Incontriamo Antonio Delfini Raccolta di relazioni della classe 5^C L.S.T. dell’ITIS “F. Corni” di Modena
Testi di: Bertani Manuel Cavazza Giada Ferraguti Francesco Galli Mattia Murano Mattia Muzzioli Matteo Nuzzo Federico Parmeggiani Sara Prandi Carolina Serafini Giovanni Impaginazione e grafica: Nuzzo Federico L’immagine di copertina è di Luigi Toccafondo Si ringraziano: la professoressa A. Muratori Casali la referente del progetto “Antonio Delfini scrittore modenese” Bruna Bolognani Febbraio 2013
Antonio Delfini, uno scrittore dai tanti volti di Manuel Bertani
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ercoledì 6 febbraio, presso la Biblioteca Comunale, si é tenuto un incontro dal titolo “Antonio Delfini, scrittore modenese”, in occasione dei numerosi eventi promossi per commemorare il cinquantesimo anno dalla sua morte. A partecipare sono due classi quinte dell’ Istituto Tecnico Statale Fermo Corni. Delfini è un personaggio poco conosciuto, che non ha mai scritto opere di successo, ma estremamente interessante. La relatrice, Bruna Bolognani, tramite foto, video e documenti originali descrive in modo accurato la figura dello scrittore modenese. Egli nasce da una famiglia di ricchi possidenti terrieri il 10 giugno 1907 a Modena. Nel 1908 muore il padre e la mancanza lo segnerà molto. Rimane insieme alla madre con la quale stringerà un fortissimo legame. Non frequenta la scuola pubblica, non è un grande studente, ma legge tantissimo, in particolare, i libri della grande biblioteca paterna. Nel 1931 scrive il suo primo racconto “Ritorno in città”, “Il ritorno della Basca” nel 1938 e nel 1961 è pubblicata presso Feltrinelli “Poesie della fine del mondo”. Quest’ ultima è una raccolta di poesie scritte usando titoletti di giornali. Nella sua vita e nelle sue produzioni si riscontrano numerose contraddizioni che lo rendono complesso, ma allo stesso tempo interessante da conoscere. Nel periodo adolescenziale e giovanile è un visionario, un sognatore, si innamora di tante donne le quali poi diventano protagoniste delle sue opere. Dopo una delusione d’ amore, tuttavia, il suo ottimismo e la sua voglia di vivere si trasformano in delusione, distacco. Oltre a ciò lui ama molto Modena e spesso descrive le vie del centro nei suoi racconti. Si sente, però, chiuso e soffocato e viaggia molto, tanto che, nel 1932 va a Parigi insieme a degli amici venendo a contatto con l’ avanguardia storica del Surrealismo. Poi si trasferisce a Viareggio dove la sua famiglia possiede una casa. Si reca poi a Firenze dove al caffè delle “Giubbe Rosse” conosce e discute con molti intellettuali come Montale e Gadda. con loro il rapporto è d’ amicizia, ma spesso anche di scontro. Delfini, infatti, è un anticonformista. Odia le etichette, ha una visione del mondo tutta sua e non si può inquadrare né nell’ Ermetismo né nel Realismo, movimenti letterari predominanti
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nel capoluogo toscano in quell’ epoca. Lui è il tipico esempio dell’ intellettuale disimpegnato, è uno scrittore distratto, scrive nei momenti di noia e fa fatica a trovare una collocazione nella società culturale del tempo. Queste sue caratteristiche lo hanno portato ad essere un artista di nicchia e solo ora grazie all’ intervento della Biblioteca Civica sta tornando in luce la sua figura. Inoltre, nel 2007, a cento anni dalla sua nascita, la biblioteca ha chiesto al disegnatore e regista Gianluigi Toccafondo di realizzare un affresco digitale incentrato su Delfini per decorare il soffitto della sala conferenze. L’ artista usa foto, disegni, collage e manifesti custoditi dalla figlia dello scrittore e dalla Biblioteca Estense Universitaria di Modena. Li trasforma a suo piacimento e ne nasce un’ opera suggestiva e sorprendente. Semplici immagini di Modena o di Delfini sono colorate in modo originale, caricaturale o ironico per descrivere l’unicità, l’emblematicità e la stranezza di questo personaggio dai tanti volti.
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Antonio Delfini: ce lo racconta Gianluigi Toccafondo di Giada Cavazza
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’ artista G. Toccafondo ha realizzato, riferendosi ad immagini e fotografie conservate dalla figlia del poeta e dalla biblioteca civica di Modena, la quale oggi porta il suo nome, l’affresco digitale che copre tutt’ora tutta la volta sul soffitto della sala conferenze della biblioteca. Abbiamo deciso di intervistarlo per sapere quale idea si sia fatto dello scrittore modenese. Signor Toccafondo, cosa l’ha spinta ad accettare di realizzare quest’opera? «Non appena mi è arrivata la proposta ho accettato con entusiasmo. Mi sono sempre piaciuti i lavori “su commissione” in quanto mi hanno spesso permesso di avere a che fare con storie di cui ignoravo l’esistenza o delle quali, comunque, avevo solamente sentito parlare e che, poi, ho potuto conoscere e ridipingere secondo mie interpretazioni. Mi hanno messo a disposizione una grossa quantità di materiale fotografico. Oltre ai ritratti che illustrano la sua vita, ci sono anche bellissime foto della città di Modena, scattate dall’autore stesso. Sono riuscito così a farmi un’idea degli ambienti e dei personaggi che popolavano “La città dei sandroni”. È stato davvero divertente!». Lavorando avrà sicuramente avuto occasione di parlare con qualcuno che, magari, lo ha conosciuto, o che conosce bene la sua storia. Ci può raccontare ciò che ha scoperto? «Sì, certamente mi sono interessato alla storia di questo strano personaggio. Antonio Delfini nasce a Modena, sopra all’ancora esistente ristorante “Oreste”, nel 1907, nonostante la sua carta d’identità, per errore o non si sa, consideri come anno di nascita quello successivo. A solo un anno rimane orfano di padre del quale sentirà la mancanza per tutta la sua vita. Lo scrittore viene da un’agiata famiglia, tanto da possedere anche una sua automobile, che a quel tempo non è così scontata! Proprio perché viene a mancare suo padre, la sua vita sarà molto condizionata dalla madre che, infatti, lui definisce “la sua vera, unica fidanzata”. Delfini vive da “dandy”, non lavora e dissipa gran parte del patrimonio
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di famiglia nel gioco d’azzardo ed in regali agli amici o alle sue donne. Nel 1920 il poeta aderisce alle avanguardie dei fasci di combattimento. Nel 1932, un anno dopo la pubblicazione del suo primo racconto “Ritorno in città”, decide di andare a Parigi con l’amico Pannunzio. Questo viaggio è per lui un momento di grande conoscenza ed è proprio qui che entra in contatto con i surrealisti. Nel 1935, però, per la sua famiglia comincia un periodo difficile dal punto di vista economico e la madre, con la sorella, si trasferisce a Disvetro; lui va a Roma e qui ha la possibilità di entrare in contatto con molti intellettuali. Nel 1951 aderisce al partito comunista e scrive “Il manifesto per un partito conservatore e comunista”. Nel 1961, due anni prima di morire, realizza una raccolta di poesie, “Poesie della fine del mondo”, che realizza prendendo titoletti di articoli di giornale e mettendoli insieme, cercando di creare veri e propri versi, e devo riconoscergli di esserci proprio riuscito. Lui, lontano dall’editoria, non vorrebbe pubblicarlo, ma è l’amico Bassani ad accorgersi del suo capolavoro e a renderlo pubblico tramite la casa editrice Feltrinelli. Nel 1962 muoiono la madre e la sorella; lui rimane solo con tutti i suoi debiti e muore l’anno successivo di attacco cardiaco. Alcuni amici intellettuali decidono di assegnargli il premio letterario “Viareggio”. Solamente 9 anni dopo la sua morte, nel 1982, escono i suoi “Diari” che ci danno un vero e proprio profilo autobiografico del poeta. La biblioteca che oggi porta il suo nome gli fu intitolata nel 1992». Non ci è chiara una cosa…se Delfini aveva aderito al partito fascista, perché nel 1951 decide di cambiare radicalmente posizione, schierandosi dalla parte quasi opposta? «In realtà non so rispondere a questa domanda. Semplicemente lui era un personaggio ironico, divertente, che amava scherzare e la sua vita è piena di contraddizioni. Quella politica è solamente la prima. Per citarne un’altra, egli ama frequentare gli ambienti intellettuali, ma, nonostante si senta al di sopra di tutti gli altri, si definisce anche un autodidatta ed in effetti studia pochissimo e solo da privatista, con insegnanti che la madre fa venire a casa e che ritengono il loro lavoro più difficile di quanto si possa pensare. Delfini è infatti uno spirito ribelle, è addirittura bocciato in terza media e non si laurea mai. È uno studente molto incostante ed egli stesso ama chiamarsi “dilettante”, ma non nel vero senso della parola. È un dilettante perché non vuole far parte di quella che è, in quel periodo, la schiera degli intellettuali, i quali sono arrivati a mercificare l’arte e a produrre soltanto ciò che il governo fascista permette di pubblicare senza censure. Lo scrittore odia le etichette e dice sempre: “Voglio fare di questo dilettantismo la mia professione”, tant’è che, come ho detto prima, lui non lavorerà mai, ma la letteratura sarà la sua “compagna di vita”». E come mai, se ama tanto Modena, Delfini decide di andare a Parigi? «Ecco un’altra contraddizione della sua vita. Lo scrittore non solo ama la sua città, ma la descrive in ogni sua opera, eppure dice di aver bisogno di vedere e conoscere ciò che sta fuori, si sente soffocato ed oppresso. C’è da tener conto del fatto che negli anni ’30 in Italia domina il fascismo e, di conseguenza, tutte le opere ritenute contro l’ideologia di Mussolini vengono censurate, non c’è libertà insomma ed è tutto in funzione della propaganda fascista». È vero che si possono individuare due diversi periodi, piuttosto in contrasto tra loro, della vita e della poetica di Delfini?
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«Sì, è proprio così! Nella prima parte abbiamo uno scrittore visionario, sognatore, illuso ed innamorato, che vede la donna come un essere intangibile capace di dare amore. È, infatti, il periodo de “Il ricordo della Basca”, dove il protagonista, Giacomo, alter-ego dell’autore, ricorda il suo primo amore. La donna è addirittura assimilata alla Luna ed è il motore della sua poetica. Ma, con grande abilità, cambia completamente registro linguistico nella sua seconda fase: utilizza un linguaggio volgare, arrabbiato e deluso, dal 1950 in poi. È ora già entrato nella concretezza dell’amore con una donna, Luisa; ha provato il dolore di essere lasciato ed è quindi frustrato e disilluso. A questa delusione amorosa vanno poi aggiunte la crisi economica e la morte delle due donne più importanti della sua vita, la madre la sorella. Si può quindi trovare una spiegazione al passaggio dall’una all’altra fase». Siamo davanti, quindi, ad uno scrittore più che particolare, ma piaceva a tutti? «Assolutamente no! È stato molto amato, ma anche molto criticato; d’altra parte lui è il primo a dire: ”Nessuno odia gli altri scrittori come li odio io”. Arriva a rompere molte delle sue amicizie a causa delle sue ideologie. Pensiamo, ad esempio a quella con Ugo Guandalini: Delfini sceglie di non aver più nulla a che fare con questo intellettuale perché ha deciso di aprire una casa editrice (“Guanda”) a Parma. Delfini non può accettare una cosa simile e non gliela perdonerà mai, lo considera un traditore della sua città, tanto da realizzare dei manifesti, che appenderà in tutta Modena, contro di lui. Delfini è, quindi, un personaggio scomodo per certi aspetti, come quando vuole cercare di difendere l’onore di Modena dichiarando, in una sua opera filologica, che la Certosa di Parma citata negli scritti di Stendal (scrittore da lui molto amato) è in realtà l’abbazia di Nonantola. Tuttavia, il poeta è anche molto amato e difeso da altri come, ad esempio, l’amico Pasolini che ci dice quanto lavoro ci sia in realtà dietro allo stile semplice e facile da leggere di Antonio Delfini. Non esiste, però, la sola opinione di Pasolini. Prima ho detto che l’autore si definisce un dilettante, c’è chi si trova d’accordo con questo termine, ma sotto un’altra luce rispetto a quella cui si riferisce Delfini. Moravia, ad esempio, sostiene che sia stato uno scrittore non capace di inserirsi nei meccanismi del tempo, mentre Landolfi (suo “amico di gioco”) lo critica per non essersi mai dedicato costantemente alla letteratura e lo definisce uno scrittore dalla scarsa ispirazione». Insomma, nessuno che ne parlasse bene? «No, non è così. Montale parla di lui dal punto di vista umano, considerandolo una persona di grande cuore e con cui era piacevole passare del tempo. De Benedetti, infine, lo ricorda come un ricco uomo che però non gli fece mai pesare la loro “differenza economica”». Quali sono stati, più in generale, i contenuti delle sue opere? «Delfini è uno scrittore che può definirsi in costante scrittura, che sia attraverso un verso, un racconto, una foto o un disegno, egli ha sempre bisogno di fermare ogni momento, ed è proprio questo il suo bello. I contenuti delle sue opere? Lui è solito dire: “La vita idiota di tutti i giorni”».
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Antonio alla Qui ilDelfini Titolo conquista di Modena di di Francesco Nome e Cognome Ferraguti
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n occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Antonio Delfini, la biblioteca civica di Modena, a lui dedicata, ospiterà il “Premio di poesia A. Delfini 2013”. Il concorso di terrà sabato 23 febbraio a partire dalle ore 17.30 per poi concludersi intorno alle ore 23.00 con la lettura di alcuni passi tratti della celebre opera del poeta modenese “Poesie della fine del mondo”. Per comprendere più a fondo il significato di tale competizione e di chi fosse realmente Antonio Delfini ho intervistato la bibliotecaria Bruna Bolognani che ha dimostrato un grande apprezzamento per l’intellettuale. Buongiorno Bruna. Per cominciare mi parli un po’ della vita di questo personaggio. Chi era Antonio Delfini? «Antonio Delfini nasce a Modena il 10 Giugno 1907 in una famiglia con un elevato tenore di vita e molti possedimenti. Perde il padre poco dopo la sua nascita e ciò rende molto forte il legame con la madre che lui definirà poi la sua “sola e unica vera fidanzata”. Avendo grandi disponibilità economiche, non frequenta mai scuole pubbliche, ma riceve, solamente, lezioni private. Tuttavia non è una grande studioso, infatti viene bocciato all’esame di terza media e men che meno raggiungerà mai la laurea. Nonostante ciò, sviluppa una vera e propria passione per la lettura ed intorno ai diciotto anni sente proprio questa vocazione per la letteratura in generale, indicata da lui come una “compagna di vita pura”. E come non averla quando tuo padre ti lascia in eredità un’enorme biblioteca?! Delfini, quindi, ama definirsi autodidatta poiché studia ciò che più gli piace da solo, come e quando vuole. Secondo alcuni intellettuali della sua epoca, lui si “ferma” all’età adolescenziale, sia a livello letterario che caratteriale: infatti, mantiene sempre un atteggiamento scherzoso e vivace anche in età più avanzata. Ama moltissimo il gioco, le feste ed il divertimento con amici che parleranno di lui come di una piacevole compagnia per la sua generosità ed il suo vasto patrimonio. Dopo un viaggio a Parigi, che stimola in lui una grande apertura mentale verso il mondo, si rende conto della difficoltà economica a cui è giunto conducendo una
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vita comoda, sregolata e soprattutto senza mai lavorare. Nel 1935, infatti, deve vendere la casa a Modena inizia così a viaggiare, da Roma a Firenze, dove vive per diversi anni. Al termine del secondo conflitto mondiale ed in seguito agli stravolgimenti in ambito artistico e culturale italiano, Delfini si imbatte in un periodo che può essere definito cupo, se paragonato al resto della sua vita. Ad aggravare questo brutto momento sono la morte, nel 1962, dell’amata madre e della sorella. Schiacciato da tali sofferenze, muore il 23 Febbraio 1963». Caspita che vita! Ci troviamo di fronte ad un personaggio irrequieto dunque. Ma mi dica, prima ha accennato ad un Delfini considerato un “eterno adolescente”, cosa intendeva di preciso? «Diciamo che il buon Antonio non era apprezzato proprio da tutti gli intellettuali italiani dell’epoca. Il nostro poeta amava partecipare alle discussioni letterarie nei caffè di Firenze o nei circoli letterari, ma talvolta veniva criticato in quanto “dilettante” se paragonato ai titoli di studio dei suoi compagni. In particolare, Landolfi e Moravia lo ritengono di scarsa ispirazione e con ben poca dedizione alla produzione letteraria, realizzando poco e solo quando gli è più comodo. Stranamente, però, lui è contento di essere ritenuto un dilettante ed anzi gli piace definirsi così; è lui stesso, infatti, ad avere sempre voluto evitare ambienti universitari ed etichette». Mi permetto di notare una discrepanza nella sua risposta: come può voler partecipare alla vita culturale di caffè e circoli di intellettuali laureati, ma senza possedere alcun titolo di studio? «Ottima osservazione! Ma la mia non è stata una svista, è proprio la vita del personaggio una continua contraddizione, le faccio qualche esempio. Nel 1920 aveva aderito alle avanguardie dei fasci, ma negli ’50 cambia diametralmente idea, avvicinandosi ad un’ideologia opposta, il comunismo. Addirittura, nel 1951 pubblica “Manifesto per un partito conservatore e comunista”, arrivando anche a candidarsi per la guida del partito locale. Il poeta ha sempre parlato di Modena come di una città che ama tantissimo, ma nel 1932 sente il bisogno di uscire dalla piccola cittadina che lo soffoca. Con alcuni amici parte per Parigi dove entra in contatto con le correnti avanguardiste. Di ritorno in Italia si rende conto della rischiosa situazione economica e decide di vendere la casa in città per poi viaggiare, abbandonando il luogo che gli ha dato i natali. Due suoi testi, inoltre, mettono in evidenza il contrasto tra il Delfini più giovane e ricco di vita ed il Delfini più anziano carico delusioni da parte di colleghi e amici. “Esasperante” in cui con un linguaggio raffinato, colto e lineare esprime il desiderio di scappare, fuggire e perfino morire. “Malaparte”, invece, è caratterizzata da un registro linguistico molto più basso e volgare, quasi a esprimere la rabbia che Delfini aveva in sé. In questa contrapposizione, però, si manifesta l’impressionante flessibilità linguistica e lessicale proprie del poeta». Ho capito. Per concludere quest’intervista a dir poco soddisfacente, le chiederei un breve approfondimento sui suoi ultimi anni di vita. Perché più volte ha accennato a sofferenze e delusioni nell’ultima parte della vita del poeta? «La risposta è abbastanza immediata. Al termine del ventennio fascista in
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cui la censura soffocava ed inibiva le libertà di espressione, la cultura si muove. Molti intellettuali dei circoli frequentati da Delfini decidono di dare un “senso economico” ed una funzione civile alla cultura: la maggior parte di loro, infatti, diventa editore, professore o giornalista. Il buon Antonio perde quasi tutti i suoi amici: Guendalini ad esempio apre una casa editrice a Parma. Questo è un gesto che il nostro poeta non può perdonare poiché una nuova casa editrice poteva essere un’occasione per rilanciare Modena sul piano culturale. Anche Pannunzio va a dirigere la rivista “Mondo” a Roma, lasciando amarezza nell’amico modenese. Insomma, questa solitudine sommata al ricordo dell’abbandono di Luisa, unica donna di cui si innamora, ed alle morti di madre e sorella spingono il povero Delfini ad un’inevitabile sofferenza fino alla sua morte». Direi che il materiale sia più che sufficiente. Io la ringrazio moltissimo per aver permesso di conoscere a me ed ai lettori la bellissima storia di questo personaggio così vicino alla nostra realtà. È stato davvero un piacere, la saluto. «Il piacere è tutto mio, un saluto ai lettori».
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Delfini: artista o intellettuale?
di Mattia Galli
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ercoledì 6 febbraio si è tenuta la conferenza “Antonio Delfini, scrittore modenese”, presso la biblioteca di Modena a lui dedicata, in onore dei 50 anni dalla morte dello scrittore. Hanno aderito all’iniziativa due classi quinte della istituto Fermo Corni. Per chi non lo conosce, Antonio Delfini nasce a Modena il 10 giugno 1907 da un’agiata famiglia di proprietari terrieri. Potendoselo permettere, intraprende gli studi con l’aiuto di precettori che però a fatica cercano di farlo studiare; lui infatti non ha per nulla voglia di stare sui libri, un po’ come i ragazzi d’oggi. Ama definirsi un autodidatta, la sua formazione deriva infatti dalla presa visione dei volumi classici della fornitissima biblioteca del padre morto, durante il primo anno di vita del figlio. E’ influenzato notevolmente dalle amicizie di Ugo Guendalini e Mario Pannunzio, dai quali si staccherà a causa di disaccordi legati a Modena. Nella vita non gli manca nulla: da bambino ha la sua bicicletta grazie alla quale inizia a sentirsi autonomo; da adulto possiede un’automobile, accessibile a pochi a quei tempi, mezzo indispensabile per muoversi all’interno della città. Vive da mantenuto, sperpera un intero patrimonio nel lusso, nel gioco d’azzardo, nel divertimento. E’ un personaggio strano, ma nonostante tutto ha lasciato tracce di sé. Scrive ed ama farlo stando seduto ai tavolini dei bar, magari in compagnia di amici; raccoglie impressioni, sogni e speranze e appunta tutto sui suoi taccuini che porta sempre con sé: vi riporta la sua vita, ciò che sente e talvolta arricchisce il tutto con disegni e suggestivi collage di frasi tagliate da giornali, riviste o biglietti cercando, e spesso riuscendo, di darvi un senso. Tra le opere più note ricordiamo la raccolta di racconti “Il ricordo della Basca” e quella di poesie “Poesie della fine del mondo”. Alcuni critici lo definiscono come un “eterno adolescente”: gli piace infatti essere sempre al centro dell’attenzione, non si smentisce mai, è una persona in tutto e per tutto stravagante. Non si preoccupa, nonostante lo abbia promesso, di cercare e mantenere seriamente un lavoro. Lui stesso ci racconta gli scherzi che fa Modena, vuole conquistarla, ma a modo suo, gli piace infatti l’idea che la città rimanga al buio: si diverte ad esempio a rompere le lampadine che ne illuminano
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le vie. Delfini non è propriamente un artista, ma ha fatto della sua vita una sorta di opera d’arte in cui lui è il protagonista, fa parlare di sé, sperimenta tutto ciò per cui ha interesse: aderisce tredicenne all’avanguadia giovanile fascista e in seguito, cambia totalmente opinione. Partecipa addirittura in un film come comparsa, insomma non si fa mancare proprio nulla. Il set della sua vita è Modena, la sua amata Modena. Da intellettuale difende la sua città in due occasioni in cui la sente tradita. La prima, quando sostiene che l’abbazia di Nonantola è in realtà il modello della “Certosa di Parma” di cui parla Stendhal (“Da Stendhal uno scherzo del genere ce lo si può aspettare”). Nell’altro caso è accusato giocosamente l’editore Guanda, che si è spostato a Parma per avere un giro d’affari più cospicuo, e Delfini farà tappezzare Modena di manifesti per denunciare questo tradimento. Da intellettuale, scrittore e artista ha lasciato un’indelebile impronta alla sua città; il suo ricordo vive nella nostra biblioteca e nel moderno affresco digitale di Gianluigi Toccafondo in cui il pittore riporta attraverso gigantografie rivisitate con il pennello la spumosa vita dello scrittore modenese.
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Antonio Delfini poeta modenese
di Mattia Murano
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ntonio Delfini era un vero modenese. La sua città era ciò a cui più teneva. Faceva lo scrittore e il poeta, ma solo per passione e non si definiva un professionista, anzi si diceva un semplice dilettante. Poteva permettersi di coltivare tutti i suoi interessi, dopotutto non aveva problemi di soldi. Non ebbe mai la necessità di lavorare, era di famiglia ricca e questo contribuì ad isolarlo dalla società. Almeno nell’ultimo periodo della sua vita era un uomo burbero, in guerra contro la società letteraria italiana, che lo aveva disprezzato e denigrato. Oggi gli è riconosciuto tutto il suo talento e il suo genio poetico. A Modena gli è stata intitolata la principale biblioteca e vengono organizzate mostre e conferenze in suo onore, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte. Me lo immagino seduto accanto a me, durante una di queste conferenze, infastidito dalla troppa gente, che troneggia altezzoso sulla sua seggiola di plastica. Sbuffa un po’ annoiato mentre la presentatrice ripercorre con dovizia di particolari la sua vita, ma poi smette di ascoltare, mentre si abbandona, con lo sguardo rapito dalle immagini della Modena dei primi decenni del ‘900, ai ricordi. Rammenta, con la malinconia di un vecchio, tutte le bravate compiute in gioventù con gli amici, le passioni con dolci ragazze di cui ha dimenticato il nome e tutto gli appare meraviglioso. L’attenzione torna quando viene proiettato un filmato il cui protagonista è lui stesso: sta su una sedia davanti alla sua scrivania e scherza col pubblico. Al mio vicino scappa un sorriso compiaciuto non appena nel video inizia a leggere alcune sue poesie scritte unendo ritagli di titoli di giornali. Il video finisce. Finalmente si inizia a parlare delle sue opere e Delfini freme per la voglia di dire la sua. Viene descritta la bipolarità della sua poetica: una parte molto romantica e filosofica, l’altra estremamente irriverente e combattiva. Mentre viene letto un breve racconto su un episodio amoroso, che ha come sfondo la sua città che appare romantica e bellissima, lui inizia a parlarmi. Come un qualunque nonno che vuole raccontare aneddoti al nipotino, lui mi spiega come tutte le sue prose fossero ispirate ad episodi che lui aveva veramente vissuto, con molte delle sue occasionali amanti, ma
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di come il suo unico grande amore fossero i monumenti, le piazze e le strade, che lui incontrava sulla sella della sua bicicletta ogni giorno. Erano loro a dargli l’ispirazione e la passione di scrivere. Riceviamo una sgridata e allora tra noi torna il silenzio. Poco dopo una lacrima scende tra le rughe dell’anziano poeta, quando viene descritto il rapporto con sua madre e l’episodio della morte della stessa. Lui mi racconta, sottovoce, di come gli avessero detto che era molto malata quando in realtà era già morta, e che lui quella sera era uscito a cena con amici e lo aveva scoperto solo al suo ritorno. La madre era l’unica donna per cui Delfini avesse provato un amore incondizionato e ricambiato. Aveva amato anche una ragazza, per la quale aveva scritto le sue poesie più romantiche, ma lei lo aveva poi abbandonato per un altro uomo. La relatrice inizia a parlare della “grazia” dei lavori dell’autore e subito il mio vicino mi incalza dicendomi che è un insegnamento materno, mi spiega come sia un elemento fondamentale in ogni situazione o ambito e che soprattutto nella letteratura è fondamentale, qualunque sia il genere. Non ascolto quasi più la presentazione, sono molto più affascinato dai discorsi del diretto interessato, il quale, appena sentito nominare il suo vecchio amico Guandalini, a stento riesce a trattenere la rabbia. Serba ancora molto rancore nei suoi confronti. Mi racconta che un tempo erano molto legati, ma poi “il Guanda” aveva commesso tradimento verso la stessa città: lui era un chimico e ben poco c’entrava con la letteratura, ma aveva deciso di aprire una casa editrice, il problema è che, per questione di affari, lo fece a Parma. A quel punto Delfini ruppe col suo vecchio compagno e lo fece affiggendo su ogni muro un manifesto in cui scriveva la sua denuncia al traditore, il quale, invece, continuò a pubblicare gli scritti del suo accusatore. Parlando di Parma, mi spiega anche una sua ricerca sull’opera di Stendhal, “La Certosa”, dicendomi che a seguito di accurate ricerche è in grado di dimostrare che la storia sarebbe ambientata Nonantola. Mentre snocciola argomentazioni in proposito, mi appare molto orgoglioso del suo lavoro, io non riesco ad apprezzare l’importanza della scoperta, ma fingo interesse per non offenderlo. D’un tratto vediamo tutti levare lo sguardo verso l’alto ad osservare l’opera in onore del poeta che decora il soffitto. L’artista che l’ha creata si chiama Gianluigi Toccafondo: è un mosaico di immagini, per lo più fotografie riguardanti l’autore modenese, da lui modificate per ricreare l’estro e lo stile delfiniano. Al poeta piace abbastanza, mi confida che qualche cosa l’avrebbe fatta diversamente, ma nel complesso vi si riconosce. La conferenza finisce. Sono soddisfatto, ho avuto la possibilità di conoscere uno dei personaggi più innovativi e particolari del ‘900 italiano, uno che ha avuto il coraggio di schierarsi contro gli autori più famosi della sua epoca, e lo ha fatto per rimanere fedele ai suoi ideali, perseguendoli senza indecisioni.
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Un viaggio nel Qui il Titolo tempo con Delfini di Nome di Matteo e Cognome Muzzioli
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ercoledì 6 febbraio si è svolto un incontro alla biblioteca Delfini, in memoria della morte dell’omonimo poeta modenese. Questa bella iniziativa ha fatto sì che nascesse un forte interesse della curiosa vita e delle altrettanto uniche opere del mio conterraneo, tanto da fare di tutto per conosce qualcosa di più su di lui. Quale modo migliore per conoscerlo che intervistarlo personalmente? Così dopo un paio di ricerche, telefonate e favori elargiti, sono riuscito a farmi trasportare in dietro nel tempo fino al 1960, pochi anni prima della morte del poeta. Per questo viaggio volevo, infatti, ringraziare il brillante e disponibile professor Kindervallen e la sua geniale macchina del tempo. Una volta arrivato, dopo essermi ripreso dallo shock e dal jet lag, mi sono subito messo sulle tracce di Delfini. Non è stato difficile trovarlo, da quel che mi avevano detto non era un uomo molto indaffarato, e perciò passava molto tempo a sollazzarsi nei caffè e proprio in un bar l’ho incontrato. Di primo acchito devo ammettere che mi ha messo un po’ in soggezione, perché è un uomo distinto, elegante e di una certa importanza culturale, ma dopo le dovute presentazioni e spiegazioni del mio insolito viaggio, mi ha fatto sentire a mio agio, offrendomi tra l’altro il pranzo a patto che scrivessi solo cose positive sul suo conto. A quel punto mi sono fatto coraggio e ho iniziato la mia intervista. Inizio subito con una domanda scomoda: i colleghi della mia epoca la descrivono come un uomo dalle forti irrequietudini e contraddizioni.E’vero? «Beh, penso che siano caratteristiche abbastanza comuni in una persona, e specialmente in un poeta come me. Avrai certamente studiato altri scrittori che, come me, hanno cambiato idea su qualcosa nel corso della vita. Un certo Leopardi ti dice niente?». Touché! Deve però ammettere che i suoi cambiamenti sono stati piuttosto radicali. «Lo ammetto! Passare dal fascismo al comunismo è stato un po’ estremo, ma cosa vuoi che ti dica, il bello delle opinioni è che possono cambiare. Se invece alludevi all’amore per la mia bellissima Modena tradito con un lungo girovagare,
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devi sapere che ero spinto da una forte curiosità, ed ero attratto da luoghi frequentati da uomini di un certo spessore culturale con cui potermi confrontare. Il mio forte sentimento per la mia città natale però è sempre restato sincero e forte». A proposito di contraddizioni, lei è un autodidatta ed è comunque riuscito a raggiungere alti livelli. Nel futuro, qualcuno le attribuirà il ruolo di “punto di riferimento” della letteratura novecentesca italiana. Come la fa sentire? «A Modena, non so se lo sai, esiste un detto popolare che io condivido: “Vola bass e schiv i sas”, cioè vola basso e schiva i sassi. Sono molto onorato di questo importantissimo ruolo, ma amo definirmi un dilettante e non penso perciò di meritarmi questo encomio. Comunque il segreto del mio successo è senza dubbio la lettura, ne sono sempre stato appassionato e ciò mi ha aiutato tantissimo nei miei studi da autodidatta». Le sue opere sono molto difficili da classificare, sono al limite della sperimentazione, ci vuole spiegare il perché? «Sono dell’idea che un bravo poeta non debba seguire più di tanto le correnti della propria epoca, ognuno deve scrivere quello che sente nella maniera che più gli è congeniale. A me, per esempio, è andato di descrivere, passami il linguaggio, la vita idiota di tutti i giorni». Vedo che sta creando anche in questo momento. Che cosa sta scrivendo su quel pacchetto di fiammiferi? «É una vecchia abitudine che mi perseguita. Non posso fare a meno di immortalare situazioni comuni, persone, idee e pensieri dove mi capita. Adesso sto scrivendo su un pacchetto di fiammiferi, a volte mi capita di farlo su fogli di giornale. A proposito voglio darti uno scoop, a volte mi capita di fare collage di frasi trovate sul giornale per creare poesie». Grazie della confessione, non vorrei deluderla, ma da dove vengo io questi suoi collage sono più che noti: l’artista Toccafondo li ha persino immortalati sul soffitto della sala conferenze delle biblioteca di Modena a lei dedicata, assieme alle sue foto leggermente ritoccate. «Che vergogna, spero che almeno abbia fatto un bel lavoro». Bellissimo. Un’ultima domanda veloce veloce, che ho lasciato la macchina del tempo in doppia fila e non vorrei mai che me la portassero via. E’ vero che lei considera sua madre come sola e unica fidanzata? Non pensa che possa essere un po’ equivoca e la cosa? «Haha! Potrebbe sembrare così a primo impatto, ma se uno conoscesse la mia storia capirebbe. Ho vissuto molto male la morte di mio padre e la sua assenza si è fatta sentire, ma mia madre mi è sempre stata accanto e questo ha fatto sì che il nostro legame diventasse molto forte». Capisco. La ringrazio per la sua diponibilità e del tempo che mi dedicato. Spero di non essere stato noioso o inopportuno. Grazie ancora e tante care cose.
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Sulle Qui tracce il Titolodi Delfini
di Nome di Federico e Cognome Nuzzo
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odena – È aperta in questi giorni, nella sala conferenze della storica biblioteca comunale, una serie di incontri dal titolo “Antonio Delfini, scrittore modenese” dedicata al ricordo di un nostro concittadino 50 anni dopo la sua morte. Vita, morte e … “Miracoli!”, penserete. Purtroppo non possiamo certo dire che Delfini sia passato alla storia come un autore noto e degno di grande fama, ma piuttosto come un personaggio dalla biografia leggendaria, amato da molti poeti ed artisti e al contempo criticato da altri, che ha sempre conservato un carattere imprevedibile e segreto. Nasce il 10 giugno 1907 in una ricca famiglia di proprietari terrieri della Bassa modenese e vive nella prima parte della sua vita in Piazza Roma, al di sopra del ristorante Oreste tuttora presente nel centro della città. Alla tenera età di un anno viene a mancare suo padre. Tale sarà causa dell’affetto morboso del piccolo Antonio nei confronti della madre, figura che celebra con particolare cura e de«Io non sono né scrittore vozione all’interno di diversi racconti. Verso la fine del 1920 si iscrive alle giovani avanguardie fasciste e in seguito al Partito né artista né campione sportivo. Inutile elencare Nazionale Fascista dal quale si distaccherà progressivamente tutto quello che non sono negli anni successivi, aderendo ad un partito di stampo comuperché io non sono niente.» nista e rivelando già da subito il carattere spesso contraddittoA. Delfini rio che ha caratterizzato la sua vita. Negli anni ’30, Delfini è a Parigi. Vuole scoprire come va il da “Volantino rosso del poeta” mondo fuori dalle mura della sua città natia, circondato da altri colleghi e amici intellettuali. È ricco, possiede un’automobile “elemento essenziale e insostituibile per gli abitanti di Modena”, si può permettere di non lavorare, di dissipare il patrimonio della famiglia nel gioco d’azzardo, con le donne di cui è innamorato (seppur dirà sempre che il suo unico e vero amore è stata la madre) o con gli amici. È una persona scanzonata che ama la vita comoda. Nel 1962 perde l’affetto della madre e della sorella. L’anno seguente, un attacco di cuore spegne Delfini all’età di 56 anni.
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Nel 1992 viene inaugurata, nel centro storico modenese, la biblioteca che porterà (e porta anche oggi) il suo nome. Le Opere È difficile collocare le opere di Delfini all’interno di una corrente letteraria. Ricordiamo che negli anni Trenta del Novecento, l’Italia si trovava in pieno regime fascista il quale esercitava un forte controllo sugli scrittori e sugli intellettuali per mezzo della censura. Si individuano, comunque, due correnti: la prima, quella della poesia “ermetica”, rappresentata da Giuseppe Ungaretti, si slega da un qualsiasi contatto con la vita politica e, più in generale, con la realtà; «Ho detto di non essere la seconda, invece, quella della prosa, del romanzo e del racconto, scrittore, ma in fondo vede, riuniti attorno alla rivista “Solaria”, gli intellettuali che traè l’unico mestiere che ducono romanzi contemporanei provenienti dall’estero. faccio.» Nel 1931 viene pubblicato il primo racconto di Delfini dal A. Delfini titolo “Ritorno in Città” molto simile allo stile baudelairiano dello “Spleen di Parigi”. Il 1938 è l’anno di “Ricordo della Basca”, una rac- da “Volantino rosso del poeta” colta di racconti che viene considerata il suo capolavoro, ma anche una sorta di autobiografia. Ormai cinquantenne e grazie all’insistenza dell’amico ed editore Giorgio Bassani, pubblica “Poesie della fine del mondo”. Nelle opere è individuabile un denominatore comune. In primo luogo, l’autore stesso dirà che il contenuto dei suoi scritti è “la vita idiota di tutti i giorni”. È un Delfini che prende spunto da fatti quotidiani, dagli articoli di giornale e da scene che lo attraggono particolarmente, al che, il critico Cesare Garboli sostiene che le sue muse ispiratrici fossero la noia e l’angoscia. È un Delfini che, affacciato alla sua finestra, vede Modena: sempre presente nei suoi racconti e unico e costante riferimento nella sua vita. È un Delfini che non ama pubblicare ciò che produce. È un Delfini che scrive, che annota, che disegna magari seduto al parco o su uno sgabello in un bar, sicché, alla sua morte, la figlia Giovanna raccoglie le sue scartoffie e le organizza per completare la raccolta dei“Diari”. Negli anni Cinquanta Delfini non sogna più, abbandona i temi visionari, i ricordi e i sogni. Ha subìto una tremenda delusione amorosa. Scaricato dalla compagna Luisa, attraversa un periodo rabbioso, crudo e ritmato che si riverserà sulla sua modesta produzione poetica. Un affresco per Delfini Quanti avranno l’onore di incontrare Delfini insieme a Bruna Bolognani, bibliotecaria e responsabile delle conferenze, non potrà fare a meno di notare il bizzarro affresco digitale che riveste la parete della saletta. Un miscuglio di fotografie, disegno collage e manifesti conservati da Giovanna Delfini viene riproposto in una simpatica chiave da Luigi Toccafondo, autore, per altro, di numerosi spot televisivi e illustrazioni di libri. I colori avvolgono i soggetti e trasfigurano i contorni, creano nuove prospettive e reinventano i personaggi. È un lungo lavoro realizzato in un primo momento dalle abili mani dell’autore che è intervenuto direttamente su copie di fotografie e documenti custoditi nel “Fondo Delfini”, poi ingrandite e incollate alle pareti seguendo una sequenza biografica. Il risultato è senza dubbio suggestivo, intrigante e degno della memoria dello scrittore.
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Un esperto dilettante
di Sara Parmeggiani
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ntonio Delfini è un personaggio estremamente stravagante; è un individuo che non si inserisce affatto nella società in cui vive e spicca per il suo anticonformismo; è uno scrittore originale, curioso e singolare che vive una vita piena di contraddizioni; è un “eterno adolescente”, un “dilettante”. Questo è Delfini, il quale ci è stato presentato il giorno mercoledì 6 febbraio 2012 presso la biblioteca di Modena, a lui stesso dedicata. Ma andiamo a conoscerlo meglio. Delfini nasce a Modena il 10 giugno del 1907 da una famiglia benestante. Ad un solo anno dalla sua nascita deve già affrontare un momento terribile: la morte del padre. La mancanza di una figura paterna lo segnerà fino alla morte, ma allo stesso tempo gli permetterà di avvicinarsi molto alla madre, che considererà sempre come “la sola ed unica fidanzata”. Studia da autodidatta. In realtà, Delfini aveva veramente poca di voglia di studiare, ma si dimostra in compenso un lettore voracissimo e poteva usufruire di una biblioteca molto assortita, allestita con molto impegno dal padre (dal quale ereditò tale passione). Nonostante questa scarsa preparazione scolastica e questo poco impegno nello studio, riesce ad entrare e fare parte degli ambienti intellettuali di maggiore influenza nella società del suo tempo. Infatti, nel 1932 va a Parigi, la culla di tutta la cultura e della letteratura europea. Per lo scrittore modenese è un momento importantissimo, caratterizzato da nuove conoscenze in ogni ambito artistico (conosce pittori, scultori, intellettuali…) e dalla scoperta del surrealismo (pubblica anche un’opera che segue tale corrente ed è “Il fanalino della Baltimonda” del 1940). Questo fu solo il primo dei viaggi che poi farà nel corso della sua vita (a Roma, Milano, Firenze…). Inoltre, nel 1935 la sua famiglia attraversa un difficile periodo di dissesti finanziari ed è costretta a vendere la casa di Modena. Mentre la madre e la sorella si trasferiscono a Disvetro (in una villa di loro proprietà vicino a Mirandola), Delfini decide di recarsi nel capoluogo toscano, dove entra in contatto con l’ambiente culturale del caffè Giubbe Rosse e stringe amicizie importanti con scrittori e intellettuali come Carlo Bo, Carlo Emilio Gadda, Tommaso
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Landolfi, Mario Luzi, Eugenio Montale e molti altri. Ma perché viaggiare se ami così tanto e in modo così incondizionato la tua città natale? Modena è sempre stata un centro fondamentale per lui, tanto da riprenderla e descriverla in quasi tutte le sue opere. Essa aveva un solo difetto: era filofascista. Delfini inizialmente abbraccia tale movimento politico ma poi lo rinnegherà per avvicinarsi all’ideologia comunista. Egli scappa da Modena perché si sente oppresso, chiuso, quasi soffocato. Il fascismo interveniva su tutto, senza lasciare possibilità di comunicare liberamente. Chiunque avesse espresso o introdotto nuovi stimoli o ideologie, sarebbe stato bloccato e censurato. Lo stesso modenese è soggetto a tale ingiustizia, ed è per questo che decide di scappare. Un altro aspetto che proprio non va a genio all’autore è la mercificazione della letteratura, o meglio dell’arte in generale. Dopo il secondo conflitto mondiale, l’Italia sta rinascendo e sta mettendo a posto tutti i danni causati dalla guerra. La nuova società che si sta affermando trasforma tutto in merce, per fare in modo che tutti possano farsi una nuova vita, cercando dei nuovi valori su cui credere. Ma Delfini non ci sta. Egli considerava la letteratura come la compagna pura e assoluta della sua esistenza che non poteva affatto essere messa in vendita. Riteneva fosse necessario continuare a considerare l’uomo come un intellettuale e non come un editore, un giornalista o uno scrittore che scrive con uno scopo di guadagno. A causa di questa sua forte convinzione, egli perderà molti cari amici, come Pannunzio, il quale diventa direttore della rivista “Il mondo”, e Guandalini, che invece apre una nuova casa editrice (egli in particolare verrà molto criticato perché ha tradito la sua modenesità, fondando “La Guanda” a Parma e non a Modena, e solo per la maggiore notorietà che offriva). Tutto ciò ha segnato profondamente sia la vita sia il percorso letterario di Delfini, tanto da poterne individuare due parti principali. Nella prima domina uno scrittore sognatore e visionario, che utilizza termini leggeri, soavi e raffinati affiancati a tantissime immagini per trasmettere ideali belli come l’amore. In codesta fase troviamo “Il ricordo della Basca” del 1938. Nell’altra invece abbiamo opere più ritmate e rabbiose, con un linguaggio volgare e frasi brevi. L’autore infatti non sogna più perché ha perso il gusto con il quale assaporare la vita. A tale fase appartiene la raccolta “Poesie della fine del mondo” del 1961. Come tutti gli intellettuali, Delfini è stato amato e odiato da molti. Tantissime sono le critiche (sia positive che negative) su di lui. Landolfi e Moravia, per esempio, lo accusano di essere ozioso, di avere una scarsa ispirazione e di non riuscire ad inserirsi nella società del tempo. Vi sono altri invece che lasciano una bella immagine di lui, specialmente dal punto di vista umano. Uno di questi è Montale, che lo ricorda come una persona di grande cuore, che ha sempre fatto moltissimi favori (specialmente ai suoi amici più cari) senza mai volere nulla in cambio. Tutti a Modena lo conoscevano. Anche se non ha avuto un successo internazionale, Delfini ha segnato un’epoca, tanto che per alcuni critici risulta necessario capire lui (insieme a Gadda) per poter comprendere l’intero Novecento. In poche parole, sebbene sia rimasto nascosto, è riuscito a guadagnarsi il suo successo. Ciò è dimostrato dal collage presente nella sala conferenze della biblioteca civica. Tale opera è stata creata da Gianluigi Toccafondo, il quale ha utilizzato tantissime fotografie che ritraevano o che erano state scattate dal
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modenese stesso. Il risultato è una sorta di biografia dell’autore, un racconto senza trama in cui le immagini sembrano dotate di vita propria, ma in una dimensione diversa, estranea alla realtà comune, enigmatica. Il pittore dice: «Per lavorare ho bisogno di un territorio, un tema o un argomento. Non riesco a tirare fuori niente dal foglio bianco. Ho sempre amato il lavoro su committenza, mi ha permesso di affrontare temi a me sconosciuti» e continua affermando: «Sono bellissime foto della città di Modena, scattate dall’autore stesso. Sono riuscito così a farmi un’idea del territorio delfiniano, degli ambienti e dei personaggi che popolavano “La città dei Sandroni”. Ho scoperto Modena attraverso la scrittura e le immagini di Antonio Delfini».
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Quel dilettante di Delfini di Carolina Prandi
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ercoledì 6 Febbraio, presso la biblioteca Delfini di Modena, alcuni studenti hanno potuto assistere alla presentazione della biografia di un personaggio di rilievo della letteratura cittadina, l’uomo che ha dato il nome al luogo del ritrovo. In onore del cinquantesimo anniversario della sua morte (febbraio 1963), l’incontro è stato tanto coinvolgente da spingere la mente dei presenti ad immaginarsi faccia a faccia con lo scrittore: l’oratrice ha organizzato un discorso così esauriente che pareva di avere Delfini davanti! Lo sguardo del protagonista dell’evento era puntato sugli ascoltatori grazie ad un’affresco digitale sulle due volte della sala: l’artista Toccafondo lo ha ideato raccogliendo foto e documenti dal fondo Delfini, rielaborandoli con astuzia; disposti in ordine cronologico, le immagini, i manifesti formano un collage di colori e ironia veramente interessante: si parte da tonalità accese come il giallo, il rosso e il rosa o l’azzurro speranza per arrivare alla neutralità del bianco e nero. Solo ad una prima occhiata si può intuire quanto si sia divertito l’artista a creare quest’opera: alcuni ritratti del poeta in posa, si sono trasformati in vignette satiriche che lo ritraggono col cappello di Napoleone o con la parrucca di Bach; oppure a passanti disinvolti compaiono una coda da pavone e copricapi smisurati. Insomma, anche solo attraverso una sommaria analisi del soffitto della sala conferenze della biblioteca, ci si poteva fare un’idea di che soggetto particolare dovesse essere Antonio Delfini. Nato nel 1907 a Modena, quest’uomo ha da sempre potuto godere dei vantaggi che offre una famiglia agiata: un’educazione privata da parte di un precettore (che non sfrutterà in quanto incostante e disinteressato alle materie scolastiche), una delle prime auto in Italia, gioco d’azzardo, vestiti eleganti e la possibilità di poter scegliere se lavorare o meno. La vita da dandy non lo distoglie, però, dagli affetti: soffre molto per la morte prematura del padre che non conoscerà mai veramente e sul quale scriverà toccanti componementi, per quella della sorella e, in particolare, per quella della madre considerata la sola, vera e unica fidanzata! Lo stretto legame con la figura
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materna condizionerà le sue relazioni con le altre donne… Trascorre l’infanzia praticamente in Piazza Roma, vive in Canal Grande e sono proprio le vie della sua città ad influenzare lo sfondo dei suoi lavori. Una figura contraddittoria, dato che, nonostante amasse fortemente Modena, nel 1932 parte per Parigi assetato di conoscenza, soffocato dall’ambiente rigido in funzione della propaganda fascista: nessuna libertà di opinione o di stampa nè possibilità di allargare i propri orizzonti culturali. Ma le ideologie d’Oltralpe non lo sazieranno a sufficienza quindi , dopo la vendita della residenza e finestra sulla sua città natale, ricomincerà a viaggiare e a frequentare circoli letterari fiorentini e romani che gli permetteranno di conoscere personaggi illustri. E’ pieno di inquietudini anche dal punto di vista politico: aderisce per anni ai movimenti fascisti, probabilmente per tradizione familiare, per poi passare a scrivere segretamente su riviste come “Riscossa” e a pubblicare il “Manifesto”. Anticonformista, ama definirsi autodidatta grazie al suo accanimento verso la lettura: il padre stesso gli consegnò in eredità un’enorme libreria ricca di varie tipologie di scritti, dai classici italiani, a quelli francesi. Ma il fatto che fosse stato bocciato all’esame di terza media e non avesse conseguito una laurea, portò alcuni critici a delinearlo come un dilettante, non seriamente impegnato culturalmente e pertanto non definibile come poeta; data la sua spontanea ironia, Delfini cambiò le carte in tavola e trasformò il giudizio da dispregiativo a positivo: non facendo parte di nessuna categoria, il dilettantismo era la sua professione e, non essendo costretto a fare delle lettere il suo lavoro, le rese la sua vita. Proprio per questo suo credo, dopo gli anni Venti e la mercificazione della cultura avvenuta alla fine della Seconda Guerra mondiale, ruppe diverse sue profonde rapporti: rimprovera un amico di aver aperto una casa editrice (e per lo più a Parma) e un altro di essere diventato direttore di una rivista. Quindi, la sua indole lo condurrà attraverso un periodo da sognatore ed illuso ad uno da deluso, frustrato, sia per il contesto che lo circonda, sia per il suo primo fallimento amoroso oltre che motore della sua produzone. Inoltre, la morte dei familiari più stretti e i numerosi debiti devieranno il suo stile dolce e leggero verso uno crudo e rabbioso. Da un’autobiografia pittorica e orale, la “presentatrice” dell’evento è passata, verso la fine, ad una poetica, ossia tramite le opere del protagonista: sulla parete sulla quale poco prima erano comparsi video e proiezioni della Modena del primo Novecento e della famiglia dell’autore, vi era il vuoto. Non servivano immagini per ascoltare alcuni brani scelti appositamente per descriverlo. Da soave a invettivo e violento, da un registro linguistico a quello opposto: ma non si giudichi questa forma soltanto dall’idea “schizofrenica” che Delfini dà di sè con scherzi e battute, perché in realtà è frutto di un lavoro incessante, ed i componimeti commoventi sui suoi cari lo dimostrano. Mentre la voce dell’attore pronunciava palore di esasperazione, solitudine e disprezzo, ci si poteva sentire come colpiti allo stomaco; quando, invece, recitava “Il ricordo della Basca” ci si sentiva accarezzare da parole d’amore e passione: questo capolavoro del 1938, ambientato sulle coste liguri, gli consentì di avere una
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certa notorietà. Il contenuto dei suoi lavori è perciò sempre in bilico tra i temi della vita “idiota” di tutti i giorni e le fantasticheria. Scrive dove può, nei caffè, nei ristoranti, per poi raccogliere ed analizzare tutte le frasi annotate. La forma è di conseguenza anch’essa semplice e chiara, cioè quella del racconto e della poesia, sempre e comunque accompagnata da schizzi e disegni. Figura compleassa e divertente al tempo stesso, Delfini crea uno schieramento che lo esalta e uno che lo giudica negativamente. Fu apprezzato da amici di classe inferiore, i quali non si sentivano a disagio in sua compagnia, e criticato per il suo forte anticonformismo ed altalenante coerenza da eterno adolescente. Probabilmente, il rifiutarlo come poeta è dovuto anche al fatto che non si saprebbe come inserirlo nelle correnti letterarie: troppo originale, accecato d’amore per la sua arte, l’amico Carlo Bo ne parla come un “mistero impenetrabile, non soltanto per gli altri, ma anche e soprattutto per se stesso”.
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Quando un uomo fa dell’incoerenza il suo stile di vita
di Giovanni Serafini
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ntonio Delfini può essere sintetizzato in una sola parola: incoerenza! Un filo rosso che lega assieme tutte le sue avventure, le sue azioni, le sue opere e le sue idee. Efficace è l’espressione con la quale viene definito nella conferenza: un eterno adolescente. La prima contraddizione che salta all’occhio riguarda la politica: nella giovinezza, Delfini appoggiò il movimento avanguardistico del Fascismo. In età più adulta, invece, l’autore si ritrovò a sostenere l’ideologia del comunismo, chiaramente antifascista. Un’altra forma contrastante della sua vita è Modena. Da un lato appare palese il suo amore incondizionato soprattutto nelle continue descrizioni compiute nei suoi scritti. Tuttavia, i numerosi viaggi che intraprende segnano un evidente bisogno di fuggire, di scappare e di allontanarsi dalla città natale. Il terzo aspetto da sottolineare è individuato in Delfini come intellettuale. A Firenze e a Roma lo scrittore frequenta gli ambienti dove si riuniscono i più grandi e famosi poeti, fra cui il celebre Eugenio Montale e Pierpaolo Pasolini. Ma in realtà il letterato modenese non ha mai studiato, neanche con i suoi precettori. Ha sempre coltivato una formazione da autodidatta leggendo i numerosi libri, soprattutto di autori francesi, presenti nella biblioteca del padre. È qui uno degli aspetti caratteristici di Delfini. Dalle sue parole si evince la sua posizione letteraria: ”Voglio fare del mio dilettantismo la mia professione”. La quarta grande incoerenza è l’anticonformismo esasperato dello scrittore nei confronti del contesto storico. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la cultura ritorna a respirare, ad espandersi e a trovare una nuova collocazione, allo stesso livello delle merci. Rinascono gli impiegati dell’arte: editori, insegnanti, critici e direttori di riviste. Antonio Delfini decide di non diventare uno come gli altri, di non allinearsi con la moda corrente, ma di rimanere solo un intellettuale. Una ferma scelta che lo condurrà verso una posizione sempre più isolata. Perderà, infatti, importanti amicizie. La vita del poeta è da considerare la quinta contraddizione. Nel periodo giovanile lo scrittore modenese appare un sognatore, un innamorato disincantato dai grandi desideri positivi. Gli ultimi anni della sua vita rappresentano, invece,
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un periodo contraddistinto da una profonda inquietudine, da un’amara delusione e da una pesante frustrazione. Tutte questi contrasti nella vita di Delfini hanno avuto ripercussioni anche nelle sue opere. Nella parte finale dell’incontro, attraverso un metodo particolare, è stato presentato lo scrittore modenese come persona in tutta la sua quotidianità. La sala conferenze nella quale è avvenuta la visita ospitava un immenso affresco digitale sul soffitto. L’opera d’arte, realizzata da Toccafondo, mostra che Delfini era una persona socievole, divertente, ironica che amava fare scherzi e che conduceva la lussuosa vita da dandy contraddistinta da donne, feste, gioco d’azzardo e cibo di alta qualità. Lo scrittore appare strano e sfuggente anche nelle sue fotografie e nei suoi scarabocchi, ma è proprio questo che lo rende unico.
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