UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE Facoltà di Medicina e Chirurgia
Scuola di Dottorato della Facoltà di Medicina 10° ciclo, n.s. Anno 2009 Curriculum Neuroscienze
Tesi di Dottorato
COMPORTAMENTO IMITATIVO E DISCONNESSIONE INTEREMISFERICA
Coordinatore: Chiar.mo Prof. Fiorenzo CONTI Tutor: Chiar.ma Prof.ssa Mara FABRI Dottoranda: Dott.ssa Chiara PIERPAOLI
Triennio 2009-2011 1
COMPORTAMENTO IMITATIVO E DISCONNESSIONE INTEREMISFERICA
PARTE 1. L’imitazione …………………………………………………………..3 1.1. Cenni introduttivi al comportamento imitativo ………………………………3 1.2. Le teorie dell’imitazione ………………………………………………..........9 1.3. I meccanismi neurali dell’imitazione: il Sistema dei Neuroni Specchio …...16 1.4. La Teoria della Mente ……………………………………………………....26 1.4.1. Assunzione di prospettiva ………………………………………... 30 1.4.2. Rotazione mentale ………………………………………………...34 1.5. Sviluppo cerebrale e corpo calloso ……………………………………........36 PARTE 2. Comportamento imitativo e disconnessione interemisferica …...........40 2.1. Presupposti ed obiettivi dello studio sperimentale ……………………….....40 2.2. Partecipanti ………………………………………………………………….43 2.3. Stimoli …………………………………………………………………........46 2.4. Protocollo comportamentale …………………………………………..........49 2.5. Analisi statistica ……………………………………………………….........51 2.5.1. Analisi statistica per il gruppo di soggetti di controllo …………...52 2.5.2. Analisi statistica per il gruppo di pazienti callosotomizzati ………55 2.6. Discussione dei risultati dello studio sperimentale …………………………59 PARTE 3. Conclusioni e prospettive future ………………………………..........63 Bibliografia ………………………………………………………………….......73 Ringraziamenti …………………………………………………………………..82
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PARTE 1. L’imitazione 1.1. Cenni introduttivi al comportamento imitativo Il fenomeno dell’imitazione è oggetto di studio di innumerevoli discipline, quali la psicologia sociale, la psicologia cognitiva, la psicologia dello sviluppo, così come le neuroscienze cognitive, l’etologia, la primatologia e la robotica (Hayes, 2001). Imitare è copiare in modo spontaneo o su istruzione ciò che viene osservato compiere da un altro individuo (Mühlau et al. 2005), o parafrasando Meltzoff e Moore (1997), è riprodurre il comportamento di un altro individuo che funge da modello. Un atto di imitazione contempla la presenza di almeno 2 variabili: un soggetto che imita, ed un oggetto-target di imitazione. Queste due variabili possono correlarsi in vari modi; basti pensare a colui che si appresta a riprodurre i movimenti di un insegnante di danza (caso 1). In questo specifico caso, il “soggetto che imita” è un soggetto che osserva un “oggetto-target di imitazione” (un insegnante), compiendo un atto di apprendimento, alla luce di un atto di volontà. Si è quindi consapevoli di imitare qualcuno, perché motivati ad apprendere. Diversi, a mio avviso, sono i casi in cui: (caso 2) un neonato, di fronte ad un adulto che compie movimenti facciali, ne riproduce le espressioni; (caso 3) un bambino, con l’attività del gioco, ripropone eventi di vita vissuti in famiglia (giocando il ruolo del padre o della madre, ad esempio). Nel caso dell’allievo che si appresta a riprodurre i movimenti dell’insegnante di danza, il fenomeno dell’imitazione è strettamente correlato all’apprendimento. Ciò che distingue questo aspetto (caso 1) del comportamento imitativo da quello dei successivi esempi sopra esposti (caso 2 e 3), consiste nella consapevolezza dell’atto stesso dell’imitazione. Il caso 2 è ben interpretabile alla luce della teoria sull’imitazione così come esposta da Meltzoff e Moore (1977).
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Gli autori ritengono che la capacità apparentemente innata dei neonati di imitare le espressioni facciali degli adulti sia in realtà conseguente alla loro abilità nel rappresentarsi contemporaneamente visivamente ed in modalità propriocettiva le informazioni ambientali, grazie ad un sistema comune di elaborazione delle informazioni. Il bambino, quindi, grazie ad un meccanismo di matching, di elaborazione in parallelo tra l’informazione in entrata (visiva) e l’informazione in uscita (motoria), sarebbe originariamente dotato della capacità di eseguire atti di imitazione. Il caso 2 si distingue dal caso 1 perché nell’atto di imitare le espressioni facciali dell’adulto che ha di fronte, il neonato, a differenza dell’allievo che apprende a danzare, non è consapevole di ciò che sta facendo, e non viene contemplato l’intento di apprendere. Nel caso 3, infine, la spiegazione teorica è riconducibile al fenomeno dell’apprendimento osservativo, così come esposto da Bandura (1963): Research on imitation demostrates that, unlike the relatively slow process of instrumental training, when a model is provided, patterns of behavior are rapidly acquired in large segments or their entirety. (Bandura, 1963, p. 208)
Un esempio riferibile al caso 3 è quello relativo al gioco del bambino. Attraverso il gioco il bambino riproduce ciò che vede compiere dagli adulti con cui quotidianamente interagisce, dando dimostrazione di apprendere determinati comportamenti senza averne consapevolezza né mostrando intenzionalità. Posto di fronte ad un modello umano (es. un genitore) che esegue atti e verbalizza osservazioni, il bambino, involontariamente, da esso apprende. [...] children’s play in which they frequently reproduce the entire parental role-behavior including the appropriate mannerisms, voice inflections and attitudes [...]. (Bandura, 1963, p. 206)
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In base a quanto appena esposto, affrontare la questione del comportamento imitativo rende necessario distinguere tra una forma di imitazione con finalità di apprendimento, ed una spontanea, o come la definisce Vittorio Gallese (2005), simulazione incarnata (embodied simulation). Un apprendimento è una modificazione relativamente stabile del comportamento che si basa sull’esperienza e che dura nel tempo. Esso non va confuso con il concetto di maturazione, seppure i due eventi siano strettamente correlati. L’apprendimento è un processo esperienza-dipendente, in cui i vissuti dell’individuo possono arrivare ad influenzare le connessioni neurali e le strutture cerebrali. È funzione dell’adattamento, ovvero un processo attivo di acquisizione di comportamenti stabili. L’infanzia è una fase di intenso sviluppo di processi di apprendimento e di acquisizione di nuove competenze. Per conoscere il mondo, il bambino si avvale di una tecnica molto semplice, che consiste nell’apprendimento “per prove ed errori”. L’apprendimento per prove ed errori è stato studiato da Thorndike (18741949), che utilizzava una gabbia dalla quale dei gatti avevano il “compito” di uscire. Inizialmente, essi compivano dei movimenti alla “cieca”, fornendo casualmente risposte giuste e sbagliate. L’animale metteva in atto azioni diverse (mordere, graffiare parti della gabbia, e premere una leva), senza conoscere a priori quale fosse quella giusta, ovvero premere la leva. Thorndike notò che le risposte errate, che non conducevano alla fuga dalla gabbia, venivano pian piano abbandonate, mentre quelle corrette tendevano ad essere ripetute (legge dell’effetto e dell’esercizio). Un modo altrettanto economico per apprendere consiste nel fenomeno a cui Bandura fa riferimento, cioè osservare ciò che un’altra persona fa e riprodurre quanto osservato. Fenomeno definito apprendimento per osservazione (o apprendimento osservativo). L’apprendimento per osservazione è un processo attraverso cui gli individui imitano azioni, movimenti e comportamenti altrui ai fini (inconsapevoli) dell’apprendimento di nuove competenze.
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Il bambino acquisisce abilità, valori, schemi comportamentali e una buona dose di competenza sociale attraverso l’esercizio e quindi l’apprendimento, per il tramite (consapevole o inconsapevole) dell’adulto che “istruisce” ed insegna. Quando l’apprendimento è esente dalla sfera della consapevolezza e dell’intenzionalità, acquistano un’importanza rilevante i modelli, i quali fungono da rinforzi vicari (vicario in quanto non direttamente esperito dall’osservatore); comportarsi come il modello, e quindi ottenere i risultati da questi ottenuti diventa la ricompensa che spinge all’apprendimento del comportamento osservato e alla sua ripetizione. La natura vicariale del rinforzo è resa possibile dalla cognizione (Bandura, 1986; 1995; 2002), poiché gli individui possono formarsi un’aspettativa in base ai propri e altrui comportamenti. Un’aspettativa è la convinzione che appartiene ad un individuo, e che stabilisce che una determinata conseguenza seguirà un determinato atto. In altre parole, l’apprendimento osservazionale si verifica quando, in chi osserva, si manifesta un comportamento dopo aver osservato quello degli altri. Questo tipo di apprendimento avviene senza alcun particolare addestramento. Albert Bandura, personaggio di spicco del Social Learning, introdusse per primo il concetto di imitazione sotto forma di apprendimento osservativo. Scrive Bandura, nel 1963: Although a certain amount of socialization of a child takes place through [...] direct training, personality patterns are primarily acquired through the child’s active imitation of parental attitudes and behavior. (Bandura, 1963, p. 206)
Nella versione di Bandura, “apprendere” significa osservare un comportamento altrui e riprodurlo in virtù delle conseguenze che il medesimo produce. Differente è il caso 2, meglio argomentabile nell’ottica dell’impostazione teorica di Meltzoff e Moore ed in quella della Simulazione incarnata (embodied simulation theory). Tralasciando l’argomentazione di Meltzoff e Moore, che sarà
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trattata nel paragrafo 1.2., il concetto di embodied simulation risponde alla domanda “in che modo il nostro cervello plasma il nostro agire?”. Scrive Gallese (2003): Molto di ciò che accade nel corso dei nostri rapporti interpersonali sarebbe il risultato della capacità di creare uno spazio “noi-centrico” condiviso con gli altri. La creazione di questo spazio condiviso sarebbe il risultato dell’attività di “simulazione incarnata” (“embodied simulation”), definita a sua volta in termini sub-personali dell’attività di neuroni che permettono di mappare sullo stesso substrato nervoso azioni eseguite ed osservate, sensazioni ed emozioni esperite personalmente ed osservate negli altri. […]. In altri termini, l’osservazione di un’azione implica la simulazione della stessa. (Gallese, 2003, p. 24)
La Teoria della Simulazione incarnata postula l’esistenza di una “riproduzione automatica, non consapevole e pre-riflessiva, degli stati mentali dell’altro […]. Le intenzioni dell’altro sono insomma direttamente comprese perché sono condivise a livello neurale […]. La simulazione incarnata permette di afferrare immediatamente il senso delle azioni e delle emozioni altrui.” (Gallese et al., 2006). Il termine di “simulazione” utilizzato da Gallese nel tentativo di spiegare il funzionamento del meccanismo che permetterebbe un’immediata ed inevitabile coincidenza tra Sé e l’Altro, potrebbe indurre in errore se lo si interpretasse disgiungendolo da uno dei suoi prodotti più prossimi, ovvero l’imitazione. Occorre a questo punto fare una distinzione tra i concetti di imitazione, simulazione ed emulazione. Imitare significa riprodurre, nella maniera più fedele possibile, quanto osservato compiere da un modello. Simulare significa fingere qualcosa che non esiste nella realtà, riprodurre un fenomeno in modo che sembri vero. Nel campo scientifico simulare vuol dire manipolare un modello per scopi conoscitivi. È questo un modo efficace per avvicinarsi alla complessità di un fenomeno senza produrre conseguenze reali, e quindi, senza che vi sia realmente il rischio di cadere in errore. L’emulazione, infine, consiste nell’apprendimento di proprietà ambientali, definite “affordance”. L’affordance, concetto coniato da Gibson, nel 1977, riguarda il potenziale di utilizzo di uno strumento. 7
Nella definizione fornita da Acerbi e colleghi (Acerbi et al., 2011), che descrivono le differenze tra il comportamento di emulazione e quello di imitazione, l’emulazione viene definita come la copia dei risultati, degli esiti ambientali (environmental outcomes) e dei prodotti di un comportamento. Ciò che accomuna questi tre diversi fenomeni è la presenza di un modello a cui ispirarsi per produrre un atto, che sarà quindi simile a quello osservato. Si imitano azioni eseguite con e su oggetti, si imitano gesti, posture del corpo, espressioni facciali, e sequenze semplici o complesse di movimenti. Quando si osserva qualcuno eseguire un movimento, un’azione, un atto o un gesto, il cervello umano “simula” l’azione osservata (Jeannerod, 1994). Questa simulazione starebbe alla base di sofisticate funzioni cognitive quali la comunicazione (Rizzolatti e Arbit, 1998), l’apprendimento attraverso
l’osservazione
(Berger
et
al.
1979)
ed
il
comportamento sociale (Gallese e Goldman, 1998). Il fenomeno dell’imitazione produce un importante interrogativo, meglio noto come problema della corrispondenza (correspondence problem; Brass e Heyes, 2005; Pineda, 2008), ovvero un quesito relativo a come si possa utilizzare l’informazione visiva in modo tale da generare un output motorio il più fedele possibile allo stimolo-target oggetto dell’osservazione. […] how does the imitator know what patter of motor activation will make their action look like that of the model? [...] When we observe another person moving we do not see the muscle activation underlying their movement but rather the external consequences of that activation. So how does the observer’s motor system ‘know’ which muscle activations will lead to the observed movement? (Brass e Heyes, 2005, p. 489)
Il
meccanismo cerebrale ritenuto responsabile
della
risposta al
correspondence problem prende il nome di Sistema dei Neuroni Specchio (Mirror Neuron System), una circuiteria neurale che comprende la corteccia premotoria, alcune aree parietali ed il solco temporale superiore (STS, Superior Temporal Sulcus), la cui attivazione produrrebbe una corrispondenza tra input visuo-motorio e output motorio. 8
Il contesto all’interno del quale si situa il comportamento imitativo è quello delle interazioni. Attraverso il comportamento imitativo l’individuo fin dai primi giorni di vita entra a far parte del complesso delle interazioni umane. Fin dalla nascita il neonato mostra una chiara tendenza alla socialità, dimostrandosi responsivo nei confronti dell’agire dell’adulto che si prende cura di lui. Già nelle prime settimane di vita, il neonato sembra in grado di esibire una chiara propensione ad interagire con chi si prende cura di lui in modo simile ad una conversazione, e questo accade in una fase di sviluppo definibile protodialogica, in cui il comportamento imitativo apparterrebbe ad uno stadio di sviluppo precedente alla genesi dello strumento linguistico. Ed è esattamente sulla scia della più “spontanea” propensione dell’essere umano a riprodurre eventi osservati compiere da altri, che fonda le proprie radici la presente indagine. Essa, che porta il titolo di “Comportamento imitativo e disconnessione interemisferica”, si è posta l’obiettivo di indagare il fenomeno per cui un soggetto può scegliere di riprodurre gesti osservati compiere da altri, ponendosi in una prospettiva di tipo speculare o di tipo anatomico. 1.2. Le teorie dell’imitazione Le teorie dell’imitazione offrono due tipi di soluzioni: soluzioni definite generalist e soluzioni specialist. Le teorie generalist suggeriscono che l’imitazione sia un fenomeno mediato da meccanismi generali di apprendimento e da meccanismi di controllo motorio, mentre le specialist, pur non negando l’importanza dell’apprendimento, suggeriscono invece che l’imitazione sia una capacità innata (Tab. 1).
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Tabella 1. Teorie dell’imitazione.
Imitation Theories
Generalist Theories
Ideomotor Theory (IM)
Specialist Theories
Associative Sequence Learning Theory (ASL)
Active Intermodal Matching Theory (AIM)
Tra le impostazioni teoriche generalist, la Teoria Ideomotoria (Ideomotor Theory) assume un comune bacino rappresentazionale per percezione (input) e risposta motoria (output). In base a questa impostazione, l’azione non sarebbe la conseguenza/risposta di/a una stimolazione sensoriale, ma la rappresentazione dell’obiettivo che il soggetto agente intende perseguire compiendo l’azione. In base alla Teoria Ideomotoria, quando osservo le conseguenze delle azioni altrui mobilito le rappresentazioni in mio possesso di quelle azioni che producono i medesimi risultati. Questo significa che gli obiettivi delle azioni hanno maggior importanza rispetto ai movimenti eseguiti per produrle. Un esempio per rendere ragione di questa teoria può essere tratto da uno studio condotto da Bekkering e colleghi (2000) su un campione di bambini. Lo sperimentatore ed il bambino sono vis à vis, seduti ai lati opposti di una scrivania. Nel primo blocco di trial lo sperimentatore posizionava la propria mano sinistra a sinistra della scrivania (left ipsilateral movement) o a destra della medesima (left controlateral movement). Nel secondo blocco, posizionava la propria mano destra a destra della scrivania (right ipsilateral movement) o a sinistra della medesima (right controlateral movement). Ai bambini veniva chiesto di fare esattamente quello che faceva lo sperimentatore (“Do what I do”), ed in entrambi i gruppi di trial i bambini eseguirono bene il compito. Nel secondo
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blocco di trial, veniva introdotta una variazione delle condizioni sperimentali: a destra e a sinistra del piano della scrivania venivano posizionati dei bollini rossi. Lo sperimentatore eseguiva i medesimi movimenti previsti nel setting precedente, ma questa volta, la mano che si muoveva andava a terminare sopra il bollino. Ai bambini veniva nuovamente chiesto di imitare esattamente quanto lo sperimentatore eseguiva. In questa condizione, i partecipanti imitarono con successo i movimenti ipsilaterali, ma compivano errori nell’imitazione dei movimenti controlaterali, a differenza di quanto avveniva nel precedente blocco di trial. La presenza del bollino rosso era l’unica differenza che poteva rendere ragione delle dissimilitudini osservate tra le performance dei bambini al primo e al secondo blocco di stimolazione. Mentre in assenza del bollino l’azione in sé era l’obiettivo dell’atto da imitare, nel secondo blocco di stimolazione, era il raggiungimento di uno specifico target (bollino rosso di destra o di sinistra), indipendentemente dall’arto usato per raggiungerlo, l’obiettivo dell’atto imitativo. Con questo esperimento, gli autori ipotizzarono che fosse l’obiettivo di un’azione all’origine del comportamento imitativo. La
Teoria
dell’Apprendimento Associativo (Associative
Sequence
Learning Theory; ASL), invece, postula che percezione (input in entrata) ed azione (input in uscita) abbiano differenti format di rappresentazione. Le rappresentazioni visive dell’azione si legano alle rappresentazioni motorie attraverso l’apprendimento. Ogni rappresentazione di un’azione è il risultato, a sua volta, di due tipi di rappresentazioni: l’uno che codifica per l’informazione visiva e l’altro che contiene informazioni sensoriali e comandi motori. I due componenti rappresentazionali si legano per il tramite dell’apprendimento, pur essendo all’origine disgiunti. In base a questa teoria, come una persona imita dipende dall’esperienza che ha relativamente all’azione da eseguire. In altre parole, il modello imitativo proposto dalla Teoria dell’Apprendimento Associativo suggerisce che l’imitazione sia il risultato di nessi associativi tra rappresentazioni visive e rappresentazioni motorie, la maggior parte delle quali sorte per il tramite dell’esperienza e di comuni situazioni ambientali, e solo in minima parte presenti fin dalla nascita. L’assunto di base di questa impostazione rifiuta la presenza di un meccanismo funzionale (di ordine neurale) a spiegazione
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del fenomeno dell’imitazione. Sono l’ambiente e l’esperienza a forgiare il comportamento imitativo, creando associazioni tra rappresentazione visiva e rappresentazione motoria. In definitiva, mentre il modello della Teoria dell’Apprendimento Associativo assume che la rappresentazione visiva sia separata da quella motoria, ma che insieme vengano a collegarsi per mezzo dell’esperienza, il modello Ideomotorio suggerisce che i meccanismi funzionali di elaborazione delle informazioni sensoriali e di quelle motorie seguano un medesimo meccanismo di processamento. Delle teorie specialist quella di maggior rilievo è la Teoria del Matching Attivo Intermodale (Active Intermodal Matching, AIM). In base a questa impostazione, quando si osserva un movimento con l’intento di imitarlo, la rappresentazione visiva del movimento viene convertita in una rappresentazione “sovramodale” che contiene informazioni relativamente alle relazioni tra organi. Tale meccanismo sarebbe presente sin dalla nascita. Le evidenze relative al fatto che i neonati siano in grado, fin da poche ore dalla nascita, di imitare alcune espressioni facciali degli adulti (Meltzoff e Moore, 1983) forniscono supporto al fatto che il comportamento imitativo non sia il prodotto di un apprendimento, ma sia di origine innata. A partire dalla fine degli anni Settanta, Meltzoff e Moore pubblicarono una serie di studi che suggerivano che i neonati fossero in grado di imitare alcune espressioni facciali (es. protrusione della lingua, delle labbra e apertura della bocca) fin da poche ore di vita. La teoria proposta da Meltzoff e Moore (1997), definita Active Intermodal Matching (AIM) suppone quindi che: The key claim is that imitation is a matching-to-target process. The active nature of the matching process is captured by proprioceptive feedback loop. The loop allows infants’motor performance to be evaluated against the seen target and serves as a basis for correction. [...] the perceived and produced human acts are coded within a common (supramodal) framework which enables infants to detect equivalences between their own acts and ones they see. (Meltzoff e Moore, 1997, p.180)
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L’imitazione
ha
un
ruolo
centrale
nello
sviluppo
umano,
nell’apprendimento motorio, nella competenza comunicativa e nell’acquisizione delle abilità sociali. È un fenomeno complesso, multiforme e non unitario, nonché di rilevanza sociale e di adattamento dell’organismo all’ambiente.
Il
comportamento imitativo fonda le proprie radici in epoche precoci dello sviluppo umano. Attraverso l’atto dell’imitazione, il bambino entra in contatto con l’ambiente esterno, abitato prevalentemente dalle figure di attaccamento (parentali), riproducendone alcuni fenomeni (Wapner e Cirillo, 1968; Meltzoff e Moore, 1977, 1983, 1997; Press et al., 2009) in assenza di condizionamento, in assenza di feedback e di un atto di consapevolezza. Questa iniziale ed originaria forma di interazione si configura come manifestazione spontanea della tendenza pro-sociale dell’essere umano. Meltzoff e Moore sono i massimi rappresentanti di un approccio al fenomeno dell’imitazione che chiama in causa il concetto di “competenza innata”. Secondo questi autori, sin dalla nascita, il piccolo di uomo sarebbe in grado di riprodurre, seppur non del tutto fedelmente, alcuni atti compiuti dagli adulti. In uno studio composto da due esperimenti, pubblicato nel 1977, Meltzoff e Moore osservarono che bambini tra i 12 e i 21 giorni di vita erano in grado di imitare alcune espressioni del viso (Fig. 1) e movimenti delle mani, mostrati loro da un adulto. 1
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Figura 1. Fotogrammi dei filmati video che mostrano i gesti di protrusione della lingua (a), apertura della bocca (b) e protrusione delle labbra (c) mostrati dallo sperimentatore al bambino (1) e riprodotti dal bambino di 2-3 settimane di vita (2). (Immagine tratta da Meltzoff e Moore, 1977).
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Nel primo protocollo sperimentale, su 6 bambini di età compresa tra i 12 e i 17 giorni di vita, la prova si apriva con lo sperimentatore che mostrava un viso passivo, senza espressione alcuna, per la durata di 90 secondi. Dopo questo periodo definito baseline exposure, gli stimoli successivi, somministrati in ordine casuale, consistevano nella protrusione delle labbra, l’apertura della bocca, la protrusione della lingua e movimenti delle dita (aprire e chiudere la mano, muovendo in maniera sequenziale le dita). Ogni gesto-target veniva presentato 4 volte, per la durata di 15 secondi, e seguito da un periodo di 20 minuti nel quale si attendeva che il bambino producesse una risposta. Nel secondo protocollo sperimentale, a 12 bambini di età compresa tra i 16 e i 21 giorni di vita venivano mostrati due dei gesti-target presentati nell’esperimento precedente: l’apertura della bocca e la protrusione della lingua. Il protocollo si apriva con lo sperimentatore che permetteva al bambino di tenere in bocca il succhiotto per i primi 30 secondi; contemporaneamente, lo sperimentatore mostrava un viso passivo. Il succhiotto veniva quindi rimosso dalla bocca del bambino per i successivi 150 secondi (baseline period). Dopo questo lasso di tempo, il succhiotto veniva di nuovo inserito nella bocca del bambino e nel contempo mostrato il primo gesto della durata di 15 secondi. A seguire, lo sperimentatore riassumeva l’espressione di viso passivo e toglieva il succhiotto al bambino. Dopo 150 secondi al bambino veniva ridato il succhiotto e lo sperimentatore mostrava il secondo gesto. I medesimi eventi venivano prodotti per ogni stimolo-target. In entrambi gli esperimenti, i bambini tendevano a riprodurre (imitare) i gesti-target mostrati dall’adulto. In un articolo dei medesimi autori, del 1983, intitolato Newborn Infants Imitate Adults Facial Gestures, 40 neonati (dalle 7 alle 71 ore di vita) venivano valutati nella loro capacità di imitare il movimento di apertura della bocca e quello di protrusione della lingua. I risultati confermarono l’ipotesi precedente: la capacità di imitare è disponibile fin dalla nascita e non richiede particolari esperienze di interazione sociale per manifestarsi. Meltzoff osservò, inoltre, che alcuni neonati erano capaci di imitare movimenti di rotazione della testa in senso orario in una situazione faccia-a-faccia, invertendo perciò la direzione reale. E’ chiaro che questo processo è possibile solo se i due partecipanti si trovano l’uno di
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fronte all’altro. Questo tipo di interazione tra Sé e l’altro è tipica nella nostra cultura, e si manifesta non solo nell’infanzia, ma anche nel dialogo tra adulti. A differenza di Meltzoff e Moore, l’impostazione di Jean Piaget, padre dell’epistemologia genetica, ovvero lo studio sperimentale delle strutture e dei processi cognitivi legati alla costruzione della conoscenza nel corso dello sviluppo, vuole alla base della costruzione dell’intelligenza nell’uomo la nascita delle rappresentazioni mentali. In questa prospettiva, il comportamento imitativo si manifesterebbe solo dopo il primo anno di vita, a seguito di mesi di esperienza senso-motoria. Fin tanto che non si creano rappresentazioni (immagini) mentali, non può esserci imitazione. Secondo Piaget, la presenza della capacità di creare rappresentazioni mentali è inferibile sulla base di un criterio specifico: il carattere differito della reazione. Deve esserci un intervallo temporale tra il comportamento che prova l’esistenza di una rappresentazione mentale e l’evento con il quale il comportamento è stato messo in relazione, perché vi sia imitazione. Una rappresentazione mentale è “qualcosa che sta per qualcos’altro”, non è un’immagine fedele di quanto rappresenta, ma una versione economica e stilizzata dell’ambiente. Attraverso la rappresentazione mentale si evoca qualcosa che non è presente, una realtà assente. Piaget definisce l’immagine mentale una “imitazione interiorizzata”, rinvenendovi una componente motoria e una dimensione simbolica. L’immagine è simbolo, e resta sempre vincolata alla propria natura simil-sensibile. L’attività rappresentativa si manifesta a partire dai 18-24 mesi di vita, attraverso una serie di comportamenti: l’imitazione differita (il bambino conserva una rappresentazione interna del modello che non è più percettivamente presente), la permanenza dell’oggetto (il bambino conserva una rappresentazione interna dell’oggetto che non è più percettivamente presente), il gioco simbolico (il bambino attribuisce all’oggetto presente le caratteristiche di un oggetto evocato mentalmente) ed il linguaggio verbale (il bambino usa etichette linguistiche per riferirsi a cose assenti, rappresentate mentalmente).
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A ben vedere, numerose sono le impostazioni teoriche che riguardano il fenomeno dell’imitazione. Quella di cui è oggetto il presente lavoro esula dal campo dell’apprendimento, e non si propone nelle vesti di teoria alternativa o aggiuntiva, ma nei termini di indagine di un aspetto particolare del “fare” imitativo: la prospettiva di imitazione. Se imitare significa osservare il comportamento di un altro, codificare ed elaborare questa osservazione, ed usare i risultati di questa elaborazione per produrre una sequenza di comportamenti simili a quella prodotta dal modello, nell’ordine corretto ed in maniera più fedele possibile, l’aspetto di interesse della presente indagine si specchia in questa esatta definizione, in cui cenno alcuno viene fatto in riferimento alle “abilità” di apprendere. Ciò a cui il presente studio vuole dare rilievo è l’aspetto più immediato del fenomeno dell’imitazione; registrare le reazioni di soggetti umani a fronte di compiti di imitazione di gesti, eludendo il coinvolgimento di ulteriori meccanismi, quali la memoria e l’apprendimento. 1.3. I meccanismi neurali dell’imitazione: il Sistema dei Neuroni Specchio Gli esseri umani sono costantemente coinvolti in interazioni complesse di varia natura: cooperano e competono tra di loro, comunicano per scambiarsi informazioni, acquisiscono nuove competenze osservando e imitando gli altri. Un contesto sociale di appartenenza, quello dell’essere umano, che richiede una costante ed accurata interpretazione della realtà e delle azioni altrui. Un’idea emergente nell’ambito delle neuroscienze cognitive è che per gestire in modo adeguato questa complessità gli esseri umani hanno evoluto meccanismi neurocognitivi specificamente deputati. Solo grazie al corretto funzionamento di questi meccanismi è possibile andare oltre la superficie costituita dai comportamenti altrui e risalire agli stati mentali che li determinano. (Adenzato e Enrici, 2005, p.15) When we watch someone performing an action, our brains may simulate performance of the action we observe. (Calvo-Merino, et al. 2005, p. 1243)
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Il Sistema dei Neuroni Specchio (Mirror Neuron System; Stephan et al., 1995; Lotze et al., 1999; Johnson et al., 2002; Ehrsson et al., 2003; Hanakawa et al., 2003; Nair et al., 2003; Rizzolatti e Craighero, 2004; Rizzolatti e Sinigaglia, 2006, 2010; Oberman, et al., 2007) è il substrato cerebrale chiamato in causa nell’atto di imitare. Questo particolare sistema corticale è stato scoperto negli anni Ottanta nella corteccia premotoria (area F5) del cervello del macaco (Fig. 2).
Figura 2. Cervello del macaco. L’area F5 (evidenziata da un cerchio giallo) è l’area del cervello del macaco che scarica sia quando l’animale segue un’azione, sia quando osserva lo sperimentatore compiere delle azioni (es. afferrare del cibo da un contenitore). (Immagine tratta da Iacoboni, 2009).
Negli anni '80 e '90 un gruppo di ricercatori dell'Università di Parma coordinato
da Giacomo
Rizzolatti e
composto
da
Luciano
Fadiga, Leonardo Fogassi, Vittorio Gallese e Giuseppe di Pellegrino si stava dedicando allo studio della corteccia premotoria. Essi avevano collocato degli elettrodi
nella
corteccia
frontale
inferiore
di
un macaco per
studiare
i neuroni specializzati nel controllo dei movimenti della mano, come il raccogliere o il maneggiare oggetti. Durante ogni esperimento veniva registrato il comportamento dei singoli neuroni mentre si permetteva alla scimmia di accedere a frammenti di cibo, così da misurare la risposta neuronale a specifici movimenti. La storia racconta che, mentre uno sperimentatore prendeva una banana in un cesto di frutta preparato per degli esperimenti, alcuni neuroni della scimmia che osservava la scena avevano reagito. Come poteva essere accaduto? In un primo momento gli sperimentatori pensarono si trattasse di un difetto nelle misure o un
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guasto nella strumentazione, ma tutto risultò a posto e le reazioni si ripeterono non appena fu compiuta di nuovo l'azione di afferrare. La corteccia premotoria del cervello della scimmia è un’area corticale importante per la pianificazione, la preparazione e la selezione dei movimenti e di coordinamento delle azioni, e non è un’area omogenea. Essa si compone di diversi campi citoarchitettonici aventi differenti proprietà fisiologiche. Il settore ventrale della corteccia premotoria è composta da due principali aree: l’area F4 e l’area F5. L’area F5 (vedi Fig. 2) possiede proprietà neurali rilevanti a livello del controllo della bocca e dei movimenti della mano (in particolare, dell’azione di prensione). Questa area è correlata in maniera peculiare all’esecuzione dei movimenti distali dell’arto superiore, e studi anatomici mostrano che F5 è connessa con la zona di rappresentazione della mano che si trova nell’area 4 di Broadmann (o F1; vedi Fig. 2), presso la corteccia motoria primaria. Nella regione dorsale di F5 della corteccia dei macachi, i neuroni si attivano a seguito di movimenti della mano, mentre nella regione ventrale di F5, si attivano per i movimenti della bocca. In F5 esistono sottopopolazioni di neuroni che codificano anche differenti atti motori: alcuni neuroni codificano il tipo di azione (afferramento, tenuta, raggiungimento, avvicinamento), mentre altri partecipano alle diverse fasi temporali del movimento. Gli stimoli visivi influenzano e interagiscono con quanto contenuto in F5. Il 50% dei neuroni in F5 presentano risposte visive, e la loro attivazione è legata all’osservazione di determinati atti motori che comportano un’interazione effettore-oggetto. La scoperta inaspettata e fondamentale dell’indagine del gruppo di Parma è stata quella di identificare in F5 l’esistenza di neuroni che scaricavano non soltanto quando la scimmia eseguiva azioni finalizzate (goal-directed actions; es. afferrare un oggetto, manipolare un oggetto, portare un oggetto alla bocca), ma anche quando la scimmia, senza muoversi, vedeva qualcuno (nel caso specifico, lo sperimentatore) eseguire le medesime azioni. In ragione di questa duplice proprietà, questa porzione di neuroni è stata denominata mirror system (o Sistema dei Neuroni Specchio) (di Pellegrino et al., 1992, Gallese et al., 1996).
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L’ipotesi iniziale relativamente al funzionamento dei neuroni specchio si basava sul riconoscimento dell’azione osservata. In altre parole, i messaggi inviati dai neuroni visuo-motori di F5 sono gli stessi di quando la scimmia interagisce con un determinato oggetto e di quando ne osserva l’utilizzo, solo che in questo secondo caso, anziché tradursi in azione, l’atto rimane solo potenziale. In realtà, solo un terzo dei neuroni specchio scaricano in concomitanza all’esecuzione e alla osservazione di un’azione. I restanti due terzi scaricano in concomitanza alla osservazione e alla esecuzione di azioni che non sono identiche ma raggiungono lo stesso obiettivo o sono logicamente correlate (di Pellegrino et al., 1992, Gallese et al., 1996, Rizzolatti e Craighero, 2004), ovvero sono step della sequenza di un evento comportamentale (es. osservare qualcuno che mette del cibo su un tavolo ed eseguire l’atto di prensione del cibo per condurlo alla bocca). La scoperta di questa seconda categoria di neuroni specchio fornisce una visione piuttosto flessibile del comportamento imitativo, e questo spiegherebbe perché il soggetto non imita per tutto il tempo i suoi simili. Una serie di esperimenti più recenti hanno inoltre dimostrato l’esistenza di altre complesse caratteristiche dei neuroni specchio. Ne è un esempio il fatto che un individuo sia in grado di riconoscere un’azione e di riprodurla, anche se questa non è interamente visibile a lui (condizione di hidden actions). Umiltà e colleghi (2001) hanno osservato, infatti, che i neuroni specchio della scimmia si attivavano anche quando la porzione finale del movimento dello sperimentatore (la mano che entra in contatto con lo stimolo da afferrare; Fig. 3) veniva esclusa alla vista dell’animale.
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Figura 3. Esempio di Neurone Specchio che risponde all’osservazione di un’azione nella condizione full vision ed in quella hidden. Questo neurone risponde all’osservazione dell’atto di prensione e di mantenimento nella condizione full vision (A) e in quella hidden (B). In (C) e in (D) questi neuroni non scaricano. (C) e (D) mostrano lo stesso neurone che scarica nell’imitazione in condizione full vision e in condizione hidden, rispettivamente. (Immagine tratta da Gallese et al., 2004).
L’85% dei neuroni che risponde alla vista di atti come afferrare cibo con la bocca, masticarlo o succhiarlo (neuroni ingestivi), dal punto di vista funzionale sono simili ai neuroni specchio collegati alla mano, infatti scaricano se c’è interazione effettore-oggetto, ma la maggior parte di essi è selettiva per un solo atto. In generale, gli input sensoriali provengono dalla parte anteriore del solco temporale superiore (STS) della scimmia, dove sono localizzati neuroni che rispondono selettivamente all’osservazione di molti atti motori; si tratta di neuroni esclusivamente visivi, che non si attivano durante movimenti compiuti dall’animale (non sono, per l’appunto, neuroni visuo-motori).
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L’informazione dal STS non proietta direttamente su F5 ma al lobo parietale inferiore (aree PF-PFG di von Economo corrispondenti all’area 39 e 40 di Brodmann; Fig. 4), e meno selettivamente a settori del lobo prefrontale.
Figura 4. Superficie laterale del cervello. Aree 39 e 40 di Brodmann, aree del lobo parietale inferiore (aree PF-PFG di von Economo). (Immagine tratta da http://en.wikipedia.org/wiki/Brodmann_area).
Nel 1995, Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Giovanni Pavesi e Giacomo Rizzolatti dimostrano per la prima volta l'esistenza nell'uomo di un sistema simile a quello trovato nella scimmia (Fig. 5).
Figura 5. Aree del Mirror Neuron System nelle scimmie (A) e nell’uomo (B). (Immagine tratta da Rizzolatti e Arbit, 1998).
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Nell’uomo, le aree implicate nel matching tra input visuo-motorio e output motorio, reso possibile dall’attivazione del Sistema dei Neuroni Specchio, sono la porzione rostrale anteriore del lobo parietale inferiore (Area 40 di Brodmann; in giallo nella Fig. 6), il settore inferiore del giro precentrale, e il settore posteriore del giro frontale inferiore (Area 44 di Brodmann; in giallo nella Fig. 6).
Figura 6. Aree parieto-frontali del Mirror Neuron System, nell’uomo. Le aree gialle si attivano durante l’osservazione e l’esecuzione di azioni con la mano. (Immagine tratta da Rizzolatti e Fabbri-Destro, 2008).
Iacoboni e colleghi (1999) osservarono inoltre che, durante l’imitazione, il Sistema dei Neuroni Specchio era maggiormente attivato nel giro frontale sinistro (IFG), nella regione parietale anteriore destra, nell’opercolo parietale destro e nella regione STS destra. Questo confermerebbe il ruolo fondamentale dell’area di Broca nell’imitazione di azioni, soprattutto quando l’azione è diretta ad un obiettivo. Uno studio successivo di Buccino e colleghi (2001), che prevedeva l’apprendimento per via imitativa di alcune azioni non note, ha inoltre messo in luce che i substrati neurali responsabili dell’elaborazione dei nuovi pattern motori coinciderebbero prevalentemente con i centri del Sistema dei Neuroni Specchio. È quindi probabile che durante l’esecuzione di nuovi atti motori tramite l’imitazione, le azioni osservate siano scomposte in singoli atti motori, che attiverebbero i neuroni specchio (e quindi la rispettiva rappresentazione motoria dell’atto) nel lobo parietale inferiore e nell’opercolo IFG. A partire dai singoli atti
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dell’azione, infine, la rappresentazione viene ricombinata a livello dell’Area 46 di Broadmann (BA 46 di Brodmann), nella corteccia frontale, porzione più rostrale del giro frontale inferiore (IFG). Una differenza sostanziale esiste tra il Sistema dei Neuroni Specchio della scimmia e quello umano. Mentre nella scimmia i neuroni specchio scaricano esclusivamente in concomitanza ad azioni aventi senso, di tipo transitivo (azione diretta ad uno scopo, es. afferrare del cibo per mangiare) definite meaningful goaldirected actions, nell’uomo, gli stessi neuroni codificano atti motori transitivi e intransitivi. Essi sono quindi capaci di elaborare sia il tipo di azione che la sequenza dei movimenti di cui essa è composta. Nell'uomo non è quindi necessaria una effettiva interazione con gli oggetti perché il Sistema dei Neuroni Specchio si attivi. L’area F5 del cervello della scimmia in cui originariamente è stata scoperta la classe dei neuroni specchio è l’area omologa all’area di Broca (Area 44 di Broadmann) nell’uomo, un’area avente proprietà inerenti il linguaggio. Questa corrispondenza anatomica ha condotto ad ipotizzare che i neuroni specchio possano avere un ruolo fondamentale nella nascita del linguaggio (Rizzolatti e Arbit, 1998). Il linguaggio, oltre che attraverso la parola scritta e la lettura, si manifesta attraverso la parola pronunciata e quella udita. In effetti, i neuroni specchio posseggono anche qualità uditive, tanto che scaricano in conseguenza dei suoni prodotti dalle azioni. Nell’uomo esistono due circuiterie di neuroni specchio; la prima, denominata parietofrontal mirror system (Fig. 7) comprenderebbe il lobo parietale, la corteccia premotoria e la porzione caudale del giro frontale inferiore (inferior frontal gyrus, IFG); la seconda, denominata limbic mirror system sarebbe formata dall’insula e dalla corteccia frontale mesiale anteriore. Mentre la prima circuiteria di neuroni specchio è coinvolta nel riconoscimento del comportamento volontario, la seconda sarebbe deputata al riconoscimento del comportamento emozionale (Cattaneo e Rizzolatti, 2009).
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Figura 7. Sistema fronto-parietale del Sistema dei Neuroni Specchio (Human Mirror Neuron System, MNS) e del principale input visivo che vi proietta. 1. Area anteriore con proprietà mirror: essa è localizzata nella corteccia frontale inferiore, che comprende il giro frontale postero-inferiore (IFG) e l’adiacente corteccia premotoria ventrale (PMC). 2. Area posteriore con proprietà mirror: essa è situata nella parte rostrale del lobulo parietale inferiore (IPL) e può essere considerata l’area omologa nell’uomo dell’area PF/PFG della scimmia. 3. Input visivo che giunge al MNS ed origina nel STS. Queste tre aree, messe insieme, formano il circuito neurale deputato all’imitazione: input visivo che da STS passa al MNS. informazione che può riguardare la descrizione motoria dell’azione o l’obiettivo dell’azione. copia afferente del comando motorio imitativo che ritorna all’STS per permettere l’incontro tra la previsione sensoriale dell’imitazione del progetto motorio e la descrizione visiva dell’azione osservata. (Immagine tratta da Iacoboni e Dapretto, 2006).
La corteccia parietale posteriore contiene una molteplicità di aree coinvolte nell’analisi di informazioni sensoriali necessarie per la programmazione motoria e per l’esecuzione dei movimenti. Esse possiedono ricche connessioni con la corteccia motoria frontale, costituita da un mosaico di aree distinte anatomicamente
e
fisiologicamente,
ognuna
delle
quali
contiene
una
rappresentazione indipendente dei movimenti corporei. Il concetto di circuito parieto-frontale si basa sul fatto che ogni area parietale presenta connessioni predominanti con un’area frontale motoria, e connessioni secondarie con altre aree
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motorie. Le aree parietali e frontali che mostrano connessioni predominanti mostrano anche proprietà funzionali simili. Esistono dati a sostegno del fatto che soltanto gli atti motori che sono presenti nel repertorio motorio di chi osserva si attivano per il tramite del Sistema dei Neuroni Specchio, e che l’attivazione del Sistema dei Neuroni Specchio dipende dalla familiarità dell’atto osservato. Questo ultimo punto è stato chiaramente descritto in uno studio condotto da Calvo-Merino e colleghi (2005) i quali, utilizzando la risonanza magnetica funzionale, hanno indagato le differenze di attivazione corticale tra coloro che osservano passi di danza che già conoscono perché ne hanno avuto esperienza, e coloro che invece di danza non posseggono nozioni né esperienza. I risultati hanno condotto gli autori a ritenere che l’attivazione del Sistema dei Neuroni Specchio sia direttamente proporzionale alla presenza o meno, nel repertorio motorio di chi osserva, dei medesimi atti. Così, la risposta del cervello alla vista di un movimento è influenzata dalla competenza motoria di colui che osserva. Questo significava, nel caso dell’esperimento condotto da Calvo-Merino e colleghi, che le aree del Sistema dei Neuroni Specchio che presentavano un maggior segnale BOLD, erano le aree cerebrali di coloro che avevano conoscenza di uno specifico tipo di danza e che ne osservavano nei filmati i passi. Ovvero, negli ballerini classici esperti il segnale BOLD a livello dei Sistema dei Neuroni Specchio era maggiore quando i soggetti osservavano i passi di danza classica rispetto a quello che veniva suscitato dall’osservazione di passi di capoeira. Questi risultati hanno condotto i ricercatori a sostenere che l’osservazione di un’azione innesca a livello corticale una sorta di simulazione motoria di quanto osservato compiere da altri, e che tale simulazione sia tanto più fedele quanto più familiare l’azione osservata. Il funzionamento del Sistema dei Neuroni Specchio fa coincidere l’evento dell’osservazione di un’azione con quello della sua esecuzione, dal momento che la sola osservazione di un’azione comporta l’attivazione dello stesso sistema neurale che è attivo durante l’esecuzione di quella stessa azione. I neuroni specchio sono lo strumento fondamentale per la comprensione delle azioni nonché per l'apprendimento attraverso l'imitazione, e c’è chi ritiene che vi sia una stretta
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connessione tra i neuroni specchio e alcune competenze sociali (es. comprendere le intenzioni altrui, fenomeno definito Teoria della Mente, o ToM). Gli individui tendono costantemente, nel corso delle interazioni sociali, ad “allineare” i propri comportamenti a quelli dei loro interlocutori. In una sorta di inevitabile propensione a “duplicare” le azioni altrui, l’individuo, posto di fronte ad un suo simile che compie gesti, atti e movimenti, tenderà ad attivare i medesimi circuiti neurali (embodied simulation) deputati a produrli. Così come nell’atto di conversare si tende a “seguire il discorso altrui”, alternando battute, enfatizzando parole e frasi, e attraverso la mimica facciale, annuendo o denegando, mostrando interesse o disinteresse con cenni del capo o movimenti della bocca, così nell’azione si tende a “ricalcare”, per il tramite del Mirror Neuron System, le attivazioni muscolo-scheletriche (e quindi, ancor prima, le attivazioni corticali) di colui di cui si osservano le azioni. Tutto ciò avverrebbe in maniera del tutto inconsapevole; involontariamente, quindi, ci si troverebbe ad imitare quanto osserviamo compiere da altri individui. 1.4. La Teoria della Mente Sometimes we meet a stranger and the interaction is remarkably smooth; rapport builds, we quickly begin to feel close, to believe that this person can put themselves in our shoes and understand the way we think and feel. [...] Many factors contribute to complex interactions of this kind, but one that has received much recent attention from social psychologists is imitation [...]. Imitation has been shown to contribute significantly to the development of positive social attitudes such as rapport [...] and liking [...] between strangers. (Santiesteban et al., 2011, p. 228)
La percezione di similarità tra il Sé (del soggetto imitante) e l’Altro (il modello da imitare) promuove la mutua comprensione tra individui e contribuisce allo sviluppo di una Teoria della Mente (Theory of Mind, ToM). La Teoria della Mente è un meccanismo neurocognitivo che oltre a permettere di interpretare nel presente il comportamento altrui, permette anche di fare previsioni su come quel comportamento potrebbe evolvere nel futuro.
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Reasoning about others, and understanding what they think, what they feel or what they believe involve ‘stepping into their mental shoes’ and taking their perspective. The ability to understand other people’s mind and realize that they can have different perspectives is commonly referred to as having a “theory of mind”. It requires the ability to distinguish “self” from “other” and appreciate another’s person intentions, beliefs or preferences. (Dosch et al., 2010, p. 842)
Per le neuroscienze sociali e il dominio della cognizione sociale, il Sistema dei Neuroni Specchio è una sorta di dispositivo di codifica delle azioni altrui, uno strumento di traduzione dell’altrui comportamento, da cui ha origine una Teoria della Mente (ToM). Avere una Teoria della Mente significa comprendere che gli esseri umani sono entità dotate di stati mentali quali credenze, desideri e intenzioni, e che questi stati mentali sono in relazione causale con gli eventi del mondo fisico, ovvero che ne possono essere sia la causa che l’effetto. Significa inoltre poter fare riferimento esplicito alla mente propria e altrui per spiegare e predire il comportamento delle persone. (Adenzato e Enrici, 2006, p. 18)
Secondo alcuni studiosi (Gallese e Goldman, 1998; Rizzolatti e Craighero, 2004), l’imitazione e il suo correlato neurale (il Sistema dei Neuroni Specchio) sono alla base di elevate funzioni socio-cognitive, tra cui la Teoria della Mente (ToM). Le aree responsabili della Tom sono tre distinte aree cerebrali: 1) i solchi temporali superiori (STS, Superior Temporal Sulcus), 2) i lobi temporali, e 3) la corteccia mediale prefrontale (Frith e Frith, 2003; Gallagher e Frith, 2003). Una rete neurale, quella della ToM, che va a coincidere con il Sistema dei Neuroni Specchio. L’area STS (Superior Temporal Sulcus) sarebbe responsabile del riconoscimento e dell’analisi iniziale del movimento biologico altrui (Allison et al., 2000); le aree temporali, associate ai processi mnestici, fornirebbero il contesto semantico ed episodico entro cui gli stimoli vengono elaborati; infine, la corteccia mediale prefrontale sarebbe implicata nelle analisi successive degli 27
stimoli e produrrebbe un’esplicita rappresentazione degli stati mentali propri e degli altri (Adolphs, 2003). L’esecutivo centrale è una componente della memoria di lavoro che svolge funzioni esecutive. Quando si parla di funzioni esecutive ci si riferisce al ruolo svolto dall’esecutivo centrale (Baddeley, 1986) come sistema della memoria di lavoro che svolge attività attentive, di controllo e di decisione, e che agisce come anello fra due sistemi periferici necessari per la processazione di particolari tipologie di informazione: il primo specializzato nell’elaborazione di materiale linguistico, definito loop articolatorio e il secondo deputato alla gestione di materiale visuospaziale, definito taccuino visuo-spaziale (Baddeley, 1990). L’esecutivo centrale consta di un insieme di meccanismi cognitivi responsabili del funzionamento della cognizione sociale, un processo che permette agli individui di pensare e dare senso a se stessi, agli altri e alle situazioni sociali. Quando si è in presenza di altre persone, il singolo tende a modificare la propria prospettiva di percezione degli stimoli, trasformandola da “egocentrica” ad “allocentrica”. The brain codes visual inputs with respect to some spatial frame of reference. These frames provide the basis for attributing up–down, and left–right to spatial arrays and can be based on the direction of the viewer’s gaze (egocentric) and/or intrinsic characteristics of an object or its environment (allocentric). (Halligan et al., 2003, p. 126)
La codifica dello spazio in cui l’organismo umano può posizionarsi si realizza in relazione a tre concetti: spazio personale, spazio peripersonale e spazio extrapersonale (Holmes e Spence, 2004). Lo “spazio personale” è lo spazio della superficie del corpo, lo spazio in cui si percepisce una carezza, ad esempio. Lo “spazio peripersonale”, invece, è lo spazio che si ingloba quando si allungano le braccia (es. lo spazio che viene definito dall’atto di prensione di una tazza). Lo “spazio extrapersonale”, infine, è lo spazio al di là di quello raggiungibile dall’estensione degli arti superiori, lo spazio che si raggiunge attraverso lo visione di un oggetto posto in lontananza.
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In generale, la percezione dello spazio può spiegarsi nei termini di percezione in relazione al corpo del soggetto percepiente (egocentric frames) o nei termini di percezione in relazione a ciò che circonda il corpo (allocentric frames). Questi due tipi di percezioni spaziali, per essere integrati, vengono elaborati a livello della corteccia parietale posteriore, area di codifica e di rappresentazione dei parametri spaziali (Halligan et al., 2003). When a person asks to another where an object is located, for instance, people typically favor the other’s perspective over their own and tend to answer from his/her viewpoint (e.g. ‘on your left’). (Becchio et al., 2003, p. 1)
L’assunzione di una determinata prospettiva (egocentrica vs allocentrica) è profondamente influenzata dalla presenza di altri individui. Quando sulla scena percettiva del singolo si stagliano altri soggetti, il singolo può codificarla sia in relazione ai propri parametri corporei (first-person perspective) che a quelli relativi allo spazio circostante (third-person perspective; Becchio et al., 2003). Quando si tenta di capire ciò che prova un altro individuo in una determinata circostanza, si assume la prospettiva altrui, ovvero la prospettiva di terza persona (3rd person perspective-taking). Perspective taking includes the awareness of one's own subjective spatial and mental space (first-person perspective, 1PP) and the ability to ascribe visuo-spatial perspectives and mental states (cognitive or emotional states) to another person (third-person perspectives, 3PP). (Dosch, 2010, p. 837)
Assumere la prospettiva dell’altro è un fenomeno che stato associato all’attivazione della corteccia parietale inferiore, inclusa la giunzione temporoparietale, la corteccia mediale posteriore e prefrontale (David et al., 2006). Molti autori parlano di fronto-parietal network quando si riferiscono al substrato neurale del 3rd perspective-taking, una circuiteria che si svilupperebbe tardi nel corso della maturazione cerebrale.
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1.4.1. Assunzione di prospettiva In tema di perspective-taking, e quindi in tema di ToM (mettersi nei panni dell’altro; passare dal proprio punto di vista al punto di vista altrui) esistono due orientamenti teorici. Secondo la Simulation Theory (ST) si è in grado di assumere la prospettiva altrui quando ci si domanda che cosa si farebbe e che cosa si penserebbe se si fosse nella stessa condizione di colui nei panni del quale ci si pone, ovvero simulandone i vissuti. Questa capacità farebbe leva sull’imitazione per potersi realizzare: [...] ST hypothesizes that a significant portion of mindreading episodes involeves the process of mimicking (or trying to mimic) the mental activity of the target agent. (Gallese e Goldman, 1998, p. 497)
In base alla Theory-theory, invece, si usa una teoria di senso comune per comprendere gli altri. Una sorta di teoria ingenua, prodotto dell’esperienza, che consiste in una serie di leggi causa-effetto che legano tra loro eventi esterni (external stimuli) ad eventi privati (es. percezioni, desideri, credenze; Gallese e Goldman, 1998). [...] ordinary people accomplish mind-reading by acquiring and deploying a commonsense theory of the mind, something akin to a scientific theory. (Gallese e Goldman, 1998, p. 496)
Comprendere il comportamento altrui implica adottare il punto di vista dell’altro. L’espressione più comune è “mettersi nei panni dell’altro”, ovvero assumere la prospettiva di un’altra persona per comprenderne gli atti. By taking the other’s place I see things as she would see them. But, at the same time, I experience how an action she performs would be if I were doing it myself. This suggests that the representation I use to understand the action of another person must be close to the representationa I build for performing that same action. (Anquetil, 2007, p. 125) 30
In una interazione-tipo, la posizione che due interlocutori assumono nel porsi l’uno nei confronti dell’altro è mirror-mode; ci si incontra, si dialoga e si interagisce vis à vis, in una prospettiva definibile di terza persona (3rd person perspective), come se il nostro interlocutore non fosse altro che la nostra immagine riflessa allo specchio. Quando si osservano immagini di posizioni delle mani poste in angolature diverse rispetto al soggetto che osserva (Fig. 8), e si è chiamati a riferire se si tratta dell’arto destro o sinistro, viene formulata una risposta solo dopo aver immaginato la propria mano ruotare fino a raggiungere la posizione assunta dalla mano-target dell’immagine.
A
B
C
D
Figura 8. Esempi di perspective-taking in compiti di imitazione. In prospettiva di terza persona (3rd person perspective) gli stimoli (A, mano; B, piede) sono posti vis à vis rispetto all’osservatore. In prospettiva di prima persona (1st person perspective) gli stimoli (C, mano; D, piede) sono posizionati in linea con le coordinate spaziali (anatomiche) dell’osservatore. (Immagine tratta da Jackson et al., 2006).
In compiti di tipo imitativo un soggetto può posizionarsi nei confronti dello stimolo target da imitare in una prospettiva definibile anatomica (se il modello utilizza l’arto destro il soggetto usa l’arto destro, e viceversa) o in una prospettiva speculare (se il modello usa l’arto destro il soggetto usa l’arto sinistro, e viceversa). Numerosi studi hanno dimostrato che i tempi di reazione riferibili al riconoscimento dell’arto-target sono in funzione dell’angolo di orientamento assunto dallo stimolo. Uno stimolo posto a 0° (la posizione che si assume quando si sta in fila) produrrà una performance con tempi di reazione più brevi rispetto a quelli prodotti da uno stimolo posizionato a 180°, ovvero vis à vis rispetto a chi osserva. 31
Un interessante studio condotto da Wapner e Cirillo (1968) ha dimostrato l’esistenza, nel corso dello sviluppo umano, di uno spostamento (shift) della tendenza ad assumere una prospettiva piuttosto che l’altra, nell’atto di imitare. Se fin dalla nascita il bambino è incline ad imitare utilizzando prevalentemente una prospettiva di tipo speculare, a partire dai 12-14 anni di età la tendenza ad imitare in maniera speculare declinerebbe, a vantaggio della modalità anatomica. Il procedimento cognitivo che conduce un soggetto in età infantile ed un soggetto in età adulta ad imitare ciò che osservano, in altre parole, non è il medesimo. Mentre nel primo caso, tale meccanismo condurrebbe il soggetto a porsi in una prospettiva di specularità rispetto allo stimolo di riprodurre, nel secondo caso, lo condurrebbe ad imitare quanto osservato utilizzando una prospettiva di tipo anatomico. La teoria dell’Active Intermodal Mapping (AIM) è stata originariamente formula da Meltzoff e Moore (1997) per spiegare il comportamento imitativo dei neonati a fronte di espressioni facciali degli adulti. È stata successivamente utilizzata per spiegare il comportamento imitativo degli adulti (Meltzoff e Moore, 2003). In base a questa teoria: […] supramodal representations of organ relations are actor centered, rather than egocentric, in that they encode movements properties that are present both when the movement is observed and when it is executed, and therefore do not depend on the observer’s point of view. [….] supramodal representation is innate. (Heyes e Ray, 2004, p. 703)
Secondo Heyes e Ray, se questa teoria fosse esatta, ci si dovrebbe aspettare che il comportamento imitativo di un adulto non possa subire interferenze di genere. Nella loro indagine, gli autori utilizzarono compiti di compatibilità stimolo-risposta per testare l’assunto della AIM. Un classico esempio consiste nel chiedere al partecipante di premere un tasto posto a sinistra quando vede una luce rossa ed un tasto posto a destra quando vede una luce verde (compito di compatibilità spaziale tra stimolo e risposta; R-S spatial compativility task). La luce può apparire sia a destra che a sinistra del campo visivo del
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soggetto. I risultati dimostrano che il soggetto compie maggiori errori quando la luce compare controlateralmente rispetto al tasto che occorrerebbe premere in base al colore della luce. La posizione dello stimolo, quindi, influenza in maniera decisiva la risposta del soggetto, ma se la teoria dell’Active Intermodal Mapping fosse attendibile, sostengono Heyes e Ray, errori del genere non dovrebbero accadere, e quindi la compatibilità spaziale tra lo stimolo e la risposta non dovrebbe influenzare la modalità attraverso cui un soggetto imita uno stimolo posto di fronte a lui. Al contrario, Wapner e Cirillo dimostrarono che quando ad un bambino veniva chiesto di riprodurre le azioni di uno sperimentatore posto di fronte a lui, fino all’età di 8 anni, il bambino tendeva ad utilizzare una prospettiva di azione del tipo controlaterale, o in altre parole, di tipo speculare, per cui se l’adulto sollevava l’arto sinistro, un bambino di 8 anni sollevava il suo arto destro. In età più matura la tendenza ad imitare, secondo gli autori, subirebbe un cambiamento, e condurrebbe il soggetto ad optare per una strategia di tipo anatomico, per cui se l’adulto avesse sollevato l’arto destro, il soggetto avrebbe sollevato il proprio arto destro. Queste osservazioni contraddirebbero la teoria della compatibilità spaziale tra stimolo e risposta, la quale dimostra, invece, come sia molto più naturale e semplice, confrontarsi con uno stimolo, posizionandosi in relazione speculare nei suoi confronti. Dai risultati ottenuti in due esperimenti, Heyes e Ray dimostrarono che quando si è chiamati ad imitare i movimenti di un modello posto di fronte a noi, si è maggiormente inclini ad utilizzare un tipo di prospettiva egocentrica, ovvero speculare, cioè un tipo di prospettiva che faccia leva sulla corrispondenza spaziale tra lo stimolo da imitare e la risposta da fornire. La teoria definita Spatial Stimulus-Response Compatibilty postula quindi, che proprietà comuni tra stimoli e risposte giochino un ruolo fondamentale nel controllo di un’azione. Un recente studio, condotto da Press, Ray e Heyes (2009), aveva preso in esame le prospettive di imitazione che soggetti adulti utilizzavano in compiti di imitazione di modelli umani posti ad angoli differenti di rotazione (es. 180°, vis à vis; 0°, modello di spalle al soggetto imitante). Dai risultati era emerso che
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quando un soggetto era chiamato ad imitare ciò che faceva un modello utilizzando lo stesso arto, esso tendeva a riprodurre il gesto osservato in modalità anatomica, indipendentemente dalla posizione dello stimolo. Quando però il modello si trovava di spalle rispetto al soggetto (ovvero con una rotazione pari a 0°) il numero delle risposte corrette era maggiore rispetto a quelle fornite se il modello si trovava face to face (ovvero con una rotazione pari a 180°). Analizzando l’istruzione fornita dagli autori in questo compito di compatibilità S-R (stimolo-risposta) sorge inevitabile un quesito: quali meccanismi sottostanno alla codifica di una istruzione del tipo “imitare usando lo stesso arto usato dal modello”? Un’istruzione di questo genere demanda al soggetto il compito di elaborare l’informazione stesso per poter eseguire il compito. Sulla base di quali informazioni e di quali interpretazioni, un soggetto chiamato ad imitare un modello utilizzando lo stesso arto o l’arto opposto arriva ad utilizzare un determinato arto piuttosto che un altro? Per poter rispondere al quesito occorre rifarsi al concetto di Rotazione Mentale (Mental Rotation). 1.4.2. Rotazione mentale Il meccanismo di Rotazione Mentale (Mental Rotation) si riferisce alla rotazione che si immagina di compiere, mentalmente, su uno stimolo visivo, per disporlo in una posizione differente rispetto a quella di origine. Furono Shepard e Metzler, nel 1971, ad introdurre il concetto di Mental Rotation, definendolo nel termini di abilità mentale nella manipolazione spaziale delle informazioni. Essi riferivano il fenomeno alla manipolazione di stimoli visivi riguardanti oggetti, senza fare riferimento alla trasformazione mentale di stimoli visivi che concernono parti del corpo. Le indagini condotte nel campo della Rotazione Mentale si sono di solito avvalse della presentazione di due stimoli (immagini) 3D di oggetti che assumono disposizioni spaziali differenti nello campo visuo-percettivo del soggetto. Compito del partecipante è quello di dichiarare identiche o diverse le coppie di stimoli. Più raramente, si è fatto uso di immagini di parti del corpo.
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Un interessante studio fu condotto da Parsons (1987) in cui il partecipante aveva il compito di decidere quale dei due arti superiori mostrati (il destro o il sinistro) fosse l’arto disteso. A differenza di quanto supposto sulla scia di studi precedenti che correlavano i tempi di reazione con l’orientamento dell’oggetto, Parsons concluse che si sarebbe in grado di discernere se lo stimolo (parti del corpo, es. mano) che si osserva coincide con un arto destro o con un arto sinistro solo se si immagina i propri assumere la posizione dello stimolo-target. Questo meccanismo si distingue dai classici compiti di rotazione mentale di oggetti, alla luce della relazione che il soggetto percepiente stabilisce con l’ambiente esterno e con la propria realtà somatica: […] participants solve the left-right judgement by imagining themselves in the position of the human figures and […] this type of immagine spatial transformation differs from that of other stimuli, such as characters and numbers, as well as abstract 2D and 3D shapes. (Steggemann et al., 2011, p. 98)
In definitiva, quindi, nell’ambito della cognizione spaziale si possono distinguere due diversi tipi di trasformazioni mentali; l’uno, definibile objectbased (spatial) trasformation e l’altro perspective (egocentric) transformation. Il primo di tipo di trasformazione mentale di uno stimolo visivo di natura oggettuale si basa su un tipo di rotazione mentale i cui indici di riferimento appartengono all’ambiente, così come appare al soggetto. In compiti di rotazione mentale di parti del corpo umano, invece, le trasformazioni degli stimoli avvengono per il tramite del coinvolgimento diretto dell’immagine mentale che il soggetto possiede del proprio corpo. Mentre nel caso della rotazione mentale di oggetti, le “manipolazioni” mentali che il soggetto opera coinvolgono i nessi tra l’oggetto e l’ambiente in cui il primo si staglia percettivamente, nel caso della rotazione mentale di parti del corpo umano il punto di riferimento su cui fa leva l’elaborazione dello stimolo è il corpo del soggetto percepiente, ovvero:
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A left-right judgement for a single picture of a human body […] causes a perspective trasformation. The latter task evokes an alignment of the participant’s reference frame with that of the presented body. (Steggemann et al., 2011, p. 98)
Studi di Neuroimaging hanno identificato un network di aree corticali che si attivano in compiti di Rotazione Mentale, e che corrispondono con le regioni parietali, il giro frontale inferiore, la corteccia occipitale laterale e aree premotorie (Milivojevic et al., 2009). Il tema del Mental Rotation è un tema strettamente correlato con il presente studio, perché ipoteticamente (“ipoteticamente”, dal momento che non sono stati effettuati studi di Neuroimaging che ne supporterebbero il reale coinvolgimento) coinvolto in alcune sessioni di lavoro (S2 e S4) previste nel protocollo sperimentale. 1.5. Sviluppo cerebrale e corpo calloso La maturazione cerebrale suppone un graduale sviluppo della morfologia da cui dipende la funzionalità delle strutture cerebrali, compreso il corpo calloso. Il corpo calloso è la maggiore commessura interemisferica, le cui regioni (ginocchio, corpo, istmo e splenio; suddivisione del corpo calloso di Witelson, 1989) sono composte da fibre che mettono in collegamento tra loro aree omologhe o eterologhe dei due emisferi cerebrali. In armonia con quanto accade nell’intero encefalo anche le varie regioni callosali hanno tempi diversi di maturazione. La morfologia del corpo calloso evolve nel tempo, mostrando importanti cambiamenti nel corso dell’infanzia, dell’adolescenza e della prima fase dell’età adulta. Seppur apparentemente simmetrico, il cervello umano presenta delle asimmetrie tra i due emisferi cerebrali. La preferenza manuale è di gran lunga il tratto più evidente delle asimmetrie funzionali della specie umana e non sorprende che la lateralizzazione emisferica correli con essa. (Tassinari, 2010, p.769)
36
Tali asimmetrie, di tipo strutturale e funzionale, non rendono i due emisferi cerebrali autonomi, perché attraverso il corpo calloso ed altre commessure interemisferiche essi comunicano, integrando le informazioni che ricevono. Alla luce delle conoscenze attuali, è possibile affermare che singole componenti di una data attività sono legate a specifici substrati nervosi […]. (Tassinari, 2010, p.767)
Perché vi sia integrazione tra le attività dei due emisferi, è fondamentale il buon
funzionamento
delle
strutture
cerebrali
definite
“commessure
interemisferiche”. I maggiori cambiamenti dello sviluppo cerebrale si verificano nella corteccia prefrontale, cambiamenti dovuti alla mielinizzazione e al pruning sinaptico, processi che migliorano la velocità di comunicazione e l’efficienza di elaborazione delle informazioni da parte dei neuroni. Dopo quello che caratterizza i primi anni di vita, all’inizio dell’adolescenza si ha un nuovo periodo di sinaptogenesi, ovvero di proliferazione di nuove sinapsi. Ciò comporta un aumento della sostanza grigia, che va incontro ad un picco di densità, raggiunto il quale si ha un plateau. Le diverse aree corticali raggiungono il loro picco di densità di materia grigia a differenti età. I lobi occipitali sembrano essere gli unici a seguire uno sviluppo lineare: i lobi frontali raggiungono il loro picco di crescita a 12 anni per i maschi e 11 anni per le femmine; i lobi parietali raggiungono il loro picco a 12 anni per i maschi e 10 per le femmine; i lobi temporali sono gli ultimi a raggiungere il loro pieno sviluppo, a circa 17 anni per entrambi i sessi. Lo sviluppo cerebrale non si conclude comunque con l’adolescenza, ma continua in età adulta, anche se con modalità meno impetuose. La ridefinizione dei circuiti, attraverso la perdita di materia grigia, continua, nel lobo frontale, anche tra i 20 e i 30 anni di età, tanto che la corteccia prefrontale dorso-laterale (DLPFC) sinistra è l’ultima area corticale a raggiungere lo spessore definitivo. Man mano che la corteccia cerebrale si sviluppa, le aree cerebrali si collegano tra loro per mezzo delle commessure. Insieme alla commessura anteriore, a quella posteriore, alle commessure ippocampali ventrale 37
e dorsale, alla massa intermedia e al fornice, il corpo calloso (CC) collega tra loro le aree corticali dei due emisferi. Il 70-80% della corteccia cerebrale è interconnessa dal corpo calloso. Esso attraversa il telencefalo da lato a lato nella sua porzione rostrale in corrispondenza del tetto del diencefalo nella cosiddetta lamina terminale. Consiste, all’incirca, in 200 milioni di assoni (Jarbo et al., 2011), un numero fisso fin dalla nascita, seppur nel corso dello sviluppo si verifichino cambiamenti di tipo strutturale dovuti alla mielinizzazione delle fibre, ai tagli e ai ri-direzionamenti. Procedendo in direzione anteroposteriore, il corpo calloso è suddiviso in rostro, genu (o ginocchio), tronco e splenio. Le fibre del tronco sono suddivisibili in: fibre superiori esterne: originano dalle porzioni posteriori dei lobi frontale e temporale e dal lobo parietale; fibre superiori interne: originano da formazioni della porzione mediale dei lobi frontale (circonvoluzione frontale interna, lobulo paracentrale e circonvoluzione
precentrale),
parietale
(circonvoluzione
parietale
superiore, circonvoluzione postcentrale) e limbico (giro del cingolo); fibre medie: originano dai lobi frontale (circonvoluzione frontale media, porzione
mediana
(circonvoluzione
della
circonvoluzione
parietale
inferiore,
precentrale)
porzione
e
parietale
mediana
della
circonvoluzione postcentrale); fibre inferiori: originano dal lobo dell’insula (opercolo silviano) e in parte dal lobo temporale. Le fibre del ginocchio originano dalle porzioni anteriori ed orbitarie dei due lobi frontali. Le fibre che passano per lo splenio originano da formazioni temporali (circonvoluzione temporale media), limbiche (giro del cingolo) e soprattutto, parietali ed occipitali (Chao, et al., 2009). Il corpo calloso è inizialmente localizzato all’interno della lamina terminale, ma man mano che la corteccia cerebrale si espande, maturerà procedendo dall’avanti all’indietro. La mielinizzazione avviene, invece, in senso postero-anteriore, concludendosi al 15° mese di vita, anche se il processo continua fino al 20° anno di vita.
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Studi condotti su bambini e adolescenti mostrano la tendenza ad una crescita più pronunciata del corpo calloso dalle regioni posteriori verso le anteriori, una mielinizzazione delle fibre che procede dalla parte posteriore a quella anteriore (fenomeno che riflette il fatto che la mielinizzazione delle aree corticali primarie somato-sensoriale, motoria, uditiva e visiva connesse attraverso l’istmo e lo splenio è antecedente rispetto alla mielinizzazione delle aree connesse dal corpo e dal genu, mentre il rostro è connesso alle aree associative più anteriori), e un incremento di densità delle fibre e un’alterazione della dimensione e della forma. Integrando le attività dei due emisferi il corpo calloso permette loro di comunicare, rendendo possibile una integrazione delle risposte corticali. Quando il corpo calloso è integro, le informazioni circolano da un emisfero all’altro in un tempo brevissimo, subendo un’elaborazione complessa. In generale, lo studio delle commessure interemisferiche coinvolge meccanismi di migrazione neurale e di indirizzamento assonale di ordine cellulare e chimico. Lo studio della loro morfologia risulta utile nella comprensione dello sviluppo del cervello, fornendo una migliore comprensione dei processi patogenetici. La topografia del corpo calloso è stata inizialmente indagata su cervelli autoptici ed in soggetti con sezione chirurgica del corpo calloso, studiando i deficit cognitivi e le alterazioni comportamentali che essi manifestavano. Attualmente, tecniche di Neuroimaging, quali il Tensore di Diffusione (DTI) e la Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) sono in grado di fornire dettagliate informazioni sulla topografia anatomica e funzionale del corpo calloso (Chao et al., 2009; Fabri, et al., 2011). La callosotomia è una tecnica che si è sviluppata a partire dal 1940 come trattamento palliativo delle crisi epilettiche. A partire dagli anni Settanta si sono avvicendate numerose modifiche alla tecnica originaria. Con gli anni, questa procedura ha ottenuto assensi e dissensi a causa dei potenziali effetti avversi successivi. La presenza di un cospicuo numero di pazienti che hanno subito interventi di callosotomia, presso il Centro Epilessia dell’Azienda Umberto I di Ancona, ha permesso di studiare il fenomeno dell’imitazione in questa particolare tipologia di soggetti.
39
PARTE 2. Comportamento imitativo e disconnessione interemisferica 2.1. Presupposti ed obiettivi dello studio sperimentale La scelta del progetto di ricerca svolto nel corso del Dottorato di Ricerca in Neuroscienze X ciclo va rintracciato nella disponibilità di reclutamento di un gruppo di soggetti callosotomizzati afferenti al Centro Epilessia dell’Azienda Umberto I di Ancona. Su tale gruppo, si è voluto indagare il fenomeno dell’imitazione, ipotizzando performance dissimili rispetto a quelle osservate su un gruppo di soggetti di controllo, in ragione di alterazioni dell’integrità del corpo calloso. In letteratura vengono riportati dati ed osservazioni su un aspetto particolare del comportamento imitativo che ha assunto un peso rilevante nell’impostazione del protocollo sperimentale, dell’analisi dei dati e dell’obiettivo finale dell’indagine del presente studio, cioè l’assunzione di prospettiva. Nel corso delle normali interazioni sociali, la posizione che più comunemente assumono gli interlocutori è di tipo vis à vis, face to face, cioè l’uno di fronte all’altro, in una posizione definita di terza persona (Chaminade et al., 2005). L’indagine condotta, infatti, ispirandosi al contesto naturale di vita di un individuo, propone stimoli posizionati a 180° rispetto al soggetto chiamato ad osservarli prima, e ad imitarli poi. Quando si invita un individuo ad imitare un modello, esso ha a disposizione due possibilità di azione: l’una, definibile “prospettiva anatomica”, prevede che il soggetto che imita utilizzi il medesimo arto anatomico utilizzato dal modello (se il modello esegue un gesto con l’arto destro, il soggetto lo riproduce utilizzando il proprio arto destro e viceversa); la seconda prospettiva, definibile “speculare”, invece, vedrebbe il soggetto imitare usando l’arto spazialmente speculare rispetto a quello utilizzato dal modello (se il modello utilizza l’arto destro, il soggetto imitante utilizza l’arto sinistro e viceversa), come se si trovasse di fronte ad uno specchio.
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Come già osservato nei precedenti capitoli, fin dalla nascita il piccolo di uomo è in grado di imitare (Meltzoff e Moore, 1977, 1983, 1997). Fino al dodicesimo anno di età, all’incirca, la prospettiva utilizzata nel riprodurre gli atti osservati è di tipo speculare (Wapner e Cirillo, 1968). Solo successivamente, all’inizio della fase adolescenziale, si realizzerebbe gradualmente un cambiamento (Wapner e Cirillo, 1968), cosicché ad una prospettiva speculare se ne sostituirebbe una anatomica. Questo fenomeno, definito dagli autori shift, potrebbe dipendere dalla parallela evoluzione delle strutture cerebrali in concomitanza al maggior numero di esperienze che un soggetto in età adolescenziale accumulerebbe. Se il Sistema dei Neuroni Specchio è operativo sin dalla nascita, e fin dalle prime ore di vita il bambino è in grado di imitare per via speculare, si potrebbe ipotizzare che sia un diverso sistema neurale a permettere ad un soggetto in età adolescenziale di imitare in maniera anatomica. Non a caso, l’età adolescenziale è la fase di vita di un individuo che coincide con un picco di incremento delle interazioni sociali. Nel contempo, al processo di maturazione delle aree corticali si affianca un parallelo sviluppo del corpo calloso, che attraverso ridirezionamento delle fibre e
mielinizzazione
delle
medesime,
renderà
efficiente
il
trasferimento
interemisferico delle informazioni, raggiungendo il completo sviluppo alla fine dell’adolescenza. L’andamento temporale in parallelo tra lo shift di prospettiva di imitazione e la maturazione del corpo calloso suggerisce che questa struttura sia coinvolta nella capacità acquisita di assumere la prospettiva anatomica. Per comprendere il ruolo del corpo calloso sull’imitazione, ed in particolare sull’assunzione di prospettiva, il presente studio è stato realizzato su soggetti con resezioni chirurgiche del corpo calloso. I dati raccolti sono stati confrontati con quelli raccolti su un gruppo di soggetti con corpo calloso integro, tenendo conto del fatto che nella letteratura scientifica numerosi lavori dimostrano come ad alterazioni strutturali di talune porzioni di corpo calloso facciano seguito
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alterazioni delle funzioni esecutive, della cognizione sociale e del comportamento imitativo. Different parts of the body are represented at different locations within motor and sensory cortex. As imitation produces a link between sensory perception and motor execution of body movements, one may ask whether circumscribed brain lesions can cause disorders of imitation limited to a part of the body. (Goldenberg e Strauss, 2002, p. 893)
Mentre in un soggetto sano l’imitazione comporta l’attivazione bilaterale del circuito fronto-parietale (area ventrale premotoria e corteccia parietale inferiore (Caspers, et al., 2010), dai risultati di uno studio condotto da Goldenberg e colleghi (2001) su un paziente con alterazione della morfologia callosale che coinvolgeva il tronco e lo splenio, gli autori osservavano che: After successful imitation of gestures presented to the left hemisphere PU commented that he imitated without really seeing the stimulus by "formulating the unseen", whereas after presentation to the right hemisphere he felt that he saw the stimulus but could not imitate.. (Goldenberg et al., 2001, p. 1432)
Nei soggetti con callosotomia, il passaggio dell’informazione da un emisfero all’altro subisce delle alterazioni, a seconda delle regioni di corpo calloso che sono state rimosse chirurgicamente. A tutt’oggi, non sono disponibili studi il cui oggetto di indagine sia il ruolo del corpo calloso nell’assunzione di prospettiva nel comportamento imitativo. Le ricerche rivolte allo studio dell’imitazione in pazienti callosotomizzati hanno infatti concentrato prevalentemente l’attenzione sui deficit nella riproduzione di gesti (Lausberg e Cruz, 2004) all’interno di indagini sulla specializzazione emisferica, o studiato solo alcuni aspetti del comportamento imitativo (es. pantomima) per approfondire il funzionamento del controllo motorio o delle abilità prassiche.
42
L’intento che si intende perseguire con il presente lavoro è approfondire quell’aspetto del comportamento imitativo che è stato definito assunzione di prospettiva, alla luce dei risultati ottenuti dai due gruppi di soggetti al protocollo comportamentale. 2.2. Partecipanti Allo studio hanno preso parte due campioni di partecipanti. Il gruppo di controllo, composto da 30 adulti sani (età compresa tra 21 e 53 anni, 15 maschi; 27 destrimani; Tab. 2), è stato reclutato in base al requisito dell’età (età compresa tra i 20 e i 60 anni), alla preferenza manuale (soggetti prevalentemente destrimani, valutati al test di Oldfield), alla acuità visiva (corretta o corretta tramite dispositivi visivi, occhiali o lenti a contatto) e alla loro reperibilità. Ogni soggetto è stato sottoposto alle prove, ma solo le prestazioni dei destrimani (27 soggetti) sono state prese in considerazione nella valutazione dei risultati, in quanto la caratteristica del mancinismo avrebbe potuto modificare il risultato. Il gruppo sperimentale è costituito da 12 soggetti adulti (età compresa tra 26 e 57 anni; Tab. 3) con resezione totale o parziale del corpo calloso (Fig. 9), subita per il trattamento di forme di epilessia farmaco-resistente. Tutti i pazienti vengono sottoposti a controlli periodici (2-4 volte l'anno) presso il Centro Epilessia, mediante EEG, esami ematochimici, visita neurologica, valutazione di eventuali effetti collaterali dei farmaci. Nel gruppo sperimentale sono stati inclusi soggetti che presentavano un Q.I. entro valori normali e che erano in grado di comprendere la finalità dello studio, e di collaborare. Non sono stati inclusi soggetti che, pur avendo un Q.I. normale, presentavano disturbi psichiatrici, né donne in stato di gravidanza. Per entrambi i gruppi, la procedura è stata valutata ed accettata dal Comitato Etico dell’Università Politecnica delle Marche e ha garantito la riservatezza dei dati personali dei soggetti, con riferimento al relativo Codice (D.lgs. del 30 giugno 2003, n. 196).
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Tabella 2. Caratteristiche del gruppo di controllo.
Iniziali del partecipante
Età
Genere
Test Oldfield
(M= maschio,
(D=destrimano,
F=femmina)
M=mancino)
E.P.
34
F
D (15/50)
P.C.
41
F
D (22/50)
Pa.C.
41
M
D (10/50)
S.S.
37
F
D (10/50)
S.C.
52
F
D (10/50)
S.B.
49
M
D (10/50)
E.T.
26
F
D (14/50)
L.F.
33
M
D (10/50)
C.G.
29
F
D (12/50)
G.M.
39
F
M (47/50)
Gi.M.
26
F
D (12/50)
G.C.
39
M
D (12/50)
E.S.
29
F
D (10/50)
F.F:
28
F
D (11/50)
M.C.
31
M
D (13/50)
A.Q.
32
F
M (45/50)
St.S.
28
M
D (10/50)
L.C.
29
M
D (10/50)
M.M.
40
M
M (37/50)
E.M.
26
F
D (14/50)
M.H.
42
M
D (11/50)
A.F.
38
M
D (14/50)
D.C.
21
M
D (10/50)
M.B.
33
M
D (17/50)
F.S.
31
M
D (11/50)
Fa.F.
30
M
D (16/50)
A.M.
40
M
D (13/50)
M.A.
29
F
D (14/50)
Si.C.
26
F
D (14/50)
M.G.
32
M
D (17/50)
44
Tabella 3. Caratteristiche del gruppo dei pazienti callosotomizzati.
Iniziali del partecipante
Età
Genere Test Oldfield (M = maschio, (D = destrimano, M = mancino) F = femmina)
Callosotomia
D.D.V.
46
M
D (10/50)
Totale
D.D.C.
34
M
D (21/50)
Totale
F.B.
32
F
D (10/50)
Totale
M.C.
52
M
D (10/50)
Parziale Posteriore
R.V.
40
M
D (10/50)
Parziale Anteriore
P.M.
37
M
D (10/50)
Parziale Anteriore
L.M.
36
F
D (10/50)
Parziale Anteriore
O.T.
32
M
D (10/50)
Parziale Anteriore
M.M.
57
F
D (12/50)
Parziale Anteriore
G.S.
50
F
D (10/50)
Parziale Anteriore
P.B.
54
F
D (16/50)
Parziale Anteriore
P.F.
26
M
D (10/50)
Centrale
D.D.V..
D.D.C..
F.B.
M.C.
R.V.
P.M.
L.M.
O.T.
P.F.
Figura 9. Immagini medio sagittali MRI dell’encefalo di 9 dei 12 pazienti con callosotomia totale (D.D.V., D.D.C. e F.B.), e parziale (M.C., R.V., P.M., L.M., O.T. e P.F.). Le immagini degli altri pazienti (M.M., G.S. e P.B.) non sono disponibili in quanto durante l’intervento di callosotomia sono state inserite clip metalliche che costituiscono una controindicazione all’esecuzione di MRI. (Immagini tratte da Pierpaoli et al., 2011)
45
2.3. Stimoli Gli stimoli-target utilizzati nel presente studio consistono in gesti di tipo intransitivo (gesti che per essere eseguiti non prevedono l’uso di strumenti), alcuni aventi senso (meaningful, MF) ed alcuni privi di senso (meaningless, ML), eseguiti da una modella con gli arti superiori. Un gesto meaningful (MF) è un gesto il cui significato è socialmente condiviso. Un gesto meaningless (ML) è un gesto il cui significato non è noto né familiare, che origina da una variazione formale di un gesto meaningful (MF) che consiste in una modificazione della traiettoria o della posizione finale assunta dall’arto in relazione al corpo o allo spazio peripersonale (esempio di immagini di posizioni finali assunte dagli arti inferiori, in Goldenberg, 1999). I gesti meaningful, elencati sotto (Tab. 4), sono stati raggruppati all’interno del sub-protocollo sperimentale MF, ed i gesti meaningless inglobati all’interno del sub-protocollo sperimentale ML. Tabella 4. Gesti meaningful (MF).
Gesti MF 1
Gesto “saluto militare”
2
Gesto “silenzio”
3
Gesto “matto”
4
Gesto “ciao”
5
Gesto “più o meno”
6
Gesto “stop”
Nel dettaglio, i gesti-target, meaningful (MF) e meaningless (ML) sono di seguito elencati: 1. gesto “saluto militare” meaningful eseguito con l’arto superiore destro; 2. gesto “saluto militare” meaningful eseguito con l’arto superiore sinistro; 3. gesto “saluto militare” meaningless eseguito con l’arto superiore destro; 4. gesto “saluto militare” meaningless eseguito con l’arto superiore sinistro; 5. gesto “silenzio” meaningful eseguito con l’arto superiore destro; 6. gesto “silenzio” meaningful eseguito con l’arto superiore sinistro; 7. gesto “silenzio” meaningless eseguito con l’arto superiore destro;
46
8. gesto “silenzio” meaningless eseguito con l’arto superiore sinistro; 9. gesto “matto” meaningful eseguito con l’arto superiore destro; 10. gesto “matto” meaningful eseguito con l’arto superiore sinistro; 11. gesto “matto” meaningless eseguito con l’arto superiore destro; 12. gesto “matto” meaningless eseguito con l’arto superiore sinistro; 13. gesto “ciao” meaningful eseguito con l’arto superiore destro; 14. gesto “ciao” meaningful eseguito con l’arto superiore sinistro; 15. gesto “ciao” meaningless eseguito con l’arto superiore destro; 16. gesto “ciao” meaningless eseguito con l’arto superiore sinistro; 17. gesto “più o meno” meaningful eseguito con l’arto superiore destro; 18. gesto “più o meno” meaningful eseguito con l’arto superiore sinistro; 19. gesto “più o meno” meaningless eseguito con l’arto superiore destro; 20. gesto “più o meno” meaningless eseguito con l’arto superiore sinistro; 21. gesto “stop” meaningful eseguito con l’arto superiore destro; 22. gesto “stop” meaningful eseguito con l’arto superiore sinistro; 23. gesto “stop” meaningless eseguito con l’arto superiore destro; 24. gesto “stop” meaningless eseguito con l’arto superiore sinistro. Ciascun gesto veniva eseguito dalla modella con l’arto superiore destro e con l’arto superiore sinistro, separatamente. In ogni gruppo di 12 gesti (che corrisponde ad una sessione di lavoro) metà degli stessi erano definibili “in relazione al corpo” (“body-related”: gesto “saluto militare” MF, gesto “silenzio” MF e gesto “matto” MF; gesto “saluto militare” ML, gesto “silenzio” ML e gesto “matto”ML ), e l’altra metà “non in relazione al corpo” (“body-unrelated”: gesto “ciao” MF e ML, gesto “più o meno” MF e ML, e gesto “stop” MF e ML). Con questa seconda variabile dello stimolo-target si intendeva testare una eventuale distinzione tra l’esecuzione di un gesto avente come destinazione parti del proprio corpo, ed un gesto avente come destinazione lo spazio esterno rispetto al corpo del soggetto (Fig. 10).
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A
B
Figura 10. Fotogrammi dei gesti MF e ML. Nel riquadro A sono visibili i gesti meaningful (A1, A2, A3, A4, A5 e A6). Nel riquadro B sono visibili i gesti meaningless (B1, B2, B3, B4, B5 e B6). I gesti A1, A2, A3, B1, B2 e B3 sono gesti body-related, mentre i gesti A4, A5, A6, B4, B5 e B6 sono gesti body-unrelated. Esempi di ogni gesto, eseguito con l’arto destro: A1: Gesto “saluto militare” meaningful; B1: Gesto “saluto militare” meaningless; A2: Gesto “silenzio” meaningful; B2: Gesto “silenzio” meaningless; A3: Gesto “matto” meaningful; B3: Gesto “matto” meaningless; A4: Gesto “ciao” meaningful; B4: Gesto “ciao” meaningless; A5: Gesto “più o meno” meaningful; B5: Gesto “più o meno” meaningless; A6: Gesto “stop” meaningful; B6: Gesto “stop” meaningless. (Immagine tratta da Pierpaoli et al., 2011).
48
2.4. Protocollo comportamentale Dopo aver reclutato ogni singolo partecipante alle prove, averlo istruito circa la procedura prevista per lo svolgimento del compito chiamato ad eseguire, averlo invitato ad apporre la propria firma su un foglio preposto per il consenso informato, ed aver somministrato il Test di Oldfield (1971) per valutare la preferenza manuale, si è invitato il partecipante a sedersi di fronte ad uno schermo PC (TFT LCD 15,4” WXGA Acer CrystalBrite, Resolution 1280 x 800) ad una distanza di 57 cm e ad osservare quanto vi sarebbe stato proiettato. L’intero protocollo sperimentale, della durata complessiva di 40 minuti circa, è stato suddiviso in due sub-protocolli (l’uno per i gesti meaningful e al’altro per i gesti meaningless; vedi paragrafo 2.3), ciascuno dei quali a sua volta suddiviso in sessioni di lavoro. Nella Sessione 0, il soggetto era chiamato ad imitare spontaneamente, tanto che l’istruzione fornita al partecipante dallo sperimentare era “imiti ciò che vede nei filmati”. Anche nella Sessione 1 l’istruzione prevedeva che il partecipante imitasse liberamente quanto mostrato nei filmati, con la differenza rispetto alla Sessione 0 di “utilizzare un arto a proprio piacimento”. Nella Sessione 2, l’istruzione così recitava: “imiti, il partecipante, usando lo stesso arto che vede usare dalla modella nei filmati”. Nella Sessione 3 l’istruzione prevedeva che il soggetto imitasse “usando l’arto destro”. Nella Sessione 4 l’istruzione era “imiti, il partecipante, utilizzando l’arto opposto rispetto a quello utilizzato dalla modella”. La Sessione 5 prevedeva la riproduzione del gesto osservato con l’arto sinistro: “imiti, il partecipante, utilizzando l’arto sinistro”. Nell’ultima sessione di lavoro, la Sessione 6, il partecipante riceveva dallo sperimentatore un’istruzione dal contenuto identico rispetto alla Sessione 0. Solo la Sessione 0 è stata omessa nel protocollo sperimentale previsto per il gruppo dei pazienti callosotomizzati, per abbreviare la seduta visto che a seguito della valutazione delle risposte del gruppo di controllo non erano sorte differenze tra le sessioni 0, 1 e 6. Le risposte ottenute nelle sessioni sopra elencate sono state valutate creando due principali categorie di analisi statistica.
49
Le Sessioni 0, 1 e 6 sono state raggruppate a formare la categoria delle sessioni libere (Free Sessions), perché accomunate dalla libertà di scelta dell’atto imitativo. Le Sessioni 2, 3, 4 e 5 sono state raggruppate sotto la dicitura di sessioni guidate (Driven Sessions). Nel dettaglio, le Sessioni 3 e 5 sono state denominate sessioni guidate di controllo (Driven Control Sessions), quindi escluse dall’analisi statistica della significatività, in quanto volte a valutare la capacità dei soggetti di distinguere tra arto destro e arto sinistro. Si è anche deciso di non misurare i tempi di reazione, in quanto conoscere la velocità dei processi di informazione andava oltre l’obiettivo del presente studio. Inoltre, si è volontariamente privilegiata una prestazione che fosse immediatamente successiva alla visione dello stimolo-target, per eludere la variabile della componente mnestica. Nella Figura 11 sono mostrati i singoli passaggi previsti per ogni presentazione video.
+ 2000 ms
Schermo oscurato
250 ms
//
Risposta del soggetto
Periodo variabile
3000 ms
Figura 11. Periodo di stimolazione Ogni periodo di stimolazione consta dei seguenti elementi: punto di fissazione: è il primo stimolo che viene mostrato al soggetto. Esso ha la durata di 2000 ms. Il partecipante è chiamato a fissarlo fino al momento della sua scomparsa; suono di avviso: una volta scomparso il punto di fissazione il soggetto ode un brevissimo suono (della durata di 250 ms) la cui funzione è quella di introdurre la presentazione dei filmati video; filmato: video della durata di 3000 ms, che riproduce una modella nell’atto di eseguire un gesto intransitivo. Il soggetto è chiamato ad osservare quanto mostrato nel video, tenendo bene a mente l’istruzione che gli è stata fornita all’inizio di ogni sessione di lavoro. Ogni sessione di lavoro (Sessioni 0-6) è composta da 12 periodi di stimolazione. Prima dell’avvio del primo periodo di stimolazione per ogni sessione di lavoro, lo sperimentatore fornisce al partecipante l’istruzione prevista (istruzioni diverse per le sessioni libere e per le guidate) circa la modalità richiesta di esecuzione della performance imitativa. Schermo oscurato e risposta del soggetto: terminata la presentazione del filmato, lo schermo si oscura. In questo frangente (la cui durata è variabile perché controllata dallo sperimentatore, il quale ne decreterà la fine non appena il soggetto avrà eseguito il gesto da riprodurre), il partecipante esegue l’atto imitativo (risposta del soggetto). (Immagine tratta da Pierpaoli et al., 2011).
50
2.5. Analisi statistica I dati ottenuti dalla registrazione delle riposte dei due gruppi di soggetti (di controllo e sperimentale) sono stati sottoposti ad un’analisi statistica che prevedeva l’utilizzo di un modello lineare logistico per l’analisi di dati binari, e che tenesse conto dell’effetto random associato ai partecipanti. È
stata
utilizzata
l’analisi
della
devianza,
una
misura
della
assenza/presenza di concordanza tra un modello ipotetico e dati reali. La strategia adottata nell’identificare i fattori che andavano inclusi in un’appropriata analisi statistica sono riportati in Collett (2003). L’analisi dei dati ed i rispettivi diagrammi, inoltre, sono stati realizzati con il programma statistico R (R Development Core Team, 2008). La variabile di interesse, oggetto di valutazione (variabile binaria) è stata nominata variabile Y, che
rappresenta l’obiettivo del presente studio; essa
coincide con la prospettiva in cui il partecipante si pone nell’atto di imitare, ed assume valore 1 quando il soggetto fornisce una performance imitativa di tipo speculare (Y = 1 = mirror perspective-taking) ed un valore pari a 0 quando l’atto viene eseguito in modalità anatomica (Y = 0 = anatomical perspective-taking). Le ulteriori variabili indipendenti prese in considerazione nell’analisi statistica, in virtù delle loro potenzialità nel determinare il valore di Y sono le seguenti:
Gender: riguarda il genere di colui che fornisce risposta agli stimoli.
- Gender = 1: genere maschile. - Gender = 0: genere femminile.
Gmean: riguarda la modalità meaningful e meaningless del gesto-target.
-
Gmean = 1: gesto meaningful (MF).
- Gmean = 0: gesto meaningless (ML).
Gbody: riguarda la modalità body-related e body-unrelated del gestotarget.
- Gbody = 1: gesto body-related. - Gbody = 0: gesto body-unrelated.
51
Imit: riguarda l’istruzione fornita dallo sperimentatore.
- Imit = 1: imitazione guidata. - Imit = 0: imitazione libera.
Limb: riguarda l’arto usato dalla modella nell’esecuzione di ogni singolo gesto.
- Limb = 1: gesto eseguito con l’arto destro. - Limb = 0: gesto eseguito con l’arto sinistro. Oltre alle variabili sopraccitate, nella valutazione statistica delle performance del gruppo di soggetti callosotomizzati è stata aggiunta la variabile SCC che riporta i seguenti valori:
SCC: riguarda il tipo di resezione del corpo calloso.
- SCC = T: resezione totale. - SCC = A: resezione parziale anteriore. - SCC = P: resezione parziale posteriore. - SCC = C: resezione centrale. 2.5.1. Analisi statistica per il gruppo di soggetti di controllo I dati appartenenti al gruppo di controllo consistono in un set di 2820 osservazioni, derivanti da 27 soggetti. A causa della presenza di alcuni dati incompleti, il numero delle osservazioni scende a 2793. Nelle sessioni libere (Free Sessions; Sessioni 0, 1 e 6) i partecipanti del gruppo di controllo hanno utilizzato la prospettiva anatomica per imitare 662 gesti su 1667 (40%), e la prospettiva speculare per imitare 1005 gesti su 1667 (60%).
Il fattore Limb
(devianza = 1839) è il fattore che ha riportato maggior correlazione con i risultati ottenuti nelle sessioni libere, rispetto ad un valore di devianza pari a 1987 (Tab. 5).
52
Tabella 5. Analisi della devianza nelle sessioni libere (S0, S1 e S6).
Statistical model N
Terms fitted in model
df
deviance
1
Constant
1665
1987
2
constant +Gbody
1664
1986
3
constant +Gmean
1664
1986
4
constant +sex
1664
1987
5
constant +Limb
1664
1839
6
constant+ Limb+Gbody
1663
1839
7
constant+sex+Limb
1663
1839
8
constant+Limb+Gmean
1663
1839
9
constant+sex+Limb+Gbody
1662
1839
10
constant+sex+Limb+Gmean
1662
1839
11
constant+Limb+Gmean+Gbody
1662
1838
12
constant+sex+Limb+Gmean+Gbody 1661
1838
Su un totale di 833 gesti eseguiti dalla modella utilizzando l’arto sinistro (Limb = 0), 611 (63%) sono stati imitati dai partecipanti secondo la prospettiva speculare, mentre degli 834 gesti eseguiti dalla modella con l’arto destro (Limb = 1), un numero minore, pari a 394 (47%) è stato riprodotto dai partecipanti in modalità speculare. Nello scrivere = b0 + b1 × Limb per la componente lineare del modello derivante dagli effetti misti, il modello logistico è diventato:
1
1 exp Z
dove = P(Y=1) è la probabilità che il gesto del soggetto venga eseguita in prospettiva speculare, è la deviazione dell’effetto random, e Z la variabile standard random (Tab. 6).
53
Tabella 6. Parametri ed errori standard nelle stime per il modello con il fattore Limb come covariata.
Variable
Estimate Std. Error z value
p
fixed effects Intercept, b0
1.416
0.279
Limb, b1
-1.395
0.118
5.07
<0.001
-11.77 <0.001
random effects Standard Deviation, σ
1.356
Nelle sessioni guidate, quando i soggetti erano istruiti ad imitare utilizzando lo stesso arto usato dalla modella (Sessione 2), 532 gesti su 564 (94%) venivano riprodotti in prospettiva anatomica e solo 32 su 564 (6%) in prospettiva speculare. Relativamente alle risposte dei soggetti in questa sessione, la variabile Gmean è apparsa essere significativamente correlata con l’elevata percentuale di gesti eseguiti in prospettiva speculare (Tab. 7). Nello specifico, delle performance anatomiche fornite nella Sessione 2, su un totale di 532 gesti imitati dai soggetti in modalità anatomica, 296 (56%) erano in risposta ad un gesto meaningful (MF), mentre 236 (44%) in risposta ad un gesto meaningless (ML). Circa le performance speculari fornite nella Sessione 2, invece, su un totale di 32 gesti imitati dai soggetti in modalità speculare, 28 (87%) erano in risposta ad un gesto meaningful (MF) mentre 4 (13%) in risposta ad un gesto meaningless (ML). Tabella 7. Parametri ed errori standard nelle stime per il modello con il fattore Gmean come covariata.
Variable
Estimate Std. Error z value
p
fixed effects Intercept, b0
-9.841
1.913
-5.14
<0.001
Gmean, b1
2.334
0.807
2.89
0.004
random effects Standard Deviation, σ
5.844
54
Quando ai soggetti veniva chiesto di imitare i gesti osservati utilizzando l’arto opposto rispetto a quello usato dalla modella nei filmati (Sessione 4), su 562 gesti eseguiti dalla modella, 519 (92%) venivano riprodotti dai partecipanti utilizzando la prospettiva anatomica, mentre 43 su 562 (8%) in modalità speculare. Nessuna delle variabili prese in considerazione erano significativamente correlate con le performance dei partecipanti nella Sessione 4. 2.5.2. Analisi statistica per il gruppo di pazienti callosotomizzati Il numero totale di risposte dei pazienti callosotomizzati sul quale sono state eseguite valutazione statistiche è 1132, in quanto per incompletezza, 20 loro risposte sono state escluse dall’analisi dei risultati. Nelle sessioni libere (Sessioni 1 e 6) i partecipanti hanno usato la prospettiva anatomica (anatomical perspective-taking) per imitare 191 gesti su 564 (34%) e la prospettiva speculare (mirror perspective-taking) per imitare 373 gesti su 564 (66%). L’analisi della devianza ha dimostrato che il fattore
maggiormente
determinante le risposte dei soggetti così come sopra distribuite è stato il fattore Limb (devianza = 638.7), rispetto ad un valore della devianza pari a 708.2 (Tab. 8). Tabella 8. Analisi della devianza nelle sessioni libere (S1 e S6).
Statistical model N Terms fitted in model
df
deviance
1
Constant
562
708.2
2
constant +Gbody
561
708.2
3
constant +Gmean
561
707.6
4
constant +sex
561
708.1
5
constant +Limb
561
638.7
6
constant +SCC
559
705
55
Su un totale di 283 gesti eseguiti dalla modella nei filmati con l’arto sinistro, 232 (82%) sono stati riprodotti dai partecipanti in prospettiva speculare, mentre dei 281 gesti eseguiti dalla modella con l’arto destro, 141 (50%), ovvero un numero minore, sono stati imitati in prospettiva speculare. Scrivere = b0 + b1 × Limb, per il componente lineare del modello che deriva dagli effetti fissi, il modello logistico così è diventato:
1 1 exp Z
Dove = P(Y=1) è la probabilità che il gesto del soggetto venga eseguito in modalità speculare, la deviazione standard dell’effetto random, e Z la variabile random standard (Tab. 9) Tabella 9. Parametri ed errori standard nelle stime per il modello con il fattore Limb come covariata.
Variable
Estimate Std. Error z value
p
fixed effects Intercept, b0
1.632
0.237
6.87
<0.001
Limb, b1
-1.608
0.202
-7.98
<0.001
random effects Standard Deviation, σ
0.606
Nella Sessione 2 (Driven Session), ovvero quando si chiedeva ai soggetti di utilizzare lo stesso arto usato dalla modella nei video, la prospettiva anatomica veniva scelta per imitare 120 gesti su 286 (42%) e la prospettiva speculare per imitare 166 gesti su 286 (58%). Il fattore Gmean è apparso essere quello più strettamente correlato con la tendenza a fornire risposte di tipo speculare (Tab. 10), in quanto sul totale di 166 gesti imitati in prospettiva speculare, 73 (44%) erano di tipo meaningful (MF), mentre 93 (56%) erano in risposta a gesti meaningless (ML). Al contrario, dei 120 gesti che sono stati riprodotti in prospettiva anatomica, la maggior parte, ovvero
56
69 gesti su 120 (57.5%) erano conseguenti ad un gesto meaningful (MF), e 51 (42.5%) ad un gesto meaningless (ML). Tabella 10. Parametri ed errori standard nelle stime per il modello con il fattore Gmean come covariata.
Variable
Estimate Std. Error z value
p
fixed effects Gmean, b1
-1.0896
0.348
-3.129 0.002
random effects Standard Deviation, σ
2.949
Quando i partecipanti erano chiamati ad eseguire il gesto utilizzando l’arto opposto rispetto a quello usato dalla modella nei filmati (Sessione 4; Driven Session), 104 su 282 (37%) gesti venivano riprodotti utilizzando la prospettiva anatomica, mentre 178 su 282 (63%) in prospettiva speculare. La variabile Gmean è apparsa essere ancora una volta strettamente correlata con le risposte dei soggetti agli stimoli. Su un totale di 178 gesti eseguiti in prospettiva speculare, 96 (54%) erano in conseguenza dell’imitazione di gesti meaningful (MF), e 82 (46%) di gesti meaningless (ML). Su 104 performance di tipo anatomico, 46 prestazioni (44%) erano in risposta ad un gesto meaningful (MF) e 58 (56%) in risposta ad un gesto meaningless (ML; Tab. 11). Tabella 11. Parametri ed errori standard delle per il modello con il fattore Gmean come covariata.
Variable
Estimate Std. Error z value
p
fixed effects Gmean, b1
-0.7218
0.310
-2.324 0.02
random effects Standard Deviation, σ
1.966
Un’altra variabile positivamente correlata con le risposte dei soggetti nella Sessione 4 è il fattore Gender. Delle risposte fornite dai maschi (163), 126
57
(77.3%) sono state prodotte in prospettiva speculare, e le restanti 37 risposte (22.7%) in modalità anatomica. Delle risposte fornite dalla femmine (119), invece, 52 risposte (43.7%) sono stata fornite in modalità speculare (Tab. 12). Tabella 12. Parametri ed errori standard nelle stime per il modello con il fattore Gender come covariata.
Variable
Estimate Std. Error z value
p
fixed effects Gender, b1
-1.6594
0.652
-2.544 0.01
random effects Standard Deviation, σ
1.600
Le medie delle risposte con prospettiva speculare (o anatomica) ottenute dai singoli soggetti appartenenti a ciascuno dei due gruppi nelle sessioni libere e guidate sono state analizzate con il test T di Student per valutare la significatività statistica delle differenze osservate nell’ambito dello stesso gruppo fra i due tipi di sessioni e tra i due gruppi per lo stesso tipo di sessione. I confronti sono stati fatti in varie combinazioni nel seguente modo: 1. media delle risposte speculari dei controlli nelle sessioni libere verso media delle risposte anatomiche dei controlli nelle sessioni libere; 2. media delle risposte speculari dei controlli nelle sessioni guidate verso media delle risposte anatomiche dei controlli nelle sessioni guidate; 3. media delle risposte speculari dei pazienti nelle sessioni libere verso media delle risposte anatomiche dei pazienti nelle sessioni libere; 4. media delle risposte speculari dei pazienti nelle sessioni guidate verso media delle risposte anatomiche dei pazienti nelle sessioni guidate; 5. media delle risposte speculari dei controlli nelle sessioni libere verso media delle risposte speculari dei pazienti nelle sessioni libere; 6. media delle risposte speculari dei controlli nelle sessioni guidate verso media delle risposte speculari dei pazienti nelle sessioni guidate. La differenza veniva considerata statisticamente significativa per valori di p < 0,05.
58
2.6. Discussione dei risultati dello studio sperimentale In questo studio, la cui indagine è consistita nella valutazione delle prospettive (anatomica o speculare) che assume colui che compie un atto di imitazione nei confronti di uno stimolo visuo-motorio, i risultati ottenuti hanno dimostrato che esiste una differenza sostanziale di carattere inter-gruppo. E’ stata analizzata la modalità (prospettiva anatomica vs prospettiva speculare) con cui i due gruppi di soggetti hanno imitato i gesti eseguiti dalla modella nei filmati (posizionata in prospettiva di terza persona rispetto all’esecutore del compito), e le conclusioni che sono state tratte sono apparse degne di nota. Relativamente alle sessioni libere (Free Sessions; S0, S1 e S6; Fig. 12): i risultati ottenuti con il gruppo di controllo (soggetti sani) hanno evidenziato che quando chiamati ad imitare spontaneamente essi privilegiano un’esecuzione del gesto di tipo speculare (60% di risposte mirror-mode), tanto che la differenza di performance tra le due sessioni è statisticamente significativa (p < 0,05); i risultati ottenuti con il gruppo dei callosotomizzati hanno dimostrato che quando chiamati ad imitare spontaneamente (nelle sessioni 1 e 6), pur avendo la possibilità di usare l’arto preferito all’Oldfield, essi privilegiano riprodurre il gesto in modalità speculare (66% di risposte mirror-mode); anche in questo caso la differenza di performance tra le due sessioni è statisticamente significativa (p < 0,05). Questi risultati dimostrano che: 1. quando non esistono vincoli all’esecuzione di un atto imitativo, il soggetto risponde spontaneamente ponendosi di fronte allo stimolo in posizione speculare, come se si trovasse di fronte ad uno specchio; 2. non esistono differenze significative di performance, nelle sessioni libere, tra gruppo di controllo e gruppo sperimentale (p > 0,05); 3. l’arto preferito (al test di Oldfield) non determina la risposta spontanea del soggetto imitante. Risultato in linea con lo studio
59
condotto da Wapner e Cirillo (1968) che testimonia come la tendenza ad utilizzare l’arto preferito in compiti di tipo imitativo declini con l’aumentare dell’età.
Figura 12. Risposte speculari ed anatomiche di ogni singolo paziente e del gruppo di controllo, nelle sessioni libere e guidate. (Immagine tratta da Pierpaoli et al., 2011).
Relativamente alle sessioni guidate (Driven Sessions; S2 e S4; vedi Fig. 12): i risultati ottenuti con il gruppo di controllo hanno evidenziato che quando chiamati ad imitare tenendo conto dell’arto usato dalla modella nell’esecuzione dei gesti (nelle sessioni 2 e 4), perché l’istruzione dello sperimentatore richiedeva che si usasse lo stesso (Sessione 2) e l’opposto (Sessione 4), i partecipanti hanno privilegiato un’esecuzione del gesto di tipo anatomico (93% di risposte anatomical-mode); la differenza di performance tra le due sessioni è statisticamente significativa (p < 0,05); i risultati ottenuti con il gruppo dei callosotomizzati hanno mostrato che quando chiamati ad imitare tenendo conto dell’arto usato dalla modella nell’esecuzione dei gesti (nelle sessioni 2 e 4), perché la prestazione richiedeva che si usasse lo stesso (Sessione 2) e l’opposto arto rispetto alla modella, i partecipanti hanno preferito, ancora una volta (rispetto alle
60
perfomance nelle sessioni libere) riprodurre il gesto in modalità speculare (39% di risposte anatomical-mode); la differenza di performance tra le due sessioni è statisticamente significativa (p < 0,05). Questi risultati dimostrano che: 1. esiste una netta discrepanza di performance tra il gruppo di controllo e i callosotomizzati, quando chiamati ad imitare secondo una specifica istruzione: i controlli usano la prospettiva anatomica, i pazienti quella speculare (p < 0,05); 2. visto l’identico paradigma comportamentale cui sono stati sottoposti entrambi i gruppi, si ipotizza che le differenze riscontrate a livello di performance siano dovute a fattori inter-gruppo, ovvero a caratteristiche riconducibili ai partecipanti dei due gruppi. L’unica differenza tra i partecipanti ai due gruppi consiste nel grado di integrità del corpo calloso, che nei partecipanti al gruppo sperimentale è incompleta o assente; Importanti annotazioni sono inoltre destinate all’analisi del livello di correlazione tra le diverse variabili e le percentuali di risposte dei due gruppi nelle sessioni libere e guidate. Di tutte le variabili potenzialmente correlabili con le perfomance dei due gruppi (Gender, Gmean, Gbody, Limb, Imit e SCC), solo alcune hanno riportato valori statisticamente significativi. Nelle sessioni libere (S0, S1 e S6) la variabile Limb è la variabile significativamente correlabile con la maggior percentuale di risposte speculari sia nei soggetti di controllo (60%) che nei soggetti callosotomizzati (66%). La variabile Limb sta per l’arto (destro o sinistro) con lui la modella dei filmati esegue i gesti. Si tratta di una variabile relativa allo stimolo-target, una variabile che si correla, nelle sessioni libere, alla preponderanza di risposte speculari in entrambi i campioni di soggetti. Ovvero, la maggior frequenza di risposte speculari sono state fornite dai partecipanti di entrambi i gruppi a seguito di gesti eseguiti dalla modella con l’arto sinistro (Limb=0).
61
Nelle sessioni guidate S2 la variabile Gmean è la variabile significativamente correlabile con la maggior percentuale di risposte anatomiche (94%) dei soggetti di controllo e con la maggior percentuale di risposte speculari (58%) dei soggetti callosotomizzati. In questo caso, la medesima variabile andrebbe ad essere correlata con due opposte tendenze di performance: anatomica per i controlli e speculare per i callosotomizzati. Una variabile, quindi, che dista dalla precedente delle sessioni libere (variabile Limb), perché anziché uniformare le performance, si correla all’elemento che le rende distinte ed opposte. La correlazione tra la variabile Gmean e le risposte prevalentemente anatomiche (94% risposte anatomiche) dei soggetti di controllo stanno a significare che la maggior parte delle loro performance di natura anatomica (532 risposte anatomiche su un totale di 564 risposte) sono state fornite a fronte di stimoli meaningful (MF), ovvero Gmean = 1. La correlazione tra la variabile Gmean e le risposte prevalentemente speculari (58% risposte speculari) dei soggetti sperimentali sta a significare, invece, che la maggior parte delle performance in prospettiva di specularità (166 risposte speculari su un totale di 286 risposte) sono state fornite a fronte di stimoli meaningless (ML), ovvero Gmean = 0. Nelle sessioni guidate S4 nessuna variabile è significativamente correlabile con la maggior percentuale di risposte anatomiche (92%) dei soggetti di controllo, mentre la variabile Gender è significativamente correlabile con la maggior percentuale di risposte speculari (63%) dei soggetti callosotomizati. Le risposte di natura prettamente anatomica fornite dai soggetti di controllo nella Sessione 4 non dimostrano di essere correlate a specifiche variabili. Diversamente, le risposte del gruppo dei callosotomizzati sono correlabili con la variabile Gender, visto il maggior numero di risposte speculari fornite dai maschi (77.3%), a fronte di una percentuale pari al 43.7% di risposte speculari fornite dalle femmine. Sembra quindi che il genere maschile dei pazienti callosotomizzati prediliga maggiormente rispetto al genere femminile la prospettiva speculare, quando chiamati ad usare l’arto opposto.
62
PARTE 3. Conclusioni e prospettive future We observe actions from a large range of visual perspectives (VP); the poles of this continuum are the first/egocentric VP (i.e., looking at an action made by a person facing the same direction as we are or looking at ourselves while we are moving) and the third person/allocentric VP (i.e., looking at someone’s actions when they are facing us or observing ourselves moving in a mirror). (Hétu et al., 2011, p. 2)
Nel presente studio si è voluto indagare una variabile dell’imitazione che va sotto il nome di assunzione di prospettiva: la prospettiva (speculare o anatomica) in cui si pone un soggetto nell’atto di riprodurre un gesto osservato compiere da un altro individuo. Il passaggio da un tipo di prospettiva di natura egocentrica ad un altro di natura allocentrica è fondamentale per realizzare atti di imitazione, e per interagire all’interno del contesto di appartenenza sociale. Si è scelto di utilizzare stimoli posizionati in prospettiva di terza persona (180°) rispetto al soggetto imitante, perché è vis à vis che si realizzano le più quotidiane interazioni umane (basti pensare all’immagine che viene riflessa da uno specchio). I gesti intransitivi, stimoli-target del presente lavoro sono semplici da eseguire, non necessitano di training per essere riprodotti, hanno un significato socialmente condiviso (almeno per quanto concerne i gesti meaningful), e rappresentano la prima forma di azione che i bambini si dimostrano in grado di imitare (Meltzoff e Moore, 1977, 1997). L’analisi delle performance dei partecipanti al gruppo di controllo e al gruppo sperimentale ha prodotto una significativa differenza nelle risposte fornite nelle sessioni guidate (S2 e S4), ma non nelle sessioni libere (S0, S1 e S6). Nelle sessioni libere si è osservata in entrambi i gruppi una naturale tendenza ad usare una prospettiva di imitazione speculare nel riprodurre i gesti eseguiti dalla modella.
63
Questo tipo di risultato non appare in linea con le osservazioni di Wapner e Cirillo (1968), i quali suggerivano che la tendenza ad imitare fosse prevalentemente di tipo anatomico a partire dai 12-14 anni di età, e contrasta in parte con lo studio condotto da Press e collaboratori (2009). Nell’indagine di questi ultimi, nella fase sperimentale 1, veniva chiesto al partecipante di imitare ciò che il modello faceva (“do what the model does”; Press et al., 2009, p. 515). Indipendentemente dalla posizione assunta dallo stimolo, la tendenza era quella di usare la prospettiva anatomica. Chiedere ad un soggetto di “fare ciò che fa il modello” (in Press et al., “do what the model does”) è un’istruzione simile a “imiti, il partecipante, ciò che vede nei filmati” fornita nelle sessioni libere S0 e S6, ma di certo differente rispetto all’istruzione “imiti, il partecipante, usando lo stesso arto che vede usare dalla modella nei filmati” fornita nella sessione guidata S2, che esplicitamente vincola il soggetto ad elaborare il concetto di stesso per riprodurre il gesto. Questo significa che i risultati ottenuti da Press et al. nell’esperimento 1, che coerentemente con quanto sopra accennato possono essere confrontati con i risultati ottenuti nella sessioni libere del presente studio, dimostrando una preferenza per un tipo di imitazione anatomica, non trovano riscontro nelle performance prevalentemente speculari dei soggetti che prendono parte all’indagine in oggetto. Nella fase 2 del lavoro di Press e colleghi, lo sperimentatore chiedeva a metà dei partecipanti di usare “the same side of their body as the model” (Press et al., 2009, p. 521) e all’altra metà di usare “the other side of their body” (ibidem). Queste due istruzioni possono essere considerate analoghe a quelle che nel presente studio si forniscono rispettivamente nelle sessioni S2 e S4. Anche in questo secondo paradigma sperimentale lo stimolo poteva apparire a 0°, 60°, 120°, 180°, 240° e 300°. Dei risultati ottenuti nell’esperimento 2, con stimoli a 0°, le prestazioni migliori erano quelle di coloro che dovevano usare lo stesso lato del corpo del modello per imitarne i gesti (Group Anat). Un risultato in linea con quelli dell’esperimento 1, ma anche in linea con l’ipotesi che imitare uno stimolo posto a 0° produrrebbe una performance basata sul requisito della compatibilità spaziale tra stimolo e risposta.
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Si potrebbe quindi ipotizzare che sia il fatto che l’effettore usato dal modello si trovi sulla stessa linea (in termini di posizione spaziale) dell’effettore usato dal soggetto per riprodurlo, ad agevolare (e quindi rendere più accurata) la prestazione imitativa. Quando i soggetti erano di fronte ad uno stimolo posto in terza persona (180°) le risposte più accurate erano le risposte del gruppo definito Group NonAnat, ovvero di chi doveva usare il lato opposto del proprio corpo per riprodurre i gesti. Le risposte meno accurate, invece, erano quelle di coloro che dovevano imitare usando lo stesso lato del proprio corpo (Group Anat). In entrambe le istruzioni fornite ai due gruppi, si faceva riferimento ad un criterio anatomico; alcuni dovevano imitare con lo stesso lato e altri con il lato opposto del corpo. Che cosa rende possibile che queste due istruzioni producano performance differenti? Per quale motivo, ci si potrebbe chiedere, di fronte ad uno stimolo posto a 180° imita meglio chi deve imitare con l’arto opposto, ed imita peggio chi deve imitare con lo stesso arto? In entrambi i casi, chi imita dovrebbe appellarsi alla medesima fonte interpretativa (“se il modello usa il destro ed io devo usare lo stesso arto, userò il mio arto destro”, e “se il modello usa il destro ed io devo usare l’arto opposto, userò il mio arto sinistro), ma questo sembra non accadere. La discrepanza di performance in seno al medesimo criterio interpretativo delle istruzioni deriva forse dal fatto che anche a 180° per usare l’arto opposto si utilizza il criterio della compatibilità spaziale tra stimolo e risposta. Interpretando questi risultati, ne potrebbe derivare che di fronte ad uno stimolo a 180° sia più semplice imitare in maniera non anatomica. Questo dato concorda con quanto emerso nelle sessioni libere dell’indagine presente, e potrebbe essere spiegato in virtù della compatibilità spaziale tra lo stimolo e la risposta (S-R Spatial Compatibility). L’esperimento 2 di Press e collaboratori è in linea con numerosi precedenti studi che riportano dati a favore della migliore qualità di performance speculari a fronte di stimoli posti a 180°. Koski e collaboratori (2003), confermarono questa ipotesi osservando che quando i partecipanti erano chiamati ad imitare movimenti delle dita delle mani presentati a 180°, utilizzando la prospettiva speculare, si
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manifestava una cospicua attivazione bilaterale delle aree frontali inferiori e della corteccia parietale posteriore dell’emisfero destro, aree facenti parte del Sistema dei Neuroni Specchio; tale assunzione suggeriva l’ipotesi che i neuroni specchio fossero all’origine di un tipo di imitazione di ordine speculare. Per quanto concerne le sessioni guidate del presente studio (S2 e S4), i dati ottenuti dai due gruppi di soggetti hanno riportato differenze sostanziali. I soggetti di controllo (con corpo calloso intatto) interpretavano i concetti di stesso e di opposto facendo riferimento ad un criterio di scelta fondato su indici anatomici, così da far coincidere la propria destra con la destra del modello e la sinistra con la sinistra dello stesso;
i soggetti callosotomizzati limitavano invece
l’elaborazione dell’informazione al vincolo della specularità, per cui lo stesso e l’opposto coincidevano con lo stesso e l’opposto speculari. In uno studio sulla dell’Active Intermodal Mapping Theory, Heyes e Ray (2004), con prove di compatibilità spaziale tra stimolo e risposta, indagarono l’assunzione di prospettiva di un soggetto di fronte ad un modello che esegue dei gesti. Nel paradigma sperimentale 1, Heyes e Ray (2004) presentavano ai partecipanti un modello umano che eseguiva dei movimenti con gli arti, visualizzato sullo schermo di un computer da varie angolature (0°, 60°, 120°, 180°, 240° e 300°). Al soggetto spettava il compito di imitare i movimenti osservati utilizzando lo stesso lato del corpo usato dal modello, esattamente come previsto nella sessione S2 del presente lavoro. I risultati mostrarono un maggior numero di errori quando il modello eseguiva i movimenti di fronte ad uno stimolo posizionato a 120°, 180° e 240°. Questi risultati hanno condotto gli autori ad ipotizzare che l’imitazione fosse mediata dalla valutazione della concordanza spaziale tra lo stimolo e risposta (S-R Spatial Compatibilityn Theory). A questo punto gli autori si domandarono quali potessero essere i meccanismi che avrebbero permesso ad un soggetto di imitare con lo stesso lato del corpo del modello, quando questo modello si fosse trovato vis à vis rispetto ad esso. La risposta fu quella di supporre che in suddetta condizione, il soggetto
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producesse mentalmente una trasformazione delle coordinate spaziali del proprio corpo, così da farle coincidere con le parti del corpo dello stimolo-target. In un secondo protocollo sperimentale, agli stessi stimoli del protocollo precedente, i soggetti dovevano rispondere utilizzando il lato opposto del proprio corpo, istruzione identica a quella che nel presente protocollo comportamentale corrisponde alla sessione guidata S4. Nella condizione in cui lo stimolo si trovava vis à vis con il soggetto, la risposta era definita “compatible”, dal momento che lo stimolo (es. sollevamento dell’arto sinistro del modello) si trovava spazialmente in linea con la risposta esatta che il soggetto avrebbe dovuto produrre (ovvero il sollevamento dell’arto destro); ancora una volta, quindi, in linea con la S-R Spatial Compatibility Theory. Quando invece lo stimolo si trovava a 0°, la risposta era definita “incompatible”, dal momento che lo stimolo (es. sollevamento dell’arto sinistro del modello) si trovava spazialmente non in linea con la risposta prevista (sollevamento dell’arto destro). Ancora una volta, un compito che prevedeva una risposta ben interpretabile alla luce della S-R Spatial Compatibility Theory. I risultati furono differenti rispetto a quelli ottenuti precedentemente (esperimento 1), perché la maggior parte degli errori si verificarono nella condizione in cui il modello era posto di spalle rispetto al soggetto (a 0°). One could argue that participants always engage in rotation when the model is facing them, regardless of whether this produces correspondence (Experiment 1) or non correspondence (Experiment 2) between egocentric stimulus and response codes. (Heyes e Ray, 2004, p. 708)
La citazione sopra riportata dimostra come gli autori avessero realmente ipotizzato una spiegazione ulteriore dei risultati ottenuti al protocollo 2 (rispetto a quella facente riferimento alla compatibilità spaziale tra stimolo e risposta), chiamando in causa il meccanismo di Rotazione Mentale. Un’ipotesi che appare essere rinforzata dai risultati del presente studio, in cui la discrepanza di performance tra i due gruppi (controlli e callosotomizzati) nelle sessioni guidate, farebbe supporre quanto Heyes e Ray avevano suggerito.
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La differenza di performance osservata nelle sessioni guidate tra i due gruppi è stata inevitabilmente correlata a quanto “caratterizzava” il gruppo dei callosotomizzati rispetto al gruppo dei controlli, visto che il protocollo sperimentale era il medesimo per i controlli ed i pazienti. I pazienti callosotomizzati sono soggetti che hanno subito resezioni chirurgiche di varia entità del corpo calloso, la principale commessura interemisferica, nel corso del trattamento di forme di epilessia farmaco-resistenti. Il grado di integrità del corpo calloso potrebbe essere, quindi, l’unica variabile responsabile delle differenze osservate tra i due gruppi nelle sessioni guidate, e potenzialmente correlabile con l’incapacità dei soggetti callosotomizzati di assumere la prospettiva anatomica, fenomeno che si ipotizza dipendere da un alterato funzionamento del meccanismo di Rotazione Mentale. Inoltre, supponendo che il comportamento imitativo dipenda dal funzionamento del Sistema dei Neuroni Specchio, una circuiteria neurale che consta di aree prefrontale e aree parietali, e: 1. essendo tali aree connesse a livello interemisferico perché nei soggetti di controllo il corpo calloso è integro; 2. essendo
alcune
aree
del
Sistema
dei
Neuroni
Specchio
probabilmente non connesse a livello interemisferico a causa della non integrità del corpo calloso nei soggetti callosotomizzati; si potrebbe ipotizzare che le regioni mancanti del corpo calloso contribuiscano a determinare la risposta imitativa di tipo anatomico. Poiché le performance nelle sessioni libere erano identiche nei due gruppi, ne consegue che la non integrità del corpo calloso non produca alcuna differenza a livello della capacità di imitare in maniera speculare. Supponendo che
il
Sistema
dei Neuroni
Specchio si
esprima
prevalentemente attraverso un tipo di esecuzione speculare dell’atto imitativo, e che l’imitazione anatomica coinvolga il meccanismo della rotazione mentale, si potrebbe concludere che l’interruzione delle fibre callosali interferisca con il corretto funzionamento del substrato anatomico del Mental Rotation Mechanism,
68
dal momento che nel gruppo dei callosotomizzati le risposte anatomiche delle sessioni guidate erano inficiate. Questo significa che, se utilizzare lo stesso arto e l’arto opposto rispetto alla modella richiede ai partecipanti di ruotare mentalmente parti del proprio corpo così da farle coincidere con quelle del corpo dello stimolo-target (realizzando una esecuzione del gesto di tipo anatomico, per via del Mental Rotation), i soggetti callosotomizzati, che hanno fornito prevalentemente risposte speculari, manifesterebbero un deficit di funzionamento del sistema neurale deputato alla Rotazione Mentale. Lecita a questo punto è l’ipotesi che sia la circuiteria responsabile della Rotazione Mentale ad essere alterata a causa di alcune porzioni di corpo calloso mancanti, e che questa correlazione sia alla base della incapacità da parte del soggetto callosotomizzato di imitare in maniera anatomica uno stimolo visuo-motorio posto in posizione di 180°. Il meccanismo di Mental Rotation è sostenuto a livello corticale dall’attivazione di regioni parietali, il giro frontale inferiore, la corteccia occipitale laterale e aree premotorie (Milivojevic et al., 2009). Di queste aree, la parietale inferiore e la prefrontale, fanno parte sia del Sistema dei Neuroni Specchio che del substrato neurale del meccanismo di Rotazione Mentale. L’intero corpo calloso può essere suddiviso in 7 regioni (in progressione antero-posteriore): 1. Rostrum, 2. Genu, 3. Rostral body, 4. Anterior midbody, 5. Posterior midbody, 6. Isthmus e 7. Splenium (Fig. 13).
69
A
B
C
Figura 13. Regioni del corpo calloso. (Immagini A e C, tratte da Silvestrini et al., 1999; Immagine B, tratta da Thompson et al., 2003).
Ciascuna porzione di corpo calloso contiene fibre che connettono specifiche aree corticali. La topografia del corpo calloso può essere evidenziata dalle moderne tecniche di Neuroimaging, quali l’Imaging del Tensore di
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Diffusione (DTI) e la Trattografia del Tensore di Diffusione (DDT; vedi Chao et al., 2009; Fig. 14).
Figura 14. Topografia del corpo calloso e connettività corticali tracciate con le tecniche del DTI e DDT. (Immagine tratta da Chao et al., 2009).
Nel corpo calloso adulto, la porzione del genu (ginocchio) contiene fibre che collegano tra loro le aree frontali inferiori e le aree parietali inferiori. La porzione di corpo calloso che quindi potrebbe essere implicata nel funzionamento del meccanismo di Rotazione Mentale è quella del genu, area assente in 10 soggetti callosotomizzati su 12. Tale ipotesi potrebbe essere confermata da ulteriori studi con metodi funzionali. Un ulteriore spunto di ricerca, infine, deriva dalla constatazione che se liberi di scegliere, soggetti sani adulti prediligono porsi di fronte allo stimolo in modalità speculare. Wapner e Cirillo (1968), contrariamente a quanto osservato in questa sede, avrebbero ipotizzato un tipo prevalente di atto imitativo di natura anatomica (perché lo shift che conduce un soggetto a passare da una prospettiva speculare ad una anatomica avverrebbe intorno ai 12-14 anni), dal momento che il gruppo qui testato era composto da soggetti adulti. Potrebbe allora essere utile 71
approfondire questo dato, forse solo apparentemente contrastante, confrontandolo con le risposte nelle sessioni guidate dei pazienti con vario grado di callosotomia, e sottoponendo il medesimo protocollo comportamentale previsto dal presente studio a soggetti tra i 6 ed i 18 anni di età. Quest’ultima proposta di ricerca nasce dal’ipotesi che nel corso dello sviluppo maturi un meccanismo inibitorio del Sistema dei Neuroni Specchio le cui fibre attraversano il corpo calloso a livello del genu che si mielinizza più tardi rispetto allo sviluppo delle fibre che passano per altre regioni callosali. A questo punto è possibile proporre un’ipotesi interpretativa delle differenze a livello di prestazione imitativa tra i due gruppi di soggetti, partendo dalla supposizione che il Sistema dei Neuroni Specchio ed il meccanismo di Roratione Mentale condividano alcune aree corticali. L’assunzione della prospettiva speculare potrebbe essere il risultato del funzionamento dei neuroni specchio, presumibilmente presenti fin dalla nascita, vista l’abilità del neonato di imitare alcune espressioni facciali degli adulti; l’assunzione della prospettiva anatomica, dal momento che compare durante l’adolescenza, sarebbe, invece, una competenza acquisita che potrebbe dipendere dalla maturazione della circuiteria neurale che sottende il meccanismo della Rotazione Mentale. Il passaggio dalla modalità speculare a quella anatomica, osservato da Wapner e Cirillo (1968), potrebbe quindi essere il risultato di un effetto inibitorio sul Sistema dei Neuroni Specchio da parte delle aree coinvolte nella rotazione mentale, oppure di una maggiore attivazione di queste ultime, oppure entrambi; questi effetti si manifesterebbero in un secondo momento, per via della maturazione tardiva delle fibre callosali, in particolare quelle che attraversano il ginocchio del corpo calloso e che connettono le aree prefrontali. Queste aree potrebbero essere la sede delle interazioni tra il meccanismo dei neuroni specchio e quello della rotazione mentale, dal momento che sono coinvolte nei circuiti neurali alla base di entrambi i sistemi.
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Ringraziamenti Al termine di questi tre anni della Scuola di Dottorato in Neuroscienze, della Facoltà di Medicina dell’Università Politecnica delle Marche, anni di cui è prodotto il presente lavoro, mi pregio dedicare un pensiero a coloro i quali hanno contribuito a rendere scientificamente fruttuosa e psicologicamente gratificante questa esperienza. Rivolgo un sincero ringraziamento alla professoressa Mara FABRI, la quale mi ha fornito sostegno professionale, mi ha permesso di realizzare questo progetto di ricerca fornendo suggerimenti e strumenti. Fermamente convinta dell’importanza che rivestono le Neuroscienze nello studio della fenomenologia dell’essere umano, mi ha infuso passione ed insegnate strategie di lavoro; mi ha permesso di mettere a servizio della comunità scientifica l’indagine condotta, permettendomi di prendere parte ad importanti eventi congressuali in cui presentare i risultati ottenuti nell’indagine sul comportamento imitativo. Alla Prof.ssa FABRI, grazie per avere reso realizzabile un’idea. Un affettuoso ringraziamento va ai miei cari, senza il cui sostegno, il premuroso affetto e la comprensione mostrati giorno dopo giorno, non sarei stata in grado di affrontare e di proseguire questa esperienza. Un grazie particolare a mia sorella, Elisa, che mi ha aiutata a comprendere i vincoli che la ricerca scientifica suppone, ed ha condiviso con me i più disparati vissuti che questa esperienza ha prodotto. Ai miei cari, un ringraziamento particolare, per la vicinanza affettiva e la fiducia mostrate. Un ringraziamento va anche al prof. Giovanni BERLUCCHI per aver suggerito il tema della ricerca, che con le sue valenze di carattere neuropsicologico, mi ha permesso di integrare il mio bagaglio di conoscenze nel campo della psicologia con gli argomenti delle neuroscienze. Un ringraziamento a tutti coloro che hanno reso possibile il reclutamento del campione sperimentale rendendo effettiva l’indagine comparativa rispetto al campione del gruppo di controllo,
il dott. Aldo PAGGI, il dott. Andrea
ORTENZI, e la signora Gabriella VENANZI.
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Ringrazio il prof. Luigi FERRANTE che mi ha concretamente sostenuta ed aiutata nell’analisi statistica dei risultati dello studio, e ringrazio il dott. Gabriele POLONARA per aver messo a disposizione le immagini MRI. Un doveroso ringraziamento va ai volontari e a tutti i pazienti del Centro Epilessia dell’Umberto I, ed ai loro familiari, i quali hanno sempre mostrato sincera partecipazione ed indiscutibile disponibilità. Un ringraziamento a tutti coloro con in quali nel corso di questi tre anni ho condiviso la realtà del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica; i colleghi, con i quali ho condiviso ansie ed entusiasmi, ed i docenti e ricercatori, cordiali e disponibili. Infine, un grazie a chi, in ogni angolo della terra, si sperimenta quotidianamente nella ricerca scientifica, e a chi è ancora convinto che nonostante ogni impedimento, il progresso nella conoscenza dell’uomo debba procedere senza prevedere arresti, nel rispetto dell’etica.
Dott.ssa Chiara Pierpaoli
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