UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MACERATA Dipartimento di Scienze dell‟Educazione e della Formazione
Corso di Dottorato di Ricerca in Scienze psicologiche e sociologiche Curriculum Psicologia dei processi cognitivi e comunicativi
DESCRIZIONI TESTIMONIALI DI SINISTRI STRADALI: L’ASPETTO FENOMENOLOGICO DELLA TESTIMONIANZA
Tutor Chiar.ma Prof.ssa Ivana Bianchi
Dottoranda Dott.ssa Fanny Ercolanoni
Coordinatore Chiar.mo Prof. Andrzej Zuczkowski
Ciclo XXV Anno 2014 1
Indice
6
Introduzione Capitolo 1) La testimonianza legale e la psicologia giuridica: cenni storici 1.1
Introduzione
9
1.2
Breve storia della psicologia giuridica
12
1.3
Le interazioni tra la psicologia e il sistema del diritto: classificazioni
17
1.4
Il background della psicologia giuridica in Italia
19
Capitolo 2) Fattori cognitivi nella testimonianza 2.1
Premessa
28
2.2
Linguaggio: alcuni spunti
29
2.3
Le memorie testimoniali
32
2.3.1
Aspetti relazionali della testimonianza
37
2.3.2
L‟effetto del verbal overshadowing
40
2.4
Verità e menzogna: quale teoria?
41
2.4.1 Verità e menzogna in psicologia
49
2.4.2 Metodi strumentali e tecniche di individuazione della menzogna: problematiche
55
2.4.3
59
2.5
Sintesi Testimonianza e narrazione
2.5.1
59
Storytelling Law: interazioni tra diritto e letteratura
63
Capitolo 3) Contesto teorico-metodologico: l’esperienza fenomenico percettiva del testimone 3.1
Premessa
67
3.2
I “livelli” di realtà: antitesi o coesistenza?
68
3.3
Descrizioni fisiche e descrizioni fenomeniche
76
3.4
L‟aspetto fenomenologico/descrittivo della testimonianza
81
3.5
Testimonianza, fenomenologia e descrizioni: rapporti e problematiche
85
2
Capitolo 4) La ricerca 4.1
Ipotesi
91
4.2
Metodo
93
4.2.1 Materiali analizzati
93
4.2.2 Procedura
95
4.3
Risultati
99
4.3.1 Quali elementi nei vari documenti 4.3.2 Quali proprietà (aspetti) degli elementi sono descritti nei vari documenti
99 107
4.3.2.1
Elemento Veicoli
108
4.3.2.2
Elemento Azioni
113
4.3.2.3
Elemento Danni
120
4.3.2.4
Elemento Urto
124
4.3.2.5
Elemento Strada
126
4.3.2.6
Elemento Tracce
128
4.3.2.7
Elemento Segnaletica
130
4.3.2.8
Elemento Traffico
132
4.3.2.9
Elemento Meteo
134
4.3.2.10 Elemento Visibilità
135
4.3.2.11 Elemento Temporalità
136
4.3.2.12 Elemento Causa
138
4.3.3 Frequenza di certe informazioni nei documenti
140
4.3.3.1
Veicoli
140
4.3.3.2
E quale sistema di riferimento per le proprietà topologiche dei danni?
150
4.3.3.3
Quanti e quali i riferimenti a caratteristiche topologiche dell‟urto?
151
4.3.3.4
Proprietà topologiche della strada
153
4.3.3.5
Proprietà topologiche delle tracce
155
4.3.3.6
Proprietà topologiche della segnaletica
156
3
4.3.4 Fenomenico/metrico
157
4.3.5 Azioni
159
4.3.5.1
Azioni fatte da chi?
159
4.3.5.2
E che tipo di Azioni sono descritte?
162
4.3.6 Cause
167
4.3.7 Frequenza di riferimenti a proprietà/stati del sinistro che utilizzano strutture contrarie (poli o intermedi)
172
Conclusioni
175
Bibliografia
187
Appendice
204
4
Alla persona che spesso mi ha abbandonata (e che probabilmente lo farà ancora) ma che alla fine è sempre tornata: me stessa. Grazie a tutti coloro che erano lì ad accoglierla …. compreso chi non c’è più.
5
Introduzione
Dopo aver ascoltato due testimoni oculari di un incidente stradale, ci si comincia a preoccupare di come si fa la storia W. Grimes
Nell‟ambito del diritto, la testimonianza occupa un posto centrale perché, attraverso questo strumento di prova, i vari attori dello scenario giuridico (Giudici, avvocati, polizia, periti) conducono, ognuno rispetto alla propria funzione terza o di parte, un‟ indagine tesa a conseguire un giudizio di merito circa circostanze di natura legale, seguendo un percorso di metodo nella sostanza piuttosto simile alle fasi di una ricerca scientifica: si parte da una ipotesi della quale si deve verificare la fondatezza (ragione sostenuta), si vagliano gli avvenimenti e le situazioni che possono convalidarla o confutarla (valutazione delle prove), si elaborano i dati (che, in questo caso, costituiscono la struttura della motivazione della decisione) per poi pervenire a delle conclusioni (fase decisoria coerente con le prove raccolte). Seguendo questo parallelismo, la testimonianza costituisce, quindi, una delle fonti di estrapolazione dei dati; la prima in assoluto agli albori del diritto e la fondamentale, tra altre, nell‟arco della storia processuale. Oggi questa sua prevalente valenza è stata messa in discussione sostanzialmente da due fattori: dall‟introduzione di tecniche scientifiche di indagine (es. DNA, BPA ovvero analisi macchie sangue) e dalla attenzione della comunità scientifica ai processi psicologici sottesi ad essa. Le due cose, chiaramente tra loro non dipendenti, hanno in comune però la finalità di apportare quanta più oggettività possibile ad una attività che ha gli stessi limiti della fonte di provenienza: l‟uomo. Il diritto, per ovviare ad essi, ha ritenuto di imprimere garanzie sia alla fase di raccolta delle narrazioni testimoniali sia a quella dell‟analisi mediante procedure via via sempre più formali, attraverso modelli processuali codificati o comunque protocolli extra codex che, sia pur meno rigorosi, hanno pur sempre lo scopo di reperire informazioni per l‟accertamento e la ricostruzione del fatto; ma la nascita della psicologia giuridica1 dimostra che essi, pur costituendo un valido paradigma per la verifica del rispetto, o meno, delle regole procedurali, si pongono a valle rispetto ai 1
Settore della psicologia che si occupa di applicare la stessa al mondo legale e forense, individuando nella psicologia il proprio referente scientifico, da cui trae teorie e metodi, e nel diritto il proprio referente di contesto rispetto al quale verifica l'efficacia dei propri modelli ed interventi.
6
processi cognitivi coinvolti nell‟attività testimoniale, a volte quasi astraendosene; pertanto, la conoscenza degli elementi basilari della psicologia della testimonianza è fondamentale per tutti gli operatori del diritto per comprendere come la percezione, la memoria, le intenzioni e la suggestione possano influire sulla stessa e per predisporre, conseguentemente, strumenti idonei per meglio valutare la sincerità, credibilità e attendibilità del terzo osservatore nonché protocolli più adeguati per la raccolta della testimonianza. L‟interazione tra diritto e psicologia, in questo senso, ha già prodotto risultati in Gran Bretagna (Irving, 1980)2 e negli Stati Uniti dove, decenni di ricerche sull'interrogatorio e sul riconoscimento, hanno aiutato il legislatore a predisporre nuove regole nel processo soprattutto penale. In quest‟ambito, il focus della presente ricerca è mirato al processo percettivo ed, in particolare, al rapporto intercorrente tra quanto percepito e la relativa descrizione. La prospettiva è piuttosto nuova, stante la scarsità di ricerche sul tema, in quanto affronta la questione della componente percettiva di una testimonianza sotto il profilo fenomenologico/descrittivo ovvero si occupa del cosa (e quanto) e del come (ovvero con quale modalità) il teste descrive un fatto, valutando la completezza della sua descrizione; tale argomento coinvolgerà, come vedremo, questioni ontologiche (mondo fisico vs mondo fenomenico), epistemologiche (procedure/protocolli) e metodologiche (individuazione dell‟oggetto descritto). La scelta parte dalla considerazione che l‟analisi del contenuto di quanto descritto, nel contesto sopra delineato, costituisce le fondamenta di una struttura alquanto complessa; infatti, la valutazione circa la credibilità, attendibilità, sincerità del teste, che passa attraverso i diversi criteri che la produzione scientifica in materia ha fornito, deve necessariamente tener conto anche di un parametro oggettuale e modale (il cosa e il come appunto) all‟interno di un preciso contesto teorico-metodologico (nel nostro caso quello della fenomenologia della percezione). L‟indagine è stata svolta su un corpus di 50 sinistri stradali, con soli danni ai veicoli, rilevati da un Comando di Polizia Municipale della Regione Marche; ogni referto di sinistro contiene documenti, in numero variabile, provenienti da diversi soggetti (persone coinvolte e non, operatori) che narrano/descrivono l‟evento fornendo 2
A seguito delle ricerche condotte la Gran Bretagna istituì, nel 1992, una Commissione allo scopo di stendere un manuale per la conduzione degli interrogatori; nei Tribunali britannici, attualmente, non si accettano prove testimoniali dalle quali risulti l‟utilizzo di metodi intimidatori o rese a seguito di domande fuorvianti. Gli interrogatori vengono registrati e, in difetto, le testimonianze non sono ammesse; il Giudice, quindi, ha così la possibilità di verificare la modalità dell‟interrogatorio e decidere se la prova può essere accettata o meno.
7
informazioni utili alla ricostruzione dello stesso. In particolare si è voluto verificare, attraverso una griglia di classificazione creata ad hoc e composta da elementi ritenuti costitutivi dell‟evento sinistro e relative proprietà: 1) quali sono gli aspetti e dimensioni dell‟evento che vengono generalmente riportati/rilevati e quali omessi; 2) quanto le descrizioni si compongono di dati fenomenici e metrici (e come essi vengono comparati /confusi); 3) quali siano le differenze/concordanze descrittive entro e tra i referti. La presente tesi si struttura in una sezione storico giuridica che ripercorre le tappe fondamentali che hanno condotto alla nascita della psicologia giuridica ed in particolare della psicologia della testimonianza (cap. 1), in una sezione psicologica che evidenzia alcuni aspetti problematici dei processi cognitivi relativi al linguaggio, memoria, intenzione e narrazione, ritenuti di interesse relativamente alla testimonianza (cap.2), in una sezione percettivo-fenomenologica nella quale viene delineato il contesto teorico - metodologico di riferimento all‟interno del quale lo studio è stato condotto (cap.3); nel capitolo 4 viene illustrata la ricerca ed i relativi risultati. Infine, nelle conclusioni, vengono suggeriti degli spunti per ulteriori ricerche di base e per sviluppi sul piano operativo-formativo.
8
Capitolo 1) La testimonianza legale e la psicologia giuridica: cenni storici 1.1 Introduzione Secondo i padri della psicologia giuridica, la testimonianza possiede una componente di verità oggettiva e una parte di costruzione soggettiva che si unisce, si sovrappone o si sostituisce alla prima totalmente o parzialmente in maniera conscia o inconscia (Altavilla, 1948). II contenuto della deposizione, quindi, non è mai la pura riproduzione fotografica di un evento, ma il prodotto di una molteplicità di fattori rappresentati dagli elementi di quel fatto obiettivo, dalla natura stessa della personalità psichica del testimone e dalle situazioni esteriori che, nel passato, hanno agito e continuano ad agire sul testimone stesso (Musatti, 1931). Nella dichiarazione testimoniale intervengono, infatti, una serie di processi psicologici; una ricerca sul tema impone allora di delimitare, all‟interno di essi, gli aspetti cognitivi che si vogliono indagare e di definire il tipo di impostazione teoricometodologica entro cui farlo. La testimonianza, intesa in senso più generale come narrazione di fatti dei quali si ha una conoscenza diretta o indiretta, ha insito il rischio dell‟in-affidabilità e fallacità siano esse volute o meno da parte del teste. I resoconti di avvenimenti sono alla base di numerose scienze, antiche e contemporanee, ognuna delle quali si è data criteri propri di lettura circa l‟attendibilità, la credibilità e la veridicità di quanto raccontato. Tucidide, ad es., ne parla nel capitolo sul metodo (I 22, 2-3): “I fatti concreti degli avvenimenti di guerra non ho considerato opportuno raccontarli informandomi dal primo che capitava, né come pareva a me, ma ho raccontato quelli a cui io stesso fui presente e su ciascuno dei quali mi informai dagli altri con la maggior esattezza possibile.[3] Difficile era la ricerca, perché quelli che avevano partecipato ai fatti non dicevano tutti le stesse cose sugli stessi avvenimenti, ma parlavano a seconda del loro ricordo o della loro simpatia per una delle due parti”.3 Questo passo, oltre a denotare il tentativo di fondare il racconto storico su un metodo scientifico, pone l‟accento su alcuni aspetti essenziali della testimonianza: conoscenza diretta dei fatti (testimonianza oculare), accuratezza, attendibilità, esattezza. In sostanza, lo storico vuole precisare che la sua opera narra di avvenimenti visti da lui stesso, o ricavati da fonti dal medesimo verificate, pur nella consapevolezza che le 3
La traduzione di tutti i passi dell‟opera tucididea è quella di Moreschini, C., nella revisione di Ferrari, F. (1998) in: Tucidide. La guerra del Peloponneso. Voll. I-III, introd. di M.I. Finley, note di Giovanna Daverio Rocchi, Milano: BUR.
9
testimonianze dirette proprie, o di altri soggetti, circa gli eventi da lui narrati non sono una garanzia di imparzialità né di affidabilità di quanto ricordato. Lo scopo di Tucidide, naturalmente, era solo quello di indicare parametri di attendibilità dello storico piuttosto che della storia e, in tal senso, siamo su un piano del tutto diverso da quello di cui si occupa la psicologia della testimonianza; ad ogni buon conto è interessante vedere come la testimonianza abbia posto, a più livelli, una serie di questioni generali (affidabilità del racconto e della memoria, credibilità, verità) trasversali a molte discipline (come nel nostro caso, appunto, diritto e psicologia) ognuna delle quali ha poi cercato, a sua volta, di darsi canoni metodologici all‟interno di un proprio contesto teorico di riferimento per poi trovare ambiti integrati di applicazione (es. psicologia giuridica), pur nel rispetto del vincolo della diversità di metodologia e oggetto di indagine.4 Per quanto riguarda la scienza giuridica, l‟esigenza di individuare canoni attraverso i quali determinare la capacità di testimoniare, l‟utilizzo del resoconto, l‟interpretazione dello stesso rispetto alla credibilità, attendibilità e veridicità, trova la sua motivazione nella funzione stessa che la testimonianza svolge: essa è infatti uno strumento di prova per ricostruire un fatto rispetto al quale un terzo (Giudice o anche altri soggetti es. operatori di polizia) adotterà una decisione con eventuali conseguenze sanzionatorie /risarcitorie. Tale problematica ha origini lontane: nel codice Manu, anche Mãnava Dharmasãstra o “Manusmrti”, la cui la datazione risale tra il II secolo A.C. e il II secolo D.C. (Doniger, 1996), pur essendo un insieme di insegnamenti filosofici e morali della tradizione indiana, già si rintracciano alcuni dei fattori che il diritto, e successivamente la psicologia, prendono a vario e diverso titolo come incidenti sulla testimonianza quali l‟età, le patologie, i fattori fisiologici (Tesoro, 1929); il libro VIII regola quello che noi oggi definiamo diritto processuale stabilendo numerosi principi (definiti leggi) che riguardano il testimone. Riporteremo di seguito alcuni tra quelli che contengono aspetti che costituiranno, millenni dopo, ambiti di indagine scientifica sia per il diritto che per la psicologia (come vedremo nei successivi paragrafi): Law 25: By external signs let him discover the internal disposition of men, by their voice, their colour, their motions, their aspect, their eyes, and their gestures.
4
V. infra par. 1.3 p.17.
10
Law 26: The internal (working of the) mind is perceived through the aspect, the motions, the gait, the gestures, the speech, and the changes in the eye and of the face. Law 61: I will fully declare what kind of men may be made witnesses in suits by creditors, and in what manner those (witnesses) must give true (evidence). Law 64: Those must not be made (witnesses) who have an interest in the suit, nor familiar (friends), companions, and enemies (of the parties), nor (men) formerly convicted (of perjury), nor (persons) suffering under (severe) illness, nor (those) tainted (by mortal sin). Law 66: Nor one wholly dependent, nor one of bad fame, nor a Dasyu, nor one who follows forbidden occupations, nor an aged (man), nor an infant, nor one (man alone), nor a man of the lowest castes, nor one deficient in organs of sense. Law 67: Nor one extremely grieved, nor one intoxicated, nor a madman, nor one tormented by hunger or thirst, nor one oppressed by fatigue, nor one tormented by desire, nor a wrathful man, nor a thief. Law 70: On failure (of qualified witnesses, evidence) may given (in such cases) by a woman, by an infant, by an aged man, by a pupil, by a relative, by a slave, or by a hired servant.5 Nella monumentale opera di riforma del diritto romano da parte di Giustiniano (Novus Codex Iustinianus repetitae praelectionis, entrato in vigore il 29 dicembre 534 D.C.) vengono precisamente stabiliti i canoni di assunzione della prova testimoniale ed i criteri di valutazione della stessa. Per esempio: Dig. 22.5.2: Modestinus 8 reg.: In testimoniis autem dignitas fides mores gravitas examinanda est: et ideo testes, qui adversus fidem suae testationis vacillant, audiendi non sunt. (Trad.: Durante le testimonianze devono essere analizzati la serietà della condotta e il grado di attendibilità: pertanto non devono essere ascoltati i testimoni dei quali è in dubbio l‟affidabilità). Dig. 22.5.3: Callistratus 4 de cogn.: Testium fides diligenter examinanda est (Trad.: Deve essere esaminata accuratamente l‟affidabilità/intenzione dei testi). Dig. 22.5.16: Paulus 5 sent.: Qui falso vel varie testimonia dixerunt vel utrique parti prodiderunt, a iudicibus competenter puniuntur. (Trad.: Coloro che diranno il falso o in varie testimonianze o lo racconteranno a ciascuna delle parti devono essere puniti dai Giudici competenti). 5
. The Laws of Manu. George Bühler, translator (Sacred Books of the East, Volume 25).
11
CJ.4.20.2: Imperator Alexander Severus: Si tibi controversia ingenuitatis fiet, defende causam instrumentis et argumentis, quibus putas: soli etenim testes ad ingenuitatis probationem non sufficiunt. (Trad: Se dovesse insorgere una disputa circa la sincerità, difendete la causa con gli strumenti e argomenti che ritenete opportuni: infatti non è sufficiente ai fini della prova la sola sincerità dei testi). CJ.4.20.3: Imperatores Valer., Gallien.: Etiam iure civili domestici testimonii fides improbatur (Trad.: Anche il diritto civile di famiglia smentisce l‟affidabilità del teste). Nel Codex vi è quindi una parte dedicata alle regole che sovrintendono alle prove ed alla loro assunzione: la testimonianza viene disciplinata tanto sul piano di chi è legittimato a renderla quanto su quello dei criteri d‟interpretazione, coniugando in maniera bilanciata il principio del libero convincimento del Giudice, la formulazione del giudizio finale tenuto conto delle prove offerte e, infine, il principio di cautela alla luce del quale valutare l‟attendibilità sia di quanto raccontato sia di chi racconta in relazione alle condizioni economico-sociali ed ai rapporti tra il teste e le parti del processo (Provera, 1979). Le tecniche di interrogatorio contenute nel manuale di Eymerich - 1503 (De Cataldo Neuburger, 2009), al netto del giudizio storico - morale circa il periodo della Santa Inquisizione, costituiscono una sorta di ante litteram delle più moderne ed attuali strategie investigative (es. Reid Tecnique, v. infra 2.4.2 a p. 56 nota 142 e a p.59 nota 145), il cui ultimo scopo è quello di decontaminare le dichiarazioni da menzogne o falsità attraverso una specifica formazione degli investigatori. Il diritto, quindi, per millenni, ed in relazione al contesto storico-sociale, ha via via fissato (e modificato) regole in materia di testimonianza interessandosi al risultato (dichiarazioni) ed alle sue eventuali contaminazioni ma non al processo psichico sotteso né alle sue implicazioni. E‟ opportuno, quindi, illustrare il percorso che la psicologia giuridica ha avuto sin dalle sue origini, di come essa si sia sviluppata e di come, nel panorama scientifico, sia intervenuta la problematizzazione dei rapporti intercorrenti tra la psicologia ed il diritto rispetto all‟interazione di discipline che per metodo, oggetto ed impiego, sono profondamente diverse. 1.2 Breve storia della psicologia giuridica La psicologia forense, o psicologia giuridica, (della quale la psicologia della testimonianza costituisce una specifica applicazione) è un branca che, sul versante psicologico, si occupa dei processi cognitivo-percettivi relativi ai diversi aspetti della dimensione giuridico-forense, e su quello del diritto studia, da un punto di vista giuridico, le norme per l‟interpretazione ed applicazione delle quali è opportuna, se non 12
necessaria, una valutazione psicologica (cd. diritto psicologico secondo l‟accezione di Gulotta ovvero il punto di vista dell‟operatore del diritto rispetto alla materia); pertanto, costituisce un ambito disciplinare complesso. I vari campi di applicazione della psicologia giuridica, ognuno dei quali richiede competenze e conoscenze specifiche, subiscono rapidi e continui sviluppi (e cambiamenti) dovendosi adeguare ai mutamenti socio-giuridici. In relazione ai contesti di applicazione, la psicologia giuridica si distingue in psicologia: a) legale; b) delle attività e delle dinamiche giudiziarie; c) degli interventi e dei trattamenti conseguenti alle decisioni giudiziarie sia nell‟ambito civile che penale e della formazione per gli operatori della giustizia; d) delle situazioni a rischio in età evolutiva; e) del disadattamento sociale, della devianza, del comportamento criminale (Quadrio, De Leo, 1995); in letteratura si incontra anche la suddistinzione in: Criminale, Giudiziaria, Legale, Rieducativa, Forense, Legislativa (Gulotta et al., 2002). Ma quando nasce la psicologia giuridica? Di seguito daremo conto di alcune tappe fondamentali nello sviluppo di questa disciplina, rimandando per approfondimenti alla fonte bibliografica citata in nota.6 L‟origine dell‟incontro tra diritto e psicologia si ha già alla nascita della psicologia sperimentale ad opera di Wilhelm Wundt (18321920) psicologo tedesco che, nel 1879, fondò a Lipsia il primo laboratorio di Psicologia sperimentale. J. M. Cattel (1860-1944), assistente di Wundt a Lipsia dal 1883 al 1886, fu il primo negli Stati Uniti a condurre studi “informali”7 circa le imprecisioni dei
6
http://www.psicopolis.com/psicopedia/psigiurtimeline.htmn - Storia della psicologia giuridica a cura di: Guglielmo Gulotta, Avvocato Prof. Ordinario di Psicologia Giuridica, Università di Torino, Facoltà di Psicologia con la collaborazione di Antonietta Curci, Università di Bari. 7 Do chestnut or oak trees lose their leaves earlier in autumn? Do horses in the field stand with head or tail to the wind? In which direction do the seeds of an apple point? What was the weather one week ago today?”. Quando J. McKeen Cattell, nel 1893, pose queste domande a 56 studenti universitari alla Columbia University probabilmente stava conducendo uno dei primi studi, sia pure informali, sulla psicologia della testimonianza. Le domande fatte furono simili a quelle che "potrebbero naturalmente essere chieste da una corte di giustizia" (Cattell, 1895, p. 761). I suoi soggetti avevano 30 secondi per rispondere indicando anche quale era il loro grado di fiducia in ogni risposta. Egli notò un rilevante livello di imprecisione e un‟ampia gamma di differenze individuali nelle “quote” di fiducia espresse dagli studenti. Le risposte alla domanda meteo, per esempio, erano equamente distribuite su tutti i generi di tempo che sono possibili all'inizio di marzo. Alcuni studenti erano quasi sempre sicuri che le risposte fossero corrette, anche quando non lo erano, mentre altri erano sempre incerti e titubanti anche quando erano corrette.
13
ricordi e il grado di fiducia negli stessi al fine di predire la precisione della memoria8 (Bartol & Bartol, 1994) tanto che alle sue ricerche si attribuisce il merito di aver favorito l‟interesse per la psicologia della testimonianza negli anni successivi; infatti, nel primo decennio del „900, altri ricercatori estesero e replicarono gli esperimenti di Cattel.9 Nel 1908 Hugo Munsterberg,10 direttore del laboratorio di psicologia di Harvard, pubblicò “On the witness stand” propugnando l‟applicazione della psicologia alla legge (le sue indicazioni, però, solo dopo anni furono ritenute condivisibili11 da giuristi e psicologi allorquando, nel 1920, furono introdotti insegnamenti di materie sociali all‟interno delle scuole ad indirizzo giuridico). Già nella seconda metà dell‟800, in Europa, si registrano casi di testimonianza esperta da parte di psicologi nell‟ambito dei processi penali; Schrenk-Notzing è ritenuto il primo psicologo forense per aver testimoniato, nel 1896, in un processo a Monaco circa la suggestionabilità e gli errori di recupero in un caso di omicidio, mentre lo psicologo K. Marbe, allievo di Wundt, fu il primo a partecipare, nel 1911, ad un processo civile (ma in precedenza, in Gran Bretagna, nel 1843, uno psichiatra valutò lo stato mentale del reo al momento del crimine; in Germania, nel 1892, lo stesso K. Marbe testimoniò circa i tempi di reazione in un incidente stradale). In questo periodo, grazie ad un nuovo clima culturale, vi è un fiorire di pubblicazioni sul tema. Per brevità, ne citiamo solo alcune a titolo di esempio, pubblicate nei decenni a cavallo tra la fine dell‟ottocento e il 1920:12 -
In Italia: Ziino, G. (1882). La fisio-patologia del delitto; Bonanno, G. (1896). Il delinquente per passione. Studi di psicologia criminale; Lombroso, C. (1905). La psicologia dei testimoni nei processi penali, "Scuola Positiva", 15; Berardi, V. A.
8
“The jury, or at least the judge, should know how far errors in recollection are normal and how they vary under different conditions”. (Cattel, 1895, p.771, riportato in Bartol, C.R, Bartol, A.M. (1994). Introduction to Forensic Psychology: Research and Application. London: SAGE Publications. 9 Alfred Binet (1900). 10 Allievo di Wundt cercò di convincere l'opinione pubblica che la psicologia ha qualcosa da offrire a tutte le aree di attività umana. Ora riconosciuto da molti come il padre della psicologia applicata, propugnava con forza l‟applicazione della psicologia all‟educazione, industria, pubblicità, musica, arte e, naturalmente, al diritto, in ciò sottraendosi all‟impostazione teorico-metodologica del suo maestro che era diffidente ad applicare la psicologia fino a quando non fosse stata condotta una ricerca sufficiente. L‟influenza di Wilhelm Wundt, che aveva addestrato molti dei pionieri americani nel suo laboratorio di Lipsia (Cattell è stato il primo), fece sì che gli psicologi inizialmente rimasero relativamente disinteressati all‟applicazione della ricerca su temi legati alla legge. 11 Inizialmente subì una forte critica soprattutto da parte di Charles C. Moore, noto avvocato, che contestava a Munsterberg l‟empirismo delle sue ricerche e la scarsa conoscenza delle situazioni attinenti il diritto e di Wigmore che metaforizzò le sue critiche attraverso una forma di cross-esamination nella quale Munsterberg era chiamato a rispondere su una serie di quesiti posti per sconfessare la necessità di applicare la psicologia al diritto. Fonte: Blumenthal, J. A. (2002). Law and social Science in the twenty first century. Southern California interdisciplinary Law Journal, Vol. 12, 1. 12 Si rimanda per approfondimenti alla fonte bibliografica citata in nota 6 p.13.
14
(1908). Giudici e testimoni. Studio di psicologia giudiziaria; Dattino, G. (1909). La psicologia dei testimoni; Fiore, U. (1910). Il valore psicologico della testimonianza; De Sanctis, S., Ottolenghi, S. (1920). Trattato di psicopatologia forense. -
In Europa: Stern,W. (1903). Beiträge zur Psychologie der Aussage (Germania); Wertheimer, M., Klein, J. (1904). Psychologische Tatbestandsdiagnostik. Ideen zupsychologish-experimentellen Methoden zum Zweck der Feststellung der Anteilnahme eines Menschen an einem Tatbestande (Germania); Binet, A. (1905). La science du témoignage ed, in seguito, articoli sull‟"Année Psychologique" (Francia); Freud, S. (1906). Tatbestandsdiagnostik und Psychoanalyse (Austria); Jung, C. (1906). Zur psychologischen Tatbestandsdiagnostik, Die psychologische Diagnose des Tatbestandes (Svizzera); Stern, W. (1908).13 Zeitschrift für Angewande Psychologie (Germania); Benussi (1914). Die Atmungssymptome der Lüge.14
-
Negli Stati Uniti: dal 1909-1917 (ad eccezione del 1916) la "Psychological Review" pubblica un articolo di psicologia applicata al mondo giuridico. Il "Journal of Criminal Law and Criminology" e l‟ "American Journal of Psychology" faranno lo stesso. Verso la fine degli anni venti, e per il successivo decennio, in America si
ravviva l'interesse per la psicologia e le scienze sociali da parte degli operatori del diritto (fino a quel momento le Corti americane avevano diffidato della validità dei test medici e psicologici usati per scoprire la produzione di false testimonianze (bugie) da quando, nel 1921, in un caso di violenza carnale, se ne contestò la affidabilità scientifica tanto da non ammettere più testimonianze esperte): le due nuove prospettive abbracciate in questo periodo dai realisti del diritto sono il behaviorismo e la psicoanalisi. Stern, nel 1939, avviò un laboratorio sperimentale sulla testimonianza:15 egli sostenne che certe patologie psichiche, o particolari età dell‟individuo come la pubertà, 13
Stern è diventato un ricercatore attivo nel campo della psicologia della testimonianza negli anni 19061910. Ha anche contribuito a pubblicare a Lipsia la prima rivista sulla psicologia della testimonianza, Betrage zur Psychologie der Aussage (Contributi alla psicologia della testimonianza). La rivista fu sostituita nel 1908 dalla più ampia Zeitschrift fur Angewande Psychologie (Journal of Applied Psychology), la prima del suo genere. 14 Sulla figura di Benussi si segnala la recente pubblicazione: Zudini, V., Antonelli, M. (2011). La misura della menzogna. Vittorio Benussi e le origini della psicologia della testimonianza. Trieste: EUT. 15 Stern e Liszt condussero un "esperimento di realtà" in una classe di legge, mettendo in scena una lite fasulla tra due studenti su una controversia scientifica. Durante la discussione uno studente doveva tirare fuori un revolver. A questo punto fu chiesto un report sia scritto che orale su alcuni aspetti della controversia. Anche se i testimoni erano studenti di legge che, secondo Stern, dovrebbero conoscere le insidie di testimoniare, nessuno poteva dare un report impeccabile. Il numero di errori del singolo variava da 4 a 12. Inoltre, i ricercatori trovarono che le imprecisioni aumentavano rispetto alla seconda metà dello
15
potevano „inficiare‟ la testimonianza in quanto, in tali condizioni, sarebbe venuta meno la capacità di discriminare la fantasia dalla realtà fattuale.16 Ciononostante, al pari di Binet, Stern attribuiva un gran peso anche agli errori nella conduzione degli interrogatori. In Italia, la prima sistematizzazione degli studi d‟area fino a quel momento condotti fu effettuata dal giurista napoletano, docente di Diritto e Procedura Penale, Enrico Altavilla (1925,1927,1929,1948) con la pubblicazione di “Psicologia Giudiziaria”. Altre opere ritenute ancora come capisaldi della psicologia giuridica (ed in particolare di quella della testimonianza) sono: La psicologia della testimonianza di Tesoro,17 Elementi di psicologia della testimonianza di Musatti,18 Psicologia della testimonianza di Metelli (1943), La bugia in Tribunale di Battistelli (1954). Dagli anni „50 in poi l‟attività e la produzione scientifico-letteraria in questo settore subì un quasi totale arresto dati i diversi orientamenti teorici, tra loro in contrapposizione, che sia nella psicologia che nel diritto si erano diffusi. Un primo stimolo alla ripresa degli studi si ebbe, nel 1966, con la traduzione di E. Miray López, Manuale di Psicologia Giuridica; ma la vera ripresa della psicologia giuridica italiana può essere collocata verso la fine degli anni '70, grazie alle opere di studiosi come Gaetano De Leo, Luisella De Cataldo, Guglielmo Gulotta, Fulvio Scaparro (questi ultimi tre fondatori a Milano, nel 1977, del Gruppo di Psicologia Giuridica).19 La psicologia giuridica, quindi, è una disciplina che, in via generale, si occupa dei fenomeni riguardanti individui e gruppi nel settore della giustizia, adottando teorie e metodi della psicologia e che, al suo interno, è oggi distinta in ragione del campo di applicazione. Ai suoi albori era generalmente intesa come psicologia criminale, successivamente definita (o comunque distinta come vedremo in seguito) psicologia giudiziaria a sua volta differenziata in criminale, giudiziaria, carcerario e legale20 in base alla posizione, ruolo o qualità che il soggetto assumeva nell‟ambito del diritto scenario quando l'eccitazione e la tensione erano all'apice. Conclusero - provvisoriamente - che "le emozioni riducono la precisione di richiamo” 16 Nella sua ricerca Aussage, Stern concluse, tra le altre cose, che "la sincerità soggettiva" non garantisce la "veridicità oggettiva", che le questioni più importanti e suggestive contaminano l'accuratezza delle testimonianze oculari di eventi critici, che ci sono importanti differenze tra testimoni adulti e testimoni bambini, che le informazioni sono di valore limitato quando i membri non sono stati abbinati per età e aspetto fisico e che gli eventi, intercedendo tra un evento iniziale e il suo richiamo, possono avere effetti drastici sulla memoria. 17 Op. cit. 18 Op. cit. 19 I cui studi e opere saranno spesso citati nel corso della tesi e per i quali si rimanda alla bibliografia generale. 20 Ferri, E. (1925). Introduzione a: Altavilla, E. Psicologia Giudiziaria. Torino: Unione TipograficoEditrice Torinese, p. XXIII.
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sostanziale e processuale penale. Nella prefazione all‟opera di Altavilla, Ferri (1925) precisa che essa si occupa del “delinquente nel suo contegno processuale quale imputato” e anche “del contegno delle altre persone che partecipano al processo penale: parte lesa, denunziante, testimoni, accusatore, difensore, giudice”.21 Questa digressione è utile per orientare il lettore rispetto ai termini che, di volta in volta, gli studiosi del settore hanno utilizzato per qualificare diversamente o la materia (psicologia giuridica) o gli ambiti di applicazione ma che, sostanzialmente, individuano la stessa cosa essendo la diversità legata più agli interessi di indagine derivanti dal contesto storico-sociale dell‟epoca che non a differenti estensioni concettuali. In ogni caso, la psicologia della testimonianza, oggi come allora, è una specifica applicazione della psicologia giudiziaria sia essa intesa come macro-disciplina (attuale psicologia giuridica) o come settore di studio e attuazione.
1.3 Le interazioni tra la psicologia e il sistema del diritto: classificazioni “Tanto la scienza psicologica quanto la scienza giuridica rappresentano degli apparati intellettuali che si propongono una definizione del comportamento. Entrambe perseguono uno scopo descrittivo, che consiste nell'inquadramento di quanto avviene attorno a noi in schemi ed in categorie che permettano in primo luogo di stabilire che cosa è successo. Ci si sforza insomma di sapere «Chi, Come, Dove e Quando» ha messo in atto un qualche comportamento. E tutti, psicologi e avvocati e giudici, utilizziamo come parametro di riferimento, per la nostra lettura del reale, il soggetto uomo”.22 La citazione riportata favorisce l‟introduzione degli aspetti problematici del rapporto tra diritto e psicologia; infatti ogni disciplina ha un suo sistema di classificazioni basato sulla propria funzione, sull‟eventuale finalità applicativa, su metodi di sviluppo, verifica e falsificazione delle proprie teorie e conclusioni. Nel caso del diritto e della psicologia, riprendendo la sistematizzazione di Quadrio e Castiglioni (1995), il primo ha un carattere descrittivo-esplicativo della struttura della condotta dell‟uomo rispetto non a come è ma a come dovrebbe essere (quindi con valenza prescrittiva), la seconda può perseguire sia finalità descrittive sia finalità operative; se descrittivo-esplicativa, la psicologia rientra nella categoria delle scienze umane teoretiche, se applicativa essa appartiene alla categoria delle scienze 21
Ibidem, p. XXIII. Perussia, F. (1988). Criteri giuridici e criteri psicologici: Note sullo scambio epistemologico fra psicologia e diritto. In: De Cataldo Neuburger L.(a cura di). La giustizia penale e la fluidità del sapere: Ragionamento sul metodo. Padova: Cedam, pp.73-92. 22
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umane pratiche. In letteratura vi sono due modelli di classificazione delle interazioni tra diritto e psicologia: a ) la psicologia nel diritto quale disciplina applicata (con uno statuto autonomo rispetto al diritto e svincolata dalle funzioni ausiliarie e probatorie) e la psicologia per il diritto quale scienza squisitamente ausiliaria (Muñoz Sabaté, 1980); b) la tripartizione proposta da Haney (1980) è centrata sullo specifico focus di interazione tra psicologia e diritto: 1) psychology in the law: “by which [I mean the] conventional use of psychology by lawyers in the legal process. Psychology, in this sense, is used by the law in the ordinary conduct of its legal business: psychological material is applied within the confines of standard legal categories and in the typical course of legal process”;23 2) psychology and law: “by which we would mean the coequal and conjoint use of psychological principles to analyze and examine the legal system. Here psychology is not encompassed by or submerged in the legal system, but rather stands as a discipline apart, employing its perspective to evaluate the law critically, from a psychological point of view”;24 3) psychology of law: “finally, it is possible to think of "the law" in somewhat monolithic and abstract terms-as a more or less organized body of rules by which people regulate their behavior. As such, it can be an object of psychological study in itself. This putative relationship between the disciplines is best described as a "psychology of law," because psychology is used to explain the existence and effects of law qua law”.25 Per Haney i conflitti tra psicologia e diritto derivano dalle diverse caratteristiche delle due discipline ovvero: innovazione vs stabilità, scienza empirica vs principio d‟autorità, metodo sperimentale vs processo accusatorio, descrizione vs prescrizione, approccio nomotetico vs approccio idiografico, probabilismo vs certezza, proazione vs reazione, osservazione vs intervento. “Anche quando la psicologia giuridica ha funzioni probatorie e ausiliarie, non può che avere (altrimenti fallisce doppiamente, come disciplina scientifica e come disciplina ausiliaria del diritto) come referenti primari i criteri scientifici e metodologici della psicologia, affermando quindi la propria differenza e la propria autonomia rispetto al diritto. Tuttavia, nel contempo, anche quando la psicologia giuridica non ha funzioni consulenziali e probatorie, essa non può che contestualizzarsi nei sistemi in cui il diritto si esprime e produce interazioni tra soggetti umani e ruoli 23
Haney, C. (1980). Psychology and Legal Change: On the Limits of a Factual Jurisprudence. Law and Human Behavior, Vol. 4, No. 3, pp. 147-199, 153. 24 Ibidem, p. 154. 25 Ibidem, p. 156.
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istituzionali, poiché una scienza applicativa che non riesce ad “assumere” il contesto nel quale propone le proprie prestazioni perde, per questa sola ragione, consapevolezza e scientificità e può anche “delirare” verità prive di senso”.26
1.4 Il background della psicologia giuridica in Italia La psicologia giuridica, quale frutto di interazione di due rami scientifici, si è quindi avvalsa per il suo nascere ed affermarsi dell‟apporto di giuristi e psicologici, ad alcuni dei quali, precipuamente, va ascritto il titolo di fondatore (o meglio di cofondatore) della materia nel senso di aver fornito gli elementi di base per l‟impianto, che ancora su di essi si poggia, sviluppatosi poi negli anni fino ai nostri giorni. Di seguito, in particolare, saranno esposti i fattori e le funzioni cognitive sui quali si è focalizzata l‟attenzione degli studiosi sin dal nascere della psicologia giuridica e che, come vedremo, ancora oggi costituiscono campo di indagine con esiti, alcune volte, non sempre condivisi. - Il campo di applicazione della psicologia giuridica come disciplina autonoma: l‟ultimo ventennio del 1800 fu caratterizzato dalla contrapposizione di due scuole di pensiero rispetto al diritto penale: quello classico (il cui massimo esponente è Carrara) e quello positivo (Ferri, Lombroso, Florian). La scuola classica nasce durante l‟Illuminismo come risposta reattiva alla situazione politica, sociale e giuridica italiana e contro il sistema penale allora vigente che prevedeva pratiche di tortura e crudeltà delle pene. "Il reato è violazione cosciente e volontaria" del precetto penale, ma il carattere colpevole di quella volontà, rispetto all'alternativa tra il bene e il male, consiste nella “concreta capacità di intendere il valore etico-sociale delle proprie azioni e di determinarsi liberamente alle medesime, sottraendosi all'influsso dei fattori interni ed esterni":27 ne deriva che gli individui affetti da anomalie psichiche, o comunque immaturi, non sono liberi e, quindi, non hanno la libertà di scelta. Per la scuola positiva, invece, il principio cardine in base al quale spiegare i fenomeni, fisici e psichici, individuali e sociali, è quello di causalità; di conseguenza, per i positivisti, il delitto è il prodotto non di una libera e responsabile scelta, ma di un triplice ordine di cause: antropologiche, fisiche e sociali.
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De Leo, G., Castiglioni M. (1995). Interazioni concettuali fra psicologia e diritto: In: Quadrio, A., De Leo, G. (a cura di). Manuale di Psicologia Giuridica - Parte prima. Milano: LED. 27 Mantovani, F. (1992). Diritto penale. Padova: Cedam, p. 560.
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L‟attenzione del diritto penale, pertanto, si sposta dal fatto “reato”, astrattamente considerato, alla personalità del delinquente in concreto, dalla colpevolezza alla pericolosità sociale dell'autore "intesa come probabilità che il soggetto, per certe cause, sia spinto a commettere fatti criminosi"28 (principio di responsabilità sociale). Il progetto di riforma del processo penale del 1911 (approntato da FinocchiaroAprile) fu l‟occasione, per la scuola positiva, di far valere il nuovo approccio alla tematica e toccò proprio a Ferri relazionare a Montecitorio, il 22 maggio del 1912, le istanze dei positivisti (tra l‟altro anche tra loro divisi rispetto al versante da cui si affrontava la questione: vi erano sostenitori di un approccio antropologico – Lombroso – e di un indirizzo sociologico – Florian). Dalla sintesi che Ferri fece delle diverse visioni emergono tre fattori ritenuti essenziali: la personalità psicologica, quella sociale (famiglia, scuola, società,) e quella giudiziaria del soggetto. Il suo concetto di politica criminale è ancora però esclusivamente giuridico tanto è vero che, in disaccordo con Von Liszt (docente di diritto penale all‟Università di Marburgo e illustre studioso della criminologia), sosteneva una non esatta collocazione delle teorie della scuola positiva allorquando si invocava l‟impiego di scienze ausiliarie nel diritto penale (quali l‟antropologia, psicologia e statistica criminale); la politica criminale, intesa come principi basati su un metodo scientifico di indagine del delitto (e relative pene), era comunque, e doveva rimanere, distinta dal diritto penale che studia il reato da un punto di vista strettamente giuridico. A Ferri inoltre si deve l‟introduzione, in Italia, della distinzione tra psicologia criminale e psicologia giudiziaria già teorizzata dallo psicologo svizzero Edouard Claparède nell‟articolo Psychologie Judiciaire pubblicato sull‟Anèe Psychologique nel 1906. Nell‟ambito del V Congresso Internazionale di Antropologia svoltosi a Colonia nel 1911, Ferri presentò la relazione “Psicologia criminale e psicologia giudiziaria” delineandone rispettivamente l‟oggetto e le metodologie di studio. La diversificazione che egli fa è il risultato dell‟interesse che, alla fine dell‟800, studiosi del diritto rivolsero alla psicologia scientifica che sembrava essere in grado di
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Ibidem, p. 562.
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fornire criteri di attendibilità e veridicità delle ricostruzioni testimoniali. La psicologia giudiziaria, secondo Altavilla, “[...] studia l’imputato, il testimone, la parte lesa come fonti di prova, esamina l’avvocato, il Pubblico Ministero, il Giudice, per sorprendere l’origine psicologica di quella risultante di tutti questi fattori ch’è la sentenza. Essa perciò, in un pallore, in una contraddizione dell’imputato, nella parola di un teste, cerca di sorprendere la verità”.29 De Santis (1913) nell‟opera “La psicologia giudiziaria” delinea i confini tra psicologia criminale e giudiziaria ascrivendo alla prima lo studio del reo e alla seconda quello degli altri soggetti agenti (Giudici, avvocati) ivi compresi i testimoni ed i loro reports. Per Musatti lo scopo principale della psicologia della testimonianza è quello di individuare criteri rigorosi e certi in base ai quali interpretare le deposizioni e pervenire, attraverso esse, alla ricostruzione “obiettiva del fatto o accadimento reale”,30 mentre il suo oggetto di studio riguarda “funzioni di coscienza le più disparate”31 (percezione, memoria, stati suggestivi, funzioni relative all‟espressione verbale). Proprio l‟interesse ad indagare la testimonianza da un punto di vista psicologico (la moderna psicologia della testimonianza) costituì la spinta propulsiva per la nascita della psicologia giudiziaria come materia autonoma, dando così i “natali” all‟attuale psicologia giuridica sulla scorta delle prime ricerche empiriche, e dopo sperimentali, sulla psicologia della testimonianza.32 - Elementi oggettivi e soggettivi di una testimonianza: definiti come la “capacità psicologica dell’individuo a testimoniare, proprietà dell’oggetto o dell’avvenimento ad essere testimoniato e ricordato”,33 ovvero come il grado di capacità testimoniale presente comunque in ognuno, che può essere pregiudicata da fattori estrinseci ed intrinseci affrontando temi quali, ad esempio, la suggestione,34 l‟attenzione, l‟emozione e lo stato degli organi di senso.35
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Altavilla, E. (1924). Introduzione alla prima edizione. Bellavista, settembre. Op. cit. p. 11. 31 Ibidem, p. 11. 32 In: The handbook forensic psychology (2006). Hoboken, New Jersey: John Wiley & Sons. Chapter One: History of Forensic Psychology (Bartol & Bartol). 33 Altavilla, op.cit. p. 457. 34 De Sanctis creò uno strumento detto “suggestimetro”. 35 Relativamente a questi ultimi De Sanctis si rifà agli studi pneumografici di Benussi. 30
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- Funzioni cognitivo-percettive: a) Percezione: Altavilla, nell‟intento di riordinare unitariamente le esperienze di studio fino ad allora intervenute, ma anche di coniugare diritto e psicologia all‟interno del processo cercando di salvarne la loro necessaria autonomia, affronta quasi tutte le tematiche che formeranno oggetto, negli anni successivi, di ricerche ed approfondimenti sia giuridici che psicologici di diverse impostazioni teoriche. In particolare, afferma il carattere relativo e selettivo del percetto: “Ogni percezione è un’analisi parziale della situazione di cui si accentua un tratto a detrimento degli altri [...]36 il mondo esterno giunge al nostro io così come i nostri sensi ce lo presentano, variando perciò non solo da individuo a individuo, ma nell’istesso individuo in ogni istante della sua esistenza. Ogni organo sensoriale ha un processo sensoriale diverso”.37 Sul versante psicologico è Musatti38 a segnalare gli aspetti critici del processo percettivo coinvolto nella testimonianza: per l‟autore i fattori che concorrono al rendimento percettivo (strettamente collegato al prodursi di un errore testimoniale) sono di tre tipi: esterni (stimoli fisici dell‟organo periferico), sensoriali (processo fisiologico) e asensoriali (particolari atteggiamenti di coscienza). Per inadeguatezza percettiva (prodotta da uno o più dei fattori sopra citati) l‟autore intende quei casi in cui il vissuto percettivo non “corrisponde alla situazione obiettiva che dà luogo a quella percezione, ossia quello che noi diciamo realtà”,39 chiarendo la distinzione tra questo tipo di concetto e l‟altro di illusione percettiva (definizione secondo lui poco appropriata perché fa riferimento ad un significato di errore di valutazione e quindi di giudizio).40 b) Il ruolo della memoria (e la sua inaffidabilità) nella ricostruzione dell‟evento: “Il testimone narra un avvenimento, completando la evocazione dei ricordi con l’associazione di cose somiglianti”.41 Secondo Musatti le deformazioni mnestiche di una testimonianza sono i mutamenti che, durante l‟esposizione, subisce l‟oggetto della stessa per effetto del tempo di latenza mnestica. Tra le trasformazioni distingue quelle comuni a tutti i ricordi (oblio) in funzione del tempo trascorso tra l‟esperienza percettiva, quella mnemonica e le altre dipendenti dalle caratteristiche dell‟oggetto per cui esistono elementi che si
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Altavilla op. cit. p. 457. Ibidem, p. 4. 38 Op. cit. 39 Op. cit. p. 29. 40 Riprenderemo più approfonditamente questi concetti nel capitolo riguardante la percezione. 41 Altavilla, op. cit. p. 715. 37
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ricordano meglio di altri secondo il principio di testabilità e memorabilità;42 sulla scorta delle ricerche fino a quel momento condotte (es.Stern) fondatamente conclude che i numeri ed i colori si ricordano in grado minore. Sul punto lo studioso aggiunge che la testabilità e la memorabilità non vanno presi in senso assoluto concorrendo alla capacità mnemonica anche il tipo di memoria sensoriale (visivo, uditivo e motorio). Questo aspetto è importante sul piano applicativo perché sapere a quale “stile” il teste appartiene può avere una grande utilità nella valutazione della testimonianza. c) I fattori che alterano percezione e ricordo nella testimonianza della persona che ha subito l‟offesa: “E’ cosa di comune esperienza che chiunque è preoccupato dal timore che qualcuno possa fargli del male, se è aggredito da persona che non riesce a ravvisare, completa il suo percetto, proiettando su di esso l’immagine dell’uomo temuto” ….“l’offeso è portato istintivamente ad alterare la verità, sia per eliminare ogni possibile responsabilità come causa determinante del delitto, sia per peggiorare la condizione dell’imputato. Si comprende perciò come se un’errata narrazione di un giornale di un testimone, fa con questi interessi collimare gli avvenimenti, l’offeso possa essere vittima di una potente suggestione: esso comincia col confrontare i suoi ricordi veri con quanto legge o sente narrare”.43 d) Menzogna e sincerità della testimonianza: Altavilla affronta il tema sotto il profilo delle strategie (reticenza e oblio) che il teste mette in atto per convincere circa la verità delle affermazioni, distinguendo altresì la verità dalla sincerità: “Sono due termini che non si equivalgono, si può essere sincero e non veridico, il che ci porta a distinguere la falsità dall’errore del testimone”.44 “La sincerità ha un valore puramente subiettivo, e si riferisce ad un’attitudine psicologica, alla tendenza a dire quello che si sa e si pensa ed è accompagnata quasi sempre a quell’atteggiamento spontaneo che è la franchezza”.45 L‟articolo Die Atmungssymptome der Lüge di Benussi (1914) [I sintomi respiratori della menzogna], costituisce uno dei contributi più rilevanti nell‟ambito della psicologia della testimonianza riallacciandosi ai lavori di Binet e Stern.46 L‟idea di
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Musatti, op. cit. p.148: riprende questi concetti da Cleparède. Testabilità oggettiva di un elemento percettivo: frequenza con cui l‟elemento appare nelle deposizioni di un gruppo intorno ad un fatto. Memorabilità oggettiva di un elemento percettivo: frequenza con cui l‟elemento è esattamente ricordato e descritto. 43 Altavilla, op. cit. p.388. 44 Ibidem, p. 7. 45 Ibidem, p. 458. 46 Binet, A. (1905). La science du témoignage. L'année Psychologique, XI, Ch. VIII, pp. 128-136. Stern, W. (1903). "Angewandte Psychologie". Beiträge zur Psychologie der Aussage, 1, pp. 4-4.
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base era quella di individuare concomitanze respiratorie costanti per le due situazioni di coscienza, fra loro opposte, date dalla consapevolezza di mentire e dalla consapevolezza di essere sinceri durante una testimonianza rilasciata di fronte a un gruppo di persone. Le concomitanze respiratorie del soggetto furono stimate in base al rapporto fra la durata dell‟inspirazione e della espirazione (v. anche infra par. 2.4.2 p. 55). Sia in questo che in un altro esperimento sui falsi ricordi, utilizzò cartellini quadrati che riportavano al centro il disegno di un oggetto qualsiasi e un certo numero di elementi (omogenei o non) disposti circolarmente oppure su righe verticali o orizzontali. Al partecipante veniva chiesto di descrivere gli elementi presenti nel cartellino sulla base di un criterio preciso: disposizione o qualità o numero o leggendo successivamente gli elementi prima da sinistra a destra, poi dall‟alto in basso, o partendo dalla descrizione della figura centrale. Nel 50% dei casi ai soggetti veniva chiesto di dare una falsa descrizione rispetto a tutti i criteri sopra citati – e presentati nello stesso ordine sia quando si trattava di dare una testimonianza vera che menzognera - cercando di apparire sincero e senza cadere in contraddizione. A tutti, veniva data l‟indicazione di comportarsi in modo da non lasciar trapelare, attraverso la voce, ritmo e velocità, espressioni del volto, il loro reale atteggiamento interno. Alla fine dell‟esperimento ogni osservatore doveva esprimere se ritenevano che il soggetto avesse detto la verità o meno. Benussi così arrivò a stabilire i seguenti quozienti: Qa (media dei respiri – da 3 a 5 – prima della deposizione), Qs (media dei respiri – da 3 a 5 – dopo la deposizione) e in caso di testimonianza sincera si aveva Qa>Qs, in quella menzognera viceversa. 47 Per quanto riguarda la questione sincerità/menzogna di un report testimoniale, Musatti ritiene utile l‟osservazione del comportamento mimico-espressivo del testimone, avvertendo però dal rischio di una dissimulazione delle reazioni emotive mascherandone l‟espressione. Le inibizioni, che costituiscono un ostacolo, possono essere rimosse con due metodi: a) mediante una rilevazione strumentale (riporta un protocollo ideato da Ponzo per il controllo della simulazione della sordità monoauricolare dove viene impiegato anche il pneumografo; b) concomitanze somatiche (respirazione, circolazione sanguigna) rispetto a trasformazioni di stati di coscienza.
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In Musatti, op cit. pp. 207-209.
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e) Il ragionamento ed il processo decisionale del Giudice “Egli (Giudice) deve quindi emettere un giudizio sulla realtà: ora la realtà - il credibile - affonda le sue radici nelle parti più intime dell’io. Dipendenti dalla costituzione individuale del soggetto, dalla sua forza di volontà, dalla sua attenzione, dalle sue opinioni e più ancora dalle condizioni subiettive che la determinano [...] al punto che, anche che due uomini dichiarino di credere all’istessa cosa, hanno tuttavia ognuno una credenza personale.”48 f) Metodi di indagine: come già detto (v. par. 1.2 p.12), è proprio l‟incontro della psicologia sperimentale a favorire la nascita della psicologia giuridica; pertanto tale metodologia è quella che sia giuristi49 che psicologi50 adottano nell‟ambito dei propri studi della psicologia della testimonianza, unitamente a quella differenziale ovvero la ricostruzione di tipi psicologici e professionali mediante psicografie, metodo psicometrico, biografico, morfologico, tecniche di interrogatorio e metodo delle associazioni; in particolare quest‟ultimo venne adottato da De Sanctis (ma anche da Musatti) sulla scorta degli studi di Jung51 e Wertheimer52 da lui stesso citati come autori di riferimento.
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Altavilla, op. cit. p. 708. I meccanismi di ragionamento e decisione che entrano in gioco quando un organo giudicante è chiamato ad adottare un provvedimento (sia esso giurisdizionale o amministrativo) interesseranno varie discipline. Diritto: il movimento del Realismo giuridico, negli anni „20-„30, mette in discussione i principi della passività della decisione giudiziaria e del metodo sillogistico sostenendo che le decisioni sono necessariamente influenzate dalle esperienze personali e convinzioni del Giudice (Cfr. Melton, 1990). Filosofia del diritto: a) Ragionamento giuridico come sillogismo deduttivo (cd. Formalismo); b) Non è possibile dedurre la scelta del Giudice dalla norma (antiformalismo). Le concezioni formalistiche sono quelle che privilegiano tutti quei metodi che, nel ricavare da una disposizione un significato al fine della soluzione di un problema giuridico, si affidano ad elementi che si assumono essere intrinseci alla disposizione in questione, trascurando fattori storici, sociologici, insomma fattori estrinseci. Chi adotta il metodo formalistico presuppone, insomma, che il diritto costituisca una entità autonoma rispetto ai contesti storici, culturali, etico-politici, socio-economici in cui di volta in volta esso si colloca. (Cfr. Tarello, 1974). Psicologia: a partire dagli anni „70, la psicologia della decisione studia “come” effettivamente si prendono le decisioni per comprendere i meccanismi sottostanti i processi decisionali adottando quindi un approccio descrittivo. 49 “Parliamo due lingue diverse; per noi il metodo sperimentale è la chiave di tutte le scienze, per loro tutto proviene dalla deduzione logica e dalle opinioni tradizionali”. Ed anche: “la scuola criminale positiva è caratterizzata dal metodo sperimentale il cui oggetto di studio non è il delitto ma il delinquente”. Ferri, E. (1928). Polemica in difesa della scuola criminale positiva. In Ferri, E. Studi sulla criminalità, p. 176. 50 Benussi applicò il metodo sperimentale alla psicologia della testimonianza attraverso l‟analisi dei sintomi respiratori ripreso poi da Musatti nei suoi esperimenti; quest‟ultimo però, pur riconoscendo la validità dello schema sperimentale ideato da Benussi per la determinazione dei sintomi della menzogna, si rese conto che, lasciando comunque invariate le condizioni essenziali, quel paradigma doveva subire adattamenti se lo si voleva utilizzare in un contesto concreto. 51 Le ricerche di Jung sulla tecnica delle libere associazioni verbali vennero parallelamente applicate in campo giudiziario. Vedi: Jung, C.G. (1908). Le nuove vedute della psicologia criminale. Rivista di psicologia, vol. IV, Bologna, pp. 285-304.
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A Musatti, invece, va ascritto il merito di aver portato dal laboratorio ai casi concreti l‟esperienza sperimentale in psicologia della testimonianza. È la stessa struttura dell‟opera a confermarcelo: l‟autore infatti, prima fa una panoramica dello stato dell‟arte, facendo riferimento alle ricerche e studi fino a quel momento attuati, poi descrive le situazioni sperimentali da lui condotte relativamente a fatti concreti che si svolgono davanti a un certo numero di soggetti con l‟impiego di un filmato semplice, organico e breve. Lo scopo era quello di stabilire un criterio attendibile scientificamente per la valutazione delle testimonianze sulla base della descrizione obiettiva del fatto (v. in questa tesi sez. conclusioni da p.178 -III cpv - a p. 186). Il protocollo prevedeva: 1) la suddivisione del film sperimentale in un certo numero di elementi (T) costituenti la sceneggiatura, ovvero, la descrizione obiettiva del fatto; 2) il conteggio, rispetto a detta descrizione, degli elementi veri (V) e degli elementi falsi (F) riportati; 3) la quantificazione dell' estensione della conoscenza (V/T), dell' estensione della testimonianza (V+F/T), e della fedeltà della testimonianza (V/V+F).53 Giovanni Bruno Vicario, Elena Zambianchi e Lucia Tomat54 hanno riprodotto un esperimento simile adottando però la rivisitazione, in chiave fenomenologica, che del metodo Musatti fece la Zaretti55 la quale, per descrizione obiettiva del fatto, intendeva quella costituita dal totale degli elementi visti anche da uno solo dei partecipanti (v. in questa tesi sez. conclusioni da p.178 -III cpv - a p. 186). I ricercatori poi valutarono i risultati raggiunti sulla base di tutti e due i metodi per riscontrare eventuali differenze; emerse che con il metodo Musatti vi era una diversità, per quanto riguarda l‟estensione della testimonianza, tra la testimonianza di una vicenda "dinamica" (più estesa) rispetto a quella “statica” mentre con il metodo Zaretti non emerge alcuna differenza, nel senso che la testimonianza della vicenda dinamica non è significativamente più estesa di quella della vicenda statica. Per entrambi i tipi di eventi (cioè tanto nel film dinamico che statico) l‟attendibilità della testimonianza, misurata con il metodo Zaretti, risultava significativamente superiore a quella misurata col metodo di Musatti. Ricordiamo che i due metodi differiscono per il prendere Musatti solo alcuni elementi quali oggetto di descrizione, mentre la Zaretti considera tutti quelli che almeno una persona aveva descritto. 52
Nel 1904 elaborò il primo studio sulle applicazione del test delle libere associazioni in campo giudiziario. Vedi: Weirtheimer, M. (1904). Psycologische Tatbestands-Diagnostik. Leipzig:Barth. 53 Op. cit. pp. 112-114. 54 Vicario, L., Zambianchi, E.,Tomat, L. (1992). Testimonianza di vicende dinamiche e statiche: una rivisitazione del metodo di Musatti. Ricerche di Psicologia, n. 3. 55 Zaretti, L. (1968-69). Un'indagine sperimentale di psicologia della testimonianza. Tesi di laurea non pubblicala (relatore prof. G. B. Vicario), Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Trieste.
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In generale, l‟opera di Musatti non solo costituisce ancora un caposaldo della psicologia della testimonianza, ma rappresenta anche un utile vademecum ricognitivo di quanto, nel corso di un trentennio, era stato prodotto in materia; in questo senso si rimanda alla esaustiva rassegna bibliografica del suo libro ove sono citate, appunto, le esperienze più significative dei diversi ricercatori europei (alcuni dei quali già segnalati nel precedente paragrafo).
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Capitolo 2) Fattori cognitivi nella testimonianza 2.1 Premessa Nei successivi paragrafi saranno illustrati i diversi processi psicologici coinvolti in una testimonianza (ad esclusione di quello percettivo, che costituisce il livello su cui si focalizza la presente tesi ed al quale è dedicato specificatamente il capitolo 3) partendo dalla definizione che, di testimonianza, si può dare da questo punto di vista: resoconto verbale (piano 1 – del linguaggio/comunicazione) di eventi dinamici esterni ai quali un osservatore/più osservatori hanno assistito (piano 2 – della descrizione percettiva dell‟evento) e fornito dopo che l‟evento si è compiuto (piano 3 – della componente mnestica). Inoltre, tenuto conto del contesto nel quale la testimonianza viene resa, possono entrare in gioco, come ulteriori variabili, aspetti legati all‟intenzione del teste di dire il vero o il falso (piano 4 – dell‟intenzione). Nelle successive sezioni si prenderanno in considerazione alcune teorie e studi scientifici ritenuti pertinenti alla luce del tenore letterale delle formule di rito56 utilizzate dal sistema processuale italiano in sede testimoniale e delle definizioni che, di testimonianza, i giuristi hanno fornito.57 Infatti, come in seguito vedremo, dalla lettura delle une e delle altre si possono estrapolare alcune caratteristiche della testimonianza riassunte nel modo seguente: a) contenuto dichiarativo (rilevante sul piano del linguaggio; b) implicante un concetto di conoscenza (riguardante memoria e percezione); c) rifacentesi ad un criterio di verità (livello intenzionale).58 Il tentativo, in questo senso, è quello di far emergere altre implicazioni e criticità, ulteriormente sottese al report testimoniale, al fine di stimolare riflessioni ed approfondimenti anche da parte, ma forse soprattutto, di coloro che operano nel settore giuridico (giudici, avvocati, periti, organi di polizia ecc.) allo scopo di promuoverne una sensibilità formativa.
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“Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”. Artt .497 C.p.p. e 251 C.p.c. 57 V. infra par. 2.4 a p. 42: Florian, E. (1924). Delle prove penali in generale. Vol. I, Milano: Vallardi. 58 “La fede che si accorda all’assunto di qualcuno ha per base l’esperienza la quale mostra che l’uomo, per regola, percepisce e narra il vero e solo eccezionalmente si inganna e mentisce” (Carrara) v. par. 2.2 a pp.31-32.
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2.2 Linguaggio: alcuni spunti “Evitare le questioni semantiche il giurista non può: le operazioni da lui compiute riguardano il linguaggio ed hanno come strumento il linguaggio, e ad ogni passo egli deve determinare e foggiare significati, riconoscere, costruire o ricostruire relazioni semantiche e sintattiche e pragmatiche. Se c’è un’attività che richieda una consapevolezza linguistica, questa è l’attività dei giuristi”.59 La testimonianza legale quindi, in quanto atto tipicamente inserito in un contesto giuridico (tanto giudiziale quanto stragiudiziale), presuppone da parte degli addetti ai lavori una sensibilità a porre l‟attenzione sull‟aspetto linguistico60 della stessa tanto è vero che, allo stato, vi sono diversi settori di ricerca, nei quali i linguisti sono chiamati a dare il loro contributo,61
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che promuovono l‟applicazione della linguistica al contesto
giuridico spaziando dallo studio delle caratteristiche e dell‟uso del linguaggio giuridico (grammatica, semantica e pragmatica)63 a modelli di semplificazione dello stesso. Appare interessante sollecitare, pertanto, una lettura in questa chiave sia delle formule previste dai nostri codici processuali, alle quali il teste si sottopone, sia delle definizioni che i giuristi hanno dato di testimonianza. “Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza” (art. 497 Codice Procedura Penale e 251 Codice Procedura Civile): è questa l‟espressione rituale che precede, nel processo civile e penale italiano, una testimonianza. In primo luogo sottolineiamo il fatto che in essa sono già sostanzialmente descritti tutti i processi cognitivi coinvolti nell‟atto di testimoniare (dire: piano linguistico-comunicativo, verità: piano intenzionale,64 conoscenza: piano percettivo e mnemonico, piano narrativo: esposizione, descrizione e organizzazione di fatti).
59
Scarpelli, U. (1969). Semantica giuridica. In: Azara, A., Eula, E. (a cura di). Novissimo Digesto Italiano. Utet: Torino, vol. XVI, p. 994. 60 L‟aspetto della comunicazione verbale, invece, è stato trattato a proposito della problematica verità/falsità della testimonianza v. infra par. 2.4.1 p. 49. 61 De Mauro, T., Vedovelli, M. (2001) (a cura di). Dante, il gendarme e la bolletta. La comunicazione pubblica in Italia e la nuova bolletta ENEL. Roma-Bari: Laterza. 62 Atti convegno: Dalla legge alla legalità: un percorso fatto anche di parole. Firenze, 13 gennaio 2006. Regione Toscana, 2008. 63 Rovere, G. (2005). Capitoli di linguistica giuridica. Ricerche su corpora elettronici, Alessandria: Edizioni dell‟Orso. - Heikki, E. S. Mattila (2006). Comparative Legal Linguistics. Hampshire: Ashgate. 64 Vedi nota n. 58 p. 28.
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Iniziamo con il primo: in questa formula il focus è posto preminentemente sulla componente dichiarativa ed enunciativa (accento che però, secondo Cappelletti65 e Cordero,66 tende a lasciare troppo sullo sfondo le altre attività psicologiche sottese alla testimonianza, e le loro implicazioni, tanto da dare di sé stessa “un’idea piatta”).67 Detta componente suggerisce l‟opportuno rimando a teorie che hanno approfondito la tematica in argomento; ciò per due ragioni: in primo luogo per tentare di far emergere i nodi, a volte problematici, che necessariamente si formano nell‟incontro tra diverse regioni scientifiche, in seconda battuta perché l‟aspetto enunciativo della testimonianza è fondamentale anche rispetto alla questione della verità e menzogna (v. infra par. 2.4 p. 41) costituendone la base (“il criterio della falsità della testimonianza, non dipende dal rapporto tra il detto e la realtà delle cose, ma dal rapporto tra il detto e la scienza del testimonio”).68 In particolare ci si riferisce alla distinzione tra enunciato ed enunciazione intendendo con enunciato “ogni grandezza provvista di senso che rilevi della catena parlata o del testo scritto, precedentemente ad ogni analisi linguistica o logica …… l’enunciato è lo stato che ne risulta indipendentemente dalle sue dimensioni sintagmatiche” (frase o discorso)69 e per enunciazione, in opposizione al primo, “la struttura non linguistica (referenziale) sottesa alla comunicazione”70 (contesto comunicativo o psicosociologico) o come “l’istanza linguistica, logicamente presupposta dall’esistenza stessa dell’enunciato, che ne porta tracce o marche”71 (l‟enunciato come risultato dell‟enunciazione). Tale differenziazione è stata sottolineata soprattutto da Jakobson (1957,1963,1966), che ne evidenzia il carattere comunicativo, e da Benveniste (1966,1974) che invece ne coglie il suo essere processo come «unità osservabile nel comportamento linguistico di parlanti determinati», laddove “unità” indica il complesso di operazioni osservabili dietro l‟enunciato e schematizzato dallo studioso in quattro punti: soggetto enunciatore, uditore, luogo e momento in cui avviene l‟enunciazione, argomento dell‟enunciazione.
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Cappelletti, M. (1962). La testimonianza della parte nel sistema della oralità. Contributo alla teoria della utilizzazione del sapere delle parti nel processo civile. Milano: Giuffrè, Parte Prima, p. 135. 66 Cordero, F. (2006). Procedura Penale. Milano: Giuffrè. 67 Ibidem, p. 669. 68 Carrara, F. (1890). Programma del Corso di Diritto Criminale. Lucca, Parte Generale, Vol. II. 69 Greimas, A. J., Courtès, J. (2007) (a cura di Fabbri, P.). Semiotica: dizionario ragionato della teoria del linguaggio. Milano: Mondadori, p. 102. 70 Greimas, A. J., Courtès, J. op. cit., p. 104. 71 Pronomi personali e possessivi, aggettivi, deittici spazio-temporali.
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Per le peculiari caratteristiche del nostro contesto di riferimento è plausibile ritenere che la testimonianza, sul piano linguistico e riguardo alla sua componente dichiarativa, abbia un legame diretto ed immediato con l‟enunciazione piuttosto che con l‟enunciato tenuto anche conto che, la prima, è messa in moto dalla intenzionalità (diversa dall‟intenzione come atto cosciente di comunicare) rivelata, attraverso indicatori, dall‟atteggiamento verbale del parlante, dalla materia oggetto dell‟enunciato e dal rapporto con l‟ascoltatore. Un„altra sollecitazione proviene dagli art. 497 C.p.p. e 251 C.p.c. sopra citati: crediamo che, in modo pertinente, essi possano essere letti alla luce della teoria degli atti linguistici. Per Searle72 e Austin73 il linguaggio performativo non descrive solo un‟azione ma la compie. Secondo Enrico Pattaro,74 quando si parla di norme, va distinta la fattispecie astratta dalla fattispecie concreta: con fact -type75 egli intende la forma di atto (norma generale), mentre con fact-token si riferisce alla sua messa in esecuzione sia tramite comportamento fattuale ma anche verbale, situazione questa che, nel diritto, è piuttosto frequente (es. un contratto verbale discende da un dire che è anche un fare cioè conclude l‟accordo e quindi, in questo senso, si può parlare di linguaggio performativo nel senso di Searle e Austin), mentre il contenuto della norma è l‟aspetto proposizionale della stessa (o descrittivo). Nel nostro caso potremmo dire che le formule sopra citate costituiscono il facttype (previsione del fatto testimonianza, condizioni formali alle quali è sottoposta), il loro contenuto rappresenta la descrizione proposizionale del meccanismo vincolativo e l‟assunzione di impegno (alias promessa o giuramento) il fact-token. Tali espressioni costituiscono, quindi, un modello giuridico di azione posta in essere tramite una dichiarazione di promessa (aspetto illocutorio nel senso di Austin) con l‟obiettivo perlocutorio di essere (comunque) creduti, essendo quell‟impegno non solo di tipo individuale ma anche pubblico. In un ottica linguistica si potrebbe leggere l‟affermazione del Carrara:“la fede che si accorda all’assunto di qualcuno ha per base l’esperienza la quale mostra che l’uomo, per regola, percepisce e narra il vero e solo
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Searle, J. (1969). Speech Acts. Cambridge, UK: Cambridge University Press. Austin, J. L. (1962). How to Do Things with Words. Oxford: Oxford University Press. Trad. it.: Come fare cose con le parole. Genova: Marietti, 1987. 74 Pattaro, E. (2007). Temi e problemi di filosofia del diritto: storia e teoria. Bologna: Gedit. 75 L‟autore formula questa distinzione sulla base dei concetti di type e token di Charles Pierce per i quali si rimanda alla seguente bibliografia: Peirce, C.S. (1931-58). Collected Papers of Charles Sanders Peirce. Cambridge, MA: Harvard University Press. 73
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eccezionalmente si inganna e mentisce”,76 nel senso che il principio di affidamento, circa le dichiarazioni del teste, trae anche origine non solo da quel tipo di esperienza da lui descritta, ma anche da una evidenza comportamentale di tipo verbale che costituisce il primo step di tutto l‟iter testimoniale; l‟enunciato “mi impegno a…” è performativo perché rispetta una procedura giuridica convenzionale (lettura della formula) in un contesto appropriato (sede processuale). In quanto tale, detta azione non è né vera né falsa (criterio proprio, per Austin, solo degli enunciati descrittivi del tipo “l‟Italia è un isola”) ma felice o infelice laddove per infelicità si intende, per quel che qui interessa, l‟ipotesi in cui il teste non si comporti in conformità dell‟atto eseguito (non dichiara il vero e nasconde quanto sa). Quindi: quale rapporto intercorre tra l‟atto linguistico compiuto con la lettura della formula rispetto al contenuto delle dichiarazioni testimoniali che seguiranno? Di verità/falsità o felicità/infelicità?
2.3 Le memorie testimoniali Il rapporto tra testimonianza e funzionamento della memoria è piuttosto complesso e problematico. Ma si può credere ad un testimone? La questione viene sollevata non in termini di verità di quanto detto (tema che affronteremo nei par. 2.4 p. 41 e 2.4.1 p. 49), ma dal versante della fallibilità della memoria e dei criteri per determinare l‟attendibilità del ricordo ovvero se esso rifletta in modo fedele l‟evento e valutarne così la sua accuratezza precisando che, l‟attendibilità e l‟accuratezza, riguardano gli aspetti percettivi, cognitivi e riproduttivi della testimonianza. Nelle indagini di polizia, infatti, nella quasi totalità dei casi la memoria si forma in seguito ad un apprendimento che non è intenzionale, bensì incidentale. Vale a dire che, quando il soggetto vive l‟esperienza che poi sarà chiamato a riferire, non sa che essa diverrà oggetto di intervista e non è pronto a trattenerne volontariamente il ricordo.77 La credibilità è invece un fattore decisivo nella relazione tra l‟accuratezza di un ricordo e del suo uso in campo giuridico: essa si riferisce ad aspetti personali del teste, motivazionali ed anche di interesse/disinteresse nella vicenda, oltre che a variabili di contesto o delle caratteristiche del ricevente (es. esperto nella materia).
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Op. cit. Draschkow, D. et al. (2013).Task dependent memory recall performance of naturalistic scenes: Incidental memorization during search outperforms intentional scene memorization. Journal of Vision,July 24, vol. 13, no. 9, article 329: lo studio mette in risalto come la qualità del ricordo dipende dall‟uso delle risorse attentive durante la fase percettiva. 77
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Una delle aree di ricerca sulla memoria attualmente più indagate, e di interesse per l‟analisi della testimonianza, è quella dei falsi ricordi: la novità metodologica dei ricercatori, rispetto alla letteratura precedente (v. ad esempio Binet, Stern, Musatti e Bartlett), sta nel creare paradigmi sperimentali nei quali si simulano in laboratorio situazioni comuni che possono essere fonte di falsi ricordi. Un esempio è il protocollo sperimentale creato da Elisabeth Loftus della informazione fuorviante post-evento (sul quale torneremo). L‟interesse degli studiosi per i falsi ricordi ha portato ad una specificazione qualitativa delle peculiari aree di ricerca che si riportano, sostanzialmente, a tre filoni di studio (costituenti altrettanti tipi di false memorie): le false memorie testimoniali, quelle autobiografiche e le false memorie per parole ed oggetti. Qui daremo conto della prima. Il contenuto delle false memorie testimoniali è costituito da avvenimenti, anche complessi, ai quali abbiamo assistito e dei quali siamo chiamati a dare un resoconto ma, nel farlo, il ricordo viene distorto o perché si rievocano elementi in modo diverso dalla “realtà” o perché si raccontano fatti o dettagli, comunque plausibili, non presenti nell‟episodio originario; queste distorsioni possono intervenire sia nella fase di codifica che di ritenzione che di recupero della informazione78 ed anche senza suggerimenti.79 Proponiamo di seguito esempi di esperimenti che riguardano rispettivamente casi di distorsione mnemonica in assenza e con stimoli. Nel 1959 Deese80 presentò ai soggetti partecipanti liste di parole associate tra loro (es. letto-notte-cuscino ecc.): il metodo consisteva nel far leggere ad una persona la lista con il ritmo di una parola al secondo. I partecipanti erano chiamati a scrivere tutte le parole che ricordavano a partire dall‟ultima letta tentando di ricordarle per due minuti; una buona percentuale dei soggetti diceva di ricordare anche la parola sonno
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Cfr. definizione di errore testimoniale di Musatti, op. cit. p. 29: non corrispondenza “…. alla situazione obiettiva che dà luogo a quella percezione, ossia a ciò che diciamo realtà”. 79 Bartlett criticò gli esperimenti condotti da Ebbinghaus (1885) sollevando un problema di validità ecologica: la memoria umana è sempre utilizzata in un contesto dotato di significato, e non su materiale del tutto decontestualizzato. Condusse esperimenti facendo memorizzare ai soggetti brani dotati di senso lavorando con storie che apparivano, per qualche motivo, strane e bizzarre alle persone coinvolte; notò come i soggetti tendevano a riorganizzare gli elementi loro presentati. Questo lo portò a postulare l'esistenza di schemi mentali volti a organizzare in maniera efficace ricordi e conoscenze che facilitavano e guidavano la rievocazione del materiale memorizzato. Alcuni risultati raggiunti da Bartlett, come le distorsioni mnemoniche rappresentate dall‟abbreviazione e semplificazione della storia e dalla perdita di alcune informazioni per ricostruire l‟informazione mnemonica in schemi di eventi noti, sono ancora alla base degli studi sulle distorsioni dei ricordi indagati nell‟ambito della psicologia della testimonianza. Per approfondimenti v. Bartlett, F.C. (1932). Remembering: A study in experimental and social psychology. New York: Cambridge University. 80 Deese, J. (1959). Influence of inter-item associative strength upon immediate free recall. Psychol. Rep.,5, pp.305-312.
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come se l‟avesse vista nella lista. Questo fenomeno fu ristudiato nel 1995 da Roediger e MacDermott81 che confermarono i risultati di Deese. Ma come si è formato il falso ricordo? In questo caso sono le stesse regole di funzionamento del sistema memoria ad esserne stata la fonte; infatti, nella memoria a lungo termine risiedono concetti che si traducono in parole tra loro collegate per associazione o per relazioni logico categoriali. Anche nella testimonianza, quindi, possono avvenire distorsioni di questo tipo, o altre, dovute a fattori esterni quali: a) Domande inducenti (misleading question): nel 1911 Varendonck fece un esperimento in classe con dei bambini chiedendo loro se la barba del loro maestro fosse nera o marrone: gli alunni risposero in percentuali diverse nera o marrone, ma il punto è che il maestro non aveva barba! E‟ un caso questo di domanda che contiene informazioni non corrispondenti alla realtà. Con riferimento specifico alla testimonianza, Gudjionsson82 validò una teoria secondo cui l‟individuo tende ad inserire nel proprio ricordo anche elementi facenti parte della domanda (interrogative suggestionability). Con le sue ricerche egli dimostrò che le domande inducenti modificano le descrizioni soprattutto nel caso di feedback negativo. b) Domande fuorvianti (misinformation) nella fase di recupero: l‟influenza delle domande sui ricordi è stata studiata anche da Elisabeth Loftus; venne proiettato un breve film di incidente stradale al termine del quale fu chiesto ad un gruppo se avesse visto il semaforo rotto e all‟altro se avesse visto un semaforo rotto.83 Il primo gruppo rispose di aver visto il semaforo con molta più frequenza: quindi la creazione del falso ricordo avveniva anche in presenza del cambiamento di un solo articolo. In un ulteriore esperimento, sempre dopo la proiezione di un filmato di incidente, veniva posta ad un gruppo la domanda: “A che velocità andavano le auto quando si sono scontrate?” e ad un altro: “A che velocità andavano le auto quando si sono schiantate?”; le velocità più alte furono registrate in quest‟ultimo caso.84 Ciò dimostra quanto sia importante la formazione del personale di polizia nella conduzione
81
Roediger, H.L., McDermott, K. B. (1995). Creating false memories: Remembering words not presented in lists. Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory and Cognition, 24(4), pp. 803–814. 82 Gudjonsson, G.H. (1984). A new scale of interrogative suggestibility. Personality and Individual Differences, vol. 5, issue 3, pp. 303-314. 83 Loftus, E.F., Zanni, G. (1975). Eyewitness testimony: The influence of the wording of a question. Bulletin of the Psychonomic Society, 5, pp. 86-88. 84 Loftus, E.F., Palmer, J.C. (1974). Reconstruction of auto-mobile destruction: An example of the interaction between language and memory. Journal of Verbal Learning and Verbal Behaviour, 13, pp. 585 -589.
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di un interrogatorio o comunque nella raccolta della testimonianza (vedi sezione successiva). c) Misinformation aggiuntiva: si ha quando viene introdotto un dettaglio non presente nell‟evento ma che ha un‟ alta plausibilità di poterci essere: in un altro esperimento della Loftus, e sempre dopo la visione di un filmato, venne posta (ad un solo gruppo) la domanda: “a che velocità andava la macchina sportiva bianca quando è passata davanti al granaio mentre percorreva la strada di campagna?”. Successivamente ai soggetti fu chiesto se nel filmato ci fosse un granaio (che non c‟era): il 17% rispose di sì, mentre nel gruppo di controllo (in cui non si menzionava il granaio nella domanda precedente) le risposte positive furono solo il 2,7%. d) Post- event misinformation: sempre Elisabeth Loftus,85 a metà degli anni „70, studiò le distorsioni del ricordo a seguito di informazioni fuorvianti, o contraddittorie o false, che un soggetto può ricevere dopo aver assistito ad un fatto (es. a causa di giornali, televisione, commenti di persone) presentando ai soggetti diapositive che raffiguravano scene di un incidente dove una macchina, non rispettando il segnale di dare precedenza, si scontrava con altra auto. Venne poi chiesto alla metà dei partecipanti di quale colore fosse l‟auto passata con lo stop (ma era segnale di precedenza) e dopo altro tempo veniva chiesto che tipo di segnale doveva rispettare la macchina che non si era fermata. Il gruppo al quale era stata fatta la domanda fuorviante rispondeva stop. Loftus evidenziò, quindi, anche l‟interferenza tra la memoria verbale e quella visuo-spaziale nel senso che le informazioni verbali potevano modificare il ricordo visivo della figura. La ricercatrice misurò anche il livello di certezza nella risposta data (cioè quanto il soggetto fosse sicuro di essa); risultò che la velocità e sicurezza della risposta sostanzialmente si equivalevano sia nel caso di opzione di alternativa giusta che di quella sbagliata. Ma cosa succede all‟originaria traccia mnestica? Tre sono le ipotesi in letteratura: 1) l‟informazione fuorviante sostituisce la traccia originaria che viene cancellata per sempre (sovrascrittura della traccia orinaria);86 2) l‟informazione 85
Loftus, E. F. (1975). Leading questions and the eyewitness report. Cognitive Psychology, 7, pp. 560572.V. anche: Loftus, E.F., Hoffman, H.G. (1989). Misinformation and memory: The Creation of New Memories. Journal of Experimental Psychology General, Vol. 118, No.1, pp.100-104. 86 Loftus, E.F. (2005a). Planting misinformation in the human mind: A 30-year investigation of the malleability. Learning & Memory, 12, pp. 361-366.
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fuorviante distorce il ricordo - intervenendo sulla traccia - orientando così la risposta del soggetto87 (ipotesi delle richieste di compito; 3) sia l‟informazione fuorviante che quella contenuta nella traccia mnestica sono disponibili in memoria: se, in questo caso, nel ricordare si sceglie la prima ciò è frutto di una confusione di fonte; un esempio è dato dall‟esperimento di Loftus sopra riportato (tra ciò che avevano visto – segnale di precedenza – e quello che avevano udito – stop – i soggetti ricordano di aver visto ciò che avevano udito).88 Un altro aspetto da tener presente è l‟attenzione che il testimone, di fronte ad un certo tipo di evento, pone ad uno specifico dettaglio o elemento con perdita, per selezione, di tutta una serie di altri elementi89 (ipotesi di Easterbrook: restringimento focus attentivo o weapon focus effect). Da ultimo prendiamo in considerazione il line-up, un‟altra procedura sperimentale molto utilizzata e divisa in due fasi: a) viene proiettato un filmato (o diapositive) nel quale avviene un crimine; b) dopo un po‟ di tempo, durante il quale i partecipanti svolgono altri compiti (distrattori), viene eseguita una prova di identificazione. Il line up si svolge chiedendo di riconoscere l‟autore del fatto indicandolo tra persone allineate o tra foto. Ai soggetti viene detto che il colpevole può essere o non essere presente. Questo paradigma è stato utilizzato in molti esperimenti alcuni dei quali sono riportati in una rassegna a cura di Haber e Haber90 che hanno distinto i risultati ottenuti con la procedura del colpevole assente e colpevole presente. Nel primo caso, infatti, o si identifica come colpevole un innocente oppure non si identifica nessuno; nel secondo caso si aggiunge, alle possibilità sopra dette, anche quella di identificare la persona giusta. Nel caso di colpevole assente la percentuale di falsa identificazione è del 57%, con il colpevole presente è del 27% (del 51% di corretta identificazione e 22% di non riconoscimento). Vi sono due modalità di line up: quello simultaneo (tutti i soggetti tra i quali identificare il colpevole sono disposti in contemporanea su una o più file) e quello
87
McCloskey, M., Zaragoza, M. (1985). Misleading post event information and memory for events: Arguments and evidence against memory impairment hypotheses. J. Exp. Psychol. Gen.,114, pp. 1–16. 88 Lindsay, D. W., Johnson, M. K. (1987). Reality monitoring and suggestibility: Children's ability to discriminate among memories from different sources.(In Ceci, S. J., Toglia, M. P. & Ross. D. F. (Eds.), Children's eyewitness memory (chap. 6). New York: Springer-Verlag. 89 Easterbrook, J. A. (1959). The effect of emotion on cue utilization and the organization of behaviour. Psychological Review 66 (3), pp. 183–201. V. anche: Loftus, E.F., Loftus, G.R., Messo, J. (1987). Some facts about “weapon focus.” Law and Human Behavior, 11 (1), pp. 55-62. 90 Haber, R. N., & Haber, L. (2001). A meta-analysis of 250 research studies of the accuracy of lineup identifications made by eyewitnesses. Paper presented at the Annual Conference of the Psychonomics Society, Orlando, FL, November, 2001.
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sequenziale dove le persone accedono una alla volta ed il testimone non sa quante ne entreranno. Secondo Wells (1984), quest‟ultimo è il procedimento più corretto perché il line up simultaneo porta l‟osservatore a dare un giudizio relativo discendente dal confronto tra tutti i presenti con un maggior rischio di identificazione errata; infatti, il teste tende ad indicare il soggetto che più si avvicina alla sua memoria del colpevole piuttosto che confrontare ogni membro con il suo ricordo.91 Per Shacter (2002), infine, esistono “sette peccati” della memoria: labilità, distrazione, blocco (errori di omissione), errata attribuzione, suggestionabilità distorsione (errori di commissione), persistenza (ruminazione), mentre Willem Albert Wagenaar (1941-2011), psicologo olandese noto per il suo lavoro sulla affidabilità della memoria, e che si guadagnò la fama come perito in alcuni casi giudiziari di alto profilo (vedi tra altri caso Demjanuk), afferma che i diversi errori sistematici, rilevanti da un punto di vista della attendibilità e accuratezza del ricordo, che si possono compiere nella identificazione di un criminale, dipendono da due ordini di fattori: al testimone di un processo non vengono presentate tutte le alternative possibili di una data ricostruzione dei fatti oppure dal credere che la memoria funzioni in modo attendibile, veritiero ed accurato.
2.3.1 Aspetti relazionali della testimonianza L‟iter attraverso cui una testimonianza si forma comprende, per sua natura, un aspetto relazionale poiché la posizione del testimone, a sua volta, implica la presenza di un ascoltatore o interrogante. Già in precedenza abbiamo visto quanti effetti distorsivi dei ricordi si possono avere a seguito di interventi di misinformation e quindi si pone il problema degli strumenti da utilizzare da parte di coloro che compiono le indagini - o comunque che svolgono un ruolo attivo nel sollecitare e ricevere la testimonianza (avvocati, giudici) - nonché della loro formazione. Preliminarmente va detto che, in ragione della loro struttura o contesto, vi sono diverse tipologie di assunzione di reports e cioè: colloquio - situazione comunicativa tra inquirente e soggetto, informale dal punto di vista giuridico e tecnico stante l‟assenza di protocolli e di verbalizzazioni; intervista (sommarie informazioni) che si può definire 91
V. anche: Lindsay, R. C.. Wells, G. L . (1985). Improving eyewitness identifications from lineups: Simultaneous versus sequential lineup presentation. Journal of Applied Psychology, Vol. 70 (3), pp. 556564.
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come una modalità di comunicazione semistrutturata, semidirettiva e formale tra due o più soggetti; interrogatorio (atto previsto per il solo indagato/imputato) che ha la caratteristica di essere una interazione altamente strutturata tra un soggetto istituzionale e un indagato/imputato. La psicologia investigativa (metodologia rivolta allo studio delle persone nelle situazioni sociali e dei fenomeni nel loro contesto naturale e che viene applicata dalla psicologia forense per lo studio del crimine) fornisce alla psicologia della testimonianza alcune tecniche di rievocazione mnestica per il recupero delle informazioni quali: a) Intervista Cognitiva:92 ideata per migliorare polizia e professionisti legali nelle tecniche di intervista per ottenere un maggior numero di informazioni dai testimoni, integra conoscenze sociologiche con quelle psicologiche attinenti i processi cognitivi del ricordo. Lo scopo dell‟intervista cognitiva è facilitare lo scambio di informazioni tra testimone ed intervistatore: i principi struttural-operativi sono: 1) la costruzione di una relazione con il testimone trasferendogli il controllo; 2) ottenere il racconto del fatto riportando mentalmente il teste nel contesto dell‟avvenimento (ad occhi chiusi); 3) libertà della narrazione solo in parte limitata da domande specifiche sui dettagli; 4) incoraggiare il teste a ricontattare gli investigatori nel caso si ricordasse altro. Secondo gli studiosi, questa tecnica avrebbe il vantaggio di aumentare in misura significativa (25-30%) il numero di informazioni accurate senza comportare, come spesso avviene in questi casi, un aumento di informazioni errate o di confabulazioni. L‟intervista cognitiva ha dimostrato di essere un ottimo strumento, in grado di incrementare la quantità di ricordi richiamati, senza aumentare il numero di imprecisioni (Caso e Vrij, 2009). b) Intervista strutturata:93 si differenza dall‟intervista cognitiva perché non adotta tecniche cognitive di recupero del ricordo ma fa uso di una seconda narrazione libera. La Step-Wise Interview (o intervista graduale)94 è invece una tipologia di intervista studiata appositamente per raccogliere la testimonianza di bambini presunte vittime di abuso: consiste in una serie di passi o «gradini », volti a diminuire l‟effetto
92
Fisher, R.P., Geiselman, R.E. (1992). Memory enhancing techniques for investigative interviewing. The Cognitive Interview. Springfield III: Charles C. Thomas. 93 Koehnken, G., Thurer, C., Zorberbier, D. (1994b). The cognitive interview: Are interviewers memories enhanced too?. Applied Cognitive Psychology, 8, pp.13-24. 94 Yuille, J.C, Farr, V. (1987). Statement validity analysis: A sistematic approach to the assessment of children‟s allegations of child sexual abuse. British Columbia Psychologist, pp. 19-27.
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traumatico sul minore, per avere il maggior numero di informazioni possibile e ridurre il rischio di contaminazione dell‟intervista sul ricordo dell‟evento.95 Sempre
nell‟ambito
dell‟ascolto
del
minore,
attualmente
si
stanno
sperimentando altri protocolli di interviste investigative quali quella proposta da Cheung,96 il cui Protocollo prevede la registrazione delle interviste, o il Protocol for investigative interviews of alleged sex abuse victims di Orbach e colleghi
97
(in Italia
non ancora validati e riconosciuti). Gli altri presidi protocollari a tutela del minore in caso di interrogatorio sono fondamentalmente due: la Carta di Noto, che detta le linee guida per l‟esame del minore in caso di abuso sessuale, e la Convenzione di Lanzarote (25 ottobre 2007) entrata in vigore in Italia il 23 ottobre 2012 a seguito della legge 1.10.2012 n. 172 denominata “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale”, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno. Ai sensi della nuova normativa, nei procedimenti inerenti alcune tipologie di delitto – come ad esempio gli atti sessuali con minorenni, la violenza sessuale, l‟adescamento di minori, la prostituzione e la pornografia minorile – sia la polizia giudiziaria sia il Pubblico Ministero sia il difensore, «quando deve assumere sommarie informazioni da persone minori, si avvale dell'ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile». La legge introduce anche due nuovi reati: la istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia (art. 414 bis codice penale) e l‟adescamento di 95
Il suo principio generale si base sull‟assunto che i racconti di eventi traumatici sono qualitativamente diversi da quelli di fantasia o menzogna (Undeutsch ,1989): si compone di due strumenti quello della CBCA (Criterion Based Content Analysis) (Steller e Koehnken 1989) - ovvero tecnica di analisi dei testi narrativi che considera, oltre ai contenuti specifici, anche le caratteristiche narrative del racconto testimoniale - e quello della Checklist di validità (Raskin, Esplin, 1991) che riguarda le caratteristiche del teste, dell‟intervista, delle domande e fattori motivazionali. Il metodo è stato elaborato in modo da poter essere applicato alla Statement Validity Analysis, creata da Avinoam Sapir, che è un procedimento di indagine della validità della deposizione e non della sua credibilità. 96 Cheung,K. M. (1997). Developing the interview protocol for video-recorded child sexual abuse investigations: A training experience with police officers, social workers, and clinical psychologists in Hong Kong. Child Abuse & Neglect, 21, pp. 273–284. La particolarità di questo protocollo consiste nel dettare linee guida per il colloquio del minore con ausilio di videoregistrazione modalità questa che,sebbene ritenuta la più idonea a documentare il piano emotivo, verbale e non, potrebbe produrre condizionamenti sul teste. 97 Lamb, M. E., Sternberg, K. J., Esplin, P. W., Hershkowitz, I., Orbach, Y. (1997). Assessing the credibility of children‟s allegations of sexual abuse: Insights from recent research. Learning and Individual Differences, 9, pp. 175-194. V. anche: Pipe, M. E., Orbach, Y., Lamb, M. (2008). The Effect of the NICHD Interview Protocol on the Outcomes of Child Sexual Abuse Investigations. Paper presented at the annual meeting of the American Psychology - Law Society, Hyatt Regency Jacksonville Riverfront, Jacksonville. Il protocollo in questione vuole essere una diretta ed operativa applicazione del Protocol for Investigative Interview Protocol del National Institute of Child Health and Human Development (NICHD) secondo cui bisogna tenere presenti i fattori dell‟abilità dell‟intervistatore di trarre informazioni e della volontà e abilità del bambino di esprimerle, piuttosto che dell‟abilità del bambino di ricordarle.
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minorenni o grooming (art. 609 undecies codice penale). Nello specifico, l‟art. 35 comma 1 della Convenzione di Lanzarote (“Colloqui con il minore”), indica le modalità precise dell‟interrogatorio nonché i soggetti abilitati a farlo. Infine, non si annovera in questo insieme di tecniche la Reid Tecnique (tanto meno se riguarda un minore) sia per la sua natura più pressante nel condurre l‟interrogatorio, sia perché essa è più considerata uno strumento di individuazione della menzogna piuttosto che della attendibilità e dell‟accuratezza del ricordo (v. par. 2.4.2, p.59, nota 145). 2.3.2 L’effetto del verbal overshadowing Il verbal overshadowing è un effetto che si verifica quando un‟esperienza percettiva risulta difficile da descrivere. In letteratura, sulla base di questo paradigma, sono stati condotti esperimenti per verificare la relazione tra la capacità di descrizione di un volto e la capacità di riconoscimento. Il primo studio, successivamente ripetuto, fu effettuato da Shooler et al.:98 i risultati si dimostrarono coerenti con l‟ipotesi del verbal overshadowing secondo cui, l‟effetto negativo della verbalizzazione, deriverebbe da un mismacth tra le informazioni originarie del processo visivo e le informazioni e processi verbali coinvolti nella verbalizzazione del volto. Meissener, Sporere e Susa (2009) hanno ulteriormente studiato questo fenomeno raggiungendo i seguenti risultati: la capacità di un individuo di descrivere un volto non sempre corrisponde alla capacità di identificare un volto. Allo stesso modo, i processi che governano le descrizioni del viso appaiono distinti da quelli dell‟identificazione. Così, si è osservato che l‟invito a fornire descrizioni molto estese e complete può portare ad errori descrittivi associati ad una successiva errata identificazione del volto; al contrario, gli individui invitati a fornire brevi, ma accurate, descrizioni hanno una miglior performance nel compito di identificazione. Quando gli individui sono forzati a fornire una descrizione dettagliata, la verbalizzazione produce un effetto di disinformazione autogenerata, per cui gli individui fanno affidamento sulla descrizione stessa (errata) piuttosto che sulla memoria visiva (verbal overshadowing). La descrizione verbale è un elemento chiave in molte testimonianze e la comprensione del meccanismo per cui tali descrizioni danneggiano la performance di memoria è fondamentale al fine di minimizzare gli effetti negativi in sede testimoniale. I
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Shooler, J.W., Engstler-Shooler, T.Y. (1990). Verbal overshadowing of visual memories: some things are better left unsaid. Cognitive Psychology, Jan, 22(1), pp. 36-71.
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ricercatori suggeriscono agli investigatori di essere cauti nel chiedere descrizioni dettagliate dell‟autore del fatto al fine di ridurre al minimo il rischio della disinformazione autogenerata sull‟identificazione del sospettato. Peraltro, è fondamentale chiarire le differenze tra i processi cognitivi di verbalizzazione e quelli di riconoscimento del volto in quanto i primi sembrano focalizzarsi sui dettagli del volto, mentre i secondi su caratteristiche globali. Questo pone una serie di problematiche pratico-operative: se stimolare una descrizione può causare errori nel riconoscimento, qual è l‟esatta quantità di informazioni da sollecitare? Se il teste non le produce spontaneamente, è corretto sollecitarne il ricordo? Quali dettagli contribuiscono alla qualità della testimonianza e quali producono interferenza?
2.4 Verità e menzogna: quale teoria? Anche per affrontare questo tema è utile partire dall‟analisi della formula di cui agli artt. 497 C.p.p. e 251 C.p.c.: “Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”. In essa appaiono termini come verità e conoscenza che rappresentano concetti filosofici (ma no solo) per eccellenza. Le varie teorie, succedutesi nel corso dei secoli, hanno diviso la comunità dei filosofi senza che una, o più di esse, acquisisse una prevalenza dirimente in relazione alla domanda: Quid est veritas?99 Non è certo questa la sede per affrontare la vexata questio; l‟argomento sarà trattato, sia pur senza intenti esaustivi ed evitando discorsi ontologici, solo rispetto al tema qui discusso, tenuto però conto che, in ogni caso, disquisire in merito alla verità/falsità di una testimonianza implica necessariamente l‟individuazione del concetto di verità/menzogna in tal senso assunto, nonché dei criteri secondo i quali è giustificato qualificare una testimonianza come veritiera o menzognera (parametro di corrispondenza/discrepanza). Non può sfuggire infatti che la questione, anche per il diritto, acquisisce una importanza centrale rispetto alla funzione che le dichiarazioni testimoniali rese assolvono. L‟intento che qui ci proponiamo è esclusivamente quello di far notare come la testimonianza ponga certamente un problema di significato (della verità) e di condizioni della stessa (aspetto della conoscenza), sia pur in un‟ottica squisitamente tecnico-applicativa piuttosto che speculativa.
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Vangelo di Giovanni (18, 38).
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Secondo Florian, “il teste è una persona che racconta ciò che fece e più frequentemente racconta di avvenimenti, dati di fatto o riferisce su rappresentazioni di cose percepite con i suoi propri sensi e che qualunque persona normale, nelle medesime condizioni, avrebbe appreso o potuto apprendere; in sostanza racconta ciò che sa”.100 Da questa definizione si può estrapolare, quindi, in rapporto a cosa la dichiarazione deve essere fedele: in pratica, la verità/falsità viene intesa alla luce di un parametro di conformità, o meno, tra l‟enunciato – nel senso generale di dire - e la conoscenza che il soggetto ha di un certo avvenimento. Pur nella consapevolezza di un obbligo di rigore scientifico, che impone di rispettare i vincoli epistemologici delle diverse discipline, non possiamo non notare come sia il meccanismo della formula di impegno, che origina poi l‟aspetto veritiero o meno della testimonianza, sia la descrizione del Florian si ispirino ad una teoria della verità come corrispondenza (anche teoria classica)101 ed abbiano in comune con essa uno dei termini di relazione costituito dall‟enunciato ovvero da ciò che viene detto (piano linguistico del quale si è trattato nel paragrafo 2.2. p.29). In tal senso dire : “ciò che è non è e ciò che non è è, è falso, mentre dire che ciò che è è e ciò che non è non è, è vero; e così anche colui che dice che una cosa è o che una cosa non è dirà [a seconda dei casi] vero o falso”;102 ma anche, e prima, il discorso vero “dice le cose come sono”, quello falso “dice cose diverse da quelle che sono”.103 Quindi, sul versante giuridico, la verità si colloca all‟interno della conformità tra il piano linguistico e quello della conoscenza; il linguaggio, rispetto alla testimonianza, qui ritorna non solo come uno dei processi cognitivi coinvolti, ma anche come il livello a partire dal quale si strutturano i termini di corrispondenza per addivenire ad un giudizio di verità/non verità di quanto raccontato. Ci è sembrato opportuno inquadrare, sia pur come accenno, la questione verità/menzogna di una testimonianza alla luce di una teoria generale con l‟unico scopo di evidenziare alcune problematiche nodali che a volte restano sullo sfondo e/o vengono date per presupposte: forse perché il diritto, proprio per la funzione regolatrice che esso eminentemente svolge sia in senso formale (come composizione e risoluzione di casi concreti) sia sociale (composizione delle relazioni sociali), è culturalmente più teso al
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Florian, op. cit. p. 162. Che storicamente si fa risalire ad Aristotele. 102 Aristotele, Metafisica, IV (Γ), 7, 1011 b. 103 Platone, Sofista, 263 b. 101
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risultato della produzione (es. report testimoniale) che non ai processi e strumenti di produzione (linguaggio) o di conoscenza (percezione e memoria). A conforto della plausibilità di tale impostazione del problema sta la teoria soggettivistica della falsa testimonianza: nell‟ordinamento italiano il concetto di verità, infatti, va letto alla luce dell‟art. 372 c.p., secondo il quale commette reato di falsa testimonianza colui che dichiara come vero un fatto che non lo è o viceversa. L‟esistenza di tale reato implica, necessariamente, l‟accertamento di uno stato mentale, percettivo, mnemonico, intenzionale (quest‟ultimo non assimilabile, però, a quello concernente l‟indagine circa la sussistenza di uno degli elementi costitutivi di questo delitto, cioè il dolo).104 Nella letteratura giuridica, sono state avanzate sostanzialmente due teorie in merito: “il criterio della falsità della testimonianza, non dipende dal rapporto tra il detto e la realtà delle cose, ma dal rapporto tra il detto e la scienza del testimonio”105 (teoria soggettivistica); non vi è reato nel caso di testimonianze soggettivamente false ma rispondenti a fatti realmente accaduti (teoria oggettivistica)106 - si pone, come vedremo, in posizione intermedia Di Giovine.107 La tesi dottrinaria soggettivistica, peraltro la più accreditata anche in ambito giurisprudenziale, prende come riferimento, quindi, la relazione tra l‟enunciato e la conoscenza (la cui fonte è, in primo luogo percettiva, e poi mnemonica) che il soggetto ha degli eventi narrati, trattandola in termini di corrispondenza o meno dell‟uno rispetto all‟altra, in ciò evidenziando, implicitamente, la rilevanza che il piano percettivo e le sue implicazioni psicologiche (v. infra cap. 3) - benché meno indagato in letteratura rispetto agli altri processi - assumono in un report testimoniale. Il peso della componente percettiva nella valutazione di una testimonianza si scorge nella dottrina giuridica anche allorquando si argomenta che la testimonianza di un osservatore che, in buona fede riferisce ciò che ha visto, non è falsa anche se non corrisponde alla realtà dei fatti.108
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Art. 43 Codice Penale. Elemento psicologico del reato. Il delitto: è doloso [c.p. 133], o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione. 105 Carrara, op. cit. 106 Marsich, P. (1929). Il delitto di falsa testimonianza. Padova: Cedam. 107 Di Giovine, O. (1999). Testimonianza (falsità di). In: Digesto delle discipline penalistiche, XIV. Torino: Utet. 108 Caraccioli, I. (1995). Delitti contro l’amministrazione della giustizia. Torino: Giappichelli.
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Oggetto dell‟obbligo del teste è solo quello di dichiarare “il risultato delle sue percezioni” e non di descrivere una verità “oggettiva”.109 In tal senso si esprime anche Severini:110 “sembra decisamente preferibile per ragioni sia logiche che di coerenza rispetto all’ipotesi di reticenza (dove il riferimento alla conoscenza soggettiva … è esplicito) ritenere, in accordo con la dottrina e la giurisprudenza assolutamente prevalenti, che il reato in esame incrimini le dichiarazioni difformi dalla personale percezione di fatti avuta dal testimone”. La teoria soggettivista, pur essendo la più accreditata, sembra dar luogo ad antinomie prima fra tutte quella relativa al contrasto tra il vero, nel senso sopra esposto, ed il principio dell‟accertamento dell‟oggettivo svolgersi storico dell‟evento cui il processo tende (“tra il detto e la realtà delle cose” appunto); Severini afferma che lo iato è solo apparente, dato che la verità cui tende il processo (riferendosi a quello penale), per quanto “reale”, è pur sempre di natura processuale, “vale a dire filtrata dalla personale conoscenza che dei fatti, rilevanti ai fini della decisione, hanno (o acquisiscono) i soggetti che operano, a vario titolo, nel processo”.111 Taruffo,112 invece, si pone in maniera critica rispetto ad un approccio processualistico della verità; per l‟autore è fuori luogo parlare di una verità formale (ovvero processuale) e una verità materiale (extraprocessuale) perché tale impostazione risente di una visione assoluta del concetto di verità propria di discipline metafisiche ma non della scienza che, seguendo protocolli di verifica e controllo, stabilisce relazioni tra criteri di conferma ed il contesto e ciò vale a maggior ragione anche nell‟ambito del processo. Diversamente ragionando si dovrebbe pervenire alla conclusione che la verità nel processo è parzialmente raggiungibile a causa dei vincoli normativi e di procedure che l‟iter processuale richiede, mentre quella al di fuori del processo possa essere sempre confermata al di là di vincoli metodologici di verifica. Il punto, secondo Taruffo, sta proprio nel fatto che sia l‟una che l‟altra sono dipendenti dalla quantità di informazioni a disposizione; da un punto di visto giuridico, caso mai, è più congruo parlare di “una verità” che è più o meno approssimata alla verità “reale” a seconda di come è strutturato il processo nel quale essa viene stabilita.113 Egli affronta anche la tematica della probabilità come concetto strettamente connesso a quella della
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La Cute, G. (1989). Falsa testimonianza. In: Enciclopedia giuridica, XIII. Roma. Severini, P. (2003). I delitti di false dichiarazioni nel processo penale. Padova: Cedam, p. 20. 111 Ibidem. 112 Taruffo, M. (2007). Verità e probabilità nella prova dei fatti. In: Revista de processo, Vol. 154, p. 207. 113 Taruffo, op. cit. p. 4. 110
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verità, affermando che la prima non apporta un grado minore di conoscenza rispetto alla seconda. Ciò significa che il vero e il falso di una prova, nel nostro caso della testimonianza, sono strettamente connessi alla quantità minima di informazioni essenziale per stabilire quale enunciato possa considerarsi “vero” in un‟ottica di probabilità logica: “Detto standard di certezza probabilistica in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana)114 che potrebbe anche mancare o essere inconferente ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). Nello schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l'attendibilità dell'ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma (c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni)”.115 Gli orientamenti sopra riportati si inquadrano, con maggior o minor grado, nell‟ambito della questione della verità nel processo sia rispetto al risultato cui esso tende, sia in relazione agli strumenti di prova attraverso cui si forma la realtà processuale;116 ma vi è anche una verità del processo costituita dal carattere inconfutabile di una decisione allorquando non siano stati esperiti nei termini, o lo siano stati tutti, i mezzi di impugnazione della sentenza. Malinverni, al contrario, sostenendo la fondatezza della teoria oggettivistica (v. in precedenza p. 43), considera falsa la deposizione che differisce dalla reale situazione, cioè dalla verità “oggettiva”.117 Di Giovine, invece, come dianzi detto, si situa in una posizione intermedia rispetto alle due teorie e sottolinea la scomponibilità dei piani soggettivo e oggettivo che si confondono solo per la natura di giudizio di valore del vero e del falso.118 114
Negli Stati Uniti si è creato un filone di studi che sostiene l‟utilizzo del sistema quantitativo, basandosi anche sul teorema di Bayes, riferito al ragionamento del giudice in sede di valutazione delle prove che, secondo Taruffo (v. op. cit.), incontra il limite nella difficoltà, nel processo, di quantificare i fattori in base ai quali ottenere le frequenze statistiche. 115 Sentenza Cass, Civ. S.U. n. 30328 del 10/7/2002. 116 “Ma mi chiedo subito: è possibile parlare di verità in un processo come quello che si ha sotto gli occhi? E se si, di quale o quali verità si discute? Si dice che la verità storica è irraggiungibile; le altre sono quelle che si raggiungono lungo tutto lo svolgimento del processo e, di conseguenza, verità a metà o verità instabili”. Garofoli, V. (2009). Il concetto di verità tra diritto e processo. Atti convegno Ragione, verità e giustizia. Bari, 2 ottobre 2009. Roma: Enciclopedia Treccani. 117 Malinverni, A. (1974). Vero e falso nella testimonianza. Atti del convegno La testimonianza nel processo penale. Milano, 1974. 118 Di Giovine, op. cit.
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Abbiamo finora detto che il concetto di verità della testimonianza risponde ad un modello corrispondentista nel senso classico (tra enunciato e conoscenza). Per quanto riguarda invece il concetto di verità del processo (inteso come rapporto tra ciò che si forma nel processo ed il fatto extra processo), si è evidenziato (Garofoli, 2009) come i giuristi si rifacciano, invece, più ad un modello semantico di verità (enunciato vero) riconducibile a Tarski (1944)119 (che «risulta essere la teoria della verità più adeguata in ambito giudiziario»)120 e che le difficoltà di una ricostruzione fedele dell‟evento non comportino l‟esistenza di una doppia verità (la verità resterebbe comunque una). Dalla verità, inoltre, va tenuta distinta la credibilità: qui il parametro di stima adottato dal Giudice, nell‟ambito del riconosciuto potere di libero apprezzamento delle prove, è quello del riscontro delle dichiarazioni rispetto agli elementi obiettivi risultanti in corso di causa anche scaturenti da altri resoconti o, in assenza di essi, del ricorso a massime di esperienza che fungono da premessa maggiore di un procedimento gnoseologico di cui l'elemento esaminato costituisce la premessa minore, ma la cui conclusione si caratterizza per la sua ipoteticità congetturale carente di univocità.121 Da ciò consegue che la valutazione (in ottica giuridica) della credibilità non attiene alla persona del teste, rispetto per esempio alla sua storia, magari anche giudiziaria, o alle possibili relazioni di conoscenza, familiarità o parentela (perché questo è già escluso, in campo processuale civile, dall‟ art. 246122 del relativo Codice), quanto piuttosto alle sue dichiarazioni e, dunque, alla coerenza, credibilità e ragionevolezza delle dichiarazioni stesse (ed in ciò si differenzia dalla psicologia in quanto, come abbiamo visto a proposito della memoria (par. 2.3 p. 32), tale disciplina valuta la credibilità con parametri centrati sui processi cognitivi – mnemonico/ percettivi del soggetto dichiarante). La prova (compresa quella testimoniale) è il risultato del procedimento logico attraverso cui una proposizione si ha per vera: “la finalità della prova come istituto giuridico è quella di permettere di raggiungere la conoscenza della verità degli enunciati fattuali della controversia. Quando gli specifici mezzi di prova 119
Tarsky, A. (1944). The Semantic Conception of Truth and the Foundation of Semantics. Philosophy and Phenomenological Research, pp. 341-375 (X è vero se e solo se p è vero», dove “X” sta per il nome di un enunciato e “p” per l‟enunciato medesimo: per esempio, «l‟enunciato “la neve è bianca” è vero se e solo se la neve è bianca»). 120 Ubertis, G. (1992) (a cura di). La ricerca della verità giudiziale. Milano: Giuffrè, p. 11. 121 Cfr. Corte di Cassazione Penale Sentenza 39262/11 del 31/10/2011. 122 Art. 246 C.p.c. (Incapacità a testimoniare): “Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio”.
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assunti nel corso del processo apportano elementi di giudizio sufficienti a favore della verità di una proposizione (cosa che non deve essere confusa con il fatto che la proposizione sia vera), allora si può dire che la proposizione è provata. In questo caso il giudice deve inserirla nel suo ragionamento decisorio e considerarla vera”.123 La credibilità è poi una delle componenti della attendibilità, intesa come precisione, accuratezza e completezza della dichiarazione. Da ultimo si segnala la definizione che Musatti124 dà dell‟errore testimoniale: non corrispondenza “…. alla situazione obiettiva che dà luogo a quella percezione, ossia a ciò che diciamo realtà”. Infine, rispetto al significato di verità, va fatto un necessario distinguo conseguente al ruolo che il teste-dichiarante, circa i fatti inerenti l‟accadimento che si vuole ricostruire, può assumere in un processo (civile): il teste può essere parte della causa o soggetto terzo osservatore dell‟evento/fatto. Il nostro Codice di procedura civile all‟art. 88 (Le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità) stabilisce a carico dei contendenti (appunto parti processuali) un principio di lealtà e probità e non un obbligo di verità diversamente da quanto prescrive l‟art. 251 C.p.c. per il teste terzo (formula citata all‟inizio del paragrafo): ciò perché, secondo la dottrina prevalente,125 imporre un obbligo di verità alle parti si risolverebbe in una sorta di pressione inconciliabile in un rapporto di contraddittorio (azione e difesa). In disaccordo si pone un altro orientamento che ammette, invece, la previsione in astratto del dovere di verità a carico delle parti sull‟assunto che la verità, circa gli accadimenti che si vogliono ricostruire, sia una condizione necessaria ai fini di una decisione rispondente a giustizia, ricavandola da una lettura sistematica delle norme (anche di rango costituzionale come quella del “giusto processo”).126 «Ecco
allora perché manca un’esplicita menzione del dovere di verità: non
perché alle parti sia riconosciuto il diritto di mentire, e di alterare a piacimento la realtà dei fatti, ma perché tale dovere può considerarsi assorbito dal dovere posto dall’art. 88; nel senso (…) che nonostante la parte non sia affatto tenuta ad edere contra se, essa deve tuttavia rispettare la struttura della relazione processuale, la quale 123
Ferrer Beltran, J. (2004). Prova e verità nel diritto. Bologna: Il Mulino, p. 87. Cfr. Musatti, op. cit. p. 29. 125 Cfr. tra altri: Resta, E. (2004). La verità e il processo. Politica e diritto,3/4 settembre, p. 369 Ruggieri, P. (2005). Giudizio di verità, giudizio di probabilità e lealtà nel processo civile. In: Processo e verità, (a cura di Mariani Marini, A.) Pisa: Collana formazione giuridica, p. 85 ss. 126 Gradi, M. (2012). Sincerità dei litiganti ed etica della narrazione nel processo civile. Lo Sguardo – Rivista di Filosofia, n. 8, pp. 95-117. 124
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impone di dialogare con la controparte su un piano di parità, e contemporaneamente costringe entrambe ad orientare la loro azione verso la formulazione pubblica di un discorso comune”.127 Similarmente si può dire per il processo penale dove il teste deve rispettare l‟impegno di verità assunto con la lettura della formula di cui all‟art. 497 C.p.p. (pure sopra citata), mentre all‟imputato è riconosciuto un diritto a mentire (salvo il limite della calunnia, punito dall‟art. 368 c.p., se le dichiarazioni mendaci hanno ad oggetto la falsa incolpazione della commissione di un reato nei confronti di un terzo che si sa essere innocente.): questo perché nel nostro sistema giuridico penale (diversamente da quello che avviene in altri sistemi)128 l'imputato non ha un "dovere di testimonianza" che lo sottoporrebbe a precisi obblighi, ma ha soltanto delle facoltà quali: fare dichiarazioni spontanee, rispondere o avvalersi della facoltà di non rispondere. I soggetti che possono riferire informazioni circa l‟evento (persone informate sui fatti - artt. 362 e 351 C.p.p.) quando vengono esaminati dal Pubblico Ministero o dalla polizia giudiziaria sono ammoniti circa l‟obbligo di “rispondere secondo verità” (art. 198 C.p.p.). Infine, se un testimone di fronte al Pubblico Ministero tiene una condotta in violazione dell‟obbligo di verità, commette il delitto di “false informazioni” (art. 371 bis C.p.p.). Restano fuori da queste definizioni tutte le situazioni in cui i soggetti, coinvolti o meno, rendono testimonianza extra processo o fuori dai casi di cui sopra: quelle dichiarazioni, se poi entreranno in una realtà processuale, saranno sottoposte alle garanzie formali sopra descritte ed ai suoi canoni valutativi. Quando ciò non accade e le testimonianze rimangono fuori da una realtà processuale (come nel caso di testimonianze rese in occasione di rilevamento di sinistri stradali del tipo indagato nella ricerca presentata in questa tesi), esse sembrano restare più soggette ad una sorta di rispetto di un sistema etico-morale individuale, privo di sanzioni giuridiche, o sociale o legate ad implicazioni motivazionali più che ad un dovere di verità (come corrispondenza), salvo il limite del delitto di favoreggiamento (qualora le dichiarazioni concernano un delitto - e nei sinistri stradali si possono verificare lesioni e quindi il reato di lesioni colpose - se, con la sua condotta, il dichiarante “aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’autorità” - art. 378 c.p.). 127
Macioce, F. (2005). La lealtà. Una filosofia del comportamento processuale. Torino: Giappichelli, p. 242 ss. 128 In altri ordinamenti, soprattutto di common law, l'imputato che voglia essere interrogato presta giuramento e la sua deposizione ha valore di prova piena (salvo il limite della falsa testimonianza).
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E non è questione di poco conto se si considera che quelle dichiarazioni, riprendendo il caso dei sinistri stradali, forniscono agli operatori di polizia elementi per individuare responsabilità e violazioni a norme comportamentali del Codice della Strada (elemento quasi sempre dirimente in sede assicurativa per la liquidazione del danno) e anche reati (lesioni colpose appunto). E qui sorge il problema del rapporto tra le regole ed i parametri giuridici (riguardanti il vero e il falso) e quelli psicologici (vedi di seguito) perché le ricerche sulla memoria e sulla percezione (v. sopra par. 2.3 p. 32 e successivo cap. 3 p. 67) indicano che ciò che verrà riferito dal testimone non sarà dunque il vero, ma ciò che lui di quel fatto ha percepito, ciò che ha compreso; “l’evento originario tende ad essere distorto che spesso non è possibile verificare la corrispondenza tra ciò che il testimone dice e ciò che è realmente accaduto… nel processo (ma non solo) la conoscenza del passato avviene quasi unicamente attraverso ciò che viene riferito: il processo non si svolge sui fatti accaduti ma su ciò che viene detto dei fatti accaduti”.129
2.4.1 Verità e menzogna in psicologia Il testimone può essere considerato come una sorta di strumento di misura rispetto al quale gli organi giudicanti o altri soggetti (operatori di polizia) sono chiamati a dare una valutazione circa quanto dichiarato. Sul versante psicologico ciò si traduce nell‟indagare quanto la persona abbia percepito (cap. 3) e richiamato in memoria (par. 2.3 p. 32). D‟altra parte il teste, certamente, non è uno strumento di precisione perché non fotografa ma elabora a più livelli (psicologici). Date le problematiche derivanti dai processi percettivi e di memoria, delle quali abbiamo dato e daremo ulteriore conto, si può avere una discrepanza tra ciò che è accaduto e quello che il teste racconta di quell‟evento. Ma altrettanta diversità, più o meno parziale, tra le due, chiamiamole, realtà si manifesta in caso di menzogna. Mentire fa parte dell‟esperienza umana anche se farlo è meno facile di quello che si crede perché presuppone una sviluppata capacità cognitiva ovvero presume il possesso di una teoria della mente (capacità cognitiva di rappresentazione dei propri e altrui stati mentali - pensieri, credenze, bisogni, desideri - che permette di spiegare e prevedere il comportamento). Mentire significa che l‟ingannatore sa ciò che un altro sa, o non sa, (diversamente, le informazioni mendaci fornite non sarebbero credibili e non avrebbero la vis per suscitare l‟affidamento dell‟interlocutore), ma anche che conosce 129
Gulotta, G. et al. (2002). Elementi di Psicologia Giuridica e di Diritto Psicologico. Milano: Giuffrè.
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ciò che sta falsificando; questa azione, quindi, è del tutto consapevole e volontaria (si mente sapendo di farlo). Così come nel caso della verità ci siamo chiesti di quale verità si stava parlando ed in riferimento a cosa, anche per la menzogna adotteremo lo stesso procedimento: anzi, a maggior ragione visto che, nel linguaggio quotidiano, termini come menzogna, bugia, inganno, mistificazione, finzione, falso, vengono spesso utilizzati in modo sinonimico senza connotarne l‟estensione concettuale (o distinguere se siano tutte azioni o strumenti di azioni), il contesto (si mente a chi e dove) e la motivazione (con quale scopo). Una recente fotografia sullo stato dell‟arte della letteratura di settore (Laganà, 2011) rivela che l‟inganno è considerato una macrocategoria, non omogenea, distinta in sottocategorie in ragione o della situazione o dello scopo per cui si mente. All‟interno di tale prima distinzione, se ne può operare un‟altra in quanto l‟inganno può consistere in errori che non coinvolgono la fede degli altri (e non sono considerati propriamente inganni), oppure in un comportamento volontario (che altresì la coinvolge). Inoltre si possono distinguere diverse strategie di inganno nel senso che esso può realizzarsi per occultamento (non fornendo all‟interlocutore tutte le informazioni), falsificazione (dando informazioni false che inducono in errore), dando una falsa conferma (dove si conferma all‟altro qualcosa reputata falsa), per negazione (disconferma di qualcosa che si ritiene vera) o per mascheramento (inviando informazioni false per celare quelle vere).130 Da un punto di vista psicologico, il concetto di menzogna preso in considerazione ai fini della presente ricerca (per essere il più pertinente allo stesso trattato nel paragrafo precedente sul piano giuridico) è quello che individua la struttura della bugia (intesa qui come sinonimo di menzogna) nei seguenti elementi: (a) la falsità del contenuto di quanto è detto; (b) la consapevolezza di tale falsità; (c) l‟intenzione di ingannare il destinatario in modo da fargli assumere false credenze sullo stato delle cose o da impedirgli di conoscere il vero (Coleman, Kay, 1981).131 La citata accezione di menzogna pone l‟accento, preminentemente, sulla componente verbale dell‟interazione 130
Castelfranchi, C., Poggi, I. (1998-2007). Bugie, finzioni, sotterfugi. Per una scienza dell’inganno. Roma: Carocci. Per ulteriori approfondimenti v.: Castelfranchi, C. (1997). L'arte dell'inganno. In: Finzione, inganno, menzogna. Bonfantini, M., Castelfranchi, C., Martone, A., Poggi, I., Vincent, J . Napoli: ESI. 131 Cfr. anche Ekman: “nella mia definizione di menzogna, allora, una persona intende trarre in inganno un’altra deliberatamente, senza avvertire delle sue intenzioni e senza che il destinatario dell’inganno gliel’abbia esplicitamente chiesto”. Ekman, P. (2011). I volti della menzogna. Gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali. Firenze: Giunti, p. 16.
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menzognera e sulla intenzione; riguardo alla prima, studi in questo settore hanno individuato le seguenti caratteristiche delle dichiarazioni false: a) maggiore brevità rispetto a quelle vere; b) maggiore genericità; c) uso costante di generalizzazioni (es. tutto, niente, nessuno); d) maggiore impersonalità (Cody et al., 1984; Stiff & Miller, 1986). Inoltre la menzogna è necessariamente un‟azione deliberata e gli errori (espressi o meno con un comportamento verbale), e i casi di autoinganno, non contano come menzogne ( Vrij, 2008).132 Rispetto alla intenzione,133 invece, la menzogna è una inosservanza della condizione di sincerità su cui si fonda l‟asserzione, nel senso che il locutore deve essere responsabile della verità della stessa in quanto, sintatticamente, una menzogna non differisce per la lingua usata da un‟affermazione vera (Searle, 1979). Ed è proprio la violazione della regola della sincerità a produrre due piani intenzionali coesistenti: nel primo il parlante si impegna a credere nella verità della proposizione espressa, nel secondo (intenzione nascosta) rompe la regola. Ma vi è anche un terzo livello riguardante l‟uditore: egli è convinto che lo speaker abbia rispettato la regola della sincerità (Anolli & Ciceri,1997). Si delinea quindi un ulteriore tratto fondamentale della menzogna vale a dire quello relativo all‟aspetto interpersonale caratterizzato dallo scambio relazional/comunicativo intercorrente tra i due interlocutori. La
Deceptive
discomunicazione
Miscommunication
menzognera),
si
Theory
inserisce
–
DeMIT
all‟interno
di
–
(teoria
questo
della
rapporto
comunicativo: trattasi di un modello che individua diverse caratteristiche espressive della menzogna distinguendo bugie a basso ed alto contenuto. Inoltre la comunicazione menzognera segue lo stesso processo di quella veritiera ed è legata ad una contingenza ed alla condivisione discorsiva (Anolli, Balconi, Ciceri, 2006). Sempre sul versante della comunicazione, si ricordano le teorie della manipolazione dell‟informazione (Information Manipulation Theory – IMT (McCornack, 1992, McCornack et al., 1992) messa in atto con la violazione delle regole che sovrintendono al principio di cooperazione, cioè Quantità, Qualità, Pertinenza, e
132
“ è cruciale distinguere le cosiddette false credenze dalle menzogne”. Vrij, A. (2008). Detecting Lies and Deceit. Pitfalls and Opportunities. Chichester: Wiley, p. 13. 133 Il concetto di intenzionalità è definito da Searle come “quella proprietà di molti stati ed eventi mentali tramite la quale essi sono direzionati verso, o sono relativi ad oggetti o stati delle cose del mondo. (….). L’Intenzionalità è direzionalita”. Searle, J.R. (1985). Dell’Intenzionalità. Un saggio di filosofia della conoscenza. Milano: Bompiani.
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Modo,134 e quella dell‟inganno interpersonale (Interpersonal Deception Theory - IDTBuller , Burgoon, 1996): in essa si pone il focus sui soggetti che comunicano (le abilità di entrambi contribuiscono alla riuscita della menzogna), sugli indicatori propri della strategia comunicativa utilizzata e sulla diversità del processo comunicativo menzognero e veritiero (a differenza della teoria della discomunicazione menzognera). Da questo punto di vista, quindi, il luogo deputato allo smascheramento della verità è eminentemente rappresentato dalla comunicazione verbale (pur tenendo presente quella non verbale che però non ha un repertorio fisso); ma ve ne è un secondo attinente questo alla comunicazione non verbale, strictu sensu, e vocale non verbale. Per quanto riguarda la prima, il maggior studioso è Paul Ekman secondo il quale ci sono due modi per mentire: la falsificazione (dare per vera una falsa informazione) e la dissimulazione (nascondere l‟informazione); l‟unica eccezione è rappresentata dall‟accordo di tacere su qualcosa, intercorso tra gli interlocutori. Sulla base degli studi condotti, Ekman insieme a Wallace V. Friesen, pubblicò, nel 1978, il Facial Action Coding System (aggiornato dagli stessi e da Joseph C. Hager nel 2002): trattasi di un elenco tassonomico di espressioni facciali, associate a specifiche emozioni di base riconosciute universalmente (rabbia, disprezzo, disgusto, paura, tristezza, sorpresa, felicità), che fornisce un indice specifico per ogni tipo di movimento e di espressione. Il F.A.C.S. prende in considerazione 44 unità fondamentali denominate da Ekman e Friesen “Unità d‟Azione” (Action Unit) che possono dare luogo a più di 10.000 combinazioni possibili. Le micro espressioni soffocate, i segni che trapelano attraverso i muscoli facciali meno controllabili, l‟ammiccamento, la dilatazione della pupilla, lacrima, rossore e pallore, sorriso falso (la cui caratteristica è quella di essere asimmetrico e a “scatti”), costituiscono indici di menzogna, anche se lo stesso Ekman avverte circa il carattere descrittivo del suo “dizionario”. Ekman rappresenta due tipi di errore nei quali si può incorrere nell‟individuare indizi rilevatori della menzogna: - l‟effetto Brokaw che nasce dalla presunzione di voler discutere di un comportamento che si definisce "anormale" riguardo qualcuno, quando non si sa nulla dei suoi comportamenti "normali"; - l‟effetto Otello che prende il nome dalla celeberrima tragedia Shakespeariana nella quale Otello interpreta la disperazione di Desdemona come la prova del tradimento. Il lie catcher, infine, deve guardarsi dal 134
Grice, H.P. (1975). “Logic and Conversation" . In: Cole, P., Morgan, J. (1975) (a cura di). Syntax and semantics. Vol. 3: Speech act. New York: Academic Press, pp.41–58. Trad. it. di Giorgio Moro in Logica e Conversazione, Bologna: Il Mulino, 1993, pp.55–77.
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rischio del falso negativo (credere alla bugia) e del falso positivo (non credere alla verità).135 Partendo dal presupposto che non è del tutto possibile individuare una menzogna dal comportamento, lo studioso volle però verificare la capacità di scoprire la menzogna da parte di due gruppi di partecipanti esperti (di legge e di psicologia), pervenendo alla conclusione che il praticare alcune professioni (tra le due in particolare quella dello psicologo) conferisce una maggiore capacità di identificare la menzogna.136 Questa ricerca è una continuazione di quella condotta nella metà degli anni „90 dove furono presi in considerazione gruppi composti da personale di polizia, F.B.I, Secret Service, Central Intelligence Agency, Federal Bureau of Investigation, National Security Agency, Drug Enforcement Agency, giudici della California, psichiatri, studenti universitari e adulti occupati lavorativamente;137 da essa era emerso che il gruppo che più accuratamente eseguì il compito fu quello composto da personale dei servizi segreti. Un ulteriore sviluppo di questo tipo di ricerche indagò il grado di incidenza di un comportamento menzognero volontario vs involontario rispetto alle espressioni facciali.138 I ricercatori John Pearse e Cliff Lansley,139 partendo dai lavori di Ekman, proposero un modello psicologico per chiarire: cosa vediamo e sentiamo negli altri che ci aiuta a credere che siano sinceri? Il criterio è quello della coerenza tra il sistema cognitivo e quello emozionale; nel caso della verità non vi è conflitto, mentre nella menzogna possono collidere in una competizione delle risorse durante la quale sono visibili e udibili “le perdite” (Hot-pot) della disputa. Il rapporto tra cognizione ed emozione è una caratteristica fondamentale del modello proposto sia per la verità che per le bugie, ma con delle differenze fondamentali; nel caso della verità i due domini (cognitivo ed emozionale) sono in armonia e le emozioni visualizzate sul viso e il linguaggio del corpo sono coerenti; non così accade in caso di menzogna. Questo modello mette in risalto il fatto che la
135
Ekman, op. cit. Ekman, P., O'Sullivan, M., Frank, M. (1999). A Few Can Catch a Liar. Psychological Science, 10, pp. 263-266. 137 Ekman, P. & O'Sullivan, M. (1991). Who Can Catch a Liar. American Psychologist, 46, p. 913 ss. V. anche: Ekman, P. (2009). Lie Catching and Micro Expressions. In:The Philosophy of Deception. Oxford: Ed. Clancy Martin, Oxford University Press. 138 Ekman, P., O'Sullivan, M. (2006). From flawed self-assessment to blatant whoppers: the utility of voluntary and involuntary behavior in detecting deception. Behavioral Sciences and theLaw,24, pp.673686. 139 Pearse, J., Lansley, C.A. (2010). Reading Others - A psychological model for making sense of truth and lies. Training Journal, 10 October. 136
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menzogna è legata a determinate azioni (sia linguistiche che comportamentali) ed al trapelamento di una o più emozioni. Tra le azioni comportamentali maggiormente indagate c‟è il sorriso. Già nella metà del diciannovesimo secolo, il neurologo francese Duchenne de Boulogne aveva individuato le caratteristiche del vero sorriso sincero che coinvolge, oltre ai muscoli della bocca, anche quelli degli occhi. Il tratto comune al sorriso autentico è la modificazione
nell‟aspetto
prodotta
dal
muscolo
zigomatico
maggiore
che,
contraendosi, solleva gli angoli della bocca inclinandoli verso gli zigomi. Il sorriso genuino è inoltre contraddistinto da una contrazione spontanea di un muscolo dell‟occhio noto come pars lateralis. Paul Ekman ha evidenziato, tramite la misurazione dell‟attività cerebrale di varie persone sorridenti, che solo quelle che contraggono questo muscolo attivano aree cerebrali che determinano sensazioni di piacere. Quando invece si sorride in modo artificioso questo non accade e le piccole rughe che si producono a lato degli occhi, ed il lieve abbassamento delle sopracciglia che compare nel sorriso autentico, non sono presenti. Se usato come una maschera, il sorriso falso interessa solo le azioni della parte inferiore sia del viso che della palpebra. Inoltre, il sorriso falso risulta spesso asimmetrico e caratterizzato da un tempo di stacco atipico per cui può svanire in modo troppo repentino o a singhiozzo. Come sopra detto, anche l‟elemento vocale non verbale è un indice rilevante sul piano della individuazione della menzogna. Le ricerche sin qui condotte hanno preso in considerazione le relative variabili: intensità, timbro, ritmo di eloquenza e disfluenza, durata del suono e del silenzio, articolazione della parola (Anolli 1997). I risultati mostrano che l'inganno provoca un maggior numero di pause e parole ed un aumento degli indici di eloquenza e fluidità. Inoltre sono state individuate tre classi di bugiardi tenendo presente i casi di menzogna preparata e impreparata: buoni bugiardi, bugiardi tesi, e bugiardi ipercontrollati. Robert Feldman, nel saggio Liar: the truth about lying (2010), sottolinea che dire la verità non sempre fa bene a noi e a chi ci sta intorno e quindi il cervello è portato a mentire per difendersi e sopravvivere; questo procedimento mentale è alla base della nostra evoluzione e nasce da una necessità di sopravvivenza. E‟ un meccanismo atavico, appartenente anche agli animali, che l'uomo, progredendo, ha fatto suo; il modo in cui mentiamo varia a seconda della cultura ed è alla base della conformazione psicologica di intere società (Anolli, 2003). Ciò significa che la menzogna appartiene soprattutto al quotidiano prima ancora che a situazioni più formali 54
e strutturate come i contesti delle dichiarazioni testimoniali. In precedenza, infatti, già Deborah A. Kashy e Bella M. DePaulo colsero questo aspetto140 conducendo una ricerca sulle menzogne nella vita quotidiana rispetto al loro contenuto, alla loro frequenza ed in ragione di chi le diceva, prendendo anche in considerazione gli stati d‟animo dei soggetti prima, dopo e durante l‟aver mentito. A tale scopo fu utilizzata la metodologia del diario giornaliero. Le menzogne vennero poi distinte in base al contenuto, all‟orientamento (menzogne centrate su di sé o menzogne rivolte agli altri), al tipo ed al referente. I ricercatori ipotizzano che la personalità potrebbe non solo predire la quantità di menzogne raccontate, ma anche il tipo di menzogna raccontata tenuto conto, altresì, della variabile di genere ed anche del destinatario della menzogna. I risultati della ricerca evidenziarono che raccontano più menzogne le persone che si preoccupano in misura maggiore dell‟impressione che creano nella vita sociale. I menzogneri sono anche più manipolatori e sembrano essere abili partecipanti alla vita sociale; coloro che più spesso mentono hanno meno gratificazioni con persone dello stesso sesso e sono anche meno responsabili. Gli autori ricavarono anche un‟altra informazione: le interazioni nelle quali non venivano raccontate menzogne erano quelle più intime e piacevoli; inoltre, nelle interazioni faccia a faccia, era presente una maggiore riluttanza a raccontare menzogne rispetto a quando le interazioni erano di tipo più formale, ad esempio, nelle interazioni telefoniche. Infine, le persone riportavano più spesso menzogne aventi ad oggetto i loro sentimenti, le loro azioni, i loro piani e le loro conoscenze.141 2.4.2 Metodi strumentali di individuazione della menzogna: problematiche Il lie detector (poligrafo o macchina della verità) è uno strumento che registra i cambiamenti fisiologici quali indici di attivazione del sistema nervoso (pressione arteriosa, respirazione e conduttanza cutanea) in relazione ad un parametro di normalità/verità; qualsiasi scostamento da esso viene considerato menzogna. William Moulton Marston (psicologo statunitense) è considerato l‟inventore del test della pressione sanguigna che costituirà una delle componenti del vero e proprio poligrafo, datato 1931 (Larson e Keeler).
140
DePaulo, B. M., Kashy, D.A., Kirkendol, S. E., Wyer, M. M., Epstein, J. A.(1996) Lying in everyday life. Journal of Personality and Social Psychology, Vol. 70 (5), pp. 979-995 ed anche: Kashy, D.A.,DePaulo, B.M. (1996). Who Lies? Journal of Personality and Social Psychology, 70, pp.1037-1051. 141 DePaulo, B. M., Bond, C. F. Jr. (2012). Beyond accuracy: Bigger, broader ways to think about deceit. Journal of Applied Research in Memory and Cognition, 1, pp. 120-121.
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Negli stessi anni in cui Marston metteva a punto il suo test (1913), Benussi, nell‟articolo Die Atmungssymptome der Lüge (1914), si proponeva di determinare sperimentalmente concomitanti somatiche differenziali costanti ("sintomi respiratori") per le due situazioni di coscienza, fra loro opposte, date dalla consapevolezza di mentire e dalla consapevolezza di essere sinceri durante una testimonianza rilasciata di fronte a un gruppo di persone, pervenendo all‟identificazione delle "leggi dei quozienti della menzogna e della sincerità" (cfr in questa tesi par. 1.4 a pp.23-24). Ben presto il lie-detector fu usato nei dipartimenti di polizia di alcuni stati americani e oggi viene anche utilizzato da FBI, CIA e agenzie investigative private. In Italia invece non viene impiegato (così come l‟ipnosi) stante il divieto degli artt. 188 e 64/2 C.p.p. (per l‟imputato): “non possono essere utilizzati neppure con il consenso della persona interessata, metodi e tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare o valutare i fatti”; ed ancora art. 189 C.p.p.: “quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona”. Altri metodi strumentali di individuazione della menzogna sono: il Voice Stress Analyzer, ideato nel 1964 dall‟USA ARMY, che rivela i cambiamenti della voce umana in corso di stress emotivo compatibili con la menzogna; la Rilevazione termica del viso -Thermal
Imaging - (Pavlidis et al., 2002): effettuata con una telecamera che riprende le
immagini termiche del viso, è una tecnica che si basa sulla evidenza che mentire modifica la circolazione del sangue che affluisce nelle zone perioculari.142 Sia l‟impiego del Voice Stress Analyzer (VSA) che quello del poligrafo non sono però esenti da giudizi controversi: per quanto riguarda il VSA, le differenze tra un discorso rilassato e uno “stressato” possono essere utilizzate come indice di menzogna solo se si presume che le persone che dicono la verità parlino sempre in maniera rilassata.
142
V. anche lo Scientific content analysis (SCAN): ideato dallo psicologo israeliano Sapir (1987), è invece una tecnica di analisi scientifica del testo scritto in grado di valutare se esso corrisponda alla verità oppure alla menzogna e il Verbal Inquiry Effective Witness, consistente in un questionario utilizzato nelle indagini verbali per verificare il grado di veridicità delle dichiarazioni testimoniali; secondo Luisella De Cataldo Neuburger, op. cit., i segmenti di quest‟ultimo metodo ricordano i contenuti del manuale di Eymerich (1503) all‟epoca dell‟Inquisizione nel quale sono elaborati dei suggerimenti psicologici per condurre l‟interrogatorio.
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Questa è senza dubbio una conclusione molto audace che può essere giustificata solo se i campioni vocali sono raccolti in condizioni controllate in modo tale che i soggetti non hanno alcun motivo di essere eccitati diverso dal mentire. Né il metodo può garantire che lo stress o ansia evidenziati da un soggetto non sia dovuto a qualche altro fattore oltre l‟intenzione di ingannare (Tredoux, Pooley, 2005). Pur avendo il vantaggio di essere un metodo non invasivo, il VSA non risulta particolarmente accurato nell‟identificazione della menzogna (Vrij, 2008). Lo stesso problema riguarda anche il poligrafo: al fine di rilevare l'inganno, infatti, si ha la necessità di confrontare il tasso di attività fisiologica in un particolare punto nel tempo con l'attività in un altro punto nel tempo in modo che le modifiche possono essere osservate. Questo può essere fatto ponendo una cosiddetta domanda fondamentale (ad esempio, 'hai rubato i soldi?'), osservando l'attivazione fisiologica del candidato, per poi confrontarla con quella registrata quando al soggetto si pone una questione irrilevante (per esempio, „il tuo nome è Brian?'). Dal momento che il presupposto fondamentale di rilevazione dell'inganno si basa sull‟osservazione di un aumento dell'attività fisiologica, e poiché una domanda, per quanto riguarda un particolare evento, potrebbe essere più eccitante di una domanda neutra, è chiaro che i termini del confronto devono essere formulati con molta attenzione. Una persona può facilmente mostrare più l'eccitazione a fronte di una domanda critica piuttosto che irrilevante e, tuttavia, essere abbastanza veritiera nella sua risposta alla domanda critica. La questione di trovare il giusto tipo di domanda di confronto è spesso formulata come un problema di controllo scientifico; infatti, al fine di pervenire alla conclusione che la maggiore eccitazione fisiologica sia dovuta all‟atto di ingannare, si deve assicurare che l'unica possibile differenza tra le risposte alle due tipologie di domanda sia la presenza dell‟inganno. Inoltre, la differenza non dovrebbe essere riconducibile alla diversità tra le domande rispetto al loro grado di “eccitabilità”. Anche Ekman,143 a tal proposito, solleva alcune criticità metodologiche facendo presente che, durante il test del poligrafo, non si tengono presenti alcuni fattori quali la differenza tra esattezza e utilità, la ricerca della verità di base, la frequenza base della menzogna, l‟effetto di dissuasione, ribadendo che molte delle prudenzialità richieste nell‟analisi degli indici rivelatori della menzogna, propri dei comportamenti non verbali,
143
Op. cit.
57
valgono anche per il poligrafo perché il rischio dell‟effetto Brokaw e Otello è il medesimo.144 Ekman, inoltre, ha il dubbio che a poco servano, ad eliminare questo tipo di pericolo, le attuali procedure di controllo quali la Checklist di validità di Raskin e Esplin (v. nota 95 p. 39) nella quale vi sono domande di controllo che, secondo lo studioso, hanno una struttura tale da provocare uno stato di preoccupazione nel soggetto innocente più per le sue risposte sincere che non per quelle rilevanti: questo lo metterebbe sulla difensiva. Ugualmente Lykken (1959,1960) è in contrasto con il metodo Raskin in quanto la validità della domanda di controllo dipende dall‟indurre il soggetto a credere che il test sia infallibile e che le sue reazioni emotive lo mettano in pericolo; nessuno dei due presupposti per Lykken è vero. Egli invece sostiene la fondatezza del proprio modello (Guilty Knowledge Tecnique, GKT) che si basa su domande multiple circa argomenti che solo il colpevole può conoscere. Altra versione di questa tecnica (GKT) è la Guilty Action Test (Bradley, Macclaren, Carle, 1996). Le domande di controllo del Control Question Test (Reid, 1947) sono invece volutamente incerte: il risultato della tecnica è dato dal confronto delle risposte fisiologiche a seguito delle domande sui fatti oggetto di interrogatorio e quelle avute durante le domande di controllo. I modelli sopra esposti si differenziano dalle procedure trattate nel par. 2.3.1 (pp. 37-40) in quanto: a) non sono solo protocolli di interviste ma paradigmi di indagine e di verifica a supporto dell‟impiego di metodi strumentali di individuazione delle menzogne; b) attengono al versante verità/sincerità e non a quello della credibilità (v. successivo par. 2.4.3) che riguarda, invece, gli aspetti percettivi, cognitivi e riproduttivi della testimonianza (per gli ultimi v. sopra par. 2.3 pp. 32-37). Infine, un‟area di ricerca del tutto peculiare è quella riguardante le false confessioni; il fenomeno, in generale, è stato indagato solo di recente ed è piuttosto complesso date le motivazioni per cui si confessa il falso; infatti si può confessare (falsamente) un crimine perché sottoposti a pressione, oppure per manie di protagonismo, per disturbi psichiatrici, per convenienza. In letteratura si possono distinguere tre tipi di false confessioni (Kassin, Wrightsman, 1985): volontaria (in cui un soggetto confessa in assenza di pressioni esterne con lo scopo di volere attenzione, proteggere qualcuno, patologie mentali),
144
Cfr. Tredoux, C.G., Pooley, S. (2001). Polygraph testing of deception: An evaluation and commentary. Industrial Law Journal, 22, pp. 819–839.
58
costretta - accondiscendente (in cui un sospetto confessa solo per sfuggire un interrogatorio avversivo,145 assicurarsi una promessa/beneficio, o evitare un danno minacciato), e costretta - interiorizzata (in cui un sospetto crede realmente che è colpevole del reato) (Kassin, Kiechel, 1996).146 Un caso a parte è rappresentato dalle false confessioni rese dopo lunghe ore di interrogatorio in cui il soggetto modifica il suo ricordo (inventando) ma non con l‟intenzione di mentire (Kassin, Gudjonsson, 2004).
2.4.3 Sintesi Dalla lettura delle due sezioni emerge uno schema che vede da un lato il binomio verità vs falsità, riguardante il piano della accuratezza, e dall‟altro quello della menzogna vs sincerità, rilevante sul piano della credibilità. Quindi sia per il diritto che per la psicologia la verità è concetto diverso dalla credibilità; ma, mentre per il giurista la credibilità è valutata in base alla corrispondenza delle affermazioni con altri elementi e l‟attendibilità, intesa come accuratezza delle dichiarazioni, costituisce al tempo stesso parte integrante della prima e suo indice di valutazione, sul versante psicologico, invece, l‟attendibilità ed accuratezza sono indici di valutazione rispettivamente della verità e della credibilità in relazione alle capacità cognitive del soggetto in base a criteri di abilità di memoria autobiografica, maturità intellettiva, livello di espressione e comprensione linguistica, resistenza alle azioni suggestive, grado di discriminazione tra il vero e falso. 2.5 Testimonianza e narrazione Nell‟introduzione (par. 1.1 p. 9) abbiamo definito la testimonianza come uno strumento di prova per ricostruire un fatto rispetto al quale un terzo (Giudice o anche altri soggetti es. operatori di polizia), adotterà una decisione con eventuali conseguenze sanzionatorie /risarcitorie; la sua funzione, quindi, è quella di permettere la ricostruzione di eventi al fine di dirimere controversie e/o accertare la responsabilità o meno di un soggetto (civile, penale o amministrativa): il suo habitat naturale è il mondo
145
Imbau et al. (2011) hanno messo a punto un manuale di interrogatorio (Reid Tecnique) per indurre a confessare basato su 9 passi: confronto positivo diretto, confronto del tema, gestire i dinieghi, prevalere sulle obiezioni, procurarsi e mantenere l‟attenzione del sospettato, gestire il momento di calo del soggetto, presentazione di alternative, ottenere una descrizione del reato, convertire una confessione orale in una scritta. 146 L‟interiorizzazione è stata anche confermata dai lavori di Nash, R.A, Wade, K.A.(2009) v. articolo: Innocent but proven guilty: Eliciting internalized false confessions using doctored-video evidence. Applied Cognitive Psychology, 23, pp. 624-637.
59
giuridico sia quando essa viene resa all‟interno di un processo, sia extra processo, o comunque in sede stragiudiziale (dove quel rigore al quale è sottoposta si può via via anche attenuare), dando luogo al prodursi di reports tra loro diversi quanto a forma o struttura
(es.
interrogatorio,
sommarie
informazioni
testimoniali,
spontanee
dichiarazioni) ma pur sempre finalizzati ad accertare fatti rilevanti per il diritto. La canonicità del sistema giuridico comporta: a) vincoli procedurali e regole che, se violati, possono dar luogo a conseguenze, di grado diverso, pregiudicando così la stessa esistenza giuridica degli atti o l‟utilizzabilità degli stessi o il prodursi di certi loro effetti; b) criteri di “selezione” per l‟ammissione delle prove, di formazione delle stesse (a volte compresa la tessitura dell‟esposizione orale) e degli elementi in base ai quali esse devono essere interpretate rispetto alle questioni di fatto e diritto oggetto di controversia: la testimonianza, quale mezzo di prova, non si sottrae a tali prescrizioni. Questo ferreo iter è stato considerato come quello più adatto per realizzare la Giustizia:147 la testimonianza, in questo contesto, rappresenta il medium tra il Giudice (o altro decision maker), una realtà passata, della quale egli non ha esperienza diretta, e una presente all‟interno della quale l‟evento, che il teste descrive, si storicizza. Il soggetto chiamato a giudicare, una volta ricostruito il fatto e valutata l‟attendibilità di quanto dichiarato, ha il compito ulteriore di ricostruire il fatto giuridico rilevante ai fini della decisione:148 questo significa che la testimonianza costituisce non solo un ventaglio di informazioni, ma anche il “contenitore” all‟interno del quale l‟Organo chiamato a decidere seleziona quelle pertinenti a ricostruire il fatto giudiziario in relazione alla norma (fatto astratto) ed al fatto concreto di cui si discute. In questo senso egli effettua due indagini: prima di tipo storiografico e poi legale perché all‟accertamento della verità storica del fatto deve seguire l‟individuazione della sua rilevanza giuridica. Non sfugge che, allora, la decisione finale (definiamola in senso generale, realtà giuridica) sarà il prodotto di una co-costruzione derivante dal collegamento tra passato e presente (storico e storicizzato), rappresentato dalla testimonianza e dall‟ulteriore interazione tra essi, e la fase della contestualizzazione giuridica effettuata dal Giudice (o altro Organo anche non giurisdizionale che abbia poteri decisori). Ma questo processo pone un problema sia sul piano teorico che dell‟oggetto che viene costruito: a quale realtà il teste si riferisce (con il suo ricordo) e quale realtà 147
Taruffo, M. (1997). Giustizia, procedure e processo. Ragione Pratica, 9, pp. 145-149. Tratto da lezioni Filosofia del diritto a.a. 2012/2013 Prof. Baldassarre Pastore Università degli Studi di Ferrara. 148
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costruisce con la propria narrazione? E quale quella di colui che è chiamato a decidere? In altre parole a quale mondo abbiamo accesso e come lo conosciamo? Per quello che qui interessa, le questioni dinanzi sollevate presentano aspetti critici di interazione e addirittura di coesistenza: infatti, come vedremo nel capitolo successivo, lo studio condotto nella presente ricerca si muove nell‟ambito di un contesto teorico percettivofenomenologico perché le descrizioni testimoniali necessariamente coinvolgono la descrizione del fatto percepito dall‟osservatore. In questa sede, pertanto, il report testimoniale è stato indagato rispetto ai diversi livelli di descrizione (ovvero contrapposizione tra una descrizione fisica dell‟evento sotto osservazione e la corrispettiva descrizione fenomenica) in senso distintivo e non reciprocamente escludentisi, per cui uno stesso fatto può essere passibile tanto di descrizione fenomenica tanto metrico - strumentale (vedi infra cap. 3): si tratta, quindi, di una compresenza di livelli differenziantesi in riferimento all‟oggetto osservato, alle modalità (o dotazioni) descrittive o al soggetto descrittore. In tale contesto, si è consapevoli delle difficoltà epistemologiche che si incontrano nell‟introdurre il tema dell‟aspetto narratologico di una testimonianza, soprattutto quando le teorie più accreditate nel panorama scientifico intendono la narrazione come un principio organizzatore di esperienza e conoscenza,149 mettendo così in dubbio che si possa accedere alla conoscenza del mondo in maniera oggettiva dal momento che sono molti i modi possibili per leggerlo poiché gli uomini vivono in una storia inserita in un contesto culturale: l‟essere in una socialità, comporta che le nostre azioni siano in relazione al significato attribuito agli eventi ed ai comportamenti delle persone. Dato che, in questa sede, l‟intento è esclusivamente quello di evidenziare che la testimonianza coinvolge anche un processo psicologico narrativo, il riferimento a studiosi della materia verrà fatto solo in relazione ad alcuni aspetti già trattati nei paragrafi precedenti, rispetto ai quali le teorie degli autori citati verranno messe a confronto come spunto di riflessione e per dare una visione di insieme pertinente ai temi trattati. In particolare ci si riferisce al concetto di intenzionalità di una narrazione che per Bruner risiede nella descrizione non solo dei fatti raccontati, ma anche della dimensione psichica, compresi atteggiamenti, opinioni e intenzioni; in questo senso, 149
“Narrare una storia equivale non già ad essere come essa è, ma a vedere il mondo così come si incarna nella storia”. Bruner, J.S. (2002). La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura e vita. Roma-Bari, Editori Laterza, p.29.
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quindi, il teste veicola anche il proprio personale modello normativo di regolazione e di composizione della frattura tra convenzione e inatteso che nelle controversie emerge. Vi è da precisare, però, che l‟intenzionalità, quale spinta organizzatrice dell‟esperienza, non va confusa con il concetto di volontà in senso giuridico, né con quello specifico, richiesto dalla legge penale, definito dolo (p. 43, nota 104): come abbiamo visto nel par. 2.4 (p. 41), nel mentire il teste deve essere cosciente della propria condotta e deve prevedere e volere l‟evento di dire il falso e quindi per intenzione, o intenzionalità, si intende la propensione a conseguire, con scienza e coscienza, un determinato evento (la falsa dichiarazione) non rilevando le spinte che ne producono l‟accadimento (caso mai incidenti sulla sola quantificazione della pena in caso di falsa testimonianza in sede di processo). Altrettanto essa (intenzionalità) va distinta dall‟intenzionalità intesa come direzionalità (v. p. 51, nota 133) quale atteggiamento che il parlante ha in una comunicazione menzognera. Da un punto di vista narratologico invece, laddove sulla base di un riscontro con altre prove emerga che il teste abbia “alterato” l‟evento che si vuole ricostruire, la trasformazione non va letta tout-court in chiave verità/falsità; nella falsa testimonianza è sufficiente accertare anche un solo elemento non veridico del racconto senza che per questo venga meno la verosimiglianza dell‟intera storia: come, d‟altra parte, una testimonianza verosimile potrebbe contenere elementi di menzogna che, se riscontrati, darebbero luogo al delitto di falsa testimonianza; in difetto il resoconto, pur contenendo elementi di travisamento, in quanto verosimile, appare vero. Se considerata da un punto di vista narrativo, la testimonianza non è sottoposta ad un accertamento formale; d‟altro canto, in quanto prova, essa è sottoposta al vaglio di criteri di valutazione. Dunque vero o verosimile?150 Il punto è che la valutazione del vero, nel diritto, avviene attraverso un ragionamento argomentativo/dimostrativo a differenza di quanto avviene per la verosimiglianza (che lo stesso ascoltatore, fuori dell‟aula, magari attribuirebbe alla medesima narrazione). La verosimiglianza di un racconto ha poi molto a che fare con la sua persuasività. Non è difficile cogliere il diverso peso di una testimonianza dai tratti più o meno convincenti: dalla persuasività o meno della stessa non dipende, però, anche la 150
“I racconti, come versioni della realtà, sono accettati perché disciplinati dalla convenzione e non perché verificabili empiricamente o in base ad un correttezza logica”. Bruner, J.S. (1991). La costruzione narrativa della “realtà” in Ammanniti, M., Stern, D.N. (a cura di). Rappresentazioni e narrazioni. Bari: Laterza, pp.17-38.
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sua verità. Secondo Fisher,151 una narrazione è convincente quando è probabile (coerente) e fedele (sintonica con i racconti giudicati, dalle persone, come rappresentativi delle proprie esperienze). La coerenza viene altresì intesa in termini di buona integrazione tra le parti della storia e come completezza, vale a dire come la misura dell‟esposizione di tutte le sue parti attese. Nel caso di storie per loro natura in antagonismo, l‟Organo giudicante tenderà a credere alla storia più probabile ovvero più coerente.152 La coerenza, quindi, non attiene né alla verità né alla verosimiglianza (in senso bruneriano), ma alla natura più o meno convincente della testimonianza. Altra variabile rilevante è la compiutezza della testimonianza; la non compiutezza, in particolare, ha rilevanti conseguenze sull‟esito finale del processo in quanto la decisione si baserà su una rappresentazione mentale guidata da uno script cognitivo-narrativo che permetta la finitezza dei dati e l‟interpretazione dei loro rapporti. Una storia deve essere conforme non solo ad un senso di ciò che accade nel mondo, ma deve proporre versioni normative, di ciò che accade nel mondo, socialmente condivise (Bennet, Feldam, 1981). Bruner a proposito dei racconti giudiziari, e la testimonianza ne costituisce un caso, scrive: “tendono a far sembrare il mondo di per sé evidente, una storia continua che eredita il passato legittimato, laddove la finzione letteraria evoca il familiare allo scopo di turbare le nostre aspettative su di esso, per stimolare la nostra intuizione di ciò che esso potrebbe celare in qualche mondo possibile. La letteratura imita con le sue astuzie la realtà convenzionale per creare la verosimiglianza; il diritto lo fa citando il corpus iuris. E’ possibile mescolarli?”.153 È forse per questo motivo che il mondo del diritto, per moltissimo tempo, è stato visto in assoluta antitesi con tutto ciò che poteva attenere ad un contesto letterario, laddove il termine “narrazione” evoca ineludibilmente un‟attività creativo-fantasiosa. Questa distanza è stata poi ridotta dal movimento statunitense “Literature and Law” del quale ci occuperemo nel paragrafo successivo.
5.1 Storytelling law: interazioni tra diritto e letteratura Nell‟ambito del diritto, si è aperto un filone di indagine delle norme sottese a una testimonianza legale in quanto avente principalmente una forma narrativa: lo storytelling law. La testimonianza, infatti, è una storia (piano sostanziale) che si 151
Fisher, W.R. (1989). Human Communication as Narration: Toward a Philosophy of Reason, Value, and Action, 64. Colombia, S.C.: University of South Carolina Press. 152 Ibidem. 153 Op. cit. La fabbrica…. p. 53.
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inserisce e concorre alla formazione di un‟altra storia il cui esito determinerà le responsabilità (piano processuale). Come già detto, le due vicende possono non coincidere in quanto quella processuale prende corpo dalla quantità di elementi immessi dal teste, o attraverso altre fonti di prova, ma anche dal modo di acquisizione degli stessi. Lo storytelling law trae origine dall‟esigenza di fornire, agli addetti ai lavori, strumenti interpretativi delle norme e dei testi giuridici attraverso una lettura in chiave narrativa degli stessi: “il diritto non è che una storia, come le altre, da interpretare”.154 E‟, di fatto, uno sviluppo nuovo del movimento statunitense “Literature and Law”, nato nel 1973 con l‟opera di James Boyd White The Legal Imagination.155 Esso si inserisce nell‟ambito di una discussione culturale nata all‟interno delle facoltà di Giurisprudenza americane volta a stimolare l‟interazione della materia del diritto con quella di altre discipline scientifiche: dall‟iniziale studio dei contenuti giuridici di grandi classici (il diritto nella letteratura), si passa al diritto come letteratura e quindi narratologia.156 Va sottolineato, d‟altra parte, che i primi tentativi in tal senso sono risalenti agli inizi del „900: in A List of Legal Novels, John Wigmore (Preside della Law School nella Northwestern University e illustre docente di diritto),157 seleziona una serie di brani tratti dalla narrativa letteraria con lo scopo di promuovere opere che contenevano i valori giuridici propri della cultura americana. La finalità che l‟autore si prefiggeva era quella di educare e sensibilizzare gli studiosi del diritto ai predetti valori attraverso uno nuovo strumento: quello della letteratura. Fu questo il primo tentativo di avvicinare il rigoroso e formale mondo del diritto a quello più creativo della produzione letteraria sia pur considerata, da Wigmore, ancora solo come mezzo di conoscenza, rintracciabilità e diffusione dei principi giuridici sottesi alle trame delle opere. Successivamente Benjamin Nathan Cardozo158 affermò che le 154
Minda, G. (2001). Teorie postmoderne del diritto. Bologna: Il Mulino. Per un‟analisi approfondita del movimento: pp.247-276 (ivi, p. 250). L‟autore rimanda a Farber, D. A., Sherry, S. (1993). Telling Stories Out of School: An Essay on Legal Narratives. Stan.L.Rev., 45, p.807 e a Cover, R. M. (1959). Justice Accused, New Haven: Yale University Press, 1950, pp.1-7. 155 White, J. B. (1973). The Legal Imagination: Studies in the Nature of Legal Thought and Expression. Boston: Little, Brown & Co. Anche per White il linguaggio contribuisce al modo in cui conosciamo e costruiamo il mondo. Esso ha un repertorio di azioni più che di proposizioni. Per approfondimenti: White, J.B. (1990). Justice as Translation. An Essay in Cultural and Legal Criticism. Chicago: The University of Chicago Press. 156 Minda, op. cit. Egli sostiene che “diritto e letteratura sono uniti da una visione del linguaggio come comunità di discorso di particolari mondi culturali” e che la letteratura “lega il giurista alla comunità più ampia della quale fa parte” (ivi, p. 249). 157 Wigmore, J. H. (1908). A List of Legal Novels. IIlinois Law Review, 2, pp.574 ss. 158 Cardozo, B. N. (1925). Law and literature. In: Selected writings of Benjamin Nathan Cardozo, 1925 (a cura di M. E. Hall), New York, 1947.
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sentenze costituiscono esempi di scrittura letteraria: nel suo saggio Literature and Law non solo propone di leggere i testi giuridici alla luce dei canoni letterari, ma introduce un criterio interpretativo secondo il quale, attraverso la rappresentazione letteraria, si può cogliere un diritto in azione in contrapposizione a quello statico dei manuali. Queste due impostazioni vengono definite come Law in Literature e Law as Literature: Law in Literature si prefigge di inserire la letteratura nell‟ambito della formazione degli attori del diritto attraverso lo studio delle rappresentazioni letterarie; Law as Literature propone di utilizzare tecniche di critica letteraria per approcciare questioni di teoria del diritto con particolare interesse all‟interpretazione e all‟indagine del ragionamento giuridico (ermeneutica). Weisberg e Kretschman159 svilupparono ulteriormente le teorie di Wigmore proponendo un modello che prevede la classificazione in: - opere letterarie che descrivono una procedura giuridica; - opere che hanno come protagonista dell‟intreccio un uomo di legge; - opere in cui l‟argomento centrale è costituito da specifici testi di legge; - opere nelle quali è presente il tema del rapporto tra l‟uomo e la giustizia. Gli autori, a differenza di Wigmore, includono in questa griglia anche il genere epico e teatrale. Lo storytelling law è divenuto da un lato modello formativo per i giuristi, avvocati, giudici ma, soprattutto, dall‟altro metodo per valutare il carattere persuasivo della testimonianza degli atti processuali mediante l‟indagine delle caratteristiche strutturali interne alla narrazione. Nel 1989 fu organizzato un Symposium sul Legal Storytelling: è l‟ufficiale consacrazione delle teorie narrative del diritto160 i cui racconti sono visti come un mezzo di costruzione di una realtà sociale e di comunità perché il diritto altro non tratta se non delle persone, della vita e di una cultura.161 Il movimento Law and Literature si è poi sviluppato, negli anni „90, in quello del lawyering theory che trova la sua migliore espressione nel volume Minding the Law;162 questo approccio suggerisce di porre l‟attenzione su cosa succede nella pratica indagando quali generi di storie vengono narrate e quali sono le differenze narrative dei vari attori del diritto. Se quindi “il diritto non è che una storia, come le altre, da
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Weisberg R. H., Kretschman, K. (1977). Wigmore's legal novels' expanded: a collaborative effort. Maryland law forum,VII, pp. 94 ss. 160 Si vedano gli atti del Legal Storytelling Symposium in Michigan Law Review, p. 87, 1988-1989. 161 Il diritto è definito da Bruner come “l‟arena ideale” di sperimentazione di una realtà socialmente costruita. Comunicazione personale dell‟Autore, New York, aprile-maggio 2006. 162 Amsterdam, A.G., Bruner, J. (2000-2002). Minding the Law. Cambridge, U.S.A.: Harvard University Press.
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interpretare “ (fonte bibliografica citata in nota 157 p. 64) allora potremmo dire che anche la testimonianza è una storia e come tale da interpretare. Quando si incontrano due discipline (letteratura e diritto, così come abbiamo già fatto per diritto e psicologia) è necessario individuarne le differenze ai fini delle possibili interazioni. Il criterio, che naturalmente viene da tener presente, è quello che distingue le due materie in base al binomio verità/falsità o realtà/irrealtà. Ma se la natura narrativa viene riconosciuta, come detto in precedenza, anche ai racconti giudiziari, porre la questione in tali termini significherebbe mettere in dubbio la funzione stessa della narrazione. È la tesi proposta da Mittica163 la quale afferma che il racconto di storie riguardanti fatti accaduti, così come quelle di fantasia, orienta sia il narratore che chi ascolta nella costruzione della realtà; i fatti o la fantasia sono l‟oggetto della storia e la storia è l‟oggetto del racconto. Le storie, eventualmente, vanno distinte rispetto alla ricaduta che hanno nel contesto in cui si narrano e non a priori; propone quindi una distinzione di tipo analitico in forza della quale le narrazioni giuridiche sono quelle che appartengono al mondo della legge comprese quelle che l‟autrice definisce come appartenenti alla sfera del non diritto, cioè quelle storie della vita quotidiana che il sistema giuridico (del diritto positivo) normalmente lascia fuori dalle aule (o da contesti formal-giuridici). Ma perché confrontare diritto e letteratura? Il vantaggio è quello di cogliere: a) l‟interazione che si forma tra la riduzione della complessità che il diritto opera attraverso la codificazione delle leggi e la sollecitazione proveniente dalla letteratura di osservazione complessa della realtà; b) il rapporto tra consolidato e possibile che è reverse a seconda che si osservi la legge come strumento per consolidare aspettative e la letteratura nella sua vis di ribaltare punti di vista (e appunto viceversa). ***** Nel prossimo capitolo verrà affrontato il piano percettivo della testimonianza che costituisce il focus della presente tesi.
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Mittica, M.P. (2010). Diritto e costruzione narrativa. La connessione tra diritto e letteratura: spunti per una riflessione. Tigor: rivista di scienze della comunicazione - A.II, n.1 (gennaio-giugno).
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Capitolo 3) Contesto teorico-metodologico: l’esperienza fenomenico percettiva del testimone 3.1 Premessa Nella definizione che Altavilla164 e Musatti165 danno della testimonianza è sotteso un argomento, largamente dibattuto ed ancora controverso, di natura non solo filosofica ma anche proprio della comunità psicologico-scientifica, e cioè quello della contrapposizione tra “oggetto” e “soggetto”, tra fatto “oggettivo e soggettivo”. Nella presente ricerca, la “lente di ingrandimento” viene posta su un particolare aspetto del problema, vale a dire quello inerente il rapporto tra percezione, descrizione del percetto e correttezza della stessa. Più in generale, il problema della corretta descrizione di un fatto sotto osservazione (v. infra par. 3.3 p. 76 e 3.4 p.81) è alla base della psicologia della percezione (psicofisica e fenomenologia sperimentale della percezione) che analizza il rapporto tra fatto fisico (stimolo) e sensazione o percetto corrispondente. In questo senso, il livello di indagine riguarda il cosa e il come il teste descrive vale a dire qual è (o quali sono) l‟oggetto dell‟osservazione e quale la relativa modalità descrittiva nonché il suo grado di completezza. La tematica non può, però, prescindere dall‟essere inizialmente contestualizzata all‟interno delle seguenti domande: è corretto, ed in base a quali criteri, distinguere tra mondo fisico e mondo percepito? E conseguentemente: - cosa intendiamo, e da quale versante teorico-metodologico, per mondo fisico e mondo fenomenico? Come individuare l‟eventuale punto di cesura? - quale l‟oggetto osservato nel primo e nel secondo? - quali sono gli elementi costitutivi, e relative proprietà, in base ai quali valutare la completezza descrittiva dell‟oggetto osservato? - quale la modalità descrittiva delle proprietà dell‟uno e dell‟altro, il suo grado di correttezza nonché la natura del rapporto tra eventuali diversi piani descrittivi? E‟ questo il percorso attraverso il quale si snoderà la seguente trattazione costituita da un‟introduzione generale (par. 3.2 e 3.3), che si inquadra all‟interno dei suddetti interrogativi, e da una seconda sezione (par. 3.4 e 3.5) che affronta, nel quadro
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La testimonianza possiede una componente di verità oggettiva e una parte di costruzione soggettiva che si unisce, si sovrappone o si sostituisce alla prima totalmente o parzialmente in maniera conscia o inconscia (Altavilla, op. cit.). V. par. 1.1 p. 9. 165 Prodotto di una molteplicità di fattori rappresentati dagli elementi di quel fatto obiettivo, dalla natura stessa della personalità psichica del testimone e dalle situazioni esteriori che, nel passato, hanno agito e continuano ad agire sul testimone stesso (Musatti, op. cit.). V par. 1.1 p. 9.
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delineato, gli aspetti fenomenologici propri di una testimonianza (in riferimento al corpus utilizzato nella ricerca) e conseguenti problematiche. 3.2 I “livelli” di realtà: antitesi o coesistenza? La percezione è quel processo psicologico che ci mette a contatto con il mondo e quindi, in primo luogo, ha uno stretto rapporto con la conoscenza, o con la possibilità di conoscenza, che noi abbiamo di esso. Questa intrinseca relazione, dibattuta nell‟ambito delle discipline filosofiche prima e psicologiche poi, pone una questione cruciale vale a dire quella della affidabilità e fiducia attribuibile ai percetti una volta riconosciuta, in determinate circostanze, la loro ingannevolezza;166 quale quindi il grado di credito da attribuire alla percezione? La questione sembra peraltro sottendere anche altri due aspetti tra loro pure in (apparente) contraddizione: da una parte l‟assunto che i nostri sensi ci dicano il vero,167 dall‟altra la constatazione che è altrettanto vero che, a volte, possono ingannarci soprattutto se si ammette una corrispondenza assoluta tra mondo fisico e mondo percepito secondo la quale il mondo ci appare come è nella realtà, ovvero i sensi non fanno altro che fornire una copia fedele della realtà oggettiva che sta “lì fuori” limitandosi a registrarla passivamente. Vi sono, infatti, situazioni in cui vediamo quello che non c‟è (es: triangolo di Kanizsa), non vediamo quello che c‟è (es: triangolo di Galli-Zama), vediamo quello che non può esistere (es: figure impossibili di Penrose), vediamo più cose in luogo di una sola (es: vaso di Rubin) ed, infine, vediamo le cose diverse da come sono (es: configurazione di Müller-Lyer). Il dubbio circa la fides da riporre nei sensi, come canali di accesso alla conoscenza, nasce da una serie di interrogativi: sono essi uno strumento di conoscenza attendibile? Come giustificare, alla luce delle evidenze percettive sopra descritte, la discrepanza tra realtà fisica e realtà percettiva? Se vi è un iato tra mondo fisico e mondo 166
“In fondo, la stessa distinzione fra realtà ed apparenza sembra possibile grazie all’esistenza di queste situazioni paradossali: in un mondo dove gli «inganni dei sensi» non ci fossero, una distinzione tra gli oggetti della fisica e quelli della psicologia risulterebbe artificiosa in teoria e impossibile da un punto di vista operazionale”. Bozzi, P. (1961). Descrizioni fenomenologiche e descrizioni fisico-geometriche. Rivista di Psicologia, 55, pp. 277-289. Anche in: Atti del XIII Congresso degli Psicologi Italiani (Palermo), 1962, pp. 29-41. Ripreso in Bozzi, P. (1989). Fenomenologia sperimentale. (pp. 65-81). Bologna: Il Mulino. 167 “Quando si dice che i sensi ingannano li si calunnia due volte, la prima pretendendo che debbano sempre dirci la verità, come se fossero dei fisici e non dei fenomenologi che ci rendono conto di un mondo osservatile, e la seconda perché le volte in cui ci guidano senza inganno sono la normalità” Bozzi, P. (2002). In atti: I° Seminario ciclo Ekphrasis: “Vedere e pensare”, organizzato dalla Fondazione Europea del Disegno in collaborazione con il Centro Interuniversitario di ontologia teorica e applicata (Università di Torino). Isola di San Giulio 1-4 luglio 2002.
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percepito, evidenziato dalla “smentita” del carattere meramente riproduttivo del rendimento percettivo, sono essi tra loro inconciliabili e confliggenti oppure sono in qualche modo riconducibili a un quadro unitario? Il dubbio circa l‟affidabilità/inaffidabilità dei sensi si è tradotto, nel corso dei secoli, in varie declinazioni a seconda della regione scientifica di provenienza: nell‟ambito della filosofia si registrano posizioni di marcata “diffidenza” (Cartesio, 1640)168 tali da suggerire regole prudenziali, accanto ad altre che problematizzano ulteriormente l‟argomento della instabilità dell‟esperienza discendente, non solo dall‟ingannevolezza dei sensi, ma anche dalla incertezza dell‟induzione (Hume, 17391740), fino a giungere a quelle che, superando lo scetticismo, arrivano a concludere che la stabilità dell‟esperienza dipende da schemi concettuali169 senza i quali non possiamo avere delle sensazioni corrispondenti (Kant, 1781). “Il dato più evidente di queste strategie è appunto di attribuire ai sensi una funzione essenzialmente epistemologica, come se fossero anzitutto dei veicoli di conoscenza, e poi, constatato che la conoscenza sensibile non garantisce la certezza, nel revocare qualsiasi interesse alla sensibilità” (Ferraris, 2012). Galileo,170 introducendo il nuovo linguaggio della matematica, delineò un mondo fatto di entità misurabili (oggetto della fisica) ed irregolari e ingannevoli (le esperienze percettive), ovvero una realtà fatta di qualità primarie (oggettive) e qualità secondarie (soggettive) (Locke, 1688). La matematizzazione della natura sembrò portare alla perdita del mondo fenomenico: “La scienza moderna abbatté le barriere che separavano cielo e terra unificando l’universo… Ma essa realizzò tale unificazione sostituendo al nostro mondo delle qualità e delle percezioni sensibili, il mondo che è il teatro della nostra vita, delle nostre passioni e della nostra morte, un altro mondo, il mondo della quantità, della geometria reificata, nel quale, sebbene vi sia un posto per ogni cosa, non vi è posto per l’uomo” (Koyré, 1965). Per recuperare il distacco tra il “mondo della vita” e quello dell‟universo, fu necessaria la messa fra parentesi di quello delle scienze oggettive per un ritorno “alle
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“Tutto ciò che ho ricevuto finora come il più vero e sicuro, l’ho appreso o dal senso, o per mezzo del senso; ora io ho sperimentato qualche volta che il senso inganna ed è prudente non fidarsi mai di coloro che ci hanno una volta ingannati.” Cartesio. (1640). Meditazioni sulla filosofia prima. 169 “Le intuizioni senza concetti sono cieche”. Kant, I. (1781). La critica della ragion pura. 170 “Ma che ne’ corpi esterni, per eccitare in noi i sapori, gli odori ei suoni, si richieggia altro che grandezza, figure, moltitudini e movimenti tardi o veloci, io non lo credo; e stimo che, tolti via le lingue, gli orecchi e i nasi, restino bene le figure i numeri e i moti, ma non già gli odori né i sapori né i suoni, li quali, fuor dell’animal vivente non credo che siano altro che nomi, come appunto altro che nome non è il solletico e la titillazione, rimosse le ascelle e la pelle intorno al naso.” Galileo, (1623). Il Saggiatore.
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cose stesse” con una visione libera da presupposizioni concettuali (Husserl, 1936). Così, afferma Husserl, “io neutralizzo tutte le scienze che si riferiscono al mondo naturale; per quanto mi sembrino solide, per quanto le ammiri, per quanto non pensi affatto di accusarle di qualcosa, non ne faccio assolutamente alcun uso. Non mi approprio di nessuna delle loro proposizioni, anche se sono di perfetta evidenza, non ne assumo alcuna, e da alcuna di esse ricevo un fondamento”.171 Quindi, per “tornare alle cose stesse”, occorre spogliarle di tutti quei presupposti scientifici o epistemologici che si frappongono tra noi e il mondo: la riduzione fenomenologica (l‟epoché, la messa fra parentesi) diventa un metodo di indagine. Sul versante psicologico, la fenomenologia diventa la scienza dell‟esperienza percettiva. In particolare, nell‟ambito della Psicologia della Gestalt (Köhler, Koffka, Metzger, Wertheimer), la fenomenologia diviene sinonimo di descrizione naturale e diretta dell‟esperienza: “Sperimentazione e osservazione devono procedere di pari passo. La buona descrizione di un fenomeno può da sola escludere parecchie teorie e indicare le precise caratteristiche che debbono comparire nella teoria corretta. Chiamiamo «fenomenologia» quest’ultimo tipo di osservazione […] per noi fenomenologia significa una descrizione dell’esperienza diretta il più possibile completa e non prevenuta” (Koffka, 1935); “Accettare semplicemente il «dato immediato» così come esso è, anche se appare come non abituale, inatteso, illogico o insensato e anche se contraddice a convinzioni indiscusse o ad abitudini di pensiero molto familiari. Lasciar parlare le cose stesse, senza lasciarsi fuorviare da quanto ci è noto od abbiamo appreso, dall’«ovvio», dal sapere implicito, dalle esigenze della logica, dagli stereotipi linguistici o dalla povertà del nostro vocabolario” (Metzger, 1963). Gli esponenti della scuola gestaltica seppero altresì combinare efficacemente il metodo fenomenologico con quello sperimentale il cui fine “è la scoperta e l’analisi di connessioni causali necessarie tra i fenomeni visivi, l’individuazione delle condizioni che determinano, favoriscono o ostacolano la loro comparsa e il grado della loro evidenza e non una “mera descrizione o inventario di fenomeni” (Kanizsa, 1980) e dove “le variabili dipendenti di cui tener conto sono quelle dei fenomeni e non quelle degli stimoli che producono i fenomeni” (Vicario, 1993).172 171
Husserl, (1913). Idee per una fenomenologia pura. Cfr anche Pomerantz & Kubovy: “In [the phenomenological] method the observer… [is] asked to view a stimulus and to describe its apparent organization. These stimulus patterns… [are] designed so that, in principle, a number of different and distinct organizations were possible… to the extent that different 172
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Sullo sfondo di tali teorie resta, pur tuttavia, una visione del rapporto tra mondo fisico e fenomenico di matrice dualista sia pur stemperata. Per Köhler, tra le due realtà non vi è alcun punto di vicinanza o adiacenza; nondimeno, pur sostenendo la mancanza di contatto o inclusione, Köhler introduce un principio di isomorfismo secondo cui tra le due realtà esiste una somiglianza strutturale di fondo: l‟organizzazione che assumono gli elementi del nostro campo percettivo è analoga al modo in cui si distribuiscono i processi neuronali all‟interno del nostro cervello i quali, a loro volta, riproducono le strutture proprie di alcune entità del mondo esterno studiate dai fisici (come i campi elettromagnetici) (Köhler, 1938). Posizioni invece volte ad integrare più efficacemente il mondo fisico e quello fenomenico, fino a giungere a sistemi teorici di reductio ad unitatem, sono quelle dell‟approccio fenomenologico sperimentale di Bozzi ed ecologico di Gibson (pur con dei distinguo dei quali daremo conto). Per Bozzi la fenomenologia sperimentale si configura come «una sorta di etologia degli oggetti e degli eventi» (Bozzi, 2002) epistemologicamente indipendente da presupposti fisiologici. In questo contesto la percezione è intesa “come essa è realmente e inappellabilmente data alla nostra capacita di esplorazione, com’essa è oggettivamente in funzione mentre stiamo guardando un paesaggio o «Guernica» o il traffico, o mentre ascoltiamo i tessuti sonori di un bosco, di un Trio di Webern, di una strada trafficata.” (Bozzi, 1989). Bozzi sviluppò il suo impianto di una fenomenologia sperimentale “pura” della percezione, rivelando come si potesse fare ricerca sperimentale in percezione considerando i fatti percettivi 'iuxta propria principia',173 cioè una ricerca basata su principi teorici radicati nell'esperienza fenomenica stessa e senza mutuare concetti da altre discipline: “Non ci sono due mondi, uno fenomenico e un altro al di là di esso: tanto è vero che ogni indagine sulla percezione viene realizzata restando bene al di observers agree on the organization they report perceiving, we have evidence for rules of perceptual organization, rules that are claimed to produce the simplest possible organization of the stimulus.” Pomerantz J.R. & Kubovy, M., (1986). Theoretical approaches to perceptual organization. In Boff, K.R., Kaufman L., Thomas J.P., (eds.). Handbook of perception and human performance. Wiley, vol. II, c. 36, pp. 1-46. 173 “La fenonemonologia sperimentale è un ramo delle scienze naturali ed un pezzo di concezione naturalistica della teoria della conoscenza. Se il collega pensa che una concezione naturalistica della percezione debba risultare da un assemblaggio di frammenti di nozioni tratte dalle scienze naturali, intese come enciclopedia di fatti e di concetti nati ed elaborati in biologia, in fisiologia, in fisica, in chimica, in intelligenza artificiale in teoria dell’informazione e loro d’intorni si sbaglia. Non mettendo più o meno ingegnosamente insieme pezzi di nozione acquisite altrove che si dà corpo ad una teoria di osservabili visivi, acustici, tattili, propriocettivi e via elencando, ad un teoria o a un modo di ragionare che produca coerenza e soprattutto scoperte di fatti nuovi nel campo della percezione”. Bozzi. P. (2002). Fenomenologia sperimentale. Teorie e modelli, n.s., VII, 2-3, pp. 15-16.
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qua, tra gli oggetti e gli eventi fenomenici, e tutti gli ingredienti della percettologia sono a portata di mano tra gli osservabili, diciamo così: a portata di sguardo” (Bozzi, 2003). Sono, quindi, proprio le proprietà persistenti, al mutare degli stimoli, a costituire la realtà di un determinato oggetto e non un qualsiasi aggregato di atomi o l‟insieme dei rapporti tra grandezze misurabili che la scienza pone “al di sotto” e “al di là” dei fenomeni (Bozzi, 1990,1994). Una più approfondita rilettura dei classici gestaltisti lo conduce, quindi, a rivisitare il principio di isomorfismo di Köhler fino ad allora interpretato comunque come contrapposizione tra mondo fisico (stimoli) e mondo fenomenico (percetto): secondo Bozzi, il dualismo di Köhler è in senso epistemologico in quanto entrano in gioco categorie descrittive diverse: “Ecco il problema: gli stimoli da una parte, le percezioni dall'altra; i processi del sistema nervoso periferico e centrale da una parte, e ancora le percezioni e le strutture più complesse dell'esperienza dall'altra; la misura fatta con i sistemi della fisica elementare da una parte, le valutazioni qualitative scalarmente ordinate di proprietà di eventi percettivi dall'altra; il quantitativo della fisica da una parte e la quantità come qualità del vissuto dall'altra. “Questo mescolamento di categorie produce la netta sensazione di un irrimediabile dualismo sottostante. Da una parte i fatti descritti con il linguaggio delle neuroscienze e dall'altra gli stessi fatti trattati con la grammatica di una fenomenologia sperimentale rilevante perché, malgrado tutto quello che sappiamo, o crediamo di sapere, intorno alle cause della realtà che ci circonda, i fenomeni del mondo esterno hanno una qualità unica”.174 La precedente citazione può essere considerata una sorta di manifesto sintetico delle questioni di fondo proprie dell‟impostazione teorico- metodologica di Bozzi che, come vedremo successivamente, avranno importanza anche rispetto alla problematica delle diverse modalità descrittive (v. infra par.3.3 p. 76). Pure Gibson175 (1979) considerò l‟analisi fenomenologica come la metodologia più efficace per affrontare la percezione “ordinaria”, vale a dire quella con cui l‟uomo ha a che fare nella quotidianità, che rappresenta l‟unica realtà in grado di fornire compiutezza all‟esperienza percettiva in un naturale rapporto con il mondo circostante. 174
Bozzi, P. (2003). Note sulla mia formazione, le mie esperienze scientifiche, le mie attuali posizioni (all'occasione d'una nota all'articolo della dott. Liliana Bernardis).Titolo originario: "Anmerkungen zur Praxis und Theorie der experimentellen Phänomenologie" Gestalt Theory - An International Multidisciplinary Journal, pp. 191-198. Trad. it. Rosamaria Valdevit. 175 Gibson, J. J. (1979). The Ecological Approach to Visual Perception. Boston: Houghton-Mifflin. Trad. it. di Riccardo Luccio. (1999). Un approccio ecologico alla percezione visiva. Bologna: Il Mulino.
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Infatti, il riduzionismo fisiologico comportava il postulato di una base illusoria della percezione che, per lo studioso, costituiva un “inutile fardello epistemologico”. Il carattere talvolta ingannevole della percezione non implica, secondo Gibson, che la percezione in generale debba essere considerata una fonte inattendibile di conoscenza del mondo e anzi Gibson si muove in favore della attendibilità e veridicità del “mondo visivo”. L'idea centrale attorno alla quale si articola la “psicologia ecologica” di Gibson è che il mondo che percepiamo non è quello della fisica o di Cartesio, ma il mondo come ecosistema ambientale in cui siamo immersi; non esiste quindi soltanto un tipo di visione, né tantomeno si tratta di quella visione fissa “da laboratorio” (con punto di fissazione immobile e testa bloccata) che Gibson chiama visione istantanea. “I trattati e i manuali assumono che il tipo più semplice di visione è quella che si ha quando l'occhio viene tenuto fermo allo stesso modo in cui deve essere tenuta ferma la macchina fotografica, in modo che si formi una figura che possa essere trasmessa al cervello." Ma nella realtà noi percepiamo in modo del tutto diverso: non solo muoviamo liberamente la testa per seguire ciò che ci interessa ("visione ambiente"), ma ci muoviamo anche liberamente nello spazio ambiente per circondare l'oggetto, avvicinarci o allontanarci a seconda delle nostre esigenze ("visione deambulatoria").176 La critica che Gibson muoveva ai suoi contemporanei era che questo tipo di visione non fosse mai presa in considerazione e che gli sperimentatori, al contrario, si muovessero verso la riduzione della complessità della visione a una sequenza di istantanee fotografiche. L'altro elemento caratterizzante la psicologia ecologica di Gibson è la teoria della raccolta di informazioni (Information Pickup Theory) secondo la quale la percezione non è né un progressivo “arricchimento” fondato sull‟esperienza, né una elaborazione cognitiva del soggetto che “impone” la propria organizzazione agli stimoli, bensì è la capacità di cogliere le informazioni già contenute nello stimolo medesimo. E‟ la stimolazione ad offrire un ordine intrinseco grazie a precise distribuzioni spaziali e temporali di “disponibilità” (chiamate affordances), considerate proprietà specifiche dell'ambiente, significative e rilevanti per l'organismo che ci vive. È quindi la capacità di percezione, come diretta conseguenza delle proprietà dell'ambiente, che permette all'organismo di sopravvivere in e ad esso; il soggetto deve limitarsi a cogliere queste informazioni percettive attraverso il sistema visivo che svolge 176
Ibidem, p. 224.
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quindi una funzione solutoria di problemi biologicamente significativi. "La teoria delle affordances rappresenta uno scarto radicale rispetto alle teorie esistenti del valore e del significato. Essa prende le mosse con una nuova definizione di che cosa sono valore e significato. La percezione di un'affordance non è un processo di percezione di un oggetto fisico privo di valori a cui il significato è qualcosa di aggiunto in un modo in cui nessuno è in grado di concordare; è un processo di percezione di un oggetto ecologico ricco di valore. Ogni sostanza, ogni superficie, ogni layout ha qualche affordance che può avere effetto positivo o negativo su qualcuno. La fisica può non tener conto dei valori, ma l'ecologia no."(ed 1999, p. 224). Sia l‟approccio di Bozzi che quello di Gibson sembrano sottendere il tema del rapporto tra fenomenologia della percezione e immagine scientifica della realtà: qual è il ruolo che a quest‟ultima spetterebbe ancora nella descrizione del mondo esterno? Per il primo le entità e le leggi della fisica non sarebbero altro che aspetti estremi e di demarcazione, ipersemplificati, del mondo infinitamente più ricco e complesso dell‟esperienza fenomenica in cui noi abitiamo (Bozzi, 1990,1994); per il secondo invece la percezione va sempre alle cose stesse, in quanto specifica tanto gli aspetti stabili e permanenti, quanto quelli che mutano e che appartengono allo stesso titolo alla realtà oggettiva. Da questo punto di vista, quindi, la distanza che separa l‟immagine scientifica da quella fenomenica del mondo riguarda più la scelta della “taglia” e dell‟oggetto di ciò che viene indagato, nonché della relativa metodologia, che non lo statuto ontologico dell‟uno o dell‟altra; infatti il mondo microscopico di cui si occupa la fisica atomica mal si concilia con le cose o gli oggetti che popolano la nostra realtà quotidiana.177 L‟interesse alle questioni sopra illustrate suscita ancora una grande attenzione scientifica: Barry Smith, sulla scia dei lavori di Gibson e dei gestaltisti, ad esempio, propone una soluzione della questione partendo da un approccio non prospettico ma “ecumenico” (Varzi, Casati, 2002), secondo il quale il mondo fisico e quello fenomenico possono essere considerati due aspetti, distinti ma conciliabili, di un‟unica realtà. Le tendenze integratrici delle quali sopra abbiamo dato conto, in Smith si radicalizzano pervenendo ad un progetto ontologico complesso che ha lo scopo di costruire una mappa complessiva dell‟intera realtà. In un‟ontologia del reale rientrano
177
Cfr. Hanson, N. R. (1963). The Dematerialization of Matter. In Ernan McMullin (a cura di). The Concept of Matter. Notre Dame, Indiana: University of Notre Dame Press, pp. 549-561.
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così non solo le analisi delle strutture percettive e cognitive dell‟essere umano, ma anche le sue credenze di senso comune (Smith & Petitot 1990; Smith, 1993,1993a). Ora il termine credenze, mentre da un lato appare inconciliabile con l‟epochè propria del metodo fenomenologico, dall‟altra sfida la fisica esperta laddove essa contrasti con la fenomenologia propria della fisica ingenua (Bozzi, 1990): la realtà descritta da quest‟ultima è un aspetto emergente rispetto a quella descritta dalla fisica esperta (Smith, 1988, 47-48).178 Questa idea di “emergente” è una sorta di rivisitazione del concetto gestaltico di intero, ma Smith stesso intravvede un limite alla sua teoria del rapporto di emergenza in quanto presupponente la relazione di parte-intero tra realtà fisica e fenomenica; in che modo infatti le proprietà quantificabili sarebbero anche proprie di quelle percettive? Così Smith ricalibra il suo ragionamento adottando una visione epistemologica, e meno ontologica, secondo cui non è la realtà fenomenica indipendente a emergere sul mondo della fisica, quanto piuttosto le descrizioni della fisica ingenua a emergere su quelle della fisica esperta. Il conflitto che nasce da una “duplicazione” di mondi, per certi versi intuitivamente inevitabile, sembra quindi risolversi in Smith, ma come vedremo nel paragrafo seguente anche in altri autori, sul piano descrittivo perché se non sempre c‟è concordanza tra quello che percepiamo e quello che sappiamo sul mondo, se le condizioni obiettive degli stimoli non equivalgono al risultato del processo percettivo, allora un conto è descrivere il piano fisico, altro è descrivere l‟evento fenomenicopercettivo. E‟ proprio tale distinguo quindi a darci indicazione di una loro coesistenza: esso infatti ci permette di avvicinarli senza confonderli, tenendo presente che ci sono entrambi con la loro diversità ontologica, epistemologica nonché descrittiva. Essi sono entrambi reali ed utili nell‟esperienza umana179 anche se i dati fenomenici, descritti con l‟imprecisione e l‟ambiguità del linguaggio naturale che ne costituisce al contempo la plasticità, sembrano a volte avere preminenza sui dati fisici
178
“Il «mondo del senso comune» cui Smith fa riferimento è, al più, un sottosettore molto piccolo di quello che si ha in mente quando si parla di fisica ingenua”. Casati, R.. Varzi, A. (2002). Un altro mondo? Rivista di estetica, n.s., 19 - 1 XLII, pp. 131-159. 179 “L’aspetto interessante della percezione, in ultima istanza, è proprio questo: più che come una fonte di informazione, dunque come una risorsa epistemologica, va considerata un punto di inciampo per le nostre attese costruttivistiche. In un certo senso, la funzione della percezione è assimilabile alla falsificazione in Popper, solo che qui assolve una funzione ontologica e non, come in Popper, epistemologica. Sono proprio le linee di resistenza (di «inemendabilità», per usare il mio vocabolario) che importano nella percezione”. Ferraris, M. (2012). Percezione. Aisthesis. Pratiche, linguaggi e sapere dell’estetico, vol. 5 Special Issue. Firenze: University Press.
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che, a loro volta, appaiono tendere simmetricamente a neutralizzare l‟intervento attivo della percezione in quanto descritti con un linguaggio matematico che ne sottolinea, in primis, le quantità. Uno studio sperimentale del mondo fenomenico, invece, deve impegnarsi ad aggirare tale dicotomia, ad esempio quantificando i fenomeni percettivi o ricreando artificialmente le condizioni in cui tali fenomeni vengono a costituirsi.180 3.3 Descrizioni fisiche e descrizioni fenomeniche La discrepanza tra i due livelli descrittivi, oltre che essere manifesta nelle cosiddette illusioni ottico-geometriche, è stata oggetto dell‟analisi dell‟errore dello stimolo (per una rassegna antologica, vedi Savardi & Bianchi, 1999). L‟errore dello stimolo è un paradigma generale d‟errore che identifica il piano della descrizione corretta a partire dall‟oggetto osservato, da chi è il soggetto della descrizione (nel nostro caso, osservatore naïve o soggetto esperto - operatore di polizia), quali strumenti impiega (dotazione sensoriale ordinaria o strumenti di misurazione – contachilometri, cordella metrica, cronotachigrafo...), che linguaggio utilizza (naïve o tecnico-esperto). Diverse sono le formulazioni di errore dello stimolo, e sue sottodeclinazioni, rintracciabili in letteratura; di seguito si riportano le più classiche allo scopo di commentarle brevemente a confronto: - noi confondiamo costantemente le sensazioni con i loro stimoli, con i loro oggetti e significati (Titchener, 1905); - commettiamo dunque l‟errore dello stimolo se basiamo le nostre descrizioni psicologiche sugli oggetti piuttosto che sul materiale mentale stesso (Boring, 1921); - l‟errore dello stimolo è il pericolo di confondere la nostra conoscenza delle condizioni fisiche dell‟esperienza sensoriale con questa esperienza medesima così com‟è per se stessa; viceversa, l‟errore dell‟esperienza si commette quando certe caratteristiche proprie dell‟esperienza sensoriale si attribuiscono inavvertitamente al mosaico degli stimoli (Köhler, 1929); - l‟errore dello stimolo consiste nel sostituire l‟elenco delle caratteristiche dello stimolo distale (o fonte degli stimoli) alla descrizione dell‟esperienza diretta; si descrive non ciò che si vede ma ciò che si sa dello stimolo. Errore dell‟esperienza: consiste nell‟attribuire alla stimolazione prossimale le caratteristiche che sono invece proprie dell‟esperienza diretta; errore d‟aspettativa: si può dire che ad ogni impostazione
180
Cfr. Massironi, M. (1998). Fenomenologia della percezione visiva. Bologna: Il Mulino.
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teoretica generale corrisponda la possibilità di un tipo speciale di errore dovuto alle particolari aspettative che ciascun sistema teoretico-interpretativo porta con sé. Errore del gestaltista: sorpresa nell‟affermarsi di un fenomeno percettivo non conforme a schemi teorici gestaltisti (Kanizsa, 1980); - l‟errore dello stimolo è la confusione di qualche parte dell‟esperienza diretta con qualcuna delle concomitanti fisiche e fisiologiche (Bozzi, 1972); - l‟errore dello stimolo viene compiuto allorquando si mettono a confronto la descrizione “obiettiva” di una situazione stimolo e la descrizione “soggettiva” degli stati di coscienza o dei contenuti mentali relativi a quella situazione stimolo (Vicario, 1973). L‟elemento che accomuna le formule citate è quello di sottolineare la discrepanza tra la descrizione e l‟oggetto descritto al di là del diverso metodo di indagine al quale gli autori fanno riferimento; anzi, sarà proprio questo a costituire il discrimine diversificante i diversi piani descrittivi, ed entro cui il paradigma dell‟errore dello stimolo opera, stabilendo il corretto percorso a partire dal soggetto, dall‟oggetto, dal linguaggio, dalla dotazione secondo il sotto indicato schema:181
181
Per il commento v. Savardi, U., & Bianchi, I. (1999) (a cura di). Gli errori dello stimolo. Verona: Cierre Editore, pp. 158-170.
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L‟errore dello stimolo è, pertanto, uno strumento di lettura ed analisi alla luce del quale inquadrare il rapporto tra i diversi piani descrittivi che, come abbiamo visto in chiusura del par. 3.2, costituisce la chiave di volta per considerare in modo diverso la questione mondo fisico vs mondo fenomenico. Da questo punto di vista il problema si sposta dalla dicotomia vero/falso al piano della scomponibilità delle parti che compongono il percorso descrittivo. Partiamo
da
un
esempio
concreto:
l‟”illusione”
di
Müller-Lyer
è
immediatamente percepibile, ma se misuriamo i segmenti con un righello facciamo un‟operazione
che
comporta
da
un
lato
l‟introduzione
di
un
concetto
metrico/strumentale accanto alla percezione fenomenologica della lunghezza e distanza, e dall‟altro la messa in risalto della discrepanza intercorrente tra il dato percettivo e quello matematico. La situazione non cambia neanche compiendo misurazioni con strumenti sempre più precisi perché la Müller-Lyer appare esattamente come prima: in questo caso il contrasto tra apparenza e realtà, sembra quindi discendere dalle misurazioni operate su di essa.182 Possiamo definire la misura come la costruzione di modelli logico-matematici; ora, se impostassimo il discorso su un piano di verità (tanto da prendere per vero il risultato del righello e falso quello del percetto) dovremmo concludere che il mondo conosciuto altro non è se non un aggregato numeriforme, un insieme di correlati oggettivi di operazioni matematiche privi di qualità, di forma e dimensione. Non solo: gli strumenti di misura estrapolano solo quelle porzioni di evento soggette a misurazione o che decidiamo di stimare e, quindi, descrivono quantitativamente non l‟evento, ma solo quella parte di esso che sono preposti a misurare (Bozzi, 1989); caso mai essi rendono attestabili proprietà non constatabili in assenza degli stessi. Se invece pensiamo al linguaggio fisico - geometrico come un mezzo descrittivo, sia pur con il vincolo della sua parzialità nei limiti sopra detti, esso diventa una delle possibili modalità espressive attraverso le quali si può descrivere uno stesso evento qui inteso nell‟accezione di oggetto osservato. Ma l‟oggetto osservato è in stretto rapporto con il soggetto osservatore: è dalla prospettiva di quest‟ultimo che discende l‟esatta individuazione del primo che, a sua volta, si va a collocare, per la relativa descrizione, su un piano (fisico-strumentale) piuttosto che un altro (nel nostro caso fenomenico). 182
“Il sapere come stanno le cose non intacca minimamente l’evidenza diretta dell’osservabile in atto e dunque nessun processo cognitivo è tanto potente da influire su un evento sotto osservazione ….” Bozzi, P. (2002). Fenomenologia sperimentale. Teorie 6 Modelli , VII, 2-3, pp.37-38, (13-48).
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Quindi la correttezza della descrizione di un evento è questione che si pone a valle rispetto alla fonte dalla quale la descrizione proviene ed in ragione di ciò che descrive. Ecco perché il piano descrittivo non può essere letto sotto il parametro di verità/falsità: esso non riguarda l‟ontologico ma l‟epistemico cioè quello che conosciamo circa ciò che esiste ed il modo in cui esprimiamo tale conoscenza. In questo senso il paradigma dell‟errore dello stimolo costituisce non solo un modello che operazionalizza l‟osservazione ma, probabilmente, anche il migliore contributo che si possa dare in favore della coesistenza, a questo punto neutrale e non più conflittuale, di diverse realtà e dei relativi oggetti. Entro questo contesto generale emerge dalla letteratura un‟altra dicotomia: quella che contrappone l‟univocità vs ambiguità del linguaggio utilizzato nella descrizione opponendo il linguaggio tecnico-esperto, che manifesta precisione e chiarezza, a quello fenomenico, con la sua indeterminatezza data dall‟uso non di numeri ma di parole, indeterminatezza che si traduce in una sorta di doppiezza. La rigidità di questa antitesi mal pone, però, la questio perché contiene, senza evidenziarla esplicitamente, una problematica essenziale: infatti il discorso va impostato non sul piano di quale dei due linguaggi sia più o meno certo (troppo scontato), o se, in virtu‟ della maggiore chiarezza, è meglio utilizzarne uno per tutto (si commetterebbe l‟errore dello stimolo), ma piuttosto: «è possibile o no descrivere i dati immediati dell’esperienza?»183 e solo dopo chiedersi, caso mai, quanta ambiguità tale descrizione contenga e con quali conseguenze. Il tema ha suscitato risposte diverse sia di ammissione (introspezionisti) sia di negazione (comportamentisti) ed ancora di accoglimento (sia pur basato su assunti diversi da quelli dell‟introspezionismo) da parte dei fenomenologi sperimentali della percezione. Ma dal momento che la fenomenologia della percezione si fonda sul principio dell‟indipendenza del fatto-percetto da quello del fatto-fisico/fisiologico, essa è stata accusata di indagare fatti privati e quindi non accessibili da altri, critica questa messa fortemente in discussione dal metodo interosservativo di Bozzi (1978) che, possiamo dire, nasce proprio dall‟osservazione di una evidenza: se i fatti percettivi di
183
Bozzi, P. (1961). Descrizioni fenomenologiche e descrizioni fisico-geometriche. Rivista di Psicologia, 55, pp. 277-289, (ivi p. 277). Anche in: Atti del XIII Congresso degli Psicologi Italiani (Palermo), 1962, 29-41. Ripreso in: Bozzi, P. (1989). Fenomenologia sperimentale (pp. 65-81).Bologna: Il Mulino.
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più persone e le relative descrizioni corrispondono, allora è fondato credere che le esperienze siano le stesse. Il punto di ingresso all‟esperienza altrui, quindi, è rappresentato e garantito dalle esperienze condivise interosservabili. Il metodo dell‟interosservazione, peraltro, ha il pregio: a - di meglio chiarire l‟estensione entro cui l‟ambiguità del linguaggio fenomenico va contestualizzata perché, eventualmente, si può dire che l‟evento percettivo, preminentemente qualitativo, è descrivibile con maggiore difficoltà (e non per nulla descrivibile) rispetto all‟ evento fisico ma nella stessa misura in cui, però, è “impedito” a quello fisico-matematico di descrivere le qualità dell‟esperienza diretta; ergo, non esiste un linguaggio univoco e non suscettibile di ambiguità. Anzi il linguaggio fenomenico può mutuare termini riferentisi a concetti di base con i quali si descrive la realtà fisica, senza per questo incorrere nella confusione dei piani descrittivi quando detti termini servono a descrivere qualità geometriche del percetto; infatti, in questo caso, il linguaggio fisicalistico descrive correttamente sia il direttamente constatato che l‟evento oggettivo (fonte dello stimolo); b - la collaborazione degli osservatori durante l‟attività descrittiva e l‟ostensività
184
riducono notevolmente il margine di fraintendimento perché: la prima
diminuisce il rischio di concludere, tout court, che vi siano esperienze percettive diverse solo perché i termini descrittivi sono differenti (Bozzi, 1962), la seconda consente di limitare spontaneamente i margini di ambiguità “per quanto possibile”. L‟espressione “per quanto possibile” qui sta a significare che non vi è una descrizione assoluta, perfetta e migliorabile solo e a partire dall‟esperienza diretta verso la descrizione - e non viceversa -, chiarendo così che il rapporto tra il dato immediato e la sua descrizione non è di identificazione: la descrizione non è il percetto ma è l‟evidenza percettiva a determinare la descrizione185 tanto che nessuna descrizione è confrontabile con l‟oggetto descritto (Bozzi, 1962; Bozzi, 1976).
184
“La definizione ostensiva è praticabile proprio perché è in generale possibile rendere meno ambigue le descrizioni ricorrendo a dettagli ben definiti dalla cosa, mostrandoli per far vedere che cosa si intende dire con una certa parola o una certa espressione”. Bozzi, P. (1976). Esperienza fenomenica, esperienza epistemica ed esperienza psicologica. Appunti per l‟epistemologia del metodo fenomenologico sperimentale.In AA.VV. (1976). Problemi epistemologici della psicologia. (a cura di Giovanni Siri). Vita e Pensiero, Pubblicazioni dell'Università Cattolica di Milano (pp. 73-87). 185 “Io che osservo non confondo mai ciò che ho davanti con la descrizione più o meno esauriente e fedele che vengo costruendo; e sono le caratteristiche di quello che ho davanti a determinare i tratti che compongono la mia descrizione“. Bozzi, P. (1962). Su alcune condizioni necessarie per lo studio sperimentale della fenomenologia del pensiero. Atti del XIV Congresso degli Psicologi Italiani. Napoli. pp.1-2. V. anche: “Ma la descrizione accurata di quel fatto (vero) non assomiglia alle cose tracciate sul
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Il linguaggio fenomenico, come quello matematico, ha quindi un proprio statuto che nasce dal linguaggio comune. 3.4 L’aspetto fenomenologico/descrittivo della testimonianza La contrapposizione tra una descrizione fisica dell‟evento sotto osservazione e la corrispettiva descrizione fenomenica è rilevante nel contesto della testimonianza poiché: a) l‟interesse dell‟utilizzatore (giudice, operatori di polizia, avvocati, periti ecc.) è quello di ricostruire un evento oggettivo (facendo uso anche di strumenti di misura – nei sinistri stradali, ad es., cordella metrica, valutazione della velocità dell‟impatto a partire da indici quali: coefficiente di attrito, equazioni della conservazione della quantità di moto, curve forza vs deformazione); b) le descrizioni testimoniali necessariamente coinvolgono la descrizione del fatto percepito dall‟osservatore. Il tema, in particolare, sottende principalmente tre ordini di questioni alla luce di quanto illustrato nei paragrafi precedenti: - Evento descritto (ovvero cosa il teste descrive): sul piano giuridico-operativo lo scopo è quello di pervenire ad una ricostruzione (in questo caso del sinistro) il più fedele possibile all‟evento oggettivo occorso. Stante la differenziazione nei termini sopra descritti tra fisico e fenomenico, il teste (osservatore e descrittore dell‟evento) quindi descriverà la propria esperienza percettiva con dei gradi di libertà legati al vincolo dell‟esperienza fenomenica. - Correttezza della descrizione (ovvero come il teste descrive): dal momento che nel campo della psicologia giuridica si registra la compresenza di metodi di ricostruzione del fatto di tipo “scientifico”, fondati anche su sistemi di misurazione strumentale, e di reports basati su processi percettivi (per lo più oculari), allora diventa basilare: 1) sapere che un evento è passibile di una descrizione fisico/metrica e di una descrizione fenomenologica; 2) avere consapevolezza che una descrizione può avere come oggetto l‟evento esterno oppure l‟esperienza fenomenica diretta dell‟osservatore;
foglietto di appunti o stampate sulla carta che il computer vomita pian piano. Nessuno sarebbe in grado di riconoscere i «fatti», se gli diamo come indizio la descrizione dei «dati». È certo che si tratta di due cose diverse, che, nel bene e nel male, vanno tenute distinte.” Bozzi, P. (1985). La corrente della coscienza ovvero i fatti sotto osservazione. Teorie & Modelli, II (1), pp. 5-38 (ivi p. 9).
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3) distinguere i due fatti in quanto eventi posti su piani di realtà diversi (piani diversi quindi e non realtà contrapposte); 4) tener presente che la descrizione metrico/strumentale (es. lunghezza, altezza, grandezza espressa in termini numerici) allontana dall‟esperienza immediata dell‟evento isolandone alcune porzioni quelle cioè estratte dallo strumento di misura; pertanto viene descritto quantitativamente non l‟evento iniziale ma una/alcune proprietà misurabili dell‟evento. Tutto ciò al fine di non fare delle traduzioni inopportune e non contrassegnare, in via semplificativa, come errori descrittivi/testimoniali, narrazioni di aspetti fenomenici dell'esperienza discostantisi dal fatto oggettivo o da quanto rilevato dalla strumentazione metrica. - Completezza della descrizione (ovvero quanto il teste descrive): si assume infatti che una testimonianza debba fornire informazioni utili per la ricostruzione del fatto occorso (nel nostro caso di un incidente stradale): ciò significa che la descrizione del teste e dell‟operatore verte sugli elementi costitutivi e relative proprietà dell‟evento. Normalmente, in sede di utilizzo, la testimonianza viene interpretata sulla base della sua corrispondenza alle risultanze tecnico/strumentali con prevalenza, in caso di contrasto, di queste ultime. Tutto ciò ha una importanza fondamentale rispetto alla convinzione comune che, quando il teste racconta di un avvenimento passato al quale era presente, ciò equivalga tout court alla descrizione di quell‟avvenimento e che quindi le informazioni emergenti dal suo report vadano a contribuire alla ricostruzione di quell‟evento esterno; ma le cose, come abbiamo già visto, non stanno esattamente così. Infatti, se proviamo a fare una distinzione tra: a - FATTO OGGETTIVO (sinistro): accadimento dinamico e complesso che si vuole ricostruire, sulla base del racconto del teste, nelle dimensioni fisiche spazio-temporali che hanno determinato il modo in cui esso si è svolto per stabilire, se possibile, una relazione tra di esse; b - FATTO FENOMENICO/PERCETTO: descrizione dell‟esperienza in quanto tale rispetto al fatto oggettivo nella quale emergono anche descrizioni fisiche spazio temporali per lo più fenomeniche; c - FATTO METRICO: descrizione strumentale del fatto oggettivo, essi appaiono: - diversi, e non integrabili in una semplice operazione additiva nel senso che la ricostruzione del sinistro non potrà essere il risultato della seguente sommatoria: evento oggettivo + evento percettivo + evento metrico; questa applicazione non è corretta 82
perché addiziona fatti differenti e perché quei fatti danno luogo a “realtà/livelli” tra loro non coincidenti. - confliggenti, come nel caso del fatto metrico e delle sue corrispondenti descrizioni fenomeniche che delle stesse porzioni il teste fa; in questi casi il dato metrico/strumentale sembra imporsi con una valenza prevalente rispetto alla testimonianza, addirittura offrendosi come la totalità dell‟evento (così è variamente interpretata una planimetria dai Giudici o assicuratori). Ma l‟utilizzatore che ritiene preminente una planimetria in scala deve avere consapevolezza che essa non è la ricostruzione del sinistro, ma solo di quelle parti di esso misurabili (evento oggettivo parziale) perché lascia fuori altre porzioni: la misurazione estrapola e descrive una sezione dell‟evento escludendo quelle parti e proprietà non misurate o comunque non soggette a misurazione. - ridondanti: se l‟evento metrico descrive una parte dell‟evento oggettivo (le sue dimensioni misurabili), allora ci si chiede se è corretto considerarlo come fatto autonomo: se eliminassimo l‟aspetto metrico verrebbe meno la traduzione in “misura” di componenti costituenti il sinistro ma non il sinistro stesso. Allora la strada da percorrere è un'altra, vale a dire quella di individuare gli elementi costitutivi di un evento (nel nostro caso di un sinistro – v. par. 4.2.2 pp. 95-98) e relative proprietà che andranno poi a distribuirsi sui diversi piani descrittivi (fisicostrumentale e fenomenico). Tale iter appare anche quello più efficace per dar contezza dei rapporti che intercorrono tra a, b e c in quanto: l‟avvenimento occorso costituisce l‟unità da scomporre in elementi e proprietà, il come il teste descrive da‟ contezza dell‟esistenza di diverse modalità descrittive di uno stesso elemento e la capacità informativa rappresenta il rapporto tra quantità degli elementi descritti e di tutti quelli descrivibili costituenti il fatto. Ora, nel panorama scientifico si registra, in effetti, una carenza di studi su corpora testimoniali impostati secondo un approccio fenomenologico-descrittivo. Mentre è numerosa la produzione riguardante, in generale, le criticità dei processi percettivi, soprattutto quelle relative alle testimonianze oculari, del tutto scarsa è quella che si interessa della portata informativa di cosa e come una testimonianza descrive, nonostante in letteratura si rintraccino (sia pur poche) ricerche in questo specifico ambito di contenuto che avrebbero potuto stimolare ad aprire un campo di indagine ricco in tal senso.
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Per esempio, in uno studio condotto da Shinar Treat e McDonald (1983) emerge che i contributi informativi dei rapporti di polizia riguardo alle caratteristiche del conducente/veicolo erano praticamente nulli con l‟eccezione dell‟età, sesso e modello di veicolo; così come del tutto carenti erano quelli riguardanti i difetti del veicolo, le condizioni ambientali e le caratteristiche della strada. I dati invece maggiormente descritti erano quelli relativi al luogo dell‟incidente, il numero dei conducenti, passeggeri e veicoli coinvolti. Austin (1995) ha confrontato i dati di incidenti riportati nei referti della polizia con un sistema di informazione geografica (GIS) al fine di riscontrarne eventuali discordanze; è emerso che c'erano meno del 10% di difformità circa il limite di velocità e classe di strada, meno del 20% per la descrizione di incroci e attraversamenti pedonali per il controllo di giunzione, dettaglio giunzione e strutture di attraversamenti pedonali e oltre il 20% per il tipo di carreggiata. In altro esperimento (Kebbell, Johnson, Froyland, & Ainsworth, 2002) si è riscontrato che le stime della velocità e distanza date dal teste cambiano in funzione del sapere che l‟esito dell‟evento era stato o meno un sinistro. A questo esperimento parteciparono 133 soggetti di età compresa tra i 17 e 56 anni divisi in due gruppi. Ad ambo i gruppi fu fatto vedere un video con una vettura della polizia con lampeggianti e sirene ed un‟altra vettura civile ma ad uno fu detto che il veicolo in seguito si era schiantato ed all‟altro no; i partecipanti, ai quali non era stato detto che il veicolo si era schiantato, stimarono la velocità del veicolo con precisione mentre nell‟altro gruppo si registrò una sopravvalutazione della stessa. La distanza, in particolare, è una dimensione cruciale in ambito testimoniale perché va ad incidere sulla valutazione del grado di precisione descrittiva o del soggetto/i che si è visto e del quale si devono fornire informazioni (es. line-up, par 2.3 a pp. 36-37), o comunque di una scena (un sinistro stradale, un crimine ecc.); quando è il testimone stesso a dover stimare la distanza tra lui e il “target”, si sono rilevati bias sostanziali tra la stima data e la distanza metrica effettiva (Lindsay, Semmler, Weber, Brewer, Lindsay, 2008). Sul piano più specificatamente descrittivo, invece, altre ricerche si sono occupate del problema di matching fra la struttura linguistica usata per descrivere il fenomeno e la struttura dell‟evento percepito (Marburger & Novak, 1981, Nagel, 1994, Steinhauer, 2005, Hao, Yuanxin Ou & Zhang, 2009). In particolare l‟interesse dei ricercatori si è concentrato sulla definizione, sintassi e compilazioni di scripts di linguaggio relativo agli oggetti, propri del traffico, in movimento. 84
3.5 Testimonianza, fenomenologia e descrizioni: rapporti e problematiche Per argomentare le considerazioni che seguiranno, ripartiamo ricordando che abbiamo considerato l‟accadimento da ricostruire (attraverso testimonianze e altri mezzi di prova) come composto da costituenti base, aventi delle proprietà (estensive, intensive, spazio-temporali), tutte collocabili a livello fisico/strumentale e/o fenomenico-percettivo: tale impostazione ci permette di sostenere (concetto già espresso) che è più appropriato parlare in termini di diverse modalità descrittive, in accordo con il paradigma dell‟errore dello stimolo, piuttosto che di duplicazione di realtà. Così però si coglie unicamente la staticità dell‟avvenimento, vale a dire il suo aspetto inesteso, ma questo avvenimento consta, naturalmente, di uno svolgersi suddiviso sia in micro - accadimenti che di fasi nelle quali sono presenti e compresenti diversi attori. Se volessimo anche qui dare una rappresentazione di quanto detto, potremmo parlare di punto e di retta. Facciamo un esempio: un sinistro (punto) – che è il tipo di evento sul quale vertono le testimonianze qui indagate - può essere definito come una catena di fatti, azioni, di relazioni causali e conseguenze in termini di danni a persone e cose (retta) che il teste osserva e della quale darà un resoconto (Karwat, 1992, Cicioni et al., 1994, Di Marzo et al., 1995). L‟attività di indagine, all‟interno della quale ricade la fase descrittiva sia dei testi che degli operatori di polizia, invece, viene effettuata non sul sinistro ma sull‟evento post-sinistro (definito stato di quiete) che può essere a sua volta distinto, in senso fasico, in: 1 - Evento post-sinistro immediatamente dopo la collisione: trattasi della situazione in cui lo stato cinetico dei veicoli è cessato e gli attori presenti sono i conducenti coinvolti e i (eventuali) terzi osservatori; 2 - Evento post-sinistro all‟arrivo degli operatori: medesima circostanza di cui al punto 1 caratterizzata però dalla compresenza degli addetti alla rilevazione dell‟incidente. Qui, abitualmente, si registra un lasso di tempo, più o meno breve, durante il quale l‟operatore, appena intervenuto, prende visione dello scenario complessivo del campo del sinistro anche al fine di adottare misure di sicurezza (transennamento, deviazione della circolazione ecc.) senza effettuare ancora alcun tipo di operazione di carattere probatorio; 3- Evento post-sinistro relativo alla fase d‟indagine: stadio nel quale gli Organi di Polizia procedono con la raccolta dei dati e delle testimonianze. I tempi di assunzione
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dei resoconti possono essere più o meno contemporanei alla rilevazione tecnica oppure, di norma, successivi ad essa. E‟ interessante considerare che nella fase 1 e 2 è direttamente osservabile, e a “portata di sguardo”, sia per i testi che per gli operatori, uno scenario che condivide molto con quello dinamico; infatti, se volessimo individuare anche per l‟evento-post sinistro, così come fatto per il sinistro, le parti di cui è composto, potremmo dire che l‟ossatura risulta sostanzialmente la stessa meno, chiaramente, il movimento e con l‟aggiunta eventuale di alcuni elementi nuovi (es. diversa direzione di marcia all‟esito di una rotazione a seguito dell‟urto). Questo passaggio costituisce per ora solo una premessa per ciò che di seguito verrà illustrato. Ma in queste fasi, a livello operativo, non vengono fatte descrizioni di ciò che si ha sotto gli occhi. Nella fase 3, invece, vengono raccolte le descrizioni sia metriche che fenomeniche (cioè di ciò che si osserva) da parte dell‟operatore nei vari referti tecnici (v. par. 4.2.1 p. 93). Ma cosa dire rispetto al teste? Cosa descrive nel suo resoconto? Non la propria esperienza diretta (percetto ovvero evento sotto osservazione) del complesso degli elementi di cui si compone ciò che abbiamo definito l‟evento postsinistro, ma il ricordo che egli ha dell‟esperienza percettiva relativa al sinistro. Ma “se gli osservabili sono solo quei fatti che stiamo osservando” e se “non si può mai parlare con proprietà linguistica e teoretica di fatti osservati se non in quanto essi siano realmente sotto osservazione”,186 allora si può correttamente parlare di aspetti fenomenologici e di descrizioni fenomenologiche di una testimonianza? L‟oggetto della fenomenologia della percezione è l‟evento percettivo il quale è tale se è sotto osservazione: se così stanno le cose, la risposta è in senso negativo perché di una percezione passata possiamo avere solo l‟evocazione così come possiamo solo immaginare una percezione futura. Tale conclusione, però, appare affrettata e metodologicamente poco corretta, in quanto comprime un passaggio fondamentale e cioè quello relativo alla questione di quale sia la durata di un evento percettivo o, meglio, di quale sia la durata di un‟osservazione e, conseguentemente, quale sia il punto di cesura tra percetto e ricordo; ora, il concetto di durata richiama inconfutabilmente quello di tempo. Secondo Bergson, il rapporto che abbiamo con il mondo esterno conduce ad una spazializzazione del tempo e “cioè di un tempo ridotto a spazio e pensato come se non fosse altro che spazio”. “In una parola, ciò che noi pensiamo della spazialità estesa e 186
Bozzi, P. La corrente……. op. cit.
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numerabile della materia diviene arbitrariamente il modo di inquadrare e di spiegare il tempo vissuto della coscienza.” (Bergson, 1996 trad.it). Ma il tempo spazializzato va contrapposto a quello della durata reale (Bergson, 1959) laddove il termine "reale" viene impiegato per sottolineare la contrapposizione con il tempo "falso" dello spazio e il vocabolo "durata" suggerisce sì il concetto di tempo, ma anche l'idea del permanere. L‟immagine della valanga che nasce nel momento in cui si stacca della neve e comincia a rotolare accumulando sempre più neve, senza che quella presente in origine venga persa, dà l‟idea che non vi è nulla che si perda mai veramente e che, quindi, passato e presente siano difficilmente distinguibili. Bergson affronta proprio il rapporto tra memoria e percezione attribuendo a questa ultima un carattere “attuale” che la qualifica come azione, attività, movimento e non uno “stato” vale a dire come il mezzo per cogliere una realtà esterna. La distanza tra percezione e ricordo è quindi qualitativa e incolmabile e va mantenuta: la prima è “ciò che agisce”, il secondo “ciò che non agisce più”. James (1893), sul versante psicologico, parla invece di specious present definendolo “the prototype of all conceived times... the short duration of which we are immediately and incessantly sensible".187 Ed è ancora la psicologia a fornire contributi all‟argomento: vi è una sorta di contraddizione tra l‟autoevidenza della differenza tra esperienza presente e passata e la supposizione di poter esperire sia il cambiamento che la permanenza188 (Gibson, 1979); se il presente ha una certa durata dovrebbe essere possibile, ma per Gibson non lo è stato, individuare il punto dove finisce il percepire e comincia il ricordare.189 I tentativi volti a dirimere la tematica, però, si arenano perché non esiste una precisa interruzione tra il percepire e ricordare190 e Bozzi traduce i concetti di James e Bergson con quello di “presente fattuale” che meglio sottolinea la contestualità dell‟osservazione e dell‟atto percettivo; pertanto, le descrizioni successive
187
James, W. (1893).The principles of psychology. New York: H. Holt and Company, p. 609. Gibson, op. cit. par.: “The false dichotomy between present and past experience”. 189 Più recentemente Stern, rifacendosi alla concezione del tempo “inaugurata” da Sant‟Agostino e delineata da Husserl, parla di momento presente, o tempo di presenza costituito dal momento di esperienza soggettiva nell‟atto del suo compiersi; si tratta del kairos, ovvero quando qualcosa viene in essere, contrapposto a cronos (visione oggettiva del tempo). Il momento presente non è quindi il resoconto verbale di un‟esperienza, ma l‟esperienza così come viene originariamente vissuta. Stern, D.N. (2005). Il momento presente. In psicoterapia e nella vita quotidiana. Milano: Raffaello Cortina Editore. 190 “Se aspettiamo di decidere che il presente ha una durata solo dopo aver ottenuto misurazioni temporali sul punto di sutura tra percezione e memoria, non possiamo parlare di durate; «forse» però la durata possiede un’evidenza fenomenologica diretta, indipendentemente dalle misurazioni, a dispetto delle misurazioni” .(Bozzi, La corrente…, op. cit. p.5). 188
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ad esso (come avviene nella testimonianza), anche se vere, si riferiscono ad una esperienza percettiva ma non sono l‟esperienza percettiva. Quindi, se abbiamo chiarito che: - l‟evento “oggettivo” e l‟evento percettivo non coincidono, sono diversi, e non è possibile tracciare una linea netta tra percezione e ricordo (o che comunque non c‟è); - la testimonianza fa riferimento all‟esperienza percettiva passata; - la testimonianza non ha come oggetto un evento percettivo (nel senso di evento sotto osservazione); - la descrizione, per ciò stesso, non può essere fenomenologica, allora lo studio della psicologia della testimonianza, rispetto al processo percettivo, si ridurrebbe solo al campo dei fattori percettivi implicati negli errori testimoniali cui fa riferimento Musatti al capitolo II della sua opera (1931). Ripartiamo però dalla divisione in fasi (v. pp. 85-86) e precisamente dalla fase 3. Come detto, in essa vengono raccolti sia dati metrici e fenomenici dell‟evento-post sinistro da parte degli operatori (e che costituiscono, a loro volta, una forma di testimonianza) sia i reports delle persone coinvolte e non (questo è osservatore terzo rispetto a due o più coinvolti) nei quali viene descritto il ricordo di una esperienza percettiva passata. Intanto notiamo che è diverso il referente spazio-temporale (l‟operatore è nel qui ed ora, il testimone è nel qui parlando di allora), ma possiamo anche considerare che lo stadio 3 offra la possibilità al teste (ed all‟operatore), quantomeno sul piano teorico, di avere sotto osservazione una parte dell‟avvenimento originario se assumiamo che esso non sia cessato ma solo trasformato nel senso di avere ancora alcuni costituenti del primo. Abbiamo infatti detto che nello stato di quiete (qualificato qui come evento postsinistro) si è perso il movimento ma sono ancora contenuti elementi invariati (es. tipo veicolo, danni, strada, segnaletica ecc.), magari solo diversamente tradotti (frenata, urto). Quanto detto vuole essere una sollecitazione ad approfondire questa “zona intermedia” (rinvenibile più o meno allo stesso modo anche in altre situazioni, a seconda della tipologia di evento che è oggetto di ricostruzione) perché è l‟unico momento in cui si può pensare in termini - benché ampi - di metodo fenomenologico applicato alla testimonianza intesa non come narrazione dell‟esperienza passata (quella che normalmente viene assunta) ma come descrizione della propria esperienza percettiva di un avvenimento (evento sinistro) che è ancora lì sia pure in parte (evento post-sinistro). Esso quindi appare come una sorta di livello di mediazione, nel senso 88
etimologico di “stare nel mezzo”, che conduce dall‟avvenimento al racconto dell‟esperienza passata e che di quell‟avvenimento mantiene alcuni elementi immutati, osservabili ora come allora. Anzi interosservabili: infatti, l‟altro limite nel parlare di aspetti fenomenologici di una testimonianza sta appunto nella difficoltà di procedere secondo il metodo sperimentale fenomenologico dell‟interosservazione (Bozzi,1978) che si caratterizza per il fatto che agli osservatori viene chiesta, meglio se in un ambiente qualsiasi piuttosto che in laboratorio, una descrizione191 via via sempre più precisa e accurata che emerge grazie alla presenza sotto gli occhi dell‟oggetto da descrivere e ad una sorta di controllo correttivo esercitato dagli altri osservatori. Infatti, “la compresenza di due osservatori e l’interazione tra essi, intenzionata verso un oggetto d’osservazione comune, sembra portare piuttosto a una convergenza delle descrizioni percettive che a un disaccordo; il disaccordo riguarda caso mai le eventuali valutazioni estetiche, le interpretazioni, le integrazioni cognitive mentre intanto il quadro dei fatti osservabili resta là, oggetto, appunto di tali applicazioni” (Bozzi, Martinuzzi,1989). In questo senso appare possibile, nel contesto e nei limiti sopra delineati, un‟interosservazione fenomenologica, ed una relativa descrizione, da parte di tutti gli attori (compresi gli operatori tecnici) ivi presenti, della propria esperienza percettiva di un evento che potrebbe contenere ancora gli stessi elementi di quello originario. E‟ questa una sollecitazione volta a far riflettere se e come la modalità di raccolta dei dati da parte degli operatori possa essere migliorata prevedendo attività e protocolli di questo tipo, sia pure con gli adattamenti del caso, e tenendo conto anche delle difficoltà operative e delle economie di tempo a disposizione, e su quali sarebbero i benefici del suo impiego soprattutto da parte dell‟utilizzatore finale (es. Giudici, periti, avvocati) non presente al momento del fatto. Si può supporre che tale impostazione possa fornire un contributo in termini di: - più alta precisione e correttezza descrittiva (dal momento che, per esempio, di uno stesso veicolo un teste può dire che andava lento e un altro che non andava veloce); -
maggior certezza che le descrizioni non siano state suscitate o costruite sulla base di conoscenze/nozioni/aspettative/ del soggetto ma su fatti osservabili accaduti. Si aggiunga anche che, se è vero che non posso vedere con gli occhi di qualcun altro, è altrettanto vero che “Il prestare attenzione alle cose che ci stanno sotto gli 191
“La prima impressione deve essere superata, e anzi occorre che molte altre le succedano, fino all‟esaurimento, in modo da dominare il campo delle soluzioni possibili.” (Bozzi, 1978).
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occhi, a meno di voler aderire ad un soggettivismo estremo e senza recuperi, non è un atto introspettivo, ma evidentemente un atto estrospettivo e tale natura viene conferita proprio dalla interosservabilità delle esperienze percettive”.192 Pensiamo che tutto questo possa avere molto anche a che fare con i concetti di verità vs falsità sul piano dell‟accuratezza, e con quelli di menzogna vs sincerità sul piano della credibilità (v. par. 2.4.3 p.59).
192
Bozzi, La corrente…op. cit. p. 6.
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Capitolo 4) La ricerca 4.1 Ipotesi I protocolli di incidenti stradali, rilevati da Organi di Polizia Stradale, contengono documenti, in numero variabile, provenienti da diversi soggetti (persone coinvolte e non, operatori) che narrano/descrivono l‟evento fornendo informazioni utili alla ricostruzione dello stesso. La ricerca si propone di indagare i reports testimoniali ed i referti di sinistri stradali sul piano descrittivo in relazione a: 1) di che cosa parlano; 2) come ne parlano; 3) qual è il grado di adeguatezza/carenza descrittiva. In particolare si vuole verificare: 1) quali sono gli aspetti e dimensioni dell‟evento che vengono generalmente riportati/rilevati e quali omessi; 2) quanto le descrizioni si compongono di dati fenomenici e metrici (e come essi vengono comparati /confusi); 3) quali siano le differenze/concordanze descrittive entro e tra i referti. Per rispondere a queste domande, le variabili studiate sono: - documenti, a 6 livelli (testimonianza teste coinvolto, testimonianza teste non coinvolto, dinamica sinistro, verbale dello stato dei luoghi e delle cose, scheda danni, schizzo campagna) che costituiscono una documentazione standard completa del referto riferita allo stesso sinistro; - elementi della scena descritti, a 12 livelli: veicoli/utenti, azioni, danni, urto, strada, tracce, segnaletica, traffico, meteo, visibilità, tempo, informazioni causali; - proprietà/tipologia: questa variabile è innestata nella variabile elementi poiché le proprietà descritte variano in funzione degli elementi. Nella fattispecie le proprietà/tipologie descritte per ogni elemento sono: 1. Veicoli/utenti: estensive (distanza, velocità, altro); intensive (struttura, qualità); topologiche (localizzazione entro e post sinistro, orientamento entro e post sinistro); tempo (entro sinistro, testimonianza, intervento); 2. Azioni: eseguite, eseguite con scopo, iniziate, iniziate con scopo, programmate, programmate con scopo, subite, subite con scopo, cognitive, cognitive con scopo, percettive, percettive con scopo, interpretative, interpretative con scopo; 3. Danni: estensive; intensive (struttura, qualità); topologiche (localizzazione); 4. Urto: estensive; intensive (struttura, qualità); topologiche (localizzazione); 91
5. Strada: estensive; intensive (struttura, qualità); topologiche (localizzazione, orientamento); 6. Tracce: estensive; intensive (struttura, qualità); topologiche (localizzazione, orientamento); 7. Segnaletica: estensive; intensive (struttura, qualità); topologiche (localizzazione, orientamento); 8. Traffico: estensive; intensive (struttura); topologiche (localizzazione, orientamento); 9. Meteo: estensive; intensive (struttura); topologiche (localizzazione, orientamento); 10. Visibilità: estensive; intensive (qualità); topologiche (localizzazione); 11. Tempo: a) estensive entro sinistro, intensive entro sinistro, topologiche entro sinistro; b) estensive testimonianza, intensive testimonianza, topologiche testimonianza; c) estensive intervento, intensive intervento, topologiche intervento; 12. Informazioni causali: a) nessi causali direttamente collegati all‟urto; b) nessi causali direttamente collegati all‟urto con responsabilità ai sensi del Codice della Strada; c) nessi causali adiacenti l‟urto; d) nessi causali adiacenti l‟urto con responsabilità ai sensi del Codice della Strada; e) nessi causali non adiacenti l‟urto; f) nessi causali non adiacenti l‟urto con responsabilità ai sensi del Codice della Strada. Ruolo: questa variabile è innestata nella variabile documenti perché varia in funzione della tipologia del referto. In ogni tipologia di documento (teste coinvolto, teste non coinvolto, dinamica, verbale, scheda danni, schizzo di campagna) il soggetto dal quale proviene (teste coinvolto e non, operatori) può descrivere elementi e relative proprietà/tipologie riferiti a sé stesso e/o ad altri. Alcuni elementi, e relative proprietà/tipologie (es. veicoli, azioni, danni, ecc.), vengono quindi distinti in ragione del soggetto al quale si riferiscono. Nel classificare ogni singolo referto indagato, si tiene così conto distintamente di tutti i ruoli (ovvero di quanti e quali soggetti si parla nel documento compreso il dichiarante o redigente) e ad essi andranno attribuiti gli elementi e relative proprietà. La quantità e tipologia dei ruoli, quindi, può variare di volta in volta all‟interno di ogni singolo documento relativo allo stesso sinistro (es. teste coinvolto, l‟altro conducente
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implicato nell‟incidente, eventuale diverso soggetto - altro veicolo o lo stesso terzo osservatore - presente nel testo anche se non coinvolto, operatore).193 4.2 Metodo 4.2.1. MATERIALI ANALIZZATI: è stato analizzato un campione di 50 referti di sinistro stradale, con soli danni ai veicoli, redatti dalla Polizia Municipale di Porto Sant‟Elpidio secondo la procedura standard di rilevamento e cioè comprendenti: a) resoconti testimoniali (forniti da soggetti coinvolti e non); b) “schizzo di campagna” (rappresentazione della scena prodotta dall‟operatore); c) ricostruzione della dinamica; d) verbale di accertamento e rilievi sullo stato dei luoghi e sulle cose (descrizione percettiva dello scenario del sinistro); e) scheda danni veicoli. Tali documenti, benché possano essere tutti definiti come fonte di prova per la ricostruzione del sinistro, non sono tra loro omogenei quanto a: - Soggetto che fornisce la descrizione: teste coinvolto, non coinvolto, operatore; - Situazione oggetto della descrizione: ricordo dell‟esperienza fenomenica relativa alla fase dinamica del sinistro (testimonianza coinvolto e non); descrizione di fatti percepiti direttamente dall‟operatore nella fase statica post sinistro (schizzo di campagna, scheda danni, verbale accertamento); ricostruzione del sinistro da parte degli agenti rilevatori, presso il Comando di appartenenza, in un tempo più o meno prossimo all‟intervento (dinamica); - Modalità linguistico/descrittiva utilizzata: linguaggio tecnico/esperto (operatore) o linguaggio naturale/comune (testimone); Esempio: nel documento teste coinvolto e teste non coinvolto, il dichiarante racconta del proprio veicolo e di eventuali specifiche sue proprietà (es. ero a bordo della mia Ford Fiesta) e/o del veicolo dell‟altro conducente interessato al sinistro (es. vedevo arrivare un ciclomotore) o di qualsiasi altro veicolo, comunque presente nel testo, anche se non coinvolto nel sinistro (es. c’era un auto parcheggiata) e così via per qualsiasi altro elemento attribuibile a sé stesso o ad altri (es. azioni proprie o altrui, danni propri o altrui ecc.). Nel documento dinamica: l‟operatore di polizia descrive elementi, ed eventuali relative proprietà, riferite a sè stesso (es. azioni: si presume che [il teste coinvolto stesse effettuando una manovra di retromarcia]) e/o al teste coinvolto, e/o del veicolo dell‟altro conducente interessato al sinistro, o del (eventuale) teste non coinvolto o di qualsiasi altro veicolo, comunque presente nel testo, anche se non coinvolto nel sinistro e così via per qualsiasi altro elemento attribuibile a sé stesso o ad altri. Nel documento schizzo di campagna: l‟operatore di polizia descrive graficamente gli elementi della scena post sinistro presenti al momento dell‟intervento, quindi è chiara l‟attribuzione di alcune caratteristiche o all‟uno o all‟altro dei veicoli. Infine nel documento scheda danni: l‟operatore di polizia descrive la rottura riportata dai veicoli coinvolti (es. introflessione del posteriore sinistro del veicolo del teste coinvolto e distaccamento paraurti posteriore del veicolo dell’altro conducente). 193
93
- Fonte di acquisizione dell’informazione descritta: dotazione sensoriale ordinaria (ciò che si vede o si è visto, ciò che si è udito, velocità percepita sensorialmente ecc.) o strumentale (es. metro, contachilometri, ecc.); - Finalità specifica esplicita e/o implicita: scopo ricostruttivo anche ai fini della attribuzione/esclusione
di
responsabilità
(operatore),
intenzioni
legate
alle
conseguenze sul piano giuridico-economico (teste coinvolto), o varie altre motivazioni legate all‟intenzione di contributo testimoniale (teste non coinvolto). I fascicoli dei sinistri possono contenere testimonianze di coinvolti (e non) in numero diverso. Per assicurare l‟uniformità del campione, sono stati selezionati solo quei fascicoli che garantivano la compresenza di: almeno una testimonianza di un soggetto coinvolto, almeno una testimonianza di un terzo osservatore in nessun modo interessato o implicato, direttamente o indirettamente, nell‟evento (teste non coinvolto), dello schizzo di campagna, della dinamica, della scheda danni e del verbale di accertamento e rilievi sullo stato dei luoghi e sulle cose, per un totale di n. 6 documenti per ogni singolo sinistro. Nel caso i fascicoli contenessero più testimonianze dei soggetti coinvolti e non (nella forma della “spontanea dichiarazione”), si è applicato un criterio temporale selezionando i reports (uno per il teste coinvolto, uno per il teste non coinvolto) forniti per primi cioè rilasciati in un orario più vicino a quello dell‟accadimento nonché a quello dell‟intervento dell‟operatore, intendendo che la prossimità temporale della testimonianza all‟evento potesse garantirne una maggiore attendibilità. Pur nel rispetto del criterio temporale sopra descritto, si è poi cercato di pareggiare il numero di maschi e femmine nelle due categorie di teste coinvolti e non coinvolti (testimoni coinvolti = 35 maschi e 15 femmine; testimoni non coinvolti =34 maschi e 16 femmine).Si è inoltre anche cercato di bilanciare i rilevamenti effettuati da pattuglie miste o omogenee (agenti rilevatori = 29 pattuglie miste e 21 omogenee, 20 composte da soli maschi e 1 di sole femmine). Quest‟ultima variabile non era per sua natura controllabile (dipendendo dalla dotazione organica del Comando, dalla sua organizzazione interna e dalla casualità dei soggetti componenti le pattuglie), ma si è comunque scelto di bilanciare il campione per quanto possibile. Il corpus finale così selezionato di 50 protocolli è stato scelto nell‟arco del decennio 2002-2012 sulla base dei requisiti qui descritti e di completezza dei fascicoli, a partire da un campione totale di 2261 con soli danni a veicoli. Molti dei fascicoli dei sinistri visionati non includevano il numero minimo, per quantità e tipologia, dei 94
referti oggetto di indagine (es. mancava la dichiarazione del terzo osservatore, lo schizzo di campagna o la scheda danni) e in questo senso non sono stati inclusi nell‟analisi. 4.2.2.
PROCEDURA: il campione è stato analizzato da due giudici
indipendenti (cfr. procedura di verifica dell‟accordo descritta sotto) utilizzando una matrice di classificazione creata ad hoc e volta a ricostruire i contenuti descritti in ciascuno dei 6 referti LA GRIGLIA DI CLASSIFICAZIONE: la matrice si compone di n. 12 elementi
risultati
costitutivi
dell‟evento
sinistro
o
comunque
normalmente
pertinenti/rinvenibili nella struttura di un sinistro e cioè: 1. Veicoli/utenti: tutti i soggetti, conducenti di veicoli o pedoni, osservatori dell‟evento direttamente implicati (teste coinvolto e altri conducenti implicati nel sinistro) e non (teste non coinvolto o altri conducenti non osservatori e non coinvolti ma comunque citati nei referti). 2. Azioni suddivise in: azioni eseguite (es. circolavo, facevo retromarcia, frenavo); azioni eseguite con scopo (es. mi sporgevo per assicurarmi che non venissero altri veicoli, mi spostavo in avanti per vedere meglio); iniziate ma non concluse (es. iniziava la svolta alla propria dx); iniziate con scopo (es. stavo cominciando a girare a sx per immettermi nella circolazione); azioni programmate (es. intenzionata ad andare verso sud, intenzionato ad immettersi sulla statale, intenzionata a parcheggiare negli appositi spazi); azioni programmate con scopo (es. intendevo svoltare a sx per parcheggiare davanti al giornalaio presente nella direzione opposta); azioni subite (es. venivo urtata, si è trovata stretta sulla destra); azioni subite con scopo (es. mi ha fatto spostare in avanti per non ingombrare l’incrocio). Sono altresì oggetto di classificazione le azioni mentali, sia affermative che negative, a loro volta distinte in: percettive (es. ho sentito/non ho sentito, ho visto/non ho visto, ho notato/non ho notato, mi avvedevo/non mi avvedevo e ogni altro verbo che riguarda il sistema sensoriale); percettive con scopo (es. mi guardavo intorno per vedere se sopraggiungeva qualcuno); cognitive (es. penso/non penso, dichiaro, preciso, immagino, ricordo/non ricordo); cognitive con scopo (es. cercavo di ricordare la strada per orientarmi nella nebbia); interpretazioni (es. credo che, verosimilmente la manovra posta in essere, presumibilmente, si presume); interpretazioni con scopo (es. credo di aver frenato per evitare l’urto). 95
3. Danni: danneggiamenti subiti dai veicoli a seguito dell‟urto (es. introflessione cofano, striature, rotture ecc.). 4. Urto: collisione tra veicoli e veicoli (es. scontro frontale, tamponamento), tra veicoli e pedoni (investimento), tra veicoli e ostacoli fissi (es. albero, edificio). 5. Strada: sede viaria ove è occorso l‟evento o le altre strade destinate alla circolazione e presenti nell‟ambito della dichiarazione (es. percorrevo via Mazzini quando giunta all’incrocio con via Benedetto Croce…), compresa la segnaletica di regolamentazione di traffico verticale e/o orizzontale luminosa e non (es. percorrevo Via S. Francesco strada a senso unico di marcia, circolavo sulla statale dove vige il limite di velocità di 70KM/h) che qui viene intesa come proprietà intensiva della strada (modus circolandi) nel senso di come è organizzata la circolazione in base alla segnaletica esistente (cfr. sotto differenze con l‟elemento 7). 6. Tracce su strada: segni rinvenibili sulla strada e riconducibili ai danni subiti (es. vetri, liquidi), alle condotte di guida (es. tracce frenata), o a qualsiasi altro elemento che possa dare indicazioni utili per la ricostruzione della dinamica del sinistro (es. terriccio caduto dalla parte inferiore dei veicoli o dalle ruote a seguito dell’urto). 7. Segnaletica: di prescrizione, di divieto, di obbligo, di indicazione, sia verticale che orizzontale luminosa (semaforo) e non, così come prevista dal Codice della Strada. 8. Traffico: flusso veicolare nell‟ambiente stradale ove è accaduto il sinistro (es. traffico intenso, traffico misto ecc.). 9. Condizioni metereologiche: condizione ambientale climatica al momento del sinistro (pioggia, neve, nebbia ecc.). 10.Visibilità: quantità di luce, naturale o artificiale (cioè dovuta ad illuminazione pubblica) esistente al momento del sinistro anche in relazione alla fase del giorno in cui esso è accaduto (alba, mattino, pomeriggio, tramonto, sera, notte), nonché impedimenti di visibilità di qualsiasi natura (es. un’auto parcheggiata di impediva la visuale, aveva in parte la visuale coperta dall’autocarro). 11. Aspetti temporali: distinti in a) tempo entro sinistro: aspetto temporale, in senso dinamico, riferito allo: a) svolgimento delle azioni nelle fasi pre e durante il sinistro fino al momento della collisione (es. mentre stavo svoltando, improvvisamente ha frenato); b) tempo post sinistro: aspetto temporale puntuale e statico relativo all‟orario dell‟intervento della pattuglia; tempo della testimonianza; c) aspetto temporale puntuale e statico relativo all‟orario del rilascio della dichiarazione. 96
12. Informazioni causali: espressioni (es. perché, quindi, dal momento che, gerundi semplici ecc.) che indicano una spiegazione/motivazione di una determinata azione o evento e/o in genere rapporti di causalità tra condotte ed evento differenziantisi, in ragione della maggiore o minore prossimità dell‟azione rispetto all‟urto, in: a) nessi causali direttamente collegati all‟urto (es. allargandosi urtava la golf, perdeva l’equilibrio andando di conseguenza a toccare); b) nessi causali adiacenti l‟urto (rapporto causale non collegato direttamente all‟urto) ma inerente un‟azione svoltasi poco prima di quella prossima all‟urto e la cui descrizione, normalmente, appare influente ai fini della ricostruzione del sinistro (es. ho azionato l’indicatore perché dovevo girare a dx); c) nessi causali non adiacenti l‟urto (rapporto causale non collegato all‟urto inerente un‟azione svoltasi molto prima di quella prossima all‟urto e la cui descrizione, normalmente, non appare influente ai fini della ricostruzione del sinistro (es. stavo circolando sulla statale verso nord perché dovevo andare…). Le tre tipologie ora descritte sono state, al loro interno, ulteriormente suddivise in: - nessi causali direttamente collegati all‟urto con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (es. non faceva lo stop e quindi andava a collidere, il conducente passava con il rosso ed andava ad urtare); - nessi causali adiacenti l‟urto con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (es.: ho frenato perché il veicolo parcheggiato sul lato est ha aperto improvvisamente lo sportello); - nessi causali non adiacenti l‟urto con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (es. stavo circolando sulla statale verso nord e non mi fermavo a dare la precedenza ad un pedone che era fermo sul marciapiede in attesa di attraversare sulle strisce pedonali e quindi continuavo la mia marcia perché ero in ritardo per il lavoro). Essi sono stati classificati a prescindere dal fatto che i comportamenti in violazione del Codice della Strada siano stati o meno sanzionati dagli operatori. Di ciascuno di questi 12 elementi si possono riferire diverse proprietà. Per esempio, del veicolo (elemento 1) si può descrivere la posizione, il suo orientamento, il suo colore, la sua velocità; della strada (elemento 5) l‟ampiezza, il suo essere dritta o curva, in salita o in discesa ecc. Di molti di questi aspetti si può fare una descrizione fenomenica, come quelle appena riportate, oppure strumentale - se per esempio si esprime la pendenza della strada in percentuale, nei termini riportati dai cartelli stradali, o la distanza dall‟altro veicolo in metri, o la velocità in km/h rilevati sul contachilometri.
97
Per ciascun elemento abbiamo quindi classificato le proprietà descritte secondo le seguenti classi di contenuto (emerse incrociando precedenti ricerche sulle proprietà fenomeniche fondamentali dello spazio – Savardi & Bianchi, 2001; Bianchi, Savardi, & Kubovy, 2011 – e il tipo specifico di evento descritto – sinistro stradale): 1. Proprietà estensive: quantità; 2. Proprietà intensive distinte in: a) strutturali (forma), b) qualitative (colore, caratteristiche estetiche); 3. Proprietà topologiche: distinte in a) localizzazione e b) orientamento, ambedue descritte o entro sinistro (se fanno riferimento alla fase di accadimento del sinistro) o post-sinistro (se fanno riferimento a fasi successive all‟accadimento dei sinistro). Poiché un aspetto della descrizione di orientamento e localizzazione interessante, e non eludibile, sul piano fenomenico è se queste proprietà siano definite rispetto alle coordinate corporee del soggetto o allo spazio ambientale esterno, abbiamo distinto localizzazione e orientamento egocentrici ed allocentrici. 4. Proprietà temporali: distinte in a) riferite ad azioni che accadono entro il sinistro, b) riferite ad azioni fra sinistro e intervento; c) riferite ad azioni fra sinistro e testimonianza. VERIFICA DELL’ACCORDO TRA GIUDICI: la verifica dell‟oggettività della classificazione è stata affidata al confronto sul grado di accordo tra due giudici indipendenti nell‟utilizzo della griglia di classificazione (attraverso il coefficiente K di Cohen). La verifica è stata preceduta da una fase di addestramento del secondo giudice da parte del primo giudice, durata n. 3 incontri, volta a presentare la matrice (comprendente all‟inizio 10 elementi per le 6 tipologie di documenti selezionati), illustrandone gli elementi, le classi descrittive, la distinzione dei livelli descrittivi (fenomenico/strumentale). Terminata la fase di apprendimento i due giudici hanno proceduto a classificare indipendentemente 10 sinistri. Le classificazioni prodotte sono state discusse in 2 incontri
successivi,
durante
i
quali
sono
state
riscontrate,
ictu
oculi,
le
concordanze/discordanze delle descrizioni classificate. Da questa prima verifica è emerso anche che la griglia lasciava sfuggire alcuni dati importanti della classificazione (es. condotte dei protagonisti e rapporti causali). Sono stati quindi integrati nella griglia altri due elementi, azioni ed informazioni causali, arrivando così alla griglia con 12 elementi descritta nella sezione precedente. I due valutatori hanno quindi utilizzato indipendentemente la nuova griglia per la classificazione di 3 nuovi sinistri. 98
L‟accordo tra i due giudici è quindi stato valutato costruendo una matrice di confusione in cui si riportava l‟accordo nella rilevazione della presenza o assenza, per ciascun elemento di ciascun sinistro, di una data classe descrittiva. Al criterio quantitativo (numero di elementi classificati da entrambi) doveva altresì corrispondere l‟identità degli elementi classificati. Pertanto si aveva: -
Accordo: in caso di corrispondenza quantitativa e di coincidenza delle descrizioni in termini sia di riscontro della presenza delle singole unità elementari, classi e descrizioni (espressa nella matrice di confusione con il numero totale di elementi concordemente descritti) sia di concorde riscontro di assenza di un certo elemento o classe descrittiva.
-
Disaccordo: in caso di scostamento tra le classificazioni dei due giudici, sia in termini di numero di elementi descritti che di non coincidenza delle descrizioni (es: quando i valutatori avevano classificato un elemento in unità o classi diverse). Il disaccordo era dato dalla somma degli elementi di discordanza. Si è quindi calcolato, su questa matrice di confusione, l‟accordo tra i giudici sulla classificazione di tre protocolli. L‟accordo è risultato tra considerevole e perfetto su tutti i documenti (cfr. Tab. 1). I giudici hanno quindi proceduto, nella classificazione dei protocolli successivi, indipendentemente.
Documento
Sinistro 1
Sinistro 2
Sinistro 3
Media
Teste coinvolto
k=0,91
k=0,75
k=0,80
k=0,82
Teste non coinvolto
k=0,90
k=0,82
k=0,86
k=0,86
Dinamica
k=0,82
k=0,87
k=0,91
k=0,86
Scheda danni
k=0,77
k=0,95
k=0,75
k=0,82
Verbale accertamento sui luoghi e sulle cose Schizzo di campagna
k=0,74
k=0,75
k=0,70
k=0,73
k=0,69
k=0,72
k=0,78
k=0,73
Tab. 1 Coefficiente K di Cohen relativo a n. 3 sinistri e n. 6 referti per ogni singolo sinistro codificati da due giudici indipendenti, espresso in assoluto e in media (cioè rispettivamente all’interno dello stesso sinistro e della stessa tipologia di referto).
4.3 Risultati 4.3.1. Quali elementi nei vari documenti Come prima analisi dei risultati ci siamo soffermati a considerare la presenza, nei diversi documenti, di informazioni riguardanti tutti o solo alcuni degli elementi. A questo livello non ci stiamo chiedendo quanto ricchi siano i riferimenti nei documenti (ad esempio a qualità estensive della strada), ma semplicemente se un riferimento a 99
quell‟elemento c’è o non c’è. In altri termini, è come se ci stessimo chiedendo se quel documento è uno strumento adatto per rilevare una certa informazione (così come il termometro lo è per rilevare la temperatura ma non il peso, o il dinamometro lo è per rilevare la forza ma non la lunghezza).Essendoci in totale 50 sinistri, la frequenza massima per elemento è 50 (50 è cioè il valore della cella che indica che quel dato elemento, poniamo le condizioni meteo, sono state di fatto citate in tutti i reports analizzati per un dato tipo di documento, poniamo il documento 1 (teste coinvolto); la frequenza minima è 0 (ad indicare che nessuno dei 50, report analizzati per quel dato tipo di documento, contiene riferimenti a quell‟elemento). Questa domanda (riferita alla presenza o meno dell‟elemento) è interessante perché: a) ci permette di verificare quali sono gli elementi che vengono descritti e che caratterizzano ciascun tipo di documento; b) ci permette di studiare le differenze/sovrapponibilità/ridondanze tra documenti ed eventualmente le mancanze (cioè quali sono le informazioni che gli attuali strumenti in uso della Polizia Municipale rilevano troppo poco e che potrebbero essere invece informazioni utili/importanti per la ricostruzione del sinistro). La tabella delle frequenze qui di seguito riportata (Tab. 2) e il grafico a barre di Fig. 1 (p. 101) mostrano che c‟è una distribuzione significativamente diversa degli elementi nei diversi documenti (Χ2=1221,213, df=55, p<0.001) e che alcuni reports sono più idonei di altri a fornire informazioni di un certo/i elemento/i. Tavola di contingenza documenti * elementi Conteggio elementi azione causa danni meteo segnaletica strada tempo tracce traffico urto veicolo visibilità
D1_tc D2_tnc Documento D3_dinam D4_verb D5_danni D6_schiz Totale
tot
50
37
1
0
27
48
50
0
1 45
50
2 311
50 50 39 0 1 190
32 45 0 0 0 114
0 7 31 49 1 89
0 0 50 0 0 50
22 24 34 0 45 152
43 47 50 0 50 238
50 34 50 0 0 184
0 6 4 0 18 28
1 39 2 47 48 38 0 3 0 13 52 185
50 50 50 50 48 298
2 289 1 313 49 443 0 102 0 176 54 1634
Tab. 2 Numero di reports analizzati (N=50 per documento) che contengono informazioni relative ai 12 elementi.
100
Fig.1 Grafico a barre che visualizza i dati di Tab.2 (p.100), rendendo evidente la non ridondanza delle informazioni contenute in ciascun documento.
Vediamo ora singolarmente dove sono presenti riferimenti ai singoli elementi analizzati. - Azioni: i documenti D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto), D3 (dinamica) fanno registrare la frequenza massima (50/50); questo dato non stupisce data la natura dei referti e nei quali i testi e gli operatori sono chiamati i primi due a descrivere come è accaduto il sinistro, e gli ultimi a ricostruirlo; per quanto riguarda il verbale (D4) la frequenza rilevata (in questo caso 39/50) è da commentarsi nel senso che, sebbene non sia il documento deputato alla funzione tipica propria dei suddetti tre referti, l‟elemento azioni è presente in modo rilevante in quanto il modello utilizzato ha parti fisse (con voci prestampate) ma anche libere che, in questo caso, sono state utilizzate per 39/50 volte per riportare anche la dinamica (la stessa che si ritrova poi in D3). Nulla di questo elemento viene invece registrato nei documenti D5 (danni) e D6 (schizzo campagna). - Causa: molti dei reports contengono informazioni causali e precisamente D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto), D3 (dinamica), a differenza di quanto accade per D4 (verbale), D5 (danni) e D6 (schizzo campagna) che ne sono, invece, completamente privi. Il dato è strettamente collegato alla funzione e caratteristica del documento, in quanto D1, D2 e D3 fotografano la parte dinamica del sinistro (attraverso i resoconti rispettivamente del teste coinvolto, non coinvolto e della fase ricostruttiva del sinistro da parte degli operatori); ciò significa che, sostanzialmente, i soggetti 101
parlando di azioni (v. sopra p. 101) tendono ad agganciare alle stesse anche nessi causali, sia pur non nella stessa misura, per lo meno in modo esplicito, in cui descrivono le azioni. C‟è da sottolineare che le informazioni causali vengono date dai testi coinvolto e non (D1 e D2) per motivi diversi da quelli per cui vengono rese dagli operatori (D3): infatti, mentre i primi possono avere come sollecitazione emotiva quella di respingere la propria responsabilità, o comunque addossarla all‟altro conducente (teste coinvolto), oppure quella di ritagliarsi un ruolo di terzo imparziale (teste non coinvolto), gli operatori nel documento D3 (dinamica), di natura tecnica, sono proprio chiamati ad individuare eventuali responsabilità del sinistro a fini sanzionatori ma anche risarcitori. La carenza totale di questa informazione nei tre restanti referti è un dato atteso in quanto essi o sono specifici per un tipo di elemento (es. D5 danni), oppure sono funzionali a descrivere, prevalentemente, in dettaglio lo stato dei luoghi (D4 verbale) o lo stato di quiete post sinistro (D6 schizzo di campagna); in altri termini si riferiscono all‟aspetto statico del sinistro. - Danni: la peculiarità del documento D5 (scheda danni) fa rilevare logicamente una capacità informativa pressoché massima (49/50) in merito a questo elemento mentre, per quanto riguarda il documento D4 verbale (31/50), il dato dà indicazione che la parte libera del prestampato è stata utilizzata per 31 volte per riportare l‟informazione dei danni (gli stessi che si ritrovano poi in D5). Gli altri documenti non forniscono sostanzialmente informazioni o, comunque, non di un certo spessore. Questo risultato, mentre è atteso per quanto riguarda D6 (schizzo campagna) e in parte D2, dal momento che per il teste non coinvolto i danni prodottosi ai veicoli dei protagonisti del sinistro non costituiscono un aspetto importante, è altresì inatteso per i documenti D3 (dinamica) e soprattutto D1 (teste coinvolto) perché: a) referto D3 (dinamica): i danni occorsi ai veicoli, le loro caratteristiche (proprietà estensive, intensive, topologiche) forniscono utili indicazioni per la fase ricostruttiva del sinistro: ad es., la loro localizzazione suggerisce le direzioni di marcia dei coinvolti e la tipologia dell‟urto (tamponamento, frontale-laterale, frontale ecc.), mentre l‟estensione del danneggiamento, così come le qualità o struttura del danno, possono far ipotizzare, con una certa fondatezza, le velocità tenute dai conducenti. Queste informazioni appaiono importanti sia in senso assoluto che relativo in relazione al confronto tra esse e quanto, per esempio, dichiarato dai protagonisti; b) D1 (teste coinvolto): benché sicuramente il teste coinvolto abbia riportato danni - perché il corpus scelto tratta di incidenti con 102
danni alle cose (la scheda danni D5 infatti riporta 49/50 volte la presenza di danni in riferimento al teste coinvolto) - uno solo dei reports D1 parla dei danni. Il dato è controintuitivo tenuto conto che la rottura, e a volte la rovina del proprio veicolo, è l‟elemento su cui si basa la quantificazione del risarcimento (previa assenza di responsabilità o comunque in percentuale rispetto alla corresponsabilità). - Meteo: tale elemento viene esclusivamente raccolto nel documento D4 (verbale) nella parte strutturata. Anche in questo caso, se è facilmente spiegabile la mancanza di esso in D6 (schizzo di campagna) e D5 (danni), lo è meno nei restanti 3 documenti in quanto D1 e D2 (testimonianze teste coinvolto e non) descrivono fatti e comportamenti avvenuti in un contesto ambientale-climatico del quale nulla viene detto, nonostante questo sia un elemento di sicura rilevanza (es. quanta neve, pioggia, nebbia ecc. erano presenti può aver inciso, in maggior o minor grado, sull‟accadimento del sinistro). Neppure D3 (dinamica) riporta mai questo elemento, mutuandolo magari dal documento D4 (verbale). Ci siamo chiesti se la mancanza di questa informazione potesse dipendere dal fatto che le condizioni meteo presenti nel caso del campione di sinistri analizzati fossero tali (es. sole) da non aver avuto una rilevanza, sia pure teorica o implicita, nella dinamica del sinistro e che per questo i soggetti (teste coinvolto e non e operatore nella dinamica) le avessero taciute. Ma questo non è risultato essere il caso, dal momento che nel verbale (D4), dove gli stessi operatori riportano tale informazione, erano state date indicazioni di pioggia e nebbia oltre che casi di sereno. La mancanza di questo dato è quindi interessante: soprattutto la sua carenza nei documenti D1 (teste coinvolto) e D2 (teste non coinvolto) ha un peso notevole dal momento che l‟informazione riportata in D4 (verbale) si riferisce alle condizioni meteo all‟atto dell‟intervento che non necessariamente sono le stesse presenti al momento del sinistro; pertanto, stante la insufficienza dell‟elemento meteo nei restanti documenti, è possibile solo sapere quali fossero le condizioni all‟arrivo degli operatori e non quelle esistenti nella fase dinamica dell‟incidente. - Segnaletica: i documenti D1, D2, D3 (teste coinvolto, teste non coinvolto, dinamica) sono sostanzialmente equivalenti, da un punto di vista informativo, essendo i riferimenti alla segnaletica presenti in meno della metà dei casi - altresì specificando che in D1 e D2 (teste coinvolto, teste non coinvolto) si parla della segnaletica in termini generali, non distinguendo e non specificando se si tratta di segnaletica verticale o
103
orizzontale o ambedue (ad esempio se lo stop esistente fosse verticale e/o orizzontale), mentre in D3 (dinamica) vi è, ma solo sporadicamente, tale differenziazione. Ora, la carenza descrittiva di questo dato ha una certa rilevanza sul piano sanzionatorio e delle responsabilità in quanto la presenza in loco di una segnaletica, come ad esempio lo stop, che prevede per regolamento sia una tipologia verticale che orizzontale (barra di arresto), può far scaturire delle contestazioni (ricorsi) o costituire elemento di diminuzione o esclusione di responsabilità laddove non sia completa. Una maggiore presenza dell‟elemento segnaletica viene registrata in D4 (verbale) con la precisazione, però, che qui viene richiesto e riportato se vi è segnaletica orizzontale e/o verticale, non distinguendone però la tipologia né la quantità. Questa informazione, in generale, sembra doversi inferire, con notevole sforzo, semmai, dagli altri documenti. Il documento D6 (schizzo di campagna) è quello nel quale la presenza dell‟elemento segnaletica è vicina al massimo percentuale riscontrabile; qui si hanno informazioni esaustive circa la tipologia, la direzione e la quantità di segnaletica esistente sullo scenario del sinistro. La scheda danni (D5) è completamente sprovvista di questa informazione. - Strada: l‟informazione è presente nei documenti D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto), D3 (dinamica), D4 (verbale) e D6 (schizzo di campagna) in numeri vicini al massimo riscontrabile. La scheda danni (D5), invece, è completamente sprovvista di questa informazione. Successivamente si vedrà in che misura questo tipo di informazione si distingue nei diversi documenti in quanto a specifiche proprietà riportate. - Tempo: l‟informazione è presente nei documenti D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto) e D4 (verbale) nella misura del 100% e in misura superiore al 50% nel documento D3 (dinamica); qui occorre precisare che il dato però non tiene conto della distinzione tra tempo entro sinistro (riferito al momento dinamico dell‟evento), tempo della testimonianza (momento in cui viene resa) e post-sinistro (intervento degli operatori) e all‟interno di essi della distinzione tra tempo fenomenico e tempo metrico. Quindi l‟informazione circa l‟elemento tempo nel documento D4 (verbale) si riferisce all‟orario di intervento degli operatori e non a quello in cui è occorso il sinistro, così come capita nei documenti D1 (teste coinvolto) e D2 (teste non coinvolto) che riportano l‟ora della assunzione della testimonianza. La scheda danni (D5), invece, è completamente sprovvista di questa informazione.
104
- Tracce: L‟elemento è presente più frequentemente nello schizzo di campagna (D6) mentre gli altri documenti o non ne parlano o lo fanno in modo scarso. Nella lettura di questo dato va però tenuto presente che le tracce relative al sinistro possono anche non esservi (es. assenza di frenata, non rinvenimento di liquidi o vetri ecc.) quindi, in questo senso, il dato contiene un margine di ambiguità. Data la peculiarità e tecnicità di questo elemento non sorprende che compaia più in un documento tecnico (D6 schizzo di campagna) piuttosto che nei reports testimoniali del teste coinvolto (D1) e non coinvolto (D2): resta da sottolineare, però, che esso non ritorna nella stessa (o all‟incirca la stessa) percentuale nell‟altro referto tecnico, vale a dire la dinamica (D3). - Traffico: Riferimenti al traffico compaiono in una percentuale prossima al 100% nel documento D4 (verbale) mentre sono del tutto o quasi completamente assenti negli altri documenti. Quest‟ultimo esito è piuttosto singolare per quanto riguarda i documenti D1 (teste coinvolto) e D2 (teste non coinvolto) - ma soprattutto D1 – perché ciò significa che il teste coinvolto e non coinvolto descrivono sì azioni legate alla conduzione dei veicoli, ma escludendo dalla descrizione il contesto più ampio della circolazione veicolare e pedonale all‟interno del quale si muovono. Anche in questo caso, così come per il meteo, la considerazione della salienza o meno dell‟informazione può dipendere dalla normalità delle condizioni di traffico, ma dal documento D4 (verbale) emerge che vi sono almeno 10 reports dei 50 analizzati nei quali gli operatori indicano un traffico intenso. La scarsità dell‟informazione relativa al traffico nel documento D3 (dinamica) potrebbe essere spiegabile con il fatto che questo documento viene redatto in un momento comunque successivo al sinistro; tuttavia anche D4 (verbale) - che ricordiamo contiene l‟elemento traffico in una percentuale quasi del 100% - si riferisce al traffico in atto al momento dell‟intervento, che non necessariamente equivale a quello esistente durante il sinistro. In generale possiamo dire che la carenza e l‟ambiguità temporale dell‟informazione non permettono né di avere uno scenario chiaro né di sapere se, e in che misura, le condizioni del traffico possano aver inciso sull‟accadimento del sinistro. L‟assenza di riferimenti a questo elemento in D5 e D6 può essere visto come conseguente alla natura dei referti, sia per scopo (D5, scheda danni) che per situazione (D6, schizzo di campagna, che descrive lo stato di quiete dei veicoli in fase postsinistro). 105
- Urto: questo elemento caratterizza in modo indefettibile l‟accadimento di un sinistro (un sinistro è tale perché si verifica un urto). Questo elemento registra la sua presenza alquanto rilevante nei documenti D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto), D3 (dinamica) e D4 (verbale), e in percentuale del 38% nel documento D6 (schizzo di campagna) dove viene descritta graficamente la sua localizzazione. Il teste non coinvolto solo 39 volte su 50 parla di urto; ciò significa che nei restanti 11 sinistri (20% circa dei casi) l‟osservatore terzo non apporta alcun contributo circa tale aspetto saliente del sinistro e questo problematizza l‟assunzione, che spesso viene fatta, di maggiore rilevanza dell‟apporto del teste non coinvolto (ritenuto generalmente più attendibile di quelli coinvolti). Quasi del tutto assente è la presenza di questa informazione nel documento D5 (scheda danni), ma questo è legabile alla sua specifica natura e funzione. - Veicoli: presente totalmente (o pressoché totalmente) in tutti e 6 i documenti (risultato atteso). Vedremo poi a livello di descrizione delle proprietà se il tipo di informazioni riportate coincida o no. - Visibilità: informazione contenuta in percentuale prossima al 100% nel documento D4 (verbale) e sostanzialmente assente, del tutto o in parte, negli altri 5 referti. Quindi, sia il teste coinvolto che quello non coinvolto escludono dal racconto riferimenti alle condizioni di luce, naturale o artificiale, a situazioni che ostruiscono la visibilità ed in genere a tutto ciò che va ad incidere sul campo di percepibilità, per es. diminuendola. In questo senso la perdita di tale informazione non permette di sapere se, e in che misura, le condizioni di visibilità - che hanno un peso specifico rispetto all‟azione percettiva visiva che è essenziale nella guida di un veicolo - possano aver inciso sull‟accadimento del sinistro. Né essa è desumibile in maniera oggettivamente attendibile dal documento D4 (verbale), che viene redatto in un tempo successivo al sinistro, a volte anche di molto successivo, e quindi si ha la possibilità che le condizioni di visibilità siano nel frattempo mutate. Quindi, precisato che il totale sinistri è 50 e che la frequenza massima di presenza di ciascun elemento è quindi 50, in conclusione possiamo sinteticamente dire che la potenzialità dei documenti di contenere informazioni circa i vari elementi del sinistro è così rappresentabile:
106
D1 (teste coinvolto): azioni, causa, segnaletica, strada, tempo, urto, veicoli (7/12 elementi identificati); D2 (teste non coinvolto): azioni, causa, segnaletica, strada, tempo, urto, veicoli (7/12); D3 (dinamica): azioni, causa, segnaletica, strada, tempo, urto, veicoli (7/12); D4 (verbale): azioni (ma costituiscono una ridondanza/sovrapposizione del documento D3), danni (ma costituiscono una ridondanza/sovrapposizione del documento D5), meteo, segnaletica, strada, tempo, traffico, urto, veicoli, visibilità (10/12); D5 (scheda danni): danni, veicoli (2/12); D6 (schizzo di campagna): segnaletica, strada, tracce, urto, veicoli (5/12). I primi 3 documenti hanno quindi profili molto simili: mancano costantemente alcune informazioni (meteo, danni, tracce, traffico, visibilità) e sono prevalentemente presenti altre informazioni. La maggiore apparente completezza del verbale (D4) va letta però anche rispetto ai suoi limiti, in particolare il limite della sovrapponibilità delle informazioni qui contenute con quanto riportato in D3 (dinamica) per le azioni ed anche dinamica e in D5 (scheda danni) per quanto riguarda i danni e tenuto conto della precisazione che gli elementi traffico, tempo e visibilità rilevati non si riferiscono, tuttavia, alle relative condizioni al momento del sinistro ma a quello dell‟intervento degli operatori. La scheda danni (D5) appare molto specifica e lo stesso lo schizzo di campagna (D6) stante lo scopo e la situazione per cui sono redatti. Per gli elementi apparentemente presenti trasversalmente nei 6 referti (es. segnaletica, strada veicolo) si tratta comunque di verificare se il tipo di informazioni (le proprietà) descritte siano le stesse o se invece parlino di proprietà altrimenti non descritte.
4.3.2. Quali proprietà (aspetti) degli elementi sono descritti nei vari documenti Più da vicino, quali sono le proprietà degli elementi (quali le proprietà della strada, del danno, ecc.) che sono state effettivamente descritte nei 6 diversi documenti? Chiariamo che anche in questo caso si sta parlando di se l‟informazione c‟è o non c‟è in ciascuno dei 50 reports e non di quante volte è presente dentro un singolo report o sul totale dei reports (il massimo di presenza cioè è anche in questo caso 50). Riportiamo qui di seguito, per ciascun elemento, la tabella di frequenza (presenza/assenza) e un grafico a barre che mostra questo dato nei vari documenti, allo scopo di fotografarne differenze e somiglianze. 107
4.3.2.1) Elemento Veicoli Analizziamo ora, documento per documento, la situazione che emerge dalla Tab. 3: Tavola di contingenza documenti * proprietà Conteggio proprietà est_ altro
Doc
int_ qual
int_ t_ t_ t_ str entro int test 2 43 43 0 49
topol_ topol_L topol_ topol_ L P O OP 50 4 49 1
Tot
D1_tc
1
5
est_ vel 8
D2_tnc D3_din am D4_ver b D5_da nni D6_sch iz
3 8
4 4
13 3
14 1
48 45
38 32
0 0
49 0
50 50
9 16
44 49
3 8
275 216
49
0
0
44
50
0
50
0
0
0
0
0
193
25
0
0
1
50
0
0
0
0
0
0
0
76
3
4
0
0
48
0
0
0
2
48
1
44
150
89
17
24
62
284
113
50
98
152
77
143
Totale
est_ dist
255
56 1165
Tab. 3 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50 per ciascun documento) che contengono informazioni delle 4 proprietà (estensive, intensive, topologiche e temporali) e relative interne distinzioni, dell’elemento “veicoli”.
-
D1 (teste coinvolto): proprietà estensive: esse sono descritte in 14/50 reports
ma, all‟interno della tripartizione (altro, distanza, velocità) la proprietà maggiormente rilevata è la velocità che compare 8/50; solo un report parla di altro (es. alto, grande); proprietà intensive: l‟informazione è presente, complessivamente, in percentuale molto rilevante ma una netta preponderanza di riferimenti sono alla struttura del veicolo (ad es. Fiat Panda, autovettura, ciclomotore) piuttosto che a sue qualità (es. colore); proprietà temporali: questa informazione non è rilevabile relativamente alla fase intervento mentre è presente in percentuale rilevante (rispettivamente 43/50 e 49/50) per quanto riguarda la fase entro sinistro e al momento della testimonianza; proprietà topologiche entro sinistro: Localizzazione e orientamento sono informazioni presenti in tutti (meno uno, per quanto riguarda l‟orientamento) i reports analizzati; proprietà topologiche post sinistro: localizzazione e orientamento sono scarsamente, o quasi per nulla, descritte. -
D2 (teste non coinvolto): proprietà estensive: sono descritte in 20/50 sinistri
ma, all‟interno della tripartizione (altro, distanza, velocità), la proprietà maggiormente registrata è la velocità che compare 13/50, quindi in misura maggiore del D1- teste coinvolto - (dove compariva in 8/50 casi); la presenza di riferimenti a distanza e altro è sostanzialmente equivalente e minore rispetto alla velocità; proprietà intensive: l‟informazione è presente, complessivamente, in percentuale molto rilevante ma anche qui con una netta preferenza di riferimenti alla struttura del veicolo (ad es. Fiat Panda, 108
autovettura, ciclomotore) piuttosto che alle sue qualità (es. colore); proprietà temporali: questa informazione non è rilevabile relativamente alla fase intervento mentre è presente in percentuale rilevante (rispettivamente 38/50 e 49/50) per quanto riguarda la fase entro sinistro e della testimonianza; proprietà topologiche entro sinistro: Localizzazione e orientamento sono informazioni presenti in quasi tutti i 50 testi indagati con una leggera differenza tra quelle relative alla localizzazione (50/50) e quelle inerenti l‟orientamento (44/50): proprietà topologiche post - sinistro: localizzazione e orientamento sono scarsamente descritte. -
D3 (dinamica): proprietà estensive: esse sono descritte in 15/50 casi
analizzati ma all‟interno della tripartizione (altro, distanza, velocità) la proprietà maggiormente registrata è altro (es. alto, grande) che compare in 8/50 ma anche i riferimenti a distanza e velocità, tra loro sostanzialmente equivalenti, se sommati sono presenti in numero quasi pari ad altro; proprietà intensive: l‟informazione è presente, complessivamente, in percentuale molto rilevante ma con una netta preponderanza di riferimenti alla struttura del veicolo (ad es. Fiat Panda, autovettura, ciclomotore) piuttosto che alle sue qualità (es. colore) che sono quasi del tutto carenti; proprietà temporali: questa informazione non è rilevabile relativamente alla fase intervento e testimonianza mentre la proprietà temporale entro sinistro è presente in percentuale significativa; proprietà topologiche entro sinistro: Localizzazione e orientamento sono informazioni presenti in tutti (meno uno per quanto riguarda l‟orientamento) i reports; proprietà topologiche post sinistro: scarsamente descritto l‟orientamento, mediamente descritta la localizzazione. -
D4 (verbale): proprietà estensive: quasi tutti i reports (meno uno) riportano
queste proprietà ma all‟interno della tripartizione (altro, distanza, velocità) il totale (quasi quindi il 100%) è tutto sulla voce altro (qui intesa come ,ad es., cilindrata, km percorsi, tara); proprietà intensive: l‟informazione è presente, complessivamente, in percentuale molto rilevante, con una sostanziale equivalenza di riferimenti alla struttura del veicolo (ad es. Fiat Panda, autovettura, ciclomotore) e ad altre qualità (es. colore); proprietà temporali: questa informazione non è rilevabile relativamente alla fase entro sinistro e testimonianza, ma è presente nella misura del 100% nella fase intervento; proprietà topologiche entro sinistro: localizzazione e orientamento sono aspetti del tutto assenti; proprietà topologiche post sinistro: anche in questo caso mancano completamente riferimenti a localizzazione e orientamento.
109
-
D5 (danni): proprietà estensive: riferimenti a questo aspetto sono presenti nel
50% dei casi. L‟informazione riguarda esclusivamente la voce altro (es. grande, grave, tanto); proprietà intensive: l‟informazione è presente in tutti i reports analizzati ed è relativa alla descrizione della struttura mentre sono quasi del tutto assenti riferimenti alle qualità; proprietà temporali: carenti; proprietà topologiche entro sinistro: Localizzazione e orientamento sono voci del tutto mancanti; proprietà topologiche post sinistro: anche in questo caso localizzazione e orientamento sono del tutto assenti. -
D6 (schizzo di campagna): riferimenti a proprietà estensive si riscontrano con
una frequenza di 7/50 in particolare, all‟interno della tripartizione (altro, distanza, velocità), in relazione, e con una sostanziale equivalenza, ad altro e distanza; proprietà intensive: l‟informazione è presente in quasi tutti i reports analizzati (48/50) e riguarda la struttura mentre è del tutto assente l‟informazione su altre qualità; proprietà temporali: completamente assente; proprietà topologiche entro sinistro: Localizzazione e orientamento: quasi per nulla descritte; proprietà topologiche post sinistro: localizzazione e orientamento sono informazioni presenti in quasi tutti i 50 casi indagati con una leggera differenza tra quelle relative alla localizzazione (48/50) e all‟orientamento (44/50).
Fig.2. Grafico a barre che visualizza i dati di Tab. 3 (p. 108).
110
Rispetto alle: - proprietà estensive: I primi 3 documenti (D1 teste coinvolto, D2 teste non coinvolto e D3 dinamica) hanno profili simili differenziandosi solo rispetto alla distribuzione all‟interno della ripartizione tra altro, distanza e velocità: nel documento D1 (teste coinvolto) si descrive maggiormente la velocità, così come nel D2 (teste non coinvolto) che anzi la descrive in misura maggiore dello stesso D1. Data la natura dell‟evento (sinistro), il dato nel complesso era atteso; meno previsto invece quello della prevalenza di tale proprietà nel documento del teste non coinvolto (D2) rispetto a quello coinvolto (D1). Nel documento D3 (dinamica) invece la prevalenza è di riferimenti ad altro (alto, grande); questo dato è singolare perché sembra che l‟operatore, nel ricostruire la dinamica, ponga l‟attenzione più su altri aspetti estensivi che non alla velocità, che è invece ritenuta un‟informazione importante nel sinistro e comunque proprietà legata strettamente al movimento e quindi implicitamente sempre presente. Per quanto riguarda D4 (verbale) e D5 (danni) va detto che, pur presentando il primo descrizioni quantitative relative alla voce altro, queste ultime si differenziano qui rispetto ai documenti D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto), D3 (dinamica) dove altro esprime quantità come tanto, alto, breve ecc., mentre in D4 (verbale) le proprietà che rientrano in questa classe sono espresse in termini di tara, cilindrata, chilometri percorsi; una simile argomentazione vale anche rispetto a D5 (danni) dove le proprietà estensive si riferiscono ai soli danni ma vengono espresse in due modalità molto diverse. In questo senso D4 e D5 sono documenti a sé stanti non confrontabili con gli altri. Infine D6 (schizzo di campagna) è apparentemente molto informativo, in senso fenomenico, sia per quanto riguarda la distanza che altre quantità ricadenti nella voce altro (grande, corto) - tenendo presente che, essendo un disegno a mano libera, esprime proprietà estensive degli elementi riprodotti graficamente che non coincidono, per ovvi motivi, con gli elementi reali della scena. - Proprietà intensive: i documenti D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto), D3 (dinamica), D4 (verbale), D6 (schizzo di campagna) hanno caratteristiche affini da un punto di vista di informativo precisando però che: D1, D2, D3, D6 sono molto più che sufficientemente descrittivi della struttura, e quasi per nulla, o totalmente per nulla, informativi circa le qualità (con la sola eccezione del D2 che, invece in buona percentuale, dà informazioni per es. circa il colore dei veicoli); ciò è 111
piuttosto inatteso perché il colore di un veicolo ha una sicura incidenza in termini di maggiore o minore avvistabilità dello stesso. Il documento D4 invece fornisce informazioni in modo pressoché equivalente sia dell‟una (struttura) che delle altre (qualità) precisando però che il modello utilizzato contiene parti fisse con voci prestampate con una serie di termini (da contrassegnare) riferibili tanto alla struttura tanto alle qualità. D5 (scheda danni) costituisce sempre un documento monotematico e quindi le proprietà intensive registrate nei reports sono solo quelle dei danni. - Proprietà temporali: a) Entro sinistro: ricordiamo che questa è la fase che attiene all‟aspetto dinamico del sinistro vale a dire la descrizione del tempo di svolgimento delle azioni dei soggetti coinvolti (teste coinvolto, altro conducente coinvolto ed in genere altri conducenti presenti nella circolazione) e di quelle del teste non coinvolto; ciò spiega la somiglianza emersa dei documenti D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto) e D3 (dinamica) che hanno tutti una notevole portata informativa in merito a questo aspetto, leggermente maggiore in D1 rispetto a D2, a sua volta maggiore di D3. Pertanto la dinamica sembra essere, stranamente, il documento che meno informa di questo aspetto in quanto è il referto deputato alla ricostruzione del sinistro e quindi del suo svolgersi nel tempo di azioni e condotte di guida in generale; è fondato ipotizzare che ciò possa dipendere dal fatto che l‟operatore non è testimone diretto dell‟evento
e
che
le
informazioni
presenti
circa
l‟estensione
temporale
dell‟avvenimento, che in questo documento appare comunque più “compressa” rispetto agli altri due, è mutuata dai referti D1 e D2 (ma non nella stessa misura). La situazione alla quale tale proprietà si riferisce (fase dinamica del sinistro) comporta, gioco forza, l‟assoluta assenza di essa nei restanti tre documenti D4 (verbale), D5 (scheda danni), D6 (schizzo di campagna); b) Intervento: è la fase in cui l‟operatore giunge sul luogo del sinistro e quindi, conseguentemente, l‟unico documento che fornisce informazione in merito è il verbale (D4) che lo fa in una percentuale del 100%, ma va precisato che il modello utilizzato ha una voce fissa prestampata riguardante l‟ora dell‟arrivo degli operatori. Stante la specificità di questa informazione temporale si giustifica la totale assenza di questo dato nei restanti 5 documenti; c) Testimonianza: è la fase dell‟acquisizione della testimonianza e ciò spiega la percentuale quasi del 100% rilevata nei documenti D1 (teste coinvolto) e D2 (teste non 112
coinvolto), ma anche in questo caso va precisato che il modello utilizzato ha una voce fissa prestampata riguardante l‟ora dell‟acquisizione del report. Stante la specificità di questa informazione temporale, si giustifica la totale assenza di questo dato nei restanti 4 documenti. - Proprietà topologiche entro sinistro: localizzazione e orientamento - I primi 3 documenti (D1 teste coinvolto, D2 teste non coinvolto, D3 dinamica) hanno profili simili in quanto la presenza della proprietà è massima, o pressoché massima, sia per quanto riguarda la localizzazione che l‟orientamento e da questo punto di vista sono esaustivamente descrittivi. Il risultato era atteso in quanto in un sinistro le coordinate spaziali sono ineludibili. Quasi totalmente assente è la descrizione di questo aspetto nel documento D6 (schizzo di campagna, stante la fase in cui esso viene redatto e cioè quella post sinistro - fase statica) e del tutto mancante in D4 e D5 in ragione della funzione (verbale) o dell‟oggetto (scheda danni) del documento. -Proprietà
topologiche
post
sinistro,
localizzazione
e
orientamento:
massimamente descrittivo di questi aspetti è il documento D6 (schizzo di campagna) proprio perché trattasi della rappresentazione grafica dello scenario post sinistro; sostanzialmente equivalenti in termini di scarsa capacità descrittiva di questo aspetto sono i documenti D1 (teste coinvolto) e D2 (teste non coinvolto), leggermente più informativo D3 (dinamica) soprattutto riguardo alla localizzazione. E‟ questo un dato piuttosto inatteso in quanto il teste coinvolto e quello non coinvolto non descrivono quasi mai una proprietà che è sotto i loro occhi ritenendola, probabilmente, superflua perché visibile anche dagli operatori o comunque non interessante per loro; in effetti, però, tale informazione ha invece una sua importanza perché se il teste non parla della proprietà significa che non si può essere certi che la localizzazione o orientamento riscontrati dagli operatori siano i medesimi assunti dai veicoli una volta terminata la fase cinetica. Da un punto di vista tecnico ciò è molto critico, perché sia la localizzazione che l‟orientamento post sinistro sono dei validi indicatori per la ricostruzione postuma del sinistro. Del tutto mancanti questi aspetti in D4 e in D5 in ragione della funzione (verbale) o dell‟oggetto (scheda danni) del documento.
4.3.2.2) Elemento Azioni E per quanto riguarda le azioni, quali sono i tipi di azioni (eseguite programmate, iniziate, subite, e le tre mentali) che sono presenti nei vari documenti? 113
Tavola di contingenza documento * tipologia
Conteggio A_ eseg
D1_tc D2_tnc docum D3_din ent am D4_ver b Totale
50 50 50
tipologia A_ A_ ese iniz. M_ M_ M_ Per pro sub. prog subi g sco cogn opin/int perc c g scop te sco po sco sco o po po po 11 7 2 19 4 16 3 29 1 2 0 8 4 7 15 2 18 11 38 0 0 1 7 9 18 12 2 9 50 12 0 2 0
Tot
A_ iniz
144 154 171
0
0
0
41
0
0
0
0
0
0
0
0
41
150
26
20
68
46
8
43
64
79
1
4
1
510
Tab. 4 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50 per documento) che contengono informazioni delle 12 tipologie di azioni .
Fig.3. Grafico a barre che visualizza i dati di Tab. 4.
- Eseguite: esse sono descritte (come ci attendeva) in tutti i reports del teste coinvolto (D1), non coinvolto (D2) e dinamica (D3); ve ne sono poi alcune che i soggetti contrassegnano come eseguite con scopo in una percentuale, in pratica equivalente tra tutti i documenti, di circa il 26%. Del tutto nulla è tale informazione nei restanti 3 documenti. Ciò dipende dalla natura dell‟elemento del quale si descrive la proprietà (azioni) in ragione della tipologia del referto: infatti D1, D2 e D3 sono referti che riportano la fase dinamica del sinistro, contraddistinta appunto dalla descrizione 114
dell‟elemento azioni e relative proprietà, mentre gli altri o sono specifici (D5 danni) oppure trattano della fase statica (D4 verbale e D6 schizzo di campagna). Vi è da sottolineare il dato relativo alla descrizione dell‟azione eseguita con scopo (che abbiamo detto essere equivalente tra i tre documenti); il medesimo peso percentuale è inatteso perché il teste coinvolto descrive un‟azione (in quanto tale percepibile quindi anche dal teste non coinvolto) ma che sottende uno scopo del quale lui solo ha consapevolezza. Resta da stabilire come il teste non coinvolto e gli operatori possano parlare di una finalità conosciuta al solo teste coinvolto. Altra cosa ipotizzabile è che il teste non coinvolto parli di azioni eseguite con scopo ma che gli appartengono e non attribuite ad altri. In ogni caso il dato relativo alla dinamica (D3) si riferisce sicuramente ad azioni eseguite dai soggetti coinvolti e non al teste terzo, della cui presenza la dinamica non da mai, o quasi mai, contezza. - Programmate: sono descritte, ma comunque in modo scarso, in tutti i reports del teste coinvolto (D1), non coinvolto (D2) e dinamica (D3); ve ne sono poi alcune che il teste coinvolto (2/50) contrassegna come programmate con scopo (come in D3) mentre nell‟altro documento vi è assenza di questo dato. C‟è da rilevare che la presenza dell‟azione programmata nel documento D3 è singolare nel senso che, mentre il teste coinvolto descrive un‟azione ancora interna della quale ha consapevolezza, resta da stabilire come gli operatori possano parlare di un comportamento ancora non tradotto. Probabilmente l‟operatore, nella dinamica (D3), mutua poi ciò che viene detto dal teste coinvolto e questo spiegherebbe la presenza di questa proprietà dell‟azione anche in D3. Sul versante della programmazione con scopo, abbiamo anche detto che il solo teste coinvolto, rispetto a quello non coinvolto, la descrive: questo dipende forse dal fatto che egli è sicuramente più in grado di descrivere una finalità che solo a lui è esplicita. Del tutto nulla è tale informazione nei restanti 3 documenti stante la natura dell‟elemento del quale si descrive la proprietà (azioni) e in ragione della tipologia del referto: infatti D1, D2 e D3 sono referti che riportano la fase dinamica del sinistro mentre gli altri o sono specifici (D5 danni) oppure trattano della fase statica del sinistro ( D4 verbale e D6 schizzo di campagna). - Iniziate: sono descritte, in una percentuale che varia dal 16% al 22% , in tutti i reports del teste coinvolto (D1 - 11/50) ), non coinvolto (D2 - 8/50) e nella dinamica (D3 - 7/50); ve ne sono poi alcune, comunque in numero scarso (4/50), che il teste coinvolto contrassegna come iniziate con scopo, mentre negli altri due documenti la presenza di questo dato è ancora più ridotta probabilmente perché, in generale, il teste 115
non coinvolto e l‟operatore non sono in grado di descrivere un‟azione contraddistinta da una intenzione nota solo al teste coinvolto. Del tutto nulla è tale informazione nei restanti 3 documenti. Ciò dipende della natura dell‟elemento (azioni) del quale si descrive la proprietà in ragione della tipologia del referto: infatti D1, D2 e D3 sono referti che riportano la fase dinamica del sinistro mentre gli altri o sono specifici (D5 danni) oppure trattano della fase statica (D4 verbale e D6 schizzo di campagna). - Subite: sono descritte in modo rilevante nel documento D4 (verbale), meno in D3 (dinamica) anche se in buona percentuale, scarsamente in D2 e D1 (teste non coinvolto e teste coinvolto). Ora il dato relativo a D4 va spiegato perché questo documento, per sua natura, è privo di riferimento ad azioni di qualsiasi tipo (in quanto fotografa l‟esito finale, statico, del sinistro): le azioni subite alle quali si riferisce sono esclusivamente quelle riguardanti l‟informazione se i veicoli sono stati rimossi (dai conducenti) o prima dell‟intervento degli operatori o successivamente al rilevamento (dai conducenti oppure da carro attrezzi). Nel primo caso dà una efficace informazione perché sapere o meno se, prima dell‟arrivo dei rilevatori, i veicoli sono stati spostati rispetto alla posizione di stasi assunta dopo la perdita di movimento assume molta importanza sul piano operativo/ ricostruttivo ai fini delle misurazioni, triangolazioni e raccolta elementi probanti (di fatto vi è un mutamento dello scenario). Inoltre appare strano che il teste coinvolto, e quindi interessato all‟urto, non descriva la collisione come azione subita. Le azioni subite contrassegnate con scopo sono nulle in tutti e 4 i documenti. Del tutto nulla è tale informazione nei restanti 2 documenti (D5 danni e D6 schizzo di campagna) per le ragioni sopra dette . - Cognitive: sono descritte nei reports del teste coinvolto (D1), non coinvolto (D2) in misura equivalente del 34% circa e nella dinamica (D3) in una percentuale del 18%; non si registrano azioni cognitive contrassegnate con scopo (es. cercavo di ricordare [la strada] per [orientarmi nella nebbia]). La prevalenza (attesa) di questo aspetto nei documenti D1 e D2 si può spiegare con il fatto che essi costituiscono referti di testimonianza dove il processo mnestico è importante così come lo sono il pensiero e il ragionamento soprattutto in D3 (dinamica). Dal momento che in tutti e tre i referti, e in tutti i 50 sinistri, sono sempre sottesi i suddetti processi cognitivi (maggiormente quello mnestico per i due testi e quello del pensare e ragionare dell‟operatore), la presenza di azioni cognitive , in una percentuale di molto inferiore al massimo, si spiega con il fatto che i soggetti non esplicitano verbalmente la fonte dell‟informazione. Del 116
tutto nulla è tale informazione nei restanti 3 documenti. (D4 verbale, D5 danni e D6 schizzo di campagna) per le ragioni sopra dette. - Percettive: sono descritte in misura del 56% nel report del teste coinvolto (D1), del 76% in quello del teste non coinvolto (D2), mentre nella dinamica (D3) è del tutto scarso; non si registrano azioni percettive contrassegnate con scopo (es. mi guardavo intorno per vedere se sopraggiungeva qualcuno) se non in un caso (in D1). La prevalenza del dato nei documenti D1 e D2 si può spiegare con il fatto che essi costituiscono referti di testimonianza dove il processo percettivo è ineludibile mentre D3 è referto proveniente dall‟operatore non presente al momento del sinistro. Ma appare singolare il fatto che il teste coinvolto ritenga di descrivere meno azioni percettive, indubbiamente esistenti, rispetto a quello non coinvolto. In via assoluta invece il dato relativo a quest‟ultimo tende a confermare l‟aspetto dell‟importanza delle testimonianze oculari (o comunque percettive) anche se, resta da stabilire quale sia la salienza dell‟elemento descritto (cfr. p. 106 dove è stato sottolineato il fatto che in 11 sinistri (20% circa dei casi) l‟osservatore terzo non apporta alcun contributo circa l‟urto). Del tutto nulla è tale informazione nei restanti 3 documenti (D4 verbale, D5 danni e D6 schizzo di campagna) per le ragioni sopra dette. - Opinioni: sono descritte nella totalità dei reports relativi alla dinamica (D3), nella misura del 22% in quello del teste non coinvolto (D2), mentre il teste coinvolto (D1) le descrive quasi mai. Non si registrano azioni opinioni contrassegnate con scopo (es. credo di aver frenato per evitare l’urto). La prevalenza del dato in D3 è sostanzialmente attesa in quanto nella dinamica l‟operatore presume un accadimento, al quale non era presente, sulla base delle prove raccolte. Anche il dato di D2 è degno di nota dal momento che la testimonianza del terzo osservatore (considerato più imparziale di quello coinvolto) appare comunque intrisa di opinioni. Del tutto nulla è tale informazione nei restanti 3 documenti (D4 verbale, D5 danni e D6 schizzo di campagna) per le ragioni sopra dette. In conclusione possiamo sinteticamente dire che la potenzialità (elemento descritto anche almeno una volta) dei documenti di contenere informazioni relative a diverse proprietà dell‟azione è così rappresentabile:
117
- D1 (teste coinvolto): azioni eseguite: 50/50, con scopo 19/50 ; azioni programmate: 7/50, con scopo 2/50; azioni iniziate: 11/50 , con scopo 4/50; azioni subite: 2/50, con scopo 0/50; azioni cognitive 16/50, con scopo
0/50; azioni percettive 29/50, con scopo 1/50; azioni
opinioni 3/50, con scopo 0/50. - D2 (teste non coinvolto): azioni eseguite: 50/50, con scopo 15/50; azioni programmate: 4/50, con scopo 0/50; azioni iniziate: 8/50, con scopo 2/50; azioni subite: 7/50, con scopo 1/50; azioni cognitive 18/50, con scopo 0/50; azioni percettive 38/50, con scopo 0/50; azioni opinioni 11/50, con scopo 0/50. - D3 (dinamica): azioni eseguite: 50/50, con scopo 12/50; azioni programmate: 9/50, con scopo 0/50; azioni iniziate: 7/50, con scopo 2/50; azioni subite: 18/50, con scopo 1/50; azioni cognitive 9/50, con scopo 0/50; azioni percettive 12/50, con scopo 0/50; azioni opinioni 50/50, con scopo 0/50. - D4 (verbale): azioni subite: 41/50, con scopo 0/50. Assenti le altre. - D5 (danni) e D6 (schizzo di campagna): non contengono nessuna delle proprietà dell‟azione (non contenendo l‟elemento azione). Commentiamo brevemente il quadro che emerge da questi dati: Rispetto alla azione eseguita (anche con scopo): i documenti D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto) e D3 (dinamica) hanno il medesimo profilo e capacità informativa (del 100%): la completa portata informativa di questi documenti depone per forte una attendibilità della stessa anche se il dato potrebbe essere “sporcato” dalla circostanza che le azioni descritte non siano le stesse (e normalmente così è) in ogni documento. Meno affidabile è l‟informazione circa le azioni eseguite con scopo (che pure ci sono in buona misura) in relazione a quella contenuta in D2 e D3 che appare ambigua per i motivi sopra detti. Rispetto alle azioni programmate (anche con scopo): i documenti D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto) e D3 (dinamica) hanno profili simili e presentano una scarsa capacità informativa e D2 e D3 (soprattutto in relazione a quelle con scopo) anche una certa ambiguità circa l‟interpretazione dell‟informazione per i motivi sopra espressi. L‟insufficienza in generale di questa informazione può dipendere dalla poca
118
salienza che il soggetto attribuisce ad un‟azione mai compiuta, e neanche iniziata, in relazione all‟accadimento del sinistro. Rispetto alle azioni iniziate (anche con scopo): tutti i documenti D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto) e D3 (dinamica) hanno profili simili e presentano una scarsa capacità informativa in merito, conseguenza, probabilmente, della poca importanza che il soggetto attribuisce ad un‟ azione iniziata, ma non finita, in relazione all‟accadimento del sinistro. Rispetto alle azioni subite (anche con scopo): il solo documento D4 (verbale) è molto informativo ma solo quando specifica se la rimozione dei veicoli sia avvenuta prima e non dopo l‟intervento per i motivi sopra detti. Rispetto alle azioni cognitive (anche con scopo): i documenti D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto) e D3 (dinamica) hanno profili simili con buona portata informativa per D1 e D2 e minore in D3; il dato potrebbe essere “sporcato” dalla circostanza che le azioni descritte non siano le stesse (e normalmente così è) in ogni documento. Rispetto alle azioni percettive (anche con scopo): le percentuali di presenza alte e molto alte, rispettivamente, nei referti D1 (teste coinvolto) e D2 (teste non coinvolto) comprovano quanto il processo percettivo sia fondamentale in una testimonianza e quindi quanto sia importante descriverne l‟esperienza. Infatti, tra tutte le azioni mentali è quella che registra la maggior frequenza in termini di numero di casi in cui è presente. Questo dato, inoltre, dimostra che nonostante i processi psicologici più indagati nello studio della testimonianza siano quelli del linguaggio, della memoria e dell‟intenzione, da questa indagine emerge che essi sono meno descritti rispetto a quello percettivo e ciò conforta la tesi di quanto sia basilare approfondire la conoscenza di questo processo prima che di altri. Un commento merita infine la mancanza (eccetto un caso in D1) di azioni percettive con scopo: se la percezione è una fonte di conoscenza, possiamo dire che può trattarsi di conoscenza del qui ed ora o di una conoscenza definiamola preventiva o futura o funzionale da utilizzarsi nel qui ed ora: frasi del tipo “mi guardavo intorno per vedere se sopraggiungesse qualcuno” forniscono un buon esempio del concetto nel senso di percepire per percepire ulteriormente. Ora, in uno scenario dove il contesto da tenere sotto osservazione è complesso, sembra quasi che il soggetto conducente non abbia una meta-relazione con il suo percepire e con la descrizione del suo percepire: percepisce e basta. 119
Rispetto alle azioni opinioni (anche con scopo): il confronto delle percentuali di presenza di questo dato nei documenti D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto) e D3 (dinamica) (v. p. 117) si può commentare nel senso che D1 risulta essere il referto meno interpretante e più descrittivo di azioni alcune delle quali interosservabili con il teste non coinvolto (azioni percettive, eseguite, iniziate) mentre negli altri due, anche se per motivi diversi, si forniscono opinioni (D3, per esempio, è totalmente interpretativo): infatti il teste non coinvolto tende a dare una sorta di parere soggettivo dell‟accaduto mentre gli operatori, nel ricostruire la dinamica, tengono quantomeno conto della valutazione dei dati probatori acquisiti, interpretandoli.
4.3.2.3) Elemento Danni La Tab. 5 descrive il quadro che emerge in merito alle proprietà dell‟elemento “danno”: anche in questo caso, viene rappresentata una fotografia delle caratteristiche di ogni singolo documento che evidenzia come vi sia una assenza/scarsità di informazioni di questo dato in buona parte dei 6 referti indagati.
Tavola di contingenza documento * proprietà Conteggio proprietà estens D1_tc doc
Totale
D3_dinam D4_verb D5_danni D6_schiz
int_qual
Totale
int_str
topol_L
1
0
0
1
2
1 11 19 0 32
2 20 32 0 54
3 26 46 1 76
4 31 49 1 86
10 88 146 2 248
Tab.5 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50 per documento) che contengono informazioni delle 3 proprietà presenti relative ai danni.
120
Fig.4. Grafico a barre che visualizza i dati di Tab. 5 (p. 120).
Procediamo quindi ad analizzare le 6 tipologie di reports: - D1 (teste coinvolto): proprietà estensive: assenza di descrizione, salvo un caso; proprietà intensive: idem; proprietà topologiche: idem. Il commento a questo dato è da incrociarsi con quello fatto per la mancanza dell‟elemento danni, in relazione allo stesso referto, al quale si rimanda per esteso (v. pp. 102-103); qui inseriamo solo una sintesi di quanto già espresso e cioè che il dato è del tutto controintuitivo tenuto conto che la rottura e a volte la rovina del proprio veicolo è l’elemento su cui si basa la quantificazione del risarcimento (previa assenza di responsabilità o comunque in percentuale rispetto alla corresponsabilità). - D2 (teste non coinvolto): non rilevato (dato questo conseguente alla mancanza dell‟elemento danni). L‟assenza di riferimenti all‟elemento danni è in parte attesa dal momento che per il teste non coinvolto i danni prodottosi ai veicoli dei protagonisti del sinistro non costituiscono un aspetto così importante. - D3 (dinamica): proprietà estensive: assenza di descrizione; proprietà intensive: quasi per nulla descritte; proprietà topologiche: descritte in misura comunque non rilevante. Il commento a questo dato è da incrociarsi con quello fatto a proposito della scarsa presenza dell‟elemento danni, in relazione allo stesso referto, al quale si rimanda per esteso (v. p. 102); qui riprendiamo solo una sintesi di quanto già espresso e cioè che i danni occorsi ai veicoli, le loro caratteristiche (proprietà
121
estensive, intensive, topologiche) forniscono utili indicazioni per la fase ricostruttiva del sinistro. - D4 (verbale): proprietà estensive: presenti in 11/50 sinistri; proprietà intensive: presenti all‟incirca nel 50% dei sinistri specificando che, nelle due sottocategorie, la prevalenza descrittiva è quella della struttura (26/50) rispetto alle qualità (20/50); proprietà topologiche: descritte in una percentuale del 62%. La portata descrittiva delle proprietà è, quindi, sostanzialmente buona soprattutto per quanto riguarda la localizzazione e le proprietà intensive che, come detto, apportano elementi utili per una ricostruzione del sinistro. Ricordiamo però che il verbale è organizzato in un modello a parti fisse e libere; in questo caso gli operatori hanno utilizzato la parte libera per l‟inserimento dei danni con relativa descrizione. Pertanto, non si può con certezza concludere che questo documento sia in assoluto sempre informativo dei danni e delle sue proprietà, perché ciò dipende dalla scelta dell‟operatore nell‟impiego del modello. - D5 (scheda danni): proprietà estensive: presenti in 19/50 sinistri; proprietà intensive: presenti all‟incirca nel 50% dei sinistri specificando che, nelle due sottocategorie, la prevalenza descrittiva è quella della struttura (46/50) rispetto alle qualità (32/50); proprietà topologiche: descritte in una percentuale quasi del 100%. Tale documento ha una capacità informativa molto alta ma va specificato che esso è il referto a ciò esclusivamente deputato e pertanto il risultato era del tutto atteso. La preponderanza della proprietà localizzazione e tra quelle intensive quella della struttura, conferma la rilevanza che per gli operatori hanno il posizionamento del danno e la forma che assume (estroflessione, introflessione ecc.). Si registra anche una notevole percentuale della proprietà estensiva ma è inatteso che essa sia quella meno descritta: infatti, la valutazione quantitativa del danno fornisce un fondato indizio circa le velocità tenute e quindi di quella totale dell‟impatto. - D6 (schizzo di campagna): proprietà estensive: assenza di descrizione; proprietà intensive: idem; proprietà topologiche: quasi per nulla descritte. Il commento a questo dato è da ricollegare a quello già fatto per la sostanziale mancanza dell‟elemento danni (salvo un caso), in relazione al medesimo referto e che qui si riporta integralmente: ora, la funzione del documento (“fotografia” dello stato dei luoghi postsinistro) farebbe propendere per l’attendersi questo risultato ma la natura (rappresentazione grafica) no perché niente esclude che i veicoli vengano
122
contrassegnati con un segno quantomeno per evidenziare la localizzazione del danno; ciò apporterebbe una maggiore completezza alla descrizione grafico-fenomenica. In conclusione possiamo sinteticamente dire che la potenzialità (elemento descritto anche almeno una volta) dei documenti di contenere le informazioni relative ai danni è così rappresentabile: - D1 (teste coinvolto): proprietà estensive: 1/50; intensive: qualità 0/50, struttura 0/50; topologiche: 1/50. - D2 (teste non coinvolto): non rilevato. - D3 (dinamica): proprietà estensive: 1/50 - intensive: qualità 2/50, struttura 3/50; topologiche: 4/50. - D4 (verbale): proprietà estensive: 11/50; intensive: qualità 20/50, struttura 26/50; topologiche: 31/50. - D5 (danni): proprietà estensive: 19/50; intensive: qualità 31/50, struttura 46/50; topologiche: 49/50. - D6 (schizzo di campagna): proprietà estensive: 0/50; intensive: qualità 0/50, struttura 01/50; topologiche: 1/50. In sintesi i documenti D1 (teste coinvolto) e D3 (dinamica) hanno simili profili di scarsità informativa così come profili simili, ma di buona capacità informativa, hanno invece D4 (verbale) e D5 (danni) con una rilevante prevalenza, comunque, di quest‟ultimo; D5, scheda deputata specificatamente alla raccolta dell‟elemento danni, è un modello descrittivo anche di tipo fenomenico in quanto in esso sono predisegnate varie sagome di veicoli (autovetture, ciclomotori, camion) che vengono contrassegnate con una crocetta nel punto dove si localizza il danno (aspetto topologico che viene descritto comunque oltre che graficamente anche linguisticamente), mentre le altre proprietà (estensive ed intensive) vengono descritte solo linguisticamente nel testo. Per ciò che riguarda il D1 (teste coinvolto), si può ipotizzare che la percentuale nulla di presenza di questo tipo di proprietà, collegata a sua volta alla assenza di rimandi all‟elemento danno, possa dipendere da una sorta di identificazione tra danno e urto (vedi par. successivo 4.3.2.4) o comunque dal ritenerla come informazione ultronea per il fatto che è elemento osservabile anche dagli operatori. Resta però singolare il fatto che un soggetto il cui veicolo ha riportato una rovina, a volte anche importante, non presti attenzione alle conseguenze prodotte dall‟urto quantomeno in termini economici. Anche per il documento D3 (dinamica) possiamo fare un‟analoga considerazione perché il danno, e sue proprietà, sono valutati in sede risarcitoria-assicurativa e giudiziale; in 123
quanto referto che, normalmente viene preso come una sorta di sintesi dell‟intero sinistro, sarebbe opportuno che in esso i danni fossero descritti. 4.3.2.4) Elemento Urto Come informano, dell‟urto, i vari documenti? La Tab. 6 evidenzia che: - D1 (teste coinvolto): proprietà estensive: percentuale di descrizione irrilevante; proprietà intensive: percentuale di descrizione irrilevante sia per le qualità che la struttura; proprietà topologiche: solo riferimenti alla localizzazione, presente in quasi il 50% dei sinistri analizzati; - D2 (teste non coinvolto): proprietà estensive: percentuale di descrizione irrilevante; proprietà intensive: per nulla descritta la qualità e in misura scarsa la struttura; proprietà topologiche: solo localizzazione, presente in quasi il 26% dei sinistri analizzati; - D3 (dinamica): proprietà estensive: scarsamente descritte; proprietà intensive: percentuale di descrizione irrilevante per la qualità e scarsa per la struttura; proprietà topologiche: solo localizzazione, presente nel 70% dei sinistri analizzati; - D4 (verbale): proprietà estensive: per nulla descritte; proprietà intensive: qualità per nulla descritte, struttura descritta in oltre il 70% dei sinistri; proprietà topologiche: per nulla descritta sia la localizzazione che l‟orientamento; - D5 (danni): proprietà estensive: per nulla descritte; proprietà intensive: per nulla descritte sia la qualità che la struttura; proprietà topologiche: la sola localizzazione è descritta in una percentuale di casi irrilevante; - D6 (schizzo di campagna): proprietà estensive: quasi per nulla descritte; proprietà intensive: per nulla descritte sia la qualità che la struttura; proprietà topologiche, solo localizzazione descritta in circa il 26% dei sinistri. Tavola di contingenza documento * proprietà
Conteggio proprietà estens
docum
Totale
int_qual
Totale
int_str
topol_L
D1_tc
1
1
2
23
27
D2_tnc D3_dinam D4_verb D5_danni D6_schiz
1 4 0 0 1 7
0 1 0 0 0 2
4 3 38 0 0 47
13 35 0 3 12 86
18 43 38 3 13 142
Tab.6 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50 per documento) che contengono informazioni delle 3 proprietà dell’urto.
124
Fig.5 Grafico a barre che visualizza i dati di Tab. 6 (p. 124).
Quindi, dai risultati emersi si nota una certa somiglianza, a livello descrittivo, tra i referti D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto), D3 (dinamica) e in qualche misura anche D6 (schizzo di campagna) per quanto riguarda la buona/alta capacità informativo/descrittiva della proprietà topologica e l‟assenza di descrizioni che riguardano le altre proprietà. Il teste coinvolto, e anche quello non coinvolto (anche se in misura minore rispetto al primo) ritengono più importante descrivere dove l‟urto è avvenuto piuttosto che quanto esteso fosse o di che tipo fosse. Del tutto inattesa è la carenza descrittiva di proprietà estensive almeno per quanto riguarda D1 (teste coinvolto). Diverse ragioni sembrano invece poter spiegare le descrizioni topologiche all‟interno di D3 (dinamica) che hanno, tra l‟altro, qui la percentuale più alta rispetto agli altri due documenti: la localizzazione dell‟urto può essere indicativa delle direzioni di marcia tenute dai conducenti e quindi anche della tipologia dell‟urto e tutto ciò è utile ai fini della ricostruzione dell‟incidente cui D3 tende. In D6 (schizzo di campagna), la descrizione è di tipo fenomenico in quanto nel disegno viene contrassegnato, sulla strada, il presumibile punto d‟urto ma non sui
125
veicoli (a differenza dei referti D1 D2 e D3 dove invece l‟urto viene localizzato prevalentemente rispetto ai veicoli). Ciò è conseguenza delle operazioni tecniche (misurazioni) svolte dagli operatori contestualmente alla redazione dello schizzo di campagna all‟interno del quale vengono poi riportato il risultato delle misurazioni ottenute con la tecnica della triangolazione; infatti la triangolazione si ottiene a partire da un caposaldo dal quale parte una serie di triangoli ideali che hanno, in questo caso, al vertice, il posizionamento dell‟urto sulla strada. Il referto D4 (verbale) si contraddistingue per la sua notevole capacità informativa rispetto alle proprietà intensive, ma solo per la struttura dell‟urto (es. frontale, frontale-laterale, tamponamento); è probabile che questo derivi dall‟essere pure questa proprietà indicativa delle direzioni di marcia tenute dai conducenti.
4.3.2.5) Elemento Strada La situazione che emerge dai dati, documento per documento, in merito ad informazioni riferite alle proprietà della strada, è la seguente (v. Tab.7 p. 127): - D1 (teste coinvolto): proprietà estensive: per nulla descritte; proprietà intensive: per nulla descritte sia le qualità che la struttura; proprietà topologiche: localizzazione e orientamento per nulla descritti. - D2 (teste non coinvolto): proprietà estensive: per nulla descritte; proprietà intensive: per nulla descritte sia le qualità che la struttura; proprietà topologiche: localizzazione e orientamento per nulla descritti. - D3 (dinamica): proprietà estensive: per nulla descritte; proprietà intensive: descritti aspetti di qualità in una percentuale del 20% dei sinistri, ma la struttura è descritta in una percentuale irrilevante; proprietà topologiche: localizzazione e orientamento per nulla descritti. - D4 (verbale): proprietà estensive: percentuale di descrizione irrilevante; proprietà intensive: presente nel 100% dei sinistri, con la struttura descritta in oltre il 70% dei sinistri; proprietà topologiche; localizzazione e orientamento per nulla descritti. - D5 (danni): non rilevato. - D6 (schizzo di campagna): proprietà estensive: presenti nell‟86% dei sinistri analizzati; proprietà intensive: qualità presente nell‟86% dei sinistri e struttura nel
126
96% dei sinistri; proprietà topologiche: localizzazione presente nell‟82% dei sinistri e orientamento nell‟ 86% dei sinistri.
Tavola di contingenza documento * proprietà Conteggio proprietà estens D1_tc docum
Totale
D2_tnc D3_dinam D4_verb D6_schiz
int_qual
Totale
int_str
topol_L
topol_O
0
0
1
0
0
1
0 0 3 43 46
0 10 50 44 104
1 2 38 48 90
0 0 0 41 41
0 0 0 44 44
1 12 91 220 325
Tab.7 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50 per documento) che contengono informazioni delle proprietà relative alla strada.
Fig.6 Grafico a barre che visualizza i dati di Tab.7.
Quindi, sinteticamente, i primi 3 documenti rivelano una assenza descrittiva di tutte le proprietà della strada: il dato è inatteso dal momento che l‟elemento strada è presente in ognuno dei suddetti referti ma, della stessa, non si descrivono l‟estensione, 127
le caratteristiche, la localizzazione e l‟orientamento. E questo, se già appare strano per il teste coinvolto e non coinvolto (che della strada sono utenti perché soggetti circolanti), lo è di più per l‟operatore che nella dinamica non dà alcuna informazione circa tali proprietà; l‟agente rilevatore, proprio per formazione professionale, dovrebbe essere più abituato a prendere in considerazione la grandezza della strada, il fatto che sia rettilinea o curvilinea, asfaltata o meno, bagnata o asciutta, dove è localizzata (fattore che può incidere anche sulla visibilità) perché questi sono dati utili per la ricostruzione della dinamica ad anche per l‟accertamento di eventuali responsabilità. Il documento D4 (verbale) invece è esclusivamente e massimamente informativo delle proprietà intensive della strada, con una prevalenza di riferimenti alle qualità rispetto alla struttura. Questo dato conferma quanto detto poc‟anzi: le qualità e la struttura della strada hanno una incidenza notevole nei sinistri tanto è vero che in questo referto le descrizioni delle proprietà intensive sono globalmente molto alte. Ne consegue che se il giudice (o perito, avvocato) vuole sapere quali siano le proprietà intensive della strada deve andare a vedere il D4 (il che comporta un onere maggiore in termini di economia lavorativa-professionale) ma se non lo fa, si perdono informazioni preziose e importanti ai fini della ricostruzione del sinistro. Infine il D6 (schizzo di campagna) rappresenta il documento più informativo di tutte le qualità della strada che emergono fenomenicamente, oltre che di quelle espresse metricamente.
4.3.2.6) Elemento Tracce Questo il quadro che emerge (v. Tab. 8 p. 129): - D1 (teste coinvolto): non rilevato. - D2 (teste non coinvolto): non rilevato. - D3 (dinamica): proprietà estensive: quasi per nulla descritte; proprietà intensive: qualità per nulla descritte, struttura descritta in percentuale irrilevante; proprietà topologiche; localizzazione descritta in percentuale irrilevante, orientamento per nulla descritto. - D4 (verbale): proprietà estensive: percentuale di descrizione irrilevante; proprietà intensive: qualità e struttura quasi per nulla descritte; proprietà topologiche; localizzazione e orientamento per nulla descritti. - D5 (danni): non rilevato. - D6 (schizzo di campagna): proprietà estensive: presente nel 22% dei sinistri; proprietà intensive: qualità per nulla descritta, struttura presente in una percentuale 128
del 28% dei sinistri; proprietà topologiche: localizzazione presente nel 34 % dei sinistri e orientamento nel 28%
Tavola di contingenza documento * proprietà Conteggio proprietà estens
docum Totale
int_qual
Totale
int_str
topol_L
topol_O
D3_dinam
2
0
3
3
0
8
D4_verb D6_schiz
3 11 16
0 1 1
2 14 19
0 17 20
0 14 14
5 57 70
Tab. 8 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50 per documento) contenenti informazioni delle diverse proprietà delle tracce.
Fig.7 Grafico a barre che visualizza i dati di Tab.8.
Considerando questi dati nell‟insieme, ci sembra di poter dire che le tracce sono un elemento molto tecnico e quindi non stupisce che riferimenti a questo elemento, e quindi anche la specificazione delle relative proprietà, siano del tutto assenti nei documenti D1 (teste coinvolto) e D2 (teste non coinvolto). Pur per diversi motivi, il risultato era in qualche modo atteso anche in D5 (danni) essendo questo il referto dedicato alla descrizione dei danni.
129
Inatteso è invece il risultato relativo a D3 (dinamica); dalla tabella n. 8 (p. 129) infatti emerge che nella dinamica l‟elemento tracce è presente in 6 su 50 sinistri ma neanche in questi, già di per sé pochi casi, viene data una descrizione delle proprietà delle tracce. Ne consegue che se il giudice (o perito, avvocato) vuole sapere quali siano le proprietà delle tracce deve andare a vedere il documento D6 (schizzo di campagna); se non lo fa, si perdono informazioni preziose e importanti ai fini della ricostruzione del sinistro in quanto le tracce costituiscono una fonte di informazione circa il presunto punto d‟urto (se trattasi per es. di vetri o liquidi), della velocità (in caso di frenata) e direzione di marcia (segni di pneumatici sull‟asfalto in caso di rotazione del veicolo a seguito dell‟urto). Quindi il referto D6 (schizzo di campagna) rappresenta il documento più informativo di tutte le qualità delle tracce che emergono per lo più fenomenicamente. 4.3.2.7) Elemento Segnaletica Dall‟osservazione dei dati riportati nella Tab. 9 (p. 131) emerge che: -
D1 (teste coinvolto): proprietà estensive: per nulla descritte; proprietà
intensive: qualità scarsamente descritta, struttura descritta nel 50% dei sinistri; proprietà topologiche: localizzazione descritta nel 50% dei sinistri, orientamento descritto nel 20% - D2 (teste non coinvolto): proprietà estensive: per nulla descritte; proprietà intensive: qualità scarsamente descritta, struttura descritta in una percentuale del 42% dei sinistri; proprietà topologiche: localizzazione descritta nel 34% dei sinistri, orientamento scarsamente descritto. - D3 (dinamica): proprietà estensive: per nulla descritte; proprietà intensive: qualità scarsamente descritta, struttura descritta in 50% dei sinistri; proprietà topologiche: localizzazione descritta in quasi metà dei casi analizzati, orientamento più sufficientemente descritto. - D4 (verbale): proprietà estensive: per nulla descritte; proprietà intensive: qualità per nulla descritta, struttura descritta più che sufficientemente; proprietà topologiche: localizzazione per nulla descritta e orientamento descritto nel 62% dei sinistri. - D5 (danni): non rilevato.
130
- D6 (schizzo di campagna): proprietà estensive: per nulla descritte proprietà intensive: qualità per nulla descritta, struttura presente nell‟86% dei sinistri; proprietà topologiche: localizzazione e orientamento entrambi presenti nell‟86 % dei sinistri. Tavola di contingenza documento * proprietà
Conteggio proprietà int_qual D1_tc docum
Totale
D2_tnc D3_dinam D4_verb D6_schiz
int_str
Totale
topol_L
topol_O
5
26
23
11
65
5 5 0 0 15
21 25 14 43 129
17 22 0 44 106
4 14 31 44 104
47 66 45 131 354
Tab.9 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50 per documento) che contengono informazioni su diverse proprietà della segnaletica.
Fig.8 Grafico a barre che visualizza i dati di Tab. 9.
Quindi, in sintesi, i primi 4 documenti (D1, D2, D3 e D4) hanno profili informativi molto simili sia rispetto alle carenze/insufficienze descrittive (di proprietà estensiva e intensive, in particolare riferite a qualità) che alle presenze (riferimenti alla struttura e a proprietà topologiche). La mancata descrizione delle proprietà estensive nei suddetti referti lascia pensare che i soggetti dai quali provengono (teste coinvolto, non coinvolto e operatore), sebbene riferiscano la presenza di segnaletica in loco in più della metà dei casi (v. sopra Tab. 9), ritengano la descrizione di questa proprietà ultronea probabilmente perché normalmente i soggetti parlano, ed eventuale descrivono, solo il 131
segnale che direttamente interessa i propri comportamenti di guida e non quelli circostanti (ovviamente laddove esistenti). Ne emerge una fotografia che lascia pensare ad una regolamentazione della viabilità percepita come puntuale e non globale. Ma sapere quanta segnaletica ci fosse è un dato importante ai fini di una valutazione complessiva del sinistro in termini di compiutezza (sufficienza) e congruità del messaggio nel dettare norme comportamentali univoche e non contraddittorie. L‟assenza di descrizioni delle qualità (es. colore) può invece dipendere dal fatto che la segnaletica rappresenta un linguaggio simbolico convenzionale conosciuto e che quindi il soggetto abbia ritenuto del tutto superfluo, o non gli sia addirittura passato per la testa, di descriverne un aspetto scontato. Questo tipo di riferimenti non è reperibile neanche negli altri due documenti (verbale D4 e schizzo di campagna D6) che invece sono molto informativi della struttura,
localizzazione
o
orientamento
(soprattutto
D6,
che
li
descrive
fenomenicamente in una percentuale vicina al 90%).
4.3.2.8) Elemento Traffico Come emerge con evidenza dalla Tab. 10, il traffico è un elemento del quale il teste coinvolto, non coinvolto e l‟operatore (in D1, D2 e D3) non danno descrizioni, neanche quando nei referti l‟elemento viene citato (sia pur in pochissimi casi, v. Tab. 2 p. 100).
Tavola di contingenza documento * proprietà Conteggio
docum Totale
D1_tc D2_tnc D3_dinam D4_verb
proprietà estens int_str 1 0 1 0 2 0 48 38 52 38
Totale 1 1 2 86 90
Tab.10 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50 per documento) che contengono informazioni delle proprietà relative al traffico.
132
Fig.9 Grafico a barre che visualizza i dati di Tab. 10 (p. 132).
A tal proposito valgono a commento le stesse argomentazioni già fornite a proposito della carenza dell‟elemento traffico negli stessi reports (v. p.105) del quale si riporta un estratto: quest’ultimo esito è piuttosto singolare relativamente ai documenti D1 (teste coinvolto) e D2 (teste non coinvolto), ma soprattutto al primo, perché i testi descrivono azioni legate alla conduzione dei veicoli quasi escludendo il contesto più ampio della circolazione veicolare e pedonale all’interno del quale essi si muovono. La scarsità dell‟informazione circa il traffico nel documento D3 (dinamica), è invece spiegabile con il fatto che esso viene redatto in un momento comunque successivo al sinistro come il documento D4 dove però questo elemento è più spesso citato e descritto nelle sue proprietà descritto e qualificato. Il documento D4 (verbale) è infatti altamente informativo sia della proprietà estensiva (percentuale prossima al 100%) che della struttura (percentuale 76%). Ne consegue che se il giudice, o perito/avvocato, vuole sapere quali siano le proprietà (estensiva e struttura) del traffico deve andare a vedere il documentoD4, ma se non lo fa, si perdono informazioni preziose e importanti ai fini della ricostruzione del sinistro in quanto il traffico, e le sue condizioni, sono un fattore incidente sulla circolazione all‟interno della quale si muovono i protagonisti e quindi potrebbe esserlo anche rispetto alla causazione del sinistro. Come già rilevato, vale comunque la pena di sottolineare che il quasi 100% di riferimenti al traffico in D4 si riferisce al traffico in atto al momento dell‟intervento che non necessariamente equivale a quello esistente durante il sinistro. 133
4.3.2.9) Elemento Meteo L‟unico referto descrittivo delle proprietà del meteo è D4 (verbale), massimamente informativo di aspetti intensivi, ma per nulla comunque di quelli estensivi. Nella parte strutturata di D4, infatti, vi sono delle voci che vengono barrate dall‟operatore, relative alle qualità del tempo e condizioni climatiche. E‟ forse solo questa esplicita segnalazione la ragione dell‟altissima percentuale registrata; tanto è vero che nei referti D1 (teste coinvolto) D2 (teste non coinvolto) e D3 (dinamica), dove questo non c‟è e la descrizione è libera, non si dice nulla in merito a questo elemento. Tavola di contingenza documento * proprietà Conteggio
docum Totale
D4_verb
proprietà estens int_str 1 50 1
50
Totale 51 51
Tab.11 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50 per documento) che contengono informazioni relative alle proprietà del tempo metereologico.
Fig.10 Grafico a barre che visualizza i dati di Tab. 11.
Così come già detto nel commento relativo all‟elemento meteo (v. Tab. 2 p. 100) è sorprendente che il teste coinvolto e quello non coinvolto non parlino e quindi poi non descrivano nel dettaglio le proprietà del contesto ambientale-climatico nonostante questo sia elemento di potenziale rilevanza, per l‟accadimento del sinistro, 134
mentre D3 (dinamica sinistro) non mutua l‟elemento neanche dal documento D4 (verbale). Ne consegue che se il giudice, o perito/avvocato, vuole sapere quali siano le proprietà del meteo deve andare a vedere il D4 (verbale), e se non lo fa, si perdono informazioni preziose e importanti ai fini della ricostruzione del sinistro in quanto il tempo meteorologico è fattore incidente sulla circolazione e quindi lo potrebbe essere anche rispetto alla causazione del sinistro. Vale comunque la pena di ricordare che stiamo parlando, in D4, delle condizioni meteo al momento dell‟intervento che non necessariamente equivalgono a quelle esistenti durante il sinistro.
4.3.2.10) Elemento Visibilità Anche in questo caso D4 (verbale) è il solo documento che descrive le proprietà della visibilità in una percentuale prossima al 100% per le intensive e del 60% per le estensive. Nella sua parte strutturata vi sono infatti delle voci da barrare e, come per il meteo, è proprio questa presenza esplicita dell‟item che garantisce che questo dato venga raccolto. Tanto è vero che nei referti D1 (teste coinvolto) D2 (teste non coinvolto) e D3 (dinamica), dove invece questo non accade e c‟è libertà descrittiva, non si dice nulla in merito. Tavola di contingenza documento * proprietà Conteggio
docum
D1_tc D2_tnc D3_dinam D4_verb
proprietà estens int_str 0 2 0 2 2 1 30 49
Totale
32
54
Totale 2 2 3 79 86
Tab.12 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50 per documento) che contengono informazioni delle proprietà relative alla visibilità.
135
Fig.11 Grafico a barre che visualizza i dati di Tab.12 (p. 135).
Così come già detto nel commento relativo all‟elemento visibilità (v. Tab. 2 p. 100) è del tutto inatteso come il teste coinvolto e quello non coinvolto non parlino, e quindi non descrivano, le condizioni di visibilità come se questo elemento non fosse fattore pregnante, in generale, nell‟ambito della circolazione e specificatamente rispetto al sinistro occorso. Nonostante che questo sia un elemento di sicura rilevanza, neanche D3 (dinamica) ne descrive le proprietà mutuandole magari dal documento D4 (verbale). Ne consegue che se il giudice, o perito/avvocato, vuole sapere quali siano le proprietà della visibilità deve andare a vedere il D4. Anche per questo elemento come per il meteo, vale comunque la pena di ricordare che l‟alta percentuale descrittiva di D4 si riferisce alla visibilità in atto al momento dell‟intervento (e non del sinistro).
4.3.2.11) Elemento Temporalità Partiamo anche per questo elemento da una fotografia generale dei diversi documenti: - D1 (teste coinvolto); proprietà temporali entro sinistro: ampiamente descritte; proprietà temporali intervento: per nulla descritte; proprietà temporali testimonianza; descritte nella misura del 100% circa.
136
- D2 (teste non coinvolto): proprietà temporali entro sinistro: molto descritte; proprietà temporali intervento: per nulla descritte; proprietà temporali testimonianza; descritte nella misura del 100% circa. - D3 (dinamica): proprietà temporali entro sinistro: descritte in percentuale irrilevante; proprietà temporali intervento: più che sufficientemente descritte; proprietà temporali testimonianza: per nulla descritte. - D4 (verbale): proprietà temporali entro sinistro: per nulla descritte; proprietà temporali intervento: descritte nel 100% dei casi; proprietà temporali testimonianza: per nulla descritte.
Tavola di contingenza documento * proprietà Conteggio entro est.
docum Totale
D1_tc D2_tnc D3_din D4_verb
1 0 1 0 2
proprietà entro int. post est. 44 0 37 0 33 0 0 50 114 50
Totale test. est. 49 49 0 0 98
94 86 34 50 264
Tab.13 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50 per documento)che contengono informazioni delle proprietà relative all’aspetto temporale.
Fig.12 Grafico a barre che visualizza i dati di Tab.13.
137
Le caratteristiche descrittivo-informative dei reports sono direttamente collegate alla loro tipologia: infatti D1 (teste coinvolto) e D2 (teste non coinvolto) parlano ampiamente del tempo di svolgimento delle azioni entro sinistro (v. commento Tab. 2 p. 100 relativamente all‟elemento temporale a p.104) e riportano l‟orario di assunzione della dichiarazione resa (proprietà testimonianza); D3 (dinamica) descrive le azioni entro sinistro (perché, nel ricostruire la dinamica, si riferisce all‟evento occorso), mentre D4 (verbale) esprime solo l‟orario di intervento degli operatori in quanto è documento che, nella parte strutturata, ha la voce intervento tra quelle prefissate da completare. Dalla lettura combinata emerge che si sanno l‟orario in cui l‟operatore è intervenuto, le proprietà temporali legate alle azioni compiute nell‟ambito del sinistro, l‟orario di assunzione della testimonianza ma no quello dell’incidente.
4.3.2.12) Elemento Causa Dalla Tab.14 (p. 139) si può osservare il seguente quadro: - D1 (teste coinvolto): quando il teste parla di cause lo fa descrivendo soprattutto, e in una proporzione di casi non irrilevante (20/50), cause direttamente collegate all‟urto (nc dir.); seguono quelle adiacenti all‟urto (nc adiac.: 12/50) e quelle direttamente collegate all‟urto con responsabilità a livello di Codice della Strada (nc dir. vnc: 11/50); maggior scarsità di informazioni (8/50) sia ha invece per quelle non adiacenti (nc non adiac.) e nulle (0/50) sono le altre non adiacenti con responsabilità (nc non adiac. vnc). - D2 (teste non coinvolto): quando il teste parla di cause lo fa descrivendo soprattutto, e in percentuale rilevante, cause direttamente collegate all‟urto (nc dir.: 22/50); poi cause direttamente collegate all‟urto con responsabilità a livello di Codice della Strada (nc dir. vnc: 11/50); scarsità di informazioni sia ha in riferimento a cause adiacenti l‟urto (nc adiac.: 5/50), non adiacenti (nc non adiac.: 4/50) e ancor meno adiacenti con responsabilità (nc adiac. vnc: 3/50); totale assenza (0/50) di riferimenti a cause non adiacenti con responsabilità (nc non adiac. vnc). - D3 (dinamica): quando l‟operatore parla di cause lo fa descrivendo soprattutto, e in notevole percentuale, cause direttamente collegate all‟urto con responsabilità a livello di Codice della Strada (nc dir. vnc: 42/50), successivamente descrive quelle direttamente collegate all‟urto (nc dir.: 34/5); scarsità di informazioni sia ha invece per cause adiacenti l‟urto (nc adiac.: 7/50) e sostanziale assenza descrittiva (0/50) per le
138
adiacenti con responsabilità (nc adiac. vnc), non adiacenti e non adiacenti con responsabilità (nc non adiac. e nc non adiac. vnc). Tavola di contingenza documento * tipologia Conteggio proprietà nc adiac_
docum D1_tc D2_tnc D3_dinam Totale
12 5 7 24
nc adiac_ vnc
Totale
nc dir_ nc dir_ vnc nc non adiac.
2 3 1 6
20 22 34 76
11 11 42 64
8 4 1 13
nc non adiac.vnc 0 0 1 1
53 45 86 184
Tab.14 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50 per documento) che contengono informazioni relative alle diverse tipologie di informazioni causali.
Fig.13 Grafico a barre che visualizza i dati di Tab.14.
C‟è da sottolineare che la frequenza delle descrizioni delle proprietà causali nessi causali diretti (nc dir.) e nessi causali diretti con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (nc. vnc) vengono date dai testi (doc. D1 e D2) per motivi diversi da quelli per cui vengono rese dagli operatori (D3 dinamica): infatti, mentre i primi possono avere come sollecitazione emotiva quella di respingere la propria responsabilità o comunque addossarla all‟altro conducente (teste coinvolto) oppure di ritagliarsi un ruolo di terzo imparziale (teste non coinvolto), gli operatori nel documento D3 (dinamica), di natura tecnica, sono proprio chiamati ad individuare eventuali responsabilità del sinistro a fini sanzionatori ma anche risarcitori e ciò spiega anche il dato relativo alla netta prevalenza, rispetto agli altri due documenti, di riferimento a cause direttamente collegate all‟urto con responsabilità. 139
4.3.3. Frequenza di certe informazioni nei documenti Come terza domanda generale ci siamo chiesti se, al di là dell‟essere presenti certe informazioni, la loro frequenza nei vari documenti differisse. In altri termini, detto che dalle analisi precedenti è risultato, per esempio, che i documenti “deposizione del teste coinvolto” (D1) e “deposizione del non teste non coinvolto” (D2) contengono in una proporzione simile di casi un riferimento alle cause del sinistro (37 su 50 dei report analizzati per teste coinvolto e 32 su 50 per teste non coinvolto), non è detto che i due non differiscano per la quantità di occorrenze di riferimenti alle cause all‟interno del documento. Il teste coinvolto avrebbe potuto cioè parlare più spesso di cause (o di un certo tipo di cause) che non il teste non coinvolto. Abbiamo quindi conteggiato quanti riferimenti a certi elementi e proprietà fossero contenuti all‟interno di ciascun documento analizzato, soffermandoci sugli elementi e proprietà che ci parevano più interessanti. 4.3.3.1) Veicoli a. Quali proprietà? Quali proprietà dei veicoli vengono descritte più frequentemente? Abbiamo considerato 2 informazioni che ci parevano interessanti, cioè l‟Orientamento e la Localizzazione del veicolo, distinguendo quando queste fossero riferite alla situazione “pre-sinistro” o “post-sinistro”. Ci siamo soffermati a considerare 4 documenti che dalle precedenti analisi degli elementi e proprietà risultavano contenere normalmente queste informazioni. Tavola di contingenza documento * proprietà proprietà Conteggio
Totale
L_ entro s L_ post s O_entro s O_post s 183 6 95 1
D1_tc
Conteggio atteso Residui corretti Conteggio D2 _ tnc Conteggio atteso Residui corretti docum Conteggio D3_din Conteggio atteso Residui corretti Conteggio D6_schiz Conteggio atteso Residui corretti Conteggio Totale Conteggio atteso
285
94,8 12,0 228 187,4 4,3 211 118,5 11,6 6 227,3 -22,5 628
70,1 -9,6 9 138,4 -15,1 33 87,5 -7,5 416 167,9 27,6 464
43,8 9,1 92 86,5 ,8 103 54,7 7,9 0 105,0 -13,9 290
76,3 -10,9 234 150,7 9,5 9 95,3 -11,5 261 182,8 8,5 505
285,0
628,0
464,0
290,0
505,0 1887,0
563 563,0 356 356,0 683 683,0 1887
Tab.15 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, relativa alle proprietà topologiche (localizzazione e orientamento entro e post sinistro) riferita ai veicoli.
140
La Tab. 15 (p. 140) riporta le frequenze dei 4 tipi di informazione contenute nei 4 documenti considerati. La distribuzione risulta significativamente diversa (Χ2= 1398,172, df=9, p<0.001). In particolare si parla di localizzazione entro sinistro più frequentemente in D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto) e D3 (dinamica), mentre molto poco in D6 (schizzo di campagna). Ciò è conseguenza della natura dei reports in ragione della fase del sinistro: i primi due referti (D1-D2) provengono da soggetti presenti allo stato dinamico dell‟incidente e quindi sono molto descrittivi circa la posizione del teste coinvolto e quello non coinvolto, mentre D3 e D6 sono o referti redatti dall‟operatore non presente al sinistro, anche se trattano, in via ricostruttiva, della fase dinamica (D3), o che comunque descrivono una fase diversa del sinistro (quella post-sinistro, nel caso di D6) tanto è vero che la localizzazione post-sinistro ha un elevata frequenza in D6 mentre è significativamente meno descritta in tutti gli altri 3 documenti. Alla stessa stregua e per le medesime ragioni i documenti differiscono anche per quanto riguarda l‟orientamento: D1 (teste coinvolto) e D3 (dinamica) contengono significativamente più riferimenti all’orientamento entro il sinistro, e D6 (schizzo di campagna) significativamente meno. Mentre l’orientamento post sinistro è non solo significativamente più descritto in D6 ma anche in D2 (teste non coinvolto). Il minore interesse da parte del teste coinvolto (D1) e di quello non coinvolto (D2) a descrivere le localizzazioni e orientamenti post sinistro si spiegano, probabilmente, con la considerazione di superfluità che i soggetti danno a questa informazione dal momento che essa è condivisa percettivamente tra essi e gli operatori al momento dell‟intervento. E‟ pur vero però che la posizione e l‟orientamento dei veicoli nello stato di quiete potrebbero essere, sia pur di poco, diversi rispetto a quella assunta all‟arrivo degli operatori; infatti i conducenti potrebbero, subito dopo il sinistro, aver cambiato sia posizione che orientamento del veicolo ritenendo, magari, che i veicoli intralciassero la circolazione o per altre ragioni. Quindi è importante che i testi, anche sollecitati dagli operatori, precisino se gli elementi topologici riscontrati in sede di intervento (fase postsinistro) sono esattamente uguali a quelli conseguenti all‟urto. Si noti inoltre che la maggiore presenza di localizzazioni e orientamenti entro sinistro in D1 e D2 rispetto a D3 (dinamica) è un dato che conferma come la dinamica effettivamente non sia un referto riassuntivo di informazioni provenienti da altri referti. E‟ vero che è un documento redatto postumo, ma è pur vero che ha la finalità precipua 141
di ricostruire il sinistro nella sua fase dinamica; quindi appare singolare come in essa non vengano riportate, sia pure per relationem, gli elementi topologici relativi ai veicoli almeno in percentuale prossima agli altri due documenti (D1 e D2), così come è singolare la mancata descrizione delle localizzazioni e orientamenti post-sinistro, tanto più che entrambe possono essere osservate dall‟operatore direttamente. Inoltre è da notare che quando tali informazioni sono presenti riguardano o il teste coinvolto o l‟altro conducente coinvolto o altri conducenti comunque presenti alla scena, ma mai fanno riferimento alla localizzazione e orientamento del teste non coinvolto del quale non si sa quindi la prospettiva, la visuale, il campo visivo. L‟orientamento post-sinistro, altamente descritto in D6 (schizzo di campagna) per le ragioni sopra esposte è anche sufficientemente descritto in D2 (teste non coinvolto) e meno in D1 (teste coinvolto) e D3 (dinamica) dove la mancanza dell‟informazione è inattesa in quanto sono elementi osservabili direttamente dall‟operatore. La differenza descrittiva tra D1 e D2 si può spiegare con il fatto che il teste non coinvolto (D2) descrive in generale l‟orientamento assunto dai conducenti coinvolti mentre il teste coinvolto (D1), quando lo fa, descrive in prevalenza gli orientamenti post- sinistro conseguenti a rotazioni del veicolo.
Fig.14 Grafico a barre che visualizza la distribuzione, in ragione del ruolo, delle frequenze delle proprietà topologiche rappresentate nella Tab. 15 (p. 140).
Un altro aspetto che abbiamo esplorato è come cambiano i referenti dei riferimenti a localizzazione e orientamento in base al soggetto che descrive (riflesso dal documento). L‟analisi in questo caso ha tenuto conto dei “ruoli”, distinguendo ad es. se il teste coinvolto parla più spesso delle proprie localizzazioni o orientamenti di quanto 142
faccia degli stessi elementi topologici dell’altro conducente, o di altri conducenti o del teste non coinvolto. Come mostrato in Fig. 14 (p.142): - documento D1: il teste coinvolto descrive più frequentemente la propria localizzazione e il proprio orientamento entro sinistro di quanto non faccia rispetto all‟altro conducente coinvolto (ac); nulla risulta la descrizione riferita al teste non coinvolto e davvero scarsa quella riferita ad altri conducenti. Stessa sostanziale proporzione viene registrata per la fase post-sinistro. Il focus attentivo, a livello descrittivo, è quindi più sugli aspetti topologici che lo riguardano direttamente e maggiormente sulla posizione piuttosto che sulla direzione/orientamento. - documento D2: il teste non coinvolto descrive la propria localizzazione (entro sinistro) con la stessa frequenza con cui descrive la localizzazione del teste coinvolto e all‟altro conducente (ac); una sostanziale parità di ricorrenza si registra per l‟orientamento, riferito ai diversi ruoli, che comunque presenta una frequenza minore rispetto alla localizzazione. Sembra quindi che il teste non coinvolto distribuisca la propria attenzione descrittiva in pari misura tra i conducenti coinvolti (teste coinvolto e l‟altro conducente) e che prevalga il focus sulla posizione piuttosto che la direzione/orientamento. Nella fase post sinistro, invece, la frequenza maggiore di riferimenti è all‟orientamento dell‟altro conducente (ac) rispetto a quello del teste coinvolto e nessuna occorrenza invece riguarda il teste non coinvolto: quindi quest‟ultimo ritiene di non dover descrivere come fosse orientato subito dopo il sinistro essendo in effetti questa una informazione ininfluente mentre la localizzazione è descritta con una frequenza pressoché pari nei diversi ruoli (teste non coinvolto, teste coinvolto, altro conducente). Entrambi gli elementi topologici sono scarsamente descritti rispetto ad altri conducenti; - documento D3: l‟operatore descrive con frequenze pressoché uguali sia la localizzazione che l‟orientamento entro sinistro dei due conducenti coinvolti (ac e tc) distribuendo quindi una pari attenzione descrittiva ai due; frequenza nulla per quanto riguarda il teste non coinvolto. Il dato consegue alla tipologia del referto (dinamica) deputato alla ricostruzione del sinistro nell‟ambito del quale sono indefettibili posizione e traiettoria dei veicoli coinvolti nella fase entro sinistro. E dato che trattasi di documento che riguarda la fase dinamica dell‟incidente ciò spiega anche l‟assenza della localizzazione e orientamento post sinistro; - documento D4: l‟operatore descrive con frequenze pressoché uguali sia la localizzazione e l‟orientamento post sinistro dei due conducenti coinvolti (ac e tc) 143
distribuendo una pari attenzione descrittiva ad entrambi; frequenza nulla per quanto riguarda il teste non coinvolto (tnc). Il dato consegue alla tipologia del referto (schizzo di campagna) che è deputato alla rappresentazione grafica della fase statica del sinistro e quindi come i veicoli coinvolti sono posizionati e orientati dopo l‟urto. Ciò spiega anche l‟assenza della localizzazione e orientamento entro sinistro. b. Egocentrico/allocentrico Ma quando il teste coinvolto (D1), non coinvolto (D2) e operatore (D3 dinamica-D6 schizzo di campagna) descrivono localizzazione e orientamenti, lo fanno assumendo come sistema di riferimento lo spazio ambientale (sistema di riferimento allocentrico) o il riferimento corporeo del soggetto (sistema di riferimento egocentrico)? Abbiamo codificato in modo distinto i riferimenti allo spazio in egocentrico ed allocentrico e quello che segue è il risultato. Tavola di contingenza documento* tipoSR
tipoSR allo Conteggio D1_tc
D2 _ tnc
Totale ego
250
35
285
275,5
9,5
285,0
Residui corretti
-9,3
9,3
Conteggio
314
19
333
321,9
11,1
333,0
Residui corretti
-2,7
2,7
Conteggio
355
1
356
344,2
11,8
356,0
Residui corretti
3,6
-3,6
Conteggio
683
0
683
660,3
22,7
683,0
6,3
-6,3
1602
55
1657
1602,0
55,0
1657,0
Conteggio atteso
Conteggio atteso
docum
D3_din
D6_schiz
Conteggio atteso
Conteggio atteso Residui corretti Conteggio
Totale Conteggio atteso
Tab.16 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, relativa ai due possibili sistemi di riferimento spaziale assumibili dai soggetti.
144
Le descrizioni allocentriche rappresentano il 96% delle descrizioni trovate nei documenti analizzati (quelle egocentriche il rimanente 4%). Questa preferenza si ripropone invariata nei diversi documenti: sempre la preferenza è chiaramente in favore delle descrizioni allocentriche, che rappresentano l‟87% delle totale dei riferimenti spaziali in D1 (teste coinvolto), il 94% in D2 (teste non coinvolto), il 99% in D3 (dinamica), il 100% in D6 (schizzo di campagna). Detto che i riferimenti all‟egospazio sono quindi davvero poco frequenti (Χ2= 110,921, df=3, p<0.001), risultano significativamente più frequenti in D1 e D2 che negli altri due documenti come risulta dei Residui corretti >+2). Il risultato era atteso: infatti l‟incidente avviene nell‟ambito di un contesto di riferimento ampio e che presuppone uno sguardo d‟insieme dello scenario/ambiente; il dato letto combinatamente con quello relativo, e già discusso, alla mancanza di riferimento ad alcuni elementi quali il traffico, la visibilità e le condizioni climatiche, lascia pensare che l‟ambiente esterno a cui i soggetti ancorano la descrizione sia specificatamente da intendere come spazio esterno, e non come ambiente esterno comprensivo anche di altri elementi, pure facenti parte dell‟ambiente, e che invece non vengono presi in considerazione nei medesimi referti (es. traffico, visibilità, condizioni meteo/climatiche). Questo è un dato tutto sommato ben giustificabile tenuto conto che il sinistro è un evento nel quale traiettorie e posizioni sono dimensioni ineludibili e la struttura dello spazio esterno (case, punti cardinali, manufatti, veicoli ecc.) ha importanza non solo rispetto alla genesi dell‟incidente ma anche alla descrizione postuma dello stato delle cose rilevato al momento dell‟intervento. Per parlare dell‟evento, le persone ancorano quindi la descrizione dell‟accaduto non allo spazio relativo al singolo soggetto (egospazio) ma allo spazio condiviso (allospazio) Riferimenti all‟ambiente sono massimamente frequenti nel documento D6 (schizzo di campagna) proprio per la natura dello stesso (è una rappresentazione grafica dello stato dei luoghi relativo al sinistro e ambiente circostante). La prevalenza dell‟egospazio, sia pure nella scarsa frequenza registrata (4%), all‟interno dei documenti D1 e D2 si spiega con il fatto che i citati referti sono i soli provenienti da soggetti presenti nella scena (mentre D3 e D6 originano dall‟operatore). I pochi casi di riferimenti all‟egospazio registrati in D1 (teste coinvolto) e D2 ( teste non coinvolto), pari abbiamo detto al 4%, sono prevalentemente riferimenti alla localizzazione piuttosto che all‟orientamento (del quale si tende invece sempre a parlare in senso allospaziale).
145
Fig.15 Grafico a barre che visualizza la distribuzione, in ragione del ruolo, delle frequenze rappresentate in Tab. 16 (p. 144) relative ai due sistemi di riferimento spaziale).
Come si vede da Fig.15, all‟interno dei ruoli invece: - documento D1: il teste coinvolto descrive più frequentemente la propria collocazione nello spazio rispetto a quanto non faccia per l’altro conducente (più del doppio delle volte) e lo fa più in senso allocentrico comunque per entrambi. Mai si parla di localizzazione e/o orientamento del teste non coinvolto o di altri conducenti. Ciò potrebbe conseguire dal maggiore centramento su sé stesso che il teste coinvolto ha, in ragione della conduzione del veicolo e dei relativi comportamenti di guida da tenere, centramento che si traduce anche sul piano descrittivo; - documento D2: il teste non coinvolto descrive la propria collocazione nello spazio in pari misura rispetto al teste coinvolto e all‟altro conducente (ac) e lo fa per tutti in senso più spesso allocentrico. Non si rilevano informazioni per altri conducenti. Questo è un dato interessante se confrontato con quello del D1: infatti anche il teste non coinvolto è un utente della strada (conducente o pedone che sia) e allora è poco spiegabile come egli abbia una visione più ampia della scena che non quella dimostrata dal teste coinvolto. Probabilmente questa differenza va letta solo su un piano descrittivo in quanto il teste non coinvolto, estraneo all‟evento sinistro, è più in grado di recuperare con il ricordo elementi riguardanti i protagonisti diretti che non il teste coinvolto il quale, in sede di testimonianza, è ancora implicato emotivamente;
146
- documento D3: l‟operatore descrive la collocazione nello spazio del teste coinvolto e dell‟altro conducente (ac) in pari misura e lo fa esclusivamente in senso allocentrico per entrambi. Non si rilevano dati riferiti al teste non coinvolto o ad altri conducenti. Tale risultato è in perfetto accordo con la simile proporzione emersa nel documento D3 (dinamica) in relazione alla localizzazione e orientamento sia entro che post sinistro; - documento D4: l‟operatore descrive in pari misura la collocazione nello spazio (in fase post-sinistro) del teste coinvolto e dell‟altro conducente (ac) e lo fa esclusivamente in senso allocentrico per entrambi. Non si rilevano dati per il teste non coinvolto o altri conducenti. Tale risultato si accorda con la uguale percentuale descrittiva emersa nel documento D6 (schizzo di campagna) in relazione alla localizzazione e orientamento post sinistro. c. Quale sistema di riferimento per le proprietà topologiche dei veicoli? Per capire quali sistemi di riferimento assumessero i soggetti per descrivere le proprietà di localizzazione e orientamento dei veicoli, abbiamo classificato distintamente i casi in cui queste proprietà venissero riferite all‟ambiente, alla strada, o ad altri veicoli. Abbiamo inoltre distinto in quanti di questi casi si utilizzassero codifiche allocentriche e in quanti egocentriche e se il riferimento fosse ad aspetti rilevabili entro il sinistro o dopo il sinistro. Vediamo separatamente cosa emerge da questa radiografia. La prima cosa da rilevare è che le informazioni topologiche dei veicoli entrosinistro e post-sinistro sono diversamente rappresentate nei documenti analizzati (X2= 1293,178; df=3; p<0.001). Infatti, guardando la Tab.17 (p. 148), i tre dei documenti analizzati fanno riferimento con netta prevalenza a stati spaziali di localizzazione e orientamento dei veicoli interni alla dinamica del sinistro (97,5% in D1 - teste coinvolto-tc) e D2 (teste non coinvolto - tnc), 90% in D3 (dinamica). Invece lo schizzo di campagna (D6) contiene pressoché esclusivamente informazioni relative al postsinistro (quest‟ultimo dato è ovvio, poiché questo documento rileva lo stato in cui i veicoli erano al momento del rilevamento della polizia municipale; peraltro, il fatto che gli altri documenti non contengano queste informazioni o in maniera molto scarsa rende davvero utile l‟utilizzo di questo strumento per raccogliere un‟informazione che altrimenti andrebbe persa). Più interessante è che D1 e D2 siano tutti centrati alla descrizione del sinistro e non contengano pressoché alcun riferimento(<3%) a orientamenti e localizzazioni post-sinistro, magari anche solo per mettere in relazione le 147
posizioni dei veicoli che chi raccoglie la deposizione può constatare dopo il sinistro con quanto viene detto in merito a come l‟evento è accaduto.
Tavola di contingenza documento * tempo tempo entro post Conteggio 278 7 Conteggio atteso 178,1 106,9 D1_tc % entro Documento 97,5% 2,5% Residui corretti 13,6 -13,6 Conteggio 352 10 Conteggio atteso 226,3 135,8 D2 _ tnc % entro Documento 97,2% 2,8% Residui corretti 15,6 -15,6 Documento Conteggio 314 34 Conteggio atteso 217,5 130,5 D3 _ din % entro Documento 90,2% 9,8% Residui corretti 12,2 -12,2 Conteggio 6 519 Conteggio atteso 328,1 196,9 D6_ schiz % entro Documento 1,1% 98,9% Residui corretti -35,9 35,9 Conteggio 950 570 Totale Conteggio atteso 950,0 570,0 % entro Documento 62,5% 37,5%
Totale 285 285,0 100,0% 362 362,0 100,0% 348 348,0 100,0% 525 525,0 100,0% 1520 1520,0 100,0%
Tab.17 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, di riferimenti a proprietà topologiche all’interno delle due fasi temporali entro e post sinistro.
d. Ma localizzazione e orientamento dei veicoli sono descritti rispetto a cosa? A che cosa “ancorano” i vari documenti la descrizione della localizzazione e orientamento dei veicoli? Differenze significative emergono anche qui nel confronto tra documenti (Χ2= 198,459; df=6; p<0.001). Sia D1 (teste coinvolto) che D2 (teste non coinvolto) che D3 (dinamica) ancorano preferenzialmente la descrizione ad elementi ambientali (es: ero davanti il civico n……., avevo direzione di marcia nord-sud ). Questo genere di descrizioni rappresenta il 70% circa di tutte le informazioni topologiche inerenti ai veicoli contenute in tutti e tre i documenti. Meno abbondanti i riferimenti alla strada (15-24%) - es. fermo lato dx della strada quasi a cavallo della linea di margine - e ancor più infrequenti quelli ad altri veicoli (7-12%) - es. alla sua sx.
148
Tavola di contingenza documento * riferimento riferimento amb stra veic Conteggio 197 56 32 Conteggio atteso 165,9 70,7 48,4 D1_tc % entro Documento 69,1% 19,6% 11,2% Residui corretti 4,1 -2,2 -2,9 Conteggio 263 54 45 Conteggio atteso 210,8 89,8 61,4 D2 _ tnc % entro Documento 72,7% 14,9% 12,4% Residui corretti 6,4 -5,0 -2,6 Documento Conteggio 241 84 23 Conteggio atteso 202,6 86,3 59,1 D3 _ din % entro Documento 69,3% 24,1% 6,6% Residui corretti 4,8 -,3 -5,9 Conteggio 184 183 158 Conteggio atteso 305,7 130,2 89,1 D6_ schiz % entro Documento 35,0% 34,9% 30,1% Residui corretti -13,3 6,6 9,9 Conteggio 885 377 258 Totale Conteggio atteso 885,0 377,0 258,0 % entro Documento 58,2% 24,8% 17,0%
Totale 285 285,0 100,0% 362 362,0 100,0% 348 348,0 100,0% 525 525,0 100,0% 1520 1520,0 100,0%
Tab.18 Numero di reports analizzati (N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, dell’ancoraggio delle proprietà topologiche dei veicoli.
E‟ ovvio che l‟incidente avviene nell‟ambito di un contesto di riferimento ampio e quindi presuppone uno sguardo d‟insieme dello spazio ambiente; quindi il dato va letto nel senso che le traiettorie e le posizioni sono contestualizzate in uno scenario che ricomprende molti elementi esterni (dato questo già rilevato a proposito anche della prevalenza del sistema spaziale allocentrico piuttosto che egocentrico). Meno atteso in questo contesto generale è invece la minore percentuale di riferimenti alla strada ed ai veicoli: appare singolare che i conducenti (sia teste coinvolto che non coinvolto e l‟altro conducente del quale nei reports comunque si parla), si posizionino o posizionino gli altri nell‟ambiente (o in un ambiente) ma meno sulla strada che percorrono ed ancora meno in relazione all‟altro veicolo coinvolto come se la strada e i veicoli fossero altro dall‟ambiente e non elementi componenti l‟ambiente. Nello schizzo di campagna (D6) invece si reperiscono informazioni riferite a tutti e tre gli elementi, nella stessa percentuale (30-35%). Questo referto, che si ricorda essere la rappresentazione grafica dello scenario post-sinistro, proprio per la sua modalità di redazione, dà un‟informazione percettiva di tutti e tre i riferimenti; infatti in esso vengono disegnati i veicoli, la strada, lo spazio ambiente circostante (compresi gli elementi segnaletici) e quindi è possibile vedere, contemporaneamente, come i veicoli siano posizionati e orientatati sia rispetto ad essi, che rispetto alla strada che all‟ambiente. 149
Anche la distribuzione nei due frame spaziali di riferimento, allocentrico ed egocentrico, è risultata significativamente diversa (X2= 86,010; df=2; p<0.001). Quasi sempre le descrizioni assumono come sistema di riferimento le coordinate allocentriche (86%-99%). Il riferimento all‟egospazio, pur sempre poco frequente, è risultato più utilizzato quando i soggetti stavano riferendo la posizione o orientamento dei propri veicoli ad altri veicoli (14% del totale di descrizioni che ancorano veicoli ad altri veicoli). Ciò probabilmente perché il sistema corporeo (ego) viene identificato con il veicolo.
4.3.3.2. E quale sistema di riferimento per le proprietà topologiche dei danni? E a cosa si riferisce la descrizione dell‟ancoraggio relativo alla localizzazione e orientamento dei danni?
Tavola di contingenza documento * ruolo ruolo AC TC Conteggio 0 1 Conteggio atteso ,5 ,5 D1_tc % entro Documento 0,0% 100,0% Residui corretti -,9 ,9 Conteggio 12 2 Conteggio atteso 6,6 7,4 D3 _ din % entro Documento 85,7% 14,3% Residui corretti 2,9 -2,9 Conteggio 143 176 Conteggio atteso 150,3 168,7 Documento D4_ verbale % entro Documento 44,8% 55,2% Residui corretti -1,0 1,0 Conteggio 263 291 Conteggio atteso 261,1 292,9 D5_ danni % entro Documento 47,5% 52,5% Residui corretti ,3 -,3 Conteggio 1 0 Conteggio atteso ,5 ,5 D6_ schiz % entro Documento 100,0% 0,0% Residui corretti 1,1 -1,1 Conteggio 419 470 Totale Conteggio atteso 419,0 470,0 % entro Documento 47,1% 52,9%
Totale 1 1,0 100,0% 14 14,0 100,0% 319 319,0 100,0% 554 554,0 100,0% 1 1,0 100,0% 889 889,0 100,0%
Tab.19 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, dell’ancoraggio delle proprietà topologiche danni distribuita in ragione del ruolo.
Le descrizioni dei danni sono tutte (100%) riferite a localizzazioni/orientamenti rispetto al veicolo e tutte allocentriche. Sono tutte descrizioni di localizzazioni (dicono cioè dove il danno è e non come è orientato). Di proprietà topologiche dei danni si parla 150
sostanzialmente nella scheda danni (D5: N=554) - e questo non stupisce data la specificità del referto - e nel verbale (D4: N=319) - ma ricordiamo che questo può dipendere dalla scelta dell‟operatore di utilizzare la parte libera del modello per la descrizione dei danni piuttosto che della dinamica. Come abbiamo già visto, invece, per nulla informativi di questo aspetto sono D2 (teste non coinvolto) - il teste non coinvolto non parla mai di danni prodottosi ai veicoli dei protagonisti del sinistro -, e D1 (teste coinvolto) - su 50 sinistri in un solo caso il teste coinvolto parla di danni. Una sola volta il danno è indicato anche in D6 schizzo di campagna. Seppur
molto
scarso
in
termini
di
frequenza
generale,
comunque
proporzionalmente diverso è il riferimento a danni dell‟altro conducente (ac) e del teste convolto (tc) nella dinamica (solo 14 occorrenze in tutto), significativamente più frequenti per ac che tc (altro conducente e teste coinvolto). Va chiarito però che sapere che di un protagonista si descrivano danni in misura maggiore dell‟altro non significa che ne abbia riportati di più e anche se così fosse, a ciò non conseguirebbe che chi ha subito maggiori danni sia il conducente meno responsabile o non responsabile del sinistro. Anche perché la portata del danno è strettamente connessa al tipo di veicolo (è fondato infatti ritenere che lo scontro tra una un‟ utilitaria e un SUV provochi più danno alla prima piuttosto che alla seconda). 4.3.3.3. Quanti e quali i riferimenti a caratteristiche topologiche dell’urto? Delle 246 occorrenze di riferimenti ad informazioni spaziali dell‟urto rilevate in totale nei reports e documenti analizzati, più della metà (N=140, pari al 56,9%) sono informazioni presenti in D3 dinamica. Pressoché assenti queste informazioni nella scheda danni (D5) e nel verbale (D6) (<3%), poco presenti (<20%) anche nello schizzo di campagna (D6) - là dove l‟immagine mostra le due macchine ancora nella posizione d‟impatto -, sono stranamente poco presenti anche in D1(teste coinvolto) e D2 (teste non coinvolto). I testi coinvolti e non coinvolti cioè, un po‟ sorprendentemente, nelle loro deposizioni danno pochissime informazioni esplicite (8% tnc-teste non coinvolto, e 13% tc-teste coinvolto) relative all‟urto.
151
Tavola di contingenza documento * riferimento riferimento amb stra veic Conteggio 2 1 30 Conteggio atteso 11,7 3,6 17,7 D1_tc % entro Documento 6,1% 3,0% 90,9% Residui corretti -3,8 -1,6 4,6 Conteggio 1 2 17 Conteggio atteso 7,1 2,2 10,7 D2 _ tnc % entro Documento 5,0% 10,0% 85,0% Residui corretti -3,0 -,1 2,9 Conteggio 68 4 68 Conteggio atteso 49,5 15,4 75,1 D3 _ din % entro Documento 48,6% 2,9% 48,6% Residui corretti 5,0 -4,7 -1,8 Documento Conteggio 0 1 0 Conteggio atteso ,4 ,1 ,5 D4_ verbale % entro Documento 0,0% 100,0% 0,0% Residui corretti -,7 2,9 -1,1 Conteggio 0 0 6 Conteggio atteso 2,1 ,7 3,2 D5_ danni % entro Documento 0,0% 0,0% 100,0% Residui corretti -1,8 -,9 2,3 Conteggio 16 19 11 Conteggio atteso 16,3 5,0 24,7 D6_ schiz % entro Documento 34,8% 41,3% 23,9% Residui corretti -,1 7,3 -4,5 Conteggio 87 27 132 Totale Conteggio atteso 87,0 27,0 132,0 % entro Documento 35,4% 11,0% 53,7%
Totale 33 33,0 100,0% 20 20,0 100,0% 140 140,0 100,0% 1 1,0 100,0% 6 6,0 100,0% 46 46,0 100,0% 246 246,0 100,0%
Tab.20 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, di riferimenti ad informazioni spaziali dell’urto.
Differenze sono emerse anche rispetto al sistema di riferimento utilizzato per parlare di questo elemento (veicoli, strada o ambiente?): commentiamo solo i dati senza far riferimento alla significatività poiché vi sono molte celle (44%) con valore atteso inferiore a 5. Lo schizzo di campagna (D6) permette di raccogliere informazioni sulle caratteristiche topologiche dell‟urto sia attraverso riferimenti alla strada (41%), che all‟ambiente (43%), che agli altri veicoli (24%). La dinamica (D3) contiene informazioni riferite generalmente all‟ambiente (49%9) o ai veicoli (49%). Invece, le poche volte che i due testi (tc e tnc) ne parlano nelle loro testimonianze (D1 e D2 rispettivamente) lo fanno per lo più in riferimento ai veicoli, dicendo quindi dove l‟urto è avvenuto rispetto ai loro mezzi e non rispetto alla strada o all‟ambiente: è un po‟ come dire che se devo parlare dell‟urto lo riferisco al mezzo su cui i conducenti si trovano (es: è avvenuto sul davanti; sulla fiancata posteriore ecc.) e non ad un punto della strada (es: è avvenuto sulla corsia est della strada, al centro della carreggiata) o più in generale nell‟ambiente (es: davanti al civico n….). 152
Anche per l‟urto, prevale una descrizione allocentrica (93% del totale dei riferimenti all‟urto, cioè 230 su 236) e l‟informazione è pressoché nella totalità dei casi una informazione di localizzazione (97%) più che di orientamento dell‟urto (3%). Dal punto di vista degli “attori in gioco”, nello schizzo di campagna (D6) e nelle due testimonianze (D1 e D2) abbiamo trovato per questo elemento (urto) più spesso riferimenti al teste coinvolto (tc) che non all‟altro conducente (ac) o al teste non coinvolto (tnc) (D6=87% dei 46 riferimenti all‟urto trovati in totale in questo tipo di documento; D1= 72% dei 33 totali; D2= 60% dei 20 totali). Invece in D3-dinamica le informazioni riguardano con una simile percentuale l‟altro conducente (ac) (51% delle 140 occorrenze totali) ed il teste coinvolto (tc) (49%). Questa differenza sta ad indicare che colui che ne è direttamente coinvolto tende a riferirlo a sé stesso; infatti tc (teste coinvolto) parla molto più dell‟urto dal suo punto di vista che non riferendolo all‟altro conducente mentre nella dinamica (D3) la distribuzione delle frequenze è uguale tra i due conducenti: come dire che gli operatori vedono l‟urto da un punto di vista terzo.
4.3.3.4.Proprietà topologiche della strada In totale, nei documenti analizzati sono stati rinvenuti 92 riferimenti a proprietà topologiche della strada; non molte quindi, tenendo conto che c‟erano 50 sinistri x 6 documenti (quindi 300 casi). Sono pressoché interamente contenuti in D6 schizzo di campagna (96%). Questo dato va letto alla luce del commento già fatto per quanto riguarda le Tab. 2 (p. 100) e Tab. 7 (p. 127) a proposito della presenza/assenza dell‟elemento strada e della proprietà (estensive, intensive, topologiche) ed al quale si rimanda. Qui sottolineiamo solo come all‟altissima informatività del documento tecnico D6 (schizzo di campagna) non corrisponda una simile informatività degli altri referti tecnici (quali la dinamica D3 e il verbale D4). Ci si aspetta, infatti, che un Organo di Polizia sia più in grado, dato il suo bagaglio di competenze, di pensare alla strada anche in termini di localizzazione e orientamento. Si può obiettare che questo di fatto avviene nel D6, ma se riflettiamo sulla tipologia di questo referto (rappresentazione grafica) sembra quasi che gli operatori abbiano più intenzioni riproduttive dello stato dei luoghi che non consapevolezza del fatto che, nel disegnare, stanno localizzando e orientando anche la strada (e ciò diventa possibile quando nello schizzo vi sia almeno un punto cardinale) e 153
non solo le direzioni di marcia, in relazione ai luoghi, dei coinvolti nel sinistro (perché questa è la principale intenzione dell‟operatore quando esegue lo schizzo). Tavola di contingenza documento * proprietà Conteggio proprieta Loc Documento
Totale Or
D2 _ tnc D4_ verbale D6_ schiz
2 0 39 41
Totale
1 1 49 51
3 1 88 92
Tab.21 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, relativa alla descrizione di proprietà topologiche della strada.
Le informazioni presenti si riferiscono con una proporzione simile a orientamento (55%) e localizzazione (42%) (il test binomiale con proporzione Teorica = 0,50 non è significativo). Le descrizioni sono pressoché interamente riferite all‟allospazio e descrivono la localizzazione della strada rispetto all‟ambiente (99%). Sono pressoché tutte riferibili all‟operatore (97%) e al documento D6 (schizzo di campagna). Tavola di contingenza documento * riferimento Conteggio riferimento amb D2 _ tnc Document D4_ verbale o D6_ schiz Totale
Totale stra
2 1 88 91
1 0 0 1
3 1 88 92
Tab.22 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, di riferimenti ad informazioni spaziali relative alla strada.
Incrociando questi dati con la tavola di contingenza relativa alle proprietà della strada (v. Tab.7 p.127) e con quella della presenza/assenza dell‟elemento strada (v. Tab n.2 p. 100) in generale emerge che della strada, il teste coinvolto (D1) e non coinvolto (D2) descrivono quasi per nulla non solo la localizzazione e l‟orientamento ma anche le caratteristiche intensive (struttura e qualità). Questi due soggetti non ritengono, o non pensano di dover dare informazioni, circa se la strada fosse rettilinea o curvilinea o se asfaltata o con avvallamenti, bagnata o asciutta…. Viene da chiedersi se i soggetti considerino questa informazione inutile perché autoevidente, dal momento che la strada è interosservabile da loro e dagli operatori intervenuti sul posto. Le proprietà intensive, nelle sue due declinazioni, sono invece in altissima percentuale descritte nel verbale (D4), che però non descrive le proprietà topologiche, anche perché le prime fanno parte delle voci prestampate da barrare mentre le seconde no. Infine il documento D6 (schizzo di campagna) è molto informativo delle qualità 154
della strada ma non di proprietà relative alla struttura (mentre come suddetto lo è della localizzazione e dell‟orientamento).
4.3.3.5.Proprietà topologiche delle tracce I riferimenti alla localizzazione o orientamento delle tracce sono pressoché esclusivamente presenti nello schizzo di campagna (94% del totale: 74/84); solo 1 riferimento è stato trovato in D4 verbale e 4 in D3 dinamica. Quindi le informazioni topologiche relative alle tracce sono appannaggio esclusivo degli operatori ed in particolare sono affidate ad uno dei documenti previsti per la rilevazione del sinistro. Come mostrato nella Tab. 23, le informazioni rinvenibili in questo documento, proprio per la natura grafica dello schizzo di campagna (D6), contengono con la stessa frequenza riferimenti delle tracce all‟ambiente, alla strada e ai veicoli; questi tre dati sono di fatto raccoglibili insieme dal disegno dell‟operatore se quest‟ultimo si ricorda di rappresentare nello schizzo non solo i veicoli, ma anche i margini della strada e l‟orientamento della strada rispetto all‟ambiente. Tavola di contingenza documento * riferimento riferimento Totale amb stra veic Conteggio 0 4 0 4 Conteggio atteso 1,2 1,5 1,3 4,0 D3 _ din % del totale 0,0% 4,8% 0,0% 4,8% Residui corretti -1,3 2,6 -1,4 Conteggio 0 1 0 1 Conteggio atteso ,3 ,4 ,3 1,0 Documento D4_ verbale % del totale 0,0% 1,2% 0,0% 1,2% Residui corretti -,7 1,3 -,7 Conteggio 25 27 27 79 Conteggio atteso 23,5 30,1 25,4 79,0 D6_ schiz % del totale 29,8% 32,1% 32,1% 94,0% Residui corretti 1,5 -2,9 1,6 Conteggio 25 32 27 84 Totale Conteggio atteso 25,0 32,0 27,0 84,0 % del totale 29,8% 38,1% 32,1% 100,0%
Tab.23 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, di riferimenti ad informazioni spaziali delle tracce.
La ricostruzione delle tracce è sempre allocentrica (e questo discende dal fatto che le tracce sono affidate allo schizzo di campagna - D6 - quindi non a descrizioni verbali nelle quali le coordinate corporee del soggetto potrebbero essere usate in alternativa a quelle allocentriche). Nella
distribuzione
tra
informazioni
riferite
alla
localizzazione
o
all‟orientamento, gli operatori ricorrono più frequentemente (test binomiale con prop. 155
0,50, p< 0.02) a riferimenti alla localizzazione (64,3% del totale di informazioni topologiche
sulle
tracce
sono
descrizioni
di
localizzazioni)
piuttosto
che
all‟orientamento (35,7%).Gli operatori si preoccupano, quindi, più di indicare nello schizzo di campagna (D6) DOVE sono le tracce piuttosto che COME sono orientate. Infatti nel contrassegnare le tracce normalmente gli operatori utilizzano un pallino o una crocetta e solo in pochissimi casi (relativi a frenate) impiegano segmenti dei quali si può estrapolare un orientamento ma non sufficientemente attendibile in quanto il disegno è a mano libera e quindi non si può essere certi che il tratto sia esattamente corrispondente all‟effettivo orientamento.
4.3.3.6. Proprietà topologiche della segnaletica Informazioni topologiche sulla segnaletica compaiono con diversa frequenza in 5 dei documenti analizzati: prevalentemente in D6 schizzo di campagna (53,4% dei 328 riferimenti in totale classificati), con percentuali che oscillano poco sopra il 10% in D1, D3 e D4 (D1=11,0%, D3=13,1%, D4=15,2%), mentre il rimanente 7,3% di riferimenti alla segnaletica è contenuto nelle testimonianze del teste non coinvolto (D2). I riferimenti sono tutti (100%) allocentrici. Gli ancoramenti delle descrizioni della segnaletica (Tab. 24 p. 157) sono più frequentemente all‟ambiente e alla strada: esclusivamente alla strada nel verbale (D4) in quanto nella parte strutturata vi è la voce fissa, da barrarsi con una crocetta, che chiede di indicare se vi sia segnaletica e su quale strada; invece nello schizzo di campagna (D6) - per i motivi già rilevati rispetto alle tracce - localizzazione e orientamento della segnaletica sono identificabili rispetto a tutti e tre gli ancoramenti (veicoli, strada e ambiente). La localizzazione della segnaletica rispetto ai veicoli, di fatto, emerge soltanto da questo tipo di documento, essendo limitati a 1 o 2 casi i riferimenti di questo tipo negli altri documenti analizzati.
156
Tavola di contingenza documento * riferimento
Conteggio Conteggio atteso D1_tc % entro Documento Residui corretti Conteggio Conteggio atteso D2 _ tnc % entro Documento Residui corretti Conteggio Conteggio atteso Documento D3 _ din % entro Documento Residui corretti Conteggio Conteggio atteso D4_ verbale % entro Documento Residui corretti Conteggio Conteggio atteso D6_ schiz % entro Documento Residui corretti Conteggio Totale Conteggio atteso % entro Documento
riferimento amb stra veic 20 14 2 21,5 9,8 4,7 55,6% 38,9% 5,6% -,5 1,7 -1,4 8 15 1 14,3 6,5 3,1 33,3% 62,5% 4,2% -2,7 4,0 -1,3 25 17 1 25,7 11,7 5,6 58,1% 39,5% 2,3% -,2 2,0 -2,2 50 0 0 29,9 13,6 6,6 100,0% 0,0% 0,0% 6,3 -4,7 -3,0 93 43 39 104,6 47,5 22,9 53,1% 24,6% 22,3% -2,6 -1,1 5,3 196 89 43 196,0 89,0 43,0 59,8% 27,1% 13,1%
Totale 36 36,0 100,0% 24 24,0 100,0% 43 43,0 100,0% 50 50,0 100,0% 175 175,0 100,0% 328 328,0 100,0%
Tab.24 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, di riferimenti ad informazioni spaziali della segnaletica.
4.3.4.Fenomenico/metrico I soggetti descrivono le proprietà degli elementi fenomenicamente o metricamente? Le descrizioni fenomeniche sono di gran lunga le più frequenti: oscillano tra il 76% e il 100%. Come si nota nella Tab. 25 (p.159), la distribuzione è però significativamente diversa nei 4 documenti (Χ2= 268,33, df=6, p<0.001): le descrizioni metriche sono infatti significativamente più frequenti nello schizzo di campagna (D6), quelle metrico/fenomeniche194 nella dinamica (D3), mentre quelle fenomeniche sono significativamente più presenti in D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto) e D3 (dinamica). Anche se il dato può apparire scontato dal momento che, per esempio, lo schizzo di campagna (D6) è fatto proprio per raccogliere informazioni metriche, il confronto tra 194
Per descrizioni metrico/fenomeniche qui si intendono espressioni del seguente tipo: “andavo a circa 50Km/h”, “ero più o meno a 10 m. dall‟incrocio”, “erano circa le 10,00” oppure “il tachimetro segnava 70 Km/”, “ho guardato l‟orologio ed erano le 10”; le prime constano di descrizioni fenomeniche (dotazione ordinaria) che si riferiscono a dimensioni anche soggette a misurazione (velocità, distanza, tempo) in questo caso quantificate solo percettivamente e non strumentalmente pur utilizzando un linguaggio fisicomatematico, le seconde descrivono invece una misurazione strumentale rilevata percettivamente.
157
i documenti è utile per affrontare la questione in termini di corretta descrizione delle informazioni metrico/strumentali e fenomeniche; infatti la contrapposizione tra una descrizione fisica dell‟evento sotto osservazione e la corrispettiva descrizione fenomenica è rilevante nel contesto della testimonianza poiché le descrizioni testimoniali
necessariamente
coinvolgono
la
descrizione
del
fatto
percepito
dall‟osservatore, pur nella consapevolezza però che quello stesso fatto è passibile anche di una descrizione fisico-strumentale. Sotto questo profilo quindi il raffronto serve per ribadire l‟esistenza di due diversi livelli descrittivi (fenomenico e metrico strumentale) di uno stesso oggetto al fine di evidenziare la non coincidenza tra mondo fisico e percepito. Anzi, proprio il D6 (schizzo di campagna) in questo senso fornisce una solida conferma di ciò, in quanto contiene contemporaneamente le misurazioni metrico strumentali (ad es. della larghezza della strada, della distanza tra i veicoli, della localizzazione dei veicoli o delle tracce o della loro lunghezza) ma anche informazioni fenomeniche degli stessi elementi e di altri, essendo un referto che rappresenta graficamente attraverso linee e forme lo scenario post-sinistro. Il risultato invece ottenuto nel documento D3 - dinamica - (che più degli altri documenti contiene occorrenze metrico-fenomeniche) conferma quanto detto al par. 3.3 (p.76) vale a dire che il linguaggio descrittivo comune può attingere con correttezza a termini geometrico-fisici validi sia per la descrizione del dato percettivo che del dato fisico, senza confusione dei piani descrittivi. La prevalenza di descrizioni metrico-fenomeniche nel documento D3(dinamica) potrebbe dipendere anche dal fatto che gli operatori, a differenza degli altri soggetti, utilizzano tanto la dotazione ordinaria che quella metrico-strumentale ai fini descrittivi e, probabilmente, questo fa acquisire ai rilevatori una sorta di terza modalità descrittiva. Il dato relativo a D1 (teste coinvolto) e D2 (teste non coinvolto), atteso, riprova invece che la descrizione del piano fenomenico attinge spontaneamente al linguaggio comune.
158
Tavola di contingenza documento * tipo tipo fen Conteggio D1_tc
Totale
fen_metr metr
285
0
255,4
2,4
Residui corretti
6,3
-1,7
-6,0
Conteggio
328
5
0
333
298,4
2,8
31,8
333,0
Residui corretti
5,9
1,5
-6,6
Conteggio
347
9
0
319,0
3,0
33,9 356,0
Residui corretti
5,5
3,9
-6,9
Conteggio
525
0
158
683
612,1
5,8
65,1
683,0
Residui corretti
-14,3
-3,1
15,8
Conteggio
1485
14
158
Conteggio atteso
D2 _ tnc Conteggio atteso
0
285
27,2 285,0
docum
D3_din
Conteggio atteso
D6_schiz Conteggio atteso
356
1657
Totale Conteggio atteso 1485,0
14,0 158,0 1657,0
Tab.25 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, di occorrenze riferite alle 3 modalità/tipologie descrittive fenomenico, metrico e fenomenico-metrico.
4.3.5. Azioni 4.3.5.1) Azioni fatte da chi? Quanto nei vari documenti si parla di azioni, a chi sono quelle azioni attribuite? Quante volte lo sono al teste coinvolto, quante al teste non coinvolto, ad un altro individuo coinvolto (ac) o x, x1 (ovvero altri conducenti/pedoni circolanti al momento del sinistro e non coinvolti in nessun modo nell‟evento) o agli operatori? Chi sono cioè gli esecutori delle azioni di cui si parla? Diciamo innanzitutto che la frequenza di azioni riferite all‟uno o all‟altro degli “attori” nei 4 documenti analizzati non è la stessa (Χ2= 598,335, df=15, p<0.001). Guardando i totali generali di colonna in Tab. 26 (p. 161) risulta che le azioni sembrerebbero riferirsi per la maggior parte al teste coinvolto (47.1%), quindi all‟altro coinvolto (28.5%); segue il teste non coinvolto (12.5%).
159
Se guardiamo però le distribuzioni entro i singoli documenti vediamo che queste percentuali oscillano ampiamente. Il teste coinvolto parla significativamente più di sé (69% del totale delle azioni descritte in D1) di quanto gli altri non parlino di lui: particolarmente poco ne parlano gli operatori nella dinamica (D3) e pochissimo ne parla il teste non coinvolto (D2=28,7%). Il teste non coinvolto è significativamente più impegnato a descrivere azioni che lo riguardano (39,3%), quindi con una frequenza simile azioni che riguardano il teste coinvolto e l‟altro coinvolto (25,9% e 28,7%). Di azioni compiute dal teste non coinvolto non si parla né nelle deposizioni del teste coinvolto (D1), né nella dinamica (D3) né nel verbale (D4). Questo dato, che può apparire inatteso, lo è meno alla luce dei risultati fin qui commentati: infatti del teste non coinvolto non si parla quasi mai in nessuno degli altri referti; sembra quasi che la figura del terzo osservatore sia marginale tanto per il teste coinvolto (D1) , anche se comprensibilmente perché egli solo dopo il sinistro sa chi è il terzo osservatore e non durante le fasi del sinistro, quanto per l‟operatore (D3 dinamica e D4 verbale) il quale praticamente mai riporta le informazioni contenute in D2 (teste non coinvolto) nei propri referti. Quindi l‟unica fonte di informazione delle descrizioni sul teste non coinvolto sono quelle che egli fornisce di sé - che in assenza di ulteriori riscontri, potrebbero, tra l‟altro, risultare parziali; si pensi ad esempio all‟importanza dell‟informazione relativa a dove era collocato spazialmente, rispetto alla scena del sinistro, il teste non coinvolto (informazione generalmente assente). Alle azioni dell‟altro coinvolto si fa molto più riferimento nel verbale (D4), dove pressoché la metà delle azioni citate si riferiscono a tale attore (ac), mentre in minor misura se ne parla negli altri documenti: in particolare è il secondo attore più frequentemente chiamato in causa dal teste coinvolto dopo di sé (è la seconda frequenza più alta nella riga riferita a D1), ma molto meno frequentemente di quanto si sarebbe potuto attendere in base ad una distribuzione media attesa (rappresenta solo il 24% delle azioni citate in D1). Si noti che in due dei documenti analizzati (D1 e D4) solo due attori catalizzano la pressoché totalità delle azioni, mentre negli altri due documenti le azioni si distribuiscono sostanzialmente tra tre attori.
160
Tavola di contingenza documento * ruolo ruolo ac Conteggio D1_tc
operatori
100
0
Conteggio atteso 116,8 % entro doc 24,4% -2,2 Residui corretti
tc 283
27,7 193,2 0,0% 69,0% -6,6 10,7
Conteggio 103 Conteggio atteso 113,1 D2_tnc % entro doc 25,9% -1,3 Residui corretti doc
Totale tnc
x 2
23
x1 2
410
51,4 19,3 1,6 410,0 0,5% 5,6% 0,5% 100,0% -8,9 1,0 ,4
1 114 156 21 2 397 26,8 187,0 49,8 18,7 1,5 397,0 0,3% 28,7% 39,3% 5,3% 0,5% 100,0% -6,2 -8,8 19,3 ,7 ,5
Conteggio 132 Conteggio atteso 122,0 D3_din % entro doc 30,8% 1,3 Residui corretti
88 182 28,9 201,6 20,6% 42,5% 13,8 -2,3
7 18 1 428 53,7 20,2 1,6 428,0 1,6% 4,2% 0,2% 100,0% -8,3 -,6 -,6
Conteggio 40 Conteggio atteso 23,1 D4_verb % entro doc 49,4% 4,3 Residui corretti
0 41 5,5 38,2 0,0% 50,6% -2,5 ,7
0 0 0 81 10,2 3,8 ,3 81,0 0,0% 0,0% 0,0% 100,0% -3,5 -2,1 -,6
Conteggio
375
89
620
165
62
5
1316
Totale Conteggio atteso 375,0 % entro doc 28,5%
89,0 620,0 165,0 62,0 5,0 1316,0 6,8% 47,1% 12,5% 4,7% 0,4% 100,0%
Tab.26 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, delle 12 tipologie di azione distribuite in ragione del ruolo.
161
Fig.16 Grafico a barre che visualizza la distribuzione, in ragione del ruolo, delle frequenze rappresentate in Tab. 26 (p. 161) che evidenzia una omogeneità tra i referti D1, D2 e D3 circa l’attribuzione delle azioni all’altro conducente (ac), una prevalenza attributiva al teste coinvolto nel refertoD1(quindi a sé sesso) sia tra che entro i referti. Entro i documenti D2 e D3 invece si registra un andamento simile.
4.3.5.2) E che tipo di Azioni sono descritte? Ricordiamo che abbiamo distinto diversi tipi di azioni: a - eseguite, es. circolavo, facevo retromarcia, frenavo, e eseguite con scopo, es. mi sporgevo per assicurarmi che non venissero altri veicoli; b - programmate, es. intenzionata ad andare verso sud, e programmate con scopo, es. intendevo svoltare a sinistra per parcheggiare davanti al giornalaio presente nella direzione opposta; c - iniziate ma non concluse, es. iniziava la svolta alla propria dx, e iniziate con scopo, es. stavo cominciando a girare a sx per immettermi nella circolazione; d - subite, es. venivo urtata, e subite con scopo, es. mi ha fatto spostare in avanti per non ingombrare l’incrocio; e - percettive, es. ho sentito/non ho sentito, ho visto, e percettive con scopo, es. mi guardavo intorno per vedere se sopraggiungeva qualcuno; f - cognitive, es. penso/non penso, dichiaro, preciso, immagino, ricordo/non ricordo e cognitive con scopo, es. cercavo di ricordare la strada per orientarmi nella nebbia; 162
g - opinioni, es. credo che, verosimilmente la manovra posta in essere, e opinioni con scopo, es. credo di aver frenato per evitare l’urto. In Tab. 27 (p.164) sono riportate le frequenze dei diversi tipi di azione. Più che commentare gli esiti della statistica condotta (il Χ2 è significativo - Χ2= 1138,392, df=33, p<0.001, ma ci sono più del 40% delle celle con frequenza attesa inferiore a 5, quindi il test perde potenza) osserviamo le percentuali delle diverse azioni nei vari documenti. Come ci attendeva, in D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto) e D3 (dinamica) la percentuale di azioni più alta riguarda le azioni eseguite (63-68%) proprio perché questi referti sono deputati alla descrizione della fase dinamica del sinistro. Nel verbale (D4) invece la totalità delle espressioni si riferisce ad azioni subite. Questo dato non va frainteso: il verbale (D4) è il modello utilizzato dagli operatori per raccogliere dati statici (es. tipo di veicoli, caratteristiche della strada, visibilità , traffico), ma in esso viene anche annotata l‟informazione di se il veicolo sia stato rimosso o meno, o prima dell‟intervento o dopo la rilevazione del sinistro, ad opera del conducente o tramite carro attrezzi (es. di frase: il veicolo veniva rimosso).Quindi, il dato diventa interessante solo se si tiene conto di quale sia la circostanza alla quale si riferisce, proprio per estrapolare un‟altra informazione e cioè se i veicoli siano stati rimossi o meno e quando, al fine di stabilire se la posizione di quiete all‟arrivo degli operatori fosse la medesima assunta subito dopo il sinistro e quindi per verificare la non mutazione dello stato dei luoghi. E‟ quindi diverso il tipo di azione di cui si parla in D1, D2 e D4. In D1 (teste coinvolto) e D2 (teste non coinvolto) sono poi più frequenti i riferimenti al percepire (13-14%), mentre nella dinamica (D3) una simile percentuale riguarda invece verbi o espressioni interpretative (17%). Anche in questo caso il dato, atteso, è conseguente al tipo di documento: D1 e D2 sono formulati da soggetti (teste coinvolto e non coinvolto) che sono entrambi utenti della strada (a bordo veicolo o pedoni) ed è innegabile che durante la circolazione sia rilevante il processo percettivo soprattutto visivo; inoltre sul teste non coinvolto grava, tradizionalmente, il compito di dichiarare cosa ricorda di aver percepito proprio per il ruolo che al terzo osservatore normalmente si assegna in termini di maggiore imparzialità e attendibilità rispetto ai soggetti coinvolti. Per quanto riguarda D3 (dinamica), trattandosi di referto ricostruttivo della dinamica, l‟operatore in quasi tutti i sinistri (il cui totale si ricorda è 50) premette che la dinamica è ricostruita in via presumibile o presuntiva: quindi, per la natura stessa del documento e per il fatto che proviene da soggetto non presente al sinistro (operatore) il testo complessivo del report dinamica (D3) contiene riferimenti ad azioni interpretative più numerosi di altri. 163
Tavola di contingenza documento * tipologia proprietà
Totale
az_c az_cog az_e az_eseg az_i az_iniz az_inte az_p az_perc az_p az_prog az_subit o sco n s sco . n . r e sco . r sco . e sco
D1_tc
Conteggi o
1
Atteso
20
24
280
4
12
3
1
52
0
10
,6
17,8 16,2
254,5
2,8
9,7
27,7
,3
38,0
1,2
7,5
33,6 410,0
% entro docum
0,2%
4,9% 5,9%
68,3% 1,0%
2,9%
12,7% 0,0%
2,4%
0,7% 100,0 %
Residui corretti
,6
,7
2,4
3,1
,9
,9
-5,9
1,5
2,9 -1,3
1,1
-6,6
Conteggi o
0
23
16
266
4
9
10
0
58
0
5
6
Conteggi o atteso
,6
17,2 15,7
246,5
2,7
9,4
26,8
,3
36,8
1,2
7,2
32,6 397,0
% entro docum
0,0%
5,8% 4,0%
67,0% 1,0%
2,3%
14,6% 0,0%
1,3%
1,5% 100,0 %
Residui corretti
-,9
1,7
,1
2,4
,9
-,1
-4,0
-,7
4,4 -1,3
-1,0
-5,8
Conteggi o
1
14
12
271
1
10
76
0
12
4
9
18
Conteggi o atteso
,7
18,5 16,9
265,7
2,9
10,1
28,9
,3
39,7
1,3
7,8
35,1 428,0
% entro docum
0,2%
3,3% 2,8%
2,8% 0,9%
2,1%
4,2% 100,0 %
Residui corretti
,5
-1,3
-1,5
Conteggi o
0
0
Conteggi o atteso
,1
3,5
0,7% 0,2%
3
410
397
D2_tnc
docu m
2,5% 0,0%
428
D3_din.
D4_verb .
Totale
63,3% 0,2%
2,3% 17,8% 0,0%
,6 -1,4
,0
11,0
-,7
-5,6
2,9
,5
-3,7
0
0
0
0
0
0
0
0
0
81
81
3,2
50,3
,6
1,9
5,5
,1
7,5
,2
1,5
6,6
81,0
0,0% 0,0%
0,0%
0,0% 0,0%
0,0%
% entro docum
0,0%
Residui corretti
-,4
-2,0
-1,9
-11,9
-,8
-1,4
-2,5
-,3
-3,0
-,5
-1,3
31,1
Conteggi o
2
57
52
817
9
31
89
1
122
4
24
108
Conteggi o atteso
2,0
57,0 52,0
817,0
9,0
31,0
89,0
1,0
122,0
4,0
24,0
108,0 1316,0
0,2%
4,3% 4,0%
62,1% 0,7%
2,4%
9,3% 0,3%
1,8%
8,2% 100,0 %
% entro docum
0,0% 0,0%
0,0% 0,0%
6,8% 0,1%
100,0% 100,0 %
1316
Tab.27 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, delle 12 tipologie di azione.
164
Indipendentemente dal documento, abbiamo poi osservato i ruoli a cui si riferiscono queste azioni. Ne è risultato quanto riportato in Tab. 28 (p.166); anche qui, più che discutere il chi quadro che è significativo ma ci sono molte celle con frequenze attese minori di 5, atteniamoci ad una osservazione delle percentuali di risposta. Altro conducente (ac); le azioni descritte come da lui compiute sono essenzialmente del tipo eseguite. Tra le altre, solo quella del tipo subite raggiungono una percentuale degna di nota (13%). Premettendo che questo soggetto (ac) è l‟altra persona coinvolta nel sinistro (e del quale non sono state analizzate, in nessuno dei 50 sinistri, le dichiarazioni testimoniali), il primo dato si spiega con il fatto che egli è il protagonista diretto, insieme al teste coinvolto, della fase dinamica dell‟incidente mentre il secondo è collegato probabilmente all‟utilizzo di espressioni linguistiche di forma passiva connesse alla descrizione dell‟urto (cioè quando il teste coinvolto o quello non coinvolto descrivono l‟urto lo fanno più spesso nel senso che è ac che lo ha subito). Operatore; le azioni descritte come compiute dall‟operatore sono o azioni mentali cognitive, in una percentuale piuttosto bassa, o interpretative/opinioni in una percentuale molto più alta. L‟assenza di altri tipi di azioni deriva dal fatto che l‟operatore non è presente all‟atto del sinistro (non può percepire direttamente l‟accaduto) e non pone in essere comportamenti di guida né eseguiti, ne programmati né iniziati, così come non subisce azioni di altri. Teste coinvolto (tc): le azioni descritte come compiute dal teste coinvolto sono perlopiù di tipo eseguite. Tra le altre si segnala la percentuale non trascurabile delle azioni subite (13,9%). La scarsità delle azioni programmate e iniziate (anche con scopo) si spiega probabilmente con il fatto che il soggetto non ritiene rilevante descrivere azioni non compiute o non finite che non incidono sulla dinamica del sinistro. E‟ interessante notare che le azioni percettive sono descritte in una percentuale comunque piuttosto bassa e questo dato sorprende data la rilevanza, e la ineludibilità, del processo percettivo (soprattutto visivo) durante la guida; probabilmente è solo frutto di una non esplicitazione descrittiva della fonte dell‟informazione (cioè non viene esplicitamente detto: “ ho visto che, ho sentito che…”.
165
Tavola di contingenza ruolo * tipologia proprietà
Conteggio Conteggio atteso % entro ruolo Residui corretti
az_co az_cog az_es az_eseg az_in az_iniz az_inte az_pe az_perc az_pr az_prog az_subit sco n sco . sco . r sco . sco . e 0 1 12 290 3 8 0 0 3 1 5 52 ,6
16,2
14,8
0,0%
0,3%
3,2%
-,9
-4,6
-,9
7,2
Conteggio
0
10
0
Conteggio operator atteso % entro i ruolo Residui corretti
,1
3,9
3,5
0,0% 11,2%
0,0%
ac
tc
ruol o
tnc
x
x1
Totale
Totale
232,8
2,6
8,8
25,4
,3
77,3% 0,8%
2,1%
0,0%
0,0%
,3
-,3
-6,2
-,6
-6,7
-,2
-,8
2
0
0
76
0
1
0
0
0
89
55,3
,6
2,1
6,0
,1
8,3
,3
1,6
7,3
89,0
0,0% 85,4%
0,0%
1,1% 0,0%
0,0%
2,2% 0,0%
34,8
375
1,1
6,8
30,8 375,0
0,8% 0,3%
1,3%
13,9% 100,0 % 4,7
0,0% 100,0 % -2,9
-,4
3,3
-2,0
-12,0
-,8
-1,5
30,6
-,3
-2,7
-,5
-1,3
Conteggio
2
23
35
403
4
18
3
1
60
2
15
Conteggio atteso % entro ruolo Residui corretti
,9
26,9
24,5
384,9
4,2
14,6
41,9
,5
57,5
1,9
11,3
50,9 620,0
0,3%
3,7%
5,6%
65,0% 0,6%
2,9%
0,5%
0,2%
9,7% 0,3%
2,4%
1,5
-1,0
3,0
2,1
-,2
1,2
-8,6
1,1
,5
,1
1,5
8,7% 100,0 % ,6
Conteggio
0
23
2
65
0
4
10
0
57
0
3
Conteggio atteso % entro ruolo Residui corretti
,3
7,1
6,5
102,4
1,1
3,9
11,2
,1
15,3
,5
3,0
13,5 165,0
0,0% 13,9%
1,2%
39,4% 0,0%
2,4%
6,1%
0,0% 34,5% 0,0%
1,8%
0,6% 100,0 % -3,8
54
1
620
165
-,5
6,5
-1,9
-6,4
-1,1
,1
-,4
-,4
12,0
-,8
,0
Conteggio
0
0
3
52
2
1
0
0
1
1
1
1
62
Conteggio atteso % entro ruolo Residui corretti
,1
2,7
2,4
38,5
,4
1,5
4,2
,0
5,7
,2
1,1
5,1
62,0
0,0%
0,0%
4,8%
83,9% 3,2%
1,6%
0,0%
0,0%
1,6% 1,6%
1,6%
-,3
-1,7
,4
3,6
2,5
-,4
-2,2
-,2
-2,1
1,9
-,1
Conteggio
0
0
0
5
0
0
0
0
0
0
0
0
5
Conteggio atteso % entro ruolo Residui corretti
,0
,2
,2
3,1
,0
,1
,3
,0
,5
,0
,1
,4
5,0
0,0%
0,0%
0,0% 100,0% 0,0%
0,0%
0,0%
0,0%
0,0% 0,0%
0,0%
-,1
-,5
-,5
1,8
-,2
-,3
-,6
-,1
-,7
-,1
-,3
Conteggio
2
57
52
817
9
31
89
1
122
4
24
Conteggio atteso % entro ruolo
2,0
57,0
52,0
817,0
9,0
31,0
89,0
1,0
122,0
4,0
24,0
108,0 1316,0
0,2%
4,3%
4,0%
62,1% 0,7%
2,4%
6,8%
0,1%
9,3% 0,3%
1,8%
8,2% 100,0 %
1,6% 100,0 % -1,9
0,0% 100,0 % -,7 108
1316
Tab.28 Numero di reports analizzati (N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, delle 12 tipologie di azione distribuita in ragione del ruolo.
Teste non coinvolto (tnc): pressoché uguale è la frequenza di azioni compiute dal teste non coinvolto del tipo eseguite e percettive. Ora, mentre non stupisce che il teste non coinvolto, a sua volta utente della strada, descriva azioni eseguite, il dato relativo alle azioni percettive deporrebbe in favore della considerazione che del terzo 166
osservatore normalmente si ha in sede testimoniale (soprattutto giudiziale). Non solo infatti gli si assegna un maggior credito in termini di attendibilità e credibilità (in quanto non coinvolto nella vicenda) ma, stante il risultato, anche in termini di maggiore precisione informativa in qualità di teste oculare. Va però sottolineato che, su 50 reports, in 11 casi il teste non coinvolto (in D2) non parla dell‟urto, elemento essenziale e caratterizzante il sinistro; quindi resta da stabilire su cosa in particolar modo verta l‟attenzione percettiva. Non degne di nota invece le percentuali relative alle azioni (di qualsiasi tipo) compiute da altri conducenti non coinvolti (x e x1). 4.3.6. Cause C‟è una diversa frequenza dei tipi di cause analizzate nei tre documenti considerati: D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto) e D3 (dinamica) (Χ2= 28,811, df=10 p=0.001), i quali per loro struttura contengono una ricostruzione verbale libera. In tutti e 3 i tipi di documento, le cause più frequentemente descritte sono nessi causali direttamente collegati all‟urto (nc dir.) - in una percentuale che oscilla tra il 37,7% e il 48,9%. Esse sono presenti nei tre documenti, essendo legate proprio al collegamento causale tra le condotte di circolazione dei veicoli immediatamente prima dello scontro e l‟urto che è la fase culminativa e consumativa del sinistro, ma con una leggera prevalenza nel documento D2 (teste non coinvolto 48,9%) poi in D3( dinamica 39,5%) e D1 (teste coinvolto 37,7%). Il dato relativo al documento D2 sembra suggerire che il teste non coinvolto ritiene saliente la descrizione della fase nucleare dell‟impatto (fase urto) molto più dell‟operatore alla prese con la descrizione della dinamica nel referto tecnico D3 e dello stesso teste coinvolto (D1). La apprezzabile diversa distribuzione è piuttosto inattesa in quanto l‟urto è l‟evento qualificante il sinistro e pertanto ci si poteva attendere una più omogenea distribuzione. Frequenti sono anche i nessi causali direttamente collegati all‟urto (nc dir. vnc) che rimandano ad una violazione del Codice della Strada e quindi ad una attribuzione di responsabilità (20,8-48,8%). Come rivela l‟analisi dei residui corretti, la distribuzione varia però tra documenti. Questo tipo di nessi (nc dir. vnc) sono infatti significativamente più frequenti in D3 (dinamica: 48.8%) essendo il documento nel quale gli operatori, dopo aver ricostruito la dinamica, accertano eventuali violazioni a norme comportamentali del Codice della Strada e meno in D1 (teste coinvolto: 20,8%), probabilmente perché il teste coinvolto, quanto meno, tende a non ricondurre a sé stesso 167
una condotta di guida in contrasto con le prescrizioni del Codice e le descrive comunque meno in generale, quasi a voler evitare questo aspetto poiché esso incide sul piano sanzionatorio e risarcitorio;195 in una percentuale intermedia (24,4%) si pone il documento D2 (teste non coinvolto) ed anche questo dato è meritevole di commento per la singolarità del risultato: infatti il teste non coinvolto (del quale si presume un‟inesperienza di tipo professionale data la tipologia della causa in argomento) sembra porsi su un piano molto tecnico, quasi in una sorta di giudizio anticipato circa l‟eventuale sanzione e che potrebbe influenzare la valutazione che poi l‟operatore darà del comportamento di guida in base al Codice della Strada. Tavola di contingenza documento * tipologia proprietà nc non adiac_
nc dir_ vnc
2
20
11
53
3,7
,3
6,9
1,7
21,9
18,4
53,0
% entro docum
15,1%
0,0%
22,6%
Residui corretti
2,7
-,6
2,5
,2
-,6
-2,5
4
0
5
3
22
11
45
3,2
,2
5,9
1,5
18,6
15,7
45,0
% entro docum
8,9%
0,0%
11,1%
Residui corretti
,5
-,6
-,4
1,5
1,2
-1,7
Conteggio
1
1
7
1
34
42
86
6,1
,5
11,2
2,8
35,5
29,9
86,0
% entro docum
1,2%
1,2%
8,1%
Residui corretti
-2,9
1,1
-1,9
-1,5
-,5
3,7
13
1
24
6
76
64
184
13,0
1,0
24,0
6,0
76,0
64,0
184,0
7,1%
0,5%
13,0%
Conteggio atteso
Conteggio atteso
Conteggio Totale
nc dir_
12
Conteggio
D3 dinam_
nc adiac_ vnc
0
Conteggio atteso
docum D2_tnc
nc adiac_
8
Conteggio D1_tc
nc non adiac_vnc
Totale
Conteggio atteso % entro docum
3,8% 37,7%
6,7% 48,9%
1,2% 39,5%
3,3% 41,3%
20,8% 100,0%
24,4% 100,0%
48,8% 100,0%
34,8% 100,0%
Tab.29 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) per documento e frequenza registrata, in ognuno di essi, delle 6 tipologie di cause.
Le cause riferite ad un fase adiacente l‟urto (nc adiac.) sono presenti in particolare in D1 (teste coinvolto: 22,6%), così come le cause relative ad un tempo ancora precedente la fase della collisione (nc non adiac.): tale dato può far ipotizzare che ciò risponda all‟esigenza del conducente coinvolto di spiegare, più del teste non 195
Questo aspetto ci riporta agli studi di Scott e Lyman (1968) e di Semin e Manstead (1983) in materia di accountability. Testimoniare circa un fatto giuridicamente rilevante vuol dire, infatti, rendere conto di un comportamento contrario a un sistema normativo (formale e/o informale) vigente e quindi parlare di un comportamento deviante. In quanto deviante, tale comportamento porterà il soggetto alla necessità di mantenere una positiva immagine di sé (Wetherell&Potter, 1989), di evitare (o comunque allontanare il più possibile) le attribuzioni negative (Semin&Manstead,1983; Felson Ribner, 1981).
168
coinvolto e degli operatori, le fasi di poco o di molto antecedenti l‟urto dando informazioni causali e relativi dettagli a volte anche non utili, ridondanti o evidenti, del quale è spettatore diretto così come peraltro il teste non coinvolto che però fa registrare una frequenza minore rispetto a D1. Probabilmente la natura irrilevante di queste informazioni (laddove date dal teste coinvolto o da quello non coinvolto) è la ragione della loro scarsa presenza invece in D3 (dinamica, dove l‟operatore sceglie quindi di non riportarle) unitamente al fatto, ovvio, che questo tipo di nessi non possono essere spontaneamente descritti dall‟operatore che non era presente né all‟urto né alle fasi di poco o di molto precedenti. Dalle prime analisi riportate circa la presenza o meno, nei 50 reports analizzati, di almeno un riferimento all‟elemento “causa” (Tab. 2 p. 100) era emerso che i documenti “deposizione del teste coinvolto” (D1) e “deposizione del non teste non coinvolto” (D2) contengono in una proporzione simile di casi un riferimento alle cause del sinistro (37 su 50 dei report analizzati per D1 e 32 su 50 per D2). Tuttavia era possibile che i due differissero per quantità di occorrenze di riferimenti a cause all‟interno del documento. Il teste coinvolto avrebbe potuto cioè parlare più spesso di cause (o di un certo tipo di cause) che non il teste non coinvolto o parlare più frequentemente di cause attribuite al soggetto parlante piuttosto che all‟altro conducente o ad altro soggetto; similmente gli operatori avrebbero potuto descrivere più un certo tipo di cause piuttosto che gli altri protagonisti compreso il teste non coinvolto. Per questo abbiamo esplorato la distribuzione dei diversi tipi di causa rispetto a vari “ruoli”. E‟ emerso che, rispetto al referto D1, il teste coinvolto parla in maniera preponderante di nessi causali diretti (nc dir. - totale 20) e con frequenza equivalente, ma minore, di nessi causali con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (nc dir. vnc - totale 11) e di nessi causali adiacenti (nc adiac. - totale 12) e ancor meno di nessi non adiacenti (nc non adiac. - totale 8). Quasi nulle le descrizioni di nessi causali adiacenti con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (nc adiac. vnc) e nulle quelle di nessi causali non adiacenti con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (nc non adiac. vnc). Stessa cosa per il documento D2 (teste non coinvolto) e D3 (dinamica): tali documenti differiscono invece rispetto ai nessi causali adiacenti (nc adiac.) e non adiacenti (nc non adiac.) che in D1 sono comunque descritti, mentre scarse o del tutto assenti sono le relative informazioni in D2 e D3. La maggiore occorrenza dei nessi causali diretti e diretti con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (nc dir. e nc dir. vnc), in D3 (dinamica), è spiegabile con 169
la peculiarità del documento, in cui l‟operatore, nel ricostruire il sinistro, cerca di individuare sia come è successo sia comportamenti di guida in contrasto con le norme comportamentali. La maggior frequenza riscontrata in D1 di riferimenti a cause adiacenti e non adiacenti (nc adiac. e nc non adiac.), quasi assente negli altri due documenti, lascia ipotizzare che il teste coinvolto ha l‟esigenza di puntualizzare, molto più degli altri soggetti, l‟inizio dell‟evento, spostato anche di molto indietro, quasi a giustificare come si è giunti all‟urto. Nel documento D1 (teste coinvolto) si registra un totale di 20 nessi causali diretti (nc dir.) e di questi il descrittore ne attribuisce 10 all‟altro conducente e 3 ad altri soggetti o comunque a situazioni esterne, e 7 a sé stesso; tra le cause dirette con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (nc dir. vnc) (totale 11) 6 sono riconducibili all‟altro soggetto/conducente coinvolto (ac) e 4 a sé stesso e 1 ad altri soggetti. Per quanto riguarda le informazioni causali relative a nessi adiacenti (nc adiac.) il teste coinvolto invece è centrato su sé stesso (5) o ancor più su situazioni esterne (7); in quelle non adiacenti (nc non adiac.) il teste coinvolto le riferisce più a sé stesso (5) che non a circostanze esterne (3) mentre in quelle adiacenti con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (nc adiac. vnc), dove comunque si registrano scarsissime informazioni, le 2 rilevate sono attribuite all‟altro conducente. Assenti descrizioni per quanto riguarda le informazioni causali non adiacenti con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (nc non adiac. vnc).
Tavola di contingenza tipologia * ruolo
a
Conteggio ruolo altro/i
ac
proprietà
nc non adiac_ nc adiac_ nc adiac_ vnc nc dir_ nc dir_ vnc
Totale a. docum = D1_tc
0 0 2 10 6 18
Totale tc 3 7 0 3 1 14
5 5 0 7 4 21
8 12 2 20 11 53
Tab.30 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) relativo al documento D1 (teste coinvolto) e frequenza complessiva delle 6 tipologie di cause dalla quale emerge la ripartizione, tra i ruoli, conseguente alla attribuzione delle cause effettuata dal teste coinvolto (tc).
170
Nel documento D2 (teste non coinvolto) si registra un totale di 22 nessi causali diretti (nc dir.) pressoché equamente distribuito tra il teste coinvolto (tc: totale 11) e l‟altro conducente coinvolto (ac: totale 9). La stessa distribuzione si registra per le cause dirette con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (nc dir. vnc: totale 11) che vengono attribuite nella misura di 5 ad ac (altro conducente coinvolto) e 6 a tc (teste coinvolto). Per quanto riguarda le informazioni causali adiacenti (nc adiac.) il parlante descrive quasi totalmente situazioni esterne mentre quasi del tutto assenti sono le adiacenti con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (nc adiac. vnc). Le scarse informazioni circa i nessi non adiacenti (nc non adiac.) sono tutte appannaggio di soggetti/eventi esterni non riguardanti i protagonisti coinvolti. Assenti descrizioni di nessi non adiacenti con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (nc non adiac. vnc).
Tavola di contingenza tipologia * ruolo
a
Conteggio ruolo altro/i
ac
proprietà
nc non adiac_ nc adiac_ nc adiac_ vnc nc dir_ nc dir_ vnc
1 1 2 9 5 18
Totale a. docum = D2_tnc
Totale tc 3 4 0 2 0 9
0 0 1 11 6 18
4 5 3 22 11 45
Tab.31 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) relativo al documento D2 (teste non coinvolto) e frequenza complessiva delle 6 tipologie di cause dalla quale emerge la ripartizione, tra i ruoli, conseguente alla attribuzione delle cause effettuata dal teste non coinvolto (tnc).
Nel documento D3 (dinamica), gli operatori descrivono in modo rilevante informazioni causali del tipo nc dir. (nessi causali diretti: totale 34) e nc dir. vnc ( nessi causali diretti con responsabilità ai sensi del Codice della Strada - totale 42) distribuendo le prime tra tc (teste coinvolto: totale 20) e ac (altro conducente coinvolto: totale 12) e le seconde tra tc (teste coinvolto: totale 27) e ac (altro conducente coinvolto: totale 13). Dei restanti 4 tipi di informazioni causali, solo i nessi causali adiacenti (nc adiac.), vengono, sia pure scarsamente, descritti e le cause sono tutte attribuite a soggetti/eventi esterni e non ai protagonisti coinvolti. Questo è un dato che accumuna i tre referti di cui si discute: sostanzialmente le cause “esterne” sono ritenute importanti da tutti perché in effetti vi possono essere eventi che hanno concorso all‟urto al di là delle condotte di guida dei protagonisti (es: una brusca sterzata di altri conducenti). 171
La differenza numerica che intercorre tra D1 (teste coinvolto) e D3 (dinamica) rispetto alle cause dirette e dirette con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (nc dir. e nc dir. vnc) in relazione ai ruoli (altro conducente, teste coinvolto e altro) è invece un dato ambiguo, legato alla contingenza delle specifiche condotte di guida dei due conducenti coinvolti (teste coinvolto e altro conducente) in quel preciso sinistro oltre che alla interpretazione tecnico-professionale che l‟operatore ne dà ai sensi del Codice della Strada. È interessante confrontarlo con quello registrato in D1 dove il teste coinvolto, invece, attribuisce cause legate all‟urto e con responsabilità più all‟altro conducente che non a sé stesso.
Tavola di contingenza tipologia* ruolo
a
Conteggio
nc non adiac_ nc non adiac_vnc nc adiac_ proprietà nc adiac_ vnc nc dir_ nc dir_ vnc Totale a. docum = D3 dinam_
ac 0 1 0 0 12 13 26
ruolo altro/i 0 0 7 1 2 2 12
Totale tc 1 0 0 0 20 27 48
1 1 7 1 34 42 86
Tab.32 Numero di reports analizzati (sul totale di N=50) relativo al documento D3 (dinamica) e frequenza complessiva delle 6 tipologie di cause dalla quale emerge la ripartizione, tra i ruoli, conseguente alla attribuzione delle cause effettuata dall’operatore.
4.3.7. Frequenza di riferimenti a proprietà/stati del sinistro che utilizzano strutture contrarie (poli o intermedi) Per finire, ci siamo chiesti se i soggetti (teste coinvolto, teste non coinvolto, operatori), parlino delle proprietà degli elementi utilizzando termini riferibili a dimensioni contrarie. Per questa analisi abbiamo distinto i soggetti in naïve (teste coinvolto e non) e esperti (operatori di polizia) partendo dall‟assunto che tra le due tipologie ci sono delle differenze in termini di specifica competenza date dalle funzioni che questi ultimi svolgono in maniera professionale ed istituzionale, diversamente dai soggetti non esperti. Prima di analizzare i risultati emersi, riportiamo alcuni esempi di espressioni classificate come polarizzate e alcuni esempi di espressioni classificate come intermedie (laddove registrate) per ogni proprietà, per chiarire come abbiamo inteso questa classificazione: - es. proprietà estensive a) polo: veloce/lento; intermedio: andatura regolare/normale; b) polo: poco/tanto; intermedio: alcuni, qualche. 172
- es. proprietà intensive :a) struttura - polo: concavo/convesso, dritto/storto; intermedi: non si rilevano né per i naive né per gli esperti: b) qualità - polo: buonacattiva, intermedio: discreta; polo: evitabile/inevitabile; intermedio: non si rilevano. - es. proprietà topologiche: a) localizzazione - polo: anteriore/posteriore, intermedio: laterale, affiancato; polo: destra/sinistra, intermedio: centrale; b) orientamento - polo: in avanti-indietro; non si riscontrano intermedi. In valore assoluto, le espressioni riferite a dimensioni contrarie (ai poli) sono più numerose negli esperti (in totale 872) che nei non esperti (in totale 377) - Fig. 17, grafico a barre a sinistra. Ciò si spiega con il fatto che gli operatori descrivono, prevalentemente nel documento D4 (verbale), in quasi tutti i sinistri, varie proprietà relative ai veicoli, ai danni, alla strada, alla visibilità, alle condizioni meteo e al traffico, che sono espressi nel verbale in termini di linguaggio comune bipolare; come abbiamo visto sopra (par. 4.3.1. pp.99-107), i referti relativi ai soggetti, coinvolti e non, invece non presentano alcuna informazione per esempio circa i danni, traffico, visibilità e meteo e quando parlano di strada sono davvero scarse le descrizioni delle relative proprietà. Tuttavia, se guardiamo all‟interno ai due gruppi (esperti e non esperti) quanti sono in proporzione i riferimenti a stati polarizzati o piuttosto a intermedi, troviamo una proporzione simile (χ2=0.0008, df=1, n.s.) (Fig. 18, grafico a barre a destra): 87% di riferimenti sono in entrambi i gruppi a proprietà polarizzate e solo il 13% a proprietà intermedie. Quindi possiamo dire che l‟uso di espressioni che rimandano ad una struttura contraria è più frequente quando gli stati da descrivere sono estremi, e meno frequente quando lo stato da descrivere è non polarizzato (intermedio).
Fig.17-18 Grafici a barre che visualizzano le percentuali delle espressioni riferite a dimensioni contrarie e intermedie all’interno delle due tipologie di descrittori (Fig. 17 a sinistra) e la distribuzione delle frequenze descrittive degli stati polarizzati e intermedi in ragione delle due tipologie di descrittori (Fig. 18 a destra).
173
Se osserviamo il tipo di proprietà descritte, notiamo che c‟è una significativa differenza nel confronto tra naïve ed esperti (χ 2=222.716, df=5, p<0.001). Uno sguardo ai totali di colonna di Tab. 33 ci porta a concludere che i contrari sono usati più spesso per descrivere proprietà spaziali topologiche quali la localizzazione (29% del totale dei contrari descritti, es. davanti- dietro, sopra-sotto) e l‟orientamento (25,1%, es. in avantiindietro, a destra-a sinistra). A seguire in termini decrescenti le proprietà intensive, riferite o a qualità intensive (15,5%, es. evitabile-inevitabile, giorno-notte, intensoscarso) o alla struttura (10,8% es. introflessione-estroflessione, dritto-storto). La proprietà estensiva è quella meno descritta tramite dimensioni polarizzate. Tuttavia, differenze emergono confrontando la distribuzione di queste proprietà nei due gruppi: mentre le descrizioni di esperti fanno uso di contrari intensivi (qualità intensiva e struttura intensiva) più frequentemente dei naïve, nelle descrizioni di questi ultimi si trovano significativamente più spesso contrari riferiti a proprietà temporali e topologiche (localizzazione e orientamento). Tavola di contingenza soggetti * proprietà proprietà estensiva Conteggio esperti
Conteggio atteso % entro sogg Residui corretti
sogg
Conteggio naive
Totale
Conteggio atteso % entro sogg
105
intensiva qualità
intensiva struttura
185
Totale
temporali
134
28
topologiche topologiche localizzazione orientamento 222
198
872
99,1
134,7
94,3
69,8
255,5
218,5
872,0
12,0%
21,2%
15,4%
3,2%
25,5%
22,7%
100,0%
1,1
8,6
7,9
-9,5
-4,5
-2,9
37
8
1
72
144
115
377
42,9
58,3
40,7
30,2
110,5
94,5
377,0 100,0%
9,8%
2,1%
0,3%
19,1%
38,2%
30,5%
Residui corretti
-1,1
-8,6
-7,9
9,5
4,5
2,9
Conteggio
142
193
135
100
366
313
1249
142,0
193,0
135,0
100,0
366,0
313,0
1249,0
11,4%
15,5%
10,8%
8,0%
29,3%
25,1%
100,0%
Conteggio atteso % entro sogg
Tab.33 Numero di reports analizzati (N=50) per documento che visualizzano le percentuali delle espressioni riferite a dimensioni contrarie e intermedie all’interno delle due tipologie di descrittori riferite alle 4 proprietà.
La maggior frequenza dell‟uso di contrari intensivi da parte dei soggetti esperti riconferma quanto già commentato in relazione alla Tab. 2 p. 100 aggiungendo che essa può dipendere non solo dal fatto che nei referti dei testi (coinvolto e non) manca una serie di elementi (es. traffico, meteo) e la specificazione delle relative proprietà, ma probabilmente anche dal modello prestampato del verbale in uso e molto simile tra i vari organi di polizia dove vengono elencate voci standard - quali appunto il traffico, la strada, il meteo, la visibilità, la tipologia di urto - con accanto una serie di proprietà intensive da barrare, espresse in forma polarizzata. La maggiore frequenza nelle 174
descrizioni di contrari riferiti a proprietà temporali e topologiche da parte dei soggetti non esperti, invece, potrebbe dipendere dal contesto situazionale (circolazione veicolare e pedonale) dove in maniera preponderante soprattutto i conducenti coinvolti, ma anche gli osservatori terzi che in genere sono alla guida di un veicolo o comunque sono pedoni, focalizzano l‟attenzione visiva sulla propria o altrui posizione in strada e sulle direzioni di guida, essendo queste coordinate spaziali ineludibili e di primaria importanza nella conduzione di mezzi e per la circolazione in genere. Conclusioni In generale dalla ricerca è emersa una certa insufficienza informativa dei documenti che normalmente si usano per refertare un sinistro rispetto a diversi elementi costitutivi del sinistro. In particolare è interessante che di alcuni elementi (traffico, meteo, visibilità, tempo di accadimento del sinistro) non si ha nessuna informazione, vale a dire che non si ha conoscenza (sulla base dei documenti) di quali fossero le condizioni di circolazione, climatiche, di visibilità al momento del sinistro né quando il sinistro sia successo; tali informazioni non sono neanche attendibilmente reperibili per relationem negli altri documenti perché, laddove vengono riportate, sono però riferite ad una fase successiva all‟incidente e non a quella dell‟accadimento. Dal confronto tra i referti emerge che alcuni sono più informativi di altri rispetto a specifici elementi e/o proprietà. Particolarmente interessante al riguardo è “lo schizzo di campagna” (D6) in cui sono ben evidenziati e coesistenti due livelli descrittivi: infatti, in questo referto abbiamo contemporaneamente sia la rappresentazione grafica (assimilabile ad una descrizione fenomenica dello stato dei luoghi espressa tramite disegno) sia la misurazione di alcuni degli stessi elementi raffigurati; ciò dà chiara evidenza del fatto che uno stesso elemento o proprietà può essere passibile di ambedue le descrizioni. La localizzazione viene descritta più frequentemente dell‟ orientamento sia entro che post sinistro, tanto dal teste coinvolto che da quello non coinvolto, mentre l‟operatore le descrive nella stessa misura sia nella fase entro-sinistro (D3 dinamica) che in quella post (D6 schizzo di campagna).Le descrizioni allocentriche rappresentano la quasi totalità delle descrizioni trovate nei documenti analizzati. Questa preferenza si ripropone invariata nei diversi documenti: i riferimenti all‟ego-spazio sono davvero poco frequenti, più comuni comunque in D1(teste coinvolto) e D2 (teste non coinvolto) che negli altri due documenti (D3 dinamica e D6 schizzo di campagna) e, quando ciò accade, è generalmente per riferirsi alla localizzazione - a differenza dell‟orientamento 175
che invece viene riferito sempre all‟allospazio. Nella maggior parte dei casi localizzazione e orientamento (dei veicoli, danni, urto, strada, segnaletica, tracce) sono ancorati all‟ambiente e, in misura progressivamente decrescente, alla strada e in ultimo ai veicoli (fatta eccezione per l‟elemento urto che invece viene localizzato quasi esclusivamente in riferimento ai veicoli). Le azioni maggiormente descritte sono quelle eseguite (sia in D1 teste coinvolto, che in D2 teste non coinvolto, che in D3 dinamica). Questi tre documenti però si differenziano in quanto D1 e D2 hanno frequenti riferimenti al percepire (ma D2 anche ad azioni del tipo opinioni) mentre in D3 si ritrovano, in rilevante percentuale, verbi o espressioni interpretative. Le descrizioni fenomeniche sono di gran lunga le più frequenti: la distribuzione è però significativamente diversa nei 4 documenti presi in considerazione per questo tipo di analisi (D1-D2-D3-D6): le descrizioni metriche sono infatti significativamente più frequenti nello schizzo di campagna (D6), quelle metrico/fenomeniche nella dinamica (D3), mentre quelle fenomeniche sono significativamente più presenti in D1 (teste coinvolto), D2 (teste non coinvolto) e D3 (dinamica). Tra le proprietà, quella topologica (localizzazione ed orientamento) è quella maggiormente espressa con linguaggio fenomenico (a volte anche fenomenico-metrico). In tutti i documenti, le cause più frequentemente descritte sono quelle relative al nesso causale direttamente collegato all‟urto (nc dir. con una maggiore presenza in D2 (teste non coinvolto) rispetto a D3 (dinamica) e D1 (teste coinvolto). Frequenti sono anche le informazioni circa il nesso causale direttamente collegato all‟urto che rimanda ad una violazione del Codice della Strada (nc dir. vnc) ma la distribuzione di quest‟ultimo tipo di cause varia tra i documenti in quanto esse sono sensibilmente più frequenti in D3 (dinamica) rispetto a D1 (teste coinvolto) mentre nel documento D2 si registra una frequenza intermedia (considerevole, ma minore di D3 e maggiore di D1).Infine le cause nelle fasi adiacenti l‟urto (nc_adiac.) e quelle relative ad un tempo ancora precedente la fase della collisione (nc non adiac.) caratterizzano in particolare le descrizioni fornite in D1(teste coinvolto), quindi in D2 (teste non coinvolto) ed infine in D3 (dinamica). Il teste coinvolto attribuisce più spesso le cause direttamente collegate all‟urto (nc dir.) all‟altro conducente, quindi a sé stesso ed infine ad eventi esterni o ad altri soggetti e quelle relative a violazioni del Codice della Strada (nc dir. vnc) in pari percentuale a tutti questi attori; D2 (teste non coinvolto) invece attribuisce sia le une che 176
le altre equamente ai due coinvolti nel sinistro. Il documento D3 (dinamica), descrive in modo rilevante informazioni causali del tipo nessi causali diretti e diretti con responsabilità ai sensi del Codice della Strada (nc dir. e nc dir. vnc), distribuendo equamente le attribuzioni delle prime al teste coinvolto e all‟altro conducente e le seconde più al teste coinvolto che non all‟altro conducente. Le proprietà vengono fenomenicamente descritte spesso su base polarizzata, con una forte presenza di termini che esprimono rapporti di contrarietà La frequenza di espressioni riferite a dimensioni contrarie (o riferimenti ai poli) è più elevata negli esperti che nei non esperti anche se la proporzione di riferimenti a stati polarizzati o a intermedi è pressoché identica nei due gruppi. I contrari sono usati più spesso per descrivere di proprietà spaziali topologiche, localizzazione e orientamento, e a seguire in termini decrescenti per riferirsi a proprietà intensive riferite o a qualità o alla struttura mentre gli aspetti estensivi sono quelli meno descritti tramite dimensioni polarizzate. Gli esperti fanno uso di contrari intensivi (qualità e struttura) più frequentemente dei naïve (ma abbiamo detto che ciò è legato alla presenza di descrittori polarizzati nel verbale, D4, che l‟operatore deve spuntare) mentre nelle descrizioni di questi ultimi si trovano più spesso contrari riferiti a proprietà temporali e topologiche (localizzazione e orientamento); abbastanza rilevante è anche la presenza di riferimenti a stati intermedi, quantomeno rispetto alle proprietà estensive e intensive (ma solo per le qualità) e topologiche (ma solo per la localizzazione). In conclusione si è riscontrata una certa frammentazione informativa. L‟insieme di tutti i referti potrebbe sì fornire una sorta di immagine complessiva che si avvicina alla copertura di tutti gli elementi considerati (12 elementi e 4 proprietà per ciascun elemento, a loro volte distinte in altre sottoclassi), ma questo comporterebbe uno sforzo conoscitivo/operativo troppo oneroso per il giudice o il perito assicurativo;. E comunque, come già notato, vi sono alcune informazioni che benché esistenti (es. traffico, tempo, meteo, visibilità) non sono riferite al momento del sinistro e quindi sono ambigue o non rilevanti. La presenza maggiore di riferimenti ad alcuni elementi/proprietà in certi documenti piuttosto che in altri dipende in primo luogo dalla tipologia del referto ma anche dal considerare le stesse informazioni o evidenti, vista la loro presenza negli altri documenti, oppure scontate perché relative ad elementi o proprietà osservabili all‟atto della costruzione dei reports testimoniali. Sarebbe opportuno, in sede operativa, poter disporre di un documento riassuntivo che recuperi le informazioni provenienti da tutti i 177
documenti (probabilmente la più indicata potrebbe essere la dinamica) oltre che nuove modalità/strumenti di raccolta delle testimonianza nonché nuovi sistemi di redazione dei referti tecnici. Siamo consapevoli che i risultati ottenuti sono limitati al corpus indagato nel senso che si è coscienti che vi siano alcuni fattori intervenienti quali, lo stile professionale dell‟agente rilevatore, lo stile operativo dello specifico Comando, la diversa organizzazione dei modelli utilizzati dai diversi Comandi, che potrebbero differenziare in parte i risultati emersi. Tuttavia, lo scopo di questa indagine era soprattutto quello di porre le basi per uno strumento classificatorio, migliorabile, alla luce del quale poter verificare la compiutezza e la correttezza descrittiva dei reports testimoniali, indipendentemente da chi li produce, li utilizza o da come li impiega, per poter correggere inadeguatezze, mancanze, o incoerenze laddove sistematicamente rilevate. E in questo senso il progetto sviluppato crediamo fornisca qualche prima utile indicazione e possa essere fonte di ispirazione e di materiale per: a) sviluppare percorsi di formazione rivolti agli appartenenti agli organi di polizia stradale (o a giudici, avvocati e periti) che mirino ad aumentare la consapevolezza delle specifiche tematiche emerse e più in generale la consapevolezza della problematica relazione tra la descrizione che il teste (o operatore) fa della propria esperienza di un avvenimento e l‟avvenimento medesimo e b) pensare alla almeno parziale correzione degli strumenti di rilevazione in uso per renderli più adeguati a raccogliere anche le informazioni risultate mancanti dalla ricerca. Infine, un confronto con il metodo Musatti (1931)196(noto metodo di analisi della testimonianza che condivide con la ricerca qui svolta la partenza da presupposti fenomenologici) e con la versione dello stesso rivisitata da Zaretti (1968-1969)197 successivamente adottata in un esperimento da Vicario, Zambianchi e Tomat (1992).198Si procederà al raffronto dei metodi, scomponendoli nei fattori che li caratterizzano per metodologia, procedura e scopo, secondo un atteggiamento operazionale, al fine di individuare a quali livelli essi si situino e quali siano gli aspetti comuni o dissimili. Il metodo Musatti prevede: 1) suddivisione del film sperimentale in un certo numero di elementi, predeterminati, costituenti la sceneggiatura, ovvero, la descrizione obiettiva del fatto (costituente il totale - T); 2) conteggio, rispetto a detta descrizione, 196
V. par. 1.4, p. 26 e nota 53. Per approfondimenti v. Musatti op. cit., pp. 112-114. V. par. 1.4, p. 26 e nota 55. 198 V. par. 1.4, p. 26 e nota 54. 197
178
degli elementi veri (V) e degli elementi falsi (F) riportati dai soggetti; 3) quantificazione dell‟estensione della conoscenza (V/T), dell‟estensione della testimonianza (V+F/T), e della fedeltà della testimonianza (V/V+F). Lo scopo era quello di stabilire un criterio scientificamente attendibile per una valutazione “di tipo quantitativo” delle testimonianze.199 Due sono le coordinate da tener presenti nel metodo Musatti: la prima attiene alla definizione di errore testimoniale, definito come non corrispondenza “…. alla situazione obiettiva che dà luogo a quella percezione, ossia a ciò che diciamo realtà”200 e la cui fonte è costituita dalle inadeguatezze percettive e deformazioni mnestiche; la seconda attiene al concetto di descrizione obiettiva del fatto ovvero descrizione dell‟insieme degli elementi che lo compongono preliminarmente individuati.201 Il metodo, quindi, procede attraverso un meccanismo di corrispondenza/non corrispondenza, uno a uno, per giungere ad una graduazione quantitativa delle diverse testimonianze in base ai quozienti sopra espressi. Il metodo Zaretti (adottato nell‟esperimento di Vicario, Zambianchi e Tomat, 1992) prevede invece: 1) l‟elenco di un insieme di elementi determinati attraverso un criterio di descrizione fenomenologica del fatto nel senso che “gli elementi della vicenda” (quelli sui quali viene poi basata la comparazione della descrizione) sono definiti da tutti quegli elementi che almeno uno dei soggetti aveva percepito (ΣD) - ciò a partire dal presupposto che assistere visivamente ad una scena implica la possibilità di definire la quantità degli elementi percepiti rispetto a tutti quelli potenzialmente percepibili; 2) il conteggio, rispetto a detto elenco, degli elementi veri (V) e degli elementi falsi (F) riportati dai soggetti; 3) la quantificazione dell‟estensione della conoscenza (V/ΣD), dell‟estensione della testimonianza (V+F/ΣD), e della fedeltà della testimonianza (V/V+F).202 Lo scopo della rivisitazione dei due metodi Musatti da parte di Vicario et al. (1992) nel citato lavoro era appunto quello di verificare se l‟adozione di un metodo piuttosto che dell‟ altro producesse risultati diversi. Il metodo utilizzato nel presente lavoro, invece, prevede: 1) l‟utilizzo di una matrice di classificazione contenente un numero di elementi (12) e proprietà (4),
199
“ …. stabilire quanti più è possibile criteri esatti e certi per una valutazione delle testimonianze e per una interpretazione delle testimonianze stesse così da rendere possibile sulla loro base la ricostruzione obbiettiva del fatto od accadimento reale al quale esse testimonianze si riferiscono”. Musatti, op. cit. p. 11. 200 Musatti, op. cit. p. 29. 201 In questa tesi v. par. 1.4, a p. 22. Per approfondimenti v. Musatti op. cit , pp. 27-76 e 131-154. 202 La fase 2 e 3 viene svolta non da Zaretti ma da Vicario, Zambianchi e Tomat che della Zaretti utilizzano il metodo per rivisitare l‟esperimento di Musatti per confrontarne eventuali differenze di risultati.
179
predeterminata sulla base della considerazione che gli elementi ivi inclusi sono stati ritenuti costitutivi dell‟evento sinistro o comunque normalmente pertinenti/rinvenibili nella struttura di un sinistro (T); 2) la comparazione delle testimonianze con la griglia di classificazione, sulla base della presenza/assenza degli elementi nei reports; 3) la valutazione della completezza/insufficienza della descrizione a partire dalla quantità di elementi riportati rispetto a quelli teoricamente presenti e dal confronto tra tipo e quantità di elementi presenti nei diversi tipi di documento. Lo scopo del metodo è quello di rilevare, da un punto di vista fenomenologico/percettivo, che cosa essi descrivono (aspetto oggettuale), come ne parlano (aspetto qualitativo) e qual è il grado di adeguatezza/carenza descrittiva (aspetto quantitativo). Premessa la differenza dei contesti nell‟ambito dei quali i tre metodi sono stati applicati (i primi due di tipo sperimentale, l‟altro applicato a reali testimonianze di effettivi sinistri occorsi), consideriamo brevemente tre aspetti che ci pare emergano dal confronto: 1) A livello macroscopico i metodi appaiono simili nella procedura, nel senso che tutti costituiscono uno strumento di catalogazione di elementi che serve per comparare quanto descritto dagli osservatori, differenziandosi solo rispetto ai criteri in base ai quali la lista di elementi viene definita. Va sottolineato che, per tutti e tre i metodi, tale lista costituisce il totale (T) vale a dire la base di calcolo degli aspetti che si vogliono indagare. Per Musatti l‟insieme degli elementi (T) coincide con la descrizione obiettiva del fatto. Per Zaretti l‟insieme degli elementi (T) coincide con il numero di elementi che potenzialmente potevano essere percepiti - a partire dall‟assunto che, se almeno un soggetto aveva visto un particolare elemento, questo poteva essere visto anche da tutti gli altri. La nostra griglia di classificazione (T) sembra collimare più con il concetto di descrizione obiettiva del fatto data una tecnica di “sceneggiatura” dell‟evento “sinistro stradale” che fraziona l‟evento oggetto della testimonianza in una serie di unità costitutive (12 elementi e 4 proprietà) - proprio come Musatti individua, con un simile procedimento, un numero predeterminato di elementi. Ciò che chiaramente differenzia i metodi sono invece le finalità dell‟indagine, perché in Musatti la descrizione obiettiva del fatto è il parametro su cui viene definita la corrispondenza/non corrispondenza (elementi falsi e elementi veri). Nella nostra proposta, invece, il totale degli elementi costituisce il termine di raffronto per valutare la
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potenzialità descrittiva dei reports, vale a dire cioè per esprimere il rapporto tra gli elementi descrivibili e quelli effettivamente descritti (elementi presenti o assenti). Va precisato, per chiarezza, che il termine potenzialità qui non è da intendere nel senso di Zaretti (vedi sopra p. 179): infatti non bisogna confondere la potenzialità (nel senso di possibilità complessiva di percepire - anche maggiore rispetto a quanto si è di fatto percepito) quale criterio adottato per individuare la base di calcolo (ovvero il totale degli elementi) con la potenzialità descrittiva del report. Noi intendiamo in questo caso il grado di compiutezza del documento testimoniale (e non dei singoli reports). Non possiamo, tra l‟altro, con certezza concludere che, pur avendo utilizzato un criterio fenomenologico (per gli scopi e nell‟ambito del significato sopra detti) Zaretti parta da presupposti fenomenologici, cosa che invece si può pacificamente asserire per Musatti e per il metodo adottato nella presente ricerca (e questo è allora un ulteriore punto di contatto tra i due). Infine, per riprendere il discorso della descrizione obiettiva del fatto di Musatti, abbiamo detto che essa è affine alla nostra matrice di classificazione ma sul piano terminologico, nel nostro caso, è più corretto parlare di fatto oggettivo nell‟accezione di fatto oggettivo che abbiamo dato in precedenza (v. par. 3.4 a p. 82) per evidenziare come la nostra griglia sia uno schema utilizzabile per la descrizione ma non sia la descrizione del sinistro, che invece avviene su un piano fenomenologico. 2) Il metodo Musatti e quello messo a punto da Zaretti prevedono entrambi di conteggiare elementi veri e falsi, intendendo con i primi quelli riferiti e corrispondenti rispettivamente alla descrizione obiettiva del fatto o al numero di elementi che potenzialmente potevano essere percepiti, e con i secondi quelli riferiti ma non corrispondenti differendo, come abbiamo visto, solo per i termini del calcolo. Da questo punto di vista, la questione da chiarire è semmai quella riguardante l‟eventuale differenza nelle valutazioni della bontà (in termini generici) delle singole testimonianze che si ottengono qualora si applichi l‟uno o l‟altro metodo - come appunto fatto da Vicario, Zambianchi e Tomat (v. par.1.4 a p. 26). Il metodo utilizzato nella presente ricerca, invece, adotta il meccanismo della presenza/assenza dell‟elemento, per cui la comparazione con la matrice non avviene in termini di conformità/difformità e in tal senso, pertanto, non risulta confrontabile con i precedenti due metodi. Ogni metodo, d‟altro canto, è calibrato sugli scopi dell‟indagine e, come detto (cfr. a pp. 179-180), le finalità cui tende la nostra ricerca sono diverse da quelle cui 181
tendeva il lavoro di Musatti e Zaretti. Infatti in Musatti l‟obiettivo era quello di pervenire a un criterio scientificamente attendibile per una valutazione di tipo quantitativo della qualità della testimonianza ponendosi su un livello di verità/falsità,203 nell‟esperimento di Vicario et al. è quello di indagare se la rivisitazione del metodo Musatti (secondo Zaretti) desse risultati diversi, mentre nella nostra ricerca l‟obiettivo era quello di trovare un modo per quantificare la capacità informativa delle testimonianze raccolte da diversi tipi di documenti. 3) l‟estensione della testimonianza, l‟estensione della conoscenza e la fedeltà della testimonianza differiscono solo nel modo in cui questi indici vengono considerati, a seconda cioè che si utilizzi la descrizione obiettiva del fatto (Musatti) o una selezione degli elementi totali effettuata con un criterio fenomenologico (Zaretti) - merita ricordare, comunque, che Vicario, Zambianchi e Tomat, nel rivisitare l‟esperimento di Musatti, preferiscono sostituire l‟espressione fedeltà della testimonianza con credibilità204 della testimonianza. Fatte salve le distinzioni suddette, vediamo se e come questi concetti siano traducibili nei termini della nostra indagine (Tab. 34 p.183).
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Precisiamo che verità e falsità qui devono essere intese nel senso di corrispondenza/non corrispondenza rispetto agli elementi totali e non come intenzione di dire il vero o il falso. Vedi in particolare par. 2.4.1 p. 49. 204 “Secondo noi la formula di Musatti, pur essendo pertinente, quantifica invece l'attendibilità del soggetto, ovvero la sua credibilità: quanto maggiore è il numero di elementi esatti rispetto al totale degli elementi rievocati (a valido suffragio dell'attendibilità), tanto più si potrà considerare la testimonianza del soggetto come "meritevole di fede". Di qui in avanti, pertanto, parleremo di attendibilità della testimonianza piuttosto che di fedeltà della testimonianza; d'altra parte, è in uso dire "un testimone poco attendibile", "l'attendibilità di una testimonianza". Vicario, L., Zambianchi, E.,Tomat, L. op. cit., ivi p. 41 nota 2.
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Musatti
Base di calcolo
Elementi presi in considerazione
Estensione testimonianza
Estensione della conoscenza
Fedeltà/attendibilità testimonianza
Elenco predeterminato di elementi di cui si compone il fatto oggetto di descrizione (descrizione obiettiva del fatto) = totale
Elementi esatti (corrispondenti) riferiti
Elementi erronei (non corrispondenti) riferiti
Rapporto tra elementi esatti riferiti e descrizione obiettiva del fatto
Fedeltà testimoniale rapporto tra elementi esatti e numero totale degli elementi riferiti
(V)
(F)
Rapporto tra tutti gli elementi riferiti e la descrizione obiettiva del fatto
V+F T
V T
V V+F
Rapporto tra il numero totale degli elementi rievocati e sommatoria degli elementi rievocabili
Rapporto tra elementi esatti riferiti e numero di elementi, determinato con criterio fenomenologico
Attendibilità testimoniale rapporto tra elementi esatti e numero totale degli elementi riferiti
V ΣD
V (V+F)
Rapporto tra gli elementi presenti e fatto oggettivo
Quoziente capacità informativa data dal rapporto tra gli elementi presenti nel report e il numero totale degli elementi del fatto oggettivo
Quoziente fedeltà/attendibilità data dal rapporto tra gli elementi presenti nel report e il numero totale degli elementi del fatto oggettivo
P T
NON CALCOLABILE
NON CALCOLABILE
(T)
Zaretti/ esperimento Vicario, Zambianchi e Tomat
Numero di elementi, determinato con criterio fenomenologico ,
Elementi esatti (corrispondenti) riferiti
Elementi erronei (non corrispondenti) riferiti
(V)
(F)
(ΣD)
Metodo della ricerca svolta in questa tesi
Elenco predeterminato di elementi di cui si compone generalmente il fatto oggetto di descrizioneFatt o oggettivo= totale (T)
V+F ΣD
Presenti
Assenti
(P)
(A)
Tab.34 Fotografia dei criteri utilizzati nei tre metodi e relativa traduzione terminologico/concettuale dei quozienti.
Il modo più simile per comparare il concetto di estensione della testimonianza di Musatti e Zaretti/Vicario et al. è pensare, secondo il nostro metodo, in termini di quante informazioni sono riportate (appunto sono presenti) nel referto testimoniale; in tal senso, l‟estensione della testimonianza per noi si traduce in estensione della capacità informativa. Le ultime due celle della tabella, invece, restano vuote perché non ci sembra vi sia traducibilità, nei termini della nostra analisi, né della estensione della conoscenza né dell‟attendibilità/credibilità della testimonianza in quanto non
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abbiamo i termini vero/falso (V/F) che definiscono o il numeratore o il denominatore delle formule originarie. In sintesi, analizzando le prime due colonne della Tab. 34 (p.183), emerge che: - La base di calcolo dei tre metodi si differenzia per il fatto che il totale (T) viene individuato con criteri differenti dando luogo: a) rispetto al metodo Musatti e Zaretti, solo ad eventuali diversi risultati(v. par.1.4 a p. 26), comunque riferiti agli stessi concetti, e la cui possibile diversità è da leggersi pur sempre nell‟ambito del raggiungimento di medesime finalità (calcolare cioè l‟estensione della testimonianza, l‟estensione della conoscenza, l‟attendibilità/credibilità); b) rispetto al nostro metodo, nonostante la somiglianza concettuale tra la descrizione obiettiva del fatto in Musatti e l‟idea di fatto oggettivo (nel nostro metodo), si registrerebbe, invece, una diversità sia riguardante le finalità (definire cioè l‟estensione della capacità informativa e non l‟estensione della testimonianza) sia quali sono gli aspetti del fatto che vengono a far parte della base di calcolo. Ciò significa che in Musatti e Zaretti cosa so dell‟evento (estensione testimonianza) corrisponde al rapporto tra la somma di quanti elementi veri e falsi sono stati riferiti ed il totale degli elementi (descrizione obiettiva del fatto oppure numero di elementi determinato con criterio fenomenologico), mentre quanto so dell‟evento (estensione della conoscenza) è rappresentato dal rapporto tra quanto di vero è stato riferito e il totale degli elementi. Nella nostra ricerca, invece, l‟elemento presente non è ne vero né falso ma solo informativo di uno o più aspetti strutturali dell‟evento (che ricordiamo essere stato scomposto in 12 elementi e 4 proprietà v. par 4.2.2. pp. 95-98); e non sembrerebbe in alcun modo da considerare falso quello assente che invece costituisce il massimo di insufficienza informativa. Concludendo le argomentazioni sopra espresse spiegano contemporaneamente la diversità dei tre metodi per quanto riguarda l‟estensione della testimonianza e l‟assenza di formule nel nostro modello inerenti l‟estensione della conoscenza e l‟attendibilità/credibilità (stante la impossibilità di avere stessi/simili numeratori e denominatori e per non essere quei quozienti traducibili in altro - cosa che invece è stato possibile fare, con le dovute precisazioni, con l‟estensione della testimonianza ovvero, per noi, estensione della capacità informativa). L‟estensione della capacità informativa della testimonianza, a nostro avviso, coglie un aspetto ben integrabile con quelli presi in considerazione negli altri metodi e 184
utile ai fini pratici. In un contesto sperimentale infatti, con l‟utilizzo di scene cinematografiche che permettono il riscontro di corrispondenze o meno (cosa che in una reale situazione come la nostra non è possibile fare se non quando sono presenti telecamere in funzione nel luogo del sinistro), si può pervenire al conteggio dell‟estensione della testimonianza (V+F/T o V+F/ΣD), dell‟estensione della conoscenza (V/T o V/ΣD), del livello di attendibilità della testimonianza (V/V+F) ma anche del grado di capacità descrittivo/informativa (P/T) aggiungendo la valutazione della presenza/assenza di riferimenti ad aspetti che potenzialmente sono utili a definire lo scheletro dell‟evento. L‟utilizzo combinato dei vari metodi darebbe la possibilità di conoscere: di che cosa parlano i reports (piano oggettuale), quanto ne parlano (quoziente di estensione del grado di informatività dell‟elemento e delle proprietà emerso dal nostro lavoro), come ne parlano (quale linguaggio descrittivo viene utilizzato) oltre all‟estensione, della conoscenza e della attendibilità/credibilità della testimonianza secondo il metodo o Musatti o Zaretti. Detto altrimenti, l‟apporto che il nostro metodo potrebbe fornire in aggiunta a quelli di Musatti e Zaretti riguarda essenzialmente la base di calcolo; infatti accanto alla descrizione obiettiva del fatto (T - Musatti) o al numero di elementi determinato con criterio fenomenologico (T - Zaretti), e delle cui modalità di individuazione abbiamo sopra detto, si può aggiungere un nuovo totale determinato dalla definizione operazionale degli elementi che verosimilmente definiscono l‟identità dello specifico fatto a partire dagli aspetti invarianti che la struttura di quel fatto condivide con la classe di fatti affini (noi abbiamo analizzato il caso del sinistro stradale, ma una struttura adeguata potrebbe essere ovviamente identificata per altri fatti di interesse: rapine, furti ecc.). Quindi il nostro metodo suggerisce che è possibile individuare deduttivamente e induttivamente, sulla base delle informazioni contenute normalmente nei reports testimoniali, una struttura (elementi e proprietà) per una certa classe di eventi che funge in qualche modo da lente da utilizzare per analizzare cosa è detto e cosa non è detto nei report rispetto al presumibile evento, quali informazioni sono presenti e quali invece mancano. Ciò è utile, operativamente, perché ci consente di verificare la capacità informativa degli strumenti in uso per la rilevazione/ricostruzione dell‟evento/reato (cioè la capacità/probabilità che le testimonianze raccolte con un certo strumento ci 185
parlino o meno di certi elementi o proprietà dell‟evento da ricostruire e quindi la necessità di utilizzare uno o più strumenti per coprire tutto lo spettro potenziale di elementi e proprietà che si possono descrivere in merito ad esso e che potrebbero essere di interesse per la decisione legale/assicurativa oltre che per ragioni epistemologiche). Ma ciò può essere utile anche rispetto ad un altro ambito e cioè: la scarsità/insufficienza
informativa
di
una
testimonianza,
riguardo
a
specifici
elementi/aspetti dell'evento, definisce un margine di inferenze che l‟utilizzatore (Giudice, avvocato, operatore di polizia) attiverà nella ricostruzione dell‟evento, per completare (quasi per interpolazione) le informazioni mancanti (cfr. in questa tesi p. 63, Bennet, Feldam, 1981): ma quanto è ampio tale margine? Possiamo dire che nel caso in cui in una testimonianza si registri la presenza di 4/12 elementi, con un quoziente quindi di capacità informativa pari al 0,33, il rimanente 0,67 costituisce lo spazio potenziale di interpretazione? Apparentemente così sembra perché se una testimonianza non descrive certe cose o aspetti di un sinistro (o di altro evento) significa che il vuoto informativo descritto deve essere in qualche modo colmato per avere l‟intero dell‟avvenimento. Questi due indici complementari che esprimono allora il quoziente informativo da un lato e la differenza “potenzialmente interpretativa”, dall'altro, potrebbero avere qualche interesse operativo perché danno corpo numerico ad un aspetto (interpolazione, inferenza) del quale gli addetti ai lavori non sempre sono consapevoli. Più alto è il valore della differenza, più (sembrerebbe) alta la potenziale incidenza dell‟intervento interpretativo dell‟utilizzatore (giudice, assicuratore) nella ricostruzione finale del sinistro e, in questo senso, l‟indice potrebbe fungere da indicatore del potenziale rischio interpretativo. Ma per ora queste osservazioni rimangono solo ad un primo livello di problematizzazione, in attesa di sviluppi futuri.
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203
APPENDICE
Nelle seguenti pagine sono state riportate delle tabelle sintetiche per ciascuno dei 6 documenti indagati. Esse vogliono fornire un riassunto dei risultati emersi tanto che il lettore possa avere una immediata fotografia delle caratteristiche di ciascuno dei reports. Si precisa che alcune di esse rappresentano solo le presenze/assenze dei 12 elementi e delle 4 proprietà riscontrati nel corpus analizzato (50 sinistri), altre sono espresse contemporaneamente sia in termini di presenza/assenza che di frequenza o di percentuale di frequenza. La scelta, sia pure non rispondente ad una metodologia ortodossa stante la disomegeneità dei criteri, dipende dal fatto che, come emerge dalla lettura dei risultati, di tutti gli elementi e proprietà si è classificata la presenza/assenza, ma solo di alcuni di essi si è calcolata la frequenza (es. azioni, cause), a volte anche in specifico riferimento ad alcuni aspetti (es. localizzazione rispetto all‟ambiente, sistema spaziale alloegocentrico, dotazione/linguaggio utilizzato); in altri casi è stata fatta un‟analisi in base ai diversi ruoli dei soggetti descrittori (es. naïve e esperti nelle descrizioni basate su dimensioni contrarie). Per questo motivo sono state introdotte, nelle singole tabelle, alcune specificazioni per orientarsi nella lettura. Chiariti questi aspetti (e se vogliamo limiti) ci è sembrato potessero essere comunque di utilità: rispecchiano fedelmente i risultati ottenuti fornendo un‟immagine sintetica degli stessi. A p. 212 è presente una legenda delle sigle utilizzate nel testo e nelle tabelle.
204
DOCUMENTO D1. TESTIMONIANZA TESTE COINVOLTO (TC) D1 teste coinvolto (tc) Presenza elementi
Segnaletica (27/50) Strada (48/50) Tempo (50/50) Urto (45/50) Veicoli (50/50)
Presenza Proprietà Estensive
Intensive
Topologiche
Vel. 0/50
Dist. 0/50
Altro 0/50
Strut. 26/50
Qual. 5/50
L 23/50
O 11/50
0/50
0/50
0/50
1/50
0/50
0/50
0/50
0/50
0/50
1/50
2/50
0/50
23/50
0/50
8/50
5/50
1/50
43/50
2/50
50/50
49/50
D1 teste coinvolto (tc)
Lp
4/50
Tempo Op
Es
Test.
Int.
X
X
1/50
43/50
49/50
0/50
Presenza tipologia azioni Eseg.
scopo
Iniziate
scopo
Progr.
scopo
Sub.
scopo
Cogn.
scopo
Perc.
scopo
Opin.
scopo
50/50
19/50
11/50
4/50
7/50
2/50
2/50
0/50
16/50
0/50
29/50
1/50
3/50
0/50
Presenza elemento
Azioni (50/50)
Presenza tipologia informazioni causali nessi diretti Nc dir
D1 teste coinvolto (tc)
Presenza elemento Causa (37/50)
nessi diretti con responsabilità Nc dir vnc
nessi adiacenti Nc adiac
nessi adiacenti con responsabilità Nc adiac vnc
nessi non adiacenti Nc non adiac
tc
(20) altro
ac
tc
(11) altro
ac
tc
(12) altro
ac
tc
(2) altro
ac
tc
(8) altro
ac
7
3
10
4
1
6
5
7
0
0
0
2
5
3
0
nessi non adiacenti con responsabilità Nc non adiac vnc (0) tc altro ac 0
Frequenze e/o percentuali di frequenze (proprietà, dotazione/linguaggio) D1 teste coinvolto (tc)
Riferimento spaziale (solo veicoli) Ego Allo la,lv,ls la,lv,ls
Metr.
Proprietà Estensive Intensive struttura Intensive qualità Topologiche loc. entro e post sinistro (189/285 pari al 66%) Topologiche or. entro e postsinistro (96/285 pari al 34%) Temporali entro sinistro Temporali testimonianza Temporali intervento
Dotazione/linguaggio (12 elementi e 4 proprietà) Fen. Metr-fen.
Circa il 100%
Percentuale residua (di nessun rilievo)
100% 100% 14,3%: 78% la 11% ls 11% lv 8,34%: 75% la 25% ls 0 lv
85,7% : 61,72% la 32,11% ls 6,17% lv 91,66%: 96,60% la 3,40% ls 0 lv
100%
100%
Circa il 100% 100%
205
Percentuale residua (di nessun rilievo)
0
0
DOCUMENTO D2. TESTIMONIANZA TESTE NON COINVOLTO D2 teste non coinvolto (tnc) Presenza elementi
Presenza Proprietà
Estensive
Segnaletica (27/50) Strada (48/50) Tempo (50/50) Urto (45/50) Veicoli (50/50)
Intensive
Topologiche
Vel. 0/50
Dist. 0/50
Altro 0/50
Strut. 21/50
Qual. 5/50
L 17/50
O 4/50
0/50
0/50
0/50
1/50
0/50
0/50
0/50
0/50
0/50
1/50
4/50
0/50
13/50
0/50
13/50
4/50
3/50
48/50
14/50
50/50
44/50
D2 teste non coinvolto (tnc)
Lp
9/50
Tempo Op
3/50
Es
Test.
X
X
43/50
49/50
Int.
0/50
Presenza tipologia azioni Eseg.
scopo
Iniziate
scopo
Progr.
scopo
Sub.
scopo
Cogn.
scopo
Perc.
scopo
Opin.
scopo
50/50
15/50
8/50
2/50
4/50
0/50
7/50
1/50
18/50
0/50
38/50
0/50
11/50
0/50
Presenza elemento
Azioni (50/50)
Presenza tipologia informazioni causali nessi diretti Nc dir
D2 teste non coinvolto (tnc) Presenza elemento
tc
(22) altro
Causa
11
2
nessi diretti con responsabilità Nc dir vnc
ac
tc
(11) altro
9
6
0
nessi adiacenti Nc adiac
ac
tc
(5) altro
5
0
4
nessi adiacenti con responsabilità Nc adiac vnc (3) altro
ac
tc
1
1
nessi non adiacenti Nc non adiac
ac
tc
(4) altro
2
0
3
0
ac
tc
(0) altro
1
0
0
(32/50)
Frequenze e/o percentuali di frequenze (proprietà, dotazione/linguaggio) D2 teste non coinvolto (tnc)
Riferimento spaziale (solo veicoli) Ego Allo la,lv,ls la,lv,ls
Metr.
Proprietà Estensive Intensive struttura Intensive qualità Topologiche loc. entro e post sinistro (237/333 pari al 71,18%) Topologiche or. Entro e post sinistro (96/333 pari al 28,82%) Temporali entro sinistro Temporali testimonianza Temporali intervento
Dotazione/linguaggio (12 elementi e 4 proprietà) Fen. Metr-fen.
Circa il 100%
Percentuale residua (di nessun rilievo)
100% 100% 7,18%: 24% la 5% ls 71% lv 5%: 66% la 0 ls 33% lv
92,82%: 61,82% la 23,63% ls 14,55% lv 95 %: 98% la 0 ls 2% lv
Circa il 100%
Circa il 100%
100% 100%
206
nessi non adiacenti con responsabilità Nc non adiac vnc
Percentuale residua (di nessun rilievo)
ac 0
DOCUMENTO D3. DINAMICA D3 dinamica (operatore)
Presenza Proprietà Estensive
Presenza elementi
Azioni (50/50)
Topologiche
Vel. 0/50
Dist. 0/50
Altro 0/50
Strut. 25/50
Qual. 5/50
L 22/50
O 14/50
0/50
0/50
0/50
2/50
10/50
0/50
0/50
Urto (45/50) Tracce 6/50 Veicoli (50/50)
0/50 0/50
0/50 0/50
4/50 2/50
3/50 3/50
1/50 0/50
35/50 3/50
0/50 0/50
3/50
4/50
8/50
45/50
1/50
50/50
49/50
Eseg.
scopo
Iniziate
scopo
Progr.
scopo
Sub.
scopo
50/50
12/50
7/50
2/50
9/50
2/50
18/50
0/50
Segnaletica (27/50) Strada (48/50) Tempo (50/50)
D3 dinamica (operatore) Presenza elemento
Intensive
Lp
Tempo Op
Es
Test.
Int.
0/50
X
16/50
8/50
32/50
0/50
Cogn.
scopo
Perc.
scopo
Opin.
scopo
9/50
0/50
12/50
0/50
50/50
0/50
Presenza tipologia azioni
Presenza tipologia informazioni causali nessi diretti Nc dir
D3 dinamica
Presenza elemento
tc
(34) altro
Causa (45/50)
20
2
nessi diretti con responsabilità Nc dir vnc
ac
tc
(42) altro
12
27
2
ac
nessi adiacenti Nc adiac
tc
13
0
nessi adiacenti con responsabilità Nc adiac vnc
(7) altro
ac
tc
7
0
0
nessi non adiacenti Nc non adiac
(1) altro
ac
tc
1
0
1
(1) altro
ac
0
0
Frequenze e/o percentuali di frequenze (proprietà, dotazione/linguaggio) D3 dinamica (operatore)
Riferimento spaziale (solo veicoli) Ego Allo la,lv,ls la,lv,ls
Proprietà Estensive
Intensive struttura Intensive qualità Topologiche loc. entro e post sinistro (244/356 pari a 68,53% ) Topologiche or. Entro e post sinistro (112/356 pari a 31,47% ) Temporali entro sinistro Temporali testimonianza Temporali intervento
Metr.
*Percentuale di minimo rilievo simile a metr.-fen.
0,90%: 100% la
100%: 55,32% la 9,84% lv 14,34% ls 99,10%: 100% la
207
Dotazione/linguaggio (12 elementi e 4 proprietà) Fen. Metr-fen.
Circa il 100% (per residua percentuale vedere *) 100% 100%
*Percentuale di minimo rilievo simile a metr.
93%
7%
Circa 100%
Percentuale residua (di nessun rilievo)
nessi non adiacenti con responsabilità Nc non adiac vnc (1) tc altro ac 0
0
1
DOCUMENTO D4. VERBALE D4 verbale (operatore)
Presenza Proprietà Estensive
Presenza elementi Segnaletica (34/50) Strada (50/50) Tempo (50/50) Urto (38/50) Veicoli (50/50) Danni (31/50) Meteo (50/50) Traffico (48/50) Visibilità (49/50) D4 verbale operatore Presenza elemento Azioni (39/50)
Intensive
Topologiche
Vel. 0/50
Dist. 0/50
Altro 0/50
Strut. 14/50
Qual. 0/50
L 0/50
O 31/50
0/50
0/50
3/50
38/50
50/50
0/50
0/50
Tempo
Lp
Op
Es
Test.
Int.
X 0/50
0/50
0/50
38/50
0/50
0/50
0/50
0/50
0/50
49/50
50/50
45/50
0/50
0/50
0/50
0/50
11/50
26/50
20/50
31/50
1/50
48/50
48/50
38/50
30/50
49/50
0/50
0/50
0/50
0/50
50/50
Presenza tipologia azioni Eseg.
scopo
Iniziate
scopo
Progr.
scopo
Sub.
scopo
Cogn.
scopo
Perc.
scopo
Opin.
scopo
0
0
0
0
0
0
39/50
0
0
0
0
0
0
0
Percentuali di frequenze (proprietà, dotazione/linguaggio) D4 verbale operatore
Riferimento spaziale Ego la,lv,ls
Proprietà Estensive
Allo la,lv,ls
Metr.
100% solo veicoli
Intensive struttura
Intensive qualità
Temporali entro sinistro Temporali testimonianza Temporali intervento
100%
208
Dotazione/linguaggio (12 elementi e 4 proprietà) Fen. Metr/fen.
100% danni- urtostrada-segnaleticatraffico- visibilitàmeteo 100% veicoli-danniurto-stradasegnaletica-trafficovisibilità-meteo 100% veicoli-danniurto-stradasegnaletica-trafficovisibilità-meteo
DOCUMENTO D5. DANNI D5 danni (operatore) Presenza elementi Veicoli (50/50) Danni (49/50)
Presenza Proprietà Estensive
Intensive
Topologiche
Vel. 0/50
Dist. 0/50
Altro 25/50
Strut. 50/50
Qual. 1/50
L 0/50
0/50
0/50
19/50
46/50
32/50
49/50
O 0/50
Lp 0/50
Tempo Op 0/50
Percentuali di frequenze (proprietà, dotazione/linguaggio) D5 danni (operatore)
Proprietà Estensive Intensive struttura Intensive qualità Topologiche localizzazione Topologiche orientamento
Riferimento spaziale (solo danni) Ego Allo la,lv,ls la,lv,ls
Dotazione/linguaggio (12 elementi e 4 proprietà) Metr.
Fen.
100% 100% 100% 100% lv
209
Metr/fen.
Es 0/50
Test. 0/50
Int. 0/50
DOCUMENTO D6. SCHIZZO DI CAMPAGNA D6 schizzo di campagna (operatore)
Presenza Proprietà
Estensive
Presenza elementi Segnaletica (45/50) Strada (50/50) Tracce (18/50) Urto (45/50) Veicoli (48/50)
Intensive
Topologiche
Vel.
Dist.
Altro
Strut.
Qual.
L
O
0/50
0/50
0/50
43/50
0/50
44/50
44/50
0/50
0/50
43/50
48/50
44/50
41/50
44/50
0/50
0/50
16/50
19/50
1/50
20/50
14/50
0/50
0/50
1/50
0/50
0/50
12/50
0/50
4/50
3/50
48/50
0/50
2/50
1/50
Tempo
Lp
Op
48/50
44/50
Es
Test.
Frequenze e/o percentuali di frequenze (proprietà, dotazione/linguaggio) D6 schizzo di campagna (operatore)
Riferimento spaziale (solo veicoli) Ego la,lv,ls
Allo la,lv,ls
Proprietà Estensive
Intensive struttura Intensive qualità Topologiche loc. entro e post sinistro (420/683 pari a 61,50%) Topologiche or. entro e post sinistro (263/683 pari a 38,50%)
Dotazione/linguaggio (12 elementi e 4 proprietà) Metr.
Fen.
Percentuale residua (irrilevante)
Quasi il 100% 100% 100%
100%: 50 % la 18 % lv 32% ls 100%: 35% la 30% lv 35% ls
210
38%
62%
100%
Metr/fen.
Int.
Frequenze dimensioni contrarie e intermedie Proprietà
polarizzate Naïve (teste coinvolto e non - doc. D1 e D2)
Estensive Intensive struttura Intensive qualità Topologiche localizzazione Topologiche orientamento Tempo (solo entro sinistro)
intermedie
Esperti (operatori doc. D3 dinamica, D4 verbale, D5 danni)
Naïve (teste coinvolto e non - doc. D1 e D2)
Esperti (operatori doc. D3 dinamica, D4 verbale, D5 danni)
30 1
60 134
7 0
45 0
8
160
0
25
135
189
9
33
113
196
2
2
41
18
31
10
211
D1 tc
SIGLE
LEGENDA Documento 1 testimonianza teste coinvolto nel sinistro (tc)
D2 tnc
Documento 2 testimonianza teste non coinvolto (tnc)
D3 din.
Documento 3 dinamica (operatore)
D4 verb.
Documento 4 verbale (operatore)
D5 danni
Documento 5 scheda danni (operatore)
D6 schiz.
Documento 6 schizzo di campagna (operatore)
ac
Altro conducente coinvolto nel sinistro
x-x1-x2
Altri conducenti non coinvolti ma non testi
lv
Localizzazione/orientamento rispetto veicoli
la
Localizzazione/orientamento rispetto ambiente
ls
Localizzazione/orientamento rispetto alla strada
Cause dir.
Cause direttamente collegate all‟urto
Cause dir. vnc
Cause direttamente collegate all‟urto con responsabilità ai sensi Codice della Strada
Cause adiac.
Cause adiacenti all‟urto
Cause adiac. vnc
Cause adiacenti all‟urto con responsabilità ai sensi del Codice della Strada
Cause non adiac.
Cause non adiacenti all‟urto
Cause non adiac.
Cause non adiacenti all‟urto con responsabilità ai sensi del Codice della Strada
Tempo entro sinistro (in tab. es)
Tempo dello svolgimento delle azioni nella fase dinamica del sinistro
Tempo testimonianza (in tab. test.
Tempo di raccolta delle dichiarazioni testimoniali
Tempo intervento (in tab. int.)
Tempo arrivo degli operatori sulla scena del sinistro
L-Lp (in tab.)
Localizzazione entro sinistro - localizzazione post-sinistro
O-Op (in tab.)
Orientamento entro sinistro - orientamento post-sinistro
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