurativi sempre che tale business non comporti partecipazione al rischio. Nel caso in cui l’impresa bancaria intenda partecipare in un’impresa assicurativa (o ad una joint venture con un’impresa d'assicurazione) mediante contribuzione di capitale, è tuttora necessario l’ottenimento della preventiva autorizzazione della banca centrale. Di pari passo con i continui progressi sotto il profilo della deregolamentazione del sistema bancario, le autorità indiane - banca centrale e commissione di vigilanza sui mercati - sono impegnate ad introdurre elementi di maggiore trasparenza nell’esercizio dell’attività bancaria. Gli interventi in tale direzione concernono, principalmente, l’attività d’investimento sul mercato dei capitali e l’adeguamento ai principi contabili internazionalmente riconosciuti. Sotto il primo profilo, in anni recenti le banche indiane sono divenute i principali investitori in emissioni obbligazionarie, in larga misura non quotate. Alla luce della scarsa trasparenza che circonda tali
emissioni, nel novembre del 2003 l’autorità di vigilanza sui mercati ha inteso limitare gli investimenti delle banche in tali strumenti finanziari; il limite imposto è pari al 10% del portafoglio d’investimento della banca. Parallelamente, l’autorità di vigilanza sui mercati ha definito delle linee guida in forza delle quali tutte le emissioni di titoli di debito devono essere sottoposte a giudizio di rating da parte di apposite agenzie riconosciute ed ammesse a quotazione entro un ragionevole lasso temporale. Infine, con l’obiettivo di allineare le prassi contabili delle banche ai principi contabili invalsi a livello internazionale, la banca centrale ha emanato nel marzo del 2003 delle linee guida in materia di standard contabili.
Sotto Capitolo n. 6.4 Il settore delle banche cooperative
La membership delle cooperative bancarie comprende larghi strati dei ceti medio-bassi della società indiana. La vigilanza sulle cooperative urbane è di competenza della banca centrale mentre, con riferimento alle cooperative statali, le competenze di vigilanza spettano al NABARD (National Bank for Agricolture and Rural Development). Le cooperative urbane sono localizzate principalmente in cinque stati: Maharashtra, Gujarat, Karnataka, Andhra Pradesh e Tamil Nadu. Tali zone accolgono circa il 79% delle cooperative creditizie, che contano per circa il 90% dei depositi raccolti dalla categoria in discorso. Lo snodo centrale della vigilanza sulle cooperative creditizie urbane ha ad oggetto il rafforzamento delle norme prudenziali e lo stimolo all’utilizzo di migliori criteri manageriali nella gestione, soprattutto per quanto concerne la definizione delle politiche creditizie. Sotto quest’ultimo, profilo, in particolare, sono riscontrabili le principali debolezze del settore cooperativo, dal momento che la prassi, diffusa, di concessione di credito in assenza di adeguati meccanismi di controllo dei rischi ha creato non pochi problemi in termini di solidità finanziaria delle cooperative creditizie. Giova ricordare che, al pari delle altre banche, le cooperative bancarie sono soggette alle disposizioni del SARFAESI Act per la gestione degli attivi creditizi in sofferenza. Infine, il rafforzamento patrimoniale delle cooperative creditizie passa per l’imposizione di un obbligo di riserva con riferimento ai guadagni realizzati sulla liquidazione di investimenti. Tale riserva (Investment Fluctuation Reserve) è stabilita nella misura del 5% del portafoglio d’investimento dell’istituto e va costituita entro un periodo di cinque anni; la finalizzazione della suddetta riserva è la mitigazione del rischio di tasso cui si espone l’istituto sul portafoglio d'investimento.
Sotto Capitolo n. 6.5 La protezione dei depositi in India
Il parlamento indiano con legge del 1° gennaio 1962 emanò la legge che istituì un organismo incaricato della protezione dei depositanti in India, noto come Deposit Insurance Corporation. Con effetto dal 15 luglio 1978, tale organismo incorporò ed assunse le funzioni della Credit Guarantee Corporation of India Ltd, società la cui costituzione fu promossa dalla banca centrale il 14 gennaio 1971. Quest’ultima società, in particolare, svolgeva una duplice funzione: • assicurare la protezione dei depositanti nelle piccole banche contro il verificarsi di eventuali dissesti di queste; • fornire adeguate garanzie alle banche che prestavano fondi a particolari categorie di prenditori, in modo particolare quelli appartenenti alla classe operaia della società indiana. Con l’integrazione delle due società sopra richiamate sorse una nuova organizzazione societaria denominata Deposit Insurance and Credit Guarantee Corporation (il cui capitale sociale è totalmente detenuto dalla banca centrale) e mantenne le stesse funzioni della precedente Credit Guarantee Corporation of India Ltd che, tuttavia, vennero successivamente estese nel 1981, con l’intento di includere anche le piccole imprese nella garanzia prestata al settore bancario a fronte del credito concesso. Tale estensione, in verità, conseguì alla cancellazione di un precedente schema di garanzia governativa. Dal lato della tutela dei depositanti, la garanzia prestata dalla società si esplicita nella copertura totale o parziale della perdita conseguente ad una situazione di dissesto della banca fino a un massimo di 100.000 INR. Dal lato della garanzia dei crediti, il beneficio si estende ai fondi prestati a favore dei lavoratori e delle piccole imprese da banche commerciali, banche cooperative ed altre istituzioni finanziarie che esercitano attività creditizia. Con effetto dal 1° aprile 1989 la garanzia del credito concesso è stata estesa a tutti i settori economici ad elevata priorità, come definiti dalla banca centrale. Dal punto di vista tecnico le funzioni della Deposit Insurance and Credit Guarantee Corporation sono esercitate attraverso la gestione di due fondi: • un fondo per la protezione dei depositi; • un fondo per la garanzia dei crediti. Dal lato organizzativo, si tratta di due fondi separati ed alimentati dalle contribuzioni delle banche partecipanti; tali fondi sono vincolati quanto a destinazione, in quanto destinati ad assolvere unicamente alle obbligazioni per le quali sono stati istituiti.
Sotto Capitolo n. 6.6 Investimenti nel settore bancario
Recentemente le autorità indiane hanno modificato il trattamento degli investimenti esteri nel settore bancario con l'intento di introdurre ulteriori elementi di liberalizzazione. La risoluzione del Ministero del Commercio e dell’Industria, Dipartimento di Politica industriale, del 2004 rivisita, in particolare, le linee guida settoriali. I punti oggetto di revisione hanno ad oggetto: • i limiti applicabili agli investimenti esteri in banche del settore privato; • lo stabilimento di filiali di banche estere. Sotto il primo profilo, è stato elevato al 74% il limite per l’effettuazione di investimenti in banche del settore privato in regime di accesso secondo la procedura automatica (vedi infra, paragrafo 1.2. sugli investimenti esteri in India). Tale previsione è applicabile a qualsivoglia tipologia di investimento in banche appartenenti al settore privato, inclusi gli investimenti di portafoglio effettuati da investitori istituzionali esteri ed NRI (Non Resident Indians), le azioni acquistate prima del 16 settembre 2003 da OCB’s, le operazioni di IPO, i collocamenti privati, nonché l’acquisto di azioni da azionisti esistenti. Si sottolinea, inoltre, che secondo le direttive del Governo indiano, la procedura automatica non è consentita per il trasferimento di azioni esistenti in un’impresa bancaria dai residenti ai non- residenti. Gli investitori di questa categoria devono avere l’approvazione del FIPB, e l’approvazione di principio del Dipartimento per il Controllo degli Scambi (Exchange Control Dipartment - ECD) della banca centrale. La banca centrale determina il giusto prezzo per il trasferimento delle azioni esistenti basandosi, in generale, sulle direttive dell’autorità di vigilanza sul mercato dei capitali per le azioni quotate, e sulle direttive del CCI per le azioni non quotate. Secondo le normative attuali, inoltre, il trasferimento di azioni di valore pari o superiore al 5 % del capitale versato in una banca del settore privato richiede il permesso della banca centrale. Per un investimento diretto estero pari o superiore al 5% del capitale versato, l’impresa bancaria del settore privato deve presentare domanda nel formato prescritto alla Divisione per le operazioni bancarie e alla Divisione regionale della banca centrale dove ha sede l’ufficio principale della Banca. E’ stabilito che, in ogni momento, almeno il 26% del capitale versato di una banca privata sia detenuto da soggetti residenti. In riferimento agli investimenti di portafoglio effettuati transitando per un mercato di borsa, sono previsti limiti diversi per gli investitori istituzionali esteri ed NRI. Per quanto riguarda gli investitori istituzionali esteri, l’investimento individuale è limitato al 10% del capitale della banca mentre il limite aggregato è posto pari al 24%, elevabile tuttavia, al 49% mediante apposita risoluzione del consiglio di amministrazione della banca. Nel caso degli NRI, il limite individuale di investimento è pari al 5% del capitale della banca mentre quello aggregato si attesta al 10%. Tuttavia, quest’ultimo limite è elevabile al 24% mediante speciale risoluzione approvata dal consiglio di amministrazione della banca. Alcune limitazioni sono poste pure con riferimento all’operatività di banche estere in India. A tal proposito, una banca estera può operare in India o tramite una filiale oppure tramite una sussidiaria, non in entrambe le forme.
Capitolo n. 7 Il mercato dei capitali
L’economia indiana è stata percorsa nel corso degli anni Novanta da un importante processo riformatore che trae sostanza da una profonda rivisitazione della regolamentazione che governa il mercato dei capitali. I capisaldi del processo riformatore seguono due direttrici di fondo. In primo luogo, sono volte alla creazione di una moderna infrastruttura che sovrintenda ai processi di allocazione dei capitali e ne promuova l’efficiente trasferimento dalle unità in surplus alle unità in deficit. Il secondo filone concerne i processi di governo delle imprese ed è finalizzato alla creazione di un corpus normativo volto a stimolare un mercato dinamico per il controllo societario. Le riforme presero avvio nel 1991 e l’obiettivo era quello di guidare la transizione economica indiana da un modello centralizzato ad un modello disegnato secondo i canoni tipici dell’economia di mercato. Momento importante del suddetto processo fu la ristrutturazione del tessuto imprenditoriale. L’introduzione di elementi di liberalizzazione dell’attività economica e la globalizzazione dei mercati che ha esposto le imprese ad una crescente competizione esterna hanno stimolato la riorganizzazione del sistema imprenditoriale attraverso un’ondata di fusioni e acquisizioni. La ratio di tali processi risiede nel recupero di condizioni di efficienza operativa ed economica attraverso lo sfruttamento di sinergie e la diversificazione dei modelli di business. Le autorità di vigilanza sui mercati hanno giocato un ruolo non secondario nel guidare simili processi, attraverso la definizione di un appropriato quadro normativo.
Sotto Capitolo n. 7.1 L'autorità di vigilanza
Il soggetto al vertice del sistema dei controlli sul mercato dei capitali indiano è la SEBI (Securities and Exchange Board of India), costituita il 12 aprile 1988 quale organo non statutario attraverso una risoluzione del governo. Fin dall’origine, alla SEBI sono state attribuite le competenze attinenti la regolamentazione e la supervisione dei mercati dei capitali con riferimento: • allo sviluppo di un mercato dei capitali efficiente; • alla protezione degli investitori; • all’esercizio di poteri consultivi nei confronti del governo con riferimento alle suddette materie. Con ordinanza promulgata il 30 gennaio 1992 alla SEBI fu conferita potestà statutaria. La costituzione quale organismo statutario è datata 21 febbraio 1992. La suddetta ordinanza è stata successivamente sostituita da un atto del Parlamento del 4 aprile 1992 (Act on Securities and Exchange Board of India) che codifica le funzioni della SEBI, identificandole nella regolamentazione e sviluppo del mercato dei capitali e nella protezione degli interessi degli investitori. Poteri statutari e funzioni dell’autorità di vigilanza sono state, poi, ulteriormente rafforzate dalla promulgazione della Securities Law Ordinance del 25 gennaio 1995.
Sotto Capitolo n. 7.2 La regolamentazione del mercato dei capitali
Il funzionamento del mercato dei capitali in India si compone di un’articolata serie di provvedimenti riconducibili a fonti di rango diverso e, segnatamente, leggi, regolamenti, circolari e linee guida. I primi capisaldi della disciplina del mercato dei capitali risalgono al 1957, anno in cui venne approvata la legge in materia di negoziazione di strumenti finanziari, Securities contract regulation Act (16 febbraio 1957), come successivamente emendato. E’, tuttavia, a seguito dei processi di liberalizzazione del mercato, avviati agli inizi degli anni Novanta, che si assiste ad un rinnovato dinamismo nella produzione normativa che comprende: • la Legge di disciplina del SEBI del 30 gennaio 1992; • la Legge del 13 settembre 1994 con la quale si delegano determinati poteri al SEBI; • la Legge 20 settembre 1995 che disciplina il contratto di deposito di strumenti finanziari (The depositories Act); • la Legge 2 settembre 2004. La legge in materia di negoziazione di strumenti finanziari detta norme volte a tutelare la correttezza del processo di scambio a tutela degli investitori. Il contenuto fondamentale della legge è dato da norme di disciplina delle procedure di costituzione dei mercati di borsa per la negoziazione di strumenti finanziari. Ai sensi della legge in discorso è, in linea di principio, consentita solamente ai mercati regolamentati l’organizzazione di sistemi di scambio di strumenti finanziari. Un mercato di borsa assume lo status di mercato regolamentato nel momento in cui ottiene il riconoscimento governativo. Ai fini del riconoscimento, il costituendo mercato è tenuto a presentare al governo centrale apposita istanza contenente informazioni in merito agli organi di governo del mercato, i poteri attribuiti al management, ai criteri di ammissione degli intermediari alle negoziazioni (compresi i casi ed i criteri di esclusione o sospensione). E’ facoltà del Governo subordinare la concessione dell’autorizzazione quale mercato regolamentato al rispetto di specifiche condizioni riguardanti i requisiti di membership per gli intermediari, le modalità di conclusione dei contratti sul mercato, la rappresentanza del governo nel board della borsa (a tal riguardo, il Governo può chiedere di essere rappresentato da un numero di soggetti, non superiore a tre, di propria nomina) e la revisione dei documenti contabili redatti dagli intermediari membri. Il provvedimento di riconoscimento del mercato borsistico quale mercato regolamentato è soggetto a pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale indiana nonché sulla Gazzetta Ufficiale dello stato in cui la borsa ha la sede principale. Il riconoscimento ha effetto a partire dalla data dell’iscrizione nella Gazzetta Ufficiale indiana. Se il riconoscimento di un mercato di borsa rientra nella competenza governativa, la vigilanza sul funzionamento è attribuita, invece, all’autorità di vigilanza sui mercati (SEBI). La Legge in discorso, infatti, disciplina l’obbligo del mercato e degli intermediari membri di sottoporre all’authority di vigilanza report periodici concernenti le rispettive attività attività. Il periodo di mantenimento tale documentazione è fissato in un minimo di cinque anni. L’authority è, altresì, investita di poteri ispettivi nelle sedi della borsa e degli intermediari.
Sotto Capitolo n. 7.3 Gli sviluppi del mercato dei capitali in India
Il sistema finanziario indiano si caratterizza per una lunga tradizione nel settore del mercato dei capitali. Ancora prima del conseguimento dell’indipendenza, l’India era attivamente impegnata alla definizione di architetture istituzionali e di mercato finalizzate a favorire l’afflusso del risparmio dalle unità in surplus alle unità in deficit. Il primo mercato di borsa costituito nel continente asiatico è indiano e trattasi, precisamente, del Bombay Stock Exchange. Il Bombay Stock Exchange, noto con l’acronimo BSE, fu costituito nel 1875 ed inizialmente era denominato “The Native Share e Stock Broker Association”. Come detto, si tratta della prima borsa sorta in Asia, ancor prima della borsa di Tokyo (Tokyo Stock Exchange), costituitasi nel 1878. Tradizionalmente, il BSE ha operato come cooperativa senza finalità lucrativa costituita dagli intermediari che vi negoziano. Attualmente, al fine di meglio reggere le pressioni competitive derivanti dall’integrazione dei mercati, la borsa in discorso sta modificando la propria struttura organizzativa, assumendo la veste giuridica di società con base proprietaria diversificata ed aperta anche a soci di puro capitale, diversi dai tradizionali intermediari negoziatori. Più in generale, il mercato dei capitali indiano poggia su una struttura che si articola su due livelli: • vi sono due borse a rilevanza nazionale; tali borse mirano ad attrarre flussi di liquidità secondo una dimensione che abbraccia l’intero territorio nazionale. Oltre al citato BSE, l’altra borsa a rilevanza nazionale è il National Stock Exchange (NSE); • vi sono, poi, una serie di mercati di borsa aventi rilevanza regionale. Le autorità indiane, ed in particolare l’autorità di vigilanza sul mercato dei capitali, sono impegnate ad incrementare i livelli di efficienza operativa del mercato indiano, con l’obiettivo di renderlo sempre più idoneo a supportare le esigenze di finanziamento del mondo imprenditoriale. Alla luce di tali considerazioni, l’impegno principale che ha ispirato negli ultimi anni l’azione di rafforzamento del mercato attiene alla progressiva informatizzazione del business di borsa ed all'accorciamento del ciclo di regolamento delle negoziazioni su strumenti finanziari. Sotto il primo profilo, si è inteso introdurre in misura massiva le tecnologie telematiche, onde rendere più veloce il processo di esecuzione degli ordini di compravendita di strumenti finanziari. Sotto il secondo profilo, il ciclo di regolamento identifica il lasso temporale entro il quale si perfeziona lo scambio dello strumento finanziario negoziato contro il pagamento del prezzo. Nell’aprile 2004 è giunto a compimento il passaggio da un ciclo T+2 (regolamento il secondo giorno di borsa aperta successivo alla data di negoziazione) ad un ciclo T+1. L’obiettivo cui si è teso convergere era quello di minimizzare il lasso temporale entro il quale acquisire la definitività (ed il buon fine dello scambio), onde rafforzare la fiducia del pubblico degli investitori nel mercato dei capitali domestico.
Sotto Capitolo n. 7.4 Emissione di strumenti finanziari
La disciplina dell’emissione di strumenti finanziari trova definizione nelle Linee guida della SEBI del 2000 come successivamente modificate (Guidelines on Disclosure and Investor Protection). La disciplina in discorso distingue tra emissione di titoli di emittenti che abbiano già titoli emessi, ed emittenti alla prima operazione di emissione (Initial Public Offering). L’obiettivo è quello di circondare di stringenti cautele la sollecitazione del pubblico risparmio. In primo luogo, gli emittenti non possono sollecitare il pubblico risparmio mediante offerta al pubblico dei propri titoli senza, contestualmente, presentare istanza di quotazione in borsa degli stessi. La ratio della norma è da ascriversi alla necessità di assicurare agli investitori la possibilità di negoziare liberamente i titoli sottoscritti su un mercato regolamentato. In secondo luogo, gli emittenti sono inibiti dal promuovere offerte pubbliche di sottoscrizione dei propri titoli se: • non stipulano un accordo con una società di deposito accentrato per la dematerializzazione dei titoli già emessi o di nuova emissione, ovvero • non attribuiscono ai sottoscrittori l’opzione di detenere i titoli in forma dematerializzata o in forma cartacea. Una società emittente titoli non quotati può effettuare un’operazione di IPO avente ad oggetto titoli azionari ovvero convertibili in titoli azionari subordinatamente al rispetto delle seguenti condizioni: 1) asset tangibili netti non inferiori a 30.000.000 di rupie in ciascuno dei tre esercizi precedenti; tali asset non devono essere rappresentati da attivi monetari per oltre il 50%. Qualora gli asset monetari eccedano il 50% degli attivi materiali, l'emittente deve impegnarsi a dismettere l’eccedenza; 2) la società emittente abbia distribuito profitti per almeno tre esercizi negli ultimi cinque; 3) la società emittente abbia registrato un valore netto di almeno 10.000.000 di rupie in ciascuno degli ultimi tre esercizi. Tecnicamente, l’emissione di strumenti finanziari è subordinata alla nomina di una merchant bank incaricata dell'espletamento delle funzioni di due diligence, definizione degli elementi d’offerta (compreso il prezzo) ed espletamento di tutte le formalità necessarie. Tra queste, vi è la redazione di un documento d’offerta, ove siano esposti in modo chiaro e comprensibile tutti i termini dell’operazione, di modo tale che il potenziale sottoscrittore sia in grado di valutare adeguatamente i profili economici dell’investimento proposto. Il documento d’offerta deve essere reso pubblico per un periodo di 21 giorni a decorrere dalla sua redazione ed approvazione da parte della SEBI. La pubblicità del documento d'offerta comprende la diffusione dello stesso presso i diversi mercati di borsa, i broker, le associazioni degli investitori, la pubblicazione su adeguati organi di stampa a larga diffusione e la pubblicazione sul sito internet della merchant bank.
Sotto Capitolo n. 7.5 Negoziazioni su strumenti finanziari
L’operatività sul mercato dei capitali comprende il complesso delle attività che vanno dall’emissione e sottoscrizione di strumenti finanziari sul mercato primario, all’intermediazione dell’attività d’investimento sul mercato secondario, fino ad estendersi alle fasi che concludono il processo di scambio. L’esercizio delle suddette attività è riservato a soggetti (imprese d’investimento, merchant banks, brokers, dealers, società di gestione collettiva del risparmio, imprese di deposito accentrato di strumenti finanziari) che, oltre ad essere costituiti in forma d’impresa secondo i disposti della legge sulle società, abbiano ottenuto apposita registrazione presso l’autorità di vigilanza. La competenza a fissare le condizioni per la registrazione dei soggetti partecipanti, a vario titolo, al mercato dei capitali, sono fissate da apposite norme regolamentari emanate dal Governo Centrale, in forza di apposita competenza conferitagli dalla legge di disciplina del SEBI. La disciplina dei broker è contenuta in apposita regolamentazione, “Securities and Exchange Board of India (Stock Brokers e Sub-Brokers) Rules”, del 1992. Tale regolamentazione dispone che l’attività di negoziazione sui mercati di borsa abbia luogo attraverso broker. La registrazione in tale qualità, cui consegue l’abilitazione ad operare sul mercato mediando interessi d’acquisto e di vendita degli investitori, è subordinata alla membership su un mercato di borsa: solamente i soggetti che partecipano ad una borsa in qualità di membri possono ottenere la registrazione come broker. La registrazione, inoltre, è soggetta al versamento all’autorità di vigilanza delle commissioni di registrazione. I broker, peraltro, possono avvalersi di agenti (sub brokers) che agiscano in loro conto nei rapporti con gli investitori. Tali agenti non necessitano, ai fini della registrazione, della membership presso un mercato di borsa. La disciplina delle merchant banks è contenuta in apposita regolamentazione, “Securities and Exchange Board of India (Merchant Bankers) Rules”, del 22 dicembre 1992. L’attività di merchant banking come intesa nelle regole in questione comprende tutte le attività di consulenza e di advisor finanziario relativamente alle emissioni di strumenti finanziari. In ragione dell’importanza delle relative funzioni, la legislazione indiana attribuisce rilevanza particolare alle società di deposito accentrato di strumenti finanziari. Trattasi, infatti, dei soggetti cui è affidata la gestione delle fasi del post trading, ovvero quelle attività connesse con l’effettivo trasferimento della proprietà degli strumenti finanziari negoziati (contro pagamento del prezzo) dal venditore al compratore. Un mercato dei capitali evoluto deve prevedere un’adeguata regolamentazione delle suddette attività, poiché inefficienze e malfunzionamenti a questo livello pregiudicherebbero la certezza dello scambio e contribuirebbero ad elevare i costi di transazione per gli investitori. In India, la materia è regolata dalla legge 20 settembre 1995, che disciplina il contratto di deposito di strumenti finanziari (The depositories Act). L’attività di depositario è, in forza della suddetta legge, riservata alle società (società di deposito accentrato) costituite secondo i dettami della legge sulle società e che abbiano ottenuto la registrazione da parte della SEBI. L’attività di un impresa di deposito accentrato si sostanzia nella prestazione di due servizi fondamentali a beneficio dei partecipanti al mercato: un servizio di custodia degli strumenti finanziari di proprietà, ed un servizio di gestione delle procedure connesse con il trasferimento della proprietà a seguito di un’operazione di compravendita eseguita sul mercato. L’architettura del sistema di trasferimento degli strumenti finanziari è andata mano a mano affinandosi ed ha trovato nella legge del 1995 un approdo che mira ad avvicinarne le prassi operative alle best practices vigenti in ambito internazionale nel contesto dei sistemi di mercato più avanzati.
I servizi prestati da un’impresa di deposito accentrato sono liberamente fruibili, in via indiretta, mediante apertura di un conto tramite un partecipante (un intermediario) al servizio di deposito accentrato. L’apertura di un conto è subordinata alla prova dell’identità; a tal fine all’investitore è richiesta la firma (e l’esibizione di una fotografia) autenticata dalla sua banca (alternativamente, è ammessa la presentazione di documenti idonei a comprovare l’identità dell’investitore, quale carta d’identità, passaporto, patente, certificato elettorale). L’investitore che accende un conto presso una società di deposito accentrato riceve un numero di conto denominato BO ID (Beneficiary owner Identification Number). Infine, non vi sono restrizioni particolari per quanto riguarda l’apertura di detti conti: l'investitore, infatti, è ammesso ad aprire conti multipli (più conti intestati allo stesso nominativo presso la stessa società di deposito accentrato ovvero più società di deposito accentrato); inoltre, è interessante notare come la scelta della società di deposito accentrato presso la quale aprire un conto è, per l’investitore, indipendente dalla scelta fatta dal proprio broker (l’investitore, in altri termini, può aprire un conto presso un depositario diverso da quello scelto dal broker del quale si avvale per le proprie operazioni d’investimento). In definitiva, si è inteso introdurre elementi di competitività pure nelle fasi collocate a valle lungo la filiera produttiva dell’industria dei servizi di investimento. Importanti innovazioni, inoltre, sono state effettuate pure con riferimento alle technicalities che caratterizzano i servizi offerti dalle società di deposito accentrato: • in primo luogo, un elemento importante è connesso con il regime di dematerializzazione degli strumenti finanziari; • in secondo luogo, non è previsto un lotto minimo di negoziazione; è possibile, pertanto, negoziare pure una sola azione. Sotto il primo profilo, il sistema indiano si caratterizza per elementi di sostanziale flessibilità dal momento che l’investitore può decidere se dematerializzare o meno gli strumenti di proprietà e, se sì, quali. Dal lato procedurale, la dematerializzaizone ha luogo compilando apposito documento (Demat Request Form – DRF) e consegnando i certificati da dematerializzare al partecipante attraverso il quale si è aperto il conto presso il depositario.
Sotto Capitolo n. 7.6 Il mercato obbligazionario in India
La crescita economica sostenuta e l’inflazione sostanzialmente sotto controllo hanno contribuito in buona misura alla flessione dei tassi d’interesse sui titoli del debito pubblico (sia quinquennali che decennali). Molti partecipanti al mercato ritengono che tali andamenti siano ricollegabili all’eccesso di liquidità nel sistema bancario. Particolarmente vivace è il mercato dei corporate bonds che funge da complemento al mercato delle emissioni azionarie. Vi sono due metodologie di fondo attraverso le quali le società indiane possono raccogliere capitale mediante emissioni corporate; • collocamenti privati: nella fattispecie, l’emittente invita un selezionato numero di investitori istituzionali a sottoscrivere i bonds in emissione; • offerta pubblica, nel qual caso l’emittente offre i titoli in emissione al pubblico degli investitori, compresa la clientela retail. Si noti che secondo la sezione 117 C della Legge sulle società, un’emissione ove il numero degli investitori sia superiore a 49 è da considerarsi pubblica. La differenza tra collocamenti privati ed offerte pubbliche rileva sotto il profilo delle regole di tutela degli investitori. Laddove, infatti, le offerte pubbliche sono governate dalle regole dettate dal SEBI e concernono in modo particolare la pubblicazione di un prospetto, contenente tutte le indicazioni necessarie all’investitore per valutare correttamente i termini dell’offerta, approvato dalla stessa autorità di vigilanza prima della sua pubblicazione, i collocamenti privati, invece, sono sottratti a tali regole e non necessitano della preventiva pubblicazione di un prospetto informativo. A ragione della relativa semplicità procedurale, i collocamenti privati sono il mezzo largamente preferito per la raccolta di capitale da parte degli emittenti corporate. Nell’ultimo anno, si sono registrate in India 485 emissioni tramite collocamento privato, mentre le emissioni tramite offerta pubblica sono state solamente 3. Sebbene l’emissione tramite collocamenti privati, come accennato, avvenga sostanzialmente al di fuori della supervisione dell’autorità di vigilanza del mercato, non per questo i partecipanti al mercato sono totalmente svincolati dal rispetto di qualsivoglia regolamentazione. Ad esempio, gli emittenti sono soggetti alle regole di ammissione a quotazione dettate dai mercati di borsa, nonché alle linee guida appositamente dettate in tema di protezione degli investitori. Sotto quest’ultimo profilo, nell’ottobre del 2003 la SEBI emanò delle linee guida in materia di strumenti finanziari ammessi a quotazione su un mercato di borsa. In tali linee guida, in particolare, sono stati estesi gli obblighi di trasparenza previsti dalla regolamentazione sulla protezione degli investitori pure alle emissioni obbligazionarie effettuate tramite collocamento privato. Allo stesso modo, le banche sono, per le rispettive emissioni obbligazionarie, soggette alle linee guida della banca centrale, mentre le imprese di assicurazione sottostanno alla regolamentazione della rispettiva autorità di vigilanza.
Capitolo n. 8 Il sistema valutario e gli investimenti esteri diretti
Il mercato dei cambi in India trova sistemazione giuridica nella Legge n. 42 del 1999, nota come Foreign Exchange Management Act, come integrata da apposite circolari della Banca Centrale. La materia, al pari degli altri settori del sistema finanziario indiano, ha conosciuto importanti evoluzioni nel corso degli anni, improntate, a partire dai primi anni Novanta, a principi di liberalizzazione. Storicamente, il mercato dei cambi in India ha funzionato, a partire dagli anni Cinquanta, sotto stretto controllo governativo. La valuta estera era resa disponibile agli operatori economici solamente dalla banca centrale, sulla base di complessi processi autorizzativi. Ben presto, tale assetto vincolistico si rivelò inadeguato a supportare le esigenze competitive di un sistema economico che intendeva proporsi sempre più aperto alle relazioni con i sistemi esterni. Sotto tale profilo, la Legge n. 42 del 1999 costituì un sostanziale punto di cesura rispetto al passato andando a rimpiazzare la legge precedente in materia, ovvero il Foreign Exchange Regulation Act del 1973. La nuova legge si connota per i maggiori caratteri di flessibilità nella regolamentazione del mercato dei cambi, e per un approccio sostanzialmente market oriented, in opposizione al tradizionale regime dirigista. Le innovazioni introdotte dalla legge fanno riferimento a tre capitoli di fondo: • introduzione di elementi di maggiore flessibilità nella regolamentazione; • liberalizzazione del sistema; • considerevole aumento del novero dei prodotti negoziabili sul mercato dei cambi, nell’ottica del soddisfacimento di diverse esigenze degli operatori economici. Sotto il primo profilo, numerosi poteri in materia di cessione di valuta estera furono delegati dalla banca centrale a dealers a ciò autorizzati. Tali dealers hanno, poi, beneficiato di un sostanziale processo di liberalizzazione, che ne ha notevolmente ampliato le potenzialità operative. Attualmente, i soggetti in discorso sono autorizzati ad effettuare attività di trading in valuta estera, prendere a prestito ed investire sui mercati internazionali. Possono, altresì, fissare i tassi d’interesse sui depositi accesi da non residenti. Notevoli, tuttavia, sono pure le nuove opportunità offerte agli intermediari in discorso dal punto di vista della gestione dei rischi. Essi, infatti, sono abilitati a fare riscorso a strumenti finanziari derivati per esigenze di asset-liability management. Dal lato degli operatori di mercato, quali esportatori, investitori indiani ed investitori istituzionali esteri, sono state notevolmente ampliate le potenzialità operative, consentendo di negoziare una pluralità di strumenti prima sconosciuta, quali contratti futures su valute e contratti swap, senza limitazioni particolari, tanto per esigenze d’investimento, quanto per finalità di gestione dei rischi. Dal lato della tecnica dei cambi, infine, è stato modificato il regime dei rapporti tra la INR e le divise estere. Nel tempo, infatti, si è assistito alla transizione da un regime di cambi fissi, ove il valore della INR era agganciato ad una singola valuta, ad un regime di cambi in cui tale valore era funzione di un basket di divise estere fino a giungere, a conclusione del processo, all’attuale regime di cambi variabili.
Sotto Capitolo n. 8.1 Emissioni di Ricevute di Deposito Globale (GDR), Ricevute di Deposito Americane (ADR’s), Obbligazioni convertibili in valuta estera (FCCB)
Alle aziende indiane è permesso procurarsi il capitale azionario nel mercato internazionale tramite l’emissione delle GDR/ADR/FCCB. Queste non sono soggette a nessun limite d’investimento. Un’impresa richiedente che vuole l'approvazione del Governo a questo proposito deve dimostrare di aver avuto consistenza di buone prestazioni per un periodo minimo di tre anni. Date queste premesse, può essere rilasciata una concessione per i progetti che riguardano le infrastrutture (come quelli per la produzione di energia elettrica, per la telecomunicazione, l’esplorazione ed il raffinamento del petrolio e la costruzione di porti, aeroporti e strade). Non vi sono limitazioni sull’uso finale dei profitti che risultano dall’emissione di GDR/ADR, tranne un espresso divieto ad investire sui beni immobili e sui mercati azionari. Per quanto riguarda le FCCB, il 25% dei profitti può essere usato per la ristrutturazione delle società. Emissione di obbligazioni convertibili Le Obbligazioni Convertibili in Valuta Estera vengono emesse secondo lo Schema per l’emissione delle Obbligazioni Convertibili in Valuta Estera e per le azioni ordinarie del 1993, e sottoscritte in valuta estera da una persona non residente. Tali obbligazioni possono essere convertite in azioni ordinarie dall’azienda emettente in qualunque modalità, sia in parte che totalmente. Un’impresa emittente che vuole procurarsi dei fondi stranieri o con l’emissione di Obbligazioni Convertibili in Valuta Estera, o con l’emissione di Azioni Ordinarie tramite le Ricevute di Deposito Globale: • può emettere in via automatica le obbligazioni Convertibili in Valuta Estera (FCCB) fino a un valore di 50 milioni di USD; • per emettere azioni per un valore che va dai 50 milioni di USD fino ai 100 milioni di USD, le aziende devono avere l'approvazione della banca centrale; • per emettere azioni per un valore superiore ai 100 milioni di USD, è richiesta l’approvazione del Dipartimento degli Affari Economici del Ministero delle Finanze. Emissione di ADR/GDR Un’impresa indiana può emettere le ricevute ADR/GDR senza ottenere l’approvazione a priori della banca centrale, se è considerata idonea all’emissione di tali ricevute ADR/GDR secondo gli schemi per l’emissione delle Obbligazioni. Convertibili e delle Azioni Ordinarie (tramite il meccanismo della Ricevuta di Deposito), in base alle direttive ulteriormente emesse nel 1993 dal Ministero della Finanza del Governo Indiano. Secondo la Notifica FEMA No. 41 datata 2 Marzo 2001, un’impresa indiana può sponsorizzare un’emissione di ricevute ADR/ GDR da deposito estero contro azioni detenute dai suoi azionisti ad un prezzo che viene determinato dal Manager. Le Ricevute di Deposito Globale emesse tramite questo schema possono essere quotate in qualsiasi Borse Estera. Le ricevute di questo genere possono essere comprate, possedute e trasferite liberamente da una persona non residente.
Sotto Capitolo n. 8.2 Il rimpatrio di capitali e profitti
Per quanto riguarda il rimpatrio del capitale e dei profitti conseguiti in India valgono le seguenti regole: • tutti gli investimenti stranieri sono liberamente rimpatriabili tranne nei casi in cui gli indiani residenti all’estero (NRI) scelgano specificamente di investire sotto gli schemi di non rimpatrio. I dividendi dichiarati sugli investimenti stranieri possono essere trasferiti liberamente da un Agente Autorizzato; • gli indiani non residenti possono vendere le azioni in Borsa senza l’approvazione a priori della banca centrale (RBI). Possono richiedere il rimpatrio del fatturato se possiedono azioni rimpatriabili e se hanno il necessario nulla osta/certificato di autorizzazione emesso dalle autorità per le Imposte sul reddito; • i profitti, i dividendi etc. (che sono rimesse classificate come transazioni su conto corrente) possono essere rimpatriati liberamente. Il governo indiano ha, inoltre, costituito un’authority (la Foreign Investment Implementation Authority – FIIA), cui compete il compito di assistere l’investitore straniero nelle fasi di autorizzazione, implementazione dell’investimento e risoluzione di problemi operativi che ne possano derivare. La FIIA è assistita da una task force (Task Force Committee – FTC) istituita presso una trentina di dipartimenti governativi con la funzione di monitoraggio e risoluzione di eventuali problemi legati a progetti di investimento a specificità settoriale.
Sotto Capitolo n. 8.3 Gli investitori istituzionali esteri: disciplina
L’investitore istituzionale estero che intenda operare in India è tenuto ad ottenere apposita registrazione da parte della SEBI. La procedura di registrazione prevede la presentazione alla SEBI di apposito modulo compilato con allegata la documentazione richiesta. La stessa autorità di vigilanza sui mercati procede, poi, a trasmettere copia della documentazione alla banca centrale. La documentazione da allegare alla domanda comprende: • copia dell’atto costitutivo; • il bilancio relativo almeno all’ultimo esercizio annuale, sottoposto a certificazione; • dichiarazione da parte dell’investitore istituzionale attestante l’autorizzazione ad operare sul mercato dei capitali rilasciata dall’autorità di vigilanza del proprio paese d’origine; • dichiarazione da parte dell’investitore attestante la stipula di apposito accordo con un’istituzione finanziaria indiana per la gestione delle procedure connesse con il deposito degli strumenti finanziari negoziati e detenuti in India. Espletate le attività di valutazione della documentazione e ritenuta accoglibile l’istanza di registrazione, la SEBI ne dà comunicazione alla banca centrale. La banca centrale comunica l’approvazione all’investitore che ha presentato l’istanza tramite la banca designata. L'approvazione consente all’investitore di aprire un conto bancario presso la banca designata. Si tratta di un conto denominato in rupie destinato ad accogliere i mezzi finanziari che l’investitore intende utilizzare in India per esigenze d'investimento; su tale conto, naturalmente, transitano tutte le operazioni di regolamento derivanti dall'operatività sul mercato dei capitali. E’ disposto che le somme giacenti su tale conto siano totalmente e liberamente rimpatriabili. Allo stesso tempo, la SEBI richiede, all’investitore che ha presentato l’istanza, il versamento di una commissione di registrazione nella misura di 5.000 dollari. Dal lato soggettivo, è prevista una precisa tipizzazione dei soggetti che possono essere autorizzati e registrati in qualità di FII (Foreign Institutionals Investors). Tale catalogo comprende le seguenti categorie soggettive: • Fondi pensione; • Società di gestione di fondi comuni d’investimento; • Società fiduciarie; • Imprese d’assicurazione e di riassicurazione; • Fondazioni che intendano investire i conto proprio; • Società di asset management; • Società di gestione del risparmio; • Banche. Dal punto di vista dei requisiti la regolamentazione della SEBI (Regulation n°6 del 1995) richiede ai soggetti, sopra richiamati e potenzialmente ammissibili, il rispetto di talune condizioni concernenti la propria esperienza e competenza in materia di investimenti finanziari e la propria solidità patrimoniale. E’, altresì, richiesto che l’investitore istituzionale sia autorizzato nel proprio paese d’origine secondo la medesima qualifica soggettiva (banca, impresa d’assicurazione, impresa d’investimento etc.) per la quale richiede l’autorizzazione in India. Infine, l’investitore istituzionale deve essere legalmente abilitato ad effettuare attività d’investimento in strumenti finanziari al di fuori del proprio paese d’incorporazione. Dal lato operativo, l’investitore istituzionale estero può investire in India per conto di istituzioni (costituite al di fuori del territorio Indiano), fondi d’investimento (costituiti al di fuori del territorio indiano), organizzazioni societarie o persone fisiche. Tali soggetti sono definiti dalla regolamentazione indiana (sub accounts). Un sub account per conto del quale l’investitore istituzionale può investire è soggetto ad alcune limitazioni: • un fondo per conto del quale l’investitore istituzionale può investire deve avere almeno 20 azionisti
ognuno dei quali non deve possedere oltre il 10% delle quote del fondo. Tali fondi sono abilitati ad investire in India tramite l’investitore istituzionale autorizzato per un ammontare fino al 10% del capitale sottoscritto dai partecipanti; • i fondi gestiti dall’investitore istituzionale non sono soggetti alle suddette limitazioni; • le società estere possono investire in India tramite l’investitore istituzionale autorizzato per un ammontare non superiore al 5% del capitale versato. Va notato, ancora, che un sub account deve essere registrato presso la SEBI, al pari dell’investitore istituzionale attraverso il quale investe (la registrazione è ottenuta su richiesta presentata alla SEBI dal medesimo investitore istituzionale). Gli strumenti finanziari nei quali l’investitore istituzionale investe possono essere registrati secondo le seguenti opzioni: • in nome dell’investitore istituzionale se sono acquistati per conto dello stesso; • in nome del sub account se sono acquistati per conto suo; • l’investitore istituzionale può registrare in nome suo gli strumenti finanziari acquistati per conto del sub account. Infine, va notato come vi sia sostanziale flessibilità per quanto concerne la scelta dell’intermediario locale presso il quale aprire il conto di custodia. In particolare, è ammessa la dissociazione tra conti propri dell’investitore e conti accesi in nome dei sub accounts: l’investitore istituzionale può detenere il proprio conto presso un intermediario e scegliere intermediari diversi per i conti dei sub accounts. L’unica limitazione è che ciascun sub account non può avere conti accesi presso diversi intermediari. Gli investitori istituzionali esteri (FII), gli indiani non residenti (NRI) ed i soggetti di origine indiana (Persons of Indian Origin – PIO) sono ammessi ad investire nel mercato dei capitali indiano, tanto primario quanto secondario, attraverso uno schema di investimenti di portafoglio (Portfolio Investment Scheme – PIS). Secondo tale schema, FII, NRI e PIO possono investire in strumenti finanziari di capitale o di debito emessi da società indiane attraverso un mercato di borsa. Vi sono, peraltro, alcune limitazioni agli investimenti di detti soggetti sul mercato dei capitali indiano. In particolare: • per i FII l’investimento complessivo nella società indiana è limitato al 24% del capitale versato della società; • per NRI e PIO l’investimento complessivo nella società indiana è limitato al 10% del capitale versato della società; • i suddetti limiti massimi sono fissati al 20% del capitale versato nel caso di investimenti in imprese bancarie del settore pubblico, inclusa la State Bank of India (SBI). La regolamentazione, peraltro, consente delle deroghe, prevedendo la possibilità per le società partecipate, mediante apposita delibera del consiglio di amministrazione ed approvazione dell’assemblea, di elevare i limiti sopra richiamati. In forza della possibilità di deroga, il limite massimo del 10% per NRI e PIO può essere elevato al 24% previa approvazione dell’assemblea della società. Nel caso di investimenti di FII, è prevista la possibilità di innalzamento del limite normale del 24% a soglie superiori specifiche per settore. Gli strumenti di capitale (comprese le obbligazioni convertibili) possono essere acquistati, entro i limiti di cui si è sopra detto, nell’ambito di un PIS a patto che siano soddisfatte due condizioni di fondo: • gli investimenti aggregati in una società indiana da parte di più NRI e PIO’ in regime tanto di rimpatrio quanto di non rimpatrio dei proventi, devono essere contenuti entro il limite massimo del 24% del capitale versato della società partecipata (ovvero entro il limite massimo del 24% del controvalore di ciascuna serie di obbligazioni convertibili, se l’investimento ha ad oggetto tale tipologia di strumento finanziario); • l’investimento effettuato in regime di rimpatrio dei profitti da un singolo NRI o PIO in una società indiana è soggetto ad un limite massimo del 5% del capitale versato della società partecipata (ovvero del controvalore di ciascuna emissione di obbligazioni convertibili se l’investimento ha ad oggetto tale tipologia di strumento finanziario). La banca centrale indiana assume la responsabilità di vigilare su base giornaliera il rispetto dei limiti posti agli investimenti di FII, NRI e PIO in società indiane. In termini operativi, il monitoraggio della banca centrale ha luogo assumendo quale limite rilevante (cut-off point) un limite inferiore del 2% rispetto a quello fissato dalla regolamentazione (così, ad esempio, se il limite massimo previsto è pari al 24%, la banca centrale assume quale limite rilevante il 22%) cui è attribuita funzione segnaletica. Nel momento in
cui la banca centrale accerti che l’investimento di FII, NRI e PIO in una società indiana raggiunge tale limite rilevante, raccomanda agli intermediari di cui il soggetto investitore si avvale per la negoziazione dei titoli di non acquistare altri titoli per conto dello stesso senza preventiva autorizzazione.
Capitolo n. 9 Finanza agevolata
Sotto Capitolo n. 9.1 I finanziamenti di organismi internazionali
Nel panorama internazionale, gli Organismi internazionali e l’Unione Europea svolgono un ruolo strategico per lo sviluppo dei Paesi emergenti e fungono da catalizzatori di risorse provenienti da cofinanziatori pubblici e privati. Le Banche di Sviluppo sono: il gruppo Banca Mondiale, la Banca Inter-Americana, la Banca Asiatica, la Banca Africana, la Banca Islamica e l’OPEC Fund. La Banca Mondiale e l’Unione Europea intervengono in tutti i paesi beneficiari, mentre le Banche regionali (regione intesa come continente/area) focalizzano la loro attività nelle aree di appartenenza. Il gruppo Banca Mondiale è costituito da varie istituzioni tra cui: • Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS), creata insieme al Fondo Monetario Internazionale nel 1944, per sostenere la ricostruzione post–bellica e contribuire allo sviluppo di lungo termine dei paesi membri. La funzione fondamentale della BIRS è quella di concedere prestiti ordinari, accordati ai Paesi in via di sviluppo (PVS) o da questi garantiti a condizioni di mercato, con un periodo di grazia di 5 anni ed un periodo di rimborso di 15-20 anni; • l’Associazione Internazionale per lo Sviluppo (IDA), creata nel 1961 per l’erogazione di finanziamenti agevolati per i paesi più poveri e che non hanno credibilità finanziaria sufficiente per accedere ai mercati internazionali dei capitali. I crediti sono accordati a condizioni particolarmente vantaggiose, in quanto non sono dovuti interessi e si prevede un periodo di grazia di 10 anni e una durata del prestito di 35 – 40 anni, a cui si applica una commissione che varia tra lo 0 e lo 0,5%. I prestiti IDA sono finanziati attraverso un Fondo a cui contribuiscono i paesi più ricchi mediante donazioni decise tramite appositi negoziati, su base triennale; • la Società Finanziaria Internazionale (IFC), costituita nel 1956, ha il mandato di promuovere lo sviluppo del settore privato nei PVS. L’IFC concede prestiti direttamente alle imprese private di tutto il mondo, partecipa come investitore diretto nel capitale di rischio ed opera come catalizzatore di risorse finanziarie. Un progetto, per poter essere finanziato dall’IFC, deve esser adeguato sotto il profilo tecnico, avere una buona profittabilità, apportare benefici all’economia locale ed essere eco-compatibile. Inoltre, l’intervento dell’ IFC è limitato ad un tetto massimo del 25% del costo totale ed il progetto ha una dimensione media che va da 1 a 100 milioni di dollari. L’investimento può consistere in prestiti, partecipazioni azionarie, o quasi equity (obbligazioni convertibili, prestiti subordinati, etc.). I progetti finanziati dalla BIRS/IDA possono includere diverse centinaia di contratti che sono per lo più aggiudicati attraverso la formula di gare internazionali per la fornitura di beni e servizi (c.d. procurement). La Banca Mondiale, pur prediligendo la gara d’appalto internazionale (ICB – International Competitive Bidding), in alcuni casi tuttavia adotta procedure abbreviate per linee di credito di importo limitato e ad erogazione rapida. I metodi più comuni in alternativa all’ICB sono i seguenti: • LIB (Limited International Bidding); • NCB (National Competitive Bidding); • preventivi di acquisto; • assegnazione diretta. 9.1.1. La Banca Mondiale in India L’India fa parte della Banca mondiale sin dal 1944 ed è il maggior destinatario dei finanziamenti della Banca Mondiale. Le linee strategiche della politica di sviluppo della Banca Mondiale in India prevedono il conseguimento dei seguenti obiettivi: • riduzione della povertà e innalzamento della qualità della vita; • lotta contro la malnutrizione; • accesso più ampio all’istruzione; • consolidamento delle riforme fiscali;
• sviluppo del settore privato; • miglioramento del sistema finanziario; • accelerazione dello sviluppo rurale; • razionalizzazione dello sfruttamento delle risorse energetiche; • protezione dell’ambiente; • sviluppo sociale. Negli ultimi anni, l’approccio seguito dalla Banca Mondiale è stato quello di sviluppare azioni a livello dei singoli Stati federati, concentrandosi in particolare verso quegli Stati che si sono impegnati in programmi di riforme economiche. Dal 1949 a giugno 2000, la Banca ha erogato circa 215 prestiti agevolati e 292 crediti allo sviluppo all’India, per un totale rispettivamente di circa 26,2 miliardi di dollari dalla BIRS e 27,2 dall’IDA. A giugno 2000, il portafoglio delle attività relative all’India comprendeva 79 progetti in fase di realizzazione, per un ammontare complessivo di 11,5 miliardi di dollari. Gli impegni di finanziamento assunti dall’IDA nella regione dell’Asia Meridionale nell’anno fiscale 2000 ammontano a circa 873 milioni SDR (unità di conto, utilizzata dal Fondo Monetario Internazionale ed altre organizzazioni internazionali, il cui valore è calcolato sulla base di un paniere di altre valute internazionali chiave, tra cui Euro, Yen Giapponese, Sterlina Inglese e Dollaro Statunitense). L’India è stato il principale beneficiario, essendole stati assegnati fondi per un ammontare complessivo di 643 milioni SDR destinanti al finanziamento di programmi per alleviare la povertà, migliorare l'organizzazione pubblica e l’erogazione dei servizi sociali di base (soprattutto educazione primaria) nello Stato dell’Uttar Pradesh e progetti per vaccinazioni in tutto il paese. Nell’anno fiscale 2000, gli stanziamenti previsti relativi a undici nuovi progetti hanno raggiunto 1,8 miliardi di dollari (866,5 milioni USD in crediti dell’IDA e 934,3 milioni USD in prestiti BIRS). 9.1.2. La Banca Asiatica di sviluppo e gli interventi in India La Banca Asiatica di sviluppo (ADB), fondata nel 1966 da 31 paesi per promuovere lo sviluppo economico e sociale delle regioni dell’Asia e del Pacifico, focalizza le proprie attività in base alle esigenze dei paesi meno sviluppati, dando priorità ai programmi regionali, sub regionali e nazionali. La Banca Asiatica di sviluppo è una istituzione finanziaria multilaterale, le cui principali funzioni sono: • finanziare progetti e programmi per la crescita economica e sociale dei suoi paesi membri in via di sviluppo; • fornire assistenza tecnica per la preparazione e l’esecuzione di progetti e programmi di sviluppo e per servizi di consulenza; • promuovere e facilitare gli investimenti pubblici e privati per scopi di sviluppo; • rispondere alle richieste di assistenza coordinandosi con i piani e le politiche di crescita dei suoi paesi membri in via di sviluppo. Ogni anno la Banca Asiatica di Sviluppo finanzia un numero notevole di progetti e programmi per la regione asiatica e del Pacifico. Questi finanziamenti generano numerose opportunità d’affari per gli operatori dei suoi paesi membri (l’Italia è membro di tutte le banche di sviluppo). Anche se le gare vengono gestite dai paesi beneficiari, la Banca ha l’obbligo di assicurare che le procedure seguano i criteri di economicità ed efficienza. La Banca Asiatica richiede ai paesi, beneficiari di prestiti, di utilizzare sempre il sistema delle gare internazionali, a meno che, in circostanze particolari, sia più appropriata una diversa procedura da concordare tra la banca e il paese beneficiario. Lo scopo della gara internazionale è di offrire ai paesi beneficiari una più ampia possibilità di scelta nelle offerte di beni e servizi e di assicurare agli operatori di tutti i paesi membri uguali opportunità d’investimento. Sebbene la ADB, richieda normalmente di ricorrere a gare internazionali, vi possono essere circostanze specifiche in presenza delle quali forme di gara alternative possono risultare più economiche ed efficienti. Le circostanze che giustificano l’utilizzo di tali forme di gara alternative, devono essere riesaminate durante la valutazione del progetto e le procedure appropriate, le categorie di beni e servizi, il valore dei
contratti individuali e l’ammontare totale del procacciamento consentito in base a ciascun metodo, devono essere riflessi nei documenti del mutuo. Tra le forme di gara adottate a seconda delle circostanze particolari rientrano le seguenti: • International Shopping: tale forma viene utilizzata quando il valore del contratto non è sufficientemente elevato da attrarre fornitori e appaltatori stranieri attraverso una gara internazionale. La convenienza di un eventuale utilizzo dell’International Shopping, si appalesa nell’ipotesi in cui i particolari prodotti richiesti possano essere forniti solo da un limitato numero di fornitori, ovvero quando sia richiesta una certa “tempestività nella consegna” per lo svolgimento dei lavori ai fini del progetto. • Local Competitive Bidding: tale forma di gara può essere autorizzata nei casi in cui la Banca sia certa dei seguenti presupposti: (i) la produzione domestica sia disponibile a costi contenuti nonché sia efficiente e adeguata in termini di pronta consegna; (ii) sia improbabile che contraenti e fornitori stranieri siano interessati all’offerta; (iii) le procedure da seguire siano ritenute soddisfacenti per la Banca; (iv) il mutuatario abbia specificatamente richiesto l’utilizzo della Local Competitive Bidding. Da segnalare infine che la Local Competitive Bidding non preclude la partecipazione di eventuali offerenti stranieri. • Direct Purchase/Negotiation or Single Tender: tale forma di gara riguarda un particolare fornitore o un limitato numero di fornitori e viene autorizzata dalla Banca al verificarsi delle seguenti circostanze: (i) quando la standardizzazione è importante, e l’attrezzatura o i pezzi di ricambio necessari per lo sviluppo e le riparazioni dell’attrezzatura esistente, devono essere acquistati dal fonitore originario o da un diverso fornitore che però provveda alla fornitura di beni identici; (ii) quando l’attrezzatura è di proprietà esclusiva di un unico fornitore e può essere fornita solo da quest’ultimo (iii) quando sono richiesti particolari prodotti che possono essere forniti solo da specifici fornitori; (iii) quando i lavori civili che devono essere eseguiti rappresentano un naturale prosieguo di un precedente o attuale lavoro, ed è possibile dimostrare che l'impegno del contraente oltre ad essere più economico, assicurerà, nel contempo, una maggior compatibilità di risultati in termini di qualità del lavoro. • Limited Tendering or Repeat Order: laddove, a seguito di una fornitura realizzata attraverso una gara internazionale, venga richiesta una quantità aggiuntiva dei medesimi articoli onde procedere ad una miglior realizzazione del progetto (e vi sia disponibilità di fondi), la quantità aggiuntiva di detti articoli può essere procurata attraverso la procedura di Limited Tendering, in quanto sia possibile dimostrare che nessun ulteriore vantaggio sarebbe ottenibile dall’utilizzo di una gara internazionale. • Purchase of Equipment for Use of Small Private Subborrowers: secondo tale fattispecie i piccoli imprenditori privati ottengono la disponibilità di macchinari e attrezzature grazie all’erogazione di prestiti da parte di istituzioni intermedie (banche per lo sviluppo dell’agricoltura, cooperative, organizzazioni per la pesca) a loro volta beneficiate da finanziamenti a livello centrale. • Procurement Under Loans to Development Financing Institutions: in caso di prestiti erogati dalla Banca a favore di Istituzioni Finanziarie di Sviluppo (DFIs) ed ai fini della erogazione di un ulteriore finanziamento a favore di sub-mutuatari, la Banca non impone lo svolgimento delle procedure della gara internazionale, ma richiederà alle DFIs, in virtù della loro funzione di amministrazione dei prestiti (inclusa l’approvazione di sub-prestiti individuali), (i) di garantire che le procedure applicate ai sub-mutuatari siano appropriate in relazione alle circostanze del caso, (ii) di assicurare che i beni procurati siano idonei al progetto, (iii) che il prezzo pagato sia conveniente e (iv) che una giusta forma di propaganda sia stata effettuata al fine di selezionare i fornitori. • Procurement Under Private Sector Loans without Government Guarantee: in caso di prestiti erogati dalla Banca al settore privato senza garanzia governativa, la Banca non impone la forma della gara internazionale, ma richiederà ai mutuatari di garantire che le procedure per l’approvvigionamento siano state applicate in modo trasparente, preferibilmente attraverso asta competitiva, e che i beni e i servizi procurati siano idonei al progetto. • Procurement Under Complementary Financing Schemes and Under Loans Guaranteed by the Bank: si tratta dell’ipotesi in cui la Banca garantisce la provvista finanziaria del prestito erogato dai cofinanziatori. I beni ed i servizi finanziati dal prestito devono essere procurati con la dovuta attenzione all’economia e all’efficienza della procedura. In tali casi, la Banca deve essere garantita che il rispetto delle procedure da utilizzare faccia sì che il progetto sia svolto diligentemente ed efficientemente, che i beni e i servizi siano di qualità soddisfacente, compatibili con la natura del progetto e presentino un costo che non incida negativamente sull’economia e la fattibilità del progetto. • Community Participation in Procurement: tale forma di gara viene utilizzata laddove, nell’interesse della fattibilità del progetto o per acquisire certi specifici obiettivi sociali dello stesso, risulti necessario che la selezione degli elementi costitutivi del progetto avvenga (i) richiedendo la partecipazione di comunità locali ovvero organizzazioni non governative (NGOs), (ii) incrementando l’utilizzo del know-how e dei materiali locali, (iii) adottando appropriate tecnologie. Per quanto concerne gli interventi della Banca asiatica in India, dalla “Country Assistance Strategy” si evince che i settori strategici su cui tali interventi si sono concentrati sono le infrastrutture (energia, trasporti e comunicazioni, industria e finanze) e l’ambiente e la società (sviluppo urbano, tutela
ambientale, problema degli alloggi). I finanziamenti complessivi erogati dall’ADB all’India al 31 dicembre 1999 ammontavano a circa 8 miliardi USD, distribuiti principalmente nei seguenti settori: energia (35,7%), trasporti e telecomunicazioni (25,1%), sistema finanziario (16,9%) e infrastrutture sociali (13,1%). 9.1.3. Gli interventi dell’Unione Europea L’Unione Europea, per favorire e promuovere la cooperazione con i PVS, si avvale della sua Istituzione Finanziaria: la Banca Europea per gli Investimenti (BEI). La BEI svolge la sua attività in base ad accordi di cooperazione internazionale con i PVS e con i Paesi dell’Est europeo. Le principali modalità di intervento sono costituite da: • Prestiti individuali: tale forma di finanziamento è destinata soltanto ai progetti di grandi dimensioni (superiori ai 25 milioni di Euro) concessi direttamente al promotore del progetto, il Governo locale. Questi crediti possono coprire fino al 50% del costo complessivo del progetto, rimanendo la restante parte a carico del Paese beneficiario dell’iniziativa. • Prestiti globali: finanziamenti destinati ai progetti di piccola e media dimensione (inferiori ai 25 milioni di Euro). I soggetti privati potranno richiedere il finanziamento alle banche intermediarie locali beneficiarie delle linee di credito BEI. I prestiti globali possono coprire fino al 50% del costo dell’investimento per un ammontare compreso tra i 20.000 e i 12,5 milioni di Euro. Tra gli strumenti operativi per l’internazionalizzazione delle imprese in Asia, si citano in particolare: • il programma ASIA-INVEST: questo programma promuove la cooperazione economica tra imprese europee ed asiatiche e prevede diversi strumenti per stimolare la crescita del commercio e il flusso degli investimenti tra l’Europa e l’Asia, tra cui: (i) il Business Priming Fund: finanzia il 50% delle spese sostenute da gruppi di imprese europee e/o asiatiche nella realizzazione di ricerche di mercato, organizzazione di corsi di formazione per operatori economici e servizi di assistenza tecnica per l’inserimento delle PMI europee nei mercati dei paesi asiatici meno sviluppati. I settori principali sono: automobilistico, chimico, Information Technology, telecomunicazioni, farmaceutico, biotecnologie, trasporti, energia, manifatturiero e ambientale; (ii) Asia Interprise e Asia Partenariat: finanziano il 50% delle spese sostenute per la realizzazione di iniziative, eventi ed incontri d’affari tra PMI europee ed asiatiche. Gli incontri Asia Interprise sono settoriali mentre quelli dell’Asia Partenariat sono multisettoriali. • il programma Asia-URBS: è un programma di cooperazione decentralizzata tra Europa e Asia, il cui principale obiettivo è di promuovere partenariati per progetti di sviluppo urbano tra governi e comunità locali europei ed asiatici.
Sotto Capitolo n. 9.2 Gli strumenti previsti nell'ordinamento italiano
L’internazionalizzazione delle imprese italiane è supportata anche da particolari regimi agevolativi gestiti da istituti di diritto italiano tra i quali, in particolare, va menzionata la SIMEST, società istituita nel 1990 con la Legge n.100, con “finalità di promozione e sostegno finanziario, tecnico, economico ed organizzativo di specifiche iniziative di investimento e di collaborazione commerciale ed industriale all’estero da parte di imprese italiane, con preferenza per quelle di medie e piccole dimensioni, anche in forma cooperativa, comprese quelle commerciali, artigiane e turistiche”. Recentemente il D.Lgs. 143/98 ha razionalizzato la normativa in materia di commercio estero apportando modifiche sostanziali all’attività della SIMEST e concentrando presso di essa quasi tutte le agevolazioni a favore delle attività delle imprese italiane all’estero con un ampliamento degli strumenti di intervento. Tra i principali istituiti si menzionano in particolare: • i crediti all’esportazione; • i fondi a sostegno della costituzione di joint-venture in paesi extra-UE; • i programmi di penetrazione commerciale. I crediti all’esportazione hanno natura generale e non sono soggetti a vincoli per quanto riguarda i paesi di destinazione dei flussi di export; di conseguenza, sono applicabili indistintamente ad operazioni di esportazione sia intra-UE sia extra-UE. Il fondamento normativo dei crediti all’export è rinvenibile proprio nel D.Lgs. 143/98 (ex Legge 227/1977). Lo strumento in commento consente alle imprese esportatrici italiane di accordare agli acquirenti esteri delle dilazioni di pagamento a medio/lungo termine a condizioni agevolate; i tassi d’interesse, infatti, sono in linea con quelli offerti da concorrenti di paesi OCSE. In particolare, i tassi minimi (CIRR – tasso d’interesse commerciale di riferimento) sono definiti mensilmente in sede OCSE in funzione della valuta di denominazione del credito all’esportazione. La base di calcolo è data dalle quotazioni di titoli pubblici a medio/lungo termine cui si somma un margine dell’1%. Attualmente, i tassi di riferimento sull’euro variano dal 3,6% al 4,25% a seconda della scadenza. Il tasso che governa l’operazione di finanziamento è determinato all’atto della fase di negoziazione dell’operazione o della stipula del contratto ed è fisso per tutta la durata dell’operazione. La procedura da seguire prevede l’inoltro di apposita istanza alla SIMEST da parte della banca finanziatrice o direttamente dall’esportatore; la decisione in merito all’accoglimento o al rigetto della domanda spetta al Comitato agevolazioni di SIMEST, entro un termine di 90 giorni dalla data della domanda. L’importo finanziato copre al massimo l’85% dell’importo della fornitura e la durata dell’agevolazione è pari o superiore ai 24 mesi dalla spedizione o consegna; la durata massima è determinata in base agli accordi commerciali. Il decreto, inoltre, prevede specificamente le tipologie di export che possono beneficiare dell’agevolazione; trattasi, in particolare, di forniture di macchinari, impianti, studi, progettazioni, lavori e servizi, semilavorati o beni intermedi destinati ad essere integrati in beni d’investimento. Tecnicamente, l’agevolazione si traduce in un finanziamento concesso da una baca all’impresa italiana esportatrice a fronte della dilazione accordata alla controparte estera (credito fornitore) ovvero direttamente all’acquirente estero (credito acquirente). Il finanziamento può essere denominato tanto in euro quanto nelle principali valute, con l’unica limitazione che la valuta di denominazione deve essere la stessa del contratto di fornitura. Un istituto particolare di credito agevolato è quello proposto dall’art. 22 comma 5, del D.Lgs. 143/98. Lo scopo è di finanziare le spese relative a studi di fattibilità collegati ad esportazioni o ad investimenti italiani all’estero in Paesi non appartenenti all’Unione Europea. Il finanziamento copre il 100% del totale complessivo delle spese in preventivo per una durata massima di 3 anni e 6 mesi, compreso un periodo di preammortamento di 6 mesi in cui sono corrisposti solo gli interessi. Risultano finanziabili le spese inserite nel preventivo a firma del Legale Rappresentante (salari, emolumenti dovuti a consulenti o ad esperti, viaggi, studi di supporto, test, altre spese di natura tecnica che risultino strettamente collegate allo studio da effettuare).
Tecnicamente, si tratta di operazioni garantite, ove le forme di garanzia ammesse a fronte del finanziamento ricevuto sono: fideiussione bancaria e/o assicurativa redatta secondo lo schema predisposto dalla SIMEST e rilasciata dalle banche o compagnie assicurative di gradimento della SIMEST medesima; fideiussione di Consorzi di Garanzia Collettiva Fidi (Confidi) appositamente convenzionati con SIMEST; pegno su titoli. Inoltre, per supportare gli investimenti in determinate aree, sono disponibili fondi pubblici di venture capital che si aggiungono alla normale quota di partecipazione di SIMEST all’iniziativa effettuata sulla base della Legge n. 100/90. Attualmente, sono previsti fondi a sostegno della costituzione di Joint Venture in aree extra-UE quali Cina, Federazione russa, Mediterraneo, Africa, Medio Oriente e Balcani; non si registra, attualmente, la presenza di fondi a sostegno di Joint Venture costituite in India. I finanziamenti di programmi di penetrazione commerciale all’estero, in Paesi extra-UE, sono disciplinati dalla Legge n. 394 del 29 luglio 1981 e assumono la forma di finanziamento a tasso agevolato. Tale testo normativo è stato successivamente integrato dal D.M. 22 settembre 1999 n. 467 recante il Regolamento concernente i criteri e le modalità per la concessione dei finanziamenti a tasso agevolato. L’obiettivo del programma è di supportare la presenza stabile e qualificata di imprese italiane in paesi extra-UE mediante la costituzione di rappresentanze permanenti all’estero, uffici o filiali di vendita, centri di assistenza ai clienti, magazzini, depositi e sale espositive. Normalmente, i programmi finanziabili devono essere destinati ad una sola area geoeconomica e a non più di due paesi della medesima. Le spese finanziabili nell’ambito dei programmi in discorso sono relative alla costituzione ed al funzionamento all’estero di rappresentanze permanenti, spese per studi di mercato, promozione, dimostrazione, pubblicità nonché spese relative alla prestazione di servizi di assistenza pre e post vendita. In ogni caso, deve trattarsi di costi direttamente collegati con l’insediamento commerciale all’estero. I programmi finanziati, inoltre, possono essere realizzati: • mediante gestione diretta, tramite la costituzione all’estero o il potenziamento di insediamenti durevoli, gestiti direttamente con l’impiego di proprio personale; • mediante una società partecipata di diritto locale; • mediante collaborazione con importatori, distributori, rappresentanti o altri tipi di imprese di diritto locale. A beneficio delle strutture già operanti all’estero è ammesso il finanziamento delle spese straordinarie ed aggiuntive, rispetto all’attività ordinaria, derivanti dal rafforzamento e potenziamento delle strutture medesime. Il finanziamento, a carattere agevolato ed a valere su un fondo rotativo, a supporto delle suddette iniziative: 1) copre fino all’85% delle spese previste dal programma, con un importo non superiore a 2.065.000 euro (elevato a 3.098.000 euro nel caso di consorzio, società consortile o raggruppamento di piccolemedie imprese che gestiscano direttamente il programma); 2) la durata massima è di 7 anni, compreso un periodo di preammortamento di 2 anni in cui sono corrisposti solamente gli interessi. Le rate sono semestrali, posticipate, a quote costanti di capitale più gli interessi sul debito residuo. Il tasso d’interesse è fisso per tutta la durata del finanziamento e pari al 40% del tasso di riferimento vigente alla data di stipula del contratto e fissato dal Ministero dell’Economia (per dare un ordine di grandezza, il tasso per il mese di febbraio 2005 è fissato all’1,3%). Il finanziamento in discorso è garantito. Precisamente, è subordinato alla prestazione di una delle seguenti garanzie ammissibili: • fideiussione bancaria o assicurativa redatta secondo uno schema predisposto da SIMEST; • fideiussione di Consorzi di Garanzia Collettiva Fidi appositamente convenzionati con la SIMEST; • pegno su titoli; • garanzia integrativa sussidiaria a valere su una disponibilità costituita presso il fondo e riservata alle PMI non in grado di fornire integralmente idonee garanzie (tale garanzia può essere concessa fino ad un massimo del 40% del finanziamento deliberato).
Capitolo n. 10 Il sistema fiscale in generale
L’attuale struttura dell’ordinamento fiscale è frutto di un articolato processo, non ancora conclusosi, di riforme economico-sociali, avviato dal Governo a partire dal 1991 per fronteggiare una pesante crisi finanziaria, attraverso interventi strutturali di modifica della disciplina civilistica e fiscale volti principalmente a renderla maggiormente appetibile per le imprese ed i capitali stranieri, considerati il motore per lo sviluppo economico del Paese. Tra gli anni ’80 e gli anni ’90, il sistema fiscale indiano si caratterizzava negativamente soprattutto per l’estrema complessità e l’arretratezza delle procedure di accertamento e di controllo, fattori che producevano insoddisfazione e malcontento sia tra i contribuenti che nelle Amministrazioni Finanziarie centrali e locali, sfociando spesso in interminabili contenziosi. Nell’ultimo decennio, si sono registrati tangibili miglioramenti soprattutto grazie al contributo fornito da alcuni comitati e gruppi di lavoro costituiti dal Governo indiano (ad esempio un gruppo di lavoro, costituito a novembre 2002 e diretto da Vijay L. Kelkar, per studiare un progetto di riforma della fiscalità diretta ed indiretta, un gruppo di lavoro per l’analisi della tassazione dei soggetti non residenti, etc.), con il compito di individuare le inefficienze del sistema e proporre adeguati interventi di politica fiscale. Tra i cambiamenti più significativi, che hanno contribuito ad una prima razionalizzazione e semplificazione dell'ordinamento fiscale indiano e ad un decisivo incremento degli investimenti esteri nel Paese, si annoverano i seguenti: • una progressiva riduzione sia dell’aliquota d’imposta sui redditi societari applicabile alle società residenti (dal 55% in vigore nel 1990/1991 all’attuale 35% di aliquota nominale, e 36,6% di aliquota effettiva considerando sovrattassa e addizionale, destinate ad essere rispettivamente ridotte al 30% e al 33,66% dal 1° aprile 2005 per effetto delle proposte normative in tal senso contenute nel Budget 2005/2006, presentato al Parlamento indiano il 28/02/2005, cfr. par. 12.3.1) sia dell’aliquota applicabile alle società non residenti (dal 65% nel 1990/1991 al 40% di aliquota nominale – 41,82% effettiva, cfr. par. 12.4); • una graduale riduzione anche del carico fiscale sulle persone fisiche (da una aliquota marginale massima del 97,5% sull'undicesimo e ultimo scaglione di reddito nel 1974, all’attuale aliquota massima del 30% - aliquota effettiva 31,365% - sul terzo e ultimo scaglione di reddito, cfr. par. 11.2); • l’introduzione di numerosi incentivi fiscali sia da parte del Governo centrale che da parte dei Governi dei singoli Stati, finalizzati a promuovere le esportazioni, sviluppare le infrastrutture e agevolare le riorganizzazioni societarie e l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali in diverse zone del Paese. La strada verso una completa razionalizzazione del sistema fiscale appare, tuttavia, ancora piuttosto lunga, sia nel settore dell’imposizione diretta, in cui si riscontrano ancora differenze di trattamento tra società residenti e non residenti e la mancanza di trasparenza nel rapporto fisco – contribuente, sia e soprattutto nel settore dell’imposizione indiretta, caratterizzato dalla coesistenza di numerose imposte, gestite talune solo dal Governo centrale e altre anche o solo dai Governi locali, aventi basi imponibili e aliquote diverse da Stato a Stato, con l’inevitabile effetto di rendere particolarmente gravosa – se non impossibile - per gli investitori esteri una corretta valutazione del carico fiscale che ne deriva. Le inefficienze del sistema comportano il dilagare dell’evasione fiscale e dell’economia sommersa, che oscilla tra il 30 ed il 50% del PIL nazionale. Una svolta epocale sarà senza dubbio rappresentata dall’introduzione, attesa dal 01/04/2005, dell’imposta sul valore aggiunto (cfr. par. 14.2.), con una struttura analoga a quella dell’omonimo tributo previsto nella maggior parte degli ordinamenti tributari occidentali, ma con alcune rilevanti differenze, tra cui in particolare: • l’esclusione dalla base imponibile delle prestazioni di servizi (fatta eccezione per alcune), per le quali rimarrà, quindi, in vigore l’imposta sui servizi (cfr. par. 14.6.); • l’attribuzione ai singoli Stati (anziché al Governo centrale) della potestà impositiva sul nuovo tributo, con un impegno, tuttavia, da parte di tutti, di uniformare il più possibile basi imponibili, aliquote e procedure di
riscossione. Inoltre, la nuova IVA dovrebbe inizialmente sostituire, oltre ad alcune imposte minori (Lease tax e Works contract tax; cfr. par. 14.7.), la sola imposta sulle vendite applicabile sui trasferimenti di beni interni a ciascuno Stato, lasciando invece in vigore l’imposta applicata e gestita centralmente dallo Stato (Central Sales Tax; cfr. par. 14.5.). Per valutare l’impatto dell’introduzione dell’Iva, è stato recentemente costituto un nuovo gruppo di lavoro, composto da sette membri (Value Added Tax Technical Experts Committee), incaricato di operare sino al 30/06/2005, ed eventualmente anche oltre, in relazione alle esigenze dei singoli Stati, che potrebbero essere penalizzati, in termini di minore gettito, dall'introduzione del nuovo sistema di imposizione indiretta.
Sotto Capitolo n. 10.1 L'amministrazione delle imposte
Il sistema fiscale indiano prevede una ripartizione dei poteri fra il Governo centrale ed i Governi dei singoli Stati: al primo è riservata la regolamentazione, l’amministrazione e la riscossione delle imposte dirette e di alcune imposte indirette, mentre ai singoli Stati è attribuita sovranità impositiva su altre imposte indirette e tributi di varia natura. Le principali imposte regolate e gestite dal Governo centrale sono: • imposte sul reddito (escluso il reddito derivante da attività agricole espressamente riservato al potere impositivo dei singoli Stati, che, generalmente, lo esentano da imposizione); • imposta patrimoniale (wealth tax); • dazi doganali (custom duties); • imposte di fabbricazione (excise duties), ad eccezione di quelle afferenti liquori, alcolici e narcotici; • imposta sui servizi; • imposte sulla vendita di beni tra Stati diversi. Tra le imposte riservate, invece, ai singoli Stati vi rientrano, in particolare: • imposta sulle vendite di beni all’interno degli Stati; • imposte di fabbricazione su liquori, alcolici e narcotici; • altri tributi minori. Per quanto concerne gli organi ministeriali deputati all’amministrazione delle imposte, se ne possono individuare due principali, che fanno capo direttamente al Ministero delle Finanze, e si suddividono le competenze in materia di imposizione diretta ed indiretta: • il Central Board of Direct Taxes (CBDT, istituito dal Central Board Revenue Act, n. 54/1963): è l’organo centrale, composto da un presidente e da sei membri, che coordina l’intero sistema della fiscalità diretta, basata principalmente sull’Income Tax Act del 1961, oggetto negli anni di numerose modifiche successive ed integrazioni (di seguito ITA), anche attraverso l’emanazione di apposite circolari – talvolta in contraddizione tra loro - con cui fornisce la propria interpretazione sulle materie di competenza. Al CBDT sono gerarchicamente subordinati una serie di uffici, dislocati in tutto il territorio e suddivisi per settori di competenza, gestiti da funzionari locali, che sono tenuti a recepire le interpretazioni fornite dal CBDT, coordinandole con la normativa locale. • il Central Board of Excise and Customs (CBEC): è l’organo competente nel settore della fiscalità indiretta, anch’esso legittimato ad emanare circolari interpretative per gli uffici locali. Le circolari emanate da CBDT e CBEC, così come previsto nell’ordinamento italiano, sono vincolanti solo per le autorità fiscali, ma non per i contribuenti, né eventualmente per i giudici a cui i contribuenti si appellassero in sede giurisdizionale (concetto recentemente ribadito dalla sentenza della Suprema Corte del 17/02/2004, Commissioner of Custom contro Indian Oil Corporation, n. 267 ITR 272).
Capitolo n. 11 L'imposizione sui redditi delle persone fisiche
Sotto Capitolo n. 11.1 Soggetti passivi e base imponibile
Con l’accezione “persone fisiche”, oltre alle persone fisiche in senso stretto (gli “individui”), si intenderanno di seguito anche le partnership registrate o meno, le associazioni di persone e le HUF, Hindu Undivided Families. Una persona fisica è considerata residente ai fini fiscali in India, e quindi tassata su tutti i suoi redditi ovunque prodotti (worldwide taxation principle), se: • sia presente in India per almeno 182 giorni in un periodo d’imposta (per periodo d’imposta deve intendersi il periodo di 12 mesi che ha inizio il 1° di aprile di ogni anno di calendario e termina il 31 marzo dell’anno successivo); • sia presente in India per almeno 60 giorni in un periodo d’imposta e sia stata presente per almeno 365 giorni nei quattro periodi precedenti. Nel caso in cui, in uno degli anni di riferimento, il cittadino abbia abbandonato il suolo indiano per motivi di lavoro o come membro dell’equipaggio di una nave indiana, il periodo di 60 giorni viene esteso a 182 giorni. Nell’ordinamento indiano, oltre al concetto di persona residente, è previsto anche il concetto di persona non ordinariamente residente (NOR), status che si acquista quando la persona, residente nell’ultimo periodo d’imposta in base ai precedenti criteri, rispetti una delle seguenti due condizioni: a) è stata residente in India in non più di uno dei dieci periodi d’imposta precedenti; b) è stata presente per un periodo non superiore a 729 giorni complessivi nei precedenti sette periodi. Per meglio chiarire il concetto di NOR, si consideri il seguente esempio: una persona fisica nell’ultimo periodo d’imposta ha risieduto in India per 9 mesi consecutivi; è stato inoltre residente per 7 mesi nel periodo d’imposta precedente e per 11 in quello prima. In nessuno degli altri periodi d’imposta precedenti è mai stato in India. Questa persona è residente fiscalmente in India nell’ultimo periodo d’imposta in quanto vi ha risieduto per più di 182 giorni; tuttavia egli va considerato NOR, in quanto, pur non rispettando la condizione di cui alla lett. a) – infatti è stato residente per due dei dieci periodi d’imposta precedenti– rispetta la condizione di cui alla lett. b), in quanto nei sette periodi precedenti ha risieduto in India per soli 18 mesi, cioè 540 giorni. La differenza sostanziale tra una persona fisica residente e una persona fisica non ordinariamente residente è che mentre la prima è tassata in base al già richiamato worldwide taxation principle, la seconda è tassata solo su redditi provenienti da determinate fonti. I soggetti non residenti sono tassabili unicamente sui redditi: • ricevuti in India; • derivanti da una “relazione d’affari” (business connection) in India (su cui cfr. anche par. 12.4.), da un bene o dalla cessione di un bene situato in India (incluso il trasferimento di partecipazioni in società indiane) e da ogni altra fonte di reddito che sia classificabile come “indiana”. La base imponibile viene determinata allo stesso modo sia per i soggetti residenti che per i soggetti non residenti. Essenzialmente i redditi possono venire inquadrati in una delle seguenti cinque categorie previste dall’ITA: • Redditi di lavoro dipendente (Sezione 15, ITA); • Redditi da fabbricati (Sezione 23, ITA); • Redditi derivanti da un’attività imprenditoriale o da lavoro autonomo (Sezione 28, ITA); • Capital gain (Sezione 45, ITA); • Redditi da altre fonti (Sezione 56, ITA). Ogni reddito prodotto dal soggetto può essere classificato in una ed una sola delle categorie di reddito sopra richiamate; la distinzione è rilevante in quanto ogni categoria si avvale di regole di determinazione diverse ai fini del calcolo della base imponibile.
Sotto Capitolo n. 11.2 Aliquote
Per quanto concerne gli scaglioni e le relative aliquote, sono stati fissati dal Finance Act 2004/2005 (legge annuale assimilabile alla nostra Legge Finanziaria) come segue: Reddito (INR) Da 0 a 50.000 Da 50.000,01 a 60.000 Da 60.000,01 a 150.000 Oltre 150.000
Aliquota 0% 10% 20% 30%
Si segnala peraltro che, nel Budget 2005/2006, è stata proposta la seguente ridefinizione degli scaglioni: Reddito (INR) Da 0 a 100.000 Da 100.000,01 a 150.000 Da 150.000,01 a 250.000 Oltre 250.000
Aliquota 0% 10% 20% 30%
Va evidenziato che le aliquote sopra indicate devono essere incrementate di una sovrattassa pari al 2,5% dell’aliquota ordinaria (sovrattassa elevata al 10% per i titolari di reddito complessivo superiore a INR 850.000, o, per effetto delle modifiche proposte nel Budget 2005/2006, superiore a INR 1.000.000), nonché, in base alle disposizioni del Budget 2004/2005, di un’addizionale (“education cess”) pari al 2%, rendendo quindi le aliquote reali di prelievo superiori rispetto a quelle nominali. Particolari aliquote sono inoltre applicabili a specifiche tipologie di reddito e a seconda che il percettore sia o meno fiscalmente residente in India. Nelle due tabelle di seguito (la prima per soggetti residenti, la seconda per soggetti non residenti), si individuano tali redditi e l’aliquota che sugli stessi grava.
Tipologia di reddito Vincite da lotterie, corse di cavalli e giochi aleatori in genere Interessi, esclusi interessi su titoli Interessi pagabili dal Governo indiano o altre organizzazioni economiche a seguito di finanziamenti contratti in valuta straniera Affitti in generale Affitti percepiti da individui e HUF Affitti percepiti da associazioni e partnership Altri redditi
Aliquota soggetti residenti
Aliquota soggetti non residenti
30%
30%
10%
n/a
n/a
20%
n/a 15 20 20
15 n/a n/a 30%
Sotto Capitolo n. 11.3 Deduzioni, detrazioni ed esenzioni
Sul reddito imponibile spettano, alle sole persone fisiche residenti, alcune deduzioni, tra cui, a titolo esemplificativo: • una deduzione base per i lavoratori dipendenti, pari all’importo minore tra il 40% del reddito da lavoro dipendente percepito e INR 30.000 (INR 20.000 oltre una determinata soglia di reddito); • una deduzione dal reddito complessivo fino ad un massimo di INR 10.000 per i premi pagati per l’assicurazione sanitaria: tale limite viene innalzato a INR 15.000 per persone che abbiano già compiuto il 65° anno d’età; • una deduzione pari a INR 12.000 sui redditi ricevuti in forma di proventi da quote di fondi comuni, o da quote dell’UTI (Union Trust of India) o da certi specifici depositi. Sono poi previste varie detrazioni, in particolare a fronte dei redditi di lavoro dipendente. Particolarmente rilevante è il sistema di detrazioni forfetarie decrescenti al crescere del reddito introdotto dal Finance Act del 2004/2005, e recentemente illustrato dalla Circolare n. 6 del 6/12/2004 del Central Board of Direct Taxes, in forza del quale i redditi non superiori a INR 100.000 risultano esenti da imposizione. Va evidenziato, peraltro, che è attualmente allo studio da parte di un apposito gruppo di lavoro costituito dal Ministero delle finanze, una revisione degli scaglioni, che dovrebbero essere ridotti a tre (fino a 100.000 con aliquota dello 0%, tra 100.000 e 400.000 con aliquota del 20%, e oltre 400.000 con aliquota del 30%) cui dovrebbe accompagnarsi l’eliminazione o la rimodulazione di varie deduzioni e detrazioni.
Sotto Capitolo n. 11.4 Redditi d'impresa e di lavoro autonomo
In tale categoria reddituale devono essere ricomprese le somme percepite da un soggetto che svolge attività d’impresa o di lavoro autonomo, tra cui in particolare: • profitti e guadagni ricavati da un contribuente nello svolgimento di un’attività d’impresa o di lavoro autonomo nel periodo d’imposta di riferimento; • ogni compenso o altro pagamento dovuto o corrisposto da una persona che gestisca e amministri gli affari di una società indiana o straniera o che sia designato alla gestione di un ente governativo; • redditi derivanti da specifici servizi forniti ai membri di associazioni di categoria; • profitti derivanti dalla vendita di Licenze assegnate in base all’Import (Control) Order del 1955 così come disposto dall'Import Export (Control) Act del 1947; • ogni contributo ricevuto o ricevibile in previsione di esportazioni in base alle disposizioni del Governo Indiano; • ogni dazio doganale o accisa ripagato o ripagabile come premio all’esportazione in base alle Customs and Central excise Duties Drawback Rules del 1971; • il valore di ogni premio o fringe benefit, convertibile in denaro o meno, ricevuto a seguito dell’attività d’impresa o della professione svolta; • ogni interesse, salario, premio, commissione o remunerazione dovuta o ricevuta da un socio e corrisposto dalla società. Le spese possono essere dedotte se inerenti allo svolgimento della propria attività (Sezione 37, ITA), non essendo dunque deducibili le spese sopportate per esigenze personali; possono essere dedotte solo le spese che siano maturate e siano state effettivamente sostenute nel periodo d’imposta (competenza e cassa). Oltre al generale principio di inerenza che guida la deducibilità dei costi, sembra comunque utile sottolineare che vi sono dei costi che per specifica disposizione dell’ITA (Sezione 40) non sono deducibili, tra cui rientrano: • le imposte sui redditi; • l’imposta patrimoniale (Wealth tax) o simili imposte straniere pagate sui beni ed il capitale impiegato per lo svolgimento dell’attività d’impresa o di lavoro autonomo; • i salari corrisposti al di fuori dell’India e su cui non sia stata operata la ritenuta alla fonte; • i contributi versati a fondi di previdenza per i lavoratori dipendenti, se i pagamenti effettuati successivamente dal fondo non sono tassabili nel capo “redditi di lavoro dipendente”; • le somme corrisposte a titolo di interesse, canone, compensi per servizi tecnici, etc. pagabili fuori dall’India se su tali somme non sono operate e versate le ritenute alla fonte. Se le ritenute e i versamenti sono effettuati in un successivo esercizio, la deduzione potrà essere operata in tale successivo esercizio. Oltre a tali spese indeducibili, ve ne sono delle altre la cui deducibilità è limitata o regolata da specifiche disposizioni: è il caso, ad esempio, delle spese per affitto, tasse, assicurazione, etc. sopportate per un immobile, le quali (i) sono interamente deducibili se l’immobile è destinato esclusivamente all’attività d’affari; (ii) non sono deducibili se l’uso dell'immobile è estraneo all’attività e (iii) sono deducibili parzialmente e proporzionalmente se l’immobile è usato promiscuamente (Sezione 38, ITA). Lo stesso criterio della parzialità e della proporzionalità viene applicato anche alle spese per assicurazione, riparazione etc. sopportate per impianti, macchinari e attrezzature (Sezione 38, ITA).
Sotto Capitolo n. 11.5 Plusvalenze e minusvalenze
Le plusvalenze e minusvalenze (capital gain e capital losses) derivanti dalla cessione di beni patrimoniali subiscono un trattamento fiscale differenziato a seconda che il bene ceduto sia stato detenuto per un periodo superiore a tre anni, o ad un anno in determinati casi (lungo periodo) o meno (breve periodo). Per maggiori dettagli sulla distinzione fra capital gain di breve periodo e capital gain di lungo periodo, e sulle modalità di determinazione dell’ammontare tassabile, si rinvia al paragrafo 12.3.4. I capital gain di breve periodo vengono tassati con aliquota ordinaria progressiva nell’anno in cui si realizzano. Diversamente, i capital gain di lungo periodo scontano una tassazione separata con aliquota del 20% (più sovrattassa ed education cess). Tuttavia i capital gain derivanti dalla vendita di beni detenuti per un lungo periodo sono esentati dall’imposta se quanto ricavato dalla cessione viene reinvestito in particolari beni (es. casa di proprietà o specifici titoli). Se tali beni vengono poi alienati entro i tre anni successivi, il contribuente dovrà scontare la tassazione sul capital gain originario. Per i soggetti non residenti, si ha invece un’esenzione dall’imposizione sui capital gain, se quanto ricevuto per la vendita in valuta di un bene viene reinvestito entro sei mesi in specifici beni o certificati di risparmio. Le minusvalenze che si dovessero eventualmente realizzare sono deducibili per i successivi otto periodi ma le stesse possono essere portate in compensazione solo ed esclusivamente di futuri capital gain.
Sotto Capitolo n. 11.6 Compensi ad amministratori
I compensi percepiti da amministratori, che siano persone fisiche residenti, vengono assoggettati a tassazione in base alle normali aliquote previste per gli altri redditi. Le spese sostenute per generare/ ricevere i compensi vengono ritenute deducibili. I compensi percepiti da amministratori non residenti, possono rientrare alternativamente, in relazione all’attività svolta dal soggetto, tra i “redditi da altre fonti”, i “redditi derivanti da attività d’impresa o da lavoro autonomo” ovvero tra i “redditi di lavoro dipendente”: in ogni caso saranno tassati in base alle ordinarie aliquote progressive applicabili sul reddito complessivo. Va comunque tenuta presente la necessità di analizzare le disposizioni contenute nei Trattati contro le doppie imposizioni siglati tra l’India e lo Stato in cui l’amministratore ha la residenza, per verificare quale sia lo Stato a cui spetti la potestà impositiva sulla tipologia di reddito in oggetto. Generalmente nelle convenzioni stipulate dall’India, conformemente del resto al disposto dell’art. 16 del Modello OCSE di convenzione, si prevede che il compenso percepito da un amministratore residente in uno Stato contraente a seguito della carica ricoperta nel Consiglio di Amministrazione di una società residente nell’altro Stato contraente venga tassato (anche se non in via esclusiva) in tale altro Stato (Stato della fonte). Questa previsione, pertanto, non limita il potere dello Stato di residenza dell’amministratore di tassare quel reddito, applicando poi specifici correttivi per evitare la doppia imposizione (si vedano per maggiori dettagli i par.13 e seguenti).
Sotto Capitolo n. 11.7 Adempimenti dichiarativi e liquidazione dell’imposta
Un contribuente, anche se soggetto straniero, che in un periodo d’imposta percepisca redditi superiori a INR 100.000, è obbligato a presentare una dichiarazione dei redditi. Tuttavia, indipendentemente dal reddito percepito, un soggetto residente è in ogni caso tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi se: • possiede beni immobili che eccedano una determinata dimensione; • abbia la disponibilità di un veicolo (sia di proprietà che a noleggio); • abbia sottoscritto un abbonamento per l’uso di un telefono cellulare; • affronti spese per viaggi effettuati all’estero; • sia possessore di una carta di credito; • sia iscritto ad un club la cui quota di iscrizione sia superiore a INR 25.000. La dichiarazione va presentata entro il 31 luglio successivo alla chiusura del periodo d’imposta (31 marzo). Tale termine viene prorogato al 31 ottobre per i soggetti che svolgono attività d’impresa o di lavoro autonomo e la cui contabilità deve essere sottoposta a processo di revisione. I contribuenti che percepiscono reddito di lavoro dipendente vengono tassati tramite ritenuta alla fonte operata dal datore di lavoro. Coloro che debbano scontare un’imposta superiore a INR 5.000 sono tenuti a versare tre acconti d’imposta entro il giorno 15 dei mesi di settembre, dicembre e marzo. I soggetti stranieri che percepiscono redditi solo da investimenti o long-term capital gain in divisa estera non devono presentare la dichiarazione dei redditi se gli stessi vengono tassati alla fonte.
Capitolo n. 12 L'imposizione sui redditi societari
Sotto Capitolo n. 12.1 Soggetti passivi
Soggetti passivi dell’imposta sui redditi societari sono: • le società residenti, che scontano l’imposizione su tutti i loro redditi ovunque prodotti, secondo il noto principio della worldwide taxation, largamente diffuso negli ordinamenti occidentali; • le società e gli enti non residenti, per i quali l’imposizione è limitata ai redditi che, in base ai criteri di collegamento stabiliti dalla legge, sono considerati di fonte indiana (source taxation principle). Secondo quanto previsto dalla Sezione 6, ITA, una società è considerata residente in India in primo luogo qualora la stessa sia costituita in forma di società indiana, concetto che, secondo quanto si ricava dalla Sezione 2 (26) ITA, e dal Companies Act del 1956 (1/1956), comprende: • qualunque società che sia stata creata o registrata in base ad una delle forme previste dalle leggi vigenti sul territorio indiano; • qualunque società abbia la sua sede legale in India; • ogni istituzione, associazione o persona giuridica (creata anche in determinate circostanze a norma di leggi speciali), che sia dichiarata come società indiana dal CBDT, se ha la propria sede legale in India. Una società è, inoltre, considerata residente se la sua gestione ed il suo controllo avvengono interamente in India, intendendo per tale ciascuno dei 29 Stati e 6 Territori dell’Unione. Una società che presenti gestione e controllo anche solo parzialmente fuori dal territorio indiano viene classificata come non residente. Da quanto sopra consegue che le Joint Venture a capitale misto indiano e straniero e le società indiane il cui capitale è posseduto al 100% da soggetti stranieri vengono trattate alla stregua di soggetti residenti, mentre le filiali (branch offices) in India di società straniere sono assimilate a soggetti non residenti, anche se in definitiva con le società residenti condividono buona parte delle regole di determinazione del reddito imponibile.
Sotto Capitolo n. 12.2 Periodo d'imposta
Per delineare il concetto di periodo d’imposta secondo la legislazione fiscale indiana, occorre riferirsi in primo luogo ai due importanti concetti di “periodo di accertamento” (assessment period) e di “precedente periodo fiscale” (previous year), che la legge definisce in questi termini. • Periodo di accertamento: la locuzione, in base a quanto previsto dalla Sezione 2 (9) ITA, individua il periodo di dodici mesi che ha inizio il 1° giorno di aprile di ciascun anno di calendario (anno finanziario); • Precedente periodo fiscale: è definito dalla Sezione 3 ITA come l’anno finanziario immediatamente precedente al periodo di accertamento; nel seguito si farà riferimento al “precedente periodo fiscale” come al “periodo d’imposta”. Le imposte sono pagabili nel periodo di accertamento e vengono determinate in base al reddito che si è formato nel precedente periodo d’imposta. Così, ad esempio, le imposte pagabili nel periodo di accertamento che va dal 1° aprile 2005 al 31 marzo 2006 vengono calcolate in base ai redditi prodotti/realizzati (da cui vanno dedotte le spese incorse per la loro realizzazione) nel periodo d’imposta intercorso tra il 1° aprile 2004 e il 31 marzo 2005.
Sotto Capitolo n. 12.3 L’imposizione sulle società residenti
L'imposta sul reddito per le societa residenti colpisce tutti i redditi derivanti da attività produttive e commerciali e da altre fonti, quali dividendi, interessi, canoni di affitto o locazione, royalties per l'uso di brevetti, marchi, diritti d'autore, ed in genere qualunque provento non legato all'attività caratteristica. 12.3.1. Aliquote Le aliquote d'imposta sono determinate annualmente dai Finance Acts del periodo d'imposta in cui si è formato il reddito (tornando all'esempio fatto al par. 12.2, il Finance Act da applicare sarebbe quello del periodo 2004/2005). Tali leggi finanziarie oltre a fornire le aliquote con cui si procederà al calcolo del saldo d'imposta (cui è generalmente dedicata la Parte I), forniscono anche le aliquote applicabili per determinare gli acconti d'imposta da versare (Parte III). Per il periodo d'imposta che termina il 31 marzo del 2005, i redditi delle società residenti saranno soggetti ad imposizione con aliquota ordinaria del 35%: a questa poi si aggiunge una "sovrattassa" pari al 2,5% delle imposte dovute a seguito dell'applicazione dell'aliquota ordinaria. Inoltre il Governo con l'ultima manovra finanziaria ha introdotto un'ulteriore "addizionale" (education cess) pari al 2%, da computarsi sul totale dell'importo delle imposte aumentate del sovraccarico d'imposta, portando quindi l'aliquota effettiva sui redditi delle società residenti al 36,60% circa (100 x 35% = 35 → 35 x 2,5% = 0,875 → 35,875 x 2% = 0,7175 → 35 + 0,875 + 0,7175 = 36,5925). Tuttavia, per il periodo d'imposta che avrà inizio dal 1°aprile 2005 e terminerà il 31 marzo 2006, nel Budget 2005/2006 presentato in Parlamento lo scorso 28 febbraio sono state proposte le seguenti modifiche: - una riduzione dell'aliquota nominale d'imposizione sui redditi delle società residenti dal 35% al 30%; - un incremento della "sovrattassa" dal 2,5% al 10% applicabile solamente alle società residenti (per le stabili organizzazioni di società non residenti, rimarrà invece in vigore la sovratassa del 2,5% da applicare sull'aliquota nominale del 40%, cfr. par. 12.4). Pertanto, considerando anche l'addizionale del 2% che rimarrà in vigore - se la proposta presentata verrà approvata - dal 1° aprile 2005 l'aliquota effettiva sui redditi delle società residenti verrà ridotta dal 36,60% al 33,66% (100 x 30% = 30 → 30 x 10% = 3 → 33 x 2% = 0,66 → 30 + 3 + 0,66 = 33,66). L'aliquota sopra richiamata viene applicata generalmente a tutti i redditi imputabili ad una società residente. Come sarà meglio specificato al paragrafo 12.3.4, tuttavia, le plusvalenze possono, a determinate condizioni, essere tassate con aliquota agevolata del 20% (cui si deve comunque aggiungere la sovrattassa del 2,5% e l'addizionale del 2%). Inoltre occorre evidenziare che dal periodo 1997/1998 è stata introdotta la c.d. Imposta Minima Alternativa (Minimum Alternative Tax - MAT), cioè un limite minimo al di sotto del quale l'imposizione non può mai scendere. Non si tratta tuttavia di un importo fisso, che avrebbe generato evidenti sperequazioni, ma di un'aliquota, pari al 7,5% (alla quale vanno peraltro sommati la sovrattassa d'imposta e l'education cess), da applicarsi agli utili di bilancio della societa (previe alcune rettifiche). Quest'ultima dovra versare il maggiore importo tra quello calcolato applicando le aliquote d'imposta di cui sopra al reddito imponibile, e il 7,5% degli utili di bilancio; evidentemente, in caso di reddito imponibile e di utili di bilancio entrambi pari o inferiori a zero, non sara dovuta alcuna imposta. Per determinate categorie di redditi, poi, è prevista l'applicazione di ritenute alla fonte, stabilite in parte dalle Leggi Finanziarie annuali e in parte dall'ITA, così sintetizzabili: . Altri interessi rispetto a quelli su titoli: aliquota 20%; . Dividendi pagati da societa residenti: esenti; . Vincite da lotterie, corse di cavalli, e altri giochi aleatori: 30%;
. Redditi da affitti: 20%; . Canoni per servizi tecnici e professionali: 5%; . Redditi da fondi comuni di investimento e UTI (Union Trust of India): esenti; . Altri redditi: 20%. Anche tali aliquote subiscono l'incremento dovuto al sovraccarico d'imposta pari al 2,5% (Budget 2004/2005) e all'"educational cess" pari al 2%, risultando quindi le aliquote reali maggiori di quelle esposte. 12.3.2. Determinazione della base imponibile La base imponibile è determinata in base ai comuni principi che regolano la vita d'impresa e alle pratiche contabili, ed apportando poi le opportune rettifiche richieste dalle disposizioni legislative contenute nell'ITA. . Costi deducibili e inerenza: possono essere ammessi in deduzione solo i costi e le spese che siano correlati all'attività oggetto di tassazione. • Costi ad utilità pluriennale: i costi relativi a beni ad utilità pluriennale sono deducibili sulla base delle quote di ammortamento (per l’ammortamento s rinvia al seguente par. 12.3.3). • Giacenze di magazzino: possono essere valutate al costo oppure a scelta del contribuente al minore tra il costo e il valore di mercato. Il metodo LIFO (last in, first out) non è accettato ai fini fiscali; a parte tale limitazione, però, l’impresa resta libera di adottare due diverse configurazioni di costo, l’una per esigenze fiscali, l’altra per esigenze di bilancio. • Accantonamenti: anche in India si assiste alla tradizionale “sospettosità” degli ordinamenti tributari nei confronti degli accantonamenti a fronte di rischi e oneri potenziali. Le somme accantonate, infatti, in linea generale non sono fiscalmente deducibili. Tuttavia accantonamenti per tasse, imposte (escluse imposte sul reddito e sulla ricchezza che non sono comunque deducibili), premi e indennità di fine rapporto, interessi su prestiti da istituti finanziari sono deducibili in base al metodo della competenza temporale, integrato da una sorta di criterio di “cassa allargato”, in forza del quale i costi di competenza sono deducibili purché i relativi pagamenti (uscite di cassa) siano effettuati entro il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi (per un determinato periodo d’imposta). Qualora ciò non avvenisse, le componenti negative di reddito saranno dedotte nel periodo in cui avverrà l’effettivo pagamento, benché di competenza di un periodo d’imposta precedente. • Perdite su crediti: possono essere dedotte solo se al credito corrisponda un provento imputato a conto economico e tassato negli esercizi precedenti, ed il credito stesso sia stato svalutato (anche interamente) nell’esercizio in cui si intende far valere la deduzione (qualora in un esercizio successivo si ricevano pagamenti relativi al credito, si potrà avere una sopravvenienza tassabile o un'insussistenza deducibile a seconda che le somme ricevute rispettivamente eccedano o siano inferiori all’importo indicato a bilancio). • Contributi e altre erogazioni a favore dei dipendenti: i pagamenti fatti a favore di dipendenti in base ai “voluntary retirement schemes” (procedure agevolative per l’esodo dei lavoratori) sono deducibili per un periodo di cinque anni a decorrere dal periodo in cui si effettuano tali pagamenti. Gli altri contributi versati dalle società per indennità di fine rapporto e affini, o ad altri fondi di previdenza sociale, sono ammessi in base al principio di cassa allargato di cui si è detto a proposito degli accantonamenti. • Utili e perdite su cambi: gli utili e le perdite delle operazioni in valuta derivanti dalle fluttuazioni dei cambi sono rispettivamente imponibili e deducibili purché imputati a conto economico. • Spese di pubblicità e rappresentanza: la deducibilità di tali spese è soggetta a varie restrizioni. Le spese per omaggi promozionali sono integralmente deducibili solo se il costo dell’articolo è pari o inferiore a 1.000 INR; se invece il costo è superiore a tale soglia, è deducibile la somma di 1000 INR più il 50% dell’eccedenza del costo rispetto a 1.000. Le spese di pubblicità superiori a 10.000 INR sono deducibili solo se pagate mediante specifici strumenti di pagamento. La deduzione, poi, è limitata ad un “importo ragionevole” se i costi pubblicitari sono pagati a soggetti legati da relazioni di interesse al contribuente (intendendo per tali in particolare i soggetti partecipati o partecipanti in misura pari o superiore al 20%). • Mancata ritenuta alla fonte: vari costi derivanti da pagamenti a terzi non sono deducibili se sugli stessi non siano state operate e versate le ritenute previste dalla legge; si tratta, ad esempio, dei salari corrisposti al di fuori dell’India, delle somme corrisposte a titolo di interessi, canoni, compensi per servizi tecnici, etc. pagabili fuori dall’India. • Sanzioni e ammende: non sono deducibili in quanto considerate sempre non inerenti l’attività d'impresa. 12.3.3. Ammortamenti Possono essere ammortizzati sia i beni materiali che i beni immateriali (dal 1° aprile 1998) impiegati nell’attività d’affari, ad eccezione dei terreni (Sezione 32 ITA). Eccezionalmente, i beni di valore non superiore a INR 5.000 possono essere “spesati” integralmente nell’esercizio in cui sono stati acquistati.
L’ammortamento concesso nel primo anno d’uso del bene viene ridotto del 50% se il bene oggetto dell’ammortamento viene impiegato per un periodo inferiore a 180 giorni nel periodo d’imposta. Per quanto concerne in concreto il calcolo dell’ammortamento, la legislazione fiscale indiana presenta talune particolarità. La quota di ammortamento fiscalmente deducibile, infatti, deve essere calcolata non sui singoli beni, come generalmente accade in altri ordinamenti, ma sull’importo complessivo dei beni appartenenti ad una “classe di ammortamento” (cioè il gruppo di beni caratterizzati dalla medesima aliquota), secondo il metodo a quote decrescenti (declining-balance method). Le società impegnate nel settore della produzione di energia o nel settore della produzione e distribuzione di energia hanno l’opzione di utilizzare il metodo di ammortamento a quote costanti (straight-line method). L’ammortamento ha inizio solo dopo che il bene è entrato in funzione: ciò, evidentemente, implica che il bene non ancora utilizzato non deve essere sommato alla classe di ammortamento per il calcolo della quota deducibile. Una volta individuate le categorie, cioè una volta aggregato il valore dei beni che presentano la medesima aliquota di ammortamento, basterà applicare l’aliquota al valore aggregato residuo di ciascuna categoria. Tale valore aggregato residuo per ciascun anno è dato dal valore residuo dell’anno precedente, cui va aggiunto il valore dei beni acquistati (ed entrati in funzione) durante l’esercizio, al netto del valore di realizzo (prezzo di vendita) conseguito a seguito dello smobilizzo dei beni ceduti nel periodo di riferimento. Alcune delle più significative aliquote di ammortamento sono di seguito esposte (va peraltro detto che per alcune tipologie di beni è attualmente in progetto una riduzione dell’aliquota di ammortamento):
Tipologia di bene
Aliquote di ammortamento (%)
Beni materiali Impianti e macchinari Autoveicoli diversi da quelli dati a noleggio (*) Autoveicoli dati a noleggio (*) Navi Computers (inclusi software) Costruzioni residenziali Altre costruzioni Attrezzature
25 20 40 25 60 5 10 15
Beni immateriali (**) Know-how, marchi, brevetti, diritti d’autore, etc.
25
(*) Non è consentita la deduzione di quote di ammortamento per autoveicoli prodotti fuori dall’India, a meno che non siano dati a noleggio o utilizzati dall'impresa al di fuori del territorio dell’Unione. (**) Dal 1° aprile 1998 i beni intangibili/immateriali formano una categoria separata ai fini dell’ammortamento
Sulle plusvalenze e minusvalenze eventualmente derivanti dalla cessione di immobilizzazioni si veda il successivo paragrafo. 12.3.4. Plusvalenze e minusvalenze Con i termini plusvalenza e minusvalenza (capital gain e capital loss) si intende riferirsi ai profitti ed alle perdite derivanti dal trasferimento di beni immobilizzati (capital assets), inclusi i beni soggetti ad ammortamento (che però, come vedremo subito appresso, presentano regole impositive particolari). I beni immobilizzati sono definiti dalla Sezione 2(14), ITA, in “negativo”, cioè come i beni di qualsiasi genere detenuti dal contribuente, ad esclusione dei seguenti: • merci, beni di consumo o materie prime detenute per scopi commerciali; • terreni agricoli; • alcune categorie di titoli emessi dal Governo indiano. Ai sensi della Sezione 45 dell’ITA, un capital gain si realizza se il valore (in denaro o in natura) che si riceve a seguito della cessione di un bene eccede il costo sostenuto per l’acquisto dello stesso, considerando anche eventuali costi capitalizzati. Il principio generale prevede che la plusvalenza sia tassabile nell’anno in cui ha avuto luogo il trasferimento. Al riguardo è importante evidenziare che la Sezione 47 dell’ITA contempla alcune fattispecie che non integrano l’ipotesi di “trasferimento”, con la conseguenza che non si manifesta il presupposto per l’imposizione del capital gain. A ben vedere, si tratta di regimi di neutralità fiscale simili a
quelli vigenti in Italia, ad esempio, per le fusioni e i conferimenti di aziende. Alcuni casi di “trasferimento” non tassabile sono: • trasferimenti da società controllante a società controllata e viceversa, purché il controllo sia totalitario e il soggetto acquirente sia una società indiana. E’ prevista la recapture, cioè la ripresa a tassazione del provento, nell’ipotesi in cui la controllata successivamente alla cessione abbandoni il gruppo o le sue azioni diventino “beni-merce” (cioè non siano più detenute dalla controllante quali immobilizzazioni) entro otto anni dal trasferimento; • i trasferimenti conseguenti a fusione e scissioni societarie (si veda anche par. 12.7.); • trasferimento (cambio) a seguito di conversione di obbligazioni, titoli obbligazionari, certificati di deposito in azioni della società. Si consideri inoltre che le distribuzioni di somme di denaro o di beni durante la fase di liquidazione di una società non sono considerate trasferimenti, potendo invece essere considerati ed in seguito tassati, in capo agli azionisti, come capital gain, i guadagni che in seguito alla liquidazione non vengano inquadrati come dividendi (Sezione 46, ITA). Dal 1° aprile 2000 ogni profitto o guadagno, in forma di denaro o altra forma, incassato o ricevuto a seguito di rimborso assicurativo per la distruzione o danneggiamento derivanti da disastro naturale, conflitti bellici, ed altri eventi di forza maggiore è tassabile come plusvalenza in base alle disposizioni contenute nella Sezione 45 (1), ITA, così come modificato dal Finance Act 1999. Il trattamento fiscale che ricevono plusvalenze e minusvalenze dipende dal periodo di detenzione del bene dalla cui cessione originano; la legge individua, infatti, due distinte categorie di capital gain. • Plusvalenze e minusvalenze di lungo periodo (Sezione 2 (29A), ITA) Riguardano i beni, diversi da quelli ammortizzabili, detenuti per un periodo superiore a 36 mesi prima del trasferimento, ovvero per un periodo superiore a 12 mesi se si tratta di azioni, titoli quotati in una borsa valori riconosciuta in India, quote dell’UTI (Union Trust of India) o quote di specifici fondi d'investimento. Le plusvalenze di lungo periodo sono generalmente tassate con aliquota agevolata del 20% (cui vanno aggiunte la sovrattassa e l’addizionale) in considerazione della loro formazione pluriennale; inoltre è previsto un sistema di adeguamento del costo di acquisto per tenere conto dell’inflazione (tranne nei casi di titoli di debito). Le minusvalenze di lungo periodo possono essere portate in deduzione esclusivamente delle eventuali plusvalenze di lungo termine realizzate negli otto esercizi successivi. Il Budget 2004/2005 ha introdotto, inoltre, un’importante novità afferente la cessione di azioni quotate in mercati regolamentati, per le quali si configura la possibilità di agevolarsi dell’istituto della participation exemption. L’esenzione dall’imposta sui capital gain è applicabile se vengono rispettate entrambe le condizioni di seguito indicate: • le azioni devono essere iscritte in bilancio tra le immobilizzazioni finanziarie; • le azioni devono essere detenute ininterrottamente per almeno un anno prima della vendita. Se tali due criteri sono riscontrati si può fruire della participation exemption. Inoltre, il venditore e l’acquirente dei titoli dovranno ripartirsi in parti uguali l’onere dell’imposta sulle transazioni di borsa (Securities Transaction Tax, ossia una sorta di tassa sui contratti di borsa), pari generalmente allo 0,15% (di cui 0,075% a carico del venditore e 0,075% a carico dell’acquirente). Si segnala, tuttavia, che il Budget 2005/2006 prevede l'innalzamento di detta imposta allo 0,2%, sempre da ripartire equamente tra venditore ed acquirente. • Plusvalenze e minusvalenze di breve periodo (Sezione 2 (42 A), ITA) Sono quelle derivanti dal realizzo di beni ammortizzabili o di altri beni, detenuti per un periodo inferiore a quello sopra indicato. Il risultato della cessione di un bene ammortizzabile è calcolato come segue. Il prezzo di vendita (o il valore normale dei beni in natura ricevuti) deve essere posto a raffronto con il valore residuo dell’intera classe di ammortamento cui appartiene il bene in questione: se il prezzo è superiore, l’eccedenza costituisce plusvalenza; se il prezzo è inferiore, non si ha realizzo né di un componente negativo deducibile, né di uno positivo imponibile (e ciò anche se in ipotesi il prezzo sia superiore al costo o al
valore residuo del singolo cespite). Nella particolare ipotesi in cui il bene ceduto sia l’unico della classe di ammortamento, ed il prezzo sia inferiore al valore residuo, la differenza costituisce minusvalenza di breve periodo deducibile. Le plusvalenze di breve termine sono in linea di principio imponibili secondo l’ordinaria aliquota del 35% (30% dal 01/04/2005, da maggiorare come di consueto); tuttavia, per le azioni quotate l’aliquota è ridotta al 10%. Le minusvalenze di breve termine possono essere portate in deduzione esclusivamente da futuri capital gain, di breve termine o meno, nei successivi otto esercizi. Si segnala, tuttavia, che nel Budget 2005/2006, è stato proposto di ridurre il periodo massimo per il riporto delle minusvalenze di breve termine a quattro anni. 12.3.5. Dividendi In base alla definizione contenuta nella Sezione 2 (22) ITA, sono considerati dividendi: • le distribuzioni di utili pregressi, capitalizzati o meno, includendo le assegnazioni in tutto o in parte ai propri azionisti di beni patrimoniali; • la distribuzione di obbligazioni, titoli obbligazionari, certificati di deposito con o senza interessi dalla società ai propri azionisti, nel limite in cui la società possegga utili pregressi; • qualsiasi distribuzione di azioni di società in liquidazione nel limite in cui le distribuzioni sono attribuite a utili pregressi prima dell’inizio del periodo di liquidazione (utili capitalizzati o meno); • la distribuzione di utili pagati per effetto della riduzione di capitale. Per quanto riguarda le società residenti, alcune spese possono essere ammesse in deduzione (Sezione 57, ITA) dal reddito derivante da dividendi imputabili alle società residenti. Si tratta di: • ogni somma ragionevolmente pagata a titolo di commissione o remunerazione a banche o altri intermediari finanziari allo scopo di trarre effettivo beneficio dai dividendi (incasso, etc.); • ogni altra spesa sopportata solo ed esclusivamente allo scopo di realizzare tali redditi. Gli interessi corrisposti su somme di denaro prese a prestito allo scopo di acquisire azioni sono deducibili anche se i dividendi non sono pagati nell’anno in cui vengono acquisite tali azioni. Il Budget 2003/2004, confermato dal budget dell’anno successivo, ha previsto che i dividendi distribuiti tra società residenti siano esenti in capo al percettore. Tuttavia è stata introdotta una Dividend Distribution Tax (DDT) che grava sulla società erogante nella forma di prelievo aggiuntivo sull’ammontare dei dividendi distribuibili al lordo della DDT stessa, nella misura del 12,5% (più le consuete maggiorazioni per un'aliquota effettiva del 13,06875% sino al 31/03/2005 e del 14,025% dal 1° aprile 2005 per effetto delle proposte contenute nel Budget 2005/2006 di incrementare la sovrattassa al 10%, in luogo del 2,5% e mantenere l’addizionale al 2%). Un esempio può essere utile per chiarire il meccanismo di applicazione della DDT (calcolata con la sovrattassa del 10% e l’addizionale del 2%): Società erogante: Reddito ante imposte A) Imposte sul reddito (33,66%) Utile
33,66 66,34
Dividendi distribuibili (al lordo DDT) B) DDT (=14,025% x 66,34/1,14025)
66,34 8,16
Dividendi distribuibili al netto DDT (=59,71/1,1403)
58,18
Totale carico fiscale (A+B) Socio Dividendo ricevuto Dividendo imponibile in India
41,82
100
52,36 0,0
I dividendi distribuiti a società residenti da parte di società non residenti, invece, sono soggetti all’ordinaria imposizione, con la possibilità di avvalersi del credito d’imposta per le imposte eventualmente pagate all’estero a titolo di ritenuta, nei termini indicati dalla convenzione contro le doppie imposizioni eventualmente applicabile, o dalla normativa interna, in caso contrario. E’ peraltro allo studio un’ipotesi di parificazione del trattamento dei dividendi esteri a quello dei dividendi interni. 12.3.6. Interessi
Rientrano nel concetto di interesse, in base a quanto stabilito dalla Sezione 2 (28A), ITA, le somme, in qualsiasi modo pagate, corrisposte in rapporto a denaro prestato o mutuato inclusi i depositi, i risparmi, o diritti e obbligazioni simili. Gli interessi attivi percepiti dalle società residenti sono tassabili secondo le generali regole valevoli per i redditi conseguiti nell’attività d’impresa. Allo stato attuale l’ordinamento indiano non prevede una disciplina fiscale sulla thin capitalization, ormai diffusa in molti ordinamenti (alcuni specifici soggetti imprenditoriali, quali banche e enti finanziari, sono tenuti al rispetto di parametri di adeguatezza patrimoniale, che però non hanno rilevanza fiscale). Pertanto, gli interessi passivi sono deducibili in base al generale principio dell’inerenza del debito a fronte del quale maturano rispetto all’attività d’impresa. Va tuttavia aggiunto che gli interessi pagati su mutui contratti per l’acquisto di beni ad utilità pluriennale non sono deducibili fino a quando il bene non viene posto in funzione. 12.3.7. Royalties e compensi per servizi tecnici Nella definizione di royalties la Sezione 9 (6), Explanation 2, ITA, ricomprende i compensi connessi a: • il trasferimento di tutti o parte dei diritti (inclusa la concessione di licenze) collegati ad un brevetto, invenzione, modello, design, formula segreta o processo o marchio commerciale o concetti simili; • la divulgazione di ogni informazione necessaria all’utilizzo di un brevetto, invenzione, modello, design, formula segreta o processo o marchio commerciale o concetti simili; • l’uso di qualsiasi brevetto, invenzione, modello, design, formula segreta o processo o marchio commerciale o concetti simili; • la divulgazione di ogni informazione concernente conoscenze o esperienze tecniche, industriali, commerciali o scientifiche; • la concessione in tutto o in parte di diritti (inclusa la concessione di una licenza) relativi a opere letterarie, artistiche o scientifiche, incluse le pellicole e i filmati per trasmissioni radiofoniche esclusi i corrispettivi per la vendita, distribuzione o proiezioni cinematografiche; • le prestazioni di servizi connessi alle attività sopra esposte. Per quanto concerne le modalità di calcolo delle royalties le stesse possono essere: di importo forfetario, di importo annuale prefissato, in proporzione alle vendite o agli utili, entro un importo massimo oppure oltre un importo minimo. I compensi per servizi di assistenza tecnica sono dati dai corrispettivi di qualsiasi natura, per i servizi resi per attività gestionali, tecniche o di consulenza, tuttavia da tale definizione bisogna escludere le attività di costruzione, assemblaggio ed estrazione. 12.3.8. Perdite Le perdite possono essere portate in diminuzione dei redditi per i successivi otto esercizi a patto che la dichiarazione dei redditi da cui tale perdita emerge sia presentata nei modi e nei tempi stabiliti. Le società le cui azioni non sono quotate in mercati regolamentati (closely held corporation), sono ammesse al riporto delle perdite solo vi è continuità nei titolari dei diritti di voto per almeno il 51%.
Sotto Capitolo n. 12.4 L’imposizione sulle società non residenti
Per il periodo d’imposta che termina il 31 marzo anno 2005, i redditi di impresa delle società non residenti sono soggetti ad aliquota ordinaria del 40%, cui si aggiungono la sovrattassa del 2,5% e l’addizionale del 2%, con un’imposizione effettiva del 41,82%. Anche in questo caso è prevista l’applicazione dell’imposta minima (MAT) di cui si è detto al par. 12.3.1. Al riguardo vale la pena precisare che la legislazione indiana, per definire il reddito di impresa di fonte indiana, tassabile in capo alle società non residenti, utilizza il concetto di “business connection” (“relazione d’affari”). La business connection, secondo quanto emerge dai pronunciamenti giurisprudenziali e ministeriali, è concetto più ampio di quello, a noi più familiare, di “stabile organizzazione” o “permanent establishment”. D’altra parte, le convenzioni contro le doppie imposizioni in genere stipulate dall’India (ivi compresa quella vigente con l'Italia) ricorrono proprio a tale ultimo concetto, stabilendo che il residente di uno Stato, può essere soggetto ad imposta per i redditi d’impresa prodotti in India solo se lì dispone di una stabile organizzazione. In caso contrario, potrà essere eventualmente soggetto ad imposta per altre tipologie di reddito di fonte indiana (capital gain, interessi, royalties, etc.). Una filiale, cioè un insediamento produttivo/commerciale stabile nel territorio indiano, che integri gli estremi della stabile organizzazione, rappresenta sicuramente anche una business connection. Non è tuttavia vero il contrario, cioè un collegamento con il territorio indiano privo dei requisiti per essere considerato stabile organizzazione, potrebbe essere comunque considerato una “business connection” dall’amministrazione fiscale indiana. E’ quindi assolutamente consigliabile che i non residenti operino con l’India tramite veicoli societari nei cui confronti si applichi una convenzione contro le doppie imposizioni, in modo da eliminare il rischio che, pur in assenza di una stabile organizzazione, sia individuata una business connection con conseguente tassazione dei profitti da essa derivanti. A parte la più gravosa aliquota nominale (40% in luogo del 30% applicabile alle società residenti, il cui carico fiscale effettivo, peraltro, in caso di distribuzione degli utili realizzati, è destinato a corrispondere perfettamente a quello delle stabili organizzazioni di società non residenti, per effetto del proposto incremento della sovratassa al 10%, dell’addizionale del 2% e della DTT del 10% - Cfr par. 12.3.5), la determinazione del reddito d’impresa delle filiali di società non residenti ricalca essenzialmente le norme previste per le società residenti. Inoltre, le società straniere sono soggette a imposta in base alla tipologia di reddito di fonte indiana prodotto tramite un articolato sistema di ritenute alla fonte. Di seguito, se ne fornisce una sintesi; si noti tuttavia, da un lato, che è sempre fatta salva l’applicazione delle eventuali minori aliquote previste dalle vigenti Convenzioni contro le doppie imposizioni, dall’altro, che per certe categorie di servizi si è presa in considerazione solo l’aliquota applicabile per contratti stipulati dopo il 31 maggio 1997, non considerando le aliquote applicabili a contratti stipulati per periodi precedenti (per approfondimenti in tal senso si rinvia alla Sezione 115A, ITA). > Dividendi Come per i residenti, i dividendi di fonte indiana (cioè i dividendi che vengono dichiarati, distribuiti o pagati da una società indiana) percepiti da non residenti sono esenti da imposta sui redditi societari, ma sono tuttavia soggetti a DDT (si veda par. 12.3.5. per una esmplificazione numerica) con aliquota del 12,5%, da maggiorare come di consueto di sovrattassa (10% a decorrere dal 01/04/2005) e addizionale (2%) per una aliquota effettiva del 14,025%. > Interessi In base alla Sezione 9 (1) ITA, gli interessi sono di fonte indiana qualora:
• siano pagabili dal Governo; • siano pagabili da un soggetto residente, eccetto quando l’interesse è corrisposto per operazioni che generano affari al di fuori del territorio indiano; • siano pagabili da un soggetto non residente quando l’interesse è corrisposto per operazioni che generano affari in India. Gli interessi di fonte indiana percepiti da non residenti su prestiti contratti in valuta straniera dal Governo o altra organizzazione economica sono soggetti a ritenuta del 20%; tutti gli altri interessi sono soggetti a ritenuta del 40% (fanno eccezione solamente gli interessi derivanti dai “Global Depository Receipts”, un particolare strumento di investimento in capitale di rischio per il quale si rinvia al par. 8.1, tassati con ritenuta del 10%). > Royalties I redditi derivanti da royalties si considerano di fonte indiana qualora gli stessi siano corrisposti: • dal Governo indiano; • da un soggetto residente, escluso il caso in cui la retribuzione venga corrisposta per qualsiasi diritto o informazione usata o per servizi resi in regime di impresa o professione della persona, al di fuori dell’India, o per la produzione di utili fuori dall’India; • da un soggetto non residente in seguito a diritti o informazioni usate o servizi resi in regime di impresa o professione del soggetto dislocato in India o per la produzione di qualsiasi reddito in India. Le royalties pagate a soggetti non residenti e società estere sono soggette a ritenuta alla fonte, secondo il seguente schema: • royalties pagabili dal Governo indiano o altra organizzazione economica su contratti di concessione o trasferimento di diritti per software o diritti d’autore tassabili in base alla Sezione 115 A, ITA: aliquota 20% (contratti stipulati dopo il 31 maggio 1997); • altre royalties pagabili dal Governo indiano o altra organizzazione economica su contratti approvati dal Governo Centrale: 20% (contratti stipulati dopo il 31 maggio 1997); • royalties per servizi tecnici resi, pagabili dal Governo indiano o altra organizzazione economica: 20% (contratti stipulati dopo il 31 maggio 1997). Si segnala peraltro la proposta contenuta nel Budget 2005/2006 di ridurre le ritenute alla fonte sulle royalties sopra indicate dal 20% al 10%. Le royalties ricevute da società non residenti per servizi correlati alla sicurezza nazionale dell’India devono considerarsi esenti da imposta. Possono fruire di tale agevolazione le società non residenti che svolgano affari connessi alla fornitura di beni concessi in affitto (per la cui esatta definizione ed elencazione si rimanda alla Sezione 44BB, ITA) o servizi connessi all’estrazione o produzione di petrolio e gas naturali, attività di edilizia ad uso abitativo, attività di trasporto ed altre attività indicate dalle autorità. > Capital Gain • Capital gain a lungo termine (si veda par. 12.3.4.): 20%; • Capital gain a lungo termine derivanti da fondi di investimento che operano all’estero e da Global Depository Receipts (cfr. par.8.1): 10%. > Altri redditi • Redditi da affitti: 20%; • Redditi da fondi comuni di investimento e UTI (Union Trust of India): esenti; • Redditi (diversi da capital gain) corrisposti da Foreign Institutional Investors (FFIs) in India: 20%; • Altri redditi non compresi in alcuno dei punti precedenti: 40%.
Sotto Capitolo n. 12.5 Incentivi fiscali agli investimenti
Per incrementare gli investimenti in determinati settori di attività (tra cui il settore terziario, il settore industriale con riferimento alle attività di ricerca e sviluppo, le telecomunicazioni, etc.), promuovere lo sviluppo delle aree più arretrate del Paese e incentivare l’ingresso di valute forti, il Governo indiano concede delle agevolazioni fiscali per le nuove attività d'impresa, principalmente nella forma di esenzione da imposizione sui redditi per periodi di tempo variabili in relazione alla tipologia di investimento. E’ in ogni caso richiesto che l’attività (i) venga svolta o in determinati settori imprenditoriali o in determinate zone del territorio, e (ii) rappresenti una nuova iniziativa imprenditoriale a tutti gli effetti, non potendo, invece, fruire delle agevolazioni le semplici riconversioni di un’attività d’impresa non agevolata in una agevolata, né l’esercizio di una nuova attività mediante l’utilizzo di impianti e macchinari già utilizzati precedentemente in altre attività svolte in India. Una attenta analisi delle agevolazioni esistenti appare, quindi, estremamente utile ed opportuna per l’imprenditore italiano alla ricerca della migliore localizzazione del proprio investimento nel territorio indiano. Tale analisi, tuttavia, si presenta alquanto complessa per l’esistenza sia di agevolazioni statali, sia di incentivi offerti dai governi dei singoli stati soprattutto per attrarre capitali e tecnologie straniere, sia di aree “preferenziali” individuate allo scopo principale di favorire la manifattura di prodotti destinati all’esportazione, caratterizzati da una tecnologia avanzata e da un elevato valore aggiunto. 12.5.1. Incentivi del Governo centrale Il Governo indiano concede una serie di agevolazioni fiscali, principalmente sotto forma di esenzioni totali/parziali da imposte sul reddito, che è possibile suddividere in: (i) agevolazioni finalizzate a sviluppare determinate attività o settori imprenditoriali; (ii) agevolazioni per la crescita economica di determinate aree del territorio e l’incentivazione delle esportazioni (si rinvia al paragrafo seguente). Tra le prime, si elencano in particolare le seguenti: • i nuovi progetti nel settore della telecomunicazione (sia fissa che mobile) avviati prima del 31 marzo 2005 (termine che dovrebbe essere prorogato dal Budget 2005/2006 al 31 marzo 2007), e le nuove attività per la movimentazione, stoccaggio ed il trasporto del grano per usi alimentari, possono fruire di un’esenzione totale per i primi 5 anni, e di una esenzione limitata al 30% degli utili prodotti nei successivi cinque anni; • un’esenzione totale settennale da imposte sui redditi è prevista per le nuove attività di produzione o raffinazione del petrolio; • un’esenzione parziale (50% dei profitti) quinquennale è fruibile per le attività di costruzione e gestione di teatri/cinema/centri congressi, a condizione che tali strutture vengano costruite entro il 31/03/2005 e non siano localizzate nelle città di Chennai, Delhi, Calcutta e Mumbai; • per i progetti di edilizia abitativa, che ottengano la prescritta approvazione delle autorità locali entro il 31 marzo 2007 (nuovo termine previsto dal Budget 2004/2005, in luogo del 31 marzo 2005), l’esenzione totale da imposizione sugli utili derivanti dai progetti approvati è concessa per i primi 10 anni; • un’esenzione totale decennale è prevista anche con riferimento alle attività di ricerca e sviluppo, industriale o scientifica, effettuate da società che siano registrate in India e ottengano una specifica autorizzazione da parte del Dipartimento per la ricerca scientifica e industriale entro il 31/03/2005 (termine che dovrebbe essere prorogato dal Budget 2005/2006 al 31 marzo 2007). Analoga esenzione decennale è prevista per i nuovi progetti di produzione o distribuzione di energia avviati entro il 31 marzo 2006 e per le nuove imprese che costruiscano, sviluppino o gestiscano infrastrutture (autostrade, ponti, gallerie, porti, etc.); • le nuove attività agro-industriali per la trasformazione, la conservazione e l’imballaggio di frutta e verdura potranno fruire di una esenzione totale da imposte sui redditi per i primi 5 anni e di una esenzione limitata al 25% degli utili prodotti nei successivi 5 anni (previsione contenuta nel Budget 2004/2005); • una nuova esenzione totale quinquennale è stata introdotta dal Budget 2004/2005 per le nuove strutture ospedaliere con almeno 100 posti letto situate in aree rurali; • per i progetti di raccolta e trattamento di rifiuti biodegradabili allo scopo di produrre energia, biofertilizzanti, bio-pesticidi, bio-gas o altri prodotti biologici, è prevista una esenzione totale da imposte
sui redditi per i primi 5 anni; • l’industria automobilistica potrà fruire di una deduzione pari al 150% delle spese per attività di Ricerca e Sviluppo. E’, infine, opportuno evidenziare che il legislatore indiano interviene spesso sulle agevolazioni fiscali concesse, o estendendone la validità, o modificandone i contenuti, o introducendo nuovi incentivi per potenziare altri settori, il tutto in relazione allo stadio di sviluppo e alle esigenze della situazione economica del paese: pertanto, prima di avviare una nuova attività d’impresa, dovranno essere attentamente verificati in loco le modalità, i tempi e le condizioni richieste per poter fruire delle agevolazioni, nonché i contenuti delle stesse. 12.5.2. Aree preferenziali: SEZ, EPZ STP, EHTP Come anticipato, oltre alle agevolazioni di cui sopra, sono previsti incentivi per gli investitori che, in determinate zone dell'India, localizzano unità di produzione di beni destinati all’esportazione. Allo scopo principale di incoraggiare le esportazioni, tra gli anni Ottanta e Novanta sull’esempio cinese, sono state create delle aree preferenziali attrezzate, le EPZs (Export Processing Zones), in cui è possibile trovare un ambiente internazionalmente competitivo a costi vantaggiosi, iter amministrativi-burocratici semplificati, materie prime indiane a prezzi agevolati ed un sistema sviluppato di infrastrutture. Il governo indiano ha costituito sette Export Processing Zones (EPZs), alcune delle quali sono state trasformate in SEZs: Santacruz Electronics Export Processing Zone in Maharashtra – Mumbai (SEZ dal 01/12/2003); Kandla export Processing Zone in Gujarat (SEZ dal 01/12/2003); Falta Export Processing Zone in West Bengal; Madras Export Processing Zone – Chennai; Cochin Export Processing Zone in Kerala (SEZ dal 01/12/2003); Noida Export Processing Zone a Noida – Delhi; Visakhpatnam Export Processing Zone in Andra Pradesh. Oltre alle EPZ, esistono le Zone Economiche Speciali (Special Economic Zones – SEZs), in cui le imprese di nuova costituzione possono fruire, tra l’altro, di: • una esenzione totale dalle imposte dirette sui profitti derivanti dall’esportazione di beni, per i primi cinque anni di attività, seguita da una riduzione del carico fiscale del 50% per i successivi due anni; • una esenzione dai dazi sulle importazioni di immobilizzazioni materiali e di materie prime e di consumo. Alcune delle SEZs approvate sono localizzate a Positra (Gujarat), Dronagiri (Maharashtra), Nanguneri (Tamil Nadu), Kulpi (West Bengal), Paradeep (Orissa), Bhadohi, Kanpur e Greater Noida (Uttar Pradesh), Kakinada (Andhra Pradesh), Indore (Madhya Pradesh), Hassan (Karnataka) Kandla e Surat (Gujarat), Santa Cruz (Maharashtra) e Cochin (Kerala). Una nuova SEZ dovrebbe essere istituita a Mumbai per lo sviluppo dei servizi finanziari (servizi bancari, assicurativi, factoring, etc.) nei confronti di clienti esteri. Agevolazioni analoghe a quelle concesse nelle EPZs - costituite principalmente da esenzioni dai dazi all’importazione e dalle imposte di fabbricazione, dal rimborso dell’imposta sulle vendite assolta sugli acquisti e dalla possibilità di detassare il 100% degli utili derivanti dalle esportazioni - sono previste anche per le imprese orientate all’esportazione (Export Oriented Units – EOUs): sia queste ultime che le imprese localizzate nelle EPZs, per fruire dei benefici fiscali, sono tenute ad esportare almeno il 66% dei propri prodotti, potendo invece vendere la parte restante all’interno del territorio indiano. Le EOUs, tuttavia, a differenza delle imprese costitute nelle EPZs, consentono di poter avere più autonomia sia nella localizzazione dell’investimento (che potrà essere anche al di fuori di una EPZ o di una SEZ), sia nell’approvvigionamento di materie prime, di porti per l’esportazione, di manodopera, etc. La proposta di investimento deve essere presentata alla Commissione per lo sviluppo della EPZ per la costituzione di una società in una EPZ, e alla SIA (Secretariat for Industrial Approvals, ossia l’organo del Dipartimento di politica industriale del ministero dell’industria preposto all’assistenza agli imprenditori e agli investitori nella costituzione dei progetti e all’esame delle proposte che richiedono l’approvazione del governo) per la creazione di una EOU (cfr. par. 1.2.4). Ulteriori agevolazioni sono previste per i soggetti che operano nel settore dell’elettronica e del software nei Parchi Tecnologici per Hardware Elettronico (EHTPs – Electronics Hardware Technology Parks) e nei Parchi Tecnologici per il Software (STPs – Software Technology Parks). EHTPs e STPs, oltre a fruire di una serie di strutture e incentivi per l'industria elettronica, hanno lo status di zone franche (esenzione dai dazi), per cui le unità ivi localizzate godono della possibilità di importare in esenzione da dazi, oltre a poter fruire di benefici all’esportazione e di agevolazioni fiscali, a condizione che vengano rispettati determinati obblighi di esportazioni, proporzionali al valore aggiunto della produzione. Si ricorda che nelle società la cui produzione è destinata principalmente all’esportazione, nell’ambito degli schemi EHTP, STP, EPZ ed EOU, gli investimenti diretti esteri (FDI) sono consentiti fino alla misura del 100% (cfr. par.1.2.4). Inoltre, per l’investimento in queste aree è prevista la procedura di approvazione
automatica del progetto, in presenza di determinate condizioni, inoltrando la domanda al Direttore del Parco Tecnologico per il Software o al funzionario designato del Parco per l’Hardware, ovvero in alternativa, al FIPB (Foreign Investment Promotion Board, ossia l’organo del ministero di commercio e dell’industria indiano che controlla e gestisce il flusso di investimenti stranieri diretti nel paese ed esamina le proposte di investimento estero; cfr. par. 1.2.8). I progetti EOU e quelli localizzati in EPZ, EHTP e STP godono di una detassazione totale dei profitti derivanti dalle esportazioni: per la determinazione dei profitti esenti, si utilizza un criterio forfetario, applicando al reddito imponibile la percentuale derivante dal rapporto tra l’ammontare complessivo delle esportazioni ed il volume d’affari complessivo. Si segnala, tuttavia, che tali agevolazioni sono fruibili sino al periodo d’imposta 2008/2009, fatte salve eventuali successive proroghe. Infine, si segnala l’introduzione nel Budget 2004/2005, di una esenzione totale da imposte sui redditi per i nuovi progetti industriali nelle zone di Jammu e Kashmir, che prevedano l’avvio della produzione entro il 31 marzo 2005. 12.5.3. Incentivi dei Governi dei singoli Stati Oltre alle agevolazioni previste dal Governo indiano, anche i governi dei singoli Stati, per incoraggiare gli investimenti ed attrarre capitali nel proprio territorio, concedono diverse tipologie di incentivi, principalmente nelle seguenti forme: • finanziamenti statali fino a determinate percentuali, variabili da Stato a Stato, del costo di acquisto di immobilizzazioni materiali necessarie per lo sviluppo di un progetto imprenditoriale, nei diversi settori di attività che ciascun Stato intende promuovere; • incentivi tariffari per l’utilizzo di energia, concessi in diverse forme, tra cui esenzioni dal pagamento dei dazi sull'elettricità, riduzioni delle tariffe per i nuovi stabilimenti per alcuni anni dall’avvio della produzione, etc.; • altri incentivi sotto forma di tassi di interesse agevolati sui finanziamenti concessi da istituzioni finanziarie statali, esenzione fiscale, generalmente quinquennale (decennale in alcuni Stati nordorientali ovvero con la possibilità di una proroga per ulteriori 5 anni ma con una esenzione parziale) per nuovi impianti industriali costituiti in Stati o distretti più arretrati, etc. La concessione dell’agevolazione è spesso subordinata alla presentazione di apposita richiesta su modelli appositamente approvati dai singoli Stati, i cui uffici istituzionali sono tenuti a valutare le domande entro periodi di tempo predeterminati.
Sotto Capitolo n. 12.6 Transfer pricing
Una specifica disciplina volta a regolamentare le transazioni infragruppo, al fine di evitare che, attraverso la pianificazione dei prezzi di trasferimento di beni/servizi, possano essere trasferiti componenti positivi di reddito in paesi a fiscalità “ridotta” e costi in paesi a fiscalità “pesante”, è stata introdotta nell’ordinamento fiscale indiano (Sezione 92 dell'ITA) a decorrere dal 01/04/2001 (c.d. transfer pricing). Le disposizioni introdotte, che ricalcano, in gran parte, quanto previsto in numerosi ordinamenti in tema di transfer pricing, prevedono che le “transazioni internazionali” tra “imprese correlate” debbano essere effettuate a valori di mercato (c.d. arm’s length price). La definizione di “imprese correlate” (Sezione 92A) è conforme a quella fornita dall’art. 9 (“Imprese associate”) del modello OCSE di Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi, generalmente contenuto nei trattati bilaterali stipulati dall’India (art. 10 della convenzione Italia/India), e comprende: • l’impresa che partecipa direttamente o indirettamente, al capitale di altra impresa, o ne esercita il controllo o la direzione; • le imprese che siano dirette, amministrate o partecipate dagli stessi soggetti. In entrambi i casi, affinché le imprese possano dirsi correlate, la normativa indiana stabilisce dei parametri, che consentono in qualche modo di “misurare” il grado di incidenza di un’impresa sull’altra, tra cui: • la detenzione di almeno il 26% dei diritti di voto nell’altra impresa, ovvero la detenzione da parte della casa-madre di almeno il 26% dei diritti di voto nelle società partecipate; • l’erogazione di finanziamenti ad un’impresa per un ammontare superiore al 51% delle attività detenute dalla impresa finanziata ovvero la concessione di garanzie su più del 10% dell’indebitamento complessivo dell’altra impresa; • più di metà dei consiglieri di amministrazione di una società sono nominati dall’altra società ovvero più di metà dei consiglieri di amministrazione di due società sono nominati dalla stesse persone; • la dipendenza totale da parte di un’impresa dall’utilizzo di diritti di proprietà industriale (marchi, brevetti, etc.) concessi dall’altra; • la fornitura di più del 90% delle materie prime necessarie allo svolgimento dell’attività di un’impresa da parte dell’altra impresa; • in via residuale, ogni interrelazione tra due o più imprese da cui possa emergere che esiste la possibilità di incidere sulle condizioni delle transazioni, tanto da comprometterne l’effettuazione a valori di mercato. Si considera “transazione internazionale” (Sezione 92B), ogni tipo di operazione posta in essere tra due o più imprese associate (tra cui rientrano anche le stabili organizzazioni in India di società non residenti), di cui almeno una non residente in India. Vi rientrano, a titolo esemplificativo, le cessioni, gli acquisti e le locazioni di beni mobili ed immobili, le forniture di servizi, i finanziamenti, gli accordi di ripartizione dei costi per servizi fruiti nell’ambito del gruppo ma i cui costi siano stati sostenuti solo da una o alcune società del gruppo (c.d. cost sharing agreements), ed in generale, ogni transazione che si rifletta sulla determinazione del reddito di un’impresa indiana. Per quanto concerne la determinazione dei prezzi di mercato (Sezione 92C), sono riconosciuti gli stessi metodi previsti nel Rapporto OCSE sui prezzi di trasferimenti del 1995 (The OECD transfer pricing guidelines for multinational enterprises and tax administrations – Report of July 1995 with supplements), tra cui: • il metodo del confronto del prezzo (comparable uncontrolled price method): confronta il prezzo applicato nella transazione in esame con quello di transazioni effettuate da imprese indipendenti su prodotti simili, in condizioni di mercato confrontabili; • il metodo del prezzo di rivendita (resale price method): individua il prezzo di mercato come differenza tra il prezzo di rivendita dei beni/servizi ed il costo di acquisto del fornitore incrementato del margine considerato equo per il settore di attività del fornitore; • il metodo del costo maggiorato (cost plus method): il prezzo di mercato è determinato incrementando tutti i costi diretti ed indiretti sostenuti di un margine appropriato (mark up) in relazione alle condizioni di
mercato e alle funzioni svolte; • i metodi basati sull’utile, tra cui il metodo della ripartizione del profitto (profit split method), ed il metodo della comparazione dei margini netti di contribuzione (transactional net margin method). Oltre ai metodi sopra riportati, conosciuti a livello internazionale, è data facoltà – ad oggi non ancora esercitata - alle autorità fiscali di prescriverne di ulteriori in relazione alle fattispecie concrete. In ogni caso, indipendentemente dal metodo utilizzato, le imprese correlate sono tenute a produrre e conservare per almeno 8 anni dal termine dell’anno di accertamento, idonea documentazione (Sezione 92D) sulle operazioni effettuate (descrizione dei soggetti coinvolti, del gruppo a cui i soggetti appartengono, delle operazioni effettuate, del metodo utilizzato per la determinazione dei prezzi, delle funzioni svolte, documenti utilizzati, e una serie di altri documenti previsti da un apposito raccomandazione legislativa, Rule 10D), oltre ad una relazione di un esperto contabile (Sezione 92E) su apposito modello (prescritto da Rule 10E), suddiviso in due parti: la prima in cui dovrà essere attestato in particolare il controllo contabile sulle transazioni effettuate, e la seconda in cui, invece, vengono fornite tutte le informazioni relative all’operazione. Ogni informazione e documentazione dovrà essere fornita alle autorità competenti entro 30 giorni dalla richiesta, eventualmente prorogabili di ulteriori 30 giorni in circostanze particolari. Sulla base delle informazioni e dei documenti in loro possesso, le autorità competenti potranno rideterminare i prezzi (e conseguentemente il reddito) applicati ad una transazione internazionale tra imprese correlate, qualora: • i prezzi non siano stati determinati secondo il metodo più appropriato • l’impresa non abbia conservato la documentazione richiesta ovvero non l’abbia fornita alle autorità nei tempi prefissati: per tali violazioni è prevista una sanzione pari al 2% del valore dell’operazione effettuata. Qualora, invece, non venga fornita la prescritta relazione dell’esperto contabile, la sanzione è determinata in misura fissa, per un importo pari a INR 100.000; • le informazioni o i dati in base ai quali sono stati determinati i prezzi non risultino corretti. Sull’aggiustamento dei prezzi, che le autorità potranno effettuare solo in caso di scostamenti superiori al 5% rispetto al prezzo applicato tra le parti (come previsto dalla Circolare ministeriale CBDT n. 12 del 23/08/2001), la sanzione potrà variare dal 100% al 300% della rettifica effettuata (Sezione 271). Le sanzioni potranno essere in ogni caso evitate, dimostrando la buona fede del contribuente ovvero l’esistenza di una ragione valida alla base della violazione effettuata. Il contenzioso in materia di transfer pricing è tuttavia destinato a ridursi notevolmente per effetto della recente introduzione nell’Income Tax Act di una apposita procedura (c.d. ruling, o interpello) che consente di definire degli accordi preventivi con il fisco per la determinazione dei prezzi di trasferimento delle transazioni tra imprese correlate (c.d. advance pricing agreement, Sezione 245 dell’ITA). Su richiesta preventiva dei soggetti interessati (principalmente non residenti, ma anche residenti che intendano operano con non residenti) avente ad oggetto questioni specifiche inerenti prezzi applicabili a transazioni internazionali, l’Autorità fiscale, appositamente incaricata di esaminare le domande (Authority for Advance Ruling, AAR), è chiamata a fornire delle risposte, che saranno vincolanti sia per il contribuente che per il fisco stesso.
Sotto Capitolo n. 12.7 La disciplina fiscale sui gruppi e le riorganizzazioni societarie
L’ordinamento tributario indiano non prevede un sistema di consolidamento degli imponibili fiscali a livello di gruppo, né una normativa sulle società estere controllate residenti in paradisi fiscali (c.d. normativa CFC). Si evidenzia, tuttavia, che il gruppo di lavoro, istituito recentemente dal Governo indiano, per analizzare il sistema di tassazione dei soggetti non residenti, considerando come l’economia indiana si stia progressivamente integrando in un mercato sempre più globale, ha evidenziato l’opportunità, per dare impulso al processo di sviluppo e di integrazione, di introdurre anche in India alcune disposizioni fiscali, ben note e diffuse nelle economie più progredite, tra cui: una normativa CFC, delle regole finalizzate ad evitare la sottocapitalizzazione delle imprese e l’eccessivo ricorso all'indebitamento, principalmente da parte di soggetti correlati all’impresa (c.d. thin capitalization rules), e delle disposizioni antielusive. Di rilievo per la pianificazione fiscale nell’ambito dei gruppi societari, è invece la possibilità, nel rispetto di alcune condizioni principalmente volte a garantire la continuità dell’attività svolta e dei valori trasferiti, di effettuare, in neutralità fiscale ai fini dell’imposizione diretta, talune operazioni di riorganizzazione societaria, tra le quali: • il trasferimento di beni tra società indiane, di cui l’una controlli al 100% l’altra; • operazioni di fusione e scissione interne; • la fusione tra due società estere, di cui una detenga partecipazioni in società indiane che, al termine della fusione, risultino giuridicamente detenute dall’altra società: in tal caso, affinché l’operazione possa essere fiscalmente neutra in India, è necessario che (i) almeno il 25% degli azionisti della società che deteneva, ante-fusione, la partecipazione nella società indiana, partecipi anche alla società risultante post-fusione e (ii) il trasferimento della partecipazione nella società indiana non sia fiscalmente rilevante nello Stato estero in cui la società fusa o incorporata è stata costituita. Una disposizione simile è prevista nelle ipotesi di scissione, per le quali è tuttavia richiesta che tanti soci che rappresentino almeno il 75% del capitale sociale della scissa siano soci anche nella beneficiaria. Si evidenzia, infine, che, oltre alle condizioni sopra indicate, la neutralità fiscale delle operazioni di riorganizzazione societaria è subordinata al rispetto di ulteriori requisiti, tra cui la detenzione delle “nuove” partecipazioni acquisite per determinati periodi di tempo.
Sotto Capitolo n. 12.8 Adempimenti formali e sostanziali
12.8.1. Procedura di registrazione presso le autorit à fiscali Per poter essere assoggettato all’imposizione sui redditi prodotti, ogni soggetto residente in India deve ottenere un numero identificativo (Permanent Account Number - PAN), composto da dieci caratteri alfanumerici. Tale numero svolge la funzione di identificare il contribuente, che è quindi tenuto ad indicarlo in ogni dichiarazione, pagamento o altro specifico rapporto che intercorre tra lo stesso e le autorità fiscali. In base a quanto disposto dalla Sezione 139 A, ITA, sono tenuti a fornirsi di tale numero identificativo: • tutti i soggetti che conseguano un reddito complessivo superiore all’importo sotto il quale si è esentati dall’imposta; • tutti i soggetti che svolgano attività d’affari o lavoro autonomo e il cui fatturato sia superiore a INR 500.000; • tutti gli altri soggetti a cui sia richiesta la presentazione di una dichiarazione dei redditi in base alla Sezione 139, ITA. Per ottenere il PAN, è necessario farne espressa richiesta, mediante presentazione di un apposito modulo (Form. n. 49A) al competente ufficio dell’Amministrazione Finanziaria. Coloro che non abbiano ricevuto il codice identificativo prima della presentazione della dichiarazione dei redditi, potranno allegare alla stessa il modulo di richiesta. Per ottenere il PAN, una società, nella compilazione del modulo di richiesta, è tenuta ad indicare: • data di costituzione; • numero di registrazione presso il Registro delle imprese indiano (Registrar); • data di inizio attività; • nome completo di almeno due amministratori; • altre generalità identificative e indirizzo delle filiali della società. Oltre al PAN, alle società residenti che operino ritenute alla fonte sui pagamenti effettuati a favore di terzi (residenti o non), viene attribuito un altro codice, che identifica espressamente i sostituti d’imposta (Tax Account Number - TAN). 12.8.2. Dichiarazione e liquidazione dell ’imposta Il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi è fissato al 31 ottobre di ogni periodo di accertamento. Per quanto concerne, invece, i termini per il versamento dell’imposta, durante il periodo fiscale di riferimento (previous year), il contribuente è tenuto a versare degli acconti d’imposta, da determinare utilizzando un criterio previsionale, ossia in relazione al reddito che si presume di produrre nel periodo d’imposta in corso. L’ammontare dell’acconto complessivo, generalmente pari al carico fiscale sul reddito stimato, dovrà essere versato in quattro rate di importo variabile alle scadenze indicate nella tabella che segue: Scadenza 15 giugno 15 settembre 15 dicembre 15 marzo
Rate degli acconti d’imposta 15% dell’acconto complessivo 30% dell’acconto complessivo 30% dell’acconto complessivo 25% dell’acconto complessivo
Poiché l’unico criterio previsto per la determinazione degli acconti è quello previsionale, gli importi versati potrebbero risultare superiori o inferiori rispetto al carico fiscale effettivamente dovuto per il periodo
d’imposta e determinabile con certezza solo al termine dello stesso. Nei due casi (acconti superiori o inferiori) è previsto alternativamente quanto segue: • acconto superiore all’imposta definitiva: lo Stato è tenuto a rimborsare l’eccedenza d’imposta versata. Inoltre, qualora detta eccedenza sia superiore al 10% dell’imposta definitiva, sulla stessa maturerà anche un interesse mensile semplice dell’1%, che dovrà essere corrisposto dallo Stato a decorrere dal 1° aprile del periodo di accertamento (assessment year) sino alla data dell’effettivo rimborso; • acconto inferiore all’imposta definitiva: il contribuente dovrà versare quanto ancora dovuto, e, qualora gli acconti versati siano inferiori al 90% dell’imposta definitiva, anche gli interessi, calcolati ad un tasso mensile del 2% a decorrere dal 1° aprile del periodo di accertamento. 12.8.3. Accertamento e sanzioni Ad avvenuta presentazione della dichiarazione dei redditi nei modi e nei tempi stabiliti o in caso di mancata presentazione, la competente autorità fiscale potrà iniziare l’attività di accertamento (nelle diverse forme previste in varie Sezioni dell’ITA, tra cui Sezioni 140 A, 142, 143, 144, da 147 a 153, 158 B-BH) ed effettuare i relativi controlli, senza dover richiedere ulteriore documentazione, se non necessaria, e senza la presenza fisica del contribuente. Qualora vengano riscontrate delle violazioni agli obblighi di versamento o ad alcuna delle disposizioni dell’ITA, le autorità fiscali potranno comminare sanzioni, previste in misura variabile in relazione alla gravità dell’inadempimento. Tra i comportamenti sanzionabili rientrano, ad esempio, i seguenti: • mancata registrazione presso le autorità fiscali (assenza di PAN); • mancata applicazione di ritenuta alla fonte nei casi e nei modi prescritti: in tal caso, il sostituto d’imposta non potrà dedurre la somma non assoggettata a ritenuta; • inesatta o incompleta tenuta dei libri contabili: è prevista una sanzione variabile tra un minimo di 2.000 INR ed un massimo di 100.000 INR; • presentazione di una dichiarazione inesatta o incompleta: sono previste sanzioni fino a 25.000 INR; • mancata presentazione della dichiarazione o occultamento di redditi; le sanzioni possono giungere sino al 300% dell'imposta evasa; • mancato o errato invio di informazioni/documentazioni richieste: sono previste sanzioni pari a 100 INR per ogni giorno di ritardo nell’invio dei documenti richiesti. Il rifiuto di rispondere o di comparire a seguito di esplicita richiesta è passibile di sanzioni comprese tra 500 e 10.000 INR in base alla gravità della violazione. Infine, in ogni caso di mancato versamento delle somme richieste dall’amministrazione finanziaria (imposte a saldo, interessi e sanzioni) entro 30 giorni dal ricevimento dell’avviso di accertamento/liquidazione, su tali somme decorreranno interessi al tasso mensile dell’1,5%.
Capitolo n. 13 Aspetti di fiscalità internazionale
Tra le verifiche preliminari che un’impresa italiana, interessata ad espandersi nel mercato indiano, è chiamata a svolgere, un posto di primissimo piano è senza dubbio occupato dall’analisi delle disposizioni previste dall’ordinamento tributario italiano che in qualche modo limitano o comunque condizionano i rapporti commerciali con i soggetti residenti in paesi aventi una fiscalità privilegiata. Ci si riferisce alla disciplina sulle Controlled Foreign Companies (artt. 167 e 168 del DPR. 917/86, che prevedono l’imputazione per trasparenza al soggetto partecipante italiano, con specifiche modalità, dei redditi prodotti da società estere controllate o partecipate per più del 20%, qualora esse siano residenti in “paradisi fiscali”, appositamente individuati dal D.M. 21/11/2001 – c.d. black list CFC) e alla norma (art. 110, commi 10-12 DPR. 917/86) che preclude, fatte salve specifiche esimenti, la possibilità di dedurre i costi derivanti da operazioni intercorse con soggetti residenti in “paradisi fiscali”, posti al di fuori della Comunità Europea, anch’essi individuati da apposito decreto (D.M. 23/01/2002). L’India non è inclusa in nessuna delle due liste citate, per cui non sarà in alcun modo applicabile né la normativa CFC, né il regime di indeducibilità dei costi. L’India risulta, invece, inclusa tra i Paesi con cui l’Italia scambia informazioni in virtù di una convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni sui redditi (c.d. white list, contenuta nel D.M. 04/09/1996), fattore quest’ultimo che non può che contribuire allo sviluppo delle interrelazioni tra i due Stati.
Sotto Capitolo n. 13.1 I trattati in vigore contro le doppie imposizioni sui redditi
L’India ha stipulato, con numerosi paesi, trattati bilaterali contro la doppia imposizione sui redditi, finalizzati principalmente a stabilire delle regole condivise per l’individuazione dello Stato a cui spetta (in via esclusiva o concorrente con l’altro Stato contraente) la potestà impositiva su diverse tipologie reddituali. Il rapporto tra la normativa interna indiana e le disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali è stato recentemente ribadito da una sentenza della Corte Suprema Indiana (n. 265 ITR 654 del 26/05/2004, Commissioner of Income Tax contro P.V.A.L. Kulandang Chettiar e altri), che ha riaffermato il principio della prevalenza della disposizione convenzionale rispetto alla norma interna, in caso di conflitto tra le due, a meno che la normativa interna non risulti più favorevole al contribuente (conformemente a quanto previsto negli ordinamenti tributari occidentali e nella normativa italiana all’art. 169 del DPR. 917/86). I trattati stipulati dall’India, alcuni dei quali non ancora in vigore perché in attesa degli strumenti di ratifica, sono i seguenti: Armenia (**) Australia Austria Azerbaijan Bangladesh Belgio Bielorussia Brasile Bulgaria Canada Ceca Cina Cipro Corea del Sud Danimarca Egitto Emirati Arabi Uniti Filippine
Finlandia Francia Georgia Germania Giappone Giordania Grecia Indonesia Irlanda Israele Italia Kazakhstan Kenia Kyrgichistan Libia Malesia (in vigore 01/01/2004) Malta Marocco
Mauritius Mongolia Namibia (*) Nepal Norvegia Nuova Zelanda Olanda Oman Polonia Portogallo Qatar Regno Unito Romania Russia Singapore
Sri Lanka Sudafrica Svezia Svizzera Tajikistan Tanzania Thailandia Trinidad e Tobago Turchia Turkmenistan Ucraina Uganda (***) Ungheria USA Uzbekistan
Siria
Vietnam
Slovacchia Spagna
Zambia
(*) Trattato firmato ma non ancora in vigore (**) Il nuovo trattato, firmato il 31/12/2003, che andrà a sostituire quello effettivo dal 1° gennaio 1990, deve ancora entrare in vigore. (***) In India, il trattato, firmato il 30/04/2004, sarà applicabile dal 01/04/2005, mentre in Uganda dal 01/07/2005
Oltre ai trattati bilaterali conclusi con i paesi sopraindicati, da alcuni mesi si sta discutendo sull’introduzione di una convenzione multilaterale contro le doppie imposizione sul reddito con alcuni Paesi dell’Area del sud-asiatico, che dovrebbe coinvolgere India, Bangladesh, Buthan, Maldive, Nepal, Pakistan, e Sri Lanka (South Asia Association for Regional Cooperation – SAARC). A tal proposito, nel mese di ottobre 2004, si è tenuto a Kathmandu, in Nepal, un incontro di tre giorni tra i ministeri competenti dei Paesi interessati, durante il quale è stata sottolineata l’importanza di uno strumento multilaterale per incentivare lo sviluppo delle attività economiche all’interno dei paesi coinvolti, che potrebbero beneficiare, in forza dell’accordo, di ritenute alla fonte più contenute ed uniformi su dividendi, interessi e royalties. Infine, per completezza, si segnala che l’India ha stipulato anche degli accordi volti a disciplinare i casi di doppia imposizione con esclusivo riferimento ai redditi derivanti da trasporti aerei e marittimi, sui quali è generalmente previsto che il potere impositivo spetti al Paese in cui l’operatore è residente. Tali accordi sono stati siglati con: Afghanistan, Bulgaria, Etiopia, Iran, Kuwait, Libano, Oman, Russia, Svizzera, Usa e Yemen
Sotto Capitolo n. 13.2 La Convenzione Italia – India contro le doppie imposizioni sul reddito
Il trattato contro le doppie imposizioni sui redditi tra l’ Italia e l’India, firmato il 19/02/1993, e ratificato in Italia dalla Legge 14/07/1995, n. 319 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 178 del 01/08/1995, supplemento ordinario n. 95) è in vigore dal 23/11/1995. Si analizza di seguito il regime previsto dal trattato per le tipologie reddituali più comuni: Redditi immobiliari (art. 6): i redditi ottenuti dal residente di uno Stato contraente da immobili (inclusi i redditi derivanti dall’esercizio di imprese agricole e forestali) situati nell’altro Stato contraente sono imponibili nello Stato della fonte, ossia nello Stato nel quale sono ubicati gli immobili. Per “beni immobili” si intendono, oltre a quelli definiti come tali in conformità alle leggi dello Stato in cui sono situati, gli accessori, le scorte morte o vive delle imprese agricole e forestali, l’usufrutto di beni immobili e i diritti relativi a canoni variabili o fissi per lo sfruttamento o la concessione dello sfruttamento di giacimenti minerari, sorgenti od altre ricchezze del suolo. Sono, inoltre, considerati beni immobili, le navi, i battelli e gli aeromobili. Tra i redditi immobiliari sono infine compresi quelli derivanti dall’uso diretto, dalla locazione o dall’affitto, e da qualunque altra forma di utilizzo di un immobile. Redditi di impresa (art. 7): gli utili di un’impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in questo Stato (Stato della residenza). Tuttavia, se l’impresa svolge attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione, gli utili dell'impresa saranno imponibili nell’altro Stato (Stato della fonte), a condizione che essi siano attribuibili (i) alla stabile organizzazione; (ii), alle vendite, effettuate nell’altro Stato, di merci aventi la stessa o analoga natura di quelle vendute dalla stabile organizzazione; (iii) ad altre attività d’impresa svolte nell’altro Stato, simile a quelle svolte dalla stabile organizzazione. In ogni caso, se non è possibile determinare l’esatto ammontare degli utili attribuibili alla stabile organizzazione o se tale determinazione presenta particolari difficoltà, è sufficiente utilizzare un criterio ragionevole di ripartizione dell’utile complessivo tra casa-madre e stabile organizzazione. E’ tuttavia richiesto che il calcolo degli utili da attribuire alla stabile organizzazione venga effettuato con lo stesso metodo, a meno che non esistano validi motivi per una modifica della metodologia prescelta in origine. Si evidenzia, infine, che, come previsto nel modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi, nella determinazione dell’utile della stabile organizzazione si potrà tenere conto di tutte le spese per lo svolgimento dell’attività industriale/commerciale, ivi incluse le spese di direzione e le spese generali di amministrazione sostenute sia nello Stato in cui è situata la stabile organizzazione, che altrove. Dividendi (art. 11): i dividendi distribuiti da una società residente in uno Stato contraente a un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili nello Stato del percettore (Stato della residenza). Tuttavia, i dividendi possono essere tassati anche nello Stato della fonte (ossia nello Stato nel quale risiede la società erogante), secondo la legislazione di tale Stato, ma, se la persona che percepisce i dividendi ne è l’effettivo beneficiario, l'imposta applicata non potrà eccedere: • il 15% dell’ammontare lordo dei dividendi se il beneficiario è una società che detiene almeno il 10% delle azioni della società che corrisponde i dividendi; • il 25% dell’ammontare lordo dei dividendi in tutti gli altri casi. Interessi (art. 12): gli interessi provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in entrambi gli stati contraenti. Tuttavia, è previsto che l’imposta applicabile da uno Stato contraente sugli interessi provenienti da detto Stato (Stato della fonte) e pagati ad un residente dell’altro Stato contraente in relazione a prestiti o debiti, non possa eccedere il 15% dell'ammontare lordo di tali interessi.
In ogni caso, gli interessi sono esenti da imposizione nello Stato della fonte, se: • il debitore è il Governo di detto Stato contraente o un suo Ente locale; • gli interessi sono pagati ad Enti ed Organismi (compresi gli Istituti finanziari) che possono essere a tal fine concordati dai due Stati contraenti. Canoni (Royalties) e corrispettivi per servizi tecnici (art. 13): i canoni e i corrispettivi per servizi tecnici provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato (Stato della residenza). Detti canoni e corrispettivi per servizi tecnici possono essere anche tassati nello Stato contraente dal quale essi provengono ed in conformità della legislazione di detto Stato, ma se il percettore è il beneficiario effettivo di detti canoni/corrispettivi, l’imposta applicata nello Stato della fonte non potrà essere superiore al 20% dell’ammontare lordo di quanto corrisposto. Utili da capitale (Capital gain) (art. 14): gli utili che un residente di uno Stato contraente ritrae dall’alienazione di beni immobili, così come definiti dall’art. 6 della convenzione, situati nell’altro Stato contraente, sono imponibili nello Stato in cui sono situati gli immobili. Poiché la convenzione non attribuisce potestà impositiva esclusiva allo Stato della fonte, la tassazione dei proventi derivanti dalla cessione di immobili sarà in ogni caso possibile anche nel Paese di residenza del percettore, in base alla disciplina ivi prevista, con la possibilità di evitare la doppia imposizione utilizzando il metodo previsto dall’art. 24 della Convenzione, ossia la fruizione di un credito per le imposte pagate all’estero sino all’ammontare dell’imposta dovuta nel paese di residenza su quel reddito prodotto all’estero. Per quanto concerne gli utili derivanti dall’alienazione di navi o aeromobili utilizzati per il traffico internazionale nonché dalla cessione di beni mobili relativi alla gestione di tali navi o aeromobili, la convenzione prevede che essi siano imponibili nello Stato in cui si trova la sede della direzione effettiva dell’impresa. Per gli utili provenienti dalla cessione di partecipazioni societarie è previsto quanto segue: • qualora la società partecipata – che pertanto potrà essere residente anche in uno Stato terzo rispetto a India e Italia, nel qual caso dovranno essere considerate anche le previsioni della eventuale convenzione stipulata tra detto Stato terzo e lo Stato di residenza dell’alienante - abbia un patrimonio costituito principalmente da immobili situati in uno dei due Stati contraenti, i capital gain derivanti dal trasferimento di detta partecipazione saranno imponibili (anche se non in via esclusiva) nello Stato in cui sono situati gli immobili; • nei casi diversi dal precedente, il potere impositivo (anche se non esclusivo) spetterà al paese di residenza della società partecipata. Gli utili provenienti dall’alienazione di ogni altro bene diverso da quelli sopra indicati sono invece imponibili esclusivamente nello Stato di residenza dell’alienante. In conclusione, si ricorda che le disposizioni convenzionali su dividendi, interessi, canoni e capital gain, non si applicano nel caso in cui il percettore eserciti nell’altro Stato contraente (Stato della fonte) un'attività commerciale o industriale o una libera professione tramite una stabile organizzazione ed il diritto o il bene, che genera i proventi, si ricolleghi all’attività ivi esercitata; in tal caso la potestà impositiva spetta all’altro Stato contraente secondo la propria legislazione interna. Infine, si rileva la presenza di una disposizione di notevole interessante nella Convenzione Italia - India, contenuta all’art. 24, comma 4, lett. b (c.d. clausola del matching credit), che consente di trasferire nello Stato di residenza del percettore del reddito (es.: Italia) eventuali agevolazioni previste dalla legislazione interna dello Stato da cui quel reddito proviene (es.: India): la norma prevede che “quando l’imposta sugli utili delle imprese, sui dividendi, sugli interessi, sui canoni o sui compensi per servizi tecnici provenienti da uno Stato contraente non è prelevata in tutto o in parte ai sensi della legislazione fiscale di detto Stato, tale imposta non prelevata in tutto o in parte si considera pagata”.
Sotto Capitolo n. 13.3 Il credito per le imposte assolte all’estero
La concessione di un credito, da utilizzare per ridurre il carico fiscale in territorio indiano, per le imposte assolte all'estero sui redditi ivi prodotti costituisce una misura unilaterale prevista dalla normativa interna indiana per i soggetti residenti, applicabile qualora i redditi provengano da Paesi con i quali non siano in vigore convenzioni contro le doppie imposizioni. La misura massima di tale credito non potrà tuttavia eccedere l’imposta dovuta in India su quella tipologia di reddito, prodotto all’estero ma tassabile anche in India, per effetto dell’applicazione ai residenti del principio worldwide taxation (meccanismo analogo a quello previsto nell’ordinamento italiano all’art. 165, DPR. 917/86). Nel caso, invece, in cui i redditi provengano da paesi con i quali siano stati stipulati dei trattati bilaterali (cfr. par. 13.1.), i meccanismi per evitare la doppia imposizione sono stabiliti negli stessi trattati, che possono essere suddivisi tra: • trattati che prevedono il c.d. “metodo dell’esenzione”, in base al quale i redditi che possono essere tassati in un paese saranno esentati nell’altro paese, pur potendo essere in ogni caso considerati ai fini della determinazione delle aliquote, laddove previsto dalle leggi interne (es: trattati con l’Austria, il Belgio, la Danimarca, l’Ungheria e la Svezia); • trattati che prevedono il c.d. “metodo del credito d’imposta”: tra questi, vi sono, ad esempio, le convezioni con il Canada, la Germania, la Finlandia, la Francia, l’Indonesia, l’Italia, il Giappone, il Kenya, la Corea, la Libia,la Malaysia, le Mauritius, la Nuova Zelanda, la Norvegia, Singapore, lo Sri Lanka, la Siria, la Tanzania, la Thailandia ed il Regno Unito.
Capitolo n. 14 Altre principali imposte
Sotto Capitolo n. 14.1 Imposta patrimoniale
E’ prevista l’applicazione di una imposta patrimoniale (wealth tax), istituita dal Wealth tax Act del 1957, se il valore di determinati beni posseduti supera INR 1.500.000. Tale imposta colpisce la detenzione, a titolo di proprietà, di beni quali case residenziali, macchine, yachts, navi, aeromobili, proprietà urbane, gioielli, metalli preziosi, somme di denaro eccedenti INR 50.000, ed ogni altro bene non utilizzato per l’esercizio di un’attività d’impresa. Soggetti passivi d’imposta sono, quindi, principalmente le persone fisiche residenti ed i soggetti non residenti: l’imposta può tuttavia essere applicata anche alle società residenti sui beni (in particolare edifici e veicoli) non utilizzati nell’attività d’impresa. Per i soggetti residenti, rilevano i beni ovunque detenuti, mentre per i non residenti rilevano esclusivamente i beni situati in India, in base rispettivamente ai due criteri, della worldwide taxation e della sourced based taxation. E’ in ogni caso previsto che i beni acquistati a scopo di rivendita e quelli concessi in locazione non scontino l’imposta, così come sono esclusi da imposizione i beni produttivi di reddito, incluse le partecipazioni e i depositi bancari. Sono inoltre previste alcune ipotesi di esclusione soggettiva dall’applicazione dell’imposta ed alcune esenzioni su certe tipologie di beni, tra i quali: • le abitazioni residenziali detenute dal datore di lavoro e concesse a dipendenti o amministratori, che guadagnino meno di INR 500.000 all’anno; • i beni immobili detenuti da più di 10 anni. Per quanto concerne la base imponibile, essa è costituita dalla somma del valore dei beni, rilevanti ai fini dell’imposta, a cui devono essere sottratti i debiti che siano garantiti dai beni stessi o contratti per il loro acquisto. L’aliquota dell’imposta patrimoniale è pari all’1% e viene applicata sulla base imponibile eccedente INR 1.500.000, calcolata il 31 marzo precedente l’anno di accertamento.
Sotto Capitolo n. 14.2 Verso l’introduzione dell’imposta sul valore aggiunto
14.2.1. Premessa Prima di illustrare la disciplina delle principali imposte indirette applicabili in India, pare opportuno evidenziare la mancanza, a tutt’oggi, di un’imposta sul valore aggiunto, parificabile all’omonimo tributo che, nella maggior parte degli ordinamenti tributari occidentali, colpisce le cessioni di beni, le prestazioni di servizi e le importazioni, effettuate nell'esercizio di imprese o professioni. Da alcuni anni, oramai, si sta discutendo di una possibile introduzione dell’IVA a livello centrale, ma il Governo sta continuando di anno in anno, dal 2001 ad oggi, a procrastinarne la data di entrata in vigore. Di recente, tuttavia, in base a quanto riferito dal Ministro delle finanze indiano nello scorso mese di dicembre 2004, la maggioranza dei Governi della Confederazione indiana sembra aver raggiunto un’intesa di massima per la definitiva implementazione dell’IVA in tutto il paese. Secondo il piano di introduzione, che ha ottenuto l’approvazione di 26 su 29 Ministri rappresentanti i Governi della Confederazione indiana, la nuova imposta dovrebbe entrare in vigore dal 1° aprile del 2005, in sostituzione dei singoli sistemi interni di imposizione generale sulle vendite (c.d. Imposta sulle vendite) e con aliquote d’imposta che potrebbero quindi anche essere diverse nei singoli Stati, nonostante l’impegno di tutti ad armonizzarne la disciplina. In ogni caso, almeno inizialmente, la nuova IVA dovrebbe colpire solo i trasferimenti di beni, lasciando fuori dalla base imponibile le prestazioni di servizi, sulle quali si continuerebbe quindi ad applicare l’imposta sui servizi (cfr. par. 14.6.). A seguito di tale innovazione storica, che dovrebbe portare con sé una semplificazione delle vigenti procedure di riscossione, il Ministro delle Finanze ha auspicato un aumento degli scambi commerciali nonché una riduzione dell’evasione fiscale, con conseguente incremento delle entrate. 14.2.2. Il Libro Bianco L’implementazione dell’IVA in India, a partire dall’aprile 2005, è demandata al “Libro Bianco” pubblicato lo scorso 17 gennaio 2005, il quale contiene le linee guida (road map) da seguire per l’effettiva applicazione di tale imposta. Da più parti, tuttavia, l’introduzione dell’Iva viene considerata come un azzardo in quanto si ritiene che il sistema non sia pronto a recepire tale nuova imposta, che nelle intenzioni governative dovrebbe avere il compito di riequilibrare l’economia e risanare i conti pubblici. I punti salienti che si possono estrapolare dal “Libro Bianco” e che possono fornire una prima idea di come sarà strutturata tale nuova imposta vengono di seguito elencati: • l’Iva sarà applicata su circa 550 tipi di merci usualmente commercializzate all’interno del territorio indiano; • si prevede, almeno inizialmente, un’esenzione da imposta per 46 tipi di beni, quali ad esempio: biglietti delle lotterie, bevande alcoliche, alcune categorie di prodotti energetici (es. motori diesel e settore aereo); • saranno inizialmente previste tre misure di aliquote, nello specifico: (i) 4% sui prodotti considerati di primaria importanza per i cittadini (medicine, beni agricoli e industriali); (ii) 1% su oro, argento e pietre preziose; (iii) 12,5% sugli altri beni; • i soggetti che non raggiungano un fatturato annuo di 5.000 INR saranno esentati dall’imposta, con possibilità dei singoli Stati della Federazione indiana di ridurre ulteriormente tale limite; • i soggetti che presentano un fatturato compreso tra le 5.000 INR e le 50.000 INR avranno la facoltà di avvalersi di un sistema di liquidazione dell’imposta semplificato: l’imposta verrà calcolata applicando un’aliquota predeterminata al fatturato raggiunto dal soggetto, il quale, tuttavia, a seguito della determinazione forfetaria dell’IVA, non potrà detrarre l’Iva sugli acquisti. Se dall’applicazione dell’imposta in maniera forfetaria dovesse emergere un importo a debito maggiore rispetto a quello che si sarebbe determinato con la metodologia ordinaria di detrazione dell’IVA a credito dall’IVA a debito, il contribuente non potrà avanzare alcuna pretesa. Sembra dunque opportuno considerare attentamente la convenienza di tale opzione prima di aderirvi;
• sulle esportazioni e le vendite effettuate dalle Zone Economiche Speciali (SEZ) si applica un’aliquota pari a zero (operazione non imponibile), ed è previsto che il Governo rimborsi l’IVA a credito maturata sugli acquisti, entro 3 mesi; • il credito IVA derivante dall’acquisto di materie prime e beni può essere compensato con l’IVA a debito che sorge in conseguenza di vendite all’interno dello stato stesso o tra lo stato stesso e altro stato. L’introduzione dell’IVA dovrebbe comunque comportare molteplici vantaggi, tra i quali, il più immediato ed evidente, è quello di eliminare una moltitudine di imposte e tasse gestite a livello statale, spesso disomogenee e dannose rispetto all'obiettivo del raggiungimento di uno sviluppo armonioso ed equilibrato del sistema produttivo e commerciale indiano. Particolare menzione merita senz’altro l’abolizione dell’Imposta sulla vendita di beni mobili (di cui si dirà al successivo paragrafo 14.5.) che sarà progressivamente attuata a far data dal 1° aprile 2005. In tale caso l’IVA, sostituendosi all'imposta sulle vendite, andrà a semplificare notevolmente procedure ed adempimenti dei vari operatori, oggi ancora costretti a gestire una serie di aliquote, che si applicano in misura variabile tra l’1% ed il 25%, e a far fronte a continue liti e pendenze concernenti la categoria a cui devono essere ricondotte le varie merci, dal momento che aliquote e categorie possono variare da stato in stato. Con l’introduzione dell’IVA, invece, le aliquote saranno ridotte a tre soltanto, con conseguente snellimento delle procedure, ed aumenterà anche la trasparenza nelle transazioni commerciali, dal momento che l’IVA, a differenza dell’imposta sulle vendite di beni mobili la cui applicazione è limitata ad un solo stadio del ciclo commerciale (solitamente all’inizio o alla fine), verrà assolta ad ogni passaggio del bene o della merce, in tal modo consentendo di conoscere l’esatto importo dell’imposta gravante sulla merce ad ogni stadio di commercializzazione. Allo scopo di individuare il quadro dei principali cambiamenti che seguiranno l’introduzione dell’IVA, nel seguente schema riassuntivo si elencano e contrappongono i principali vantaggi e svantaggi conseguenti alla nuova imposta:
PRINCIPALI EFFETTI DELL'INTRODUZIONE DELL'IVA Vantaggi Svantaggi L'IVA dovrebbe avvantaggiare gli operatori registrati, a discapito di coloro che non Sarà necessario automatizzare le procedure di contabilità e tenuta libri contabili a operano regolarmente seguito dell’accresciuta complessità delle operazioni (registrazione degli acquisti) Vi sarà uniformità di tassazione tra Stato e Stato Si avrà un leggero innalzamento delle aliquote d’imposta L’iniziale incertezza della legge e delle procedure causeranno confusione e un aument L'IVA renderà più semplice ed omogenea per gli operatori la classificazione delle merci dei costi di riscossione dell’imposta (tuttavia dovrebbe essere una situazione solo temporanea) Se si importa merce da altro stato dell’India non si avrà diritto al credito IVA, con un Gli operatori potranno beneficiare di un credito pari all’imposta assolta sugli acquisti, a conseguente incremento del costo degli acquisti tra Stati diversi. Inoltre, ogni acquisto di merce dovrà essere registrato, mentre l’attuale sistema dell’Imposta sulla vendita di condizione che possiedano e conservino le relative fatture di acquisto beni prevede solo la registrazione delle vendite L’IVA viene applicata solo alle cessioni di beni e non alle prestazioni di servizi: si Meccanismo di autoliquidazione dell’imposta, mentre la determinazione delle imposte possono immaginare quindi i disagi che dovrà affrontare un operatore che fornisca sia previdenti era demandata ad un funzionario dell’ufficio delle imposte, in base alle beni che servizi e si trovi assoggettato a due imposte diverse (IVA e imposta sui serviz dichiarazioni fornite dal contribuente in un apposito modello di dichiarazione e non compensabili tra di loro
14.2.3. Adempimenti formali L’introduzione dell’IVA comporterà la necessità di predisporre dei registri atti alla registrazione delle fatture di acquisto e di vendita; dalla differenza tra IVA a debito e IVA a credito che emergerà dalle fatture registrate si determinerà l’imposta da liquidare. Le liquidazioni dovranno essere effettuate mensilmente o trimestralmente, salvo poi presentare una dichiarazione riepilogativa alla fine del periodo. Registro delle Fatture di Acquisto In tale registro vanno raccolte ordinatamente tutte le fatture di acquisto riferibili ad un determinato periodo, tenendo separate le fatture emesse da soggetti regolarmente registrati (soggetti passivi IVA) da quelle emesse invece da soggetti non registrati. Per ognuno dei fornitori (registrati o meno) bisognerà comunque indicare: • il valore totale degli acquisti, cioè il prezzo della merce incrementato dell’Iva relativa; • il valore degli acquisti al netto dell’IVA; • la base imponibile su cui si è calcolata l’IVA a credito. Il registro dovrà inoltre riportare: • i beni di consumo per cui non è riconosciuta la detrazione dell’IVA sugli acquisti; • le importazioni e gli acquisti di beni da altri stati; • la registrazione separata dei beni a cui vengono applicate aliquote IVA differenziate.
Fatture di Vendita e registro Analogamente al registro deglia acquisti, anche in quello delle vendite vanno registrate ordinatamente le fatture di vendita, con l’indicazione del valore complessivo delle vendite di beni effettuate, comprensivo di IVA, del valore netto e della base imponibile su cui è stata calcolata l’Iva a debito. Inoltre, dovranno essere indicate le esportazioni e le vendite effettuate verso altri stati e beni cui vengno applicate aliquote IVA differenziate. Naturalmente, sia le fatture di acquisto che quelle di vendita dovranno essere debitamente conservate. Per quanto concerne la compilazione delle fatture di vendita, esse dovranno essere numerate e contenere, tra gli altri, i seguenti elementi: • l’indicazione del tipo di bene oggetto di cessione, al fine di stabilire se trattasi di operazione esente, imponibile o non imponibile; • il TIN (Tax Identification Number), unitamente al nome e all’indirizzo, del venditore; • il luogo e la data in cui avviene la vendita; • un riepilogo dei singoli beni oggetto di vendita con indicazione dell’IVA applicabile ad ognuno di essi nonché il totale.
Sotto Capitolo n. 14.3 Imposta di fabbricazione
L’imposta di fabbricazione (Excise Duty o CENtral Value Added Tax - CENVAT), regolata nei suoi aspetti caratteristici, dal Central Excise Act del 1944 e, per quanto concerne le aliquote, dal Central Excise Tariff Act del 1985, oltre che da numerose disposizioni attuative spesso oggetto di modifiche ed integrazioni (Central Excise Rules), rappresenta la principale fonte di gettito nel settore della fiscalità indiretta (come emerge dal Mid-Year Review del Ministero delle Finanze indiano, di dicembre 2004). Si tratta di un tributo che colpisce la produzione di beni (dalle merci ai prodotti finiti) all’interno del paese, fatta eccezione per quelle fabbricate in Zone Economiche Speciali o in altre aree agevolate. Per “produzione”, si intende generalmente la creazione di un nuovo bene che possa essere identificabile, abbia caratteristiche distinguibili, possa essere impiegato in determinati usi e abbia caratteristiche di commercialità. Possono tuttavia rientrare nel campo applicativo del tributo, anche i nuovi processi produttivi che consentono di migliorare la commerciabilità dei prodotti (es: un nuovo metodo per confezionare la merce, importata in contenitori non adatti alla vendita, etc.). L’imposta, applicata dal produttore al momento in cui la merce esce dal magazzino, viene applicata o sul prezzo all'ingrosso dei beni prodotti e venduti (criterio ad valorem), ovvero in relazione alla quantità o al peso dei beni prodotti. Tuttavia, per limitare l’incidenza dell’imposta su quei beni che attraversano diversi stadi di trasformazione prima di diventare prodotti finiti (ossia vengono di fatto utilizzati come materiale per fabbricare altri beni), è previsto un meccanismo che consente di detrarre l’imposta di fabbricazione applicata sui beni acquistati dall’imposta dovuta sui prodotti finiti che derivino dall’utilizzo di quei beni. Alle tre aliquote dell’8%, 16%, e 24% in relazione alle diverse tipologie di beni, applicabili sino al 2000/2001, si è ora sostituita una sola aliquota ordinaria del 16%, che conformemente a quanto stabilito nel Budget 2004/2005, va incrementata di una addizionale (c.d. education cess) del 2%: l’aliquota effettiva risulta quindi pari al 16,32% (16% + 2%x16%). Sono tuttavia previste, per determinati prodotti, delle aliquote differenziate (sia maggiorate che ridotte rispetto alla misura ordinaria), di cui si elencano di seguito quelle previste nel Budget 2004/2005: • riduzione dell’aliquota dal 16% all’8% (effettivo 8,16%) sui prodotti derivanti dalle lavorazione della carne, del pollame, e del pesce; • applicazione dell’aliquota ordinaria anche sulla produzione di lenti a contatto e carte da gioco; • applicazione di una aliquota del 12% - effettivo 12,24% (in luogo del previgente 8%) sulla produzione di acciaio; • aliquota ordinaria sulla produzione di cerini/fiammiferi prodotti con sistemi meccanizzati o semimeccanizzati, (in luogo del previgente 8%, che però non consentiva di detrarre l’imposta di fabbricazione sugli acquisti effettuati); • esenzione dall’imposta su alcune materie prime o componenti base per la produzione di tubi catodici o alcuni beni strumentali necessari alla produzione di cellulari, video al plasma, etc.; • esenzione dall’imposta sulla produzione di computer. L’organo governativo preposto all’amministrazione e alla riscossione del tributo è il già citato Central Board of Excise and Customs (CBEC).
Sotto Capitolo n. 14.4 Dazi doganali
I dazi doganali (Customs Duties), regolati dal Customs Act del 1962 e dal Customs Tariff Act del 1975 – soggetti a continue modifiche ed integrazioni - colpiscono principalmente l’importazione di prodotti in India, ma talvolta anche l'esportazione di alcuni prodotti al di fuori del territorio indiano. I dazi possono essere fissati in misura specifica (in relazione ad una prescelta unità di misura del bene, quale il peso, il volume o la quantità) oppure, come avviene per la maggior parte dei prodotti, ad valorem, cioè ad aliquote variabili da applicare al valore a cui avviene la transazione (incrementato di ogni costo accessorio sostenuto per l’importazione del bene, inclusi i costi di trasporto). Recentemente il carico fiscale su alcuni prodotti d’importazione è stato notevolmente ridotto, ed è allo studio una ipotesi di ulteriore riduzione. Inoltre, le tariffe su alcuni prodotti di “Information Technology” sono state portate al 5% (dal previgente 10%) e sono previste specifiche esenzioni per le importazioni in territori considerati zone franche (SEZ, EPZ, etc.). Inoltre, in base a quanto previsto dal Budget 2004/2005, l’addizionale (education cess) del 2% va applicata anche alle aliquote dei dazi doganali. Su taluni prodotti viene applicata una tariffa aggiuntiva al fine di tassare i beni importati come se gli stessi fossero stati prodotti in India e ivi fossero stati assoggettati all’imposta di fabbricazione: lo scopo è naturalmente quello di incentivare le produzioni interne di quei beni, proteggendo l’industria locale. Oltre alla strutturazione base dei dazi come sopra illustrata, sono previsti ulteriori dazi, tra cui: • Dazi anti-dumping: imposti su specifici prodotti provenienti da certi Paesi, allo scopo di scoraggiare o impedire la pratica del dumping, cioè l’importazione di beni che saranno posti in vendita ad un prezzo inferiore a quello al quale sono venduti nel paese di origine; • Dazi di salvaguardia: applicabili in determinati periodi, al fine di limitare un flusso eccessivo di determinati prodotti in entrata che potrebbero mettere in crisi il sistema produttivo interno. Tra le principali novità introdotte dal Budget 2004/2005 meritano di essere riportate le seguenti: • l’aliquota massima dei dazi applicabili su leghe d’acciaio, rame, zinco e altri metalli vili viene ridotta al 15%; • i dazi sugli scarti di lavorazione di materie prime minerarie e prodotti minerari come grafite, amianto, gesso sono ridotti al 15%; • i dazi sull’acciaio non di lega sono ridotti dal 15% al 10%; • i dazi, nella misura del 5%, su alcuni articoli per la lavorazione meccanica delle piantagioni verranno estesi a molti altri articoli soprattutto per il settore delle piantagioni di tè e caffé; • sono esentati da dazi certi strumenti per l’aiuto riabilitativo (stampelle, sedie a rotelle, arti artificiali, etc.) ed alcuni componenti per la produzione di fibre ottiche e cavi usati nel campo delle telecomunicazioni; • il dazio di importazione sul platino viene ridotto da 550 INR per 10 grammi a 200 INR per 10 grammi (sono invece esentate le pietre preziose colorate grezze).
Sotto Capitolo n. 14.5 Imposta sulle vendite di beni mobili
Il Central Sales Tax Act del 1956 prevede l’applicazione di un’imposta indiretta sulle vendite interne (sono escluse le importazioni e le esportazioni) di beni mobili, che viene disciplinata dal Governo Centrale solo nell’ipotesi in cui i beni vengano trasferiti da uno Stato all’altro dell’India, e la cui aliquota ordinaria è fissata nella misura del 4%. Invece, nel caso in cui le cessioni riguardino beni che rimangono all’interno di ciascuno Stato, sarà quest’ultimo a determinare le modalità di applicazione dell’imposta sulle vendite, ivi inclusa l’aliquota (unica in ciascuno Stato ma differenziata tra i diversi Stati) e le procedure di accertamento e riscossione. Focalizzando l’attenzione sulle vendite di beni tra Stati diversi dell’India, il Central Sales Tax Act prevede che l’imposta venga assolta sul prezzo di cessione dei beni, nello Stato in cui inizia la transazione e venga corrisposta dal venditore, il quale incrementerà il prezzo di vendita dell’ammontare dell’imposta dovuta: in tal modo, l’imposta, pur venendo corrisposta materialmente dal venditore, è di fatto a carico dell’acquirente, che ne sopporta il costo. Le aliquote applicabili variano principalmente in relazione alle tipologie di beni: ad esempio, determinati beni possono godere di un’aliquota di imposizione ridotta alla luce della loro particolare importanza/rilevanza per lo sviluppo del commercio tra gli Stati dell’India (es: aliquota del 4% sulle merci che siano utilizzate in attività di produzione, rivendita, generazione di energia elettrica, etc.), mentre altri sono espressamente esclusi da imposizione (ad esempio i titoli e le partecipazioni). Si segnala, infine, che l’imposta sulle vendite effettuate all’interno di ciascuno Stato, è destinata ad essere abolita, non appena verrà introdotta l’imposta sul valore aggiunto, la cui entrata in vigore è attesa per l’1/4/2005. L’abolizione di tale imposta e la sostituzione con l’IVA verranno realizzate progressivamente; infatti, il primo anno di introduzione della nuova imposta sul valore aggiunto vedrà una convivenza tra tale imposta e la “vecchia” imposta sulla vendita di beni mobili la cui aliquota sarà però ridotta al 2%, per essere in seguito completamente eliminata.
Sotto Capitolo n. 14.6 Imposta sui servizi
Tale imposta indiretta, introdotta nel 1994, colpisce la fornitura, a titolo oneroso in territorio indiano, con esclusione dei territori di Jammu e del Kashmir, di determinate tipologie di servizi (oltre 60, tra cui, ad esempio, i servizi finanziari, i servizi di trasporto, etc.) espressamente indicati dal Service Tax Act. Il Budget 2004/2005 ha previsto un incremento dell’aliquota ordinaria applicabile dall’8% al 10%, da incrementare ulteriormente di un 2% (c.d. education cess, introdotta dal Budget 2004/2005), per cui l’effettivo carico è pari al 10,2%, da applicare al prezzo dei servizi resi, senza considerare eventuali riaddebiti di costi sostenuti per il cliente, e adeguatamente documentati, e le spese per i beni acquistati per fornire il servizio. Qualora, invece, vengano acquistati dei servizi per fornirne altri esiste un meccanismo, in vigore dal 16/08/2002, per cui l’imposta assolta sui servizi acquistati potrà essere detratta dall’imposta applicata sui servizi resi, anche se questi ultimi appartengono a categorie diverse rispetto a quelli acquistati, ma a condizione che siano imponibili. Il soggetto passivo d’imposta è generalmente il prestatore del servizio, ma nel caso in cui i servizi siano resi da un soggetto non residente, l’obbligazione tributaria dovrà esser assolta dal committente indiano. È previsto, inoltre (Provvedimento n. 19/2003 del 21 agosto 2003), che per contratti che comportano la fornitura di servizi di installazione o messa in opera unitamente e/o a seguito della fornitura di impianti, macchinari e attrezzature, il prestatore del servizio possa utilizzare come base imponibile per la Service Tax il 33% del prezzo lordo complessivo dei servizi e dei beni ceduti. Si ricorda, infine, che l’imposta è amministrata dal CBCE (Central Board of Customs and Excise) e dovrebbe rimanere in vigore anche a seguito dell’’introduzione dell’imposta sul valore aggiunto, attesa per l’1/4/2005, che, stante quanto anticipato dal gruppo di lavoro incaricato di monitorare gli effetti dell’introduzione del nuovo sistema di imposizione indiretta, dovrebbe inizialmente applicarsi alle cessioni di beni poste in essere internamente a ciascuno Stato e solo ad alcune tipologie di servizi.
Sotto Capitolo n. 14.7 Altre imposte minori
Oltre a quanto sopra illustrato, il sistema fiscale indiano prevede ulteriori tributi, alcuni applicati e gestiti localmente dai singoli Stati o anche dalle singole città, i quali, per quanto minori, dovranno essere in ogni caso oggetto di una attenta analisi in relazione al luogo in cui l’imprenditore italiano intende localizzare il proprio investimento, poiché potranno incidere sul carico complessivo. Tra questi ci citano, ad esempio: • l’imposta aggiuntiva sulle importazioni di tecnologia in India, applicata ad aliquota del 5%, e disciplina dal Research and Development Cess Act del 1986; • l’imposta sui contratti che prevedono il trasferimento del diritto di utilizzo di beni mobili (c.d. lease tax): ad aliquote variabili da Stato a Stato; • l’imposta sui beni trasferiti in esecuzione di un contratti d’opera o d’appalto (contratti per la costruzione di edifici, ponti, piattaforme, etc.) – c.d. Works Contracts tax: ad aliquote variabili da Stato a Stato, ma spesso in linea con l’aliquota prevista per l’imposta sulle vendite di beni; • imposte d’ingresso (c.d. Octroi/Entry tax), applicate da singoli Stati o municipalità in relazione all’entrata di beni nelle rispettive giurisdizioni, per l’utilizzo, il consumo o la vendita; • imposte di bollo applicate dai singoli Stati su determinati atti e transazioni, inclusi i trasferimenti di proprietà; • imposte sulla detenzione di immobili, applicate dai singoli Stati e dalle singole municipalità.
Capitolo n. 15 Italia-India: Riflessi fiscali di alcuni percorsi operativi
Distribuzione commerciale diretta
Sotto Capitolo n. 15.1 Imposte dirette
Le attività di distribuzione commerciale effettuate da una impresa residente in Italia direttamente ad un utilizzatore in India o indirettamente tramite un distributore, un agente o comunque un soggetto terzo non sembrano dare luogo, di norma, a fenomeni rilevanti ai fini delle imposte dirette, seppure con le precisazioni che seguono. Come osservato in precedenza, la legislazione indiana, per definire il reddito di impresa di fonte indiana, tassabile in capo alle società non residenti, utilizza un concetto più ampio rispetto a quello noto come “stabile organizzazione” o “permanent establishment”: ossia, il concetto di “business connection” (“relazione d’affari”). Per l’analisi del significato attribuibile ai due termini, si rinvia al paragrafo 12.4.. In questa sede, preme solo evidenziare che, stante la mancanza di una corrispondenza biunivoca tra ciò che è configurabile come stabile organizzazione, in base a criteri internazionalmente accettati, e ciò che il fisco indiano potrebbe considerare una “business connection” (senza per ciò essere una stabile organizzazione), è certamente opportuno che l’investitore italiano operi con l’India utilizzando veicoli societari cui risulti applicabile la convenzione contro le doppie imposizioni, in modo tale da poter fare appello alle disposizioni in essa contenute per la tassazione delle diverse tipologie reddituali potenzialmente derivanti dall’investimento effettuato in India. Se quindi l’attività di distribuzione commerciale da parte dell’imprenditore italiano non avviene tramite una struttura che integri la stabile organizzazione, ma viene effettuata direttamente nei confronti di operatori indiani o comunque tramite soggetti terzi, non verrà considerata detta attività come rilevante ai fini di una tassabilità in India dei relativi proventi. A tal fine, si ricorda che la definizione di “stabile organizzazione” di cui alla vigente Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e India (firmata il 19/02/1993, e ratificata in Italia dalla Legge 14/07/1995, n. 319, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 178 del 01/08/1995, supplemento ordinario n. 95, ed in vigore dal 23/11/1995) è quella di “una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività”. Nessun dubbio, quindi, se l’attività viene svolta tramite soggetti terzi, quand’anche esista sul territorio indiano una installazione utilizzata però ai soli fini di deposito, esposizione o consegna dei beni dell’impresa, posto che quest’ultima, per le disposizioni di cui all’art. 5 terzo comma della citata Convenzione, non costituisce di per sé stabile organizzazione. Qualche dubbio può sorgere, invece, in merito alle operazioni effettuate tramite agente, quand’anche esso goda di uno status indipendente. Se infatti l’impresa non residente opera attraverso un agente che abitualmente agisce nel territorio indiano per conto di questa, esercitando poteri che gli consentono di concludere contratti a nome dell’impresa, per espressa disposizione convenzionale (art. 5, quarto comma, della Convenzione) si considera che tale impresa abbia in India una stabile organizzazione in relazione all’attività che l’agente esercita per l’impresa, con le ovvie conseguenze ai fini dell’imposizione diretta. Nell’ultima parte dello stesso quarto comma viene, tuttavia, espressamente esclusa l’ipotesi in cui l’attività di tale soggetto sia limitata all’acquisto di beni o merci per l’impresa: tale attività, pertanto, non determinerà il riconoscimento dell’esistenza sul territorio indiano di una stabile organizzazione dell’impresa medesima. Parimenti accade poi nel caso di impiego di un mediatore, di un commissionario generale o di un altro intermediario, per quanto indipendente, dal momento che non viene riconosciuta la sussistenza di una stabile organizzazione dell’impresa non residente solo a condizione che dette persone agiscano nell’ambito della loro ordinaria attività (art. 5, quinto comma, della Convenzione).
Sotto Capitolo n. 15.2 Imposte indirette e dazi doganali
Di regola, le imprese straniere che operano sul territorio indiano sono soggette, ai fini delle imposte indirette, agli stessi principi ai quali sono sottoposte le imprese residenti che effettuano la medesima attività imprenditoriale. Pertanto, si rinvia al par. 14 per una disamina della disciplina relativa alla recente introduzione dell’imposta sul valore aggiunto, limitamente alle vendite di beni all’interno dei singoli Stati (par. 14.2), alla coesistenza per un primo periodo con l’imposta sulle vendite di beni mobili (par.14.5), all’imposta sui servizi (par. 14.6), e ai dazi doganali (par. 14.4.).
Capitolo n. 16 Distribuzione commerciale indiretta: il franchising
Sotto Capitolo n. 16.1 I contratti di franchising nella prassi internazionale e nella normativa italiana
Come nel mercato interno, anche nel commercio internazionale gli accordi di franchising o, più in generale, di affiliazione commerciale, costituiscono lo strumento che consente la presenza diretta all’estero dell’impresa esportatrice attraverso una struttura organizzata e caratterizzata dall’utilizzo di una specifica formula distributiva. Le imprese già dotate di un collaudato sistema produttivo e/o distributivo, possono infatti organizzare reti di distribuzione selettiva dotate di stabilità ed avvalersi di collaboratori indipendenti ricorrendo alla conclusione di accordi di franchising, sistema di distribuzione relativamente recente che, inventato e sviluppato negli Stati Uniti, ha un discreto successo nei paesi nei quali i circuiti distributivi e le forme di commercio al dettaglio si presentano già piuttosto sviluppate. La recente Legge 6 maggio 2004, n. 129, ha disciplinato espressamente nel diritto italiano il contratto di franchising, che prima di essa era sempre stato considerato un contratto atipico, basato su patti sviluppati nella prassi commerciale interna e internazionale. L’art. 1 della Legge n. 129/2004 definisce tale contratto come un contratto di affiliazione commerciale stipulato tra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all'altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territori, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi. A tal fine, il know-how oggetto del contratto di franchising è rappresentato da un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate, derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante. Tale patrimonio di conoscenze deve essere segreto (non noto, né facilmente accessibile), sostanziale (indispensabile per la vendita o la gestione e l’organizzazione dei servizi contrattuali) e individuato (ovvero descritto in modo esauriente). Il contratto di franchising può essere utilizzato in ogni settore di attività economica e consente all’esportatore italiano di essere sempre in diretto contatto con i clienti esteri, avvalendosi di una struttura appositamente realizzata nel paese estero, che gli consente: • il controllo diretto dei dettaglianti nel paese estero; • l’utilizzazione di una formula di distribuzione esclusiva già ampiamente collaudata, sia per quanto riguarda il marchio dei beni e dei servizi venduti, sia per quanto riguarda il know-how commerciale, sia, infine, per quanto riguarda eventuali brevetti aventi ad oggetto la produzione industriale dei beni esportati; • di avvalersi di una rete distributiva uniforme, attuabile con una certa tempestività; • di attuare il sistema distributivo attraverso imprenditori locali, ai quali sono richiesti investimenti relativamente modesti a fronte dei benefici commerciali connessi alla notorietà del marchio dei beni o dei servizi esportati. Con tali caratteristiche, si tratta di una formula commerciale di distribuzione integrata che risulta però remunerativa principalmente per le imprese che superano certi livelli di fatturato e che consiste nella creazione di un network multi-imprenditoriale in cui l’elemento centrale (il franchisor) è costituito dall’impresa esportatrice, che si collega ad elementi satellite costituiti dai dettaglianti residenti nello Stato estero (franchisees) tramite rapporti economico-contrattuali definiti nell’ambito di un pacchetto globale (franchising package deal), nel quale i singoli franchisees sono dotati di autonomia gestionale e si occupano della distribuzione e della vendita al dettaglio nel paese estero dei beni e dei servizi prodotti o commercializzati dal franchisor. Tale sistema permette di contenere il fabbisogno finanziario, i costi ed i rischi connessi alla penetrazione in mercati esteri non uniformi e poco conosciuti, ma soprattutto accentua le capacità di penetrazione nei mercati esteri già sviluppati (in particolare in quelli evoluti): per ben funzionare, esso presuppone però un
mercato in grado di apprezzare l’accentuata componente di marketing che caratterizza le vendite in franchising. Inoltre, l’efficacia di tale metodo distributivo è inversamente proporzionale al grado di innovazione tecnologica ed alla fase del ciclo di vita in cui si trovano i prodotti e i servizi esportati (e quindi risulterà adatto per i beni di largo consumo a contenuto tecnologico medio-basso), nonché direttamente proporzionale alla capacità di controllare il rispetto degli accordi contrattuali da parte dei franchisees.
Sotto Capitolo n. 16.2 Caratteristiche del rapporto di franchising
Per le sue caratteristiche, il franchising può essere concepito come un contratto di durata in virtù del quale un’impresa produttrice (di beni o di servizi) o già presente sul mercato come distributore (franchisor) concede ad un’altra impresa indipendente (franchisee), la facoltà di entrare a far parte della propria catena di produzione e/o di distribuzione, con il diritto di sfruttare – a determinate condizioni e dietro il pagamento di un corrispettivo finanziario diretto o indiretto (franchise fee) – i brevetti, i marchi, il know-how, il nome, l’insegna o addirittura una semplice formula o segreto commerciale ad esso appartenente. In base allo stesso accordo, il franchisor si obbliga anche ai rifornimenti di beni e/o di servizi, mentre il franchisee si obbliga ad uniformarsi costantemente ad una serie di comportamenti prefissati dal suo dante causa. Le obbligazioni essenziali del contratto di franchising sono quindi: • l’utilizzazione dei segni distintivi del franchisor; • la comunicazione del know-how • l’assistenza commerciale e/o tecnica per tutta la durata del contratto • il rispetto della riservatezza circa il contenuto del package deal fornito dal franchisor. La varietà delle prestazioni oggetto del contratto di franchising, lo rende un contratto misto (cd. mixed contract) in cui la concessione di un know how si mescola alla fornitura dei beni e all’assistenza tecnica necessaria per aprire e per gestire il punto vendita. Così individuato il nucleo del rapporto, anche nella prassi internazionale si distinguono tre tipi di franchising: • il franchising di prodotto o industriale, che riguarda la produzione di beni ed in base al quale il franchisor concede al franchisee la licenza di know-how e di marchio per la produzione e la successiva rivendita dei beni da esso prodotti. Nei settori non tecnologicamente avanzati, tale formula consente di abbinare il basso costo della manodopera indiana con il know-how fornito dalle imprese italiane e quindi si presta ad essere utilizzata nel settore delle lavorazioni industriali; • il franchising di distribuzione, che riguarda la vendita di merci e nel quale il franchisor nomina il franchisee distributore privilegiato dei suoi prodotti, a condizione che questi si uniformi e rispetti completamente la formula commerciale del franchisor. Nei confronti dell’ India, tale forma distributiva si presta ad attuare lo sviluppo del mercato locale dei beni di consumo; • il franchising di servizi, in virtù del quale il franchisee offre e fornisce prestazioni di servizi qualificate sotto l’insegna, la ditta oppure il marchio del franchisor, conformandosi completamente alle direttive di quest’ultimo (ad es. servizi complementari all’industria).
Sotto Capitolo n. 16.3 Le forme del franchising internazionale
Gli accordi di franchising internazionale prevedono spesso la meticolosa codificazione contrattuale delle procedure di esportazione dei prodotti e delle prestazioni di servizio che è relativa ai segni distintivi non tipizzati ed è variamente ricondotta – a seconda dei casi - all’ambito del trasferimento di know-how oppure di quelle informazioni il cui trasferimento caratterizza normalmente l’oggetto del contratto franchising. In assenza di un’espressa regolamentazione normativa, l’esame dei modelli di contratto maggiormente adottati nella prassi consente di distinguere i seguenti tipi di franchising internazionale. A) Il franchising diretto Nel franchising diretto un franchisor con attività all’estero conclude – a partire dal proprio paese – contratti di franchising con imprese residenti in paesi stranieri ove egli desidera operare. Tale forma di franchising offre dei vantaggi nei confronti dei paesi vicini nei quali la rete distributiva è già sufficientemente sviluppata e le cui condizioni consentono di mantenere gli standard di processo e/o di prodotto che caratterizzano l’attività del franchisor. Per contro, mano a mano che si sviluppa la rete distributiva quest’ultimo può trovarsi in difficoltà nel gestire il mercato e nel controllare l’attività del franchisee. B) Il franchising internazionale attraverso una filiale o una succursale Si tratta di un modello caratterizzato dall’istituzione di una filiale cui affidare l’organizzazione della rete distributiva nella nazione estera. Tale formula favorisce la presenza fisica, e quindi il diretto controllo del mercato estero da sviluppare, ma richiede il sostenimento di elevati costi per investimenti. Sotto il profilo fiscale, in base alla disciplina convenzionale OCSE la filiale estera configura, generalmente, una stabile organizzazione dell’impresa esportatrice, con conseguente attrazione a tassazione nel paese estero degli utili d’impresa ivi prodotti secondo la legislazione del luogo in cui è istituita. Con particolare riguardo ad eventuali franchisees residenti in Italia di franchisors indiani, l’art. 162, D.P.R. n. 917/2003 stabilisce che la legge italiana configura come stabile organizzazione di un’impresa non residente la presenza nel territorio italiano di una sede fissa di affari utilizzata in tutto o in parte per l’esercizio di attività commerciali in Italia. C) Il franchising internazionale attraverso la creazione di una filiale comune o di una joint venture con un partner residente nel paese estero In questo modello, il partner è rappresentato da un’impresa residente nel paese straniero che aiuta il franchisor italiano a sviluppare una rete di franchising condividendo con esso i rischi e i profitti. Si tratta di una formula contrattuale usata quando si raggiungono intese con imprese locali già presenti nei mercati interni e spesso già dotate di una propria rete distributiva. D) Il master franchising Consiste nella conclusione – tra il franchisor ed un impresa residente nel paese estero (cd. master franchisee) – di un particolare contratto di franchising in base al quale il master franchisee s’impegna a sviluppare la rete distributiva del franchisor nello Stato target. A tal fine, il master franchisee si impegna a stipulare con altre imprese residenti nel paese estero (cd. sub-franchisees) altri contratti di (sub-)franchising dipendenti da quello principale. Questi contratti sono
regolati dalla legge locale. Grazie a tale sistema – nel quale il master franchisee può essere anche un’impresa figlia o controllata dal franchisor – questi evita di subire direttamente i rischi legati allo sviluppo della rete di vendita nel paese estero. Egli può così istituire una rete distributiva economicamente efficiente riducendo nel contempo le incertezze conseguenti alla scarsa conoscenza del mercato-obiettivo. Allo stesso modo, il franchisor deve però garantirsi il controllo sul marchio (depositandolo nel paese estero) e sul partner locale. E) Il franchising attraverso un contratto di supervisione Si tratta di una forma di franchising attuata incaricando un lavoratore autonomo residente nel paese estero dei compiti di creare, organizzare e coordinare i punti vendita locali dietro un compenso determinato in misura percentuale sul fatturato.
Sotto Capitolo n. 16.4 I riflessi fiscali dei contratti di franchising stipulati dalle imprese italiane
I principali riflessi fiscali dei contratti internazionali di franchising riflettono lo Stato di residenza fiscale ed il regime fiscale delle imprese interessate e riguardano la rilevanza reddituale delle prestazioni pattuite, oppure – a seconda del tipo di imposta considerata – del valore aggiunto ad esse riconducibile. Per le caratteristiche delle prestazioni concordate, il contratto di franchising è sempre concluso tra imprenditori. Come conferma la legge n. 129/2004, le principali prestazioni economiche oggetto del contratto riguardano: • le royalties dovute per l’utilizzazione del know-how fornito dal franchisor, che sono di regola commisurate al giro d’affari dell’affiliato oppure in quota fissa, da versare in unica soluzione o a scadenze periodiche; • il diritto d’ingresso, determinato in quota fissa da versare al momento della stipula del contratto e che è rapportata al valore economico ed alla capacità di sviluppo della rete; • l’ammontare degli investimenti e delle spese d’ingresso richieste al franchisee, prima dell’inizio dell’attività. Le movimentazioni economiche connesse ai rapporti di franchising rilevano direttamente ai fini dell’applicazione dell’Ires (o dell’Irpef), dell’Irap e dell’Iva, imposte che quindi interessano nella maggior parte dei casi i contratti di franchising stipulati da imprese italiane che desiderino operare in tale forma nei mercati indiani. 16.4.1. Le imposte sul reddito : componenti reddituali relative ai contratti di franchising La natura dei rapporti di franchising – per lo più caratterizzati dall’autonoma soggettività dei franchisees non residenti rispetto all’impresa del franchisor italiano (ad es. subsidiaries companies, imprese locali) – fa sì che anche in ambito internazionale il franchisor residente in Italia sia principalmente assoggettato all’imposizione del reddito d’impresa secondo la legge italiana. Per la legge italiana, il reddito d’impresa concorre a formare o costituisce direttamente (per le società commerciali) il reddito imponibile del franchisor ai fini delle imposte sul reddito a seconda dell’imposta applicabile al soggetto passivo (Irpef o Ires). Coerentemente con il principio della tassazione in base al reddito mondiale, i riflessi in tema di reddito d’impresa sono quindi prevalentemente interni e sono correlati ai canoni (royalties e/o entrance fee), ai corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi oggetto del contratto ed in genere all’adempimento, da parte del franchisee (o del master franchisee) non residente, delle sue prestazioni contrattuali di natura patrimoniale nei confronti del franchisor italiano. Rinviando a quanto specificamente evidenziato in altra parte della presente scheda in tema di investimenti in India tramite società controllate ivi costituite, la pianificazione fiscale del franchising dovrà tenere conto anche delle implicazioni fiscali dell’eventuale rapporto di controllo tra il franchisor italiano ed il franchisee indiano, ed in particolare della disciplina convenzionale relativa al flusso degli utili dalla società controllata residente in India e la casa madre italiana. Nel caso in cui il master franchisee o i singoli franchisees residenti nel Paese estero costituiscano invece (ad es. come filiali o sedi secondarie) stabili organizzazioni dell’impresa italiana in tale Stato, esse saranno soggette alla locale imposta sul reddito secondo il risultato economico ivi conseguito. In merito, l’art. 7 della Convezione Bilaterale contro le doppie imposizioni tra l’Italia e l’India, in vigore dal 23 novembre 1995, afferma il principio generale secondo il quale gli utili di un’impresa residente in uno Stato sono imponibili solo in detto Stato a meno che l’impresa non svolga la sua attività nell’altro Stato per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata.
Ai fini fiscali, i principali elementi reddituali rinvenibili nelle forme più ricorrenti dei contratti di franchising internazionale rientrano nelle categorie delle cd. royalties, dei corrispettivi per prestazioni professionali e dei ricavi per la vendita di beni oggetto dell’attività d’impresa. Tra questi, gli interessi e le royalties corrisposte a franchisor italiani da imprese residenti in India possono essere sottratti dall’insieme dei redditi d’impresa imponibili in Italia e tassati secondo il regime convenzionale a meno che il loro effettivo beneficiario non eserciti l’attività attraverso una stabile organizzazione ivi situata. Tale imposta può comunque essere portata in diminuzione dall’imposta italiana con il credito d’imposta sui redditi esteri, come previsto dall’art. 24 della Convenzione per evitare la doppia imposizione. Nelle configurazioni più usuali dei rapporti in esame e secondo le previsioni della Legge n. 129/2004, tali varietà di proventi possono quindi essere suddivise in diverse categorie, sulle quali seguono alcuni approfondimenti. Royalties ed entrance fees Poiché i contratti di franchising hanno sostanzialmente ad oggetto licenze di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi o insegne e know-how, solo eventualmente correlate a restrizioni relative alla fornitura o all’acquisto di merci, il pagamento al franchisor dei corrispettivi per la concessione di tali licenze costituisce per il franchisee la prestazione tipica del rapporto. Così configurati, tali corrispettivi includono: a) il diritto di entrata (franchise fee) pagato dal franchisee indiano per affiliarsi al franchisor italiano; b) le royalties pagate dal franchisee indiano come corrispettivo per la concessione in uso dei beni immateriali oggetto del contratto di franchising (ad es. la licenza di marchio, l’uso dell’insegna, la comunicazione del know-how commerciale o industriale, le procedure di esportazione, ecc.). Nei contratti internazionali di franchising, royalties ed entrance fees costituiscono somme che integrano la nozione di canone prevista dall’art. 12 della Convenzione Bilaterale Modello OCSE, ove è specificato che il termine “canoni” designa “i compensi di qualsiasi natura corrisposti per l’uso o la concessione in uso di un diritto d’autore, su marchi di fabbrica o di commercio, disegni o modelli, progetti, formule o processi segreti o per l’uso oppure la concessione di uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche, o per informazioni concernenti esperienze di carattere industriale, commerciale o scientifico”. La Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni vigente tra l’Italia e l’India - discostandosi dal modello OCSE - comprende fra i canoni soggetti a tassazione nello Stato della fonte anche i corrispettivi per servizi tecnici, espressione con la quale sono designati i pagamenti di qualsiasi importo effettuati a chiunque, (ad eccezione dei pagamenti effettuati a dipendenti della persona che li corrisponde), in corrispettivo di servizi di natura organizzativa, tecnica o di consulenza, inclusa la prestazione di servizi di natura tecnica o di altro personale (cfr. art. 13, 4° comma Convenzione Italia-India). Tuttavia da tale definizione bisogna escludere le attività di costruzione, assemblaggio ed estrazione. I canoni e i corrispettivi per servizi tecnici possono essere determinati in misura forfettaria o in percentuale rispetto al fatturato o ai profitti del franchisee. In linea generale, i canoni corrisposti alle imprese italiane da franchisees residenti in India costituiscono componenti positivi di reddito d’impresa ai sensi dell’art. 85 D.P.R. n. 917/1986, per cui concorrono a formare il reddito in base al principio di competenza. L’art. 13, 1° comma, della Convenzione Bilaterale contro le doppie imposizioni vigente tra l’Italia e l’India prevede che i canoni provenienti dall’ India sono imponibili soltanto nello Stato del beneficiario, che nel caso è l’Italia (cd. criterio della residenza del destinatario dei canoni). Il 2° comma dell’art. 13 dispone però in aggiunta anche la tassazione nello Stato di provenienza dei canoni, che nel caso è l’ India, ma se il percettore è il beneficiario effettivo di detti canoni e/o corrispettivi, l’imposta applicata nello Stato della fonte (cioè l’India) non dovrà essere superiore al 20 per cento dell’ammontare lordo di quanto corrisposto. Nell’ipotesi in cui il debitore dei canoni disponga in uno dei due Stati contraenti di una stabile organizzazione alla quale è imputato il contratto di franchising, i canoni stessi si considerano provenienti dallo Stato contraente in cui è situata la stabile organizzazione. Ne consegue in primo luogo che se la beneficiaria italiana dei canoni esercita attività di commercio o di distribuzione dei beni oggetto del
franchising attraverso una stabile organizzazione in India, i canoni non saranno tassati in base al regime agevolato previsto dalla Convenzione, ma saranno ivi imponibili come utili d’impresa secondo la legge locale. In tale ipotesi l’impresa italiana può scomputare dall’imposta sul reddito dovuta in Italia il credito relativo alle imposte dovute in India (cfr. art. 24 Convenzione Italia-India). Per contro, se il franchisee indiano dispone di una stabile organizzazione in Italia in relazione alla quale sostiene gli oneri del rapporto di franchising, i canoni ad essa addebitati dal fornitore italiano si considerano in ogni caso corrisposti in Italia (cfr. art. 13, 6° comma, della Convenzione e art. 23, 1° comma, lett. c) Tuir) ai fini della tassazione. In tal caso, la Convenzione consente però la deduzione dall’imposta indiana di un ammontare corrispondente all’imposta pagata o maturata in Italia (cfr. art. 24 Convenzione Italia-India). In ogni caso, in presenza di particolari relazioni tra il debitore e l’effettivo beneficiario dei canoni o tra ciascuno di essi e terze persone tali da influire sul prezzo dei canoni, la disciplina convenzionale limita la propria applicabilità all’ammontare dei compensi che sarebbe stato convenuto tra gli interessati in assenza di tali relazioni, tenuto conto della prestazione, diritto od informazione (know-how) per i quali sono pagati. La parte eccedente è imponibile secondo la legislazione di ciascuno Stato. Il corrispettivo finanziario può essere anche indiretto, come accade quando le royalties sono inglobate nel prezzo di cessione dei beni prodotti o distribuiti dal franchisor, oppure quando esso è incorporato nel costo dell’arredamento del punto vendita. In tal caso, per non precludere l’autonoma (e più conveniente) tassazione secondo il regime convenzionale dei canoni, è opportuno che l’incorporazione dei canoni nel prezzo dei beni risulti da un’apposita clausola contrattuale o quanto meno dalle fatture emesse. Se previsto dal contratto, il diritto fisso di entrata (cd. “entrance fee”) costituisce una immobilizzazione immateriale e come tale esso deve essere imputato nell’attivo dello Stato Patrimoniale ed ammortizzato in relazione alla durata del rapporto. I corrispettivi delle prestazioni di servizi accessori forniti dal franchisor Anche i corrispettivi delle prestazioni accessorie fornite dal franchisor italiano al franchisee indiano in relazione al contratto di franchising costituiscono componenti positivi di reddito d’impresa ai sensi dell’art. 85, D.P.R. n. 917/1986, per cui concorrono a formare il reddito in base al principio di competenza in riferimento alla data di ultimazione della prestazione oppure - in presenza di prestazioni aventi carattere continuativo (ad es. rapporti di somministrazione accessori al franchising) - ai corrispettivi periodici eventualmente maturati in base alle condizioni contrattuali. Come tali, confluiscono nel bilancio dell’impresa italiana se vengono pagati direttamente dal franchisee indiano ad essa o ad una sua stabile organizzazione in India. Diversamente, come nel caso in cui il franchisee indiano abbia rapporti con una subsidiary indiana del franchisor italiano, i canoni rileveranno solo indirettamente nei confronti della casa madre, nel caso in cui influenzino positivamente i dividendi ad essa distribuiti. I depositi cauzionali, versati dal franchisee al franchisor , e gli eventuali interessi Gli eventuali depositi cauzionali versati direttamente dal franchisee indiano al franchisor italiano costituiscono un debito per quest’ultimo. Essi rappresentano una semplice movimentazione finanziaria e non rilevano ai fini del reddito posseduto in Italia né al momento della loro percezione, né al momento della restituzione. Le eventuali differenze tra le somme ricevute e quelle restituite rileveranno semmai indirettamente come componenti positivi di reddito o come costi d’esercizio oppure – se relative a diversi periodi d’imposta – come sopravvenienze attive o passive. Ove i depositi cauzionali fossero fruttiferi, gli interessi corrisposti al franchisee indiano saranno deducibili dal reddito del franchisor italiano nell’esercizio di competenza se oggettivamente certi e determinabili nel loro ammontare in base alle previsioni pattizie e regolarmente contabilizzati. Diversamente, essi saranno deducibili nell’esercizio in cui si verificheranno tali condizioni. Trattandosi di interessi compensativi, al momento del pagamento l’imprenditore residente non deve comunque applicare la ritenuta prevista dall’art. 26 D.p.r. n. 600/1973.
Le indennità contrattuali da corrispondere al franchisee o al franchisor Le eventuali indennità che il franchisee indiano avesse pattuito di corrispondere al franchisor italiano come indennizzo in caso di anticipata risoluzione del rapporto, sono imponibili come reddito d’impresa in capo al percettore ai sensi dell’art. 6, 2° comma, D.P.R. n. 917/1986. Se percepiti da un imprenditore individuale residente in Italia ed aventi ad oggetto la perdita di redditi relativi a più anni, i medesimi importi possono essere tassati separatamente ai sensi dell’art. 17, 1° comma, lett. i) e 2° comma, D.P.R. n. 917/1986. Le eventuali indennità percepite dal franchisor italiano per l’utilizzo abusivo del know-how da parte del franchisee non residente devono invece essere assoggettate ad imposizione come royalties (cfr. sopra al punto 4.1.1. sub b). Se dovute dal franchisor al franchisee costituiranno invece componenti negativi di reddito dell’esercizio di competenza, posto che non è consentita la deduzione fiscale di preventivi accantonamenti annuali a tale titolo. I corrispettivi delle cessioni dei beni tra il franchisor (produttore o grossista ) italiano ed il franchisee (grossista o dettagliante ) indiano Trattandosi di cessioni di beni oggetto dell’attività d’impresa del franchisor italiano, i relativi corrispettivi sono imponibili in capo ad esso secondo il principio di competenza temporale, in relazione a quanto previsto in riferimento alle varie forme di vendita all’estero. Ovviamente, fa eccezione il caso in cui i beni siano direttamente venduti da un’impresa residente in India controllata dal franchisor residente in Italia. In tal caso, le vendite confluiranno nei ricavi della controllata indiana che è soggetta alle imposte ivi dovute sul reddito dell’esercizio. La diversità delle aliquote delle imposte sul reddito, potrebbe quindi influire sulle modalità di vendita del franchisor. Le eventuali maggiorazioni applicate ai prezzi di trasferimento delle merci in contropartita del diritto all’uso dei beni immateriali o dei servizi tecnici accessori oggetto del rapporto, non rilevano autonomamente come royalties ed influiscono così solo indirettamente nei bilanci delle imprese interessate. In ogni caso, è opportuno che tale comportamento trovi fonte in un’apposita clausola contrattuale, al fine di non pregiudicare la chiarezza informativa del conto economico e per evitare rettifiche fiscali ai prezzi di trasferimento dei beni. In presenza di cessioni di beni commercializzati o prodotti dal franchisor residente, il contenuto del rapporto di franchising rileva ai fini dell’individuazione del momento di competenza, in quanto le merci possono essere trasferite a mezzo di una serie di semplici vendite, così come anche in base a contratti di somministrazione o di vendita a consegne ripartite. In ogni caso, i ricavi relativi a tali vendite si considerano conseguiti al momento della consegna o della spedizione dei beni, eventi che rilevano ai fini dell’imputazione dei ricavi al periodo d’imposta di competenza, se al momento in cui si verificano i corrispettivi delle cessioni sono anche certi ed oggettivamente determinabili nell’ammontare. Diversamente (ad es. nei casi previsti dall’art. 1474 c.c.), il corrispettivo concorre a formare il reddito dell’esercizio in cui si verificano tali condizioni. Ne consegue che le clausole “Ex Works”, “CIF”, ”FOB” e simili che caratterizzano le vendite internazionali (cd. Incoterms) influenzano solo marginalmente l’imputazione del ricavo al periodo d’imposta di competenza, per quanto incidono sul momento della consegna o della spedizione dei beni, posto che esse non riguardano il trasferimento della proprietà, bensì per lo più il trasferimento del rischio sui beni ceduti. A tal fine, la consegna può essere provata dagli ordinari documenti che di regola accompagnano i trasporti internazionali di beni, nel caso in cui siano disponibili. Se i corrispettivi, i proventi, gli oneri e le spese sono pagati in valuta indiana, essi devono essere valutati secondo il cambio del giorno in cui sono stati effettivamente percepiti o, se precedente, di quello in cui sono stati sostenuti. In mancanza, essi possono essere valutati secondo il cambio del giorno antecedente più prossimo o quello del mese in cui sono stati percepiti o sostenuti.
Problematiche in tema di transfer price Come si è anticipato, qualora il franchisee indiano sia costituito da una filiale o da una succursale direttamente istituita dal franchisor italiano in tale Stato, ci si trova in presenza di una stabile organizzazione che attrae a tassazione in India tutti i redditi ivi prodotti dall’impresa italiana. Per le relative problematiche, anche ai fini del credito per le imposte pagate all'estero, si rinvia quindi all’apposita sezione. Analogamente accade quando il franchisee indiano è costituito da una società autonoma partecipata o controllata dal franchisor italiano, nel qual caso – pur nell’ambito di un rapporto di franchising – si deve rinviare all’apposita sezione per quanto riguarda i riflessi reddituali ed in specie quelli relativi al credito d’imposta sui redditi esteri, alla valutazione delle partecipazioni ed ai flussi dei dividendi. Quando invece il master franchisee (o il semplice franchisee) residente in India si configura come una stabile organizzazione del franchisor italiano oppure è costituito da imprese direttamente o indirettamente controllate da questo, i prezzi contrattuali dei beni e dei servizi trasferiti sono soggetti alla disciplina del transfer-price, per la quale essi devono essere valutati in base al loro valore normale, se da tale valutazione ne deriva un aumento del reddito rispetto a quello che riflette i corrispettivi determinati in base al contratto (cfr. supra sub 4.1.1.). In tal caso, l’eccedenza è imponibile secondo la legislazione di ciascuno Stato contraente. Di qui la necessità di documentare i criteri seguiti per la determinazione dei prezzi per evitare le riprese fiscali in esame da parte delle autorità fiscali italiane e indiane. In proposito, si evidenzia che, per quanto riguarda specificamente i canoni pagati dal franchisee indiano per le prestazioni eseguite o per i diritti concessi o per le informazioni fornite dal franchisor italiano, la Convenzione Bilaterale contro le doppie imposizioni tra l’Italia e l’ India prevede comunque un limite massimo all’importo assoggettabile al regime di favore da essa disposto, in presenza di particolari relazioni tra il debitore e l’effettivo beneficiario dei canoni o tra ciascuno di essi e terze persone. In tal caso, l’ammontare eccedente quello pattuibile secondo normali rapporti commerciali è imponibile in conformità della legislazione di ciascuno stato contraente, sia pure tenendo conto di quanto previsto dalla Convenzione Bilaterale (cfr. art. 13 Convenzione Italia-India). Riguardo al valore normale dei trasferimenti di beni immateriali, l’Amministrazione finanziaria italiana ritiene ordinariamente giustificabili in base al contratto i canoni pattuiti in misura non superiore al cinque per cento del fatturato del franchisee. Interessi di dilazione di pagamento corrisposti dal franchisee indiano al franchisor italiano Gli eventuali interessi di dilazione concessi ai franchisees indiani sui crediti di fornitura commerciale concorrono a formare il reddito d’impresa del franchisor. In aggiunta, essi possono essere anche tassati secondo il regime convenzionale, ovvero con l’aliquota del 15%, facendo valere in Italia il relativo credito d’imposta. Tale aliquota si applica se il percettore degli interessi ne è l’effettivo beneficiario e se essi non possono essere imputati ad una stabile organizzazione. In quest’ultimo caso, gli interessi non sono infatti soggetti alla ritenuta convenzionale, ma confluiscono direttamente nel reddito della stabile organizzazione in India. 16.4.2. Imposta sul valore aggiunto italiana Le prestazioni oggetto dei contratti di franchising hanno principalmente per oggetto cessioni di beni e prestazioni di servizi esercitate nell’ambito di un’attività d’impresa commerciale e quindi rilevano ai fini dell’applicazione dell’IVA italiana. In presenza di un contratto internazionale, l’applicazione di tale tributo è però condizionata anche dal requisito della territorialità, il quale è generalmente legato alla residenza dei soggetti interessati ed al luogo di esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto. Poiché la natura della prestazione rileva diversamente in ordine al momento impositivo ed all’esecuzione degli adempimenti formali strumentali all’applicazione del tributo (fatturazione, ecc.), si distingue a seconda che ci si trovi in presenza di cessioni di beni o di prestazioni di servizi. Cessioni di beni Ai sensi dell’art. 8 D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, le cessioni di beni nei confronti di soggetti residenti in
India sono considerate cessioni all’esportazione. Come tali, esse sono prive del requisito della territorialità e sono effettuate senza applicazione dell’imposta pur comportando l’obbligo di emissione della fattura. L’effettuazione di cessioni all’esportazione consente agli esportatori abituali di acquistare i beni da esportare nello stato originario o altri beni e servizi senza applicazione dell’imposta nei limiti dell’ammontare complessivo dei corrispettivi delle analoghe cessioni conseguiti nel corso dell’anno solare precedente (cd. plafond). Se le merci sono esportate senza passaggio della proprietà e vengono successivamente vendute quando sono allo stato estero (ad es. al momento della consegna in territorio estero), non si verifica il requisito della territorialità e quindi la loro cessione non è soggetta all’IVA italiana e non comporta neppure l’obbligo di emissione della fattura (cfr. art. 7, 2° comma, D.p.r. n. 633/1972). In proposito, si ricorda che la legge tributaria indiana non prevede un’imposta sul valore aggiunto che sarà introdotta solo il 1° aprile 2005. Prestazioni di servizi La natura degli accordi di franchising fa sì che il destinatario della prestazione di servizi ne sia generalmente anche il diretto utilizzatore. Ai fini della rilevanza ai fini dell’IVA delle diverse prestazioni di servizi che possono essere oggetto di un contratto di franchising, si distingue tra: a) Prestazioni di servizi effettuate verso corrispettivo consistenti in cessioni o concessioni di licenze e simili relative a know-how industriale, modelli, disegni, processi, formule, marchi e insegne. b) Prestazioni di assistenza tecnica, comprese quelle di formazione ed addestramento del personale: quando sono rese nei confronti di un impresa indiana, le prestazioni in esame non si considerano rese nel territorio dello Stato italiano, per cui non comportano alcun obbligo formale o sostanziale in tema di IVA. Per le prestazioni diverse dalle prestazioni di consulenza ed assistenza nella formazione e nell’addestramento del personale, nonché di elaborazione e di fornitura di dati, la non territorialità è condizionata alla loro utilizzazione fuori del territorio dello Stato. (art. 7, lett. d) ed f) D.P.R. n. 633/1972). In proposito si ricorda, che la legge tributaria indiana non prevede attualmente un’imposta sul valore aggiunto, che sarà introdotta solo il 1° aprile 2005 e che in ogni caso, le prestazioni di servizi saranno – almeno inizialmente – escluse da tale imposta. c) Prestazioni di trasporto accessorie alle cessioni di beni oggetto del rapporto: le prestazioni di trasporto connesse alle cessioni di beni forniti in base a tali contratti sono imponibili in Italia in proporzione alla distanza percorsa fino al limite del territorio doganale. d) Eventuali prestazioni di servizi diverse da quelle indicate: l’imponibilità ai fini dell’IVA italiana dipende dal requisito della territorialità, che alla luce della vastità dei casi possibili, deve essere esaminata caso per caso in base all’art. 7 D.P.R. n. 633/1972. 16.4.3. L’imposta sul valore aggiunto in India In India, un’imposta sul valore aggiunto, con una struttura analoga a quella dell’omonimo tributo previsto nella maggior parte degli ordinamenti tributari occidentali, verrà introdotta solo a decorrere dal 1° aprile 2005 (si veda precedente par. 14.2). In ogni caso, almeno inizialmente, la nuova IVA dovrebbe colpire solo i trasferimenti di beni all’interno degli Stati, con esclusione dalla base imponibile delle prestazioni di servizi, per le quali rimarrà in vigore l’imposta sui servizi. La nuova imposta dovrebbe inizialmente sostituire, oltre ad alcune imposte minori, la sola imposta sulle vendite applicabile sui trasferimenti interni a ciascuno Stato, lasciando invece in vigore l’imposta applicata e gestita centralmente dallo Stato (Central Sales Tax).
16.4.4. Altre tasse, diritti ed imposte applicate in India Quando il franchisee è costituito da un’impresa locale diversa dal franchisor italiano, le altre tasse e diritti applicati in India non sono direttamente a carico dell’impresa italiana, ma possono influire sulla determinazione dei prezzi di vendita dei beni e dei servizi oggetto del franchising. Detti oneri gravano sul valore CIF delle merci e sono suddivisi in: • Tariffe e dazi d’importazione: i dazi doganali colpiscono principalmente l’importazione di prodotti in India, ma talvolta anche l’esportazione di alcuni prodotti al di fuori del territorio indiano. Recentemente, il carico fiscale su alcuni prodotti d'importazione è stato notevolmente ridotto. Inoltre, su taluni prodotti viene applicata una tariffa aggiuntiva al fine di tassare i beni importati come se gli stessi fossero prodotti in India e ivi fossero stati assoggettati all’imposta di fabbricazione (si veda più diffusamente par. 14.4); • Imposta sui servizi: tale imposta indiretta, introdotta nel 1994, colpisce la fornitura a titolo oneroso in territorio indiano di determinate tipologie di servizi (es: i servizi finanziari, i servizi di trasporto). L’aliquota ordinaria applicabile è del 10%, da incrementare ulteriormente di un 2% (c.d. education cess), per cui l’effettivo carico è pari al 10.2%, da applicare al prezzo dei servizi resi (si veda par. 14.6). • Imposta di fabbricazione (Excise Duty o accise): tale imposta, che rappresenta la principale fonte di gettito nel settore della fiscalità indiretta, colpisce la produzione di beni all’interno del paese. Può però trovare applicazione anche ai nuovi processi produttivi che consentono di migliorare la commerciabilità dei prodotti (si veda anche par. 14.3).
Capitolo n. 17 Accordi relativi a diritti industriali
Sotto Capitolo n. 17.1 Premessa
Secondo l’ampia definizione contenuta nel regolamento CE n.772/2004 del 27 aprile 2004 (che ha abrogato il Regolamento n. 240/96 del 31 gennaio 1996) per “accordo di trasferimento di tecnologia”, si intende “un accordo di licenza di brevetto, un accordo di know how, un accordo di licenza di diritti d’autore sul software o un accordo misto di licenza di brevetto, di know how o di diritti d’autore sul software, compreso qualsiasi accordo di questo tipo contenente disposizioni relative alla vendita ed all’acquisto di prodotti o relative alla concessione in licenza di altri diritti di proprietà di beni immateriali o alla cessione di diritti di proprietà di beni immateriali, a condizione che tali disposizioni non costituiscano l’oggetto primario dell’accordo e siano direttamente collegate alla produzione dei prodotti contrattuali: sono considerati accordi di trasferimento di tecnologia anche le cessioni di brevetti, di know-how, di diritti d’autore sul software, o di una combinazione di tali diritti, ove parte del rischio connesso allo sfruttamento della tecnologia rimanga a carico del cedente, in particolare quando il corrispettivo della cessione dipende dal fatturato realizzato dal cessionario per i prodotti realizzati utilizzando la tecnologia ceduta, dai quantitativi prodotti o dal numero di atti di utilizzazione della tecnologia in questione”. Con il termine tecnologia, quindi, si fa riferimento al complesso di conoscenze tecniche, esperienze, formule, progetti, che l’impresa possiede ed impiega in un dato ciclo produttivo o altro processo industriale. Si tratta di beni di carattere immateriale, coperti o meno da diritti di proprietà industriale (marchi, brevetti, disegni, modelli), i quali concorrono alla formazione del patrimonio dell’impresa. Il “trasferimento di tecnologia” consente la circolazione delle innovazioni, facendo acquisire all’impresa destinataria del trasferimento dati, informazioni e conoscenze nuove, che accrescono la produttività e l’efficienza dell’azienda. Il trasferimento può avvenire seguendo tipologie contrattuali differenti ed in particolare o mediante vendita pura e semplice o, più frequentemente, mediante contratti di licenza, con i quali il titolare dei beni immateriali in oggetto, brevetti, marchi, know-how, pur conservandone la proprietà, concede al licenziatario il diritto di utilizzarli nella propria attività (godimento). Le licenze di tecnologia si sono rivelate un potente strumento di penetrazione dei mercati in crescita dei Paesi in via di sviluppo, soprattutto in presenza di politiche protezionistiche intese a limitare l’importazione mediante l’imposizione di dazi doganali o di altre misure restrittive (es. contingentamenti). I beni e servizi, che l’impresa straniera desidera commercializzare nel paese considerato, vengono infatti prodotti da imprese locali, con o senza partecipazione estera, attraverso l’impiego dell’avanzata tecnologia concessa in licenza, e dunque non sono soggetti ai dazi doganali e ad altre misure restrittive. In alcuni casi i contratti di licenza di tecnologia costituiscono altresì per il licenziante uno strumento per decentrare la produzione sfruttando i minori costi ottenibili nei paesi in via di sviluppo rispetto a quelli dei paesi industrializzati (ad es. minore costo della manodopera). In tale ipotesi il contratto prevede anche la cessione al licenziante di una certa quantità dei beni realizzati con l’impiego della tecnologia licenziata. La cessione pura e semplice, invece, riguarda di solito tipi di processi e di tecniche che l’impresa cedente, per diversi motivi, non intende più continuare ad utilizzare. Ed infatti, con la cessione, il titolare si spoglia di ogni diritto sui beni ceduti. L’oggetto dei contratti di licenza è costituito da formule, esperienze, tecniche, brevettate o brevettabili, o anche da conoscenze non brevettabili, che tuttavia abbiano un significativo valore economico in quanto, non essendo divulgate, attribuiscono al possessore un vantaggio competitivo rispetto agli altri operatori del settore. Con riferimento all’oggetto si è soliti distinguere tra: • licenze pure, di brevetto o know-how, e • licenze miste, di brevetto o know-how, dove quest’ultimo costituisce in genere la modalità operativa di applicazione del brevetto, e infine • accordi di licensing, nei quali, oltre alla concessione del diritto di sfruttare il brevetto, il licenziante concede altresì l’uso del proprio marchio e si impegna a fornire servizi di
assistenza tecnica e di formazione del personale del licenziatario e talvolta anche i macchinari e gli impianti necessari alla produzione. Contenuto essenziale di ogni contratto di licenza è dunque la concessione in uso di brevetti, marchi, know-how. A tale contenuto accedono poi una serie di clausole, eventuali, volte a tutelare il licenziatario (ad es. esclusiva territoriale, garanzia della qualità della tecnologia licenziata, garanzia dei risultati), o il licenziante (obbligo di mantenere segrete le informazioni e conoscenze acquisite, obbligo di servirsi della tecnologia solo nei limiti contrattuali, divieto di concorrenza, etc.).
Sotto Capitolo n. 17.2 Il regime fiscale delle importazioni di tecnologia nell’ordinamento indiano
Come esposto in precedenza (si veda il paragrafo 12.4) anche le royalties possono rientrare tra i redditi di fonte indiana tassati in capo ad una impresa non residente, quando vengano corrisposti direttamente dal Governo indiano, ovvero • da un soggetto residente, escluso il caso in cui la retribuzione venga corrisposta per qualsiasi diritto o informazione usata o per servizi resi in regime di impresa o professione della persona, al di fuori dell’India, o per la produzione di utili fuori dall’India; • da un soggetto non residente in seguito a diritti o informazioni usate o servizi resi in regime di impresa o professione del soggetto dislocato in India o per la produzione di qualsiasi reddito in India. Le royalties pagate a soggetti non residenti e società estere sono soggette a ritenuta alla fonte, secondo il seguente schema: • royalties pagabili dal Governo indiano o altra organizzazione economica su contratti di concessione o trasferimento di diritti per software o diritti d’autore tassabili in base alla Sezione 115 A, ITA: aliquota 20% (contratti stipulati dopo il 31 maggio 1997); • altre royalties pagabili dal Governo indiano o altra organizzazione economica su contratti approvati dal Governo Centrale: 20% (contratti stipulati dopo il 31 maggio 1997); • royalties per servizi tecnici resi, pagabili dal Governo indiano o altra organizzazione economica: 20% (contratti stipulati dopo il 31 maggio 1997). Va rilevato, tuttavia, che le royalties ricevute da società non residenti per servizi correlati alla sicurezza nazionale dell'India devono considerarsi esenti da imposta. Possono fruire di tale agevolazione le società non residenti che svolgano affari connessi alla fornitura di beni concessi in affitto (per la cui esatta definizione ed elencazione si rimanda alla Sezione 44BB, ITA) o servizi connessi all’estrazione o produzione di petrolio e gas naturali, attività di edilizia ad uso abitativo, attività di trasporto ed altre attività indicate dalle autorità. Va però ricordato che la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata con l’Italia prevede che i canoni e i corrispettivi per servizi tecnici provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato (Stato della residenza). Detti canoni e corrispettivi per servizi tecnici possono essere anche tassati nello Stato contraente dal quale essi provengono ed in conformità della legislazione di detto Stato, ma se il percettore è il beneficiario effettivo di detti canoni/corrispettivi, l’imposta applicata nello Stato della fonte non potrà essere superiore al 20% dell’ammontare lordo di quanto corrisposto.
Sotto Capitolo n. 17.3 Il regime fiscale dei trasferimenti internazionali di tecnologia nell’ordinamento italiano
I proventi conseguiti dall’impresa italiana a fronte del trasferimento all’estero di tecnologia mediante contratti di licenza concorrono alla formazione del reddito di impresa secondo le regole ordinarie, a prescindere dalla loro qualificazione in termini di canoni per la concessione di diritti di utilizzazione di opere dell’ingegno, marchi, brevetti, know-how, ovvero di commissioni per la prestazione di servizi di assistenza tecnica (la diversa qualificazione potrebbe invece rilevare qualora il soggetto percipiente non fosse imprenditore), nonché a prescindere dalla loro corresponsione secondo scadenze periodiche o in unica soluzione. Il corrispettivo pattuito viene computato al lordo, restando salva la facoltà dell’impresa di dedurre i costi sostenuti per lo sviluppo della tecnologia trasferita in via analitica secondo quanto previsto dalla normativa vigente. Va ricordato che qualora il trasferimento avvenga mediante cessione pura e semplice, il corrispettivo concorrerà alla formazione del reddito di impresa secondo la norma sulle plusvalenze (art. 86 Tuir).
Capitolo n. 18 Produzione con presenza in India
L’instaurazione di una presenza diretta sul territorio indiano può avvenire tramite diversi percorsi, con conseguenti differenti riflessi sotto il profilo fiscale. Per incrementare gli investimenti in determinati settori di attività (tra cui il settore terziario, il settore industriale con riferimento alle attività di ricerca e sviluppo, le telecomunicazioni, etc.), promuovere lo sviluppo delle aree più arretrate del Paese e incentivare l’ingresso di valute forti, il Governo indiano concede delle agevolazioni fiscali per le nuove attività d'impresa, principalmente nella forma di esenzione da imposizione sui redditi per periodi di tempo variabili in relazione alla tipologia di investimento. E’ in ogni caso richiesto che l’attività (i) venga svolta o in determinati settori imprenditoriali o in determinate zone del territorio, e (ii) rappresenti una nuova iniziativa imprenditoriale a tutti gli effetti, non potendo, invece, fruire delle agevolazioni le semplici riconversioni di un’attività d’impresa non agevolata in una agevolata, né l’esercizio di una nuova attività mediante l’utilizzo di impianti e macchinari già utilizzati precedentemente in altre attività svolte in India. Una attenta analisi delle agevolazioni esistenti appare, quindi, estremamente utile ed opportuna per l’imprenditore italiano alla ricerca della migliore localizzazione del proprio investimento nel territorio indiano. Tale analisi, tuttavia, si presenta alquanto complessa per l’esistenza sia di agevolazioni statali (si veda il paragrafo 12.5.1), sia di incentivi offerti dai governi dei singoli stati soprattutto per attrarre capitali e tecnologie straniere (si veda il paragrafo 12.5.3), sia di aree “preferenziali” individuate allo scopo principale di favorire la manifattura di prodotti destinati all’esportazione, caratterizzati da una tecnologia avanzata e da un elevato valore aggiunto (si veda il paragrafo 12.5.2).
Sotto Capitolo n. 18.1 Acquisizione di partecipazioni in una società indiana già esistente
Di norma, l’investitore straniero rivolge la propria attenzione nei confronti delle società di capitali ed, in particolare, della società a responsabilità limitata, maggiormente adattabile alle esigenze di flessibilità del soggetto estero rispetto alle altre tipologie di società ed enti associativi. Negli ultimi anni, la politica indiana relativa agli investimenti diretti esteri è stata progressivamente liberalizzata. Gli investimenti diretti esteri sono ora permessi in molti settori ed attività in base alla procedura di approvazione automatica (si veda il paragrafo 1.2.2), ovvero, per altri ambiti, viene richiesta una preventiva autorizzazione governativa (si veda il paragrafo 1.2.3). L’ammontare dell’investimento estero può anche raggiungere il 100% dell’intero investimento, seppure con alcune limitazioni (si veda il paragrafo 1.2.4) anche relativamente alle piccole imprese (si veda il paragrafo 1.2.5) che vengono considerate di grande importanza nell’economia indiana. Sotto il profilo più strettamente fiscale, l’acquisizione di partecipazioni di società indiana ad opera di un non residente non comporta particolari conseguenze in relazione alle principali imposte, salvo che ciò avvenga tramite un’operazione di riorganizzazione societaria che può avere non indifferenti riflessi fiscali (si veda il paragrafo 12.7). L’acquisizione della titolarità di partecipazioni in una società indiana comporta, invece, alcune conseguenze in ordine alla tassazione dei dividendi distribuiti, che, come indicato in precedenza (si vedano paragrafi 12.3.5 e 12.4), sia che vengano percepiti da soggetti residenti che da non residenti, sono esenti da imposizione sui redditi in India, ma sono soggetti a DDT (Dividend Distribution Tax) con aliquota del 12,5%, da maggiorare di sovrattassa del 10% ed addizionale del 2%. Poiché la convenzione contro le doppie imposizioni sul reddito vigente tra Italia ed India prevede, come misure massime delle ritenute alla fonte applicabili dallo Stato della fonte (India) sui dividendi distribuiti a beneficiari italiani, il 15% (se il percettore è una società che detiene almeno una partecipazione pari al 10% del capitale della società indiana) ovvero il 25% – aliquote più elevate rispetto alla DDT stabilita dalla normativa indiana –, è di tutta evidenzia che per l’investitore italiano risulterà più favorevole l’applicazione della normativa interna indiana (che prevede come detto l’esenzione totale), senza alcuna necessità di dovere richiedere l’applicazione della convenzione. In ogni caso, i dividendi corrisposti concorreranno a formare il reddito del percipiente italiano, secondo le regole dettate dalla normativa nazionale: esclusione dalla base imponibile sul 95% o sul 60% dei dividendi a seconda che il soggetto percettore sia una società di capitali (art. 89 Tuir), ovvero una società di persone o un imprenditore individuale (art. 59 comma 2 Tuir) o una persona fisica avente una partecipazione qualificata nella società indiana erogante (art. 68 comma 3 Tuir).
Sotto Capitolo n. 18.2 Costituzione di unità locali e sedi secondarie
Una prima presenza stabile in India può essere costituita tramite l’apertura di un “ufficio di rappresentanza o collegamento” (c.d. “liaison office”), attraverso il quale, però, sono consentite solo alcune attività, quali, ad esempio, rappresentare la società madre o le società del gruppo, svolgere attività di promozione per le attività di export/import da e verso l’India, svolgere attività di promozione della collaborazione tecnico-finanziaria tra la società madre o le società del gruppo da un lato, e le società in India dall’altro, ovvero agire come canale di comunicazione tra la società madre e le società indiane. Un Liaison Office non può intraprendere, direttamente o indirettamente, nessun tipo di attività commerciale od industriale e non può generare nessun profitto. È altresì possibile la creazione di sedi secondarie (branch offices), tramite le quali le società estere impegnate nel settore produttivo e/o commerciale possono essere rappresentate in India per quanto concerne la gestione delle compravendite, o al fine di effettuare attività di import/export, o al fine di promuovere possibili collaborazioni tecniche o finanziarie con ditte locali. Per entrambe le strutture è comunque prevista l’approvazione del RBI. Sotto il profilo fiscale, l’apertura di un ufficio di collegamento o di rappresentanza non comporta, di norma, particolari oneri fiscali, se tramite lo stesso vengono esercitate solo attività di promozione o di raccolta di informazioni, non determinando l’esistenza di una stabile organizzazione. Al riguardo vale la pena di rammentare (si veda anche il paragrafo 12.4) che la legislazione indiana, per definire il reddito di impresa di fonte indiana, tassabile in capo alle società non residenti, utilizza il concetto di “business connection” (“relazione d’affari”), che è più ampio di quello di “stabile organizzazione” o “permanent establishment”, solitamente conosciuto nel diritto tributario internazionale. Sia il Modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi che i trattati bilaterali stipulati dall’India (incluso quello vigente con l’Italia) ricorrono proprio a tale ultimo concetto, per stabilire che un soggetto residente in uno Stato estero può essere soggetto ad imposta per i redditi d’impresa prodotti in India solo se lì dispone di una stabile organizzazione. In caso contrario, potrà essere eventualmente soggetto ad imposta per altre tipologie di reddito di fonte indiana (capital gain, interessi, royalties, etc.). Mentre un qualsiasi insediamento produttivo/commerciale stabile nel territorio indiano che possa configurarsi come stabile organizzazione ai fini fiscali, rappresenta sicuramente anche una business connection, il contrario non è sempre vero: cioè un collegamento con il territorio indiano privo dei requisiti per essere considerato stabile organizzazione, potrebbe essere comunque considerato una “business connection” dall’amministrazione fiscale indiana. E’ quindi importante operare tramite veicoli societari nei cui confronti si applichi una convenzione contro le doppie imposizioni, in modo da eliminare il rischio che, pur in assenza di una stabile organizzazione, sia individuata una business connection con conseguente tassazione dei profitti da essa derivanti. Per la tassazione delle società non residenti, con o senza stabile organizzazione, si rinvia al citato par. 12.4.
Sotto Capitolo n. 18.3 Costituzione di società controllate
Se la società estera intende invece costituire una società controllata, più probabilmente nelle forme della società a responsabilità limitata, deve osservare gli stessi adempimenti previsti per la costituzione di società da parte dei residenti. Salvo specifiche limitazioni per alcune attività considerate strategiche, sotto il profilo civilistico le persone giuridiche straniere vengono equiparate a quelle indiane, con pressoché identiche modalità di costituzione che comportano ovviamente, la presentazione di varia documentazione. Sul punto si rinvia comunque a quanto esposto in precedenza (si vedano in particolare i paragrafi 1.3.4 e seguenti). Sotto il profilo fiscale, la società controllata costituita dalla società estera viene considerata a tutti gli effetti una società indiana e, come tale, è soggetta a tutte le norme che regolano la tassazione delle società residenti, per le quali si rinvia al par. 12.3.
Sotto Capitolo n. 18.4 Joint Ventures
Un altro modo di operare sul territorio indiano da parte di investitori stranieri è quello di costituire una joint venture che possono assumere la forma di società, partnership, o joint working agreement (si veda il paragrafo 1.6). Si tratta, nel primo caso, della creazione da parte di diversi imprenditori di una entità autonoma, costituente un soggetto di diritto diverso dalle persone (fisiche o giuridiche) che lo compongono. Le partnership sono definite dalla Sezione 4 dell’Indian Partnership Act, come accordi attraverso cui si crea un “partnership business” al fine di dividere profitti e condurre l’attività nell’interesse di un singolo o di tutti. Le partnership non conoscono limitazioni di responsabilità dei rispettivi partners, sicchè il rischio associato a tale forma di business è molto elevato e non è consigliabile per nessun tipo di JV. I joint working agreements sono orientati sia al mercato che al cliente a seconda delle necessità dei partners. In tali accordi, il partner indiano produce quei componenti con un costo effettivo, mentre il JV partner importa in India quei componenti che non hanno un costo effettivo. Il prodotto finale è il risulato di tale mescolanza. In caso di Joint working agreements, non ci può essere un completo trasferimento di tecnologia, che dovrà invece essere trasferita gradualmente. Si assiste, inoltre, ad una graduale condivisione di entrate tra le parti. Sotto il profilo fiscale, le JV non ricevono, in quanto tali, vantaggiosi trattamenti. L’Indian Income Tax Act offre, comunque, certi benefici alle industrie create come unità orientate al 100 % all’esportazione (EOU), mentre le industrie infrastrutturali nelle aree dell’energia, delle telecomunicazioni, beneficiano di riduzioni delle imposte. I soggetti che investono nelle obbligazioni di tali società non pagano imposte sugli interessi. In ogni caso, le JV contrattuali non danno origine ad una entità autonoma alla quale sia riconosciuta soggettività passiva ai fini tributari. Le singole società (anche straniere) che fanno parte della joint venture saranno quindi assoggettate ad imposizione diretta ed indiretta in base alle regole già ricordate. Diversamente, invece, avviene con riferimento alle JV associative, quando cioè viene creata una entità specifica operante sul territorio indiano, che sarà soggetta alla normativa fiscale interna applicabile ai soggetti residenti, come delineata nell'ambito dell’esame del sistema fiscale indiano.
Capitolo n. 19 Prospetti di sintesi
Sistema economico commerciale
Possibili forme di investimento per l’investitore straniero
Caratteristiche principali delle forme societarie
(i) costituzione di una società in base al Companies Act del 1956 o acquisizione di una partecipazione in società esistente: z Joint venture societarie (società commerciale, società di persone); z Società interamente partecipata; (ii) presenza in India con entità prive di personalità giuridica o forma societaria: z Liaison Office; z Branch Office; z Project Office; z Joint working aggreement 1. Distinzione tra societ à "chiuse" o "aperte" (i) società chiuse z a responsabilità limitata o non limitata; z con capitale azionario o senza capitale azionario; z numero dei soci: tra un minimo di 2 e un massimo di 50; z capitale minimo 100.000 INR; z organi sociali: consiglio di amministrazione (minimo 3 consiglieri), assemblea dei soci, uno o più revisori; z trasferimento delle azioni: libertà di limitare il trasferimento delle proprie azioni (presenza di right of first refusal, lock-in period, put and call option) z responsabilità amministratori (per i quali non esistono vincoli di cittadinanza): dovere di carattere fiduciario di agire nell'interesse della società, singolarmente responsabili per le deliberazioni assunte; (ii) società aperte z forma necessaria della società per azioni; z numero di soci: minimo 7; z capitale minimo 500.000 INR; z organi sociali: consiglio di amministrazione (minimo 2 consiglieri), assemblea dei soci, uno o più revisori; z trasferimento delle azioni: trasferimento libero z responsabilità degli amministratori (per i quali non esistono vincoli di cittadinanza): dovere di carattere fiduciario di agire nell'interesse della società, amministratori singolarmente responsabili per le deliberazioni assunte all'interno del CdA; 2. Forme societarie : (a) società a responsabilità limitata per azioni - private
companies limited by shares, public company limited by shares; (b) società a responsabilità limitata da garanzia - private companies limited by guarantee; (c) società a responsabilità illimitata - private unlimited; Convenzioni multilaterali: Convenzione di Parigi 1883 - TRIPs; Monopolies and Restrictive Trade Practices Act del 1969, Tutela della propriet à industriale, Antitrust
successivamente modificato. Non è previsto l'obbligo di notifica preventiva delle operazioni di concentrazione, ma la Commissione preposta effettua un controllo sulle operazioni effettuate dalle imprese.
SISTEMA FISCALE
Imposta sui redditi delle persone fisiche
Periodo d’imposta: dal 1° aprile al 31 marzo di ogni anno. Soggetti passivi: 1) persone fisiche residenti (presenza in India per più di 182 giorni in un periodo d’imposta, ovvero per 60 giorni, se negli ultimi 4 vi è stata presenza per almeno 365 giorni complessivi), tassate su tutti i redditi ovunque prodotti; 2) persone fisiche non ordinariamente residenti (c.d. NOR, si veda definizione par. 11.1.), tassate solo su determinati redditi; 3) persone fisiche non residenti, tassate sui redditi di fonte indiana. Aliquote: (i) progressive per scaglioni di reddito e comprese tra lo 0% (redditi fino a 50.000 INR) e il 30% (redditi oltre 150.000 INR), cui va aggiunta la sovrattassa del 2,5% (applicata all’imposta) e l’addzionale (education cess) del 2% (applicata all’imposta dopo la maggiorazione della
sovrattassa). In molti casi sono previste ritenute alla fonte (si veda par. 11.2.), con aliquote differenziate in relazione alla tipologia di reddito, e al percettore (residente o meno). Soggetti passivi: (i) società residenti (società con sede legale o sede effettiva dell’amministrazione in India) soggette ad imposta per tutti i redditi ovunque prodotti; (ii) società non residenti, soggette ad imposta per i redditi di fonte indiana. Aliquota: (i) Società residenti: 35% (aliquota ordinaria), con proposta di riduzione al 30% dal 01/04/2005 + sovrattassa del 2,5% (da applicare all’imposta) con proposta di incremento al 10% dal 01/04/2005 + addizionale del 2% (da applicare all'imposta dopo la maggiorazione della sovrattassa). aliquota effettiva 36,6% circa (l'imposta calcolata con le aliquote ordinarie sul reddito imponibile non può essere inferiore alla “Minimum Alternative Tax” (MAT), pari al 7,5% degli utili di bilancio). In molti casi sono previste ritenute alla fonte (si veda par. 12.3.1.), con aliquote differenziate in relazione alla tipologia di reddito (tra il 20% e il 30%). Imposta sui redditi societari (ii) Società non residenti: 40% (ordinaria) + 2,5% (non è previsto l’incremento al 10%) + 2%. Aliquota effettiva del 41,82%. NB: A tutte le aliquote indicate in seguito occorre aggiungere le maggiorazioni della sovrattassa e dell ’addizionale . Dichiarazione dei redditi: annuale entro 31 ottobre di ogni anno. Liquidazione dell’imposta: quattro acconti trimestrali , calcolati secondo il metodo revisionale, pari al 15% del carico fiscale stimato, entro il 15 giugno, al 30% entro il 15 settembre, al 30% entro il 15 dicembre, al residuo 25% entro il 15 marzo. Se gli acconti complessivamente versati sono inferiori al carico fiscale effettivo, si dovrà versare la differenza (maggiorata di interessi al 2% mensile, se gli acconti sono inferiori al 90% del dovuto); in caso contrario lo Stato procede a rimborso di quanto versato in eccedenza (con maggiorazione dell’1% mensile, se l’eccedenza è superiore al 10% del dovuto). 1) Società residenti: Dividendi: (i) esenti se corrisposti da società residenti in India (è stata tuttavia di recente introdotta un’imposta sulla distribuzione a carico della società erogante – Dividend Distribution Tax o DDT pari al 12,5%, da incrementare della sovrattassa del 10% dal 01/04/2005 e dell’addizionale del 2%, per una aliquota effettiva del 14,025% - Cfr. par. 12..3.5 per una esemplificazione numerica) (ii) ordinariamente imponibili (con crediti d'imposta per le imposte estere) se corrisposti da società non residenti. Plusvalenze d’impresa: tassazione ordinaria, anche se inerenti partecipazioni (no participation exemption, no dilazione della plusvalenza). Giacenze di magazzino: valutazione a costi specifici o a FIFO (LIFO non accettato a fini fiscali). Possibile “doppio binario” contabile e fiscale. Interessi passivi: deducibili se inerenti. Ammortamenti: diverse aliquote in relazione alle tipologie di immobilizzazioni (materiali e immateriali). L’ammortamento è calcolato non in relazione al singolo cespite, ma alla classe, cioè l'insieme di tutti i beni con la stessa aliquota di ammortamento (v. par. 12.3.3.). Plus/minusvalenze: 1) long term (per beni detenuti da più di 36 Principali componenti della base imponibile mesi, o da più di 12, nel caso di azioni e titoli quotati, quote di specifici fondi di investimento) con aliquota del 20%. Riporto in avanti (carry forward) delle minusvalenze per 8 anni, con compensazione solo con plusvalenze dello stesso tipo. Per le azioni quotate detenute da più di 12 mesi, invece, è stata recentemente introdotta l’esenzione. 2) Short term: aliquota ordinaria del 35% (per le azioni quotate l’aliquota è ridotta al 10%), più maggiorazioni. Carry forward delle minusvalenze per 8 anni (proposta di riduzione a 4 anni), con compensazione anche con plusvalenze di lungo periodo. I beni ammortizzabili danno luogo sempre a plus/minus di breve periodo. Possibili trasferimenti infragruppo in neutralità fiscale (par. 12.3.4.). 2) Società non residenti : Dividendi di fonte indiana: soggetti a imposta sulla distribuzione (DDT), a carico della società erogante pari al 12,5% (14,03% effettivo). Interessi di fonte indiana: ritenuta del 20% se relativi a prestiti in valuta straniera, del 40% altrimenti. Royalties di fonte indiana: ritenuta alla fonte, su varie tipologie di contratto nella misura del 20% (altrimenti 40%). Plus/minusvalenze di fonte indiana: 1) long term ritenuta del 20%; 2) Short term: 40%. Perdite fiscali: riporto in avanti (carry forward) per 8 anni, non previsto il riporto all’indietro (carry back). Normativa CFC: non prevista. Consolidato fiscale per i gruppi: non previsto (esiste tuttavia un regime di neutralità fiscale per il trasferimento infragruppo). Transfer pricing: esiste normativa specifica applicabile alle operazioni tra soggetti residenti e soggetti non residenti che siano Altre informazioni di interesse tra loro correlati (si v. par. 12.6. per maggiori dettagli). sull'imposizione societaria Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni: stipulate con 72 paesi (tra cui l’Italia), di cui, con 1 non ancora entrata in
IVA
Altri principali tributi
Fattori chiave per le agevolazioni fiscali
vigore. Paese non black-listed per la normativa italiana: non è quindi applicabile la disciplina italiana per le CFC né quella per l’indeducibilità dei costi relativi ad operazioni con paradisi fiscali. Introdotta solo di recente, a decorrere dal 01/04/2005, per le cessioni di beni (restano escluse le prestazioni di servizi, sulle quali si applica l’imposta sui servizi) tra gli Stati dell’Unione indiana, con 3 aliquote (aliquota ordinaria del 12,5%, e due aliquote agevolate del 1% e 4% su determinate tipologie di beni) – Si veda par. 14.2. Imposta patrimoniale (par. 14.1.). Imposta di fabbricazione (par. 14.3.) . Dazi doganali (14.4.). Imposta sulle vendite di beni mobili (14.5.). Imposta sui servizi (14.6.). Altre imposte minori (14.7.). Le agevolazioni fiscali (par. 12.5. e seguenti) generalmente consistono in esenzioni totali/parziali da imposte sui redditi per un certo periodo di tempo (5 anni, 10 anni, etc.); sono dirette (i) a sviluppare determinate attività o settori imprenditoriali, (ii) favorire la crescita economica di determinate aree; (iii) incentivare le esportazioni. Si distinguono agevolazioni concesse dal governo centrale, e agevolazioni concesse dai singoli Stati. Fattori chiave sono quindi: Ubicazione: nelle SEZ, EPZ, STP, EHTP. (par. 12.5.2.). Tipo di attività: ricerca e sviluppo, raffinazione del petrolio, telefonia, edilizia abitativa, orientate all'esportazione (c.d. EOU).
Capitolo n. 20 Principali riferimenti normativi
Generale • Costituzione Indiana, 26 novembre 1949. Società e impresa • Code of Civil Procedure, 1908 • Industries (Development & Regulation) Act del 1951 • Environment Protection Act del 1986 • Statement on Industrial Policy del 1991 • Industrial Policy Resolution del 1956 • Companies Act del 1956 • Foreign Exchange Management (Establishment in India of branch or office of other place of business) Regulation del 2000. • Companies Rules, del 2001 • Industrial Disputes Act 1947 • Foreign Exchange Regulation (Amendement) Act del 1993 • Indian Partnership Act Disciplina dei Contratti • Specific Relief Act del 1963 • Indian Contract Act del 1872 • Sale of Goods Act del 1930 Proprietà intellettuale • Merchandise Marks Act del 1958 • Patent Cooperation Treaty del 1970 • Copyrights Act del 1957 Diritto del lavoro e controversie • Employees’Provident Fund and Miscellaneus Provision Act del 1952 • Employees’State insurance Act del 1948 • Contract Labour (Regulation and abolition) Act 1970 • Payment of Wages Act del 1936 • Payment of Gratuity Act – 1972 • Payment of Bonus Act – 1965 • Industrial dispute Act del 1947 • Factories Act – 1948 • Arbitration and Conciliation Act del 1996 • New York Convention del 1958 Sistema finanziario • SARFAESI Act del 2000 (Securitiziation and Reconstruction of Fianancial Assets and Enforcement of Securities Interest Act) • The Reserve Bank of India Act del 1934 • Banking Regulation Act del 1949 • Securities Law Ordinance del 1995 • The Securities Contract regulation Act del 1957 Sistema fiscale • Codice Tributario, Income Tax Act, 1961, entrato in vigore il 1° aprile 1962; • Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni Italia/India, ratificata con legge 14/07/1995, n. 319, pubblicata in Gazzetta ufficiale il 01/08/1995, n. 178; • Testo Unico delle Accise, Central Excise Act, 1944; • Tariffa sulle Accise, Central Excise Tariff Act, 1985;
• Testo Unico dei Dazi e delle Dogane, Customs Act, 1962; • Tariffa sui Dazi, Customs Tariff Act, 1975; • Testo Unico dell’Imposta sulle vendite di beni mobili, Central Sales Tax Act, 1956; • Testo Unico dell’Imposta sui Servizi, Service Tax Act, 1956; • Testo Unico dell’Imposta patrimoniale, 1957.
Capitolo n. 21 Alcuni siti di interesse
Siti in italiano/inglese/hindi • Ambasciata d’Italia a Nuova Dehli: http://www.italembdelhi.com/ • Consolato generale d’Italia a Bombai: http://www.italianconsulatemumbai.com/; • Ambasciata Indiana in Italia (Roma): e-mail:
[email protected] Istituzioni indiane (siti in inglese/hindi) • Ministero delle Finanze: http://www.finmin.nic.in/ • Ufficio Centrale Imposte Indirette: http://www.cbec.gov.in/ • Confederazione degli Industriali Indiani: http://www.ciionline.org/ • Federazione delle Camere di Commercio e dell’Industria: http://www.ficci.com/ficci/index.htm • Governo di Delhi: http://delhigovt.nic.in/ • Ministero delle telecomunicazioni e dell’Information Technology: http://www.mit.gov.in/ • Ministero del Commercio: http://www.commin.nic.in/ • Ministero dell’industria: http://www.dipp.nic.in/ • National Centre for Trade Information: http:/www.nic.in/ • Banca Centrale Indiana: http://www.rbi.org.in/ • Parlamento Indiano, http://parliamentofindia.nic.in/ • Presidente Indiano: http://presidentofindia.nic.in/ • Primo Ministro Indiano, http://pmindia.nic.in/ • Corte Suprema Indiana: http://supremecourtofindia.nic.in/ • Banche nazionali : http://goidirectory.nic.in/bankfin.htm • Istituzioni e organizzazioni – Joint ventures: http://goidirectory.nic.in/psujv.htm • Alta Corte – dislocazione territoriali: http://goidirectory.nic.in/judi.htm - hc • Corti Distrettuali – dislocazione territoriale: http://goidirectory.nic.in/judi.htm - dc Associazioni di categoria • Federation of Indian Chambers of Commerce & Industry (FICCI): http://www.bisnetindia.com/ • Confederation of Indian industries (CII) http://www.ciionline.com/ • Federation of Indian Export Organizations (FIEO) http://www.fieo.com/ Riviste in inglese • India Today: http://www.india-today.com/ • The Times of India: http://www.timesofindia.com/
Capitolo n. 22 Indice abbreviazioni e acronimi principali
ARC Asset Reconstruction Companies; ARCIL Asset Reconstruction Company of India Ltd.; BRBNMPL Bharatiya Res. Bank Note Mudran Private Limited of India; BSE Bombay Stock Exchange; CBEC Central Board of Excise and Customs; CBR Central Bureau of Revenues; CBTD Central Board of Direct Taxes; CENVAT Central Value Added Tax; CFC Controlled Foreign Companies; DFI Development Finance Institutions DICGC Deposit Insurance and Credit Guarantee Corporation of India; DRF Demat Request Form; DTAs Double Taxation Agreements; ECD Exchange Control Department; EOUs Export Oriented Units; EHTPs Electronics Hardware Technology Parks; EPZs Export Processing Zones; FDI Foreign Direct Investment; FFIs Foreign Institutional Investors; FIPB Foreign Investment Promotion Board; FTC Task Force Committee; GDR Global Depository Receipts; HUFs Hindu Undivided Families; ICAI Institute of Chartered Accountants of India; IFR Investment Fluctuation Reserve; IFRS International Financial Reporting Standars; INR Rupia, unità monetaria indiana; IRDA Insurance Regulatory and Development Authority; ITA Income Tax Act; MAT Minimum Alternative Tax; NABARD National Bank for Agricoltural and Rural Development; NBFC Non Banking Financial Companies; NHB National Housing Bank; NSE National Stock Exchange; PAN Permanent Account Number; PIO Persone di Origine Indiana; PIS Portfolio Investment Scheme; PSU Public Sector Units; RBI Reserve Bank of India; SAARC South Asia Association for Regional Cooperation; SARFAESI Securitization and Reconstruction of Financial Assets and Enforcement of Securities Interest; SBI State Bank of India; SEBI Securities Exchange Board of India; SEZ Special Economic Zones; SIA Secretariat for Industrial Approvals; STPs Software Technology Parks; TAN Tax Account Number; UTI Union Trust of India.
Il Centro di Ricerca sulla Finanza e la Fiscalità Internazionale desidera precisare che il presente documento deve essere considerato esclusivamente quale guida generale intesa a fornire un quadro informativo d’insieme del sistema economico, giuridico e fiscale indiano. Le indicazioni contenute nel presente lavoro sono state inserite sulla base delle informazioni disponibili al momento della sua elaborazione (marzo 2005) e potrebbero essere soggette a integrazioni, aggiornamenti o altre modifiche.
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