ECONOMIA E TERRITORIO
Crisi del commercio, gli outlet in controtendenza Il fatturato delle vendite di abbigliamento e beni voluttuari ha subito una battuta di arresto. Ma non per gli outlet. Analisi di un successo inatteso
PARMA economica
ECONOMIA E TERRITORIO
Rossella Di Palma
G
li outlet nascono negli Stati Uniti e sbarcano formalmente in Europa negli anni Novanta. Sono gli eredi diretti dagli “spacci aziendali”, locali , situati a pochi passi dalla fabbriche, in cui venivano venduti a minor prezzo capi fallati o avanzi delle collezioni precedenti. Lo scopo dello spaccio era quello di smaltire gli eccessi, nessuno sperava di trasformare questi sgabuzzini in un canale di vendita privilegiato o in un buon metodo per incrementare il fatturato. Oltreoceano, la trasformazione dello spaccio in outlet moderno è stata precoce: nel 1995, sul suolo americano, si contavano già 300 factory shopping villages (sinonimo di outlet come lo intendiamo noi) ospitanti 500 aziende produttrici. Dal Nord America, gli outlet sono successivamente sbarcati in Inghilterra e da lì è iniziata una lenta invasione verso il Sud del continente: il primo outlet accessibile agli italiani è sorto a Mendrisio (formalmente in Svizzera ma a pochi chilometri dal nostro confine) nel 1995. L’inaugurazione di un outlet in Italia è invece più recente e risale al 2000 con l’outlet di Serravalle (AL).
6
Azienda chiama outlet
Gli outlet contemporanei hanno tagliato i ponti con gli spacci, arrivando ad acquisire un’identità nuova e ben definita sebbene parzialmente ancora in fieri. Oggi, le aziende produttrici riconoscono ai punti vendita all’interno di un outlet la stessa dignità delle boutique tradizionali ma la rivoluzione non si è ancora fermata. La storia dell’outlet ricorda quella del brutto anatroccolo (spaccio) che diventa cigno (villaggi creati ad hoc per lo shopping), come è potuto accadere? Più che pensare alla bacchetta magica bisogna ringraziare il fiuto di alcuni imprenditori che, in tempi non sospetti (ovvero non di crisi), hanno osato scommettere su questa nuova formula. Accanto a loro alcune ditte che, incuranti del brusio di disappunto di coloro che si rifiutavano di vendere a prezzo ribassato, hanno messo in gioco i loro prodotti sgretolando pian piano tutti i pregiudizi. Perché alle aziende gli outlet piacciono sempre di più? I motivi sono numerosi e in crescita: non a caso sempre più marchi sgomitano per aprire un negozio in uno degli outlet italiani. An-
Gli outlet dagli USA sbarcano in Europa negli anni Novanta. Molta la strada percorsa: da Serravalle a Fidenza crescita inarrestabile di vendite e fatturato
Webgrafia Candance Bushnell, www.candacebushnell. com Sophie Kinsella, www.frandomhouse.com/ bantamdell/kinsella Sheconomics, www.sheconomics.com
che i marchi del lusso, che in passato si sarebbero vergognati di avere un punto vendita all’interno di un outlet, accettano di scendere a patto con gli outlet poiché da questo patto nascono fatturati di tutto rispetto. Nel 2009 la presenza dei marchi di lusso è cresciuta del 24% all’outlet di Serravalle, che può ora vantarsi di ospitare nomi del calibro dei gioiellieri Bulgari e Damiani. La globalizzazione spinge le aziende a produrre sempre di più: maggior produzione porta maggior invenduto da smaltire, un problema non da poco considerando che la crescita della globalizzazione è andata di pari passo con il dilagare della crisi economica. L’outlet è il canale migliore per disfarsi dell’invenduto, del campionario e del “difettoso” in maniera sicura e controllata. Le aziende, infatti, pur cedendo l’overstock a prezzi ribassati (dal 30% al 70%) scegliendo la formula outlet conservano, sulle proprie merci, il controllo totale. Il negozio sito all’interno di un outlet, infatti, è gestito direttamente dall’azienda che ne cura la progettazione, le politiche di vendita e si occupa di selezionare e formare il personale. In questo modo la ditta, specie se produttrice di “beni di lusso”, ha l’assoluta sicurezza che i propri manufatti non vengano sviliti attraverso canali di vendita privi di controllo, che possono costituire una minaccia per l’identità della marca (stocchisti, bancarelle al mercato...). In seconda battuta, i marchi, consapevoli del momento parti-
colare vissuto dall’economia, hanno percepito il cambiamento delle abitudini del consumatore: se fino a una decina di anni le famiglie andavano agli spacci e agli outlet di nascosto, oggi andare all’outlet fa tendenza e l’acquisto di un buon prodotto a prezzo ribassato è una conquista di cui vantarsi.
Strategie del consumatore in tempi di vacche magre
È la crisi a incanalare greggi di consumatori negli outlet? La diminuzione del potere di acquisto della famiglia italiana media è senz’altro un fattore da tenere in considerazione, ma non l’unico. La crisi economica, infatti, non si limita a condizionare le abitudini del consumatore in maniera diretta e concreta, ma ha altresì un’influenza marcata sul pensiero dell’acquirente. La gita all’outlet è dettata non solo e non tanto dalla necessità reale di risparmiare, ma anche dalla consapevolezza che il risparmiare sia un elemento positivo. Non va dimenticato che gli articoli in vendita negli outlet non sono beni di sussistenza o generi alimentari: abbigliamento, accessori, articoli e biancheria per la casa non sono indispensabili alla sopravvivenza. In una fase ricca di incertezze come quella attuale ,l’acquisto di beni voluttuari trasmette al consumatore sensazioni di benessere cui, tuttavia, possono far seguito i così detti “sensi di colpa”. Se l’acquisto di beni superflui è effettuato in un outlet
7
PARMA economica
In alto l’outlet di Serravalle Scrivia, nella pagina accanto Castel Romano
ECONOMIA E TERRITORIO
ECONOMIA E TERRITORIO
PARMA economica
ECONOMIA E TERRITORIO
ECONOMIA E TERRITORIO e con una buona percentuale di risparmio, invece, questo spiacevole rovescio della medaglia viene meno o si presenta in maniera attutita. Molti di coloro che si recano abitualmente in un outlet per lo shopping non acquisterebbero, per basso reddito o per forma mentale, gli stessi prodotti in una boutique a prezzo pieno. Non dimentichiamoci, per esempio, di quei giovani che grazie all’outlet riescono ad accaparrarsi articoli per loro inavvicinabili a prezzo pieno e, ancora, della borghesia medio-alta che è oggi è in bilico tra il richiamo del lusso e quello della sobrietà. Un recente sondaggio di mercato della BMW Financial Service, inoltre, rivela che a partire dal 2008, il 31% degli acquirenti è maggiormente incline a investire in manufatti di nomi prestigiosi che non in prodotti low-cost e che circa il 18% delle donne evita di acquistare abiti e accessori economici, preferendo oggetti firmati e di qualità destinati a durare più a lungo. Sempre secondo lo stesso sondaggio, di fronte a un budget di circa 600 euro il 47% delle donne opterebbe per l’acquisto di un singolo capo di buona fattura e di gusto classico piuttosto che convertire quella somma di denaro in più pezzi di minor valore e soggetti alle moda del momento. Il confine tra il risparmiare denaro e il non sprecarlo oggi è molto labile e l’outlet, in buona sostanza, va incontro a coloro che scelgono di dare sì fiducia a una marca, ma solo a patto che alla buona qualità si abbini il giusto prezzo. Il costo di un simile compromesso è il doversi accontentare di indossare capi o accessori di collezioni passate, faccenda inaccettabile per i modaioli più accaniti, ma assolutamente irrilevante per chi ha occhi solo sul buon rapporto qualità-prezzo o per chi è determinato ad accaparrarsi un prodotto di marca. A questa seconda schiera di consumatori appartengono molti degli acquirenti provenienti dall’estero. I visitatori, stranieri, che già oggi contribuiscono in maniera significativa al fatturato dei nostri outlet, costituiscono un fenomeno in crescita (in alcuni outlet i visitatori stranieri contribuiscono al fatturato in una percentuale pari al 50% del totale)... Arrivano da paesi limitrofi (come ad esempio la Francia), da nazioni ricche (i giapponesi, gli americani...) e da economie emergenti (Brasile, Cina, Russia, Serbia, Ucraina, Medio Oriente paesi del Sud Est asiatico). Coloro che risiedono extra CEE possono chiedere alla frontiera il rimborso dell’IVA pagata.
8
Possiamo dividere i visitatori stranieri in due tipologie: quelli che vengono in Italia esclusivamente per praticare la caccia all’affare negli outlet e quelli che inseriscono la visita ai templi dello shopping in una cornice di viaggio più ampia. Come viaggiano? In auto ma anche con camper (per poter sostare più giorni nei dintorni dell’outlet) o con pullman e voli charter noleggiati da tour operator che, con sagacia, sanno imbastire una vacanza attorno allo shopping. Gli stessi outlet, inoltre, vanno in soccorso dei viaggiatori fai da te o degli italiani senza auto, offrendo servizi navetta che, con circa 20 euro, traghettano acquirenti dai centri delle maggiori città d’arte. La McArthurGlen ha analizzato l’incremento del fatturato realizzato grazie ai turisti stranieri, confrontandolo con quello analogo delle città d’arte più vicine all’outlet: per il 2009 scopriamo, per esempio, che all’outlet Barberino (FI) gli acquisti dei turisti stranieri sono cresciuti del + 21%, mentre sono scesi del -7% a Firenze e a Bologna. Per Castel Romano e Roma abbiamo rispettivamente un +12% e un -7%.
Fare shopping in bellezza... con lo sconto
Ma non sono solo gli sconti a incentivare lo shopping in assoluta rilassatezza: gli outlet sono villaggi nati dal nulla, di conseguenza privi delle limitazioni logistiche proprie dei centri storici e progettati per offrire al consumatore la migliore esperienza di shopping possibile. La topografia dell’outlet è molto variabile: Value Retail (outlet di Fidenza), per esempio, tende a pianificare il villaggio attorno a una via principale, mentre la Mc Arthur
La parola d’ordine è comodità, ma anche qualità e assistenza personalizzata: l’outlet non è più solo sinonimo di risparmio
Glen, il più forte gruppo europeo, preferisce ricreare delle cittadine vere e proprie (con tanto di vie e viuzze) i cui edifici si riallacciano all’architettura tipica della zona in cui l’outlet è sorto. Non è inopportuno parlare di shopping in assoluta tranquillità: l’ambiente ricreato negli outlet è lontano dalla rozzezza di molti centri commerciali moderni e ricorda il centro storico di una cittadina di provincia, da cui sono stati rimossi tutti i lati negativi. Negli outlet sono previsti punti di ristoro, panchine e fontane attorno alle quali rilassarsi e persino strutture con personale qualificato cui affidare gratuitamente bambini fino all’età di sei anni. All’interno di un outlet non troverete tubi di scappamento all’altezza di un passeggino, poiché i mezzi di trasporto vengono lasciati in ampi parcheggi gratuiti all’esterno del villaggio. La parola d’ordine è comodità: gli outlet sono situati in prossimità dei caselli autostradali in modo da essere facilmente raggiungibili e da ridurre l’impatto del traffico sulla viabilità ordinaria. In alcuni momenti dell’anno (festività, saldi...) le code ai caselli in prossimità degli outlet arrivano a sfiorare i 15 km: collocare un outlet nel luogo giusto è la chiave che può aprire lo scrigno della prosperità dell’outlet e del territorio circostante. I progettisti, oltre a confrontarsi con i problemi della viabilità, devono tenere una distanza di sicurezza dalle città in cui si trovano i negozi delle stesse marche presenti all’outlet per non innescare pericolosi meccanismi di concorrenza diretta. La convinzione, un tempo solida, che la stessa persona non possa essere contemporaneamente colui che acquista in boutique a prezzo pieno e l’acquirente
Outlet ed economia locale. La collocazione come scelta strategica
Forti di queste nuove tendenze e consapevolezze, per separare il mercatodel-prezzo-pieno dal mercato-dell’outlet, i villaggi dello shopping con lo sconto vengono collocati a una certa distanza dai centro delle maggiori città: Birchester Village (Value Retail) dista 60 miglia dalla londinese via del lusso Bond Street; le viuzze di Serravalle sono a due ore di auto da via della Spiga e, l’outlet emiliano di Fidenza, per quanto vicino a Parma tiene comunque le dovute distanze da centri maggiori come Milano e Bologna. La località ideale, oltre a rispettare le distanze dalle maggiori città, è sita in mezzo al nulla ma è allo stesso tempo vicina alle grosse arterie viabilistiche come autostrade e tangenziali. Una scelta di questo tipo non è dettata esclusivamente da ragioni logistiche, ma anche da esigenze economiche e antropologiche. È importante che l’outlet sia percepito in maniera positiva dagli abitanti della zona in cui verrà costruito, chi risiede attorno all’outlet ne paga lo scotto in termini di viabilità e di modifiche al paesaggio ma, se la localizza-
9
PARMA economica
La catena Tiffany. Nell’altra pagina Piccadilly a Londra (foto Rossella di Palma)
che fa compere all’outlet a prezzo scontato va affievolendosi. L’outlet non è più down market e non è più una scelta di ripiego: sono le stesse ditte ad affermarlo in maniera implicita offrendo, in maniera crescente, al cliente-da-outlet gli stessi servigi offerti al cliente-da-boutique. Come già affermato, ogni marchio ha il pieno controllo sui propri punti vendita e sempre più aziende scelgono di arricchire l’esperienza di shopping all’interno dell’outlet attraverso stimoli positivi. I punti vendita sono sempre più curati e sempre più simili (per disposizione delle merci e arredamento) a quelli ufficiali nei quali si acquista a prezzo pieno e, le marche del lusso, offrono gratuitamente servizi addizionali come il personal shopper. Si punta altresì a fidelizzare il cliente, non con metodi predefiniti e standardizzati come le raccolte punti bensì tessendo una sottile rete di rapporti interpersonali tra il buon cliente e la direzione del punto vendita: ecco allora la nascita di liste di clienti VIP da avvertire in caso si prevedano merci o sconti particolarmente interessanti. Il coccolare il cliente porta i suoi frutti: l’85% delle persone che entrano in un outlet effettua almeno un acquisto e la spesa media pro-capite è di 600 euro.
ECONOMIA E TERRITORIO
ECONOMIA E TERRITORIO
ECONOMIA E TERRITORIO
ECONOMIA E TERRITORIO zione del villaggio è azzeccata, può trarne vantaggio nel medio e nel lungo periodo. Un outlet ben collocato incide in maniera positiva sull’economia locale: se all’interno dell’outlet si creano opportunità d’impiego, ai suoi margini può anche rinascere l’economia della zona. Le vicende che hanno visto protagonista la cittadina di Serravalle sono esemplari. Da paese in mezzo al nulla colpito dalla chiusura delle fabbriche circostanti che ne animavano l’economia, questo luogo si è trasformato in uno dei tanti vivaci centri dell’universo del commercio. Attorno all’outlet sono sorte altre strutture commerciali e per il tempo libero (campo da golf) ma, soprattutto si è dato lavoro a chi l’aveva perso, si è rispolverata l’economia alberghiera, il Comune ha riempito le casse grazie agli oneri di urbanizzazione, è salito il valore degli immobili. L’outlet, in definitiva, è una grande risorsa e può fornire una boccata di ossigeno all’economia del luogo in cui sorge, ma la scelta di tale luogo deve essere più che oculata, in caso contrario si rischia di uccidere l’economia e l’identità locale.
Outlet in cifre
La progettazione e la gestione degli outlet è curata da grossi gruppi finanziari. Tra quelli attivi in Italia ricordiamo il gruppo
PARMA economica
Il Fidenza Village L’outlet è situato lungo l’autostrada A1 a circa un ora di guida da Milano. È possibile raggiungerlo comodamente anche in treno grazie ad un servizio navetta che lo collega alla stazione di Fidenza. Il centro è stato aperto nel 2003 e conta oggi 97 negozi distribuiti su 18.000 mq. Nel 2009 il fatturato è cresciuto del 21% e le presenze del 20%, va inoltre sottolineato che i visitatori extraeuropei sono aumentati del 120%. Nel 2009, inoltre, all’outlet di Fidenza sono stati aperti 19 nuovi punti vendita e sono arrivati nuovi marchi prestigiosi tra cui ricordiamo: Armani, Brooks Brothers, Gallo, Custo Barcelona, Valentino, La Perla, Vilebrequin, Diesel, Class Roberto Cavalli, Patrizia Pepe, Les Copains, Pal Zileri.
10
McArthurGlen, il Fashion District di Brescia, il gruppo Degi (società real estate del gruppo Allianz) e il gruppo Value Retail. Il gruppo Value Retail, sempre britannico, possiede attualmente nove villaggi un Europa tra cui quello di Fidenza (PR). Il Fashion District e il gruppo Degi sono attivi in Italia (Fashion District possiede Mantova, Valmontone di Roma e Molfetta (BA; Degi ha progettato il Franciacorta Outlet e il Valdichiana Outlet). Altri outlet minori sono quello di Vicolungo (NO) realizzato attraverso un consorzio e il Castel Guelfo Outlet (BO). Il gruppo britannico McArthur Glen nasce nel 1993 ed è oggi il leader europeo nel settore con un totale di 17 outlet (400.000 Mq – 95.000 mq in Italia, 1800 negozi di cui 570 in Italia, 750 marchi) sparsi nel continente. In Italia è presente con quattro centri: Serravalle Scrivia (AL) - attualmente l’outlet più grande d’Europa con 180 negozi, Barberino del Mugello (FI), Noventa di Piave (VE), Castel Romano (Roma). Il gruppo si sta attualmente occupando della costruzione di un nuovo outlet a Marcianise (NA) la cui apertura è prevista per il 18 febbraio 2010. Nel 2009 il gruppo ha registrato 12.5 milioni di visitatori (+ 8% rispetto al 2008) e un fatturato di 545 milioni di euro (+ 10% rispetto al 2008).
Spendere meno e spendere meglio. Portare a casa un articolo nuovo può anche essere la “meta” di un viaggio fuori dai centri storici soffocati dalle automobili. Una riflessione per gli urbanisti di oggi e di domani
Spendere è viaggiare, non solo arrivare a destinazione
Parte del successo degli outlet, come illustrato, è legato alle strategie messe in atto per coccolare il cliente, strategie che potrebbero trovare una differente ma proficua applicazione anche da parte dei Comuni per rivitalizzare i centri storici e il commercio al dettaglio. Per molti acquirenti, oggi, portare a casa un articolo nuovo non è una “meta”, bensì un “sentiero” che desiderano percorrere in rilassatezza e divertendosi. Il desiderio di fare shopping in maniera piacevole si accompagna inoltre a un
maggiore senso critico che è andato sviluppandosi non solo in coloro che sono stati direttamente o indirettamente danneggiati dalla crisi economica ma anche nei più fortunati che stanno a guardare dalla finestra. Maggior senso critico significa maggior consapevolezza del valore intrinseco del denaro e di come un acquisto, anche il più banale, possa influenzare la vita degli altri. C’è chi in questa ottica rifiuta l’outlet o riduce al minimo gli acquisti nei supermercati e nei punti vendita di grosse catene per favorire i piccoli commercianti locali e, ancora, chi storce il naso di fronte al “made in China” preferendo premiare l’imprenditoria italiana. La risoluzione con cui inizia il nuovo decennio non coincide con lo spendere meno ma con lo spendere meglio: ben vengano gli outlet allora, per ciò che rappresentano e per gli spunti che possono fornire a quelle entità commerciali sulle quali soffiano ancora forti i venti della crisi.
L’evoluzione dello shopping nei libri rivolti a un pubblico femminile Le motivazioni e i metodi dello shopping vengono influenzati in maniera profonda dal retroterra socio-economico. È pertanto interessante analizzare come è cambiato l’approccio delle donne alle compere “superflue” negli ultimi 15 anni esaminando alcuni lavori letterari che hanno riscosso un grandissimo successo di pubblico. La prima opera in esame è il testo Sex & the City da cui è stata tratta in seguito la famosissima serie televisiva. Non è un romanzo, bensì un’antologia di articoli pubblicati di Candance Bushnell pubblicati sul New York Observer a partire dal 1994. Siamo a New York, la capitale del consumismo nel paese del consumismo e le protagoniste, per l’appunto, consumano beni e servizi in grande stile. Siamo a metà degli anni Novanta e le cose non vanno poi così male. La serie di libri di Sophie Kinsella con protagonista Becky
Bloomwood è la seconda tappa del nostro viaggio. La saga inizia nel 2000 con Confessions of a Shopaholic (in italiano I love shopping) e prosegue nel 2002 con Shopaholic takes Manhattan ( I love shopping a New York); Shophaolic ties the Knot – 2003- (I love shopping in bianco); Shophaolic & Sister 2005- (I love shopping con mia sorella) e Shophaolic & Baby – 2007- (I love shopping per il baby). Cosa è cambiato rispetto alle ragazze di Sex & the City ma, soprattutto, cosa cambia nel corso delle avventure di Becky? I titoli in inglese sono stati volutamente lasciati per sottolineare come la corsa all’acquisto sia connotata in maniera seminegativa: non dimentichiamoci che il suffisso -haolic è lo stesso che appartiene alla parola alcolista – alcholic. Becky Bloomwood è senza dubbio una bulimica di shopping ma il suo personaggio si evolve insieme alla saga, contemporaneamente il consu-
mismo sfrenato viene bacchettato implicitamente in maniera sempre più incisiva, sebbene con toni leggeri. Con il paragrafo soprastante termina l’analisi di opere appartenenti al filone della narrativa chick-lit (un genere letterario emerso negli anni Novanta e rappresentato da scrittrici soprattutto britanniche e statunitensi) poiché il prossimo libro preso in esame è un saggio. Sì esatto un saggio che è un po’ anche manuale, pensato per pubblico femminile e che sta ottenendo un grosso riscontro nei paesi anglofoni. Il libro del momento è Sheconomics scritto a quattro mani da Karen Pine (professore di psicologia all’University of Hertfordshire) e da Simonne Gnessen (consulente finanziario). L’argomento? Come gestire in maniera saggia i propri risparmi e i propri acquisti. È proprio vero che i tempi sono cambiati!
11
PARMA economica
Il gruppo Fashion District, interamente italiano, nel 2009 ha segnato un aumento di fatturato del +13% (+11% a Mantova, + 15% a Valmontone, + 13% a Molfetta), il giro di affari del gruppo si aggira attorno ai 350 milioni di euro e il numero dei visitatori sui 12 milioni.
ECONOMIA E TERRITORIO
ECONOMIA E TERRITORIO