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UNA BIBLIOTECA "MAGGIORENNE
In alto: Visione della prima sede della biblioteca.
Sotto l'albero di questo Natale 1988 abbiamo trovato la sorpresa che aspettavamo da tempo: il trasferimento della Biblioteca nella nuova sede della Rocca Farnese. Non poteva esserci miglior modo che questo per celebrare degnamente il diciottesimo compleanno della nostra biblioteca. E lontano quel 1971 allorché questa struttura muoveva i primi passi con le attrezzature del piano " L " (Lettura) del Ministero della Pubblica Istruzione. Da quell'anno la Biblioteca ha fatto passi da gigante tanto che, rilevatisi insufficienti i locali del 2° piano del Municipio, si dovette procedere alla ristrutturazione di alcuni ambienti siti al piano terra dello stesso palazzo e lì trasferire la "nostra casa della cultura". Nel ripercorrere questi primi diciotto anni di attività non si possono dimenticare i vari Sindaci, gli Amministratori e lo stesso Commissario Prefettizio che si sono succeduti alla guida del Comune per l'attenzione con cui hanno seguito l'istituzione della Biblioteca avvenuta nel 1969, la sua apertura del 1971, i vari interventi migliorativi apportati ad una struttura che la gente di Valentano ha saputo apprezzare e utilizzare. Ancora la nostra gratitudine va alla Dott. Maria Sciascia, Soprintendente Bibliografico prima del Ministero P.I. e quindi della Regione Lazio, per la simpatia riservata alla nostra Biblioteca. Ad essa vanno associati tanti altri funzionari della Regione Lazio che ci sono stati vicini e, in particolare, le Dott.sse Paola Camerino, Nicoletta Campus ed Elisabetta Forte, il Dott. Alberto Pronti. Grazie! Non possiamo dimenticare di ringraziare i Direttori del Sistema Bibliotecario Provinciale, Dott. Attilio Carosi e Giovanni Battista Sguario, gli Amministratori e il Personale del Consorzio Biblioteche di Viterbo per l'assistenza tecnica prestataci, l'amicizia e la stima che dimostrano nei nostri frequenti contatti. Dal 1989 inizierà non solo un anno nuovo ma, ce lo auguriamo, anche un nuovo ciclo. Al miglioramento delle strutture (con l'ampia biblioteca i servizi culturali acquisiscono una attrezzata sala conferenze, una sala mostre e il primo nucleo dell'istituito Museo della Rocca) corrisponderà certamente anche quello di un servizio attraverso cui i cittadini di Valentano e i tanti altri amici che si rivolgono a questa struttura tendono a migliorare il proprio bagaglio di civiltà e cultura. E, questo, non è cosa da poco! •ìi-k-k
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"LA CULTURA" UNA RICCHEZZA PERSONALE AMPLIABILE GRAZIE ALLA PRESENZA DELLE FONTI ARCHIVISTICHE E DELLE BIBLIOTECHE
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Valentano - Archivio Storico Notizia della presa di Budapest del 1686
Il progresso scientifico e tecnologico, il miglioramento dei mezzi di comunicazione e la presenza di nuovi strumenti che permettono di affrontare scientificamente qualsiasi disciplina (vedi uso del computer) hanno migliorato il rapporto tra lo studioso e la materia da lui considerata, in virtù di una maggiore quantità e qualità, anche se quest'ultima a volte, purtroppo, manca di elaborati e pubblicazioni che vengono immessi sul mercato. Questo mutamento rischia comunque di non essere sfruttato a causa del gravo economico e della mancanza di tempo che si creerebbero a carico del singolo, desideroso di arricchire le proprie conoscenze, specialmente quando queste non riguardano la sua attività principale, ma fanno parte del tempo libero. In tale contesto si inserisce il complesso di strutture quali archivi, pubblici o privati che siano, biblioteche, circoli culturali, la cui funzione dovrebbe essere quella di mettere a disposizione del cittadino il materiale che permetta, per lo meno, di acquisire quelle conoscenze di base con le quali poter poi affrontare gli studi a cui si è interessati. Ecco, allora, che tali istituzioni debbono aprirsi verso coloro che ad esse si riferiscono, fornendo tutto quel materiale che possono accumulare nel tempo, magari grazie ai consigli dei lettori, degli studiosi e dei professionisti, quan-
do tali consigli possono favorire l'acquisto e quindi la consultazione di lavori che poi risultino di pubblico interesse. In tal modo si delinea anche la figura di colui che, frequentando una biblioteca o un circolo culturale, deve fornire i propri suggerimenti e le proprie idee non puntando esclusivamente alla propria e singola necessità, ma cercando di far sì che il testo a lui servito non resti poi un ammasso di fogli rilegati la cui unica funzione sarà quella di occupare un posto nello scaffale, e ciò a causa della noncuranza per esso provata da coloro che, non interessati da particolari e specifici argomenti,non potrebbero, in base alle loro conoscenze, nemmeno considerarlo. Un buon rapporto tra lo studioso e le fonti culturali è fondamentale, e non solo quando lo studioso è già formato, ma ancor più quando è in formazione. In tal modo lo studente universitario potrà avere una quantità maggiore di materiale su cui lavorare o a cui riferirsi; lo studente liceale potrà non trovare difficoltà nell' affrontare i primi approfondimenti delle materie studiate, ed anche gli alunni delle scuole elementari, se ben guidati dai loro insegnanti, potranno avere i primi contatti, in modo particolare con la storia, grazie alla visione ed alla considerazione di documenti che si riferiscono alle epoche passate, Ciò è stato evidenziato dai lavori
svolti nel 1987 da alcune classi della scuola Luigi Concetti di Viterbo (vedi Scaffale Aperto n° 26), grazie alla documentazione fornita dall'Archivio di Stato del capoluogo. Da questi lavori ne è stato tratto un altro successivo, presentato nella mostra intitolata "Tra scuola e archivio", consistente in una breve analisi degli aspetti economici, politici e sociali di Viterbo dal 1818 al 1857, svoltasi nella stessa Viterbo dal 5 all' 11 dicembre 1988, e che può considerarsi l'approfondimento dell'argomento precedentemente trattato. La cosa più rilevante di questi lavori, comunque, può essere dedotta analizzando gli estratti degli elaborati personali degli alunni, posti nelle ultime pagine della guida alla mostra, dai quali si deduce come gli alunni stessi siano venuti a conoscenza di usi, costumi, attività del periodo considerato, utilizzando materiale risalente a tale periodo. Al di fuori di un rapporto strettamente scolastico è invece da ritenere 10 scambio culturale conclusosi nel mese di novembre dello scorso anno tra l'I.T.C.G. "Dalla Chiesa"di Montefiascone ed il Gimnasium Veres Peter di Budapest, che ha visto la possibilità per alcuni studenti del paese che si affaccia sul Lago di Bolsena di conoscere usi e costumi della cultura ungherese, mentre ad altri studenti provenienti da tale nazione è stata data la possibilità di avere un approccio con la nostra. Nell'ambito di tale iniziativa è stato illustrato da P a d r e Piacentini, del convento di S. Francesco di Viterbo, 11 rinvenimento nella biblioteca del convento stesso del diario di Michele d'Aste sull'assedio di Budapest del 1686; assedio al quale si riferiscono alcuni documenti conservati qui a Valentano, nell'archivio comunale. Queste varie e molteplici attività mettono quindi in evidenza quanto siano numerose le forme che la cultura può assumere, rimanendo comunque certo il fatto che la sua presenza ed il suo livello nel singolo individuo sono frutto esclusivamente del lavoro e del desiderio dell'individuo stesso. Vincenzo Natali
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ARCHEOLOGIA E TERRITORIO Il G.A.V. o, meglio, il G R U P P O A R C H E O L O G I C O "VERENTUM", prendeva le mosse nell'agosto 1986. In quella prima riunione di fondazione del Gruppo si contarono solo una decina di soci, oggi siamo circa il triplo. La nostra crescita non è stata solamente quantitativa ma, soprattutto, qualitativa poiché il lavoro fin qui svolto ha contribuito ad ampliare l'orizzonte storico sul territorio del nostro paese. Le ricerche archeologiche e le pubblicazioni scientifiche fissavano i primi reperti alla protostoria (Monte Saliette, Lago di Mezzano). Il nostro gruppo è riuscito a spostare di migliaia di anni più indietro questo limite cronologico raggiungendo, con uno chopper, il Paleotitico Medio (80.000-35.000 anni fa). Certamente le difficoltà incontrate e che tuttora affrontiamo sono enormi e sono dovute, soprattutto, alle insufficienti conoscenze del mondo e delle tecniche archeologiche. Tuttavia l'entusiasmo è tale da fornirci costantemente la carica per la ricerca sul territorio. Questa ricerca viene effettuata dapprima attraverso una meditata ed attenta ricognizione superficiale, quindi con lo studio del materale recuperato. Va precisato che l'attività del gruppo è limitata alla sola ricognizione superficiale, è lontana da noi ogni idea di scavo e questo per due motivi: il primo perchè non ne siamo autorizzati, il secondo in quanto non saremmo in grado di effettuarlo nel richiesto modo scientifico. Il lavoro del gruppo (essendo volontari non percepiamo alcun compenso) è finalizzato al recupero e alla conservazione del patrimonio storico: l'elaborazione della mappa archeologica di Valentano costituisce la finalità centrale di questi primi anni di attività. Le ricognizioni non vengono effettuate "girovagando a caso" sul territorio ma vengono praticate dopo una accurata lettura delle caratteristiche del territorio da analizzare. Il materiale recuperato viene consegnato e costudito nei locali della Biblioteca Comunale e messo a disposizione dei funzionari della Soprintendenza Archeologica per l'Etruria Meridionale. In tempi successivi, con l'ausilio degli stessi archeologi, si procede alla pulizia e alla classificazione.
Ascia neoliticarinvenutadal G.A. V. (dis. V. Natali)
Tra i materiali archeologici recuperati e degni di interesse, dovremmo citarne alcuni provenienti da una villa romana localizzata nel Piano. Durante le ricognizioni dell'agosto/settembre 1986, vennero recuperate cinque monete di bronzo, tutte in buone condizioni in quanto leggibili di cui quattro di età repubblicana ed una di età imperiale (Antonino Pio, 153d.C.), parte di macine, pesi da telaio, due tazze frammentate, il castone di un anello in bronzo con l'incisione del dio Mercurio. L'effigie di questo anello è diventato, poi, il distintivo ufficiale del G.A.V., grazie alla realizzazione grafica del prof. Mario Balestra. Una relazione più dettagliata di questo recupero venne presentata al convegno dei G.A.I. dell'Italia Centrale tenutosi a Montefiascone nel dicembre 1986. Questi ritrovamenti furono facilitati, soprattutto, dai lavori di scavo effettuati dalla Comunità Montana in un tratto del Piano e che portarono in superficie il sottostante materiale della villa già da noi individuata. L'attività che, però, occupa maggiormente l'attenzione del G.A.V. è quella della ricerca preistorica. In questa indagine siamo riusciti ad ottenere dei buoni risultati, in quanto abbiamo individuato ben cinque nuovi insediamenti preistorici, oltre a quelli noti (Monte Stamina, Monte Saliette, Lago di Mezzano). Tali siti sono già stati segnalati alla competente Soprintendenza Archeologica. Il materale preistorico recuperato è costituito, essenzialmente, da manufatti litici che risalgono al Paleolitico Superiore (35.000-10.000 a.C.) comprendenti nu-
clei, lame di diverse grandezze, differenti tipi di grattatoi, punte, raschiatoi. Le successive età neolitiche ed eneolitiche offrono, accanto ai manufatti litici, anche quelli ceramici: frammenti di olle, dolii, bollitoi, tazze. Sono pure presenti fusioni di bronzo. Degni di maggiore attenzione, per la loro funzionalità ed estetica, sono tre piccole asce in pietra, delle punte di freccia e delle piccole lame in ossidiana. Materiale quest'ultimo che, provenendo da limitatissime aree del Mediterraneo (Lipari, Palmarola, Milo), ci permette di comprendere quali fossero già le vie dei commerci in quelle epoche. Abbiamo rilevato, ancora come la distribuzione di questa ossidiana sia presente soprattutto negli insediamenti posti lungo un tratto dell'Olpeta. Si può ritenere che questo materiale sia risalito a Valentano dal fiume Fiora, attraverso l'Olpeta. Proprio nelle vicinanze di questo fiume, attraverso la nostra ricerca storica, è stato individuato un grosso insediamento forse dell'età del ferro. Per non trarre conclusioni troppo azzardate, diciamo che tutto il nostro lavoro sarà ampiamente documentato nella mostra sugli insediamenti preistorici sul nostro territorio che stiamo ultimando in questi mesi. Si può concludere affermando che l'attività del G.A.V. non vuole limitarsi alla sola conservazione e recupero del nostro patrimonio storico-culturale, ma tra le sue finalità è evidente quella della valorizzazione del territorio. La realizzazione del Museo nella Rocca Farnese non' dovrebbe essere che l'inizio e lo stimolo per nuove attività, sia per il nostro gruppo che per altre associazoni o enti. L'Etruria Meridionale, sino ad oggi, è stata purtroppo meta di visitatori distratti o, meglio, attenti solo ai grandi centri, soprattutto etruschi. Gran parte della Tuscia è sconosciuta ai più, qualcosa conoscono gli ambientalisti e i locali cultori di archeologia. Troppo, certamente, conoscono i clandestini: per essi, dalla Preistoria al Medioevo, la Tuscia è solo e soltanto una "cava di cocci". Bonafede Mancini Direttore G.A.V.
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IL LUPO MANNARO di Clodomiro Mancini Ho quasi sessantanni e mi ritengo "storicamente" un uomo fortunato perchè ho trascorso una parte della mia vita, importante, quella dell'adolescenza, prima della rivoluzione. La rivoluzione economica, dei costumi e del modo di vevere del dopo-guerra che ha ribaltato tutti i parametri col passato. Ho vissuto questo periodo in un paese dell'Alto Lazio isolato dalle più importanti vie di comunicazione. Ho respirato qui l'aria di altri tempi perché la guerra aveva come congelato le tradizioni, il modo di vivere e di pensare antico dei paesani. Il ricordo di quei tempi è insieme personale nostalgia e rimpianto ma anche, attraverso un filtro razionale costruito, motivo di considerazioni su una cultura popolare che sentivo erede del medioevo, viva fino a ieri. Che bel maiale, commare, S. Martino1. Laddove la invocazione del Santo toglieva automaticamente l'eventuale malocchio che la frase d'ammirazione poteva nascondere. La preposizione liberatoria era d'obbligo se non si voleva disegnare sul viso dell'interlocutore qualche segno di disappunto, velato appena, quando l'interlocutore fosse stato un ignaro cittadino. Di tanto in tanto la zia, preoccupata del mio pallore (appetito insoddisfatto, fantasie erotiche della pubertà, costituzione linfatica?) mi prendeva con le buone o con le cattive e mi metteva davanti ad un piatto con dell'acqua, nella quale versava alcune gocce d'olio. Scrutava con attenzione le forme che esse assumevano galleggiando, mi segnava la fronte con la croce. Così mi toglieva il malocchio responsbile del mio disagio fisico. Ma già allora mi consideravo un illuminista ante litteram e non potevo prendere sul serio queste credenze da donnicciole: per cui, in mancanza della fede necessaria, continuavo a diventare sempre più lungo e pallido. Ma c'era un'altra cosa strana, fantastica, sulla quale non mi sentivo di ridere. La "cosa" riguardava lo zio Edoardo. Era di poche parole lo zio, ma forse proprio per questo le poche che diceva acquistavano per me più valore perchè sublimate nella loro rarefazione, pensate e ricche di un carisma antico. Era lui che mi parlava del lupo mannaro. Alla sera, a cena, l'unico vero pasto della giornata: il taglio ieratico del pane con il coltello personale estratto dal gilè (un serramanico a punta mozza che altrimenti proibito dalla legge), le fette fragranti distribuite con cura nel vassoio a farsi soffocare dalla valanga liquida e bollente dei fagioli appena tolti dalle braci del camino... le bollicine liberate dagli interstizi d'aria creati dal pane sul fondo... L'attesa, perchè l'amalgama diventasse perfetto. Ecco, questo tempo breve di attesa poteva essere un momento di conversazione, almeno il prolegomeno all'argomento da me sollecitato. Poi, dopo il silenzio del pasto, il parlare continuava attorno al fuoco con la pipa curva tra i denti a iniziare, con piccoli tizzoni raccolti e palleggiati nelle mani incallite e insensibili, tentativi di ripetute accensioni a buon mercato, senza sprecare fulminanti (fiammiferi). I suoi trascorsi militari, lui attendente di un generale, la
cura dei cavalli, i cannoni; in verità poche le azioni di guerra, forse nessuna, considerando le mansioni di attendente di un generale... Ma prima o dopo cercavo di far cadere il discorso sugli incontri con il lupo mannaro, perchè l'argomento mi interessava oltre misura. Era successo tre volte. Sempre di notte, nei pressi di un fontanile, in campagna o nella periferia del paese. La luna sempre presente. Un'ombra furtiva, piuttosto disposta alla fuga che all'agressione. Il respiro affannoso, quasi rumoroso, piuttosto timida, tutto sommato, di fronte ad un atteggiamento deciso. Per metterla in fuga un semplice accorgimento: il luccichio di una lama del coltello o della scure. Una volta questo incontro era stato preceduto da ululati. Lo zio non era superstizioso e coraggioso senz'altro. Il racconto quindi sembrava privo di suggestioni e fantasie o esagerazioni che avrebbero anche trovato giustificazione in una situazione ambientale particolare e caricata di contenuti emotivi. Più tardi, fresco liceale, cominciai a rivedere tutto l'argomento con occhio più critico. Infatti da altre testimonianze, numerose, raccolte nel paese e nei paesi vicini, avevo avuto più ricchi particolari sulla figura del licantropo. Lineamenti alterati, schiuma alla bocca, denti belluini; dati però forniti da soggetti evidentemente suggestionabili, racconti troppo ricchi di particolari immaginifici esposti in tempi diversi, in modi diversi, da far pensare ad una ricostruzione mentale con pochi spunti raccolti dal reale. In fin dei conti mi rimaneva soltanto la certezza dei racconti dello zio non inquinati, almeno per me, da fantasie e confabulazioni. Ma anche in questa luce "le prove" si riducevano a ben poca cosa. Non solo: a volte nella mia coscienza faceva capolino il dubbio che, chissà, la fantomatica ombra incontrata per strada, nel buio, altrimenti spaventata dalla figura sospettosa e guardinga dello zio fosse poi fuggita a casa per raccontare ai posteri d'avere incontrato il lupo mannaro! Comunque l'idea del licantropo era universalmente accettata. Che diavolo! Ogni paese aveva il suo, o meglio, i suoi. Alcune famiglie erano sospettate di averne in casa uno. La diceria era sospesa nell'aria, vaga ma palpabile. Soltanto ora mi rendo conto che questi "soggetti bersaglio" erano generalmente persone che, come si dice, si facevano i fatti propri, riservate, forse poco socievoli. Questo atteggiamento poteva anche essere una conseguenza dei sospetti, avvertiti, che pesavano su di loro. O forse attiravano i sospetti proprio per questo modo di essere diversi? Certo la situazione che si creava per loro era di disagio. I loro figli, guardati con sospetto, candidati a sopportare anch'essi, con molte probabilità, la pesante eredità paterna. Per la verità, e ad onore dell'intelligenza dei miei quasi compaesani, devo dire però di non aver mai sentito accostare la figura dell'uomo-lupo a quella del demonio: universalmente e senza eccezioni, anche da parte dei più sprovveduti, il soggetto misterioso e temuto era sempre stato considerato
scaffaleaperto I 15 come un vero e proprio malato. Giusta pietà per una figura che nei secoli bui, come vedremo, era stato oggetto di persecuzioni crudeli e fanatiche. Una patologia comune quindi, ma quale? Da studente in medicina volli vedere la cosa da un punto di vista scientifico e la mia sorpresa fu di constatare che la voce licantropia correva frequentemente su svariati testi di medicina anche relativamente recenti. E mi sono accorto che i rapporti tra scienza e licantropia sono sempre stati piuttosto ambigui. Già l'accettare questo termine (uomo-lupo) in un vocabolario scientifico suona piuttosto stonato. Vuol dire riconoscere aprioristicamente un dato di fatto, tutt'altro che definito, giustificandolo con qualche ragione scientifica. Queste ragioni però, per quanto apparentemente convincenti, saranno sempre e comunque zoppe perchè fondate non su basi empiriche, ma su fonti letterarie, folcloristiche, religiose, a loro volta derivate da mere superstizioni. Ma tant'è, le credenze e le superstizioni anche le più assurde hanno sempre avuto tra le persone colte ed illuminate "qualcosa di vero". E questo qualcosa di vero lo si cerca (e lo si trova quasi sempre) nelle cosiddette "spiegazioni scientifiche". L'uomo razionale, sempre desideroso di possedere un visione del mondo completa e logica non si adatta all'oscurità della conoscenza, non ha pace di fronte ad un anello mancante che disturba la sua visione del mondo. Questo ricorso alla spiegazione scientifica a tutti i costi è del resto storicamente giustificata: dal fatto che negli ultimi tre secoli la scienza si è fatta largo faticosamente e spesso dolorosamente proprio nel terreno della superstizione istituzionalizzata. L'astronomia e la medicina, giusto per ridurre l'esempio alle stelle ed all'uomo, hanno scalzato leggende, pregiudizi e paure in maniera trionfale. Ma a volte in modo semplicistico, tradendo quindi l'obiettivo primigenio della scienza che è la ricerca della verità. Per questo penso che la figura del lupo mannaro, anche oggi, non sia uscita completamente dal buio della storia. Da una parte la chiave folcloristica e demologica, della leggenda, del mito, del racconto: dall'altra il filone diremo scientifico, con le interpretazioni mediche del fenomeno e la loro ambiguità. Per la parte demologica rimando il lettore a studi specifici, tra cui l'ultimo, di Gian Franca Ranisio (Il lupo mannaro) che ritengo particolarmente colto e brillante. Qui la figura del lupo mannaro viene sviscerata attraverso le sue connotazioni letterarie e folkloristiche, sempre strettamente legata alla storia sociale e culturale del periodo in cui questa figura vive e dal quale prende di volta in volta i connotati. In contrapposizione a questa visione fantastica è la presa di posizione dei medici di ogni epoca che vedono in questo soggetto un portatore di malattia mentale. Il primo medico che si sia interessato della licantropia nell'antichità è Galeno. È interessante notare come la descrizione del lupomannaro corrisponda ad un vero e proprio caso clinico che vuole essere, immune da orientamenti di religiosa superstizione o da inquinamenti metafisici: "Coloro i quali vengono colti dal morbo chiamato lupino o canino escono la notte nel mese di febbraio, imitando in tutto i lupi o i cani, e fino al sorgere del giorno di preferenza scoprono le tombe. Tuttavia si possono riconoscere le persone affette da tale malattia da questi sintomi. Sono pallidi e malaticci di aspetto ed hanno gli occhi secchi e non lacrimano. Si può notare che hanno anche gli occhi incavati e la lingua arida e non emettono saliva per nulla. Sono anche assetati e hanno le tibie piegate in modo inguaribile a causa delle continue cadute e dei morsi dei cani. È opportuno invero
sapere che questo morbo è della specie della malinconia: che si potrà curare se si inciderà la vena nel periodo dell'accesso e si farà evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi e si nutrirà l'infermo con cibi molto succosi". Da questa descrizione è evidente lo sforzo del grande medico romano di presentarci un quadro morboso dettagliato, evidentemente "costruito" non da osservazioni dirette ma sotto l'influenza di racconti e leggende. A parte il vizio di scoprire le tombe nel mese di febbraio questo lupomannaro di Galeno risulta tutto sommato abbastanza credibile. Nei secoli successivi Oribasio, Ezio di Amida, Paolo da Egina, senza un loro contrubuto originale, riportano le tesi di Galeno.
Raffigurazione di uomo-lupo, probabilmente antica divinità, contenuta in un'urna sepolcrale etnisca. Nella pagina precedente: Gruppo di lupi mannari in un Cimitero della Normandia (stampa tedesca del XV sec.)
Risalendo nei secoli fino a noi citerò solo alcuni: ]. Wier in pieno clima di caccia alle streghe dimostra coraggio battendosi per la tesi medica della licantropia. Il lupo mannaro sarebbe un allucinato che "crede" di essere stato trasformato in animale e si comporta come tale. Deve quindi essere sottratto alla tortura ed al rogo per essere affidato al medico. Anche se queste allucinazioni (Wier era pur sempre un uomo del suo tempo) vengono attribuite all'influenza di Satana. Leonardo Bianchi, direttore della Clinica Psichiatrica alla Regia Università di Napoli, nel suo trattato di Psichiatria prende in considerazione il fenomeno del lupo mannaro e lo classifica tra i Deliri di metamorfosi. Dice di averne osservato uno soltanto ma ci dice come in passato tale espressione della melanconia portasse centinaia di persone (una vera e propria epidemia) ad un delirio collettivo "che le faceva ritenere invasate dal demonio e trasformate in lupi. Erano i malati di questa forma di malinconia cui si diede il nome di lupi mannari che infestavano talmente le campagne da promuovere leggi speciali come quelle del 1573 del Parlamento inglese, con le quali veniva concessa facolta ai contadini di dar caccia ai lupi mannari che scorrazzavano per le campagne. Contro gli indemoniati legiferarono i Parlamenti di Rouen (1643) di Provenza (1611) legalizzando i fasti del rogo". André Barbe, medico onorario de la Sarpetriere pone la licantropia nei così detti deliri metabolici (?). W. Bechterew professore di psichiatria all'Università di
6 / scaffaleaperto Conclusioni
IL lupo mannaro assale le sue vittime (stampa tedesca del XV secolo)
Pietroburgo fa rientrare questo fenomeno nei processi suggestivi, laddove quindi un numero di malati mentali, nevrotici o caratteriali, sono portati a rappresentare teatralmente comportamenti aberranti, né più né meno come gli altri si aspettano che siano, secondo i canoni della tradizione popolare del tempo. Ed ora cerchiamo di coagulare intorno al lupomannaro qualche giustificazione, diremo scientifica, con tutti i limiti, già avvertiti, di questa metodologia. 1) crisi di piccolo male o equivalenti epilettici. Si estrinsecano dalla corteccia cerebrale non come spasmi o convulsioni (come nell'Epilessia, altra malattia imparentata con il demonio) ma con altre forme di attività automatica della sfera psichica, motoria, sensoriale. E l'epilessia procursiva (Moglie Giulio-Manuale di Psichiatria) che si manifesta con una corsa improvvisa, inarrestabile, nella quale il soggetto conserva un sufficiente grado di coscienza per evitare ostacoli e pericoli di cui in seguito non ha alcun ricordo. Poriomania: è una fuga da casa di lunga durata, un viaggio intrapreso con atti apparentemente coerenti ma che tradiscono una certa dissociazione di comportamento del paziente. Il brusco richiamo alla realtà ha tutti i caratteri del^ risveglio da un sonno profondo. È indubbiamente questa tesi la più affascinante dal punto di vista scientifico e la più esauriente. Senonchè, a smorzare questo entusiasmo, è la constatazione dell'estrema rarità clinica di questi episodi e la loro spiccata variabilità che contrasta evidentemente con il monotono stereotipo del lupo mannaro per altro così numeroso, secondo la voce popolare. 2) Nevrosi isterica. Il soggetto durante la crisi, luna permettendo, assume consciamente o inconsciamente un modello di comportamento precostituito, per sentito dire, e lo imita. Lo stereotipo viene quindi ricreato proprio sulla base della tradizione popolare. Ciò spiega l'uniformità del fenomeno proprio di quella cultura, di quel territorio, di quella regione circoscritta già diversa dalla regione limitrofa. 3) Manifestazioni, sintomi di svariate malattie mentali dalla schizofrenia alla paranoia. Anche in questo caso l'individuo colpito da disturbi psichici tende a conformarsi strettamente alle norme di comportamento "appropriate al pazzo" vigenti nella società in cui vive. 4) Per ultima, ma non ultima, una spiegazione meno scientifica ma decisamente convincente. Pensate ad un ladro di galline, ad un qualche amante clandestino in difficoltà. Cosa di meglio di un ululato nella notte per crearsi uno spazio di fuga?
Ho cercato di dare una spiegazione della licantropia sfrondando le ragioni scientifiche portate in un passato neppur troppo lontano a sostegno della tesi secondo cui quella del lupo mannaro sarebbe una vera e propria sindrome neurologica (epilessia) o psichica (la melanconia degli antichi, la nevrosi isterica, altre) comunque sempre una "malattia" più o meno conosciuta. Merito almeno di questo tentativo di interpretazione l'aver tolto dalla cultura demoniaca la povera figura del lupo mannaro vituperato e perseguitato. Ma avrete capito che tali interpretazioni, pur se suggestive, non reggono ad una critica serena che prenda soprattutto in considerazione il fatto dell'estrema rarità di certi fenomeni psichici e neurologici in contrapposizione con la diffusione addirittura endemica della licantropia che si trova in ogni dove con una abbondanza di esemplari davvero singolare. Dobbiamo perciò convenire che la stragrande maggioranza dei "casi" di uomo-lupo è pura suggestione di pochi o di molti: una proiezione all'esterno e negli altri dei mostri che abbiamo dentro di noi, alimentati da superstizioni e credenze religiose male interpretate. A questo fine sarebbe stato più opportuno e certamente più interessante studiare la personalità dei "testimoni oculari" di coloro cioè che avevano visto e sentito il lupo mannaro. Loro, gli artefici, i sostenitori, gli alimentatori di questa tradizione ora sono scomparsi e con essi i lupi mannari. È strano che gli studiosi di un passato recente non abbiamo preso in considerazione questa possibilità di ricerca. Capovolgendo i termini del problema, cioè dallo studio di questi oggetti e non dell'oggetto incriminato, probabilmente sarebbero arrivati alla chiave dell'enigma. NOTA BIBLIOGRAFICA AMBE SI, C. Lupo mannaro, voce in Grande Dizionario Enciclopedico, Torino, UTET, voi. XI. A R G O N D I Z Z A , A. Drìadi, lupi mannari, streghe e fate, in: Rivista di Tradizioni popolari, 1893, fase, IX. ARIETI,Manuale di psichiatria, Torino, Boringhieri, 1969. BARBE', A. Precis de Psichiatrie, Parigi, Doin ed., 1950. BECHETEREW, W. La suggestione, Milano, Bocca, 1909. BIANCHI, L. Trattato di psichiatria, Napoli, Pasquale, 1902. CHIARI, G. Il lupo mannaro, in Mal di luna, Roma, New Compton, 1981. COCCHIARA, G. Storia del folklore in Europa, Torino, Einaudi, 1952. CORSO, R. Licantropia, voce in Enciclopedia Italiana Treccani, voi. XXI, p. 82. D E L U M E A N U J . La paura in Occidente (sec. XII-XVIII)La città assediata, Torino, Sei, 1979. DI NOLA, A. M. Animale-Trasformazione, voce in Enciclopedia delle Religioni, Firenze, Vallecchi, 1970, voi. I. LAPLANTINE, L. L'etnopsichiatria, Roma, Tattilo, 1974. M A N N O C C H I , L. Superstizioni marchigiane. I lupi mannari, Ancona, Corriere Adriatico, 1927. MAUSS, M. Teoria generale della magia, Roma, Newton Compton, 1975. M O G L I E , G. Trattato di psichiatria, Roma, Pozzi, 1930. PICCALUGA, G. Lyacon, un tema mitico, Roma, Ateneo, 1968. RANISIO, G. Il lupo mannaro, Roma, Cangemi, 1984. W I E R , J. De praestigiis daemonum, Amsterdam, 1660.
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L'ACQUA A FARNESE: STORIA DI UNA CONQUISTA di Romualdo Luzi
L'immagine storica dell'arrivo dell'acqua a Farnese nel 1887
L'autore di questo scritto ha avuto l'onore di presentare, il 7 maggio 1988, la monografia "L'ACQUA A FARNESE: QUATTRO SECOLI DI CRONACHE" di Tiziana Mancini (Empoli, La Toscografica, 1987, 144 p. ili). Quanto costituisce materia di questo scritto è parte di quella relazione. Questa monografia, secondo quaderno della Biblioteca Comunale di Farnese, si deve all'impegno di Tiziana Mancini che è pure l'autrice del primo interessantissimo quaderno sulla storia del culto della Madonna delle Grazie, l'antica Madonna della Cava già venerata nella distrutta città di Castro e da cui venne trasferita a Farnese. L'opera della Mancini ripercorre, nelle cronache di quattro secoli, le tappe che hanno portato alla realizzazione di un imponente acquedotto e l'arrivo dell'acqua a Farnese. Di questa ricerca si segnalano gli aspetti singolari. Un lavoro così interessante esce in occasione del 100° anniversario della costruzione di un acquedotto che, per il tempo in cui venne realizzato, pose Farnese fra i centri all'avanguardia della nostra provincia, basato su fonti storiche ineccepibili, e ha visto nell'indagine sul territorio uno dei motivi basilari dello studio. Un altro aspetto da sottolineare è quello legato al rappor-
to fra storia nazionale e storia locale. Un rapporto che sino ad alcuni anni fa ha visto la "storia locale" relegata in un ruolo assolutamente subalterno alle vicende della storia nazionale. Recenti studi di storiografia hanno completamente ribaltato questo errato concetto anche perchè "fare storia locale" non significa più e soltanto l'illustrazione del coccio o del reperto sporadico rinvenuto chissà dove e chissà in quale epoca e circostanza, oppure la citazione di antiche fonti di tanti altri scrittori che ci hanno preceduto e che, lo sappiano, hanno spesso attinto alla loro fantasia nomi di città etrusche e romane, nonché avvenimenti storici assolutamente inesistenti. C'erano storici pagati per costruire "storie" e questi "falsari" erano così eruditi da inventare addirittura splendidi brani attribuiti ora a questo ora a quell'altro autore greco o latino. Oggi la rivisitazione delle fonti originali è affincata all'indagine archeologica, come d'altronde possiamo vedere anche a Farnese con gli scavi delle Sorgenti della Nova diretti dalla prof.sa Negroni. L'archeologia conferma spesso tante convinzioni maturate nel corso di anni di studi, ma sovente, rimette in discussione tante di quelle cosidette "convinzioni storiche" frutto di lavori superficiali e insufficienti.
8 / scaffaleaperto Farnese, per esempio, può vantare uno "scrittore locale" di ottimo livello. Mi riferisco a Clemente Lanzi, autore di quel pregevole studio sulle " M E M O R I E STORICHE DELLA R E G I O N E CASTRENSE", apparso postumo nel 1938. È un opera di singolare rilievo storico per le fonti bibliografiche citate, la visione dell'insieme e oggi, a distanza di cinquanta anni dalla pubblicazione, se ne percepisce ancora la validità e l'attualità e quindi non rimane che da augurarsi che qualche benemerito Ente o editore, lo facciano ristampare. Anche questo lavoro della Mancini appare esemplare proprio perchè basato sugli originali documenti d'archivio, su fonti bibliografiche serie, sulle tradizioni orali della gente di Farnese, erede di quegli stessi farnesani i cui nomi, rinvenuti nella memoria storica delle carte d'archivio, assumono un loro preciso ruolo all'interno della ricerca e una loro precisa fisionomia e permettono che una ricerca, apparentemente arida, viva di luce propria e acquisti uno spessore storico ma, soprattutto, sociale e umano. I nomi di questi antenati sono tutti riportati nella cronaca e nei documenti e, spesso, di essi conosciamo anche le professioni come Antonio Bastaro, rividitore di pesi, misure et altre cose, Aron di Piero, Mastro di strade et viali; Cherubino architetto... e si potrebbe continuare ancora per molto. Si riallaccia a questo elemento umano proprio lo studio minuto delle vicende del paese, piuttosto che l'analisi di grandi fatti della storia nazionale. Lo studio dei luoghi familiari anima il passato e rende evidente come le genti dei tempi andati non sono soltanto espressioni storiche ma creature in carne ed ossa, viventi, la maggior parte, una vita ordinaria, con impegni di lavoro e familiari. Cosicché l'archivio e la sezione locale della biblioteca civica sono le principali fonti di informazione. Non interessano più soltanto le vite di principi, di uomini di stato, di artisti o letterati, oppure liste di battaglie, ma gli umili argomenti del vivere quotidiano, del lavoro, dell'industria, dei vari aspetti della vita economica e sociale. E bene evidente che storia locale e storia nazionale vanno di pari passo. Anche qui l'autrice ha saputo sposare le vicende più grandi della nostra storia italiana, quelle legate dapprima ai Farnese, poi ai Chigi, quindi alla Repubblica Romana ispirata da Napoleone fra la fine del '700 e i primi dell'800, all'altra Repubblica Romana del 1848, sino alle vicende vive e palpitanti del nostro Risorgimento che proprio a Farnese ha visto scrivere una delle pagine più singolari: la battaglia fra Zuavi pontifici e le garibaldine Camicie Rosse del 10 ottobre 1867, avvenuta presso il Convento dei Cappuccini. Ebbene, tutti questi avvenimenti nazionali hanno trovato la giusta collocazione e parallelo con la storia di Farnese e con questa vicenda , in particolare, legata a quella ricerca d'acqua che, sin dai primi tentativi, peraltro riusciti del 1567, conferma come l'acqua non dovesse servire ai soli scopi potabili ma anche per la realizzazione di piccole industrie: cartiere, valchiere, arte della lana, mulini, e altro ancora. A questo proposito sarebbe interessante approfondire l'aspetto del lavoro e della piccola industria in Farnese in rapporto alla presenza dell'omonima famiglia che, secondo molti storici, avrebbe avuto in questa cittadina la propria origine. Sotto i Farnese, soprattutto sotto Mario, ricordato anche
in questo libro come "Buon Duca", si realizzò molto di questo sviluppo. Il paese divenne un polo di riferimento anche letterario per la presenza di Camilla Lupi, moglie di Mario e della suocera Isabella Pallavicini. Probabilmente fu per merito di queste donne se, a Farnese, Mario fece aprire una tipografia affidandola a Nicolò Mariani, genero del Colaldi, stampatore di Viterbo. L'attività non durò molto, dal 1599 al 1601, ma questo fu certamente un avvenimento letterario importante. Torniamo al libro e cogliamone un altro aspetto. L'autrice ha un ulteriore merito in quanto non si è limitata a raccontare questa storia in modo impersonale e anonimo. La narrazione degli avvenimenti coinvolge con la scrittrice, anche la gente di Farnese. Per questo il libro è una storia palpitante di uomini e sottolinea quella " F A M E D ' A C Q U A " , (scusate il gioco di parole) che caratterizzò in modo esemplare le aspirazioni della gente di Farnese in questi quattro secoli. E questa " f a m e " , forse è meglio parlare ora di "sete", non sembra finita se l'attuale amministrazione sta lavorando alla captazione della sorgente della Faggeta... E la storia si ripete. Il volume ha evidenziato persone, avvenimenti e oggetti che hanno assunto così una "condizione storica" e questo, è stato ripetuto, soprattutto attraverso l'archivio, ma possiamo affermare che la monografia eleva il tono degli studi storici locali laddove alla notizia documentaria è seguita l'indagine sul territorio, cui si è fatto cenno. Indagine che ha interessato i luoghi descritti nelle carte, le sorgenti, le opere idrauliche realizzate, i fontanili disseminati nel territorio. Proprio da questa indagine si è individuata, nel fosso della Galeazza, la presenza di splendide testimonianze di quello che doveva essere stato un incantevole parco farnesiano. Attorno alla sorgente, le cui acque con un'opera idraulica all'avanguardia per quei tempi vennero trasportate a Farnese in tre anni dal 1567 al 1570, sono rimasti, intagliati sul tufo, figure di animali, sedili, nicchie. La memoria corre subito a paralleli e confronti con altri singolari giardini e parchi d'epoca. E se appare azzardato un parallelo con il Parco Orsini di Bomarzo, soprattutto in riferimento alle dimensioni, particolarmente calzante è invece il confronto con i resti del Parco Orsini di Pitigliano. Chiudo questo scritto con due note di rammarico. Rammarico per quelle altre testimonianze scultoree del parco che oggi non si rinvengono più perchè asportate, pare, attorno al 1970. Chissà che questa riscoperta non consenta di recuperare almeno qualcosa di queste testimonianze: Rammarico per la perdita di manoscritti d'archivio e libri di interesse locali scomparsi, dal Comune nella notte tra il 29 e il 30 gennaio 1987, ad opera di ignoti. Per quello che può valere questo scritto ci si sente in dovere di approfittare dell'occasione per rinnovare un appello. Forse qualcuno sa e non dice, forse qualcuno potrebbe collaborare a far ritrovare questi documenti tanto preziosi per la storia locale quanto praticamente invendibili perchè già tutti schedati. Se questo "qualcuno" leggerà queste righe contatti gli amministratori di Farnese e si adoperi perchè Farnese ritrovi non la memoria storica - questa è già stata scritta in questo libro - ma il sapore del documento originale appartenuto da sempre a questa laboriosa comunità.
Dopo anni di silenzio si torna a parlare, a Valentano, di Paolo Ruffini. Eppure un cosi illustre concittadino meriterebbe migliore attenzione. Non bastano a tenerne viva la memoria il suo busto collocato in Biblioteca e l'intitolazione di una piazza, della Scuola media in Valentano e del Liceo Scientifico di Viterbo. In questo fascicolo, curato con particolare attenzione dall'Ing. Pier Maria Fossati, che ringraziamo, porgiamo all'attenzione del lettore alcune brevi note biografiche, la riproduzione di tre lettere autografe acquisite dalla nostra Biblioteca e del lavoro del Prof. Modenini ispirato alla "regolett a " del Ruffini sull'estrazione della radice quadrata.
Speciale P. R u f f i n ì
PAOLO RUFFINI DA YALENTANO A MODENA: UNA VITA PER LA MATEMATICA di Pier Maria Fossati Nasce il Ruffini a Valentano il 22 settembre 1765, dal Dott. Basilio di Reggio nell'Emilia e Maria Francesca di Ferdinando Ippoliti di Poggio Mirteto; l'atto di battesimo è conservato nell'archivio parrocchiale. Quali le circostanze della sua nascita in Valentano, da genitori entrambi non del posto? Il padre, nativo di Gazzolo frazione di Ramiseto, un paesino arrampicato sull'appennino tosco-emiliano in provincia di Reggio Emilia, era "medico fisico" condotto a Collevecchio, nella Sabina in provincia di Rieti; conosce e sposa Maria Francesca Ippoliti di un paese vicino, Poggio Mirteto; si trasferisce quindi con la moglie a Valentano, come apprendiamo dagli atti consiliari, ove si trova la delibera di incarico per la condotta in data 11 marzo 1759. Ed a Valentano nasce un figlio, Francesco (il 17 febbraio 1760) ed un figlia, Maddalena Anna (24 gennaio 1762). Il primo giugno del 1762 i Ruffini si trasferirono da Valentano a Poggio Mirteto, ove abitano per circa due anni e mezzo e dove presumibilmente nascono altri due figli; ma con delibera del 9 dicembre 1764 apprendiamo che il Dott. Basilio Ruffini ha riassunto la condotta di Valentano, giusto in tempo perchè vi venga alla luce Paolo, come già detto, il 22 settembre 1765! I Ruffini abiteranno per altri cinque anni nella cittadina dell'alto Viterbese, probabilmente in una casa d'affitto riservata al medico-condotto stipendiato dal Comune, ed hanno altre due figlie: Maria Maddalena (1 marzo 1768) e Maria Margherita (6 novembre 1769). Quando Paolo avrà da poco compiuto i cinque anni, la famiglia Ruffini si trasferirà a Reggio Emilia e di lui non rimarrà più traccia nel paese natale. Non si tratta quindi di una nascita casuale in Valentano: i genitori vi hanno abitato in due riprese per più di nove anni, durante i quali, oltre a Paolo, vi sono nati altri quattro figli. Ci siamo un pò dilungati sui primissimi anni, perchè sono "gli anni di Valentano"; scorriamo adesso un pò più rapidamente le vicende della vita di Paolo Ruffini. Studi secondari a Reggio e a Modena, dove si trasferisce con i due fratelli maggiori; nel 1783 si iscrive all'Università, alla facoltà di medicina. La sua passione per le matematiche 10 porta a frequentare contemporaneamente i corsi di Matematica elementare e di Calcolo sublime; tale era la sua eccezionale disposizione alle discipline matematiche da ottenere, a soli ventidue anni, un anno prima additittura di laurearsi in medicina, l'incarico di sostituire il suo professore Paolo Cassiani, nominato ad altre cariche, nel corso di Istituzioni analitiche dell'anno 1787/1788. II 9 giugno del 1788 si laurea in Medicina e chirurgia ed 11 17 ottobre dello stesso anno ottiene ufficialmente la cattedra per la quale era incaricato. La sua carriera professionale è incalzante, sia nel campo medico che matematico: fa pratica medica sotto la direzione del grande Spezzani ed ottiene, all'inizio del 1791, il libero esercizio dell'arte medica: nello stesso anno è nominato anche alla cattedra di Elementi di matematica e diviene socio dell'Accademia dei Dissonanti di Modena (l'attuale Accademia di Scienze, Lettere ed Arti). Nuovi fermenti agitano l'Europa, fino a colpire anche il piccolo Ducato di Modena e Reggio; nel 1798, per non aver voluto giurare con formula contraria al suo alto senso della religione, il governo repub-
VII
Ritratto di Paolo Ruffini (incisione da un dipinto di Magnanini)
NOTIZIE SULLA VITA E SU GLI SCRITTI D I
PAOLO RETTORE
DELLA
PROFESSORE N E L L A NA
PRATICA
SOCIETÀ'
R U F F I N I
R. UNIVERSITÀ' MEDESIMA
E MATEMATICA
ITALIANA
DELL' ISTITUTO
DELLE
ITALIANO
DEGLI
STUDJ
DI CLINICA
DI
MODENA ,
MEDICA.
APPLICATA, PRESIDENTE SCIENZE,
MEMBRO
MEDICIDELLA
PENSIONARIO
EC.
SCRITTE D
A
ANTONIO LOMBARDI PRIMO BIBLIOTECARIO D
I
SUA ALTEZZA R E A L E IL DUCA DI MODENA SOCIO E SEGRETARIO DELLA SOCIETÀ' ITALIANA DELLE SCIENZE.
MODENA
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PRESSO LA
TIPOGRAFIA
CAMERALE
M D C C C X X I T .
Prima biografia di Paolo Ruffini,
1824
Speciale P. blicano gli toglie le due cattedre, per restituirgliele però, dato il grande prestigio del Ruffini nel campo scientifico, l'anno seguente; è questo l'anno di pubblicazione della sua prima e fondamentale opera: "Teoria generale delle equazioni in cui si dimostra impossibile la soluzione algebrica delle equazioni generali di grado superiore al quarto". Si susseguono onori, incarichi e pubblicazioni di opere: nel 1801 è nominato socio della Società dei XL (Società Italiana delle Scienze) e nel 1803 dell'Istituto Nazionale, due istituzioni che annoverano tra i loro membri i massimi scienziati italiani del tempo; nel 1805 è nominato Cavaliere della Legion d'Onore; nel 1806 diviene membro dell'Accademia di Religione Cattolica di Roma, per essersi il Ruffini segnalato come filosofo particolarmente rigoroso nel campo religioso: compare infatti in quell'anno il suo primo scritto di carattere filosofico, "Della immaterialità dell'anima" che, dedicato a Pio VII, gli valse la medaglia d'oro ed una lettera del Pontefice. Durante i restanti anni dell'Impero napoleonico, il Ruffini prosegue le sue pubblicazioni di opere matematiche e l'insegnamento alla Scuola del Genio militare di Modena (l'attuale Accademia militare dell'Esercito). Sopravvenuta la Restaurazione, il Duca Francesco IV gli assegna, nel 1814, le cattedre di Medicina Pratica, Clinica Medica e Matematica applicata nella ricostituita Università di Modena, nonché il Rettorato della stessa. Nel 1816 è eletto Presidente della Società Italiana delle Scienze e nel 1820 è nominato Medico di S.A.R. l'Arciduchessa di Modena. Siamo però agli ultimi anni di vita del Ruffini; indebolito dal tifo contratto durante l'epidemia del 1818, durante la quale si era prodigato con tutte le sue forze, e da una pleurite contratta nel 1819, il 9 maggio del 1822 moriva tra il compianto generale, lo stesso giorno in cui arrivava la notizia dell'invio di una medaglia d'oro del Pontefice come attestato di stima per l'ultima opera di carattere filosofico da lui scritta ("Riflessioni critiche sopra il saggio filosofico intorno alla probabilità del signor Conte Laplace, fatte dal Dott. Paolo Ruffini"). Elogi funebri, commemorazioni, lapidi e monumenti ne celebrano in Modena la figura. •k i< * Quale il particolare merito di questa poliedrica figura di medico - filosofo - matematico? Quello di avere unito ad una intensa attività medica, didattica e filosofica, sostenuta da una rigorosa saldezza morale, l'espressione di un genio matematico che fece di lui uno dei più notevoli scienziati italiani del secolo scorso. Le sue opere matematiche, diciassette in tutto tra edite ed inedite, non diedero al Ruffini a tempo debito la fama che avrebbe meritato e la giusta collocazione nel firmamento dei grandi della storia della Matematica: ciò essenzialmente per la scarsa considerazione dei lavori dei matematici italiani presso gli ambienti scientifici francesi e tedeschi ove dettavano legge il Lagrange (peraltro anch'egli italiano!) e Gauss; il suo Teorema fondamentale è stato, solo dopo molto tempo, denominato di Ruffini-Abel. Egli è invece, ironia della sorte, universalmente noto per alcune regole pratiche riportate su tutti i testi di algebra elementare, quali il metodo di Ruffini per l'estrazione delle radici e la regola e teorema sulla divisione di un polinomio per un binomio di forma x- d. La sua fama si va però lentamente rinverdendo, tramite un più attento e generale esame delle sue opere matematiche, ottenuto attraverso la pubblicazione del "Corpus" delle sue memorie, appunti e carteggi.
DELLA
Ruffini
IMMATERIALITÀ
DELL'ANIMA OPUSCOLO DEL D O T T O R PAOLO R U F F I N I P . PROFESSORE D I M A T E M A T I C A SUBLIME IIR M O D E R A , M E M B R O DELLA LEGIOK D' ONORE , D E L L ' ISTITUTO N A Z I O N A L E , DELL'ACCADEMIA DI R E L I C I O N E CATTOLICA , U n o DEI QUARANTA DELLA SOCIETÀ' I T A L I A N A DELLE S C I E N Z E , ZC.
Aggiugnesi
ALLA
la Confutazione dei Principii del Metafisico di Eratmo Darwin. SANTITA'
PIO
DI
NOSTRO
Sistema
SIGNORE
SETTIMO
FELICEMENTE REGNANTE.
)( IN MODENA
)(
Per gli Eredi di Bartolomeo Soliani. MDCCCVI. Opera filosofica
di P. Ruffini,
1806.
DISPONIBILI IN BIBLIOTECA O P E R E DI P. RUFFINI — Della immaterialità dell'anima..., Modena, Soliani, 1806, XIV, 141 p . — Opere matematiche, Roma, Cremonese, 1953-1954, 3 voi, XIII-421; XIII-507; XVII-254 p. SULLA VITA E LE O P E R E DI P. RUFFINI — A.L. (A. LOMBARDI), Necrologia, Torino, Stamperia Reale, 1822, 13 p. — A. LOMBARDI, Notizie sulla vita e sugli scritti di Paolo Ruffini..., Modena, Tip. Camerale, 1824, 75 p. — A. D. BIGNARDI, Storia dell'ultima malattia di Paolo Ruffini... con alcune conghietture sulla infiammazione e ricerche relative alla pericardite cronica, Modena, per Gem. Vincenzi e compagno, 1822, 8, 87 p. — G. BARBENSI, Paolo Ruffini, Modena, Accademia di Scienze, Lettere e Arti, 1956, X, 127 p. — E. BORTOLOTTI, Ruffini Paolo, voce in Enciclopedia Italiana Treccani, voi. XXX, p. 220. — Ruffini Paolo, voce in Enciclopedia della Scienza e della Tecnica, Milano, A. Mondadori, 1980, voi. XIII, p. 538. — E. B O R T O L O T T I (a cura), Carteggio di Paolo Ruffini con alcuni scienziati del suo tempo relativo al teorema sulla insolubilità di equazioni algebriche generali di grado superiore al quarto, Roma, Accademia dei Lincei, 1906, 37 p. — E. BORTOLOTTI, I primordi della teoria generale dei gruppi di operazioni e la dimostrazione data da Paolo Ruffini, Modena, Soc. Tip. Modenese, 1913, 17 p. — F. CARTA, Delle opere di Paolo Ruffini, in: Ingegneria ferroviaria, n. 10, ott; 1959, p. 1-4. — G. M O D E N I N I , Il lavoro di P. Ruffini sulla risoluzione approssimata di equazioni polinomiali, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno acc. 1981-82. Ili
Speciale P. R u f f i n ì ár'I
ATTO DI BATTESIMO DI P. RUFFINI (Archivio Parrocchia S. Giovanni Ap. ed Ev. di Valentano Liber Baptizatorum 1764-1779, c. 18).
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Anno Domini 1765 Die 23 7.mbri Ego Franciscus Licca Archip. r , et Parochus huius Eccl.ie Colleg. t e S. Jo. nis Ap.li, et Evang.te Valentani baptizavi infantem masculum nocte preterita hora quinta natum ex Exc.mo D. no Basilio Ruffini Doctore Physico de Regio Mutine et D. na Maria Ippoliti de Podio Mirteto legit. coniugibus incolis Valentani, cui impositum fuit nomen Paulus Joannes Pacificus Hyacinthus Bonaventura. Patrinus fuit R. D. nus Jo.es Paulus Bonucci. Matrina D.na Olimpia Barlocci Rocchi. Ostetrix Catharina Specchioli. Ita est. Frane, us Arch.p. r Licca, et Parochus.
DOCUMENTAZIONE AUTOGRAFA DEL RUFFINI PRESSO LA BIBLIOTECA COMUNALE DI VALENTANO
DOCUMENTO I È qui riprodotta una "minuta" di lettera, purtroppo incompleta, di Paolo Ruffini al Prof. Francesco Lavani, Reggente (Preside) del Liceo di Modena, del 6 luglio 1804. L'Università di Modena era stata da Napoleone "declassata" a Liceo con decreto dell'8.1.1804 ed il 14 seguente il Ruffini vi viene nominato Professore di Matematica Sublime, in sostituzione della cattedra che lo stesso deteneva all'Università. In questa "minuta di lettera" il Ruffini, descrivendo il suo corso universitario, illustra quale sarà il programma del suo nuovo corso al Liceo. a/ or Z p j L - j .
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Documento I
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Al Citt.no Prof.re Francesco Lavani Reggente del Liceo Modena 6 luglio 1804 An. 3° R. I. Paolo Ruffini
Ecco il metodo da me tenuto nella mia Scuola nell'anno prossimo passato. O ' alternativamente insegnato l'Introduzione al Calcolo Sublime, ed il Calcolo Sublime, giacché eranvi Uditori per l'una parte, e per l'altra, e mi sono servito dè miei Scritti. Il mio corso di Matematica sublime dividesi in due Parti: la prima comprende l'Introduzione, la seconda il Calcolo sublime. Supposti gli Elementi di Geometria, e supposta l'Algebra fino inclusivamente alla soluzione delle Equazioni di 2° grado, divido la prima Parte in quattro Lezioni, la prima delle quali tratta dell'applicazione delle Equazioni di I o e 2° grado si determinato che indeterminato alla Geometria; la seconda espone la Teoria generale delle Equazioni; la terza tratta delle Quantità trascendentali; e la quarta della Teoria generale delle Curve. Divido parimenti in quattro Lezioni la Parte seconda; e la prima di queste tratta delle Funzioni differenziali; ed integrali d'ordine superiore; la terza della Integrazione delle Equazioni a differenze parziali, delle Equazioni a differenze finite, ed il Calcolo delle Variazioni. L'applicazione alla Geometria o' creduto più opportuno di andarla facendo di mano in mano che si stabiliscono i diversi principii. Confesso di non avere ancora completato tutte le parti di questo Corso; e nel Calcolo Sublime mi sono servito della maniera vecchia di scrivere, e non di quella che esigesi dalla Teoria delle Funzioni derivate, giacché allorquando feci, anni sono, questi scritti, io non la conosceva; spero però, se non m'inganno, che i principii, à quali procurai di appoggiar questo Calcolo, e dai quali dedussi l'idea degli infinitesimi, abbiamo quel rigore, [...].
Speciale P. R u f f i n ì DOCUMENTO II Questa è una lettera, indirizzata al Dott. Ernesto Letti di Correggio, scrìtta da Modena il 14 aprile 1814: è una risposta ad una richiesta di "consulto" per una malata, certa Signora Cattania. Il Ruffini diagnostica una lombaggine da causa reumatica e prescrive polverine, decotti, bibite diluenti ed applicazioni di cerotti terapeutici. Spesso il Ruffini accondiscendeva a fornire questi consulti, a voce o per corrispondenza. Pochi mesi dopo, riceverà l'incarico per la cattedra di Medicina pratica e di Clinica medica nell'Università di Modena.-
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Da quando Ella mi scrive riguardo alla Sig.ra Cattania, sembrami non poter riconoscere nel dolore che la travaglia se non se (sic) una lombaggine da causa reumatica. Se il dolore dipendesse da affezione dell'utero, o dei reni, dovrebbero con essa apparire altri sintomi, quelli cioè, che dipendono dagli indicati viscera e dalle secrezioni ed escrezioni loro proprie; ma nel caso attuale Ella non ha potuto riscontrare alcuno dei sintomi accennati; neppure apparisce, che possano essere incolpate come causa del male le emorroidi, perchè nemmeno rapporto a queste si osserva sintomo alcuno loro proprio. In conseguenza di questo giudizio, e della costituzione a Noi ben nota della Sig.ra Inferma, crederei bene esibire delle polverine fatte con otto grani di Sai de duod., e sei grani di Gomma Guajaco, dandone ad ore opportunamente divise, tre o quattro al giorno, e soprabevendovi ciascuna volta una decozione di Radice di Gramigna e Saponaria; stimerei opportuno l'uso frequente dei lavativi diluenti, ed emollienti, l'uso delle molte bibite diluenti, e per sopra dei lombi applicherei, quando lo stato delle orine lo permettano, due cerotti formati con due terzi di cerotto gommoso e uno di cerotto vescicatorio. La molta fretta, con cui deggio scrivere, non mi permette di esporre la mia oppinione (sic) con chiarezza maggiore, e più medicamente. Ella si compiaccia di perdonare, e quando mi prendo la libertà di proporre, deve pienamente sottoporsi al suo savissimo sentimento. La prego di tanti doveri con la Sig.ra Inferma, e il suo Sig.r Consorte; come pure la prego di tanti ossequi col Sig.r M. e Gabbi, se ha occasione di vederlo, e con tutto il rispetto mi rassegno. Di Lei St.mo Sig.re D.mo
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Documento III
Paolo Ruffini
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Speciale P. Ruffini DOCUMENTO III È questa una lettera del Ruffini, in data 10 novembre 1815, da Modena alSig. Ottavio Gagnoli, vice-segretario amministrativo della Società Italiana delle Scienze di Verona (o dei XL). Di questa Società il Ruffini è Socio dal 1801; l'anno seguente (1816), succederà al Prof. Conte Antonio Gagnoli nella Presidenza della stessa. Negli Atti di questa prestigiosa Società, fondata nel 1782, il Ruffini pubblicherà gran parte dei suoi studi matematici. In questa lettera si parla di una Deputazione di scienziati della Società che dovrà farsi ricevere in udienza a Modena dall'Arciduca Francesco IV. Con la "Restaurazione", dopo la definitiva caduta di Napoleone, Francesco IV d'Austria-Este aveva ottenuto il Ducato di Modena; tra i suoi primi decreti si registrano la ricostituzione dell'Università e le nomine del Ruffini alle cattedre di Medicina pratica, Clinica medica e Matematica applicata, nonché al Rettorato.
All'Egregio Sig.re Il Sig.re Ottavio Cagnoli Vice-Segret.o Ammin.o della Soc.à Ital.na della Se.e Verona Egregio Sig.re Sarà ella utile la Deputazione che si è stabilita da presentarsi al nostro Sovrano Giacché per altro essa è già formata, converrà concertare fra i Membri le cose che con la dovuta prodenza si dovranno esporre; credo che sarà bene che Ella pure faccia parte di questa Deputazione, tanto perchè manca il Sig. Lombardi, quanto perchè sarà alla meglio informata
di tutto, e potrà estendere il Memoriale da presentare all'Udienza. L'avverto che le giornate d'udienza sono il Mercoledì e la Domenica di tutte le settimane, e che i Principi presentemente sono a Venezia, da dove passeranno a Padova per incontrarvi la Madre Maria Beatrice, la quale viene da Vienna, e arriverà a Modena oggi ad otto. Quindi la giornata più sollecita da presentarsi sarebbe nella Domenica 19 del corrente; ma siccome nei prossimi giorni dell'arrivo di S.A.R. l'Arciduchessa Madre vi saranno grandi ricevimenti, credo, che sarebbe meglio aspettare a chiedere l'udienza, nell'altra Domenica 26. In questo frattempo faremo legare il volume, ed io indagherò, come tale Deputazione potesse piacere ed essere vantaggiosa. Se questo divisamento pare a Lei ed al Sig.r Cav. Cresia opportuno, la prego indicarmelo e farlo sapere agli altri Membri della Deputazione. Nomino a nuovo Socio il Sig.r Amici, il quale rapporto agl'Istrumenti ottici ha spiegato un vero genio. Ha formato presentemente un microscopio, il quale ingrandisce la superficie degli oggetti che si osservano di un milione, ed ha migliorato il suo micrometro in modo d'aver potuto fare delle osservazioni non riconosciute neppure dall'oculatissimo Herschel. Farò fare la distribuz.ne dei libri, di cui mi parla, ma non sapendo come avere il ruolo, che mi dice essere presso il Sig.r Lombardi, la prego a scrivermelo Ella stessa. La supplico di tanti rispetti con tutto i Suoi rispettivi Signori, e con la più perfetta stima mi dico. Di Lei Egregio Sig.re Modena 10 Nov.re 1815 Umil.mo Dev.mo Ser.e Paolo Ruffini
METODO DI ESTRAZIONE DELLA RADICE QUADRATA SECONDO PAOLO RUFFINI Viene qui presentato il fascicolato didattico che il Prof. Giuseppe Modenini di Verona ha prodotto, nel dicembre 1987, ad uso dei suoi allievi della scuola media. Vi si espone il metodo pratico di estrazione della radice quadrata approssimata all'unità di un numero intero, metodo che risale, in forma più generale ed organica, al grande matematico Paolo Ruffini, al quale il Prof. Modenini si era ispirato per l'argomento della tesi di laurea in matematica del 1981. È curioso notare che Paolo Ruffini sia universalmente conosciuto come autore di una regoletta pratica, quale questa, in uso presso gli studenti di 1 " media e per una regola e teorema sulla divisione di un polinomio per un binomio della forma x- u., che si studia ed applica nella 1 " classe del liceo scientifico. Mentre la sua opera, nota solo ai matematici, si è svolta in campi ben più eletti, quali la dimostrazione della impossibilità della soluzione algebrica delle equazioni generali di grado superiore al quarto (teorema di Ruffini-Abel); le prime applicazioni dell'idea fondamentale di "gruppo di operazione"; la scoperta delle idee di "transitività" e "primitività" e dei fondamenti di una "teoria dei gruppi di operazioni permutabili". VI
L'approssimazione delle radici quadrate dei numeri naturali e quindi anche di quelli decimali, si può eseguire in vari modi; tra questi il più usato e più antico è quello del "completamento del quadrato". Esso viene descritto anche nel nostro testo di aritmetica alle pagg. 326-329, ed è senza dubbio preciso ed abbastanza veloce nel raggiungere l'approssimazione voluta per la radice: ma ha dei limiti. Come sappiamo per ogni numero proposto si possono ricercare, oltre alla radice quadrata, anche la radice cubica, ovvero il numero che elevato alla potenza 3 dà il proposto; o quella di indice quattro, cioè il numero che elevato alla potenza 4 dà il proposto, ebbene: il metodo del completamento del quadrato non è di nessun aiuto per queste ricerche; esso è troppo strettamente legato alla radice quadrata, ed in ciò sta il suo limite. Paolo Ruffini, un matematico modenese della fine del 1700, allo scopo di superare queste limitazioni, ideò il metodo di estrazione delle radici quadrate che anche noi useremo; in suo onore lo chiameremo: "metodo di Ruffini". Esso
Speciale P. Ruffinì permette, con alcune modifiche, di calcolare le radici cubiche e anche di indice più alto, ma vediamo intanto come approssimare quelle quadrate all'unità; poi ci occuperemo anche di come prolungare l'approssimazione con più precisione. Scriviamo da prima il numero proposto sotto la radice e ne separiamo le cifre in coppie; partendo da destra mettiamo un puntino ogni due cifre: se per esempio il proposto è 121965, scriveremo: 1 12.19.65
Abbassiamo ora due linee verticali dagli estremi del numero scritto, dividendo così lo spazio sottostante in tre colonne: la 3 a , quella più a destra, conterrà il risultato, cioè l'approssimazione della radice; la 2 a , quella al centro, i resti, ovvero quanto differisce il proposto dal quadrato dell'approssimazione da noi trovata ed infine la 1 a che servirà per la costruzione dei resti. 1 l a colonna: di costruzione
3 a colonna: dei risultati
12.19.55 * 2 a colonna dei resti
La prima cifra della radice del proposto, quella di ordine maggiore, la troveremo subito calcolando la radice all'unità della prima coppia di cifre; ^Si può usare le tavole, ma già a memoria sappiamo che NI 12 = 3. Scriviamo questa (cioè 3) nella colonna dei risultati, un pò sotto alla riga del numero proposto, e sulla stessa riga abbassiamo: nella colonna dei resti la prima coppia del proposto; in quella di costruzione uno zero; e racchiudiamo tutto tra due linee orizzontali.
\ 0
12.19.65 12
o 3
\
12.19.65
0
12
3
3
3 1° resto parziale
Il calcolo delle altre cifre della radice quadrata richiede adesso alcune operazioni preparatorie: intanto si deve ripetere l'operazione (1) sulla prima colonna, quindi sommeremo l'ultimo numero scritto in essa con quello della colonna dei risultati (nel nostro esempio: 3 + 3 = 6) e ne scriveremo il rusultato nella giusta posizione:
\
12.19.65
0
12
3 6
3
3
Tracceremo poi una linea orizzontale e sotto di essa abbasseremo gli ultimi numeri scritti, accostando a quello della colonna di costruzione uno zero (scriveremo quindi: 60); a quello della colonnna dei resti la seconda coppia di cifre del proposto (avremo allora: 319).
\
12.19.65
0
12
3 6 60
3
3
319
3
Costruiamo ora in due fasi il primo resto, che sarà solo parziale: (1) addizioniamo l'ultimo numero scritto nella colonna dei risultati con l'ultimo posto in quella di costruzione (nel nostro caso sarà: 3 + 0 = 3) ed in essa scriviamo la somma.
\|
1
12.19.65 12
(2) Si moltiplicherà poi il numero ottenuto con quello della colonna dei risultati e si controllerà che il prodotto ottenuto (quindi: 3 x 3 = 9) sia inferiore all'ultimo numero scritto nella colonna dei resti; se ciò è vero porremo la loro differenza (ovvero 12—9 = 3) in questa colonna e sarà il 1 resto parziale.
Separando con una nuova linea orizzontale, otterremo una striscia simile a quella composta prima con 0, 12 e 3. Qui però manca il numero nella 3 a colonna, quello cioè 4 che diventerà la seconda cifra nell'approssimazione di \ | 121965. Ruffini scoprì che il numero mancante era sempre il più grande fra quelli su cui si poteva ripetere le operazioni fatte prima in (1) e (2), partendo dai valori già scritti nella striscia. Dato che i numeri sono infiniti viene da pensare ad una ricerca piuttosto lunga; in realtà egli fece delle osservazioni che la semplificano molto: intanto essendo le cifre da cui si compongono tutti i numeri: 0, 1, 2,...9; e anche la radice è un numero, possiamo limitare i nostri sforzi solo a queste. Inoltre Ruffini osservò che la cifra cercata non può superare il quoto approssimato all'unità della divisione del numero scritto in 2 a colonna per quello scritto in prima; e quindi nel nostro esempio il 5, essendo 319:60 = 5. Scriviamo allora nella colonna dei risultati questo quoto e iniziamo la nostra ricerca: ripetiamo la (1); cioè lo sommiamo a quel che c'era nella prima colonna (il 60) e in essa scriviamo il risultato (cioè 60 + 5 = 65).
VII
Speciale P. Ruf fini 1
\
12.19.65
0
12
3 6
3
60
319
12.19.65 3
5
65
12
60
319
65 64
I 63
5/4
68 Rifacciamo poi la (2), moltiplicando quello che abbiamo ottenuto prima per il numero in terza colonna (quindi: 65 x 5) e, se è possibile, sottraiamo il risultato da quanto scritto in 2 a colonna. Nel nostro caso avremo 65 x 5 = 325, e quindi non è possibile sottrarre da quello della colonna dei resti; infatti 325 >319. Allora non scriveremo che una sbarretta nella colonna dei resti, e ricominceremo tutto sostituendo il numero in 3 a colonna con uno più piccolo: prima c'era 5; ora, separandolo con una sbarretta, scriveremo 4. 1 12.19.65
680
6365
Come prima, il numero mancante al completamento della striscia sarà compreso tra 0 e 9, e minore del quoto intero di 6365:680; cioè di 9. Useremo allora per iniziare la ricerca il 9 che scriviamo nella terza colonna (ripeteremo dunque le (1), darà: 680 + 9 = 689) e ancora moltiplicheremo il risultato per quanto c'è in 3 a colonna. Queste operazioni forniranno 6201 che, essendo minore di quanto posto nella colonna dei resti, permette di completare l'operazione (2); il nuovo resto sarà 6365-6201 = 164.
12
1 12.19.65
60
12 5/4
319
65
Adesso, compiendo l'operazione (1), otterremo 60 + 4 = 64, e moltiplicando per 4, come viene detto nella (2), avremo 64 x 4 = 256 che sottratto a 319 — ora è possibile farlo, essendo 256<319 — darà il secondo resto parziale: 63.
N
1
60
319
65 64
63
5/4
/
68 680
6365
689
164
12.19.65 12
60
319
65 64
63
5/4
/
Poiché sotto radice non abbiamo più cifre da utilizzare diremo che la nostra ricerca è conclusa; in caso contrario avremmo continuato a costruire nuove strisce, e a calcolare nuove cifre fino al termine delle coppie. Leggendo ora dall'alto al basso i numeri scritti nella colonna dei risultati avremo: 1 121965
Siano cosi giunti alla identificazione delle prime due cifre della radice intera di 121965; ma ora sappiamo qualcosa in più. Infatti ripetendo le operazioni preparatorie fatte prima possiamo costruirci una nuova striscia di numeri, e gli studi compiuti da Ruffini ci assicurano che ripetendo su di essa i ragionamenti ed i calcoli fatti sopra possiamo ricavare anche la terza cifra. Dunque cominciamo a sommare quanto c'è in 3 a colonna (attenzione: solo il 4!) con quanto scritto nella l a : sarà 64 + 4 = 68. Adesso abbassiamo quanto si trova in 1 a colonna, aggiungendo uno zero, e quanto c'è in quella dei resti accostando l'ultima coppia di cifre: Vili
= 349
Per quanto riguarda il resto finale 164, esso avrà il significato, già detto all'inizio, di differenza tra il quadrato di 349 ed il numero proposto; e fornirà un sicuro metodo di prova della correttezza dei nostri calcoli. 349 2 + 164 = 121801 + 164 = 121965 Verona, dicembre '87 Giuseppe Modenini
scaffaleaperto I 15 Fare storia - 4a
puntata
di Antonello Ricci
A CANINO ERA UNO SCHIAVISMO FASCISMO, TERRA, CONTADINI: LA STORIA DEL CONSENSO AL REGIME IN UN PAESE DELLA MAREMMA LAZIALE TRA FONTI SCRITTE E ORALI
1. IL "CONSENSO": IL METODO, LE FONTI. Raccontare la storia del "consenso" degli italiani al fascismo. Con quale legittimità, anzitutto, parleremo di "consenso" a proposito di uno Stato che fu spudoratamente autoritario, di un movimento-partito che fondò la propria conquista del potere ed il suo mantenimento sulla repressione di ogni opposizione politica e sulla restrizione di tutte le libertà personali? Inoltre, dentro l'etichetta "italiani" riposa un folto e vario sottobosco di classi e gruppi sociali: intenderemo proprio la stessa cosa citando il "consenso" delle avanguardie artistiche o quello dei "cafoni" meridionali, alludendo al "consenso" del proletariato delle grandi città settentrionali o a quello di una sopravvissuta nobilità semifeudale? Il tema è complesso ed il termine "consenso" ambiguo e assai scomodo: con un calembour grammaticale sarà meglio mutarne subito il singolare in plurale, per poi esplorare criticamente il fenomeno, dall'interno, nel suo continuo oscillare tra storia e mito, tra realtà sociale e propaganda. I consensi al fascismo ed al suo "duce", allora, appariranno come il variabile intreccio di tutti quei fattori di media durata storica che hanno caratterizzato l'intera vicenda dell'Italia contemporanea: una troppo recente e travagliata unità politica, cronici squilibri socio-economici tra nord e sud della penisola, barriere culturali dell'analfabetismo dilagante e della frammentazione dialettale ecc.; fattori che pongono, automaticamente, ineludibili questioni di metodo storico (e proprio questo fatto, forse, ha finora distolto i nostri storici "accademici" da ogni confronto serio con il tema). Vediamo in quale senso. Se per interpretare il consenso dei ceti dominanti, le tradizionali fonti d'archivio bastano a ricostruire un panorama chiaro e dettagliato, quando, invece, ci si sposti a indagare il consenso delle classi subalterne, verbali di questura, rapporti prefettizi, carteggia privati, stampa d'epoca ecc. si riveleranno materiali insufficienti allo scopo, o, addirittura, del tutto svianti: le fonti scritte, infatti, ci dicono ben poco sul quotidiano rapporto del popolo con il Potere e con le Istituzioni, sul suo diffuso senso comune intorno ai miti ed agli idoli della cronaca politica. Un discorso, questo, valido specialmente per i contadini poveri centromeridionali, che, da sempre, considerano Roma metafisicamente lontana ed ogni suo Governo onnipotente e bizzarro come le calamità naturali: Di fronte a ogni nuovo Governo, un povero cafone non può dire altro che "Dio ce la mandi buona" ; come quando l'estate grossi nuvoloni appaiono all'orizzonte e non dipende dal cafone decidere se porteranno acqua o grandine, ma dal Padre Eterno (1).
Tanto più che il regime fascista camuffò costantemente il dissenso e l'indifferenza contadini dietro il linguaggio roboante e fanfaronesco della propria propaganda: Gli agricoltori, che costituiscono la parte prevalente della popolazione, sono quelli che danno la caratteristica ambientale al fascismo della regione viterbese: fascismo silenzioso operante fedele (2).
Già dal dialogo di due personaggi del siloniano Vino e pane appare chiaramente la sostanza dell'espressione fascismo silenzioso: "Crede lei" disse Don Paolo "che tra i cafoni vi siano elementi avversi alla guerra?" " I cafoni non han da mangiare, come vuole che si occupino della politica" disse Zabaglione "La politica è un lusso riservato alle persone ben nutrite" (3).
Ma in che modo graffiare via del tutto la vernice dell'artificioso fante rurale della propaganda dalla figura ben più prosaica del vero contadino? In questa direzione, le fonti orali possono fornire un contributo essenziale: Allora c'era da sgobba! Pe' tira avanti la famiglia toccava annà via... la sera venivi a bujo e non c'era modo da organizzasse; perché allora le guae erano co' la pala: toccava, dio campo!, annà al lavoro, e se partiva la mattina a bujo e se veniva la sera a bujo! (4).
Nei confronti delle fonti orali e della loro "attendibilità" storiografica è lecito nutrire ogni genere di perplessità: la memoria, si sa, è "traditrice", sottoposta com'è all'usura del tempo, al lavorìo degli anni; il ricordo personale è un documento sovente ambiguo, poiché in esso le date s'incrociano, i fatti si mescolano, le persone si confondono ed il tempo si può restringere o dilatare in modo del tutto illusorio; e può darsi anche il caso, seppur paradossale, in cui il testimone abbia una qualche ragione che lo spinge a distorcere la "verità" del proprio racconto. Ma quando attendibilità storica significhi, come in questo caso, pertinente aiuto nel ricostruire la "mentalità" di un'epoca, allora, la struttura letteraria di un aneddoto autobiografico, il valore che il narratore attribuisce ai fatti raccontati e ad ogni propria scelta espressiva, il fatto che il tempo rappresenta più spesso continuità di valori che non frattura-, tutti questi elementi promuovono automaticamente la testimonianza orale al rango di fonte storica pienamente attendibile. Tutto ciò, se fosse necessario precisarlo, non nell'intento di soppiantare le "vecchie" fonti con delle "nuove", ma di proporre un genere di racconto storiografico in cui le fonti orali, intrecciate alle testimonianze scritte, restituiscano a queste ultime (sempre troppo rigidamente "ufficiali") tutta la varietà del vissuto quotidiano.
10 / scaffaleaperto
Dis. di Duilio Cambellotti (1924)
Sempre sotto questo punto di vista, infine, entreranno a far parte di una storia in senso pieno (senza aggettivi qualificativi) tutta quella miriade di "microstorie" e "storie locali", spesso considerate, a torto, come minori e marginali. Come è il caso della vertenza terriera che oppose, lungo tutto l'arco degli anni Venti e Trenta del secolo, i contadini di Canino, ex combattenti della prima guerra mondiale, ed i latifondisti Torlonia, padroni al tempo della gran parte del territorio agricolo del comune maremmano.
2. "UNA SCHIAVITÙ PROPRIO AL CENTO PER CENTO" (5) Nel 1919, contemporaneamente a quanto accadeva in buona parte delle campagne centromeriodionali, i reduci caninesi invasero in massa "Musignano", un'importante tenuta agricola dei Torlonia; qualche anno dopo, al termine di estenuanti trattative, ne ottennero in cambio altri terreni (ben peggiori dei primi) da spartire in quote di un ettaro ciascuna, concesse singolarmente in enfitèusi (6): però, dopo polemiche esasperate e mancati accordi tra i rappresentanti legali delle parti, il canone fu fissato dagli esperti ad un prezzo talmente alto (in rapporto alla fertilità degli apprezzamenti) che, ben presto, con la politica di "quota novanta" sostenuta da Mussolini ed alcune cattive annate consecutive, i reduci non furono più in grado di pagare. La vertenza che si aprì e che Casa Torlonia condusse con inflessibilità ed arroganza, si trascinò, tra il malcontento e le snervanti incertezze della popolazione locale, fino a quando, nel 1940, lo stesso Torlonia non riuscì ad estromettere i contadini dai terreni, inserendo questi ultimi in un piano di bonifica integrale: bonifica che, a spese dello Stato, risanò e appoderò una zona macchiosa e piuttosto selvaggia, facendo ricavare al Principe, grazie ai contratti mezzadrili successivamente stipulati, molto più di quanto quella stessa zona gli avrebbe reso se fosse rimasta così com'era. In tutta la vicenda, il regime fascista e le sue istituzioni (i quadri locali del P.N.F. e le gerarchie intermedie delle Corporazioni e dell'Associazioni Nazionali Combattenti) non seppero ricoprire altro che un ruolo mediatorio, nel tentativo di contenere lo strapotere di Torlonia, senza, però, mai metterlo in discussione.
La vertenza e le ripetute minacce di sequestro dei raccolti finirono per alimentare un clima di generale tensione; e generale, ovviamente, divenne anche la sfiducia nei confronti del fascismo, il quale, a conti fatti, non seppe mai creare vero consenso all'interno della comunità maremmana, né, addirittura, soffocare del tutto alcuni perduranti focolai di resistenza antifascista. Solo a stento, inoltre, penetrò in Canino la positiva immagine di un Mussolini "dittatore buono", sanatore (dove possibile) di tutti i mali inflitti al popolo (compresi quelli dovuti alla corruzione dei suoi stessi collaboratori): un mito che, pure, grazie a profonde e lontane radici culturali, in gran parte della penisola rappresentò il pilastro fondamentale del consenso popolare al regime. Leggere i documenti inediti conservati presso l'Archivio di Stato di Viterbo (7) dopo aver sentito raccontare di questa storia da qualche anziano del paese, fa uno strano effetto. Il quadro che si ricostruisce a partire dalle sole fonti scritte (la versione "ufficiale" seppure non pubblica, della vicenda) è quello di un paese schierato compattamente, tranne rarissime eccezioni, dietro la bandiera dell'Italia mussoliniana (la stessa della "battaglia" del grano e delle bonifiche pontine, per intenderci); di una comunità di contadini che, al pari dei mitici rurali degli opuscoli propagandistici e dei libri per la scuola elementare, redentori di lande desertiche e inospitali, lavoravano in modo silenzioso operante fedele, invocando giustizia dal regime nei confronti del latifondista oppressore, fiduciosi in una ormai prossima rivoluzione sociale in "camicia nera". Nel gennaio del 1935, il Podestà di Canino scriveva al Prefetto di Viterbo, a proposito di una locale conferenza sul tema "Nasce la famiglia rurale":
Molti cittadini e tra essi oltre trecento combattenti agricoltori, sono accorsi ad ascoltare la parola del conferenziere; egli ha efficacemente illustrato il lavoro compiuto dal Regime Fascista nella Bonifica dell'Agro Pontino, esaltando l'opera meravigliosa del Duce che ha potuto in breve tempo realizzare la rinascita e la valorizzazione di una vasta estensione di terreno a beneficio dei combattenti. La conferenza ha suscitato tanto entusiasmo in tutti i presenti ed in modo speciale tra i combattenti che si è ritenuto opportuno inviare a S.E. il Capo del Governo il seguente telegramma: "Trecento agricoltori combattenti di Canino, adunati per apprendere (...) le meraviglie da Voi operate per i Fanti Rurali nell'agro di Littoria, vi inviano il loro fervido e devoto saluto, invocando Vostro risolutivo intervento annosa questione terriera locale, con fiducia incontrollabile nella Vostra illimitata giustizia" (8).
Come appare evidente, gli uomini del regime, pur preoccupati dalla continua instabilità dell'ordine pubblico, vorrebbero avvalorare un'immagine a tutto tondo fascista dei contadini laziali:
Le 280 famiglie dei contadini combattenti Caninesi sanno che nel santo giorno di Pasqua non una parola di pace, non una parola per un accordo equo viene da Casa Torlonia, ma la minaccia di sequestrare il grano seminato con fede e con amore, la minaccia di essere cacciati da un terreno redento dalla sola loro volontà, dalla sola loro fatica. Essi che darebbero la vita per il Duce Magnifico, come l'offrirono per tre anni di trincea, domandano che sia posto fine ad una esosità e tirannia economica immorale degna d'altri tempi (9).
scaffaleaperto I 15 E dal tono celebrativo di questi documenti sembrerebbe presente, proprio nel punto di vista contadino, una contrapposizione nettissima tra l'antico Signore e le istituzioni del nuovo Stato; contrapposizione che, però, a ben guardare, può scaturire soltanto da una erronea e distorta manovra ideologica di chi scrive. In effetti, se ancora oggi nella memoria collettiva caninese gli altri tempi suddetti sono ricordati come "li tempi della schiavitù" (10): ...passarono l'anne e venne el feudale, erano quattro o cinque st'aguzzine sotto la bava ce se stava male. La gente n' se chiamavano operaje, se chiamavano guitte e chi bifolco, dovevano filar dritte e far bon solco sennò tutte le gioirne erano guae... (11).
pure, non si distingue mai tra un passato prossimo (gli anni della dittatura fascista) ed uno più remoto: il legame è di continuità e non di frattura, ed il periodo tra le due guerre è ancora ricordato come tempo di perdurante feudalismo: la propaganda non riuscì a sedimentare (come invece accadde altrove) un senso comune imperniato sulla figura del "duce" demiurgo di una nuova era, sensazionale spartiacque tra epoche storiche: Io ricordo che se faceva cilecca, perché c'era da lavora tanto e guadagna poco: il feudalismo è vissuto fino a che è vissuto lui. La cosa è cambiata doppo che danno dato le terre (12).
Unico vero cambiamento viene considerato quello introdotto dalla riforma degli anni Cinquanta, con l'istituzione dell'Ente Maremma e l'esproprio e la distribuzione delle terre, dopo le rinnovate invasioni dell'immediato dopoguerra ai danni di Torlonia: è l'Ente Maremma che "ci ha liberato dalla bava dei padroni" (13); e di questo fatto non c'è da stupirsi, se è vero che, come le stesse fonti d'archivio documentano, (...) dall'avvento del Fascismo in poi il Principe ha potuto liberare i suoi vastissimi tenimenti dalle invasioni che avevano totalmente compromesso la sua proprietà (14).
Una situazione per cui finì col restare incancellato, anche nelle più giovani generazioni, il ricordo delle violenze squadristiche: "Co' la purga, l'annàvano a chiappa casa per casa, je toccava a fuggì dal letto" (15); e, con esso, incompiuto ogni tentativo di ricomporre gli atavici rancori di classe. 3. CONCLUSIONE. Gli ex combattenti dopo esposte le varie ragioni in merito ai mancati pagamenti, inneggiarono al Duce ed al Fascismo, promettendo di attendere con calma e fiducia la risoluzione della vertenza (16).
Solo dopo un inconsueto itinerario a cavallo tra testimonianze scritte e orali, possiamo ben valutare gli effetti che la risoluzione della vertenza produsse, con il suo drastico e forzoso epilogo, qualche anno dopo, tra la gente del borgo laziale: Torlonia, iniziò la bonifica, sacrificò il grano che c'évano seminato l'agricoltori che c'erano, e sacrificò l'olivi ch'avevano piantato i vecchi combattenti, sacrificò tutte le sementi che c'erano : e questi ciavévano tutti i figli nella seconda guerra mondiale. In piena seconda guerra mondiale fu fatta questa disfatta: la bonifica. Pe' fa? Trenta poderi po' fà del bene a trenta persone (17);
e anche, di riflesso, la dura realtà di vita di quegli anni, troppo spesso mascherata dalla strombazzante retorica delle Bonifiche, vanto e orgoglio dell'Italia "fascista". In conclusione, brevemente, crediamo di aver mostrato come ogni corretta interpretazione storica del consenso degli italiani al fascismo non possa prescindere dal considerare le verità di tante "microstorie" come quella appena narrata, così come di modi magari inconsueti, ma non per questo meno fecondi, di raccontare la storia. — Fine — Le precedenti puntate sono apparse in S.A. n. 23-24 (1985), 25 (1986) e 26 (1987). NOTE AL TESTO 1) Ignazio Silone, Fontamara, Mondadori, Milano, 1967 (ediz. orig. Zurigo 1933), p. 129. 2) Sandro Giuliani, Le 19 Provincie create dal Duce, Tipografia del "Popolo d'Italia", Milano, 1928, p. 137. 3) Ignazio Silone, Vino e pane, Mondadori, Milano, 1969 (ediz. orig. Zurigo 1936), p. 285. 4) Conversazione con Ruggero Bonifazi (nato nel 1908, lavorò per Torlonia come salariato agricolo dal 1926 al 1950. E poeta improvvisatore), registrazione del 23 giugno 1982. Tutti gli stralci di testimonianze orali sono riportati in corsivo. Le guae = i guai. 5) Conversazione con R. Bonifazi, registr. del 30 giugno 1985. 6) In particolare, si tratta di un affitto a scadenza ventinovennale, con vari obblighi di miglioria. 7) Archivio Gabinetto Prefettura, busta 49, fase. 6, «Canino: vertenza fra gli ex-combattenti e i Torlonia, 1922-1937». Desidero qui ringraziare il Direttore dell'A.S.V., Dottor Alberto Porretti, che ha seguito puntualmente il lavoro di ricerca, incoraggiandomi con graditi suggerimenti e consigli. 8) A.G.P., foglio 117. 9) Lettera del Segretario della sezione di Canino alla Federazione Provinciale A.N.C., A.G.P., f. 232. 10) Conversazione con Giovanni Marcoaldi (nato 1903, contadino piccolo proprietario), registr. del 22 giugno 1982. 11) Ruggero Bonifazi, Satiro allegro. Poesie e canzoni di ieri e dì oggi, Tarquinia, s.d. (ma 1980 ca.), pp. 44-45. Guitte e bifolco: figure di lavoratori della terra. 12) Conversazione con G. Marcoaldi, registr. cit. 13) Testimonianza anonima riportata in Antonio Mattei, Terra Planzani, Associazione Culturale Piansanese-Comune di Piansano, Piansano, 1980, p. 114. 14) Lettera del Segretario Federazione del Fascio di Viterbo ad Augusto Turati Segretario Generale del P.N.F. (aprile 1927), A.G.P., f. 242. 15) Conversazione con R. Bonifazi, registr. del 30 giugno 1985. 16) Rapporto della Legione Territoriale CC.RR. del Lazio-Divisione di Viterbo al Prefetto di Viterbo (ottobre 1933), A.G.P., f. 128. 17) Conversazione con G. Marcoaldi, registr. cit.
12 / scaffaleaperto Discussione intorno al "Pendolo di Foucault"
COME PRESENTARE UN LIBRO INCONSUETO IN MANIERA INCONSUETA Per questo numero di S.A., il primo dell'anno X, ho pensato, una tantum, di parlare di un libro. Vorrei farlo in maniera inconsueta, come inconsueto è il libro di cui si tratta e inspiegabile il suo enorme successo. E un testo colto, addirittura erudito, che riesce ad essere venduto in migliaia di esemplari, malgrado il mondo non sia mai stato così disattento a certi temi. È uno dei misteri della vita, non meno imperscrutabile di quello contenuto nel "Pendolo di Foucault". Così, dopo aver letto e apprezzato il "Pendolo", mi piace giocare con la realtà e soprattutto con le parole, cambiare le carte alla storia, dimenticare il passato e il presente e pensare al futuro come se fosse presente. È quasi un "gioco delle perle di vetro" (1). Lo spirito non ha bisogno di accidenti come spazio e tempo e di certezze immediate che, del resto, nessuno può pensare di dare. Non ha messaggi da trasmettere, né, in fondo, qualcosa da dire. Vorrei solo trovare nel lettore potenziale la disponibilità a sintonizzarsi su una lunghezza d'onda diversa da quella quotidiana, a intuire una realtà in cui vivere a un'altra velocità. In fondo la lettura può anche servire a rilassare, non necessariamente a complicare la vita con finte problematiche (qualcuno dirà che la lettura è una "sovrastruttura" ?!). L'arricchimento personale può derivare anche da un messaggio interiore che si percepisce al di fuori di ogni riferimento con il reale. Non si tratta di proporre un filosofia del nulla e del disimpegno, sempre più gratificante comunque di un certo impegno, ma un invito ad abbandonare per un istante la logica tradizionale, per scoprire altre possibili verità, e parlare di un tema - inutile quanto si voglia - verso il quale mi ha indirizzato la lettura del P E N D O L O . Esso si può esprimere con una domanda che propongo qui di seguito in forme diverse: sono gli uomini che fanno la storia o è la storia che determina il destino degli uomini? Siamo sicuri che a determinare tutti i più grandi avvenimenti del passato e del presente (ma anche del futuro) siano stati quei grandi uomini che tutti conosciamo come coloro che hanno retto le sorti del mondo? E se la storia, munita evidentemente di qualcosa di vitale, quasi animata da un disegno imprescrutabile, si fosse servita di quei grandi uomini di cui sopra allo scopo di raggiungere un fine? E se esistesse davvero un disegno, sconosciuto a tutti oppure noto solo ad alcuni eletti, capace di indirizzare le forze presenti e operanti sulla terra allo scopo di realizzare un piano? E se ci fosse davvero qualcuno in grado di controllare le tante energie o forze che sfuggono alla percezione dei nostri sensi, ma che governano l'Universo? E se non esistesse alcunché di definitivo e certo, anche nel campo dei giudizi, da quello etico a quello estetico? E se veramente ogni attività dello spirito fosse legata come da un cordone ombelicale? Si potrebbero spiegare così le incertezze che caratterizzano il nostro tempo con la teoria della relatività di Einstein o con quelle posteriori che da essa prendono spunto. Perchè non applicare all'arte o alla morale quello che va bene per la fisica? Se si cambiano gli elementi, lasciando integro l'ordine logico che consente di
Eco e il suo pendolo in un disegno di Licia Zappatore
giungere ad una conclusione, si può formulare una tesi valida per ogni attività dello spirito. Come avviene con i programmi "dattilo" (in rigoroso italiano) (2) per i personal computer, che ti permettono con un solo ordine di cambiare una parola o una intera frase ricorrente con un'altra diversa in tutto il "file" (in rigoroso inglese). È un pò quello che avviene nel P E N D O L O . È un pò quello che ahimè - succede nella vita. Giovanni Firmani
1) È il titolo di un libro di H . Hesse, che andrebbe letto senz'altro, almeno una volta nella vita. 2) Definizione volgare dei programmi per scrivere con il calcolatore.
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CAROSI A., LUZI R., C. MANCINI, O. MAZZUCATO, M. R O M A G N O LI. Speziali e spezierie a Viterbo nel '400, Viterbo, Edizione Libri d'Arte, 1988, 233 p. IH. a colori e b.n., £ 80.000. Fra le manifestazioni culturali svolte a Viterbo nel corso del 1988 è certamente degna di segnalazione la mostra del prezioso corredo da spezieria organizzata da Romualdo Luzi per conto delle Edizioni Libri d'Arte e FAVL e la pubblicazione di uno studio particolarmente pregevole che ha visto all'opera numerosi studiosi: Attilio Carosi per la storia dell'arte degli speziali in Viterbo; O t t o Mazzucato per la catalogazione delle ceramiche del Corredo; Mario Romagnoli per le presenze ceramiche nel '400; Romualdo Luzi per l'illustrazione dei reperti vitrei e, infine, Clodomiro Mancini per una nota storica sulle conoscenze mediche e farmacologiche del tempo. Questa splendida pubblicazione, realizzata con la collaborazione della casa farmaceutica Wellcome Italia, ha accompagnato l'esposizione della spezieria nella manifestazione "Ai confini della maiolica ed oltre" allestita a Faenza dal 22 settembre al 30 ottobre 1988 ed è stata presentata, con vivi apprezzamenti, nell'ultima edizione della Buchmesse di Francoforte. Inutile dire che sentiamo queste iniziative un pò "valentanesi" per il contributo dato dagli studiosi locali, Luzi e Romagnoli, sia per la pubblicazione che per l'allestimento delle mostre.
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CAROSI, A. Librai, cartai e tipografi in Viterbo e nella Provincia del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia nei secoli XV e XVI. Viterbo, tip. Agnesotti, 1988, 151 p. ili. (Annali della Tipografia Viterbese.
recensioni dalla
I.).
(a cura del Comune di Viterbo, Assessorato alla Cultura) s.i.p.
SEZIONE LOCALE a cura di Romualdo Luzi
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Gli albori dell'attività editoriale nella nostra provincia risalgono al 1488, anno di pubblicazione in Viterbo, del piccolo trattato di grammatica di Mauro Onorato. È questo l'unico incunabolo edito nella nostra provincia mentre, nel sec. XVI, diverse tipografie aprirono bottega: Vittorio Biado e Pier Matteo Tesori in Viterbo negli anni 1546-47;
P.M. Tesori nel 1551 a Orte e nel 1558 a Valentano; Agostino Colaldi a Viterbo dal 1567 al 1603 con una presenza a Gallese nel 1576 e, infine, Nicolò Mariani a Farnese dal 1599 al 1601. Su questo argomento è pregevole lo studio di A. Carosi perchè alla novità e completezza dell'argomento trattato (il Rhodes si interessò della stampa nella sola città di Viterbo e in modo incompleto) si aggiunge una notevole indicazione documentaria non solo sulle tipografie ma, come dice il titolo, anche sulle attività dei librai e dei cartai. Il volume è ricco di numerose illustrazioni costituite da vari documenti e, soprattutto, da molti frontespizi delle edizioni presentate.
RASPI SERRA, J. - LAGANARA FABIANO, C.. Economia e territorio. Il Patrimonium Beati Petri nella Tuscia, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1987. 383 p. 76 ili. e XVII tav. f.t. (Collaborazione Università degli studi di Salerno. Dipartimento di Analisi delle componenti culturali del territorio), s.i.p. Alla prof. J. Raspi Serra, nota studiosa del nostro Medioevo, e alla sua collaboratrice, C. Laganara Fabiano, si deve quest'opera fondamentale per la conoscenza dell'Alto Lazio all'epoca dei Goti e dei Longobardi fino ai Carolingi, cioè dal quinto al nono secolo. La ricerca presenta l'analisi e la schedatura di circa duemila testimonianze documentarie e materiali. L'esame analitico dei toponimi, dei luoghi di culto e delle emergenze archeologiche presenti sul territorio hanno permesso di disegnare, nel confronto con l'ambiente attuale, l'antico assetto del territorio del Patrimonium Beati Petri in Tuscia. Con questo strumento diviene più agevole ricostruire il passato di tanti centri della Tuscia, scomparsi o ancora esistenti. La scientificità con cui l'opera è stata concepita non toglie il piacere di una lettura storicamente ed economicamente ben articolata. La bibliografia e i richiami documentari, le numerose illustrazioni e le varie tavole completano, in maniera eccellente, ciò che eccellente lo era già.
14 / scaffaleaperto BARBINI, B. - CAROSI, A. Viterbo e la Tuscia dall'istituzione della Provincia al decentramento regionale (1927-1970), Viterbo, Agnesotti. 1988, 318 p. ili. (a cura Cassa di Risparmio della Provincia di Viterbo) s.i.p. Il 2 gennaio 1927 veniva decretata l'istituzione della Provincia di Viterbo. Partendo da questo avvenimento gli storici A. Carosi e B. Barbini, hanno ricostruito gli avvenimenti salienti riferiti all'intero territorio provinciale sino al 1970, anno del decentramento regionale. Un'opera così ponderosa e impegnativa meriterebbe una trattazione più articolata rispetto a questa breve segnalazione. I nove capitoli in cui la ricerca viene presentata segnano altrettanti momenti legati a significativi avvenimenti storici, sociali, culturali ed economici, cosicché la lettura globale appare particolarmente vivace e interessante non solo per Viterbo ma per tutti gli altri centri della provincia e per una miriade di personaggi opportunamente segnalati nell'ampio e curato indice analitico. Molte e interessanti le illustrazioni (ma qui Viterbo fa la parte del leone) inserite nel testo e di cui ne sono un completamento puntuale e, in qualche caso, indispensabile.
IPOTESI per un Museo dell'Energia Elettrica, Roma, E N E L , 1988, 134 p. ili. s.i.p.
Il museo che sta nascendo è un omaggio "all'ingegno dei grandi uomini", agli inventori delle tante scoperte legate allo sviluppo dell'energia elettrica ma è anche omaggio a quanti, più semplicemente, hanno operato nel settore perchè questa industria divenisse mezzo di progresso per l'umanità intera.
LEFEVRE, R., "Madama" Margherita d'Austria (1522-1586). Vita d'una grande dama del Cinquecento, figlia di Carlo V, sposa sfortunata di Alessandro de' Medici e Duchessa di Parma e Piacenza con Ottavio Farnese, govematrice dell'Aquila e delle Fiandre, signora di città del Lazio e dell'Abruzzo, Roma, Newton Compton, 1986, 357 p. fig., tavv. f.t., Lire 30.000. Libro ponderoso e godibile. Non può mancare nelle biblioteche del Castrense e in quelle dei "farnesiani" incalliti.
LATERA. Guida turistica e note storiche. Grotte di C., Ceccarelli, 1987, p. 30, (distribuzione gratuita). Breve ed esauriente guida del grazioso paese, corredata di notizie demografico-economiche e storiche. Il lavoro acquista un pregio particolare perché nato dal lavoro congiunto degli studenti della locale Scuola Media e dei loro docenti.
IPOTESI per un Museo dell'Energia Elettrica. Memoria storica, Roma, ENEL, 1988 (contenitore con diapositive, fascicoli vari su l'Energia nei francobolli, in film, cartoline, documenti e giornali d'epoca.
SPINA, A., Diario della deportazione in Corsica del canonico di Albano G.B. Loberti (1810-1814), Albano Laziale, Diocesi di Albano, 1985, 154 p., s.i.p.
La nascita di un Museo costituisce un momento esaltante per la conoscenza dell'evoluzione del mondo perchè, nel momento in cui si decide di recuperare reperti e testimonianze della vita e dell'attività dell'uomo, di conservarli e di disporre l'esposizione per la pubblica fruzione, si attua un progetto culturale teso a conservare e tramandare anche i "gesti dell'uomo" nel campo storico, scientifico, sociale. L'ENEL, e non poteva essere altrimenti, ha sentito l'urgenza di far nascere a Roma il " M U S E O DELL'EN E R G I A E L E T T R I C A " illustrandone gli scopi con le prestigiose pubblicazioni che presentiamo.
Il periodo dell'Impero Napoleonico d'Italia e i suoi molti riflessi sulle vicende dei nostri centri è storia diremmo tutta da riscoprire. Un serio tentativo in questo senso è stato il recente convegno e la mostra relativa svoltosi a Ronciglione dal 23 al 28 maggio 1987 su "LA TUSCIA NELL'ETÀ GIACOBINA E NAPOLEONICA (1798-1815)". La pubblicazione del diario del Loberti va anch'esso in questa direzione di studi seri e circostanziati. In appendice al diario, prezioso, l'elenco dei molti sacerdoti che non vollero prestare il giuramento di fedeltà a Napoleone per rimanere fedeli ai det-
tati di Pio VII e per questo vennero deportati in vari luoghi d'Italia. Ben 9 sacerdoti e chierici di Valentano vennero deportati a Pinerolo da cui il sac. Angelo Antonio Mancini portò a Valentano un "Sonetto" stampato nel 1810 per la festa di S. Luigi Gonzaga celebrata in quel centro, annotando il fatto della sua deportazione e delle circostanze che l'avevano causata.
Le INFIORATE del Lazio. Catalogo della mostra tenutasi al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma dal 5 maggio al 5 giugno 1986. Marino, Tip. Palozzi, 1986, 76 p., X X X I I tav. f.t., s.i.p. Ottimo lavoro di documentazione di un fenomeno folkloristico-religioso presente in molti centri del Lazio (Acquapendente, Bolsena, Poggio Moiano, Agosta, Gerano, Genazzano, Genzano di Roma, Morolo). A P. Guarrera si deve il prezioso testo introduttivo sull'oggetto della ricerca, sulla preparazione delle infiorate, sulle specie botaniche utilizzate. Le schede dei centri della nostra Provincia sono state curate da E. Strappafelci (Pugnaloni di Acquapendente) e da M. Moscini (Infiorata per il Corpus Domini di Bolsena).
CHIOVELLI, R., PEPPARULLI, R., La lavorazione della canapa ad Acquapendente. Grotte di C., Ceccarelli, 1987, 52 p., s.i.p. Dopo gli accurati e analoghi cataloghi delle mostre organizzate dalla Biblioteca Comunale di Acquapendente sulla ceramica (1984), sul ferro battuto (1985), sul legno (1986) è di quest'anno quello sulla lavorazione della canapa ad Acquapendente così come avveniva sino ad alcuni anni fa. La mostra si è svolta dal 17 al 30 agosto 1987. Il catalogo è completato dallo studio del ciclo della canapa, da un glossario di termini tecnici dialettali, da documenti d'archivio.
BARBONI, G., Acquapendente. Festa di S. Antonio A. 17 Gennaio 1987, a cura del "Signore" Geom. Luigi Chiodo, Acquapendente, La Commerciale, 1986, p. 126, s.i.p. L'analisi di una festa religioso-
scaffaleaperto I 15 tradizionale, lo spoglio di numerosi documenti conservati nell'Archivio della Curia Vescovile di Acquapendente e la volontà del "Signore" per l'anno 1987 di perpetuare il ricordo di questa ricorrenza, costituiscono gli ingredienti con cui G. Barboni ha "confezionato" il risultato delle sue ricerche storiche e la documentazione della festa di S. Antonio A. Il volume è arricchito da belle foto d'epoca.
P E N T E R I A N I I A C O A N G E L I M.P., P E N T E R I A N I , U., Nepi e Usuo territorio nell'alto Medioevo (476-1131). Presentazione del prof. Girolamo Arnaldi. 133 p. X tav. f.t. Roma, Nuova Ed. Spada, 1986. L. 16.000. Precisa e documentata, questa ricerca ripropone aspetti più vari e interess a n t i della N e p i medievale, il monachesimo nella Valle Suppentoniana con la Basilica di Castel S. Elia, i centri della Via Amerina. Le X tav. f.t. sottolineano le preziose emergenze architettoniche, artistiche e lapidarie di questo interessante periodo.
P O P O N I , A. Cronache di tempi calamitosi. Storie e storielle di Acquapendente e dintorni dal 1860 al 1870. Introduzione, note e appendici a cura di Mario Battaglini. Acquapendente, La Commerciale, 1987. XV, 175 p., s.i.p. Antonio Poponi nacque e visse ad Acquapendente dal 1831 al 1895. Dei suoi scritti rimangono, inedite, le "Memorie storiche della città di Acquapendente" mentre questa "cronaca" vede la luce per cura di Mario Battaglini che l'ha fornita di una buona introduzione l'ha annotata e completata con un'appendice di ben 40 documenti. Questi "tempi calamitosi" abbracciano praticamente l'epopea garibaldina con l'occupazione di Acquapendente del 1867 e non sono strettamente legati alla sola cittadina acquesiana ma spaziano nell'ultima fase risorgimentale con riferimenti a moltissimi centri dell'Alto Viterbese. Questa segnalazione è volutamente breve proprio per dire che un libro simile va letto di corsa, direi "alla garibaldina", in compagnia del curatore, il dott. Battaglini, che ricordiamo come storico competente e finissimo parlatore.
GAVELLI, G. Ischia di Castro. Il mio paese: un castello - una chiesa e un campanile,Ischia di Castro, Gruppo Archeologico Armine, 1988 (tip. Ambrosini, Bolsena), 267 p. 32 tav. n.t. £ 12.000.
della Fontane (Valentano); A. Quattranni, Festa popolare e mestiere: un aspetto della cultura materiale. La pesca nel lago di Bolsena e la festa di Santa Cristina.
Ricca di note, di riferimenti bibiliografici e richiami a documenti d'archivio, questa storia di Ischia di Castro "raccontata" con stile magistrale dall'Autore è certamente una lettura interessante non solo per gli Ischiani ma per i tanti appassionati di storia locale.
BALDUINI, L. Pietro Ghignoni pittore cometano, Viterbo, Ed. Cultura, 1987, 100 p. ili. s l p .
Atti dei verbali consiliari. Anni 1555-1564,a cura di V. Angelotti, F. Fanelli, E. Fucini. Marta, Amministrazione Comunale, 1988 (tip. Quatrini, Viterbo), 384 p. ili. s.i.p. La pubblicazione di un'opera così imponente e impegnativa (in quasi quattrocento pagine sono trascritti i verbali consiliari di Marta dal 1555 al 1564) meritava un'attenzione diversa e un apparato di note e commenti che, in qualche modo, servissero alla migliore comprensione del testo per i non addetti ai lavori. Ma a questo si potrà ovviare in seguito con la pubblicazione, prevista, di un fascicolo apposito. Ci piace sottolineare questa positiva "voglia di fare" che ha contraddistinto l'iniziativa.
Riti, feste primaverili e il lago di Bolsena,z cura di A. Achilli e Q. Galli, Viterbo, Quatrini, 1988, 146 p. ili. f.t., £ 15.000. Questo VI volume della collana "Vita, cultura, storie delle classi subalterne dell'Alto Lazio" presenta gli atti del Convegno svoltosi a Bolsena nel 1986 con interventi e comunicazioni di particolare rilievo. Dall'indice: Q. Galli: Perchè questo Convegno, L.M. Lombardi Satriani: Lo sguardo della festa-La festa dello sguardo. Note sull'universo estivo-, A. Gabbrielli, Riminiscenze e sopravvivenze del culto degli alberi in Italia; L. Faranda, A. Milillo, Spunti per una lettura critica della infiorate; E. Strappafelci, I PugnaIoni di Acquapendente; A. Di Nola, Presenza delle serpi nella memoria di Santa Cristina e nella sua Passio:paralleli e analisi, A. Rizzacasa, Il linguaggio del sacro nei riti primaverili; P. Tamburini, Testimonianze di un rito primaverile nella Volsinii romana: il Santuario del Pozzarello; R. Luzi, La "cuccagna" di Villa
L'A. ripercorre la vicenda umana e artistica di Pietro Ghignoni (Tarquinia 1854-1933) e propone alla nostra attenzione tante e pregevoli opere di questo maestro cornetano ancora non sufficientemente conosciuto.
CASACCIA, M. - A. QUATTRANNI Ambiente, pesca, tradizioni del lago di Bolsena, Bolsena, Città di Bolsena ed., 1988 (tip. Ambrosini, Bolsena), 69 p. ili. s.i.p. La ricerca presenta il lago di Bolsena nei suoi aspetti ambientali e si sviluppa, soprattutto, nell'illustrazione dei vari aspetti relativi alla pesca sul lago con testimonianze che risalgono alla Preistoria, con citazioni di documenti d'archivio (i Capitoli del 1463 e altri successivi) e riferimenti alle tradizioni e consuetudini locali.
D. M A N T O V A N I Vita di un patriota: Francesco Maria Alberti, 1824-1905, Blera, Pro Loco, 1988 (Tip. Veneziana, Roma), 201 p. tav. f.t. s.i.p. Alla penna del prof. Mantovani la cittadina di Blera deve tante pagine significative della sua storia antica e recente. Con questa sua ultima fatica l'A. presenta la figura di un patriota Merano che seppe rappresentare il viterbese nel Risorgimento italiano prima e quindi l'impegno come cittadino, letterato e maestro, nella vita della sua cittadina dopo l'unificazione del 1870.
LAURA, A. Gli affreschi del Romitorio di Poggio Conte. Il recupero nella storia, Bolsena, Tip. Ambrosini, 1988, 12 p. ili. s.i.p. Questo breve ma prezioso fascicolo presenta i sei affreschi del Romitorio di Poggio Conte trafugati nel 1964 e che, recuperati dai Carabinieri del nucleo di tutela del patrimonio artistico, sono ora esposti nel Museo di Ischia di Castro.
16 / scaffaleaperto C E C I L I O N I , S. Contributo allo studio delle tradizioni popolari di Tuscania, Tuscania Comune, 1988 (Tip. Ceccarelli, Grotte di Castro) 285 p. s.i.p. Questo primo quaderno della Biblioteca Comunale di Tuscania presenta il lavoro svolto sul campo e che, oltre alla premessa di ordine metodologico, riguarda gli aspetti tradizionali e folkolorici del ciclo dell'uomo e di quello dell'anno. Il tutto è completato da proverbi e dalla riscoperta delle antiche feste di Tuscania.
C I G N I N I , M. Amalasunta. Storia e leggende della Tuscia, Viterbo, Quatrini, 1987, 100 p. £. 10.000; L'erba del pane. Racconti, Viterbo, Agnesotti, 1988, 118 p. £. 12.000. Narrare storie, leggende e racconti della Tuscia in maniera incisiva e immediata è il principale merito di questo Autore viterbese che mostra, oltre la valenza della sua penna, il proprio attaccamento alla terra che gli ha dato i natali e ove lui vive e lavora.
SCRIATTOLI, A. Viterbo nei suoi monumenti, Viterbo, E d . FAVL, 1988 (ristampa ed. 1915-20), 470, XIII p. figg. 20 tav. col. f.t. £. 120.000 Le viterbesi edizioni FAVL ripropongono la ristampa di quest'opera che viene considerata, non a torto, il più bel libro apparso su Virebo. Nel programma della nuova casa editrice è stata annunciata la pubblicazione di un secondo volume che serva da completamento all'opera dello Scriattoli e illustri la Viterbo dopo le distruzioni della 2 a Guerra Mondiale e quella fuori delle mura. Autori di questo secondo volume saranno B. Barbini e A. Carosi.
CATTERUCCIA, L. I giorni dello strologo, romanzo, Milano, Rusconi, 1987, 230 p. £. 20.000. D O N A T I G I G L I O , L. II sole di mezzanotte, romanzo, Viterbo, ed. Cultura, 1988, 263 p. illustrazioni di S. Veronesi, s.i.p. H U G , R.J. Maremma,romanzo storico dell'Ottocento (1820-1850), traduzione dal te-
desco S. Della Ferrera, con 42 xylografie di R. Wyss, Prato, ed. Pentalinea, 1988, 179 p. £. 18.000. Due paesi "contadini" dell'Alto Lazio e la terra della Maremma grossetana costituiscono lo sfondo su cui si animano le vicende di questi tre interessantissimi romanzi, tutti pregevoli ache se ovviamente diversi per stile e impostazione letteraria. Nelle pagine di Catteruccia è la gente di un paesino dell'Alto Lazio la protagonista di tante storie ed episodi di vita quotidiana ove ricordi e valori appaiono forse lontani dal mondo attuale. Diverso è l'impianto del romanzo della Donati Giglio. Qui il protagonista è un giovane nobile, Stefano Mattei-Rivera. Il suo difficile e tragico rapporto con il padre, la ricerca affannosa d'una verità sulla vicenda oscura della madre "scomparsa", la nascita di un sentimento vero per la popolana Maria costituiscono i momenti salienti della trama di un romanzo che diventa storia laddove di luoghi e paesi se ne narrano le vicende legate a fatti singolari del passato. In Maremma il protagonista è Francesco. un giovane trovatello, la cui vicenda umana si svolge all'epoca della bonifica delle paludi dell'Ombrone fino ai primi moti del nostro Risorgimento. L'autore, come si autodefinisce, è svizzero per l'anagrafe ma si sente "cittadino del mondo per vocazione".
MALAVOGLIA. Rivista di narrativa. Viterbo, n. 1, giugno 1988; n. 2 dicembre 1988. Anno I. È giunta al suo secondo numero la rivista di narrativa Malavoglia, con redazione in Viterbo, diretta da Maria Clelia Cardona, Anna De Stefano e Angela Giannitrapani. Unica nel nostro paese per essere interamente dedicata al genere del racconto, si articola nelle seguenti sezioni: "Testi"(Il bambaissa di Luciana Frezza e L'ala di Dùrer di A. Giannitrapani), "Recuperi" (con la suggestiva riproposta dell'Arrivo in un panorama di Bona Meucci, del 1933), "Critica" (intervista con lo scrittore siciliano Gesualdo Bufalino e seguente saggio della curatrice A. De Stefano. La scrittura e la maschera; Illusionismi prospettici note sul "Calloandro" del Marini, di Paolo Cannettieri; Diario siciliano), "Teoria, metodologia" (con due ampi interventi sulla dibattuta questione del Postomoderno: Dal postmoderno almetamoderno di M.C. Cardona e Postmo-
derno e intertestualità del prof. Manfred Pfister dell'università di Passau), "Schede e recensioni" (due interventi, entrambi di A. Giannitrapani, dedicati rispettivamente a "Milton e la Sicilia" di M. Cappuzzo e "Postmodernist fiction" di B. McHale). Da segnalare, infine, la novità, rispetto al primo numero, dell'inserzione di un "Supplemento poesia" in forma di foglio volante allegato, inaugurato da M.C. Cardona. A. RICCI
I QUADERNI di Gradoli. Bollettino del Centro Studi e Ricerche sul Territorio Farnesiano, Gradoli, n. 5, 1988, 52 p. Questo numero è dedicato complétamete al Convegno " I Farnese dalla Tuscia alle Corti d'Europa. Trecento anni di storia" svoltosi a Gradoli nell'ottobre 1987. Sono infatti riportate le numerose segnalazioni apparse sulla stampa ralative al Convegno. Di R. Luzi è la terza serie delle schede bibliografiche inserite nel Bollettino e relative alla "Guerra Barberina" ovvero "La Guerra di Castro" (1641-1644).
SEGNALAZIONI G A L E O T T I , M., Addio ...vecchia Viterbo!, Viter-bo, Agnesotti, 1987, 2 voli. 795 p. 1535 ili. s.i.p. I BOSCHI del Lazio. Esperienze e considerazioni del Corpo Forestale dello Stato operante nel Lazio, Roma, Regione Lazio, 1988, 99 p. ili., s.i.p. FANTI, G., Gli Statuti di Soriano (1447-1744), Viterbo, Agnesotti, 1988, 171 p., £. 16.000. D E L C I U C O , S., Pianoscarano. Uomini, cose ed usanze di una Viterbo che passa, Bolsena, Ambrosini, 1987, 219 p. ili. A R I E T I , I., Tuscia a tavola. Ricette, curiosità, tradizioni gastronomiche della Provincia di Viterbo, II ed., Viterbo, Quatrini, 1987, 302 p. ili. s.i.p. R O M A N E L L I , R., Necropoli dell'Etruria rupestre. Architettura, Viterbo, E d . Cultura, 1986, 166 p. ili. £. 25.000. PIETRO ALDI pittore di storia, a cura di Giovanni Marziali, Milano, 1988, 107 p. (Catalogo della Mostra di Manciano, 23.7 30.8.88). £. 25.000. ARTE E ACCADEMIA. Ricerche, studi, attività '88 dell'Accademia di Belle Arti "Lorenzo da Viterbo". Viterbo, Agnesotti, 1988, 139 p. ili. s.i.p. Miscellanea di studi con inteventi di: I. Faldi, A. Rizzacasa, F. T. Fagliari Zeni Buchicchio, F. Biganzoli, Q . Galli, G . Mazza, P. Fochesato, I. Dini, M. Amadò, A. Zappa.
SCAFFALEAPERTO periodico biblioteca comunale 01018 V A L E N T A N O tel. 0 7 6 1 / 4 5 3 5 8 8 N. 27/1988 dir. R. L u z i dir. resp. G . C a r i o t i suppl. a " S C R A P A N T E " Trib. Roma N. 15206/28.9.73 Stampa: La T O S C O G R A F I C A - S p i c c h i o / V i n c i
In questo numero
1. editoriale/UNA B I B L I O T E C A " M A G G I O R E N N E " 2. v. natali/"LA C U L T U R A " 3. b. mancini/ARCI I E O L O G I A E T E R R I T O R I O 4. c. mancini/IL LUPO M A N N A R O 7. r. luzi/L'ACQUA A F A R N E S E 9. a. ricci/A C A N I N O ERA U N O S C H I A V I S M O 12. g. firmani/COME PRESENTARE UN LIBRO I N C O N S U E T O IN M A N I E R A I N C O N S U E T A
nnn Copertina Mario Romagnoli
13. A N D A R PER LIBRI
Inserto: SPECIALE P A O L O R U F F I N I a cura di pier maria fossati con uno scritto di g. modenini