Via Roma, 83 - 09124 Cagliari
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Cagliari, 15-16 Luglio 2003 0DWHULDOHGLGDWWLFR
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Studi di Caso sugli Enti Locali
A cura di: G. Altieri, M. Bonaretti, S. Leopardi, L. Rampino.
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1. Innovazione nella pubblica amministrazione e politiche di gestione delle risorse umane 2. Le tendenze nelle politiche del personale nei Paesi occidentali 3. La contrattazione collettiva in Europa 4. La flessibilità del rapporto di lavoro come politica di gestione del personale: obiettivi, logiche e ambito della ricerca
i ii viii xi
&DSLWRORSULPR ,O&RPXQHGL0LODQR GL6DOYR/HRQDUGL
1. Caratteristiche economico–sociali del territorio 2. Lavoro flessibile e atipicità al Comune di Milano 3. Flessibilità, Pubblica Amministrazione e sindacati
xv xxvii
&DSLWRORVHFRQGR ,O&RPXQHGL%UHVFLD GL6DOYR/HRQDUGL
1. 2. 3. 4.
Il contesto socio-economico del territorio Il personale dipendente del Comune La flessibilità Le relazioni sindacali
xxxi xxxii xxxvi
&DSLWRORWHU]R &RPXQHGL%RORJQD GL/XLJL5DPSLQR
1. 2. 3. 4. 5. 6.
Introduzione Il part time I contratti a tempo determinato Il telelavoro Le nuove forme flessibili: contratti di formazione e lavoro e lavoro interinale Conclusioni
xl xli xliii xlv xlvi xlvii
&DSLWRORTXDUWR ,O&RPXQHGL5LPLQL GL6DOYR/HRQDUGL
1. 2. 3. 4.
Il contesto socio-economico del territorio Le strategie gestionali Politiche del personale e flessibilità Flessibilità e relazioni sindacali
xlix l liii lx
&DSLWRORTXLQWR 3URYLQFLDGL9LWHUER GL/XLJL5DPSLQR
1. Premessa 2. Il settore ambiente: cantiere scuola “osservatorio ambientale” e consulenze esterne 3. Le consulenze esterne
lxii lxiv ii
4. Il lavoro flessibile dipendente 5. Conclusioni
lxix lxxi
&DSLWRORVHVWR 3URYLQFLDGL6DOHUQR GL/XLJL5DPSLQR
1. 2. 3. 4. 5.
Introduzione Il personale a tempo determinato Le collaborazioni esterne Le altre forme flessibili Conclusioni
lxxiii lxxv lxxix lxxxiv lxxxv
&DSLWRORVHWWLPR ,ULVXOWDWLGHOODULFHUFDWUDLQQRYD]LRQHHFRQWLQXLWj GL0DXUR%RQDUHWWL
1. 2. 3. 4.
Il paradigma tradizionale di gestione del personale I risultati della ricerca Il ruolo degli attori: direzione del personali e organizzazioni sindacali Conclusioni
lxxxvii xc xcvii xcviii
iii
Introduzione /DIOHVVLELOLWjGHOODYRURSXEEOLFRQHOTXDGURGHOFDPELDPHQWR LVWLWX]LRQDOH GL0DXUR%RQDUHWWL ,QQRYD]LRQH QHOODSXEEOLFDDPPLQLVWUD]LRQHHSROLWLFKHGLJHVWLRQHGHOOHULVRUVH XPDQH
I processi di cambiamento, avvenuti sul piano economico e sociale, hanno modificato in modo evidente lo scenario di riferimento in cui opera la Pubblica amministrazione, facendo nascere nuovi bisogni di tipo macro e di tipo puntuale. In particolare due aspetti di contesto hanno caratterizzato gli ultimi venti anni, condizionando le politiche pubbliche: la crisi del Welfare State e lo sviluppo dei processi di globalizzazione. Per affrontare questi nuovi bisogni, in tutti i Paesi occidentali si sono sviluppati tentativi di riforma dell’amministrazione pubblica, finalizzati, da un lato, a recuperare risorse per contribuire al risanamento dei bilanci e, dall’altro, a modificare le politiche pubbliche, in una prospettiva non solo di miglioramento dell’efficacia dell’azione, ma anche di mutamento complessivo di ruolo strategico delle istituzioni, rispetto al sistema sociale. In particolare, la strada più percorsa è stata quella dell' introduzione di nuove logiche di gestione, basate sull' implementazione di alcuni principi propri del management privato. Molti Paesi hanno così optato per il maggior ricorso a funzioni di mercato o tramite la privatizzazione di attività in precedenza gestite dal sistema pubblico, oppure tramite il ricorso a forme di contracting out o, infine, tramite la creazione di meccanismi interni capaci di simulare dinamiche competitive o di scambio tra attività pubbliche (quasi mercati). A corollario di questa tendenza si è poi sviluppato un maggior decentramento dell' autonomia delle singole unità, una revisione degli assetti organizzativi e una diversa
concezione
dei
sistemi
di
responsabilità,
tradizionalmente
orientati
all' adempimento dell' attività burocratica e ora rivolti al conseguimento di risultati di gestione. La gestione del personale è stata una delle aree di innovazione nelle quali questi tentativi sono stati più frequenti. In particolare la riduzione degli organici, nuove politiche retributive variabili, l' introduzione di forme flessibili di lavoro, lo sviluppo di
i
relazioni sindacali decentrate e il contemporaneo aumento dell’autonomia di direzione del management sono tra le linee di intervento più diffuse. Non però tutti i Paesi hanno seguito il modello del New public management: alcuni paesi continentali quali la Francia e la Germania hanno percorso tentativi di innovazione caratterizzati da una maggiore continuità istituzionale. L'ambito in cui sono state prodotte le innovazioni è quello amministrativo legale e l'introduzione della competizione e delle logiche di management privato non erano ai primi posti dell'agenda dei Governi. In questo quadro il caso italiano presenta proprie peculiarità sotto il punto di vista del PRGHOOR GL LQWHUYHQWR
: si è collocato in un punto intermedio rispetto agli estremi della
continuità istituzionale, propria del modello tedesco, e la rottura di paradigma, propria del “new pubblic management” anglosassone. In particolare, mentre gli obiettivi perseguiti erano tesi al miglioramento organizzativo in una logica di aziendalizzazione della cultura di gestione, le modalità di intervento adottate hanno previsto un forte coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e il ricorso a interventi di cambiamento, centrati principalmente sull'utilizzo della normativa in chiave di innovazione organizzativa. Come negli altri paesi, anche in Italia, l’intervento sulle politiche di gestione del personale ha rappresentato una delle leve organizzative sulle quali si è intervenuto con più insistenza: la privatizzazione del rapporto di lavoro, il cambiamento dell’assetto delle relazioni sindacali, l’introduzione contrattuale di alcuni strumenti di gestione del personale, l’introduzione di forme flessibili di lavoro /HWHQGHQ]HQHOOHSROLWLFKHGHOSHUVRQDOHQHL3DHVLRFFLGHQWDOL
Le strategie di riforma del settore pubblico hanno avuto ricadute sulle politiche di gestione del personale in tutti i Paese occidentali. La strada più nota, anche perché ha influenzato in larga misura il paradigma delle raccomandazioni OECD, è quella dell’introduzione nel settore pubblico di meccanismi di gestione tipici del management, così come conosciuto nel settore privato. In generale, sebbene non tutti gli approcci al nuovo management abbiano avuto le stesse caratteristiche, è possibile individuare tre elementi comuni ai tentativi di riforma nei diversi Paesi.
ii
Il primo elemento è l’orientamento all’efficienza. Questo elemento si concretizza nella tendenza a ricercare meccanismi propri del settore privato del tipo “value for money”, attraverso l’introduzione di più forti controlli gestionali e contabili. Questa strada comprende lo sviluppo di ruoli professionali di direzione e l’introduzione di una serie di tecniche manageriali finalizzate alla ricerca dell’efficienza e dell’efficacia. Inoltre vengono sviluppati maggiori controlli tramite valutazioni dei meriti e delle prestazioni, a volte collegate a salari di produttività. Un secondo elemento è determinato dai cambiamenti nella struttura organizzativa che tende a frammentarsi in unità separate, dotate di forte autonomia manageriale. Un terzo elemento è l’orientamento al mercato: viene incoraggiata la competitività, tramite il ricorso al mercato esterno e la creazione di mercati interni Centrale rispetto al “New pubblic management” è l’enfasi su un approccio più strategico alla gestione delle relazioni di impiego: vengono costituite direzioni del personale influenti, coinvolti tutti i managers nella gestione del personale, estese le forme flessibili del lavoro. In realtà non tutti gli approcci all’innovazione nella pubblica amministrazione, hanno avuto le stesse caratteristiche tra i diversi Paesi e si sono rivolti verso l’impiego del modello di new public management. In generale al contrario, questi approcci, hanno tenuto conto delle differenze esistenti nelle tradizioni culturali di partenza, nel sistema giuridico e di status, nel contesto di riforma, nelle peculiarità
del sistema
organizzativo. Per queste ragioni sono generalmente individuate tre grandi aree di riferimento culturale nelle politiche di miglioramento nella gestione dei servizi pubblici. Una prima area di cultura anglosassone e a cui appartengono Paesi quali la Gran Bretagna, la Nuova Zelanda, e gli Stati Uniti, tende al miglioramento tramite il ricorso radicale a criteri propri del cosiddetto approccio del “New public management”. All’estremo di quest’area viene normalmente collocata l’area dei Paesi continentali (Francia, Germania ) nei quali il problema dell’innovazione manageriale non rappresenta il principale punto dell’agenda. In questi Paesi il cambiamento è avvenuto tramite un percorso di razionalizzazione più orientato ad una prospettiva di continuità istituzionale. Gli aspetti caratterizzanti sono quelli del carattere amministrativo legale della riforma, del consolidamento dello Stato senza l’introduzione di meccanismi
iii
competitivi tra le sue funzioni, dell’intervento per introdurre elementi di flessibilità nel mercato del lavoro in un quadro però di sostanziale continuità. Ad eccezione degli istituti legati alla variabilità salariale, introdotti più per esigenze di contenimento e flessibilità del costo del lavoro, in una fase di generale risanamento economico, che per obiettivi di miglioramento della gestione del
personale, i maggiori strumenti di
innovazione del lavoro hanno percorso, in questi Paesi, per così dire linee esterne (contratti a termine, part-time). Le modalità di assunzione e di promozione rimangono invece sostanzialmente immutate e sono fortemente regolamentate
o a livello
normativo o tramite contrattazione. E’ quindi evidente che la diversa natura e tradizione dei sistemi amministrativi e delle relazioni sindacali hanno comportato approcci diversi dal radicalismo anglosassone. In posizione intermedia stanno sperimentando approcci misurati verso il “new pubblic management” i Paesi nordici, l’Olanda e la Danimarca. In questi Paesi le principali caratteristiche sono rappresentate dall’apertura nel sistema del reclutamento e delle carriere, dall’attiva partecipazione dei cittadini alle attività istituzionali, dalla forte tradizione dei governi locali. Comunque una delle recenti tendenze delle realtà del Nord-Europa è proprio l’influenza degli approcci anglosassoni al cambiamento delle amministrazioni pubbliche. In generale tutti i Paesi stanno ripensando il ruolo dei governi sotto molti aspetti, ma tali fenomeni variano da Paese a Paese. Nei paesi nordici ad esempio è in atto un forte ricorso all’utilizzo di agenzie e imprese pubbliche per migliorare le prestazioni, mentre nei Paesi anglosassoni lo stesso obiettivo viene perseguito importando nel settore pubblico le esperienze del settore privato. In ogni caso la strada del “New pubblic management”, dopo una notevole enfasi iniziale, ha rivelato le sue difficoltà. Molti Paesi hanno capito che assegnare ai manager grande flessibilità e autonomia nella gestione delle risorse è una strada necessaria, ma non sufficiente per migliorare i risultati. Così ci si è resi conto che neppure la determinazione delle prestazioni di un’organizzazione o il suo grado di efficienza ed efficacia è un compito semplice. Inoltre la bassa relazione tra i successi e i fallimenti dell’organizzazione e i successi e i fallimenti degli individui rende più difficile la valutazione delle prestazioni nel settore pubblico. Così molti Paesi hanno ritenuto più importante rivedere criticamente i sistemi e sottosistemi dell’organizzazione.
iv
Per quanto riguarda la mobilità sono da segnalare diverse iniziative tese a favorire volontariamente la mobilità temporanea: la Francia ad esempio utilizza la mobilità come strumento per incentivare l’adattamento con nuove situazioni di lavoro, in Olanda, Germania, Gran Bretagna e Svezia si è fatto grande ricorso a processi temporanei di mobilità. Per quanto riguarda la gestione del personale e il reclutamento, sembra evidente una tendenza al decentramento decisionale. La Svezia ha completamente decentrato alle agenzie le politiche di gestione e nella stessa direzione si stanno muovendo Danimarca, Olanda e Regno Unito. Anche per quanto riguarda il reclutamento la tendenza è quella di realizzarlo a livello di agenzia, tenendo conto delle proprie esigenze e nel rispetto dei vincoli di budget. In tutti i paesi esiste una grande enfasi sullo sviluppo del personale e sull’addestramento. Ad esempio in Francia l’addestramento è obbligatorio nel periodo di prova. Anche in Germania e nel Regno unito l’addestramento è molto organizzato e strutturato, mentre negli altri casi dipende dalle esigenze delle singole unità: i governi possono fornire delle opportunità, ma le singole agenzie decidono se mandare o meno ai corsi il personale. La flessibilità sta divenendo un importante aspetto delle politiche di gestione del personale. La necessità di contribuire allo sviluppo economico, anche tramite politiche di contenimento della spesa, ha condotto molti governi a ridurre i costi per il personale, in quanto questi rappresentano, spesso, una delle principali voci del bilancio pubblico (secondo fonti ILO variano in alcuni paesi tra il 60% e l’80% delle spese per beni e servizi ). In generale tale strada è stata perseguita attraverso due percorsi differenti: da un lato si è cercato di ridurre il personale attraverso un approccio centrato direttamente verso questo obiettivo, mentre dall’altro si è tentato di affrontare il problema in modo più articolato e con un approccio manageriale. Nel primo caso la ristrutturazione degli organici era sia un mezzo sia un fine: sebbene la riduzione fosse parte di un’agenda di riforma più ampia, in queste situazioni non è mai stata chiarita la relazione esistente tra razionalizzazione e sviluppo. Tale politica è stata perseguita tramite una logica di orientamento ai numeri, focalizzata sulla capacità di raggiungere gli obiettivi di riduzione degli organici. A fronte di queste scelte, che non garantiscono il
v
miglioramento della qualità delle risorse, ma solo un contenimento dei costi, altri Paesi hanno cercato di bilanciare il bisogno di razionalizzare gli organici con l’esigenza di non compromettere la stabilità organizzativa. In questi casi si è tentato di riqualificare il personale, di riorientare le strutture organizzative nel loro complesso, di utilizzare in modo più flessibile le risorse umane. Più nello specifico secondo l’OECD, in paesi europei continentali quali Belgio, Grecia, Italia e Turchia, si sono adottate misure passive per bloccare la crescita piuttosto che per ridurre significativamente gli organici (es. blocco del turn-over). Questo approccio è più presente nei paesi in cui il lavoro è più certo, prevale la carriera presso un unico datore di lavoro e viene premiata l’anzianità (mercati interni del lavoro più chiusi). Altri Paesi quali Messico, Irlanda e Svizzera hanno optato per misure di stabilizzazione degli organici con tagli contenuti (entro il 2%) delle spese. Infine paesi quali Australia, Canada, Finlandia, Ungheria, Norvegia, Portogallo e Stati Uniti hanno introdotto più attivamente programmi di riduzione degli organici. In questi casi la riduzione degli organici ha portato a risparmi di spesa fino al 16%, come nel caso del Canada, dove la programmazione di questa politica è stata realizzata su base triennale in modo centralizzato. In altre situazioni, come in Australia, si è riusciti a ridurre gli organici assegnando nuove responsabilità a livello decentrato e conservando al centro l’elaborazione di indirizzi e linee guida. Nei Paesi nordici, invece, la riduzione del personale è stata ottenuta trasferendo funzioni e risorse dal governo centrale ad altri livelli di governo e trasformando servizi pubblici in imprese (pubbliche o cedendo la proprietà di queste). A fronte di queste tendenze alla riduzione numerica dei dipendenti, è caratteristica comune ai paesi quella di garantire in un qualche modo la conservazione del posto di lavoro: nei casi di sovradimensionamento di organici vengono messi in atto programmi di riconversione e mobilità del lavoro e vengono assicurate ai lavoratori priorità nel ricoprire i posti vacanti, anche nel settore privato. Altre forme più articolate di incentivi sono state sperimentate: in Canada ad esempio i funzionari ritenuti in sovrannumero, potevano optare per un “pagamento in cambio del posto” . Se rifiutavano, potevano scegliere di conservare lo status pubblico e di continuare a ricevere il salario per un anno. Tali situazioni sono però molto rare: normalmente i Paesi decidono uniltaralmente le condizioni e più che di incentivi si può parlare di risarcimenti per la perdita del posto di lavoro.
vi
In generale le strade più seguite sono però quelle del blocco delle assunzioni. Su questo versante molti Paesi, come la Spagna hanno optato per soluzioni parziali, al fine di evitare scompensi sul piano delle prestazioni e della capacità di innovazione. Paesi di tradizione più anglosassone come l’Australia, la Nuova Zelanda e il Regno Unito hanno preferito rinunciare a questa strategia proprio per evitare questi rischi. Non bisogna però dimenticare che questi contesti sono anche quelli con un mercato del lavoro più aperto e e simile a quello del settore privato (es. Nuova Zelanda), con una maggiore propensione alla mobilità e con minori vincoli legati alle garanzie del lavoro. Ancora comune a più Paesi sono le forme di incentivi al prepensionamento. Tali programmi sono normalmente autorizzati o dall’agenzia nazionale di controllo della spesa (es. il Ministero del Tesoro) o dal parlamento. Negli Stati Uniti, dove è stato ampiamente utilizzata questa leva l’autorizzazione viene rilasciata dall’ ´862IILFHRI SHUVRQQHO PDQDJHPHQW
”, il quale delega temporaneamente tale potere nelle fasi di
ristrutturazione alle diverse agenzie. Tali incentivi al prepensionamento sono utilizzati come alternativa ai licenziamenti oppure per favorire il ringiovanimento degli organici. L’età in cui è possibile fruire di tale opportunità varia da paese a paese ed è compresa tra i 50 e i 65 anni. In sintesi le strade più seguite per la riduzione degli organici sono state: il congelamento delle assunzioni, l’interruzione dei rapporti a tempo determinato, l’attivazione di programmi di dismissione volontaria, programmi di dimissioni forzate. Questo
ultimo
caso
è
particolarmente
costoso
o
in
termini
economici
(prepensionamenti) oppure in termini di conflitto. Esiste inoltre la difficoltà di individuare i dipendenti da licenziare: la scelta può essere arbitraria, o focalizzata su alcuni gruppi socio-professionali. Infine è da sottolineare come numerosi Paesi abbiano adottato una serie di strumenti di flessibilità del lavoro: il part-time (Austria, Belgio, Canada, Finlandia, Islanda, Italia, Olanda, Nuova Zelanda, Sagna, Svezia, Stati Uniti ); il tele-lavoro (Canada, Olanda Nuova Zelanda e recentemente Italia); orari flessibili di lavoro (Belgio, Canada, Finlandia, Italia, Nuova Zelanda, Olanda, Svezia Stati Uniti) e la settimana lavorativa di 4 giorni (Belgio, Canada e Olanda); il work- sharing (Canada, Finlandia, Olanda, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Svezia).
vii
La valutazione del personale è un altro aspetto particolarmente toccato dai processi di cambiamento nella gestione delle risorse umane. In generale tutti i Paesi stanno cercando di introdurre sistemi di valutazione del personale collegati ad altri sistemi di valutazione dei risultati più generali. Nella magior parte dei paesi, la valutazione del personale è volta a motivare le risorse per migliorare le prestazioni, anche tramite l’utilizzo di sistemi di retribuzione variabile basati sulle performances. Con l’introduzione delle nuove tecnologie in moltissimi Paesi si stanno diffondendo sistemi informativi del personale. In sostanza possono essere individuate alcune linee strategiche che vengono considerate le principali coordinate sull’innovazione nelle politiche del personale: la delega della gestione del personale alle agenzie; la responsabilizzazione delle agenzie rispetto ai risultati; l’enfasi sulla flessibilità e la mobilità; sistemi retributivi basati sulla valutazione delle performances; massimizzazione dello sviluppo delle risorse umane. Questi items accorpano in modo sintetico le diverse componenti che la letteratura sul “New public personal management” individua come elementi costitutivi. In conclusione si può affermare che gestire entro i vincoli è il maggiore imperativo nelle esperienze de Paesi Occidentali, che si pongono l’obiettivo di raggiungere migliori risultati con minori risorse a disposizione. In
questa prospettiva, il
decentramento della responsabilità della gestione delle risorse umane è la strada più frequentemente percorsa. Per sviluppare un migliore sistema di gestione del personale i Paesi stanno cercando di integrare e rendere coerenti gli obiettivi delle politiche pubbliche con quelli della gestione del personale. A tal fine si stanno concretizzando alcune specifiche strategie. /DFRQWUDWWD]LRQHFROOHWWLYDLQ(XURSD
Un aspetto parallelo al tema della gestione del personale e che non può essere tenuto in secondo piano è il tema delle relazioni sindacali. Se infatti tutti i paesi occidentali, coerentemente all’aggiustamento delle proprie politiche pubbliche, hanno adottato strategie di riforma amministrative e nuove politiche di gestione del personale, è evidente che alcuni cambiamenti hanno fatto sentire il loro effetto sul sistema delle relazioni sindacali.
viii
Le relazioni con le organizzazioni sindacali sono differenti in tutti i Paesi e tengono conto della tradizione complessiva, nonché delle nuove politiche che i governi stanno attuando. In alcuni casi, quindi le organizzazioni sindacali e gli stati hanno dato luogo a modalità più concertative (Italia, Paesi nordici) con un ruolo attivo del sindacato nella messa in campo di processi di innovazione. In altre realtà si è assistito ad un ruolo più passivo del sindacato a fronte di politiche aggressive dei governi (Gran Bretagna). In altri ancora, dove la strada di riforma perseguita è rimasta nell’ambito di una certa continuità istituzionale, l’impatto sulle relazioni sindacali è stato tutto sommato più modesto (Francia, Germania). A questo proposito vale la pena osservare le diverse impostazioni presenti in Europa, considerando le differenze relative al grado di autonomia della contrattazione rispetto allalegge, ai livellicontrattuali esistenti e ai contenuti della contrattazione. In generale quasi tutti i Paesi europei hanno un sistema di contrattazione collettiva autonoma dal parlamento, anche se in alcuni Paesi tale autonomia è solamente informale oppure legata ad alcune categorie di impiego. Ad esempio nel caso della Germania l’autonomia della contrattazione è solamente per le figure non considerate civil servants: per questi ultimi invece la definizione delle condizioni di impiego è unilaterale. Simile è anche il caso del Regno Unito nel quale la contrattazione avviene per le figure di funzionario, ma non per quelle di direzione o per alcune professioni, come gli insegnanti, per le quali le condizioni sono stabilite unilateralmente. In alcuni Paesi, come accadeva in Italia fino al 1993, la contrattazione è ampiamente autonoma dal Parlamento, ma formalmente questo non è riconosciuto. Questo è il caso di Paesi come l’Austria, la Grecia, il Portogallo e la Spagna. In tutti questi casi non è mai accaduto che non venisse ratificata una decisione assunta in sede di accordo tra le parti, ma non è infrequente il caso che alcune norme invadano la sfera che tradizionalmente è assegnata alle relazioni sindacali. Per quanto riguarda i livelli della contrattazione, la tendenza è ad ampliare il ruolo della contrattazione decentrata, anche se quasi in tutti i Paesi viene sottolineato che tale ambito è inferiore a quello previsto per il settore privato. Per quanto riguarda le materie trattate esistono differenze tra i Paesi: i Paesi dell’area mediterranea (Spagna, Portogallo, Grecia) hanno normalmente un doppio livello contrattuale in cui il secondo opera nell’ambito dei confini definiti al primo livello.
ix
Altri Paesi, come i Paesi nordici, hanno sistemi diversi a secondo si tratti di amministrazioni locali e centrali o altri ancora come la Francia sono tradizionalmente molto centralizzati. Infine vi sono Paesi come l’Austria che presentano tre livelli contrattuali in armonia con l’assetto istituzionale dello Stato. Particolare infine sembra essere il caso della Gran Bretagna: le organizzazioni sindacali hanno per anni cercato, a differenza di quanto accaduto negli altri Paesi, di mantenere accentrato il sistema della contrattazione, ma è stato proprio il governo sulla spinta dei principi di “New public management” a richiedere un decentramento della negoziazione. Per quanto riguarda i contenuti della contrattazione, la determinazione del sistema e del livello salariale rappresenta il principale elemento comune tra tutti i Paesi. In tutti i casi a base della valutazione del livello vi sono considerazioni di carattere macro economico (inflazione, PIL, bilancio statale), ma mentre i sistemi più centralizzati, come Germania, Austria, Francia e Italia tendono a collegare le retribuzioni a tali indicatori, gli altri Paesi come Svezia e Regno Unito avvicinano di più la struttura salariale a quella del settore privato. Nessun Paese nel negoziare la retribuzione prende in considerazione elementi collegati alle situazioni economiche regionali. Per quanto riguarda la differenziazione retributiva esistono numerosi modelli. Alcuni Paesi hanno modelli differenti per tipo di professioni, mentre altri hanno integrato tutte le tipologie di lavoro in un unico schema, ma con differenze rispetto al livello o alla categoria (inquadramento unico). La qualifica formale e quella funzionale rappresentano ancora i principali elementi di differenziazione, ma stanno emergendo in quasi tutti i Paesi sistemi di retribuzione collegati al merito o alla prestazione. Con l’introduzione di sistemi di ricompensa legati alla performance sembra essere sempre minore l’enfasi attribuita all’anzianità che quasi ovunque perde di rilevanza. Per quanto riguarda il tema della flessibilità del lavoro è interessante notare che, ad esempio per quanto riguarda il part-time, quasi tutti i Paesi prevedono alcune forme. Non sempre però queste sono regolamentate da precisi accordi al riguardo. Normalmente il part-time viene pagato in proporzione alle ore settimanali effettauate, ma in alcuni casi la sua attivazione pregiudica la possibilità di ricevere altre remunerazioni accessorie quali lo straordinario (es. il Belgio). Anche la flessibilità dell’orario di lavoro è entrata nell’agenda di numerosi processi negoziali. Questo tipo di flessibilità viene in alcuni casi richiesta dai datori di lavoro per adeguare il ciclo di
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produzione dei servizi alle esigenze dell’utenza, mentre in altri casi viene sollecitata dalle stesse organizzazioni sindacali, nell’intento di creare nuovi posti di lavoro tramite ad esempio interventi di job sharing (es. Finlandia). In molti paesi accordi di flessibilità sono stati conclusi: in Austria l’accordo ai tre livelli prevede che sostanzialmente non esistano restrizioni all’introduzione di orari flessibili per alcuni gruppi professionali; in Belgio esiste un accordo quadro nazionale che viene implementato a livello locale con ulteriori accordi decentrati; in Danimarca ci sono accordi nazionali generali e specifici accordi locali. Ultimo aspetto di flessibilità riguarda la questione del cosiddetto ex – lavoro atipico che nella maggior parte dei casi sfugge al controllo e alla tutela della contrattazione collettiva. Infine è da segnalare che ovviamente gli accordi trattano anche altre significative materie non direttamente connesse alla gestione del personale o perché di carattere amministrativo (pensioni, aspetti di carattere sociale) oppure perché legati ad aspetti più innovativi ma non trattati nel quadro di questa discussione (es. la condizione femminile).
/D IOHVVLELOLWj GHO UDSSRUWR GL ODYRUR FRPH SROLWLFD GL JHVWLRQH GHO SHUVRQDOH RELHWWLYLORJLFKHHDPELWRGHOODULFHUFD
La flessibilità del lavoro è dunque, come osservato, un fenomeno molto rilevante in tutti i Paesi occidentali, sia sotto il profilo organizzativo, sia sotto il profilo sociale e politico, e pertanto, esiste una forte esigenza di capire qual è la sua entità e quali sono le sue caratteristiche, almeno nel panorama italiano. Sempre più infatti anche nel nostro Paese il ricorso a forme flessibili di impiego sembra essere al centro delle principali strategie di gestione delle risorse umane. In alcune realtà (es. Comuni di medie dimensioni dell’Emilia Romagna) le assunzioni “atipiche” rappresentano quasi il 30% dei nuovi ingressi. Partendo da questa esigenza, la presente ricerca getta una luce sul fenomeno del lavoro flessibile nel contesto delle organizzazioni pubbliche, e in particolare degli enti locali, cercando di capire quali sono le forme di lavoro flessibile utilizzate in tali enti, con quali modalità e con quali logiche.
xi
La scelta metodologica è stata quella di muoversi con una logica di tipo esplorativo, basata sullo studio di alcuni casi, che consentisse un primo inquadramento del fenomeno, all’interno di contesti, quelli pubblici, per certi versi meno lineari e meno conosciuti sul piano dell’azione organizzativa. Una differenza essenziale rispetto al settore privato riguarda il ruolo che assume la regolazione formale rispetto ai processi di riorganizzazione. Mentre nel settore privato le norme vengono a regolamentare nuove esigenze di organizzazione del lavoro generate da cambiamenti intervenuti nei processi produttivi e nelle strategie aziendali, spesso nel settore pubblico avviene esattamente il contrario. Sono le innovazioni previste nella legislazione del lavoro a promuovere nuove forme di organizzazione e a stimolare l’adozione di modalità di lavoro diverse. In sostanza il percorso “bottom up” tradizionale che vede nella regolazione una sorta di razionalizzazione e assestamento di esigenze esplicite e di fenomeni autodeterminati, nel settore pubblico assume una forma inversa di tipo “top-down” nel tentativo di impiegare la legislazione come uno strumento di innovazione. Non nascendo come esigenze dell’organizzazione, il rischio è che le regole non vengano utilizzate come strumenti di governo, ma per soddisfare le esigenze dei lavoratori. Il settore pubblico si caratterizza per altre peculiarità, rilevanti rispetto alla lettura del lavoro flessibile. Tra queste, ricordiamo l’esistenza di obiettivi di consenso politico che si mescolano a quelli di qualità di servizi e prodotti, e che possono influenzare le logiche di gestione del personale; la cultura della legalità amministrativa, che condiziona sia le scelte gestionali che l’accettazione di tali scelte da parte degli attori coinvolti; la compresenza di politiche nazionali e locali, laddove il livello nazionale può determinare vincoli e incoerenze rispetto alla situazione locale. Tutti questi aspetti che caratterizzano le amministrazioni pubbliche si ripresentano in modo più o meno marcato nei singoli casi analizzati, e pertanto verranno trattati, nel corso del rapporto, in una chiave più approfondita. Rimane da definire che cosa si intende, in questa ricerca, per lavoro flessibile. Si intende quell’insieme di forme di lavoro che si discostano dalla tradizionale tipologia di dipendente pubblico: vincitore di concorso, assunto a tempo indeterminato, impegnato a tempo pieno, e, di norma, presso la sede dell’amministrazione. Dal punto di vista delle amministrazioni, discostarsi da questo schema può significare una ricerca
xii
di maggiore rapidità di reclutamento, di articolazione delle modalità di selezione, di arricchimento delle competenze, di gestione flessibile finalizzata a raggiungere specifici risultati e/o a contenere i costi. In particolare, lo studio si è concentrato su tre tipologie di lavoro flessibile negli enti locali. Il primo tipo è il lavoro a tempo determinato, sia a full time che a part time, caratterizzato da condizioni di impiego sostanzialmente analoghe a quelle dei dipendenti, in quanto regolate dai CCNL di comparto. E’ la forma di flessibilità maggiormente accettata, proprio perché si colloca in un contesto di regole già noto e valido per tutti. La principale caratteristica differenziante è
la temporaneità del
rapporto, di norma contenuta entro i due anni. E’ una situazione che tendenzialmente riguarda figure giovani, di profilo medio alto, alle volte utilizzata come trampolino di lancio, o semplicemente come soluzione di attesa, prima della vincita di un posto di ruolo.
Oppure,
tale
situazione
può
riguardare
figure
ausiliarie
utilizzate
dall’amministrazioni per supplire a vacanze temporanee o per espletare lavoro stagionale, e individuate attraverso apposite graduatorie, eventualmente provenienti dall’ufficio di collocamento. In questo caso il rapporto di lavoro è più breve (da tre mesi a un anno). Si presume comunque che questo tipo di rapporto di lavoro riguardi persone comunque non (ancora) consolidate sul mercato del lavoro o affermate professionalmente. Dal punto di vista delle amministrazioni, questa modalità di impiego può consentire di far fronte a esigenze di “produzione” senza un ampliamento rigido della struttura, tuttavia, il tipo di reclutamento e di rapporto di impiego rimane sostanzialmente analogo a quello tradizionale. Un secondo tipo di lavoro flessibile è quello delle collaborazioni esterne. Si tratta di un ambito estremamente variegato, che comprende diverse forme contrattuali (prestazioni professionali pagate a fattura, collaborazioni coordinate e continuative, prestazioni occasionali), e che potenzialmente introduce cambiamenti dirompenti rispetto alle tradizionali logiche di gestione e di accesso al lavoro pubblico. Questa tipologia può comprendere sia esperti di alto profilo, sia giovani in fase di costruzione della propria carriera, sia personale operativo. Le questioni che si pongono rispetto all’utilizzo di queste forme di lavoro sono numerose, e sono riconducibili al se e come l’amministrazione gestisce l’enorme discrezionalità a disposizione, sul piano del
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reclutamento, della selezione, della retribuzione, della programmazione e verifica del lavoro, e quali conseguenze ne derivano sul piano delle condizioni di impiego e sulle relazioni sociali interne. Attualmente non si conoscono le dimensioni di questo fenomeno, che appare più difficile da indagare rispetto alle forme di lavoro dipendente, in quanto normalmente gli uffici del personale non intervengono nell’amministrazione di queste figure e non hanno dati in merito, mentre sono i singoli settori a gestire tali rapporti, per cui le informazioni sono estremamente frammentate. Un terzo tipo di lavoro flessibile è il part time a tempo indeterminato. E’ lecito attendersi che si tratti, nella stragrande maggioranza dei casi, di trasformazioni di rapporti di lavoro da tempo pieno a part time su richiesta del singolo dipendente. Tale possibilità è stata prevista dalla normativa nazionale sul pubblico impiego, essenzialmente come strumento di riduzione dei costi e degli organici: obiettivi di livello globale che creano un vincolo per la singola amministrazione piuttosto che un’opportunità di gestione flessibile. Questa normativa lascia dunque al dipendente la possibilità di scegliere, di “chiedere” il part time. Tale scelta è di solito basata o su motivazioni di tipo personale o familiare, oppure su opportunità di sviluppo professionale, per chi ha la possibilità di svolgere altri lavori, con il vantaggio di avere comunque una parte di reddito assicurata dal lavoro dipendente. Quest’ultimo scenario riguarda soprattutto funzionari in grado di portare avanti una carriera di tipo specialistico/consulenziale. In ogni caso, dal punto di vista dell’amministrazione, si tratta di capire come l’organizzazione reagisce a questo vincolo esterno, e qual è l’impatto effettivo di questo fenomeno. Oltre alle tre forme di lavoro flessibile appena descritte, che sono le più diffuse e comuni nel contesto degli enti locali, le analisi di caso svolte pongono attenzione all’esistenza di eventuali forme flessibili di frontiera, già realizzate oppure pianificate per il futuro. Un esempio può essere il lavoro interinale, già applicabile nella pubblica amministrazione. Viene considerata una forma flessibile di frontiera anche il telelavoro, che, pur essendo un elemento disomogeneo rispetto agli altri, relativo alle modalità di svolgimento della prestazione piuttosto che agli aspetti contrattuali del rapporto di impiego, potrebbe rappresentare un importante elemento di innovazione nella gestione del personale e nell’organizzazione del lavoro, che modifica i tradizionali schemi dell’impiego pubblico.
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Capitolo primo ,OFRPXQHGL0LODQR GL6DOYR/HRQDUGL &DUDWWHULVWLFKHHFRQRPLFRVRFLDOLGHOWHUULWRULR
La Regione Lombardia ed il Comune di Milano spiccano ormai da qualche anno in tutte le indagini statistiche e socio-economiche che rilevano il trend di crescita delle assunzioni "atipiche" nel nostro paese. Con una disoccupazione regionale fra le più basse d'Italia - il 5,2% - la distribuzione degli occupati (il 58% della popolazione attiva) per tipologia di contratto di lavoro sarebbe in Lombardia la seguente: 7LSRORJLDGLUDSSRUWR
&LIUDDVVROXWD
Lavoratori dipendenti:
2.820.000
74
DWHPSRLQGHWHUPLQDWR
2.530.000
66,5
250.000
6,5
40.000
1
Lavoratori autonomi:
975.000
26
DXWRQRPLHIIHWWLYL
595.000
16
SDUDVXERUGLQDWL
380.000
10
DWHPSRGHWHUPLQDWR LQWHULQDOH
Totale occupati 3.795.000 )RQWHHODERUD]LRQLGHOO 8IILFLR6WXGL&*,//RPEDUGLDVXGDWL,VWDW
Confrontando queste percentuali con quelle nazionali recentemente elaborate dall'IRES nazionale (giugno 2000), i dati della Provincia di Milano risultano sostanzialmente nella media nazionale per il tempo determinato, poco sopra la media per l'interinale, significativamente sopra - di due punti - per ciò che concerne il lavori parasubordinati. Nel corso del '99 si è verificato un autentico boom di avviamenti di lavoro temporaneo, con un balzo record nella provincia di Milano pari a + 417% rispetto all'anno precedente. Il solo dato milanese, con 24.085 avviamenti, costituisce il 12,3% del totale nazionale. Su 45 società di lavoro interinale presenti sul territorio nazionale, ben 32 sono presenti nella provincia di Milano e 20 hanno sede legale nel capoluogo meneghino. Questi dati, offerti da una ricerca della Camera di commercio di Milano, ci dicono anche di un modesto 15% di trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti interinali, contro una media nazionale che, nello stesso periodo, è stata del 22,6%.
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C'è un altro dato eclatante che riguarda il mercato del lavoro del territorio milanese; nel solo Comune capoluogo il numero di Partite Iva ammonterebbe a 175.000, con un aumento che nel solo '98 era stato del 30% in più sul dato dell'anno precedente. Un dato impressionante, che costituisce da solo il 53% di quello regionale e il 14,4% di quello nazionale. A Milano provincia il tasso di occupazione dipendente sul totale degli occupati resta comunque fra i più alti d'Italia: secondo dati Unioncamere (3URJHWWR([FHOVLRU '99), col 75,9% è al settimo posto della classifica nazionale. Per quello che invece concerne la crescita degli occupati , con riferimento al biennio 1997/98, la Provincia di Milano si collocherebbe al 25° posto, con un incremento annuo del 2,2%; dietro a molte province dinamiche e di media grandezza (ma anche poco dietro Napoli), ma notevolmente davanti a grandi realtà metropolitane come Roma, Bologna, Genova , Torino. Nel settore dei servizi alle imprese, solitamente ritenuto grande bacino di rapporti atipici, Milano presenta dati piuttosto sorprendenti. Secondo un'altra indagine della locale Camera di Commercio, il 69,4% delle assunzioni nei servizi alle imprese è stato nel biennio 1999-2000 - a tempo indeterminato, contro il 10% di reclutamenti a tempo determinato, il 19,1% con contratti di formazione e lavoro e il 7,4% a tempo parziale. Un quadro di grande stabilità occupazionale se raffrontato con dati e tendenze nei servizi alle persone a, soprattutto, nell'industria. In quest'ultimo settore, infatti, le assunzioni a tempo indeterminato sono state nello stesso periodo il 54% del totale, contro un 13,9% dei contratti a termine, il 25% di CFL e apprendistato, 6,4% part time e 1,2% di altro (presumibilmente interinale). Dal Rapporto pubblicato dall'Ufficio Studi della CGIL Lombardia lo scorso anno, intitolato /RPEDUGLD XQD UHJLRQH D ULVFKLR risulta un quadro non privo di contraddizioni. La Lombardia è sicuramente prossima al livello di sviluppo delle migliori regioni europee; la situazione del suo mercato del lavoro appare molto più favorevole di quella nazionale e vicina alla media dei paesi europei più avanzati. La domanda interna cresce ad un ritmo superiore di quello della media dei paesi comunitari. Tuttavia, il rapporto ci dice anche di una Regione in cui negli anni '90 la crescita media del Pil è stata al di sotto della già bassa media nazionale; con una forte contraddizione tra una forza lavoro scolarizzata ed una domanda di lavoro molto debole sul piano dei contenuti professionali, "segno - si dice - di una scelta strategica basata sulla flessibilità più che sulla qualità, con tutte le conseguenze in tema di salari, doppio lavoro e così via". Con una tipologia dei rapporti di lavoro i cui flussi rivelano una crescente e preoccupante tendenza alla flessibilizzazione e precarizzazione, in cui si accresce "quella fascia tra lavoro regolare e lavoro irregolare, dai lavori a termine alle esternalizzazioni di varia natura verso il lavoro autonomo, cooperative, soci lavoratori
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compresi". Secondo i curatori sindacali del Rapporto: "La Lombardia si presenta oggi come una società ricca sul piano finanziario e però sempre più povera sul piano dei contenuti del lavoro. Ma un lavoro debole caratterizza sicuramente una società a rischio sul piano economico e sociale". Nell'ambito di un progetto europeo su alcune grandi realtà metropolitane, chiamato 0RULDQD e coordinato per le parti italiane da sociologi come Marco Revelli e Aldo Bonomi, emerge una realtà milanese in cui vige: "il primato del mercato come meccanismo di inclusione, quindi come luogo delle opportunità (…), con l'affermazione dell'egemonia della cultura di impresa, una polarizzazione professionale e attività ad elevato profilo professionale, ma anche con un universo di lavori precari che, tuttavia, a differenza delle altre città italiane, può contare su meccanismi di ascesa sociale, grazie all'efficiente sistema di allocazione delle risorse del mercato"1. La ricerca descrive il territorio milanese come una "HFRQRPLD DUFLSHODJR, fatta di reti corte, di sistemi produttivi territorializzati e di reti lunghe di interconnessione sia dei sistemi produttivi che dei nodi di commercializzazione globale"2. Possessori di partita Iva e collaboratori costituirebbero quel JHQHUDO LQWHOOHFW del sistema produttivo territoriale, in cui "lavora comunicando" diventa una condizione strutturale di funzionamento della macchina economica, ma anche un nuovo raggruppamento sociale - "proletaroide" - in cui la distruzione dei miti e dei riti di un tempo lascia aperto il campo ad incerti esiti sotto il profilo della produzione di socialità e di soggettività politiche e sociali di rappresentanza degli interessi. Da questo punto di vista: "Milano rappresenta una città leader (…) il punto più alto ove precipitano i fenomeni di trasformazione del mondo del lavoro e dell'impresa"3. /DYRURIOHVVLELOHHDWLSLFLWjDO&RPXQHGL0LODQR
2.1 L'occupazione a tempo indeterminato Il Comune di Milano costituisce una realtà occupazionale fra le più significative in Lombardia; sia quantitativamente che qualitativamente. Esso conta 17.663 dipendenti a tempo indeterminato e 1511 a tempo determinato, per un totale generale di 19.174 unità (situazione del personale presente al 5.5.2000). Con una popolazione che nel '98 era di circa un milione 342 mila abitanti residenti, il rapporto fra personale dell'amministrazione comunale e cittadini milanesi si presenta relativamente alto: 1 dipendente ogni 74 abitanti. Nello stesso periodo di riferimento il rapporto a Bologna 1
A. Bonomi, 2000.
2
Ibidem
3
Ibidem
, in P. Barcellona (a cura di), "Lavoro: declino o metamorfosi?", F. Angeli,
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era di uno ogni 93, a Palermo uno ogni 99 e a Bari uno ogni 1454. Il costo medio per dipendente, secondo la stessa indagine, mostra un andamento diverso: 53 milioni a Bari, quasi 59 a Milano, quasi 63 a Palermo oltre 70 a Bologna. Elaborazioni condotte nello stesso periodo rivelano il dato secondo il quale il Comune di Milano assorbe il 29% dell’occupazione dei Comuni lombardi e circa il 54%di quelli della provincia. La tendenza negli ultimi 10 anni è stata quella di una graduale diminuzione del personale assunto a tempo indeterminato. Si è passati infatti dalle 20.620 unità del 1990, alle 20.124 del 1993 ai 17.939 del 1997, fino all'attuale cifra di 17.663. Il calo è stato più significativo fra il 1993 ed il 1997 mentre, negli ultimi tre anni, la tendenza alla diminuzione del personale a tempo indeterminato sembra essersi sostanzialmente arrestata. In contro tendenza il settore della vigilanza urbana, con una crescita delle assunzioni di circa 800 unità negli ultimi due anni; 400 circa sono già stati assunti, gli altri sono in procinto di essere assunti. La scelta di conferire una tale priorità al comparto sicurezza urbana, da parte dell'Amministrazione, ha provocato scompensi per un ente con carenze di organici e che da anni aveva smesso di bandire concorsi ed effettuare assunzioni. Fra i casi più significativi di bando per posti a tempo indeterminato va' segnalato il concorso per una quarantina di assistenti sociali, con l'entrata in servizio distribuita fra questo autunno e il gennaio 2001. Oggi il numero di dipendenti donne sopravanza quello degli uomini di oltre 3000 unità; questi ultimi ricoprono però oltre i due terzi degli incarichi più alti della dirigenza, e invece un terzo di quelli inquadrati nelle qualifiche inferiori (ex III° livello). 2.2 L'occupazione a tempo determinato Il personale presente a tempo determinato conta oggi 1511 unità. La tendenza è quella di una chiara e netta espansione di questa tipologia contrattuale. Nel 1990 gli assunti a termine erano infatti 210 su un totale di 20.600 dipendenti a tempo indeterminato, quintuplicati in soli 3 anni - 1245 nel 1993 - per poi diminuire lievemente nel 1997 1.115 - e aumentare nuovamente negli ultimi anni, fino agli attuali 1.511. L'impiego di lavoratori a tempo determinato è oggi concentrato nei servizi formativi e le scuole, nelle aree intermedie dell'inquadramento funzionale: C1, B3 e B1. Del totale di 1511, 1.162 sono impiegati full-time e 349 a tempo parziale, quasi tutti inquadrati nella categoria B1 (288). Le donne sono di gran lunga le più interessate da
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FP CGIL,
!
, policopiato, Roma, maggio 1999.
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questa tipologia contrattuale: costituivano il 68% del totale a termine nel ’90, diventa il 79% nel ’97. Nel 1993, dopo il boom del triennio precedente, 670 unità che erano state assunte a tempo determinato, hanno cambiato il loro rapporto di lavoro, venendo assunti - ai sensi dell'art. 4 della legge n. 236/93 - dal Comune di Milano a tempo indeterminato. Più recentemente le parti hanno sottoscritto un protocollo di intesa che ha consentito, mediante corso-concorso, il passaggio di circa 320 educatrici di asili nido, precarie, a tempo indeterminato. Qui si registrano situazioni di precariato anche decennale, con incarichi di 11 mesi reiterati annualmente, che il sindacato mira a regolarizzare progressivamente a tempo indeterminato. Una delibera del febbraio '99 prevede lo stanziamento di fondi da destinare all'assunzione a tempo determinato - sia full time che part time - di 500, fra insegnanti ed educatrici, per sopperire alle carenze di organico, alle maternità e malattie nonché per il supporto a bambini portatori di handicap (278). L'amministrazione, che in un primo momento aveva manifestato la sua intenzione di affidare alle cooperative questo tipo di intervento, ha poi accolto la richiesta sindacale di procedere tramite l'indizione di due concorsi riservati al personale di scuole materne ed asili nido che abbiano prestato almeno 24 mesi di servizio in ambito didattico, educativo e formativo. 2.3 Lavoro a termine e soggetti deboli Alla tipologia del contratto di lavoro a termine fa riferimento il capitolo più contestato del già controverso e assai dibattuto "Patto per Milano Lavoro", sottoscritto il 2 febbraio 2000 da una ventina di sigle, fra enti e istituzioni locali, associazioni datoriali e artigianali, organismi della cooperazione, organizzazioni sindacali, con l'importante eccezione della Cgil. Ricordiamo brevemente come del Patto sia stata contestata la legittimità di quelle regole che in materie come i contratti a termine prevedono deroghe al regime generale, sulla base di caratteristiche soggettive - la nazionalità extracomunitaria - dei destinatari. Un'impostazione giudicata in netto contrasto coi principi di parità di trattamento e non discriminazione sanciti dalla nostra Costituzione e oggi mutuati da legislazione e giurisprudenza anche in base a fonti comunitarie (UE) e internazionali (ILO) del diritto sociale. La parità di trattamento è infatti un principio che protegge contemporaneamente l'immigrato dagli abusi a cui lo espone la sua intrinseca debolezza economico-sociale, ma anche il cittadino italiano, diversamente esposto al costante rischio di dumping sociale condotto ai suoi danni. In sostanza - viene contestato - sulla base della nazionalità di appartenenza si applicherebbe un regime di contratti a termine del tutto incondizionato, senza cioè la
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concomitante previsione di alcun tetto percentuale di assunzione o di durata del contratto. In questo modo viene di fatto liberalizzato il licenziamento del contrattista a termine che invece è reso molto complicato - se effettuato prima della scadenza - dalla normativa vigente sul lavoro a tempo determinato. Inoltre, al già di per sé grave strappo provocato da un accordo siglato senza e contro il sindacato più rappresentativo presso l'ente e nel territorio, si giungerebbe attraverso un percorso concertativo e contrattuale non previsto, e intermedio, fra i due livelli di negoziazione collettiva previsti nel nostro sistema delle relazioni sindacali. Vi sarebbe quindi una incompetenza degli attori firmatari del Patto ed una destabilizzazione del ruolo e del significato del contratto nazionale di categoria. I fautori di quell'intesa replicano offrendo una interpretazione "meno formalistica" - a loro dire - del principio di uguaglianza, giustificando l'impiego di requisiti soggettivi nello spirito delle azioni positive verso soggetti deboli del mercato del lavoro milanese: extracomunitari, ma anche soggetti in situazioni di disagio psicofisico o sociale e lavoratori disoccupati con più di 40 anni di età. La filosofia del patto consisterebbe nel creare una valida alternativa alla vera clandestinità e precarietà, uno strumento di emersione del lavoro "nero", volto al progressivo miglioramento delle condizioni di lavoro degli extracomunitari e dei soggetti più sociali più svantaggiati. I lavoratori assunti a termine sulla base del Patto goderebbero di un trattamento economico e normativo non inferiore a quello riservato dalla contrattazione al cittadino italiano. La durata del contratto, seppur non espressa, coinciderebbe con quella dei progetti finalizzati a questo tipo di impieghi e approvati da una apposita commissione di valutazione. In ogni caso, si ricorda come la normativa in materia di contratti a termine preveda limiti di durata in due soli casi eccezionali: dirigenti e aziende aeroportuali. Quanto alla titolarità negoziale dei soggetti firmatari del patto, si rivendica l'opportunità di potenziare nel territorio luoghi e soggetti della contrattazione collettiva. A distanza di sei mesi l'effetto di quel Patto tarda a sortire quegli effetti che avevano auspicato i suoi sottoscrittori. Il bilancio è finora di 8 custodi di strada e 91 scodellatori presso le mense scolastiche. Per i custodi l'idea e la gestione sono del Consorzio Caritas "Farsi prossimo"; la formula è quella di due rapporti a tempo pieno e sei part time, divisi in due squadre. Il contratto ha la durata di un anno e le retribuzione variano fra le 600 e le 800 mila lire al mese. Extracomunitari certo, ma anche ultra-quarantenni espulsi dal mercato del lavoro. All'Assessorato per il Lavoro del Comune è partito il bando per le mense, e nel capitolato si prevede la possibilità - non vincolante - per le ditte vincenti, che sono cooperative, di utilizzare le previsioni del Patto per l'assunzione di 400 scodellatori, già da settembre, con la riapertura delle scuole. Un altro ambito di probabile espansione si
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ha presso l’ATM, con 80 tutor di linea, definiti come "hostess che aiutano gli stranieri ad orientarsi nell’utilizzo dei mezzi pubblici". L’ambito lavorativo da cui il Comune dichiara di aspettarsi di più è quello dell'assistenza domiciliare. Il campo da battere è quello dei servizi alla persona. Per l'assessore Carlo Magri: "In sei mesi contiamo di avviare 600 lavoratori presso istituzioni che assistono anziani e portatori di handicap. La richiesta è elevatissima. Ma qui - aggiunge - la formazione è più delicata". Quanto alle aziende private, che finora non sembrano avere mostrato troppo interesse per le nuove opportunità offerte dal Patto, si parla di progetti di formazione e impiego a termine di elettricisti, autoriparatori, addetti a macchine utensili, istruttori di scuola guida. In prospettiva settecento posti già dai prossimi mesi. Se Assolmbarda sembra restare guardinga, a farsi avanti con progetti sono state fin qui cooperative e micro imprese. Maria Grazia Fabrizio, segretaria cittadina della Cisl, esprime un giudizio positivo: "Non so quali fossero le aspettative della Giunta; a me anche se i posti fossero solo 600 non paiono poca cosa. Se il sindaco ne vuole di più faccia presentare altri progetti". In Cgil - a cui la mancata firma preclude oggi di partecipare alla commissione di valutazione dei progetti - si ribadisce il giudizio estremamente critico espresso nei confronti del Patto. "Non abbiamo firmato il Patto - spiega sulla stampa il segretario cittadino Antonio Panzieri - perché contiene deroghe alle norme contrattuali; da subito abbiamo detto che avremmo messo in campo tutte le iniziative per contrastarne gli effetti". I risultati sono stati finora un clamoroso flop. Questo giudizio, espresso dai dirigenti della FP Cgil milanese si spiegano col dato irrealisticamente misero, per un contesto come quello milanese, delle retribuzioni. Le 500 mila lire di un custode o di uno scodellatore part time per tre o quattro ore al giorno, non possono in nessun caso considerarsi come una seria opportunità offerta a chi intende affrancarsi dalla povertà e dalla irregolarità a cui lo condanna il suo status di extracomunitario o ex tossicodipendente, etc, etc.. Con quelle cifre non si può vivere oppure si accetta l'attività lecita, affiancandola con quella tradizionalmente irregolare o illecita. Risultati modesti quantitativamente, ma che qualitativamente rappresentano - secondo un giudizio espresso in seno alla consulta giuridica della Cgil - "una pietra miliare dello scardinamento che viene tentato contro il diritto del lavoro del nostro paese". 2.4. L'occupazione a tempo parziale Il personale a tempo parziale è oggi costituito da un migliaio di dipendenti presenti: ai 349 a tempo determinato citati poc'anzi vanno infatti aggiunti i 773 a tempo indeterminato. Questi ultimi erano 444 nel 1993 e, allora, erano maggiormente concentrati (356) nell'ex III° livello di q.f. (specie pulizie, personale Ata, commessi e ausiliari/servizi generali e tecnici). Nel complesso poco più del 2,2% del totale dei
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dipendenti a tempo indeterminato. Le donne costituivano nel ’97 poco meno dei due terzi dei rapporti a tempo parziale. Questa quota è rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi anni. Per le pulizie si era trattato di assunzioni nate già part time e a tempo determinato. Alcuni sono stati fatti passare a tempo indeterminato part time e poi ancora, progressivamente, a full time. Oggi il grosso del part time è concentrato fra gli amministrativi e nella quasi totalità dei casi si tratta di trasformazioni di contratti full time a tempo indeterminato, a seguito di richieste esplicite da parte dei dipendenti. La legge prevede un obbligo dell'amministrazione a soddisfare questo tipo di richiesta, con la sola possibilità di differire - con provvedimento motivato ed entro il limite massimo di sei mesi - la trasformazione oppure respingere la richiesta se ritenuta inconciliabile con le esigenze del servizio. Gli attuali 773 dipendenti part time a tempo indeterminato sono distribuiti equamente nelle aree B e C (163), poco meno nell'area A (118), ma con una quota relativamente maggiore concentrata nell'area D (329), in special modo la D1 (223). Notiamo dunque un interessante capovolgimento nella tipologia di inquadramento maggiormente interessata dal part time, che dai livelli più bassi degli scorsi anni viene oggi ad interessare qualifiche funzionali più alte. I sindacati hanno ottenuto di evitare che fosse formalmente impedita alla dirigenza la possibilità di ricorso al part time, contestando l'assunto dell'Amministrazione secondo il quale, in definitiva, poiché un dirigente non ha un vero orario non ha nemmeno senso parlare qui di tempo parziale. Superata anche la resistenza dell'Amministrazione a che pure nel settore della polizia urbana fosse utilizzabile il lavoro a tempo parziale. In termini percentuali, la quota di part time rappresenta il ... del totale del personale a tempo indeterminato ed il ... del totale generale del personale presente. Il regime di orari attualmente in vigore per i lavoratori che scelgono il tempo parziale è soltanto di un tipo: quello del 50% dell'orario normale di lavoro. La gestione del part time al Comune di Milano non sembra a riguardo tenere adeguatamente conto della legislazione vigente, riducendo ad una sola fascia, quella del 50%, l'uso del tempo parziale. Si tratta di una quota troppo ridotta di orario, che penalizza eccessivamente le retribuzioni e, di conseguenza, disincentiva la richiesta di moduli che diversamente potrebbero incontrare un maggiore interesse da parte dei dipendenti. I sindacati hanno posto nella piattaforma per il contratto integrativo un impiego più articolato del part time, che tenga effettivamente conto delle esigenze dei lavoratori. Su questa materia le maggiori rigidità sono finora venute dall'Amministrazione, timorosa di non sapere governare regimi troppo articolati di tempo parziale. La denuncia che di
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norma le amministrazioni pubbliche hanno rivolto all’attuale configurazione normativa del part time, di essere cioè non uno strumento di flessibilizzazione gestionale ma un vincolo, non sembra confacente alla situazione che - per responsabilità gestionali - si è creata al Comune di Milano. In questo contesto non può stupire la mancanza di una casistica inerente a straordinari, lavoro supplementare e clausole elastiche, come previsti dal d.lgs. 62/1990. RSU e F.P. Cgil di Milano sono contrari alla clausola elastica fino a quando l'Ente si ostina a non concedere altro modulo orario che non sia quello del 50%. In tema di orari segnaliamo infine un dato che, seppur non recentissimo, segna un netto calo delle ore straordinarie di lavoro presso il Comune di Milano. In meno di un decennio si è passati da un totale complessivo di 3 milioni di ore a un milione e 300 mila nel 1996, con un aumento però di 400 mila ore nell'anno successivo. Il settore della polizia municipale era nel '97 quello più interessato dal fenomeno. 2.5. L'occupazione temporanea Rispetto ai rapporti di lavoro interinale il Comune di Milano non ha atteso la stipula dell'apposito accordo-quadro e la conseguente chiusura della coda negoziale del CCNL. Sulla base della legislazione già vigente (art. 36 d.lgs. n. 80/98 di modifica del d.lgs. 29/93 e 196/97), le organizzazioni di categoria di Cgil, Cisl e Uil, la RSU e l'Amministrazione del Comune hanno siglato nell'ottobre del '99 un accordo di concertazione sulla fornitura di lavoro temporaneo presso il Comune. L'accordo, nel quale sono state disciplinate le materie e i casi in cui può essere consentito un rapporto di fornitura di lavoro temporaneo, avrà efficacia "fino a quando non sarà sostituito da apposita disciplina, definita dal CCNL o da successive intese locali, sulla base anche delle verifiche che saranno condotte sull'attuale fasi di sperimentazione". Il testo dell'accordo individua gli ambiti di intervento prioritari in cui stipulare, per il momento e sperimentalmente, contratti di lavoro interinale. Si tratta di circa 20/30 unità per la realizzazione del progetto di riorganizzazione in atto per ridurre i tempi di rilascio delle concessini edilizie; 15/20 unità con competenze informatiche e tecnico-fiscali per la realizzazione del progetto "Recupero dell'evasione dei tributi comunali" per la riscossione di ICI e TARSU; infine altre 10/15 unità per professionalità di tipo sociosanitario per la realizzazione del progetto "Servizi a tempo per gli anziani e le famiglie", con riferimento alle esigenze connesse al centro diurno multiservizi per gli anziani. La durata dei rapporti è normalmente di 12 mesi. "Al prestarore di lavoro temporaneo - recita il verbale di concertazione - si applica il CCNL del comparto Regioni e Autonomie Locali ed il trattamento economico è quello
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corrispondente alle mansioni pari o equivalenti degli altri lavoratori dell’ente". Inoltre, "In caso di bando di concorso pubblico per posizioni professionali assimilabili a quelle precedentemente ricoperte con contratto di lavoro temporaneo presso l’Ente, i periodi prestati dal candidato saranno tenuti in considerazione ai fini della valutazione dei titoli". La procedura seguita dall’Amministrazione ha tenuto conto del ruolo del sindacato, cercando su questa materia il confronto negoziale. L’accordo dell’ottobre ’99 assoggetta il ricorso all’interinale alla concertazione fra le parti, e quindi non alla mera informazione preventiva o addirittura successiva. Ciò comporta un periodo di 30 giorni, durante i quali l'Amministrazione ha l'obbligo di confrontarsi con le ragioni del sindacato e bloccare nello stesso arco di tempo ogni iniziativa unilaterale a riguardo. Sui tre progetti finora avviati il sindacato ha chiesto le finalità e gli obiettivi che hanno indotto l'Amministrazione ha scegliere questo strumento, i settori e le persone interessate, le modalità di assunzione e reperimento delle persone. L'obiettivo sindacale in sede di concertazione dei progetti di interinale consiste essenzialmente nel verificare preventivamente a) se le figure professionali richieste sono effettivamente assenti dalla normale dotazione organica dell'ente; b) se, trattandosi di figure destinate a ricoprire incarichi indispensabili e duraturi, non sia il caso di attivare le procedure di regolare assunzione a tempo indeterminato. Nel caso del progetto sull'edilizia privata, ad esempio, l'utilizzo dell'interinale previsto nello studio di fattibilità presentato ai sindacati dall'Amministrazione è stato nettamente ridimensionato dalle controdeduzioni offerte da questi ultimi. Per le funzioni richieste si è fatto notare - si poteva attingere anche al personale già in dotazione al Comune di Milano. Quanto infine alla procedura di selezione dell'agenzia fornitrice si è finora proceduto, in via sperimentale, con trattativa diretta; in futuro dovrà trattarsi comunque di procedure di evidenza pubblica. Il lavoro interinale, nei tre progetti che sono stati avviati, ha finora riguardato persone molto giovani (generalmente con meno di 30 anni) di ambo i sessi e con professionalità medio-alte: medici, tecnici-informatici, tecnici della qualità, collaboratori amministrativi. 2.6 Le collaborazioni esterne In base alla rilevazione sull'occupazione comunale condotta dalla F.P.-Cgil di Milano e presentata alla Conferenza di programma della categoria, nel maggio del '99, risultava che il numero di collaborazioni esterne in corso, nel 1997, era stato pari a 3.358, vale a dire il 18% del totale del personale complessivo. Si pensi che nel 1990 il numero dei
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contrattisti era pari a 200, divenuti 1.810 nel 1993, con un peso percentuale pari ancora al 7%. La stessa indagine rilevava - sempre con riferimento al ’97 - una durata media del rapporto normalmente semestrale (in 1.971 casi), oppure inferiore ai 3 mesi (in 984 casi); molto più rari gli incarichi di durata annuale (in 143) mentre nessuna menzione veniva fatta per rapporti di durata superiore all'anno. I profili professionali più interessati da questa tipologia di rapporti di lavoro concernevano il settore delle scuole civiche: docenti, non docenti, animatori dei servizi di prescuola. Pochi, allora, i casi di incarichi di consulenza a professionisti e basso il livello di femminilizzazione rispetto al resto del personale comunale. La spesa complessiva per collaborazioni ammontava nel 1997 a oltre 24 miliardi; nel '90 non arrivava a 2 miliardi e nel '93 era intorno ai 18. Per avere un raffronto comparativo, si pensi che nel '97, la spesa complessiva per collaborazioni esterne ammontava a poco più di 7 miliardi a Bologna, 3 miliardi e 742 mila a Bari, poco più 3 miliardi a Palermo. Quelle rilevazioni - effettuate dalla FP Cgil, milanese e nazionale - non distinguevano chiaramente fra le diverse tipologie di collaborazione, in particolare fra le occasionali e le coordinate e continuative. Potrebbe forse desumersi che quelli con durata superiore ai 6 mesi dovrebbero certo ascriversi a rapporti di coordinazione continuativa. Si tratterebbe di oltre 2000 incarichi, che non vanno però confusi con altrettante e distinte unità lavorative, potendo infatti ricorrere casi di reiterazione di contratti di collaborazione. Elaborazioni più recenti, risalenti al '99, stimano in oltre 500 i casi di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente impiegati dal Comune di Milano nelle scuole civiche e nei servizi socio-sanitari. Rispetto alla concentrazione di collaborazioni tradizionalmente alta presso le scuole civiche va' registrata una uscita di 6-700 unità, che passano in gestione alla Fondazione appositamente costituita per la gestione di queste scuole. Ciò complica il dato certo a disposizione sul numero complessivo di collaborazioni rimaste sotto la gestione diretta dell'amministrazione comunale. 2.7. Esternalizzazioni e strutture di insourcing Al tema delle collaborazioni si accosta quello delle terziarizzazioni o anche quello della creazione di aziende interne di servizio definibili come strutture di insourcing. Si tratta di un frastagliato arcipelago di servizi comunali, la cui modalità di gestione varia fra gestioni dirette o tramite altri enti della PA, a mezzo azienda municipalizzata, speciale, Spa a prevalente capitale pubblico, sino a Spa a prevalente capitale privato o affidamento a terzi, mediante appalto o convenzione. Questi ultimi hanno interessato le
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attività di pulizia, trasporto, trasloco, cappatura automezzi, per i quali si applicano CCNL diversi da quelli degli EE.LL. Tra il 1990 e il 1997, periodo per il quale disponiamo di dati precisi, la spesa dovuta ad appalti di servizi è cresciuta di sei volte. Quello della costituzione della Fondazione di partecipazione per la gestione delle scuole civiche milanesi di musica, cinema, teatro, interpreti e traduttori costituisce un caso piuttosto interessante. Cinque o seicento persone distribuite in 6-7 sedi. Il trasferimento del personale alla suddetta Fondazione avverrà secondo un protocollo di intesa, sottoscritto da RSU e organizzazioni sindacali confederali il 24 luglio 2000, in cui si sancisce il diritto a conservare per i dipendenti a tempo indeterminato provenienti dal Comune di Milano l'applicazione del CCNL e del contratto integrativo su tutti gli aspetti normativi, economici e previdenziali. Nel caso di eventuali esuberi che dovessero sopraggiungere per esigenze organizzative della Fondazione, l'Amministrazione si impegna, per un periodo di 5 anni, a reintegrare il personale interessato all'interno della propria dotazione organica, compatibilmente con i propri piani di assunzione e ricorrendo, se necessario, ad opportuni processi di formazione e riqualificazione. L'obiettivo generale del sindacato è quello di riportare tutti i rapporti di lavoro attivati dal Comune di Milano entro l'ambito di copertura del CCNL degli enti locali. Nell'area delle terziarizzazioni questo vuol dire raggruppare in un solo e specifico contratto di lavoro per tutti gli addetti i dipendenti che gravitano nella galassia comunale dei servizi. Il modello potrebbe essere quello del Cispel. Ciò è quanto è avvenuto per la Fondazione e per la refezione scolastica, dove la concessione in appalto esterno è avvenuta col mantenimento del contratto degli EELL e - inoltre - con la clausola di salvaguardia per cui, per i primi 5 anni dalla costituzione della Società, si verificherà congiuntamente l'eventuale necessità di reinserimento del personale nell'ambito della dotazione organica del Comune di Milano, attraverso il meccanismo della riammissione al servizio. Si tratta di un problema che però va' affrontato e risolto in ambito nazionale e, in tal senso, si sta muovendo la FP milanese: costituire una nuova area di contrattazione per i servizi comunali che vanno in esternalizzazione. Fatto ciò si tratterrà di procedere a quelle integrazioni che, specie nella parte economica, devono scoraggiare la concorrenza al ribasso fra i contratti di riferimento. Al Comune di Milano si è in tal senso proceduto coi c.d. "contratti di armonizzazione". L'obiettivo, mutuato dalla lunga tradizione dei settori industriali, è quello di evitare o comunque contenere la frammentazione contrattuale entro uno stesso settore o ciclo di prodotto. Anche le controparti dovrebbero mostrarsi interessate ad una razionalizzazione che riduce la frantumazione dei soggetti e dei tavoli negoziali.
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Le principali motivazioni che hanno indotto l’Amministrazione comunale verso scelte di flessibilità sono riconducibili alla "volontà di ripensare alla gestione delle risorse umane in base a criteri di efficienza e di valorizzazione delle singole prestazioni"5. In futuro sembra che la forma flessibile destinata ad un maggiore usa sarà quella del lavoro temporaneo, mentre per la flessibilità orizzontale e la fungibilità dei profili professionali e delle mansioni si sta ancora lavorando alla implementazione di un sistema di valutazione delle prestazioni che consenta una reale differenziazione retributiva ed un nuovo sistema di classificazione del personale. Sul lavoro interinale, che in futuro si prevede di utilizzare "in modo strategico ed esteso", ciò che emergerebbe dall'esperienza milanese - secondo i giudizi dell'Amministrazione - è la sua validità di strumento "per abbassare il livello di rischio nei progetti innovativi e come opportunità per sperimentare nuove aree di intervento, forme organizzative e figure professionali nella P.A. I principali problemi incontrati consisterebbero invece alla necessità di una maggiore formazione dei lavoratori temporanei per consentire loro un più rapido e produttivo inserimento"6. Una seconda questione riguarderebbe invece problemi di ordine legale , inerenti alla dovuta trasparenza della procedura di scelta dell'azienda fornitrice e, soprattutto, sull'attribuzione di responsabilità giuridiche di atti - ad esempio le concessioni edilizie - da parte di lavoratori che non hanno alcun contratto di lavoro con la P.A. Per quello che invece concerne i contratti a termine, gli aspetti meno soddisfacenti sono di due tipi: a) "non è possibile assumere, al termine del contratto, le persone che hanno dimostrato capacità e su cui si sono fatti investimenti formativi, se non attraverso le consuete procedure che regolano l'accesso al pubblico impiego (pari opportunità, anonimato, adeguata pubblicità) e che perciò prescindono dall'effettiva esperienza maturata"; b) "non è facile né rapido da utilizzare in quanto richiede una procedura formalizzata di selezione"7. La politica del sindacato - e della Cgil in modo del tutto esplicito - consiste nel tentare di fare entrare in pianta stabile, al Comune di Milano, tutto quello che è precariato o lavori atipici. Ciò vale in particolare per i contratti a tempo determinato, con la stabilizzazione del precariato maturato in questi anni. Invertire così - a partire dalle verifiche in corso sulle piante organiche - la tendenza alla flessibilizzazione perseguita dall'Amministrazione in questi anni. L'obiettivo dichiarato è quello di individuare e fare "#$ % &'
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V. , in "Flessibilità e lavoro pubblico": 1° Report, a cura del Dip. Funzione Pubblica, a cui hanno collaborato S. Parisi e F. Bordogna dell'Amministrazione del Comune di Milano, Roma, maggio 2000.
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mettere a regime le situazioni di carenza nei vari settori. Il tempo determinato priva infatti chi lo svolge di una serie di diritti importanti, riguardanti ad esempio le assenze, le malattie, i motivi familiari. Gli esempi più significativi sono stati finora quelli del settore educativo, dove tramite corsi-concorsi si conta di "tirar dentro" a tempo indeterminato il maggior numero di precari, nonché la clausola del patto sull'interinale che attribuisce punteggio a quanti hanno fatto l'esperienza di lavorare presso il Comune di Milano. Un verbale di intesa riguardante gli "ausiliari della sosta" conferisce loro la possibilità di organizzare precorsi formativi con prova finale e formalizzare così una certificazione di qualifica da considerare come titolo valutabile nelle procedure concorsuali. Anche per gli LSU, con un accordo di due anni fa, il sindacato ha chiesto e ottenuto che fossero tutti assunti a tempo indeterminato all'interno della società privata *OREDO 6HUYLFH, alla quale erano stati appaltati i servizi di pulizia e manutenzione. Della settantina di lavoratori allora interessati dall'accordo solo una quota minoritaria - con una certa sorpresa del sindacato - ha raccolto questa opportunità. Dove il passaggio dal tempo determinato a quello indeterminato non è stato possibile ad esempio per i tecnici addetti a settori come quelli dell'acquedotto - ciò è dipeso dalle procedure di assunzione che nel pubblico impiego non consentono il riconoscimento dell'esperienza maturata a tempo determinato in periodi precedenti. Da questo indirizzo si discosta la posizione assunta in materia di lavoro interinale, il cui accordo dell'ottobre del '99 rivela di una piena apertura sindacale all'utilizzo di questo strumento. Quell'accordo - che alla FP Cgil giudicano persino più avanzato di quello nazionale - non conteneva la previsione di una percentuale massima, oggi 7% su base mensile, perseguendo invece la via del giudizio congiunto sui progetti aventi necessità di lavoro temporaneo. Tale giudizio comporta il monitoraggio, la verifica e l'eventuale nulla osta sulla effettiva assenza di figure professionali interne corrispondenti all'impiego temporaneo richiesto dal progetto, ipotizzando anche il possibile recupero di professionalità equivalenti eventualmente in esubero presso altri settori. La metà degli attuali contratti di lavoro flessibile e atipico viene ritenuta dal Segretario milanese della FP-Cgil per gli EE.LL., Graziano Gorla, come "normale sostituzione di personale che potrebbe essere assente dalla normale dotazione organica". Il tasso di sostituzione media - ad esempio per malattie, maternità, infortuni - viene stimato intorno al 9%. Un dato questo, coincidente con quello stimato dall'Amministrazione, ma che contrasta con l'indice di assenza pro-capite fornito dalla Corte dei Conti, secondo cui nel biennio 1997 e 1998 la quota di assenze sarebbe stata pari al 12%. In generale, per la Cgil "la flessibilità di cui ha oggi bisogno un'azienda non è una flessibilità di costi ma una flessibilità di qualità" (G. Gorla). Sull'interinale, ad esempio,
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non c'è stata - ad eccezione delle RdB - alcuna opposizione di principio. L'accordo del '99 attesta piuttosto di questa diffusa disponibilità da parte delle maggiori sigle sindacali. Deve però trattarsi, secondo i rappresentanti della Cgil, di richieste effettivamente giustificate. In alcuni casi - ad esempio sugli esperti in tema di sicurezza e ambiente di lavoro - la richiesta di un ricorso di incarico temporaneo, oppure di collaboratori coordinati e continuativi, è venuto dalle stesso organizzazioni sindacali. Per incarichi che appaiono intrinsecamente connotati dal carattere della breve durata del rapporto, e per professionalità non particolarmente specialistiche, il contratto a termine risulta evidentemente meno costoso per l'Amministrazione di quanto non sia invece quello di fornitura temporanea. In sintesi, la posizione che la Cgil assume nei riguardi di richieste di figure atipiche di impiego è la seguente: a) "se si viene a lavorare per il Comune di Milano il contratto dev'essere quello degli enti locali" (C. Mazzarrini, Coord. Cgil della RSU Comune Milano; b) se si tratta di richieste di lavoro interinale oppure a tempo determinato occorrerà innanzitutto valutare se esistono le condizioni e le risorse per convertire riqualificandolo - personale già presente agli obiettivi perseguiti dall'Amministrazione. Qui l'intervento si concentra inevitabilmente sui profili professionali che, se da un lato vanno ridimensionati per numero ed omogeneità (erano oltre la sessantina), dall'altro vanno ripensati sulla base della formazione e della mobilità orizzontale. A questi principi di base si aggiungono, a seconda dei diversi casi, ulteriori linee guida del comportamento negoziale. Nel settore educativo delle scuole civiche e delle materne, ad esempio, dove i contratti a tempo determinato sono sempre stati reiterati annualmente, sia pure in presenza di fabbisogni del tutto prevedibili per numero, scadenze e durate, si è scelto di perseguire la via della trasformazione di questi rapporti di mera e ingiustificata precarietà in rapporti a tempo indeterminato. L'interinale invece - su cui le parti hanno raggiunto un accordo già lo scorso ottobre (v. VXSUD) - si giustifica in quei casi in cui il compimento dell'incarico, oltre ad essere relativamente straordinario, non si esaurisce in un arco di tempo previamente ben definibile. Sulle relazioni sindacali le parti hanno già concluso un accordo che andrà a far parte del contratto integrativo, ancora aperto su vari temi, fra i quali il part time, i profili professionali e la formazione del personale. Anche sul telelavoro i sindacati contano di ottenerne la previsione esplicita nel prossimo integrativo, ma l'Amministrazione non ha finora - a loro dire - manifestato alcun interesse per questo strumento e nemmeno dai lavoratori sono venute richieste particolari in tal senso. Dell'operato dell'Amministrazione si critica la frammentazione decisionale fra settori e progetti per obiettivi - "ognuno ha usato la Bassanini per farsi la sua piccola
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Repubblica" ci è stato detto - e la mancanza di una cultura della gestione del personale all'altezza del progetto di riforma che in questi anni ha interessato la pubblica amministrazione. Da questo punto di vista critico, si sarebbe verificato uno scollamento fra le modifiche fondamentali che sono state introdotte ed il meccanismo organizzativo che servirebbe per renderle effettive.
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Capitolo secondo ,OFRPXQHGL%UHVFLD GL6DOYR/HRQDUGL
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Quello di Brescia è un Comune di 190.000 abitanti, capoluogo di una Provincia che di abitanti ne conta un milione e connotata da una antica e forte vocazione industriale del tessuto produttivo e sociale. Dei 430mila addetti ai tre settori dell'economia, quello industriale ne impiega ben 210mila. La percentuale operaia sulla popolazione produttiva è quindi dell'ordine del 50%, rivelando con questo un tratto fortemente distintivo della Provincia bresciana nel contesto nazionale. A fronte dei processi di ristrutturazione industriale che non hanno certo risparmiato queste zone, ancora fra il 1991 ed il 1999 si registra un aumento degli addetti al settore metalmeccanico. Le imprese industriali sono oggi 30mila, in grande prevalenza di piccola e media dimensione ma ad alta intensità di lavoro. In questo territorio il rapporto fra azienda e famiglia è molto forte e sentito. La disoccupazione è pressoché "frizionale" e altri indicatori economici - Pil, esportazioni e finanza - pongono Brescia e la sua provincia in testa alle classifiche nazionali per livelli di sviluppo e prosperità. Brescia - città opulenta ed elegante - vanta però anche altri primati, assai meno lusinghieri, come quello per infortuni sul lavoro, con un impressionante numero di morti ed invalidi permanenti. Sulla storica sede della locale Camera del Lavoro, accanto alla stazione, campeggiano - a memoria della cittadinanza le cifre costantemente aggiornate di un autentico bollettino di guerra. A lungo roccaforte democristiana, quella bresciana è una realtà politicamente moderata e sindacalmente molto combattiva. Con un centro-sinistra che governa da anni il capoluogo e la Lega che domina nelle valli e nei monti della provincia, Brescia vanta una classe operaia industriale molto organizzata, con una Fiom locale fra le più forti e "combattive" del paese ed un sindacalismo cattolico che da queste parti ha tradizionalmente espresso posizioni originali e GLVLQLVWUD rispetto al quadro nazionale della Cisl. D'altra parte, l'operaio con tessera Fiom e simpatie politiche per la Lega nord (un tempo per la
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), ha offerto e tuttora offre numerosi elementi per le
analisi socio-culturali e politologiche che attengono, in questo territorio, alle scelte e ai comportamenti di un mondo del lavoro in trasformazione.
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Tuttavia, anche adesso che i rapporti fra le maggiori confederazioni sono al punto più basso da molti anni a questa parte, qui si è in più di una occasione riesciti a fare vertenze unitarie o a costituire comitati comuni quando si è trattato di difendere conquiste dei lavoratori e prestigio del sindacato.
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Il Comune di Brescia contava – lo scorso anno - 1966 dipendenti e 74 dirigenti. A questi si sono aggiunti 216 dipendenti ausiliari scolastici, che dalle dipendenze dell'ente sono transitati all'amministrazione statale. L'attività dell'amministrazione comunale è suddivisa organizzativamente in 28 settori e servizi
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3.1 Il lavoro a tempo parziale Fra gli istituti di flessibilità predisposti dal legislatore e dalla contrattazione collettiva di comparto, il tempo parziale è di gran lunga quello più diffuso fra il personale del Comune di Brescia. Secondo il Dirigente incaricato, il 16% del totale del personale in dotazione dell'ente svolge la prestazione di lavoro con questa tipologia contrattuale. Una quota largamente superiore a quella minima fissata come obiettivo dal legislatore, che è del 4%. Dopo una fase in cui il tempo parziale aveva incontrato uno scarso interesse da parte dei dipendenti, fra il 1997 ed il 1999 si è verificato un vero e proprio boom di richieste, al punto di creare qualche difficoltà ai capi-settore che dovevano comunque mantenere le compatibilità necessarie al regolare funzionamento degli uffici. Ciò è accaduto in particolare nei servizi di assistenza socio-sanitaria - in special modo nelle case di riposo - e negli istituti scolastici. In base alla legge, le richieste sono state comunque vagliate settore per settore e rapidamente accolte. La disciplina applicata è stata quella generale della legge, non avendo le parti proceduto ad integrazioni o adattamenti contrattuali in accordi decentrati integrativi. Pur in assenza di regolamentazione, l'amministrazione ha cercato di orientare le richieste prevedendo, anche se non in forma contrattualmente perfetta, tre tipologie di orario. Le richieste che sono venute dal personale hanno riguardato tutte e tre le opzioni possibili: 18 ore, 24, 30.
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I lavoratori mostrano un grosso interesse per un istituto contrattuale che consente loro di conciliare al meglio gli impegni di lavoro con bisogni familiari ed esigenze personali. Il maggior numero di richieste è venuta dalle lavoratrici (fra l'80 e il 90%). Le motivazioni più ricorrenti sono state di ordine familiare, più raramente per altri lavori all'esterno dell'ente; questo è stato generalmente il caso del personale tecnico che, non a caso, ha preferito la soluzione più drastica, quella delle 18 ore. 18 ore che sono pure la soglia da cui partono all'inizio molti candidati al part-time, salvo chiedere successivamente un aumento alle fasce con più ore. Questo si spiega forse con l'incidenza che il modulo di 18 ore provoca sul reddito del dipendente. Resta comunque il fatto che la diffusione della richiesta di questo strumento da parte del personale, malgrado l'impatto sul reddito che esso in ogni caso provoca, si spiega probabilmente con gli alti livelli occupazionali del territorio bresciano e la rarità di situazioni mono-reddito familiare. La massiccia percentuale di lavoro a tempo parziale non lascia molti dubbi sul carattere ampiamente voluto e cercato da parte dei lavoratori. Esso corrisponde evidentemente ad esigenza che nascono prioritariamente sul versante del personale. La dirigenza, dopo una fase di iniziale "turbamento", ha finito con l'accogliere positivamente una così ampia diffusione del lavoro a tempo parziale, verificando l'impatto non negativo sull'organizzazione e l'offerta dei servizi e apprezzando l'effetto di riduzione della spesa e la possibilità di destinare quote di essa al fondo per la produttività, sia collettiva che individuale. L'attuale dirigenza non ha ancora valutato l'opportunità di adottare quelle misure di maggiore flessibilità introdotte per il lavoro a tempo parziale dal d.lgs. 61/2000; pensiamo al lavoro supplementare e alle clausole c.d. "elastiche". Salutate favorevolmente dal dirigente incaricato, esse non risultano tuttavia nell'agenda negoziale che si sta discutendo - mentre scriviamo queste note - per il rinnovo del contratto integrativo. Con la sigla definitiva delle cosiddette "code contrattuali" la materia è stata ridefinita e dovrà essere regolamentata secondo la nuova disciplina (CCNL successivo per il personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali del 14.9.2000; artt. 4 - 5 e 6) Qui è piuttosto il piano regolatore degli orari a incontrare difficoltà nel confronto fra le parti.
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3.2 Il contratto a tempo determinato Il suo impiego ha finora interessato alcune situazioni e particolari profili lavorativi, in particolare: personale ausiliare scolastico, educatori di scuole materne, addetti ad asili nido, assistenti sociali per anziani. Per le figure con bassa professionalità (fino all'ex 4 livello), come quelle ausiliarie scolastiche, l'amministrazione comunale è tenuta a rivolgersi all'ufficio di collocamento. La durata media dei contratti è trimestrale, con reiterazione dell'incarico. Fra gli insegnanti, fra i quali l'utilizzo dei contratti a termine era stato introdotto per primi, è servito a supplire alle vacanze create all'apertura dell'anno scolastico, quando le normali procedure di reclutamento tramite graduatoria rivelano la loro sistematica intempestività. Non mancano casi più consueti legati alla sostituzione di lavoratrici in maternità, aspettativa o permessi. Ciò rivela la non completa congruità dei contratti a termine nei confronti della gestione ottimale dei flussi di stagionalità inerenti alla copertura di alcuni servizi ed incarichi professionali. A fronte della natura perfettamente prevedibile dei picchi periodici, esso non sembra in grado di facilitare una programmazione adeguata delle assunzioni, laddove la dirigenza e le organizzazioni sindacali non hanno finora considerato l'utilizzo di soluzioni più certe ed efficaci. Basti pensare alla possibilità di introdurre forme di contratto a tempo indeterminato, con part time verticale e ciclico nel corso dell'anno. La dirigenza ipotizza eventualmente nuove assunzioni a tempo indeterminato, ma sa anche di dover fare i conti coi vincoli di bilancio che già oggi, per la voce personale, presenta una voce di spesa al di sopra di quella soglia virtuosa, identificata dal Dipartimento della funzione pubblica intorno al 30%.
3.3 I rapporti di collaborazione professionale Costituiscono un'area vasta e difficilmente monitorabile persino da parte della dirigenza del personale. Per il 1998 il numero di incarichi esterni è stato pari a 648, col maggiore importo concentrato nella voce "consulenze tecniche"; nel 1999 il numero di incarichi di collaborazione è salito ulteriormente, raggiungendo quota 800, questa volta con un'incidenza più alta degli incarichi per "spettacoli", "collaborazioni professionali" e "rilevazioni statistiche". Si tratta evidentemente di professionalità estranee al normale dotazione organica di un ente locale, ciò nondimeno, per un Comune con poco meno di
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2000 dipendenti si tratta di una cifra decisamente alta. Ciò determina evidentemente un impatto significativo sulla spesa per incarichi esterni, ma solleva pure un problema di trasparenza e pubblicità dell'attività gestionale dell'ente. I rapporti di collaborazione vengono infatti instaurati direttamente da singoli capi-settore, che successivamente informano la Segreteria Generale del Comune dell'avvenuto contratto. La S.G. raccoglie, con cadenza semestrale, l'elenco delle collaborazioni ed incarichi affidati da tutti i settori dell'ente, che successivamente invia al Dipartimento della funzione pubblica così come prevede la normativa. Il quadro normativo attuale lascia alla singola amministrazione la possibilità di utilizzare personale esterno per incarichi e collaborazioni ponendo come vincolo la tipologia o la natura delle prestazioni fornite. La decisione di avvalersi di prestazioni professionali esterne dipende da una pluralità di ragioni che rimandano alla natura della prestazione medesima, al carattere "eccezionale" o "ordinario" della prestazione offerta rispetto all'attività dell'ente ed alla loro "necessità". Le aree maggiormente interessate sono state finora quelle della cultura, del tempo libero, dell'istruzione, dei lavori pubblici e dell'urbanistica, dei servizi alla persona, della rilevazione statistica. Le collaborazioni professionali più ricorrenti sono quelle di ingegneri, architetti, archeologi, geometri, oppure dei professori universitari, degli addetti ai musei civici d'arte e storia, degli operatori culturali, dei curatori di convegni, mostre o altri eventi di intrattenimento culturale, musicale o sportivo. Risulta evidente che, soprattutto nei settori tecnici, questa forma di lavoro viene utilizzata per by-passare i vincoli esterni ed interni (programmazione) alle assunzioni di ruolo.
3.4 Altre forme di flessibilità Formazione lavoro, telelavoro ed interinale, per il comparto delle autonomie locali, sono istituti regolati dal contratto nazionale del 14 settembre 2000. Presso il Comune di Brescia nessun dipendente ricopre il suo incarico nella forma del telelavoro, per il tramite di agenzie di lavoro interinale o nell'ambito di progetti formazione-lavoro; non sono impiegati "lavoratori socialmente utili". Per quanto riguarda il telelavoro, l'amministrazione ha ricevuto un paio di richieste/proposte da parte di due dipendenti residenti in comuni limitrofi e disagiati nel collegamento viario. Il dirigente di allora ha sollevato il problema degli impianti
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elettrici domestici non a norma di legge, non nascondendo tuttavia le perplessità legate al timore di una perdita di controllo diretto sulla quantità e qualità della prestazione lavorativa del dipendente. L'attuale dirigente del personale ammette che probabilmente certe inerzie e diffidenze verso il nuovo nascono da un problema culturale che non risparmia nessuno, nemmeno i nuovi managers pubblici. "La novità spaventa e – ci è stato detto - si pensa forse che è meglio non svegliare il cane che dorme". Quanto all'interinale, su cui da alcuni mesi ormai esiste un accordo-quadro per tutto il pubblico impiego, esso non compariva nell'agenda negoziale per il nuovo integrativo dell’ente. A ricordare alle parti l'esistenza di questo istituto, anche nelle amministrazioni pubbliche, è stata la mozione di un consigliere comunale di Rifondazione comunista che ha diffidato la Giunta dalla tentazione di farvi ricorso. Per il resto non si segnala nient'altro. In definitiva, presso il Comune di Brescia, flessibilità significa essenzialmente tre cose: part time, collaborazioni esterne e tempo determinato. Per il dirigente del personale la scelta del contratto a tempo determinato, per far fronte ad esigenze di carattere periodico o stagionale, "dipende da prassi omai note e consolidate: quello a termine è un modello contrattuale collaudato, chiaro e sicuro ed è per queste ragioni che si continua a preferirlo". Rispetto alle opportunità alternative offerte dalle recenti riforme del lavoro pubblico, si ammette un certo ritardo, una conoscenza inadeguata e, probabilmente, la titubanza indotta da strumenti inediti nelle pratiche locali di relazioni sindacali e gestione del personale.
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Si è già avuto modo di dire come gli strumenti di flessibilità per l'assunzione e l'impiego del personale - CFL, interinale, telelavoro - non facciano parte dell'attuale negoziato, in corso mentre scriviamo, per il contratto integrativo decentrato. Nessuno di questi istituti è stato affrontato in occasione del negoziato; "neanche nei minimi termini". Rispetto ai temi retributivi, essi costituiscono di fatto un tema "di secondo ordine", alla stregua di quelli sull'organizzazione del lavoro. Si discutono i punti della piattaforma, "giorno dopo giorno", e anche il sindacato - oltre la dirigenza - ammette di non avere una strategia precisa in tema di flessibilità e che, in generale, c'è su questo molta improvvisazione o, viceversa, tradizionalità estrema degli approcci. A ciò si aggiunge il
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timore, più o meno latente, che questioni come quelli della flessibilità possano insorgere divergenze fra le diverse sigle, come quelle - gravissime per l'unità d'azione del sindacalismo confederale - consumate nella vicina Milano in occasione dell'accordo separato sul "patto per il lavoro". L'amministrazione, che pure ammette di non avere richieste di merito precise ed articolate, contesta alle organizzazioni sindacali rigidità e chiusure. "Su alcune cose mostrano un'attenzione maniacale al dettaglio; su altre, ad esempio la mobilità interna, oscillano fra disinteresse e ostruzionismo". Su questo tema, anch'esso parte di una gestione diversa delle risorse umane all'interno dell'ente, l'amministrazione persegue l'obiettivo di rivedere i criteri di classificazione dei profili professionali, ampliando in particolare il concetto di "equivalenza" fra le mansioni. Le reazioni sindacali non sono favorevoli a questa soluzione. Il sindacato - per ammissione di un quadro organizzativo che partecipa ai negoziati - agisce di rimessa, attende le proposte dell'amministrazione e si regola di conseguenza, su posizioni di solito difensive. Un accordo è stato alla fine raggiunto e salutato molto favorevolmente dai sindacati per quanto riguarda le progressioni di carriera (orizzontali e verticali), i concorsi interni e la chiusura della produttività per il '99 (ordinaria e speciale). Questo accordo è stato voluto con insistenza dalla RSU e dai sindacati territoriali, e grazie alla forte partecipazione alle iniziative di sciopero proclamate proprio dalla RSU, i sindacati sono riusciti ad ottenere un obiettivo che ritenevano assolutamente importante. L'accordo, fra l'altro, prevede la riduzione a 35 ore per i turnisti e lo scorrimento per circa 1000 dipendenti che non avevano ottenuto il L.E.D. nel precedente contratto. Si stabilisce inoltre che nell'arco di un mese, "l'amministrazione si impegna ad una analisi approfondita della struttura dei servizi e dell'assetto organizzativo al fine di concordare, nel rispetto delle modalità negoziali contrattualmente stabilite, le modifiche della dotazione organica da recepire nel piano occupazionale e addivenire nell'arco del triennio 2000/2202 all'attuazione dei concorsi interni riservati e della progressione verticale per il numero adeguato di posti che vengono stimati fino ad un massimo di 700". Le organizzazioni sindacali sottolineano il valore del verbo "concordare", laddove l'amministrazione aveva fino all'ultimo inteso sottoporre alla procedura partecipativa della concertazione l'intero pacchetto. Per i sindacati "concordare" vuol dire "contrattare"; "per noi - ci è stato detto
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- tutto dev’essere contrattato". Un punto di vista non condiviso dalla dirigenza che invece si appella all’articolazione di strumenti, partecipativi oltre che contrattuali, predisposti dal legislatore e confermati dalla contrattazione collettiva nazionale in materia di relazioni sindacali. L'accordo è stato definitivamente raggiunto in data 7.9.2000. Per quello che concerne gli strumenti di flessibilità già largamente in uso, l'atteggiamento sindacale è differenziato. Sul part time si è preso atto del chiaro desiderio di molte lavoratrici e lavoratori in favore di questa scelta, assumendola di conseguenza come un valore ed una opportunità da lasciare all'iniziativa individuale dei singoli nel loro rapporto con amministrazione e capi-settore. La preoccupazione è stata dunque quella di controllarne l'uso complessivo, denunciando piuttosto l'incidenza del part time nell'ambito di una pianta organica inadeguata. L'amministrazione avrebbe implementato una quota così alta di lavoratori part time, aumentando drasticamente i carichi di lavoro individuale; in altre parole, stesso lavoro in minor tempo. Secondo un sindacalista intervistato ci sarebbe molta pressione sulle lavoratrici part time, dalle quali ci si attende un prodotto quantitativamente, oltre che qualitativamente, invariato. Per quello che concerne i rapporti di lavoro a tempo determinato, i sindacati si sono in passato impegnati per favorirne il passaggio a tempo indeterminato. Quell'obiettivo viene ritenuto oggi vano, in virtù dei vincoli che la legislazione impone alle amministrazioni pubbliche in materia di assunzioni. La constatazione, molto critica, è che attraverso questo istituto l'ente entra in contatto con un numero ampio di lavoratrici e lavoratori della cui esperienza e del cui valore non è poi nella condizione di trarre stabilmente i frutti a causa della inconvertibilità del rapporto a termine. Sulle collaborazioni e le consulenze esterne, anche tramite appalti ed esternalizzazioni di interi settori e servizi, l'amministrazione - secondo il sindacato - "fa semplicemente quello che vuole". Nel giro di poco tempo, ad esempio, la manutenzione stradale e del verde pubblico, la logistica, il trasporto funebre sono stati appaltati all'esterno. Qui le richieste sindacali attengono ad una maggiore e migliore conoscenza, nonché verifica delle ditte appaltatrici e del loro operato anche in materia di rapporti di lavoro col proprio personale. Il caso più critico sembra essere quello dei soci delle cooperative sociali, dove il sindacato nota situazioni di gravo disagio - per carichi di lavoro, orari e
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retribuzioni - delle infermiere delle case di riposo e dell’assistenza domiciliare agli anziani. Sulle collaborazioni individuali si intuisce l’enorme ricorso che ne viene fatto dall’ente, senza potere non solo intervenire concertativamente sulla scelta, ma con difficoltà ad ottenere anche la mera informazione su entità, ambiti settoriali e costi. Il sospetto, oltretutto, è che al di là di figure altamente qualificate e/o comunque non riassorbili nel normale organico dell'ente, si celino utilizzi distorti di collaboratori continuativi, quindi autonomi, che in realtà sarebbero solo lavoratori subordinati mascherati.
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Capitolo terzo &RPXQHGL%RORJQD GL/XLJL5DPSLQR
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Bologna, 380.000 abitanti, centro nevralgico di comunicazione tra Nord e Sud Italia, metropoli a forte vocazione commerciale, è anche il capoluogo della Regione simbolo di una pubblica amministrazione efficiente e all’avanguardia, capace di fare scuola nell’offerta di servizi di qualità elevata per i cittadini. In questo senso il Comune di Bologna rappresenta un caso dalle caratteristiche interessanti e diverse dalle altre amministrazioni considerate. Gli aspetti principali inerenti all’organizzazione e rilevanti per il nostro studio sono due. Il primo è legato alla vastità e all’articolazione dei servizi offerti dal Comune rispetto agli standard delle altre zone del Paese. Si pensi ad esempio che questa amministrazione assicura un tasso di copertura molto più elevato della media nazionale nei servizi per l’infanzia, con delle scuole materne in grado di offrire servizi a tutta la popolazione, e con i posti disponibili negli asili nido che coprono il 32% del fabbisogno degli abitanti, contro una media nazionale del 5%. Inoltre, Bologna è uno dei pochissimi comuni in Italia ad avere nel proprio personale anche alcuni insegnanti di istituti tecnici (circa 250 unità), fondati oltre un secolo fa in risposta ad un’esigenza di sviluppo della formazione. Al di là di questi due esempi, la presenza di questa amministrazione nei servizi culturali, sociali, e nelle altre aree di competenza dei comuni è in generale consistente e articolata. A questo si può attribuire la numerosità dei dipendenti comunali (5148 al 31 luglio 2000), che in rapporto agli abitanti risulta a un livello piuttosto elevato rispetto ai comuni italiani medio grandi. Il secondo aspetto di contesto da considerare è legato alla cultura di management pubblico che tradizionalmente il Comune di Bologna si è impegnato a promuovere nella propria organizzazione. Questa amministrazione ha infatti adottato da diversi anni metodologie di management per obiettivi e di valutazione del personale, ha introdotto la figura del direttore generale nel 1992, attraverso il proprio statuto, prima ancora che fosse previsto dalla normativa nazionale, e, in definitiva, ha sviluppato una cultura organizzativa all’avanguardia nel panorama degli enti locali. L’analisi di questo caso ci permette dunque di verificare se a una cultura di management e organizzazione più avanzata corrisponde una diversa visione, e un diverso utilizzo, del
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lavoro flessibile nell’ente locale. In particolare, questo tipo di contesto sembra costituire delle premesse positive affinché la direzione del personale sia in grado di governare le forme di lavoro flessibile, utilizzandole con coerenza e in funzione di specifiche esigenze di performance o di gestione del personale. Cominciamo dunque ad esaminare le varie forme flessibili: il part time, il tempo determinato, il telelavoro, i contratti di formazione e lavoro e il lavoro interinale.
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: Comune di Bologna
: 382.000
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: 5148, di cui 101 dirigenti 619 area D 4428 aree C, B, A
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: gennaio 2000.
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: gli uffici di massima dimensione sono articolati in 12 settori di
staff (Ragioneria, Affari generali e istituzionali, Personale e organizzazione, Qualità, Area di coordinamento organizzazione decentrata, Pianificazione e controllo, Acquisti, Lavori Pubblici, Entrate e Patrimonio, Sistemi informativi, Informazione al cittadino, Sicurezza urbana) e in 9 settori di attività (Economia e relazioni internazionali, Istruzione e sport, Territorio e riqualificazione urbana, Demografici, Traffico e trasporti, Cultura e rapporti con l’università, Coordinamento servizi sociali, Salute e qualità della vita). Inoltre esistono 9 quartieri, con relative sedi e direttori.
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Il tempo parziale interessa una quota significativa dei dipendenti comunali. Sono 297 le unità con questo tipo di rapporto, pari al 5,8% dei dipendenti. Di questi, 204 hanno scelto di passare al tempo parziale dal tempo pieno, e i restanti 93 sono stati assunti con contratto a part time a tempo indeterminato. Pertanto, la percentuale di adesione al part time da parte dei dipendenti di ruolo è del 4%, in linea con l’obiettivo fissato dalla normativa, e ad un livello superiore rispetto alle altre amministrazioni considerate. La
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scelta del tempo parziale è stata operata nella grande maggioranza dei casi da donne, mentre pochissimi sono i dipendenti che nella richiesta hanno dichiarato come motivazione di intraprendere una nuova attività lavorativa. Come già visto in altre amministrazioni, si può quindi supporre che l’adesione al part time sia legata a necessità personali o familiari, e non al desiderio di sviluppare un lavoro parallelo a quello comunale; mentre il numero consistente di dipendenti che hanno operato questa scelta, rispetto ad altre amministrazioni, non stupisce, dato l’elevato livello di benessere economico del territorio in questione. Va comunque rilevato che il fenomeno delle richieste di part time è attualmente in ascesa: si è passati dai circa 70 casi registrati fino al 1997 ai circa 200 di oggi. Secondo la direttrice del settore personale, il part time si può adattare bene ad alcune tipologie di servizi. In generale nei servizi sociali, ad esempio, l’utilizzo del part time può senz’altro avere una sua funzionalità organizzativa: sia perché alcune unità, come gli asili nido, possono avere un fabbisogno di personale che non coincide con unità intere; sia perché, dato l' alto tasso di presenza femminile e una necessità più sentita di tempo per gestire la famiglia, è possibile con il part time creare un ambiente più rispondente alle esigenze delle persone che vi lavorano, e quindi più produttivo. Meno adeguato al contesto del Comune di Bologna è considerato il part time verticale sull' arco dell' anno, poiché nei vari settori non ci sono sistematiche punte di carico stagionali. Al di là di questa visione del lavoro part time come alternativa da utilizzare da parte dell' amministrazione, la normativa nazionale, che sostanzialmente dà ai dipendenti pubblici la possibilità di scegliere, indipendentemente dai piani e dai fabbisogni dell' ente, ha inevitabilmente creato delle sofferenze. Mentre in alcuni settori è stato possibile far fronte a questa situazione attraverso recuperi di efficienza, in altri il livello dei servizi offerti è calato, ed è stato necessario acquisire nuovo personale, come ad esempio per gli assistenti sociali in alcuni quartieri. Oltre ai dipendenti a tempo pieno che hanno optato per il tempo parziale, ci sono due casi di assunzioni di personale a part time: si tratta di 88 ausiliari per le aree di parcheggio a pagamento, prima gestite in modo automatico, e di 5 addetti alla sorveglianza nei musei, da impiegare per il prolungamento dell' orario di apertura nel fine settimana. Gli ausiliari per le aree di sosta si alternano su orari di tre giorni a
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settimana, mentre gli addetti ai musei lavorano principalmente il sabato e la domenica, consentendo il prolungamento dell’orario e rendendo meno disagiati i turni dei dipendenti già in servizio. Per entrambi questi profili l'ipotesi ottimale, inizialmente prevista, era quella di un contratto a tempo determinato, in modo da sperimentare i nuovi servizi prima di decidere per una soluzione definitiva. Inoltre, il "target" di lavoratori a cui si volevano offrire queste opportunità, soprattutto il lavoro del fine settimana nei musei, erano persone giovani, magari studenti universitari, che fossero motivati a svolgere un lavoro, anche di basso profilo, per un periodo limitato di tempo. In realtà, motivi di opportunità politica hanno condotto a scegliere la soluzione dell'assunzione a tempo indeterminato, mentre il meccanismo di reclutamento, basato sulla chiamata tramite ufficio di collocamento, ha fatto sì che i candidati non rientrassero nel target previsto.
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Una prima forma di lavoro a tempo determinato utilizzata al Comune di Bologna è quella tipica delle supplenze nei servizi educativi e scolastici: sono circa 500 le persone impiegate in tali servizi, ed esistono, come in tutti i comuni, delle graduatorie per acquisire supplenti in sostituzione del personale in malattia o in aspettativa, con contratti la cui durata varia da pochi giorni a un anno. Oltre a questo utilizzo, i casi di contratti a tempo determinato sono piuttosto saltuari. Sono rare le richieste di uffici che dichiarano al settore personale la necessità un'esigenza temporanea. In ogni caso il regolamento di organizzazione prevede che per assunzioni a tempo determinato di personale superiore alla quarta qualifica funzionale possano anche essere utilizzate le graduatorie di concorsi in corso di validità. Questa norma consente di rendere molto più rapida l'acquisizione di eventuale personale a tempo determinato, evitando di attivare procedure che rischiano di impiegare qualche mese per concludere un contratto di uno o due anni. Un problema di questo tipo si è verificato, ad esempio, per il personale a tempo determinato di altre amministrazioni analizzate in questa ricerca.
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Questo strumento contrattuale, comunque, non è considerato di importanza primaria, anche perché, secondo la direttrice del personale, le persone con qualifica media o alta, "dal diploma in su", possono sempre trovare una collocazione adeguata in una organizzazione così grande. Una volta selezionato personale di buon livello, è possibile, anzi auspicabile, trattenerlo ed eventualmente utilizzarlo cambiandone la collocazione. Naturalmente questo presuppone una capacità di pianificazione e gestione della mobilità, che tenga anche conto delle caratteristiche individuali dei dipendenti. In sostanza, una pianificazione del personale coordinata a livello di ente e non separata nei singoli settori crea flessibilità, e in qualche modo riduce la necessità di ricorrere alle forme flessibili di impiego. Nell'ambito della dirigenza, invece, il contratto a tempo determinato assume un maggiore rilievo. Attualmente sono 24 (su 100) i dirigenti con questo tipo di contratto, la cui durata è legata al mandato elettivo. Il regolamento di organizzazione non pone particolari limiti all'impiego di queste figure, mentre le esigenze che ne determinano l'utilizzo sono due. La prima è di introdurre nella struttura un management che ha un rapporto fiduciario con il sindaco e la giunta; la seconda è di attirare e trattenere professionalità elevate, con compiti più specialistici che gestionali, ma inquadrate nella dirigenza. In particolare si tratta di ingegneri e di informatici molto qualificati e ricercati sul mercato. Non a caso il regolamento di organizzazione prevede, tra i parametri per formare la retribuzione dei dirigenti a tempo determinato, le "condizioni di mercato relative alla specifica professionalità". Rispetto all'alternativa, percorsa da molte amministrazioni, di impiegare questi professionisti come consulenti esterni, il vantaggio sembra essere di poter definire un quadro più chiaro e stringente di obiettivi e responsabilità. Il rapporto a tempo determinato, dunque, riguarda un dirigente su quattro al Comune di Bologna, una cifra ben al disopra delle altre amministrazioni analizzate in questa ricerca, anche di quelle grandi. Inoltre, la dinamicità del mercato interno della dirigenza è accentuata da cambiamenti periodici nell’attribuzione degli incarichi anche per i dirigenti di ruolo, in funzione delle prestazioni conseguite. Tra i motivi che possono aver favorito lo sviluppo di questa "dirigenza flessibile", si possono citare i seguenti: un organico dirigenziale non eccessivamente pesante, una situazione di bilancio virtuosa e una cultura manageriale promossa da molti anni.
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Il Comune di Bologna non ha realizzato forme di lavoro a distanza; tuttavia, circa due anni fa, l'amministrazione si è posta il problema di sperimentare questa modalità organizzativa, in coerenza con la propria cultura incline all'innovazione. Nel maggio del 1998, infatti, in seguito alle sollecitazioni informali di alcuni dipendenti, interessati al telelavoro domiciliare, l'ente aveva elaborato una "Ipotesi di accordo per la sperimentazione del telelavoro a domicilio". Pur non essendoci una pressante esigenza organizzativa, l'idea era di verificare i possibili vantaggi di questa formula sulla produttività e la motivazione dei dipendenti. La sperimentazione non fu mai avviata poiché non si raggiunse un accordo con il sindacato, principalmente a causa della mancanza di un accordo quadro nazionale, recentemente raggiunto (luglio 2000). Nell'opinione della direttrice del personale, sia i dirigenti sia gli altri lavoratori sono aperti al telelavoro, anche se non sono particolarmente attivi e propositivi a riguardo, salvo pochi dipendenti più direttamente interessati. Comunque, grazie al recente accordo di comparto su questa materia, il confronto con il sindacato potrà riprendere, e nel breve - medio periodo sarà possibile dare corso alla sperimentazione, in parte già progettata nell'ambito dell'ipotesi di accordo del 1998. Vale comunque la pena richiamare alcuni punti di quel documento, che delinea soluzioni rispetto ai problemi tipici di realizzazione del telelavoro. Secondo l'ipotesi di accordo, la sperimentazione avrebbe dovuto coinvolgere personale dalla 4° all'8° qualifica funzionale, che svolge "attività creative (con basso numero di interazioni con i cittadini e autonomia decisionale)", come le “attività di analisi, progettazione e gestione di progetti”, oppure "attività standardizzate (con basso numero di interazioni con l'organizzazione, compiti definiti ed eseguibili autonomamente)", come “il data entry e la gestione delle reti”. Sul piano contrattuale, il dipendente avrebbe dovuto sottoscrivere "una scheda aggiuntiva al contratto individuale di lavoro nella quale saranno definite le condizioni di svolgimento della sperimentazione". Per le attrezzature "l'amministrazione Comunale installerà presso il domicilio del telelavoratore in comodato d'uso una postazione di lavoro idonea", mentre "l'abitabilità del domicilio, ivi compresa la messa a norma dell'impianto elettrico, sono responsabilità del richiedente il telelavoro"; infine "a titolo di rimborso spese per le utenze, verrà erogata una cifra una tantum di 1 milione".
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Per le modalità di coordinamento e controllo "ciascun telelavoratore concorderà con il Direttore del Settore di appartenenza la fascia oraria di reperibilità quotidiana di almeno due ore giornaliere […] per eventuali comunicazioni"; inoltre "il telelavoratore, al momento dell'inizio del lavoro, comunicherà tramite Lotus Notes al proprio punto di gestione matricola l'avvio del lavoro, eventuali interruzioni per recupero e/o permesso e la cessazione dell'orario di lavoro giornaliero"; e comunque, nell'arco della settimana, il telelavoratore dovrà trascorrere almeno il 30% dell'orario in ufficio. L'amministrazione, dunque, pur non avendo ancora realizzato esperienze in merito, ha pensato a una soluzione per i più comuni problemi posti dal lavoro a distanza, inerenti la tipologia di attività, i criteri di coordinamento e controllo, la gestione dei costi e delle attrezzature. Va comunque sottolineato che la direzione del personale, assieme agli altri settori, non considera il telelavoro come un tema di rilevanza strategica, ma un terreno su cui può essere utile attivare delle sperimentazioni.
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Anche per le forme flessibili recentemente regolate dalla contrattazione di comparto, il Comune di Bologna è in una fase di elaborazione progettuale. Sia sui contratti di formazione e lavoro che sul lavoro interinale sono stati predisposti alcuni documenti interni. In particolare, si pensa di utilizzare i contratti di formazione e lavoro soprattutto per quelle professionalità specifiche del contesto comunale, come ad esempio gli ausiliari dell'asilo nido, oppure gli operatori di polizia municipale, in coerenza con le finalità generali di questo strumento. L'idea è di inserire i nuovi assunti nella struttura puntando molto sull'affiancamento, trasmettendo competenze e contemporaneamente verificando l'adeguatezza della persona a quella posizione lavorativa. Tale scelta, nell'opinione della direttrice del personale, è anche mirata ad affermare una politica dell'impiego pubblico basata sulle competenze e sulla professionalizzazione, a tutti i livelli, diversa dallo stereotipo del posto sicuro in cui i dipendenti possono permettersi di impegnarsi poco o di essere non qualificati. Va inoltre sottolineato che la forma contrattuale della formazione e lavoro non è vista dall'amministrazione come una modalità per sottopagare, seppure temporaneamente, il personale. Anzi, per sgomberare il campo da questo sospetto, si è già deciso di non
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utilizzare l’opzione, prevista per legge, di inquadrare il personale con questo contratto nella categoria immediatamente inferiore a quella del profilo di appartenenza.
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Ripercorrendo in sintesi i contenuti di questo caso, emerge che il Comune di Bologna ha utilizzato le forme flessibili del lavoro dipendente, ma non in maniera molto più estesa delle altre amministrazioni. Per il part time c’è stata una significativa adesione da parte dei dipendenti già in servizio, mentre l’amministrazione ha reclutato nuovi lavoratori a part time per due figure (gli ausiliari delle aree di sosta e dei musei). Il tempo determinato è usato solo in casi sporadici per i non dirigenti, mentre riguarda una buona fetta dei dirigenti, a differenza di quanto accade negli altri enti. Infine, si sta progettando l’utilizzo dei contratti di formazione e lavoro, del lavoro interinale e del telelavoro, anche se questi strumenti non sono stati ancora applicati. Gli elementi che sembrano contraddistinguere l’amministrazione del capoluogo emiliano sono due. Il primo è una “dirigenza flessibile”, composta per un quarto da persone con contratto a tempo determinato, e caratterizzata da spostamenti nella struttura che spesso interessano anche i dirigenti di ruolo, attraverso la rotazione degli incarichi a seconda delle prestazioni raggiunte. Il secondo sembra essere una maggiore capacità da parte della direzione del personale di valutare la funzionalità dei singoli strumenti rispetto alle esigenze organizzative, di proporre delle sperimentazioni, di inquadrare il tema della flessibilità rispetto alle politiche del personale nel loro complesso; laddove, in molte amministrazioni, sono le singole linee a sentire l’esigenza di nuovi strumenti e a prendere l’iniziativa a riguardo, rispetto alle proprie necessità specifiche. Alcune conferme di questo punto si possono trovare, ad esempio, nella gestione della mobilità orizzontale come elemento di flessibilità rispetto agli organici dei singoli settori, nella visione dei nuovi contratti di formazione e lavoro, nelle proposte di sperimentazione per il telelavoro. In coerenza con la tradizione di cultura manageriale sviluppata dal Comune di Bologna, la direzione del personale non si limita ad amministrare il rapporto di lavoro, ma gestisce le politiche del personale, e in questo ambito, impiega e sviluppa gli strumenti della flessibilità.
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Secondo la direttrice del personale, il quadro normativo attuale, se si eccettua qualche vincolo legato ai principi di base nell’espletamento dei concorsi pubblici, consente di fare tutto il necessario per gestire al meglio il personale, anche utilizzando le forme flessibili di lavoro. Questa posizione è interessante se confrontata con quella di molti dirigenti, che, discutendo i problemi di gestione del personale, fanno spesso riferimento a vincoli di tipo normativo.
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Capitolo quarto ,O&RPXQHGL5LPLQL GL6DOYR/HRQDUGL ,OFRQWHVWRVRFLRHFRQRPLFRGHOWHUULWRULR
Rimini è Comune capoluogo di Provincia. Coi suoi 131.000 abitanti, su una Provincia che ne conta circa 272.000 (il 48%), presenta dinamiche economico-sociali proprie di una grossa città metropolitana. Pur presentando delle affinità coi comuni limitrofi della riviera romagnola, essenzialmente riconducibili alla ben nota vocazione turistica, Rimini rimane una realtà territoriale originale nel contesto geografico che la comprende. La provincia è infatti caratterizzata da comuni relativamente piccoli, con un forte addensamento della popolazione (75% del totale) nei cinque comuni della costa (oltre a Rimini, Riccione, Bellaria-Igea-Marina, Cattolica e Misano). Sotto la spinta di un veloce sviluppo demografico ed economico, il territorio provinciale riminese presenta oggi un'occupazione media annua di circa 106.000 addetti, con l'aggiunta di oltre 40.000 lavoratori stagionali, molti dei quali irregolari (20%) e provenienti da fuori provincia nonché, nella misura dell'80%, legati al settore degli alberghi e dei pubblici esercizi. Il mercato del lavoro è dunque sottoposto a consistenti andamenti oscillatori, che su base stagionale presentano il seguente andamento: massima occupazione nei tre mesi estivi di giugno, luglio e agosto; media ad aprile, maggio, settembre e dicembre; bassa a gennaio, febbraio, marzo, ottobre e novembre. Fra la quasi occupazione del periodo estivo (disoccupazione non oltre il 5%) ed i livelli da provincia meridionale in inverno (disoccupazione intorno al 15%), quella riminese è una realtà peculiare anche rispetto al contesto regionale emiliano-romagnolo. Qui la media del tasso di disoccupazione è pari al 4,5%, laddove a Rimini è del 6,6%; peggio sta solo la provincia di Ferrara, con l'8,8%. La ripartizione occupazionale fra i settori produttivi è la seguente: •
agricoltura: 5%
•
industria: 26%
•
terziario: 69%
Tralasciando di considerare il declino storico e di lunga durata dell'agricoltura, rileviamo alcune importanti caratteristiche della vocazione economica del territorio
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riminese. L’industria manifatturiera, che ha avuto il suo periodo di maggior sviluppo agli inizi degli anni '70, è oggi composta da imprese che operano nel comparto della metalmeccanica, delle macchine utensili per la lavorazione del legno, nell'industria alimentare e nell'abbigliamento e del calzaturiero. E' qui che si ritrovano le imprese con le maggiori dimensioni (Gilmar, Aeffe), laddove per il resto le unità produttive sono in stragrande maggioranza di piccole dimensioni e con un limitato numero di addetti. Su 28.000 unità, circa 9.000 sono artigiane; una "imprenditorialità diffusa", con il 95% delle aziende che non ha più di 10 addetti e il 77% addirittura ne ha mediamente meno di due. Il settore terziario, come si è visto, è quello di gran lunga più consistente. Qui la parte del leone è svolta dall'offerta turistica. Fra vacanze estive, convegni, e fiere varie, sono oltre 2milioni di turisti che scelgono annualmente le località della provincia di Rimini. Un'industria del divertimento che può vantare qualcosa come 2.873 alberghi (84.381 camere e 126.000 letti), 26.000 strutture extra alberghiere (appartamenti e case), 15 campeggi e villaggi turistici, 662 stabilimenti balneari, 656 fra bar, pub e pasticcerie, 553 ristoranti e pizzerie. Parchi di divertimento tematici i discoteche di fama nazionale completano il carattere straordinariamente turistico del litorale adriatico-riminese. Nel settore dei servizi si segnala ancora il ruolo molto significativo del commercio, sia all'ingrosso che al minuto, e del credito, con 130 sportelli bancari ed un totale di 2.500 addetti. Nella pubblica amministrazione provinciale, infine, i dipendenti sono 24.000. Nel settore della gestione dei servizi, rileva la tipologia delle aziende pubbliche che producono servizi, con la caratteristica di una forte presenza di Spa il cui capitale sociale è quasi totalmente nelle mani degli Enti Locali, con la sola eccezione delle farmacie comunali.
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Il ricorso a forme flessibili di impiego in seno all'amministrazione del Comune di Rimini si colloca nel quadro di un processo di profonda riorganizzazione dell'Ente. Gli obiettivi, gli strumenti e le metodologie di questo processo sono contenuti nel nuovo "Regolamento per l'organizzazione degli Uffici e dei Servizi", approvato dalla Giunta Comunale l'11 aprile di quest'anno.
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Questo documento, redatto dall’ufficio di supporto del Sindaco per le funzioni di indirizzo e controllo, definisce la cornice regolativa e strategica con cui, nei prossimi anni, l’attuale amministrazione intende procedere sul terreno della gestione e del controllo delle politiche dell’organizzazione e dei servizi del Comune. Si tratta di qualificare la struttura, identificando cosa deve essere fatto (le priorità) e come deve essere fatto (metodo) per conseguire il massimo del soddisfacimento delle attese dei cittadini clienti/utenti dei servizi dell'Ente. Corrispondere alle aspettative dei cittadini, espresse attraverso l'elezione del sindaco e quindi l'approvazione del suo programma politico. Per l'attuale dirigenza l'obiettivo generale non dev'essere più l'offerta e la gestione diretta dei servizi, quanto il potenziamento del ruolo di propulsore dello sviluppo e della gestione del territorio ad opera dell'amministrazione comunale. Sul piano operativo ciò richiede che siano preliminarmente chiarite e ben articolate le prerogative istituzionali di carattere politico dall'organizzazione delle funzioni di carattere eminentemente tecnico. Il modello assunto è quello - finora poco praticato - della "direzione per obiettivi", nonché dell'organizzazione delle attività "per progetti". Esso intende esplicitamente innovare rispetto alle pratiche precedenti, a cominciare dal più significativo esperimento compiuto durante la passata gestione in tema di controllo di gestione nel settore organizzazione e personale. Il progetto, nominato FEPA (funzionalità ed efficienza nella pubblica amministrazione), si basava su una modellistica basata sulla mappatura e la scomposizione dei processi al fine di giungere ad una rilevazione dei carichi di lavoro per ogni prodotto atteso (ed espresso in ore), e stimare così il costo del lavoro incorporato. Mutuato dalla teoria della cd "catena del valore", questo impianto ha suscitato le perplessità dell'attuale dirigenza, che in esso ha riscontrato un tipo di approccio basato su un sistema di controllo troppo centralizzato e monolitico, utile come strumento di DXGLWLQJ
interno, ma al quale si è preferito un sistema più decentrato ed integrato, posto
in condizione di reciproca complementarietà e collaborazione intersettoriale. Il modello della "direzione per obiettivi" postula un piano di intervento e tecniche di gestione e controllo basato sui seguenti principi:
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Definizione politica degli obiettivi generali di intervento sulla base del programma elettorale del sindaco
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Identificazione delle strutture e ripartizione dei settori secondo aree e linee funzionali
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Costituzione di unità di progetto e staff operativi, coordinati dal capo-area
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Ciò implica una pluralità di innovazioni rispetto al ruolo della dirigenza: -
ridimensionamento numerico delle dirigenze e razionalizzazione per settori ed aree di intervento,
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creazione di un project management,
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formazione mirata per project leaders, concordata con la RSU nel rispetto delle disposizioni contrattuali vigenti
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l'adozione di una metodologia per la valutazione delle prestazioni dei dirigenti (proposta del nucleo di valutazione, maggio 2000), in cui vengano identificati: -
finalità
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piani
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attori e processo di valutazione
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raccordo fra valutazione e sistema retributivo
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Creare preventivamente parametri generali di riferimento per poi procedere alla verifica e alla valutazione dei risultati conseguiti. Indicatori quali-quantitativi. "L'attività di controllo - si dice - è inscindibilmente connessa a quella di programmazione, così da formare quel circuito di programmazione e controllo che costituisce premessa metodologica per intervenire sulle singole componenti del circuito". Il controllo di gestione è concepito come supporto alle decisioni del dirigente e non come momento di verifica all'interno di un sistema prescrittivo di orientamento allo sforzo L'esigenza è di disporre di informazioni tempestive, accurate e immediatamente impiegabili.
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Adeguamento dei supporti informativi, nel quadro di una revisione radicale del sistema generale finora vigente nel Comune. Il progetto di SIT (Sistema Informativo Territoriale) volto ad una migliore combinazione fra l’impiego di tecnologie informatiche e ridisegno dei processi organizzativi al livello territoriale. Gli obiettivi sono in questo campo mirati a costituire sistemi di gestione di data base condivise e di integrazione in rete e di telecomunicazione.
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Gli obiettivi dell’attuale dirigenza del personale contemplano programmaticamente riduzione "drastica" del personale di ruolo. Ciò dovrebbe avvenire gradualmente attraverso il ricorso ad alcuni degli istituti che il legislatore e la contrattazione nazionale mettono a disposizione delle amministrazioni e, attraverso il confronto negoziale e partecipativo, delle parti. Per voce del suo dirigente competente, l'amministrazione intenderebbe procedere attraverso due canali: a) L'ampliamento dell'esternalizzazione di alcuni servizi b) L'impiego di contratti flessibili nell'assunzione e nell'impiego del personale
I servizi attualmente esternalizzati sono quelli della manutenzione stradale e della segnaletica, la manutenzione del verde, il global service per i fabbricati comunali. Qui si tratterebbe di ampliare ad altri ambiti attualmente in gestione diretta dell'Ente: palazzetto dello sport, palestre comunali, cimitero e servizi funebri, formazione, scuole materne (secondo la sussidiarietà prevista dalla legge regionale), progettazione. Per gli strumenti di flessibilità il discorso si presenta necessariamente più articolato e complesso.
3.1 Lo "sgabbiamento" dei profili professionali Una prima modalità attraverso cui l'amministrazione del Comune di Rimini ha fatto fronte all'esigenza di una gestione più flessibile e funzionale del proprio personale è consistita nella ridefinizione dei profili professionali che consentissero una maggiore mobilità interna. Con l'accordo sindacale del '98, le parti hanno proceduto a quella operazione di "sgabbiamento" della piano organica, secondo la formulazione che ne
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diede allora il Dirigente dell’Organizzazione e Personale. In cambio dell’allargamento dei profili e, di conseguenza, di una più agevole mobilità interna ad opera della dirigenza, il sindacato chiedeva e otteneva nuovi impegni di quest'ultima sul terreno della formazione e riqualificazione, prospettando per i dipendenti interessati la possibilità di ricevere nuove opportunità e stimoli per accrescere e migliorare il proprio statuto professionale. L'azione formativa finora condotta ha però disatteso le aspettative nutrite dalle organizzazioni sindacali che lamentano una gestione troppo discrezionale e poco trasparente dei corsi, in particolare per ciò che concerne la scelta dei partecipanti.
3.2 I contratti a tempo determinato Si tratta di un istituto poco utilizzato, indirizzato essenzialmente a figure dirigenziali o, comunque, con professionalità alte e piuttosto specifiche. Si tratta di 3 dirigenti assunti a tempo determinato su posizioni dotazionali; un dirigente assunto su posizione extradotazionale in categoria D3; un altro dirigente nominato con finalità di supporto dirigenziale all'attività del Sindaco; di un giornalista professionista con funzione di "portavoce" del Sindaco e della Giunta; 2 unità di categoria di C, anch'esse addette all'Ufficio di supporto del Sindaco. Si tratta di incarichi con contratto a tempo determinato che "non possono avere durata superiore al mandato elettivo del Sindaco". In quest'ambito l'obiettivo su cui concordano sindacati e dirigenza è che a questi livelli non si procederà più attraverso concorsi, bensì tramite nomine e assunzioni a tempo determinato. A questo piccolo blocco dell'area dirigenziale, si devono aggiungere - fra il personale dipendente a tempo determinato - quelle unità assunte per la realizzazione di progetti obiettivo: sono 18 quelle che si occupano del settore tributi (17 cat. C e 1 cat. D9 e 5 nel settore delle politiche giovanili (1 cat. B3, 3 cat. C e 1 cat. D).
3.3 Il part time Su questo istituto si sono realizzate, nel Comune di Rimini, alcune soluzioni interessanti, legate alla soluzione del problema della stagionalità degli incarichi in alcuni settori particolari: vigilanza e scuole. Per il tramite di questo istituto è stato
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possibile convertire numerosi incarichi a tempo determinato in assunzioni a tempo indeterminato, sia pure part time e su base annuale e ciclica. D /D YLJLODQ]D
. Per un Comune ad altissima vocazione turistico-balneare come quello
di Rimini, si intuisce l’esigenza di un forte e periodico incremento del personale necessario per far fronte, nei mesi estivi, all'intensificazione della viabilità urbana e l'azione di contrasto del commercio abusivo sulle spiagge. In passato l'amministrazione comunale aveva gestito i picchi di stagionalità in questo settore organizzando corsi-concorsi per i candidati all'incarico e costruendo apposite graduatorie a cui attingere per il fabbisogno dell'anno successivo. Tale procedura si rivelava incongrua poiché da un lato assoggettava ad un regime di incertezza e precarietà i lavoratori interessati, dall'altro - a causa di un alto tasso di rotazione di anno in anno - finiva col privare l'amministrazione di quell'esperienza e di quelle competenze lavorative maturate da quegli addetti alla vigilanza con alle spalle più incarichi. Considerato il carattere perfettamente prevedibile del picco stagionale estivo, le parti negoziali - con un accordo siglato nel marzo 1999 - hanno optato per una soluzione diversa, basata su un modello di "part time verticale ciclico". Grazie ad esso si è proceduto alla trasformazione dei tradizionali contratti stagionali a tempo determinato in assunzioni a tempo indeterminato con part time, appunto verticale e ciclico. In questo modo sono stati ricoperti 24 posti di vigile urbano a tempo pieno, della durata compresa fra i 6 e gli 8 mesi, per un totale di 280 mensilità retribuite. 11 rapporti di lavoro di tipo stagionale sono stati trasformati in rapporti a tempo indeterminato a part time verticale ciclico della durata di 6 mesi (complessivamente 66 mensilità corrispondenti a 5 posti a tempo pieno). La distribuzione degli incarichi nel corso dell'anno tiene conto, oltre che dei mesi estivi, delle festività pasquali, dell'organizzazione eventuale di fiere commerciali e, inoltre, delle normali esigenze di copertura legate alla sostituzione di personale full time in ferie o comunque assente. L'adozione di questa soluzione non soltanto coniuga l'interesse reciproco delle parte alla "certezza" - che il lavoro ci sarà anche l'anno venturo (il lavoratore) e che il personale addetto abbia già maturato esperienza (l'amministrazione) - ma consente pure: a) il diritto al passaggio a tempo pieno, in base a graduatoria, qualora si liberi un posto di
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questo tipo; b) l’assunzione, in tale evenienza, di un nuovo vigile che ricopra l’incarico part time ciclico lasciato vacante. E ODVFXROD
Un modello analogo è stato applicato al settore scolastico, dove pure forte
è la connotazione stagionale dei flussi di fabbisogno di personale. Si trattava qui di far fronte ad esigenze diversificate sia nell'arco dell'anno che - durante la stagione scolastica - della giornata. Nel primo caso, nel corso dell'anno, si trattava di coprire sia l'esatto fabbisogno di asili nido e scuole materne durante il periodo normale fra settembre e giugno, sia dei centri estivi, fra luglio e agosto. Il problema maggiore riguardava gli insegnanti di sostegno al pieno inserimento scolastico dei bambini portatori di handicap. La gestione di questa pluralità di istanze è stata critica per tutti i soggetti interessati ad una soluzione ottimale del problema scolastico. Il Comune di Rimini vanta infatti un livello estremamente elevato di supplenze scolastiche, dovuti principalmente alla ricorrente penuria di insegnanti di sostegno. La soluzione tradizionale, anche qui, era stata quella delle assunzioni a termine, stagionalmente reiterate. Personale insegnante adibito nei centri estivi fra luglio e agosto potevo aspirare di avere una supplenza nei mesi invernali della stagione scolastica. Le organizzazioni sindacali hanno con forza - fra il 1997 ed il 98 - marcato l'importanza della "vertenza scuola", prospettando soluzioni negoziali che potevano al meglio quadrare il cerchio degli interessi rispettivamente in campo. La soluzione è giunta con un accordo sindacale del 18 maggio 1998, con la definizione delle modalità per l'assunzione a tempo indeterminato di personale insegnante e l'organizzazione della sua mobilità interna. Per prima cosa si è scelto di introdurre un part time orizzontale giornaliero che, all'interno di alcune fasce orarie, offrisse soluzioni flessibili in rapporto alle esigenze delle famiglie. Si è così adottata una soluzione modulare, articolata intorno alle ore centrali della giornata: 9 - 12 o 11 - 16. L'intuizione maggiormente originale, come già per i vigili, è venuta sul terreno del part time verticale ciclico, esteso su un arco temporale molto ampio - 10 mesi fra settembre e giugno - per un totale di 12 assunzioni a tempo parziale verticale nella scuola materna. A questo devono aggiungersi i 10 posti di educatore a tempo parziale orizzontale nell'asilo nido e altri 10 posti di educatore a tempo parziale orizzontale nella scuola materna. L'accordo prescrive uno schema di mobilità obbligata da posti di una tipologia
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ad un’altra, e quindi che i posti a tempo pieno di educatore che si renderanno vacanti per cessazioni dei titolari nelle scuole materne, saranno riservati al personale insegnante che opera a tempo pieno presso gli asili nido; similmente, i posti a tempo pieno che si renderanno vacanti presso l’asilo nido saranno coperti utilizzando una nuova apposita graduatoria formata tra il personale a tempo indeterminato con rapporto di lavoro a tempo parziale nelle diverse tipologie, sia nella scuola materna che negli asili nido. Per quello che riguarda l’utilizzo del part time, a prescindere dalle esigenze di stagionalità, la situazione attuale si basa su un accordo, ritenuto buono dai sindacati, in cui esso si inquadra nei criteri di flessibilità e articolazione dell'orario stabiliti dal contratto integrativo. Esso parla di "utilizzazione programmata" di particolari istituti quale il tempo parziale e di "forme speciali di flessibilità giornaliera per i dipendenti che si trovavano in situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare, senza pregiudizio per il normale svolgimento dei compiti d'ufficio o di aggravio per i colleghi e nel rispetto dell'orario di apertura al pubblico" (art. 12 CCL). L'amministrazione, come in molte situazioni analoghe rilevate da altre indagini comparative, lamenta una regolazione troppo rigida do uno strumento contrattuale che avrebbe dovuto invece caratterizzarsi per la sua duttilità. Così, ad esempio, non è stato possibile partecipare ad attività di formazione organizzate nei giorni di sabato, essendo preclusa l'effettuazione di ore straordinarie da parte di personale con contratto part time. Il confronto fra le parti su questo tema, in occasione dell'integrativo, non ha posto in agenda quegli elementi di riforma dell'istituto introdotti dal recente d.lgs. n. 61/2000, in particolare per ciò che attiene al lavoro supplementare e alle clausole c.d. "elastiche".
3.4 I CFL Quello del Comune di Rimini era stato, nel marzo del '98, uno dei primi casi in Italia in cui si era provato - sulla base del d.lgs. n. 80/1998 - ad assumere personale con un progetto di formazione-lavoro in un ente locale. Si trattava di un gruppo di 14 giovani, destinati a svolgere il loro incarico (6 qualifica funzionale) nell'ambito di un progettoobiettivo per l'aggiornamento del catasto e la prevenzione e il recupero dell'evasione tributaria ("Controllo territorio=equità fiscale").
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L'ipotesi sottoscritta dalle organizzazioni sindacali è stato però bocciata dalla Commissione Regionale per l'Impiego, in quanto il CCNL non prevedeva allora disposizioni sufficientemente precise su questo istituto. Il personale che era stato inizialmente destinato a ricoprire con CFL l'incarico per la realizzazione del progetto-obiettivo, è stato impiegato comunque, con contratti a tempo determinato. Tali contratti, sulla base delle previsioni contenute nella legge di previsione finanziaria del 1998, sono stati convertiti dopo due anni a tempo indeterminato. Tale esito è scaturito dall'interesse concordante dell'amministrazione e delle organizzazioni sindacali, entrambe interessate a valorizzare, attraverso la stabilizzazione dei rapporti di impiego, il patrimonio professionale e fiduciario che si era venuto costituendo nel biennio precedente.
3.5 Le collaborazioni coordinate e continuative Attualmente i rapporti di collaborazione continuativa sono stimati in una cinquantina, inerenti livelli professionali medio-alti e distribuite fra l'area tecnica e quella culturale. Soltanto gli insegnanti di religione costituiscono una ventina di casi. L'assegnazione dell'incarico di collaboratori avviene in base ad una discrezionale valutazione dei curricula pervenuti presso la Direzione del personale. Questa procede privilegiando le esperienze svolte, piuttosto che i titolo. A tal fine viene compilato un albo contenete le informazioni e le valutazioni sulle caratteristiche dei candidati, senza per questo compilare graduatorie formali che - a detta del Dirigente incaricato rappresenterebbero strumenti troppo rigidi. Secondo la dirigenza, le aree in cui il ricorso a questa peculiare forma di flessibilità potrebbe presto ampliarsi sono quelle legate all'area informatica e del controllo di gestione. Nel sindacato si accenna invece alle attività ricreative e sportive oppure a quegli uffici tecnici con cui, un po' in tutti i settori, si intrattengono rapporti continuativi di consulenza. Rispetto all'utilizzo di questo istituto contrattuale, che costituisce una forma di lavoro autonomo a tempo determinato e a-causale, i sindacati sospettano un uso distorto, ingiustificato e spesso meramente elusivo delle norme a tutela del lavoro subordinato. Questo sarebbe ad esempio il caso di coloro che, con livelli di qualifica bassa, "timbrano il loro bravo cartellino, svolgono le normali 35 ore, non fanno nulla di
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diverso dai loro colleghi di stanza e magari - come collaboratori - rimangono per qualche anno". Malgrado questa valutazione critica, non ci sono stati casi di vertenza - individuale o di gruppo - per il riconoscimento dello statuto di lavoratori subordinati. Non lo hanno chiesto i collaboratori interessati e non lo ha sollecitato il sindacato, consapevole che comunque non sarebbe possibile il passaggio automatico in base ad una sola sentenza del giudice. Dovrebbero comunque superare un concorso. Tuttavia, in occasione delle discussioni sul bilancio, le organizzazioni sindacali hanno ripetutamente sollevato il problema delle collaborazioni esterne, ottenendo la riduzione dell’apposito capitolo di spesa e, in compenso, lo spostamento delle quote di risparmio su assunzioni, personale e altre voci contrattuali
3.6 Il lavoro interinale Qui l’Amministrazione del Comune di Rimini non intende essere intempestivo e ripetere l’esperienza negativa fatta con i CFL pochi anni fa. Attende dunque che dopo l’accordoquadro stipulato nella primavera di quest’anno in sede Aran, si completi finalmente la coda del CCNL inerente a questo aspetto. In prospettiva, comunque, la dirigenza prevede un utilizzo significativo di questo strumento in quelle aree dell'amministrazione più esposte ad oscillazioni congiunturali e cicliche del fabbisogno di personale. Essenzialmente, area tecnica e scuole. Le organizzazioni sindacali non sembrano inclini ad un uso consistente di questo istituto, ritenendolo costoso poco competitivo laddove pure, astrattamente, potrebbe servire. Nel caso degli asili nido e delle scuole materne, ad esempio, esso appare privo di adeguate garanzie sul terreno della fiducia (LQWXLWXVSHUVRQDH). "In un asilo nido - ci è stato detto - non si può mandare di tutto". Quanto ad un altro settore suscettibile di una certa diffusione del lavoro temporaneo, quello degli ausiliari, osta il livello molto basso di qualifica (il 3°) e quindi l'obbligo di passare dal collocamento pubblico.
3.7 Telelavoro Non è attuato in alcun modo. Secondo la valutazione offertaci da una dirigente sindacale locale, esso non risulterebbe particolarmente appetibile agli occhi dei lavoratori in quanto il carattere non particolarmente esteso del territorio comunale, nonché la buona
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viabilità intercomunale, non renderebbe problematici gli spostamenti e la copertura giornaliera delle distanze casa/lavoro. Quanto all'altro tipico fattore di richiesta del telelavoro, le esigenze familiari di cura, non risulta che esse siano state poste ai rappresentanti sindacali contestualmente al desiderio di svolgere dal proprio domicilio le proprie mansioni.
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Per la dirigenza le relazioni sindacali devono essere ispirate al principio della responsabilizzazione reciproca delle parti. Sotto il profilo della strumentazione, si tratterebbe - sempre secondo la dirigenza - di "evitare confusioni", usando indistintamente come sinonimi, ciò che la legge e la contrattazione chiamano, a seconda dei casi: informazione, consultazione, concertazione, contrattazione collettiva. Sugli atti di indirizzo sul personale, ad esempio, la dirigenza incaricata non intende andare molto oltre l'informazione preventiva di RSU e OOSS; prima di presentare il piano in Consiglio Comunale "ci si confronta" coi rappresentanti sindacali, "per poi comunque procedere con o senza il suo consenso". "Annualmente - recita protocollo di intesa sulle relazioni sindacali allegato al contratto integrativo - prima della predisposizione del bilancio di previsione e in occasione della definizione di quello consuntivo di fine esercizio, viene effettuata una riunione di informazione con particolare riguardo alla programmazione e ai risultati conseguiti dalle attività dell'ente, l'analisi delle spese previste o sostenute nonché sull'andamento dell'occupazione". Con riferimento al CCNL siglato nell'aprile del 1999, il contratto integrativo del Comune di Rimini per il quadriennio 1999-2001 classifica per tipologia di materia l'esercizio dei diritti sindacali di informazione, consultazione e concertazione. Per i temi che sono oggetto del nostro studio, rientrano a) nel diritto di informazione, resa dall'Amministrazione "tempestivamente" e "in via preventiva": il rapporto di lavoro, specie per gli aspetti giuridici ed economici; l'organizzazione dei servizi; la consistenza e la variazione della dotazione organica complessiva; la gestione delle risorse umane, per le finalità, gli ambiti e le modalità di cui alle norme legislative e regolamentari, salvaguardando le responsabilità gestionali attribuite "in via esclusiva" al dirigente ai sensi dell'art. 3, co. 2, del d.lgs. n. 29/1993; il trasferimento di attività tramite appalti, convenzioni o altre forme previste dalla legge. Costituiscono materie di
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"consultazione": l'organizzazione e la disciplina degli uffici, nonché - come previsto dalla legge - la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche"; in base al CCNL (art. 7.3), le parti "si incontrano in ogni caso in presenza di iniziative concernenti le linee di organizzazione degli uffici e dei servizi; iniziative per l'innovazione tecnologica degli stessi; eventuali processi di dismissione, di esternalizzazione e di trasformazione". Quanto infine alla procedura di "concertazione", ricordiamo in particolare materie come l'articolazione dell'orario di servizio, l'andamento dei processi occupazionali e i criteri generali per la mobilità interna. Le organizzazioni sindacali contestano una interpretazione troppo decisionista del sistema partecipativo e negoziale predisposto dal legislatore e declinato nella contrattazione collettiva. La ricerca di un confronto autenticamente rivolto al conseguimento del massimo consenso possibile fra i dipendenti dell'ente non rappresenta soltanto un modo per evitare il conflitto, ma anche una risorsa relazionale a disposizione dell'ente per favorire il coinvolgimento attivo e la ricerca delle soluzioni più adatte ai problemi della gestione del personale. Un discorso a parte meriterebbe la trattazione dell'arcipelago retribuzioni, fra salario accessorio e premi di produttività. Esso tuttavia esula dall'ambito tematico più circoscritto e specifico della nostra ricerca.
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Capitolo quinto 3URYLQFLDGL9LWHUER GL/XLJL5DPSLQR
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La seconda amministrazione provinciale compresa nella nostra ricerca è Viterbo. Si tratta di una provincia di medie dimensioni e non molto popolata (circa 292.000 abitanti). Anche per la provincia laziale, i cambiamenti normativi che hanno modificato l’assetto delle funzioni e dei poteri degli enti locali hanno prodotto delle conseguenze sull’organizzazione, nonché sull’utilizzo di forme flessibili di impiego. La nuova giunta provinciale, insediatasi nel maggio 2000 dopo circa otto mesi di commissariamento causati dalla caduta del precedente organo di governo, ha avviato un lavoro di ristrutturazione organizzativa, supportato da una società esterna, volto a razionalizzare l’organizzazione e a renderla più coerente con le nuove funzioni da svolgere. Nell’ambito di questa ristrutturazione, la giunta intende anche introdurre la figura del direttore generale. Sul piano delle forme flessibili di impiego, l’orientamento politico è quello di ridurre decisamente le consulenze esterne, e di sostituirle in parte, soprattutto per le attività più consolidate, con nuovo personale da assumere. In effetti, dai dati relativi all’anno 1999, si riscontra un consistente utilizzo di consulenze esterne: sono 85 le persone esterne retribuite per vari lavori, per un totale di 835 milioni di compensi erogati, per una buona parte dal settore ambiente. E’ importante notare che le consulenze esterne vengono gestite dai vari settori di riferimento, mentre il settore personale non è coinvolto a riguardo, neppure per funzioni di supporto o verifica, come ad esempio la definizione dei contratti o di eventuali selezioni, il monitoraggio dei fabbisogni professionali e della spesa. La mancanza di una tecnostruttura che coordini le politiche del personale, e la prevalenza di un modello incentrato sull’amministrazione del rapporto di lavoro, peraltro dominante in molti enti, si riflette nella struttura organizzativa del settore personale, articolato in tre servizi. Il servizio normativo giuridico del personale si occupa di inquadramenti, mansionari e in generale dei problemi di applicazione normativa e contrattuale; il servizio organizzazione si occupa invece degli aspetti operativi e quotidiani (rilevazione delle presenze, permessi, ecc.); infine il servizio
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quiescenza gestisce le pratiche inerenti ai pensionamenti e ai relativi trattamenti retributivi. Dal settore personale è stato possibile dunque rilevare informazioni sull’utilizzo dei rapporti di lavoro dipendente a part time e a tempo determinato; mentre un primo quadro sulle collaborazioni esterne è emerso dai dati forniti dal settore ragioneria. Sulla base di questi dati è stato effettuato un ulteriore approfondimento nell’ambito del settore ambiente, quello in cui il ricorso a lavoratori esterni sembrava più significativo.
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: Provincia di Viterbo
: 292.000
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su 60 comuni : 340, di cui 9 dirigenti 29 area D 298 aree C, B, A
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: In corso. La nuova giunta, insediatasi nel maggio
2000, ha dato avvio ad un lavoro di analisi e ristrutturazione organizzativa con il supporto di una società esterna. Vi è anche l’ipotesi di introdurre a breve la figura del direttore generale. Rispetto alla dotazione organica attuale, i posti di dirigenti sono quasi tutti coperti (9 su 11 previsti), mentre si riscontrano scostamenti notevoli nell’area D (29 posti coperti su 50).
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: è composta da sette settori
- Personale - Ragioneria - Servizi tecnici e ufficio di piano - Ambiente - Agricoltura, caccia e pesca - Servizi sociali - Cultura, sport e turismo
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Le riforme degli ultimi anni relative agli assetti istituzionali negli enti locali hanno progressivamente ampliato le funzioni del settore ambiente, nel quale è emersa l’esigenza di aumentare il personale e di acquisire nuove professionalità; sia per far fronte al crescente lavoro amministrativo di autorizzazione (per gli scarichi industriali, per lo smaltimento dei rifiuti, per i prelievi idrici, ecc.), sia per le più complesse funzioni di monitoraggio e pianificazione territoriale (piano dei rifiuti, piani ed interventi di difesa del suolo, piano parchi, piano dell’attività estrattiva). L’organico del settore, che comprende 21 dipendenti, di cui 4 laureati, è decisamente inadeguato, sia sul piano quantitativo che qualitativo, a presidiare tutte le funzioni che sulla carta andrebbero svolte. In tale situazione, la dirigente del settore ha preso l’iniziativa di sfruttare il canale delle politiche attive del lavoro per far fronte al fabbisogno di personale. La normativa regionale del Lazio prevede una tipologia di intervento denominato “Cantieri scuola e lavoro”, regolamentato dalla L.R. n.29/1996, che eroga dei finanziamenti a enti pubblici per l’avviamento al lavoro di inoccupati o disoccupati iscritti alle liste di collocamento. La legge prevede un contributo regionale del 50% per il compenso ai lavoratori, che complessivamente è costituito da un’indennità giornaliera di 60.000 lire. In sostanza, quindi, questi lavoratori percepiscono un compenso di circa 1.200.000 lire nette al mese per un impegno a tempo pieno, e non sono retribuiti in caso di malattia o altre assenze. In termini generali, è previsto dalla legge che queste persone impegnino una parte del loro tempo in attività formative. La norma regionale prevede inoltre che per progetti superiori a un anno gli enti siano obbligati a garantire il prosieguo dell’attività assumendo il personale in apposite aziende speciali o istituzioni. Su iniziativa della dirigente del settore ambiente, nell’agosto del 1997 il consiglio provinciale ha approvato una delibera per la presentazione di un progetto di cantiere scuola e lavoro denominato “Osservatorio Ambientale della Provincia di Viterbo”, prevedendo una spesa di circa 1.053 milioni per i compensi al nuovo personale, e impegnandosi a costituire una istituzione o azienda speciale al termine del periodo “affinché il personale impiegato nel progetto possa esservi assunto stabilmente”. La sintesi della proposta allegata alla delibera descriveva il quadro delle attività del settore
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ambiente, articolato e in espansione per via delle nuove deleghe regionali, evidenziando il consistente fabbisogno di personale, e proponendo l’acquisizione di nuove figure attraverso la formula del “cantiere scuola e lavoro”, da impegnare principalmente nel campo del monitoraggio ambientale, in particolare per: -
una attività di supporto al Piano Provinciale di Gestione e Smaltimento dei rifiuti;
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la realizzazione di un progetto pilota per l’utilizzo in agricoltura dei residui dell’industria olearia;
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il monitoraggio degli effetti sull’ambiente prodotti dalla centrale termoelettrica di Montalto di Castro;
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l’individuazione di aree degradate e il loro recupero.
Il progetto è stato poi approvato dalla Regione nel novembre 1997, e nel marzo 1998 sono stati banditi dei concorsi per diplomati e laureati residenti e iscritti alle liste di collocamento della provincia, per 20 posti complessivi, 13 da diplomati e 7 da laureati, e per una durata di due anni. Per questi concorsi sono pervenute circa 500 domande: i contratti del cantiere scuola sono stati avviati tra giugno e ottobre 1998, e si concluderanno simultaneamente nell’ottobre 2000, grazie a un provvedimento correttivo sui primi contratti avviati. Il quadro delle figure professionali acquisite è piuttosto articolato (5 diverse figure con laurea e 9 figure con diploma e requisiti vari), e in particolare per i profili più elevati venivano richieste lauree in ingegneria chimica, geologia, scienze forestali, scienze naturali e pedagogia. Per tutti i profili il bando prevedeva che la selezione fosse basata su una prova scritta che consisteva nella “composizione di un saggio breve sulle motivazioni e attitudini del candidato rispetto alla scelta professionale operata”, e su un colloquio mirato “alla conoscenza e alla valutazione del tipo e del grado di interesse nonché a quanto previsto per le prove scritte”. In realtà l’elevato numero di persone da selezionare ha portato alla decisione di formulare, in occasione del colloquio, domande alle quali i candidati rispondevano in forma scritta. Le persone selezionate hanno una età variabile tra i 22 e i 40 anni, con una età media intorno ai 28-30 anni, quasi tutte senza significative esperienze di lavoro, e tutte residenti nella provincia di Viterbo, così come richiesto dal bando di concorso.
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Il dato sul turnover di questo gruppo è particolarmente significativo: nessuno dei venti partecipanti ha abbandonato il progetto nei suoi due anni di durata; segno che una retribuzione ridotta e la prospettiva di una successiva assunzione nei ruoli della Provincia costituiva una soluzione comunque soddisfacente per queste persone, nell’ambito delle loro opportunità lavorative. In questa fase finale del progetto, l’ente non ha ancora definito esattamente come dare seguito all’impegno dell’assunzione stabile preso con la delibera originaria e previsto dalla legge regionale. L’alternativa alla costituzione di un organismo strumentale che si occupi delle tematiche ambientali è l’acquisizione negli organici dell’ente, da verificare in funzione del lavoro di revisione degli organici attualmente in corso. Rispetto al ruolo di questo gruppo e al contributo dato allo sviluppo delle attività del settore ambiente, e al di là delle differenze legate ai singoli profili professionali, i giudizi complessivi dei principali referenti interni contengono sfumature diverse. Da un lato questo gruppo, giunto alla fine dei due anni di esperienza, è considerato “indispensabile” alla gestione delle attività dell’ufficio; dall’altro lato il responsabile del progetto riconosce che l’addestramento di queste persone ha rappresentato un onere pesante, in una organizzazione sotto organico che ha come principale priorità l’evasione di numerose pratiche autorizzative, e in cui la mancanza di autonomia dei nuovi arrivati, privi di esperienza, ha rappresentato per lungo tempo un freno piuttosto che un volano per produrre di più. Da questo sintetico bilancio emerge come gli obiettivi del progetto originario, che pianificava la realizzazione di complesse attività in campo ambientale, fossero troppo ambiziosi rispetto al contributo che può dare un gruppo di persone privo di esperienza lavorativa. Questa esperienza del “cantiere scuola e lavoro” ci permette di riconsiderare, e in parte di consolidare, alcune idee emerse sul lavoro flessibile nel settore pubblico. Pur trattandosi di uno strumento di politica attiva del lavoro, il caso della Provincia di Viterbo fa emergere alcuni tratti e problemi caratteristici. Negli ultimi anni i fabbisogni di professionalità medio alte negli enti locali non hanno fatto altro che crescere, e simultaneamente le possibilità di effettuare politiche del personale espansive si sono azzerate. La reazione dei dirigenti e dei politici più intraprendenti è stata di sfruttare comunque i pochi canali disponibili che potessero assicurare una maggiore forza lavoro; e in questo senso il finanziamento regionale del cantiere scuola e lavoro si adattava
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relativamente agli obiettivi di sviluppo di un settore, quello della gestione dell’ambiente, con un forte fabbisogno di professionalità di alto profilo, e anche nuove nel panorama degli enti locali, e quindi difficilmente producibili attraverso uno sviluppo interno. Un altro aspetto riproposto da questa esperienza è lo scarso ricorso a strumenti di selezione mirati a considerare le esperienze, le caratteristiche comportamentali e le abilità delle persone, al di là della dimensione relativa alle conoscenze e alle nozioni. In questo caso lo strumento normativo di politica attiva del lavoro imponeva alcuni vincoli formali, come l’iscrizione alle liste di collocamento, ma le successive prove di selezione si sono attenute alla tradizionale modalità del tema o saggio, che, pur non essendo un elemento di tipo strettamente formale e oggettivo, fornisce informazioni molto parziali sulle caratteristiche, le motivazioni e le potenzialità dei candidati. Si noti che la dimensione professionale, caratterizzata dal profilo, coincide, per i laureati, con quella della disciplina di studio. Così, ad esempio, per il posto di naturalista è richiesta la laurea in scienze naturali, per quello di pedagogo la laurea in pedagogia, e così via. Un ulteriore dettaglio che non riflette una logica di efficacia della selezione è la ripartizione dei concorsi per circoscrizione subprovinciale, che riduce la possibilità di scegliere tra un gruppo di candidati sufficientemente assortito. Infatti, ad esempio, al posto di ingegnere chimico possono accedere gli ingegneri chimici iscritti alle liste di collocamento di Civitacastellana, ma non quelli iscritti al collocamento di Viterbo o di Tarquinia. In questo modo la scelta si riduce ai piccolissimi numeri. Diversa è la situazione rispetto al problema della stabilizzazione del lavoro flessibile. La legge regionale sui cantieri scuola e lavoro pone delle condizioni più favorevoli, rispetto alle molte situazioni in cui il lavoro a tempo va stabilizzato attraverso un concorso. Tuttavia, in questa situazione si pone il problema opposto: l’impegno è quello di stabilizzare il gruppo senza effettuare alcuna ulteriore selezione. Se da un lato, dunque, si evita di sprecare il periodo di formazione e integrazione nella struttura di questo personale, dall’altro non si ha l’opportunità di usare il lavoro a tempo come elemento di selezione prima di effettuare un investimento molto più impegnativo, cioè l’assunzione a tempo indeterminato. Una ulteriore considerazione su questo punto, è che quando nel 1997 il consiglio provinciale ha deliberato la presentazione del progetto alla Regione, ha effettuato una scelta apparentemente non così rilevante, e relativa solo al settore
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ambiente, ma che in realtà ha posto una sorta di ipoteca sugli asseti futuri del personale dell’ente. A tre anni di distanza, bisogna ora gestire l’acquisizione di venti unità di personale, pari a circa il 6% dell’organico attuale, concentrate in un unico settore. Un primo provvedimento per stabilizzare il gruppo del cantiere scuola e lavoro è stato di ridurre drasticamente le consulenze nel settore, che per l’ambiente ammontavano nel 1999 a circa 400 milioni, in coerenza con l’orientamento complessivo della nuova giunta, che è quello di spendere meno per le collaborazioni esterne, cercando contemporaneamente di acquisire personale stabile. Nel caso del settore ambiente, tuttavia, questa sostituzione non significa che il gruppo formato con l’esperienza del cantiere scuola e lavoro svolga le stesse funzioni dei consulenti. Questi ultimi hanno mediamente un’età superiore, per lo più fra i 30 e i 50 anni, una maggiore esperienza, e in molti casi sono liberi professionisti affermati e con più committenti. Tra le loro funzioni segnaliamo la direzione e realizzazione di studi idrogeologici, di attività di monitoraggio ambientale, nonché la formulazione di pareri tecnici complessi, relativi alle autorizzazioni per l’emissione di scarichi inquinanti; laddove i “nuovi entrati” del cantiere scuola, come era ovvio, si sono generalmente limitati a ruoli di supporto, sia in attività sul campo, sia soprattutto nella gestione di pratiche amministrative. Si noti inoltre che secondo un funzionario intervistato, è naturale che quando il consulente interagisce con il resto della struttura tenda a non trasmettere il proprio know how e a non rendere autonomo il personale interno, facendo in modo che su alcune attività l’ente continui a richiedere interventi consulenziali. Questa osservazione, che peraltro richiama problemi più generali di gestione del lavoro professionale nelle organizzazioni, costituisce uno degli argomenti a favore della scelta politica di ridurre decisamente le consulenze esterne. Tuttavia, l’impressione è che il problema principale dell’Ente Provincia, non risolto e forse aggravato da questa scelta, sia quello di acquisire e sviluppare in maniera stabile know how nuovi e tradizionalmente estranei all’amministrazione, mentre i testimoni intervistati pongono enfasi su altri aspetti, pure importanti, quali la riduzione dei costi, la creazione di posti di lavoro, la trasparenza nella gestione.
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Ampliando lo sguardo sulle consulenze esterne dal solo settore ambiente all’intera amministrazione, se ne riscontra comunque un utilizzo significativo. Dalle informazioni relative all’anno 1999 e fornite dal settore ragioneria, emerge che sono 85 le persone esterne retribuite per vari lavori. Questo dato, se confrontato con quello dei dipendenti in servizio (340 unità) sembra quasi far emergere l’esistenza di una organizzazione parallela fatta di collaboratori esterni. In realtà, se si guarda agli importi dei contratti, tale dato viene di molto ridimensionato. Di questi 85 consulenti, infatti, ben 40 hanno percepito compensi fino a 3 milioni nell’anno 1999 (il 47%), e altri 26 hanno guadagnato da 3 a 10 milioni (il 30%): si tratta per lo più di interventi di docenza, partecipazione a convegni o a commissioni di concorso. Rimangono 4 contratti ricompresi nella fascia tra 10 e 20 milioni, 5 nella fascia dai 20 ai 30, 4 nella fascia dai 30 ai 40, altri 4 nella fascia dai 40 ai 50, 1 tra i 50 ai 60 milioni e 1 oltre i 60 milioni; per un totale di 835 milioni di compensi erogati agli 85 consulenti. Se si considera la soglia dei 20 milioni annui come quella oltre la quale vi è un contratto di consistenza ragguardevole, sono 15 i consulenti che rientrano in questa categoria (il 18% sul totale dei collaboratori esterni). Da questo punto di vista, dunque, l’incidenza dei collaboratori esterni rispetto ai dipendenti assume proporzioni più ragionevoli (meno di un consulente ogni 20 dipendenti). Tra le consulenze di importo più significativo, molte riguardano il settore ambiente, anche con il ricorso a professionisti in campo informatico, mentre un altro settore che fa uso di collaboratori esterni è quello tecnico; infine, come accennato, gli interventi di importo minore riguardano docenze, partecipazioni a convegni e commissioni d’esame. Gli incarichi in questione vengono affidati quasi sempre LQWXLWXSHUVRQDH ma talvolta si sono anche effettuate selezioni su domande sollecitate mediante avvisi pubblici, come nel caso dell’incarico di “medico competente” ai sensi della legge sulla sicurezza (626/94).
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Per completare il quadro di come viene utilizzato il lavoro flessibile nell’Ente Provincia di Viterbo è opportuno accennare ad altri due aspetti, relativi al lavoro dipendente: i
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contratti a tempo determinato e le trasformazioni di rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Per quanto riguarda i contratti a tempo determinato ci troviamo di fronte a una situazione abbastanza usuale, in cui il ricorso a tale strumento è legato all’esigenza di sostituire personale di ruolo per assenze prolungate. Si tratta essenzialmente di personale ausiliario nelle scuole, peraltro recentemente passato all’amministrazione dello Stato, e in qualche caso di dattilografi. Per la selezione di queste persone, inquadrate nelle vecchie 3^ e 4^ qualifica, l’ufficio personale richiedeva al collocamento un certo numero di nominativi, che venivano convocati per una selezione, articolata in un test a risposta multipla di tipo generale e in una prova pratica inerente al profilo, in base alla quale si formava una graduatoria e venivan1o stipulati contratti trimestrali. Tali selezioni sono finora avvenute due o tre volte all’anno, ma probabilmente saranno molto meno frequenti, dato il recente passaggio del personale scolastico negli organici ministeriali. Per quanto riguarda i rapporti a part time, anche in questo caso non vi sono applicazioni di questo strumento diverse dal solito: si tratta esclusivamente di passaggi da tempo pieno a tempo parziale richiesti dai dipendenti, e riguardanti qualifiche basse e medie (fino alla sesta). Non è da trascurare il numero di persone passate al part time: sono 15 dipendenti, il 4,4% del totale, e si tratta quasi esclusivamente di donne. Tra le motivazioni formali delle domande di part time non figura la volontà di intraprendere un’altra attività lavorativa, e peraltro l’inquadramento di queste persone sembra confermare l’assenza in questo gruppo di lavoratori intenzionati a sviluppare una carriera da liberi professionisti, mentre con tutta probabilità prevalgono in questa scelta altre esigenze personali o familiari. In ogni caso va notato che la percentuale di dipendenti a part time sul totale dell’organico effettivo (4,4%), oltre ad essere in linea con l’obiettivo indicato dalle normative sul part time (4%), è decisamente elevata nel panorama degli enti presi in considerazione da questa ricerca. Nel commento trasversale ai casi sarà interessante verificare se è possibile delineare un’ipotesi sulle ragioni di questo fenomeno, individuando fattori di tipo organizzativo, o territoriale, o sociale. Infine, abbiamo osservato che le 15 richieste di part time in questo ente non si sono addensate in particolari settori o uffici. Secondo la responsabile dell’ufficio personale intervistata, questa riduzione di tempo lavorato non ha causato impatti organizzativi di
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rilievo;
inoltre,
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personale,
il
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dell’organizzazione con maggiore sofferenza per mancanza di personale è quello tecnico, dove “i cantonieri che vanno in pensione non possono essere sostituiti da nuovi assunti”, e dove l’esigenza di produrre servizi e di rispondere alle sollecitazioni esterne è più presente che negli uffici amministrativi.
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Volendo comporre un quadro di sintesi sul lavoro flessibile nella Provincia di Viterbo, questa amministrazione ha fatto ricorso a diverse collaborazioni esterne, ha realizzato un’esperienza di acquisizione di personale attraverso gli strumenti di politica attiva del lavoro, mentre ha gestito in maniera routinaria gli strumenti del lavoro flessibile dipendente (part time e contratti a tempo determinato). Le linee, e in particolare il settore ambiente, hanno mostrato dinamicità e iniziativa nell’utilizzare il lavoro flessibile, mentre la direzione del personale, come spesso avviene, non ha avuto un ruolo di coordinamento o di assistenza tecnica nell’acquisizione e gestione dei lavoratori flessibili, ad esempio nella definizione dei contratti o delle metodologie di selezione, oppure nel monitoraggio dei fabbisogni professionali e della spesa. Il compito del settore personale, con riferimento al lavoro flessibile, è stato principalmente quello di applicare la normativa sul tempo parziale e di acquisire personale con contratti trimestrali per far fronte ad assenze di personale ausiliario. Contemporaneamente, è emersa con forza, soprattutto nel settore ambiente, una esigenza di risorse umane e competenze nuove, in grado di realizzare le complesse funzioni man mano attribuite dalle norme all’Ente Provincia, e più in generale di esercitare un ruolo qualificato nel campo della tutela e promozione ambientale. Questa esigenza, che come accade in molte amministrazioni contrasta con i vincoli che impediscono politiche del personale espansive, ha in parte spinto all’utilizzo di consulenze esterne, in parte a cogliere l’occasione di un finanziamento regionale per l’acquisizione di personale diplomato e laureato, attraverso il progetto “cantiere scuola e lavoro”. Tuttavia, nonostante queste iniziative, il settore ambiente non sembra aver sciolto il difficile nodo di sviluppare e consolidare nuovo know how all’interno dell’amministrazione. Il contributo del gruppo di giovani del “cantiere scuola e lavoro” alla realizzazione di un salto di qualità nel ruolo della Provincia in campo ambientale è stato inevitabilmente limitato, mentre la
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prospettiva della loro acquisizione in pianta stabile impedisce di impiegare ulteriori risorse per le consulenze esterne. Questa esperienza ripropone dunque una situazione frequente negli enti locali: il lavoro atipico viene utilizzato non tanto e non solo per risolvere esigenze temporanee di personale o di professionalità rare e da utilizzare una tantum, quanto per far fronte (temporaneamente) ad insufficienze strutturali, soprattutto sul piano qualitativo, di personale, determinate dall’evoluzione del ruolo degli enti locali stessi verso funzioni più qualificate e complesse.
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Capitolo sesto 3URYLQFLDGL6DOHUQR GL/XLJL5DPSLQR
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Il nostro viaggio nel lavoro flessibile passa ora per l’amministrazione provinciale di Salerno. L’ente amministra un territorio molto vasto (si tratta della seconda provincia più estesa d’Italia), con oltre un milione di abitanti, concentrati nella parte settentrionale, attorno al capoluogo, mentre la parte meridionale è per lo più costituita da comuni turistici, sul litorale, e da piccoli comuni montani, in fase di declino demografico, nell’interno. Prima di esaminare il primo dei due casi relativi ad una amministrazione provinciale, vale la pena mettere a fuoco alcuni aspetti relativi a questo tipo di amministrazioni. Le province hanno tradizionalmente avuto un ruolo di secondo piano, rispetto a regioni e comuni, nel sistema delle amministrazioni locali. Meno rilevante del comune sul piano della produzione di servizi e del contatto con i cittadini, non paragonabile con la regione sul piano della gestione delle risorse finanziarie e, ovviamente, della potestà legislativa, la Provincia può di fatto coprire un insieme di funzioni, a seconda dei casi, molto ristretto o molto ampio, in un panorama peraltro in fase di grande cambiamento a causa del processo di conferimento di funzioni avviato dalla riforma Bassanini. Ad un estremo, le province con un ruolo più tradizionale si occupano principalmente di DPPLQLVWUD]LRQH H JHVWLRQH GL VHUYL]L
(ad esempio gestione di strade, scuole ed altre
opere pubbliche, nonché amministrazione in materia di caccia, pesca, ambiente). All’altro estremo si collocano le province più attive che, oltre alle attività sopra citate, svolgono anche un ruolo di JRYHUQRGHOORVYLOXSSRWHUULWRULDOH. Queste amministrazioni, di solito, gestiscono su delega regionale attività e finanziamenti in vari campi (formazione, turismo, aiuti alle imprese, ecc.), e in più assumono un ruolo strategico di coordinamento e leadership nello sviluppo territoriale, anche attivando relazioni tra più istituzioni e soggetti locali. Questi sviluppi nelle funzioni svolte possono determinare un fabbisogno di competenze nuove e professionalità di alto profilo, e di conseguenza il ricorso a nuove figure e rapporti di lavoro. Tale fabbisogno, che sembrerebbe non essere giustificato dalle elevate dimensioni complessive degli organici nelle amministrazioni, è
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invece molto comprensibile se si va a verificare la composizione di questi organici, spesso molto sbilanciati verso il basso rispetto alle funzioni istituzionali da svolgere. Venendo al caso di Salerno, la provincia ha dato segni di dinamicità, ricorrendo a diversi tipi di lavoro flessibile, soprattutto per sviluppare quelle funzioni di coordinamento e pianificazione territoriale che contraddistinguono le amministrazioni più avanzate, ma anche per un potenziamento complessivo della struttura amministrativa. Nel primo caso lo strumento è stato quello degli incarichi esterni a pochi individui, impegnati sia a distanza e in modo saltuario, sia in modo continuativo, volto ad acquisire professionalità inesistenti all’interno, mentre nel secondo caso è stato selezionato e poi assunto a tempo determinato un gruppo di 63 diplomati e laureati. 6FKHGDRUJDQL]]DWLYD $PPLQLVWUD]LRQH $ELWDQWL
: Provincia di Salerno
: 1.092.000
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su 158 comuni
: 550, di cui 10 dirigenti 53 area D 487 aree C, B, A
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: 1998. Nell’ultima revisione, la dotazione organica
è stata ridotta di circa il 20%, e portata a 860 unità, con uno scostamento che rimane consistente (310 unità) rispetto ai dipendenti effettivi. Da questi conteggi sono esclusi sia il personale delle scuole recentemente trasferito allo Stato (circa 400 unità), sia i 228 dipendenti del Ministero del Lavoro in fase di trasferimento alla Provincia.
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: è composta da sette settori
- Staff Presidenza - Segreteria ed affari generali - Personale - Servizi finanziari - Servizi tecnici - Ambiente e territorio - Musei, biblioteche e beni culturali
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Il settore personale è articolato in tre servizi: trattamento giuridico, trattamento economico e sviluppo risorse umane. Quest’ultimo servizio si occupa dei concorsi, della programmazione, della contrattazione decentrata e della mobilità interna. Sul piano organizzativo generale, si nota la forte discrasia tra la dotazione organica e i dipendenti effettivi. L’ultima dotazione organica è stata approvata nel 1998 con una riduzione di circa il 20% rispetto al passato. Nonostante questo i dipendenti effettivi sono ancora di molto inferiori alla dotazione organica (310 unità). Questi posti verranno coperti in minima parte con concorsi pubblici rivolti all’esterno (3 posti da dirigente e 13 posti per ex 8^ qualifica), e per gran parte con concorsi interni, in modo da aprire opportunità di carriera ai dipendenti. E’ interessante notare che l’espletamento dei concorsi è stato rallentato dalle scadenze elettorali. Ad esempio, per i concorsi da dirigente e da ex 8^ qualifica, i termini di presentazione delle domande scadevano in gennaio 1999, ma l’imminenza delle elezioni provinciali di giugno ha fatto slittare la selezione, poi di nuovo slittata anche per via delle elezioni regionali dell’aprile 2000. I concorsi verranno comunque effettuati entro il 2000, a quasi due anni dal momento in cui sono stati banditi.
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Una peculiarità della Provincia di Salerno sta nell’utilizzo di un consistente gruppo di personale a tempo determinato (85 unità), con rapporto a metà tempo. Tali assunzioni scaturiscono dalla disponibilità in bilancio, nell’anno 1995, di circa 3 miliardi destinati alle politiche per l’occupazione giovanile, poi tramutati in progetti interni alla provincia da realizzare attraverso assunzioni a tempo determinato. La selezione delle 85 unità era articolata su 16 profili nelle qualifiche D1, C1, B3. Circa la metà dei posti era destinato a laureati (qualifica D1), il resto a diplomati. Tra i titoli di studio richiesti per i vari profili, vi erano ad esempio: laurea in chimica, diploma di perito chimico, laurea in ingegneria edile, diploma di geometra, laurea in informatica, diploma di scuola superiore con specializzazione in informatica. Di fatto, questi rapporti di lavoro hanno preso avvio tra il 1997 e il 1998, anche a causa del numero enorme di domande pervenute e dei conseguenti tempi lunghi di selezione. Sulle circa 30.000 domande pervenute, è stata operata una prima selezione con un punteggio attribuito in base al voto di laurea o diploma e alle eventuali esperienze
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precedenti, chiamando alla prova selettiva soltanto un numero di candidati pari al quintuplo dei posti messi a concorso. La prova selettiva consisteva in quiz a risposta multipla, specifici per ciascun profilo. Alcune osservazioni su questo tipo di selezione. Innanzitutto, la scelta di un rapporto a part time non è dipesa da considerazioni di tipo organizzativo, ma da una volontà politica di dare, a parità di budget, un’opportunità di occupazione a un numero maggiore di persone. Un secondo aspetto rilevante è dato dall’assenza di prerequisiti selettivi, in grado sia di mirare maggiormente la selezione, sia di contenere il numero di candidati e, conseguentemente i tempi e i costi del processo. Questo limite è però stato riequilibrato da una selezione “a tavolino”, che, sempre sulla base di criteri formali, ha consentito di giungere alle prove selettive con un numero di candidati ragionevole. Un terzo aspetto rilevante è legato ai criteri di selezione, di tipo strettamente oggettivo (test a risposta multipla). Come spesso accade nel pubblico impiego, si tende a voler garantire la massima trasparenza e oggettività, senza sviluppare metodologie di valutazione più articolate e mirate. A favorire questo atteggiamento, di attenersi a valutazioni formali e oggettive, contribuisce un contesto in cui i rischi di contestazione sono elevati, dato che i bandi di concorso in questione, per un numero così elevato di posti e di qualifiche, catalizzano l’attenzione di migliaia di inoccupati. I test a risposta multipla sono infatti utilizzati come unico elemento di selezione (a parte il voto conseguito nel titolo di studio), mentre ad esempio nelle selezioni private, se utilizzati, non contano mai più del 30-40%. D’altra parte, queste modalità di selezione sono coerenti con esigenze organizzative definite a grandi linee, e non in modo specifico. A queste persone non si chiede di svolgere ruoli ben inquadrati, di occupare precise posizioni con finalità ben definite, ma piuttosto queste vengono immesse nell’organizzazione per dare un contributo al lavoro negli uffici, talvolta in posizioni nuove, come quelle di informatico, poco consolidate nella cultura dell’ente, e quindi non progettate e definite con esattezza. A conferma di questa osservazione, va considerato che l’assegnazione agli uffici non era esattamente definita a priori. Per quanto riguarda il tipo di part time svolto, è stato l’ufficio di destinazione a determinare la distribuzione delle 18 ore settimanali. Nella maggior parte dei casi è stata scelta la soluzione del part time verticale (tre giorni pieni alla settimana).
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Tra le attività svolte da questo gruppo di persone citiamo il monitoraggio ambientale, la progettazione di opere pubbliche, la gestione delle procedure di appalto, l’informatizzazione di alcune procedure. In particolare, si può dire che la Provincia ha costituito un buon ufficio di progettazione di opere pubbliche, in grado di elaborare i progetti necessari quasi totalmente all’interno. Nell’opinione del direttore del personale, questo è stato possibile sia grazie all’immissione di questi lavoratori a tempo determinato, sia dalle forti spinte determinate dagli incentivi previsti nella “legge Merloni”. Ma come è composto questo gruppo di personale a tempo determinato? Si tratta di persone del posto, solo un 15% viene da fuori provincia, e quasi tutti questi vengono comunque dalla Campania. La stragrande maggioranza di loro è al primo impiego, se si eccettuano eventuali impegni temporanei, ad esempio come supplenti nelle scuole o per pochi mesi in enti comunali. L’età media è intorno ai 30/32 anni, e molti dei diplomati sono anche studenti universitari. Riguardo agli impatti che l’introduzione di questo nuovo personale ha avuto, l’opinione del responsabile del personale è che comunque questi abbiano portato una ventata di novità. Nelle parole di un altro dirigente, i dipendenti più giovani sono comunque “uomini del loro tempo”, e in questo senso possono dare un contributo che spesso manca nel personale con più esperienza, in particolare sull’utilizzo delle tecnologie e dell’informatica, talvolta anche a prescindere dalla propria qualifica e dal proprio profilo. Un esempio interessante è quello di una dipendente a tempo determinato, inquadrata nell’ex 5^ livello, che ha effettuato l’informatizzazione dei rilievi sulle presenze e le assenze. Tuttavia, il personale già presente tendeva a considerare questi nuovi assunti come personale di serie B, anche se con due atteggiamenti diversi: da un lato c’era chi tendeva a non dare importanza a queste figure, dall’altro chi coglieva l’opportunità di questa presenza nuova per apprendere e per migliorare il lavoro nel proprio ufficio. Questi 85 rapporti a tempo determinato, avviati tra il 1997 e il 1998, con una durata di 24 mesi e inizialmente finanziati con fondi provinciali destinati a combattere la disoccupazione giovanile, sono stati poi finanziati con altri fondi, anche derivanti dal collocamento a riposo del personale, e prolungati di altri 24 mesi grazie a una specifica norma prevista nella legge finanziaria, secondo cui i contratti a tempo determinato in
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corso potevano essere, in via eccezionale, rinnovati. Attualmente i dipendenti a tempo determinato sono 63. E’ importante considerare il significativo turnover verificatosi in questo gruppo: circa il 20% delle persone ha interrotto il proprio rapporto di lavoro, avendo vinto dei concorsi per assunzione a tempo indeterminato in altri enti locali, anche fuori regione. Se è così ampia la quota di coloro che hanno trovato una diversa occupazione, si può immaginare che siano molti di più quelli che l’hanno cercata. Questo dimostra che l’impegno a tempo determinato rappresenta per queste persone una soluzione di attesa, in vista di una sistemazione definitiva. Dal punto di vista del lavoratore, questa collaborazione ha rappresentato un primo approccio all’impiego pubblico, e probabilmente è stata utile per rafforzare le proprie conoscenze e, in alcuni casi, per conseguire altrove un contratto a tempo indeterminato. Dal punto di vista dell’organizzazione, tuttavia, questa soluzione del rapporto a tempo determinato è tutt’altro che ottimale, per diverse ragioni. La prima ragione è che la scelta del tempo determinato non era legata alla temporaneità dell’esigenza, ma a vincoli normativi, prima ancora che di bilancio. Ad esempio, la legge finanziaria del 1997 prevedeva che ciascun ente, indipendentemente dai vuoti in organico, realizzasse un abbattimento del 1,5% sui costi del personale nell’anno successivo. Qui si ripropone una classica dinamica nel settore pubblico, tra un’esigenza centrale di controllo della spesa, ed una locale di gestione autonoma e di realizzazione di risultati. Senza entrare nel merito di questa dinamica, ci limitiamo a rilevare come in alcune situazioni i vincoli di spesa condizionino notevolmente le politiche del personale, soprattutto in quegli enti che in passato assumevano in quantità sui profili medio bassi, e adesso hanno esigenze consistenti nei profili più elevati. La legge finanziaria successiva, che consentiva in via eccezionale il prolungamento di contratti a tempo determinato, ha fornito un’opportunità non pianificata di avvalersi ancora di questo gruppo di persone, ma per il futuro, sostanzialmente non ci sono molte chances a disposizione. D’altra parte, secondo il responsabile del personale, questi vincoli centrali consentono di prevenire eventuali ingerenze politiche, dato che gli amministratori tendono comunque a espandere gli organici al di là delle esigenze organizzative. La seconda ragione è che l’amministrazione non ha gli strumenti per trattenere questo personale, e in parte non ha costruito neppure le condizioni per farlo, ad esempio predisponendo dei successivi concorsi che selezionassero i migliori di questo gruppo. Il
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rapporto avviato non aveva grosse prospettive o attrattive per le persone coinvolte, e il tempo libero lasciato dal part time probabilmente non era per molti una opportunità per svolgere attività costruttive per il futuro, ma semplicemente un aspetto che riduceva il reddito. L’elevato turnover sembra accreditare queste tesi. La terza ragione è legata al contesto organizzativo degli enti locali, che in generale, secondo il direttore del personale, richiede tempi di integrazione medio lunghi per molti profili professionali, soprattutto nei ruoli amministrativi piuttosto che in quelli tecnici. Al di là della maggiore o minore esperienza professionale precedente, il personale comincia ad essere pienamente produttivo soltanto dopo alcuni mesi di inserimento nell’amministrazione, e questo di per sé rappresenta un limite dei contratti a tempo determinato. In realtà, sembra di poter dire che gli enti locali sono in sofferenza per la mancanza di alcune professionalità, e, come in questo caso, i contratti a tempo determinato rappresentano più una soluzione di ripiego condizionata da norme e vincoli esterni, piuttosto che uno strumento da utilizzare in rispondenza ad aumenti temporanei nel fabbisogno di lavoratori.
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La Provincia di Salerno ha anche sviluppato esperienze interessanti nell’utilizzo delle collaborazioni esterne. A tale riguardo, il settore personale non possiede informazioni dettagliate, in quanto sono i singoli settori a gestire tali rapporti. In alcuni casi, il dirigente di servizio richiede una consulenza ai dirigenti del personale, come ad esempio per l’acquisizione di un gruppo di geometri rilevatori nel settore tecnico, per la quale è in fase di predisposizione un bando di selezione. In generale, il direttore del personale manifesta una sorta di scetticismo verso le collaborazioni esterne, ritenendole opportune in casi specifici, per poche professionalità di profilo elevato, e comunque privilegiando selezioni ad evidenza pubblica rispetto a scelte “intuitu personae”. Questo sempre per evitare ingerenze politiche, o comunque per non prestare il fianco ad accuse di discrezionalità. Le aree in cui vengono maggiormente utilizzati i collaboratori esterni sono il settore “ambiente e territorio” (composto da quattro servizi, che si occupano di pianificazione territoriale, gestione urbanistica, tutela ambientale, agricoltura) e il settore “tecnico” (composto da due servizi, che si occupano di viabilità, edilizia scolastica e patrimonio).
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Naturalmente, prendere ad esame tutte le forme di collaborazione esterna utilizzate nei sei servizi in questione risulterebbe dispersivo. Pertanto, la scelta è stata di esaminare un servizio in particolare, quello denominato “pianificazione territoriale e gestione urbanistica”, che presenta una situazione dinamica e interessante, e sembra avere degli elementi innovativi rispetto al contenuto del lavoro. Il servizio si occupa infatti, in base a disposizioni normative recenti, di definire e gestire il piano territoriale di coordinamento provinciale, strumento che qualifica l’ente Provincia come punto di riferimento per lo sviluppo territoriale. La scelta dell’Amministrazione è stata di investire in questo settore e di sviluppare diverse collaborazioni esterne, sia perché gli esperti di pianificazione territoriale in grado di avviare un simile processo sono estremamente rari, sia perché non vi era, nella dotazione organica del settore, personale in grado di portare avanti gli aspetti più operativi del lavoro. Teoricamente, secondo la dotazione organica, il servizio avrebbe a disposizione quattro funzionari di categoria D3 e altrettanti di categoria D1, ma in realtà c’è solo una persona inquadrata in D3 più un funzionario a tempo determinato e part time in D1. Entrambi questi dipendenti si occupano di urbanistica, mentre il dirigente di servizio si occupa di pianificazione territoriale, avvalendosi di collaborazioni esterne. Tra questi collaboratori si possono distinguere due gruppi. Un primo gruppo, utilizzato a livello strategico e con un impegno occasionale, guidato da un docente universitario specialista di fama nazionale nella pianificazione territoriale, era incaricato con una prima convenzione di realizzare uno studio preliminare e un’ipotesi di impostazione del piano, e con una seconda convenzione di guidare e supportare l’implementazione del piano stesso. La responsabilità complessiva di questo lavoro era dell’esperto esterno, individuato “intuitu personae” tramite delibera di giunta, il quale ha indicato 8 collaboratori di sua fiducia, prevalentemente ricercatori universitari, da incaricare per la realizzazione delle varie fasi dello studio. Il pagamento dei compensi, pattuiti “a forfait”, avveniva sulla base della consegna del lavoro da parte del gruppo a stati d’avanzamento. Un secondo gruppo di collaboratori, impegnati in maniera continuativa nella sede dell’ente, doveva invece andare a costituire l’ossatura interna dell’ufficio del piano, occupandosi in una prima fase di rilevazioni e analisi da fornire al gruppo strategico, e in una fase successiva, ancora da avviare, di gestire il piano territoriale. Questo secondo
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gruppo, era costituito da cinque giovani professionisti (un ingegnere, un architetto, un economista, un geologo e un agronomo), incaricati per un anno. Tali incarichi, scaduti nel gennaio 2000, verranno rinnovati a distanza di alcuni mesi, e contestualmente il gruppo verrà ampliato con tre informatici, per i quali sta per essere pubblicizzato il bando di selezione. Occupiamoci più in dettaglio di questo secondo gruppo. La selezione non è avvenuta “intuitu personae”, ma con un bando ad evidenza pubblica, diffuso attraverso l’albo pretorio dell’ente e mediante un annuncio su un quotidiano. I prerequisiti consistevano in lauree specifiche, conseguite da non più di cinque anni, mentre i criteri di selezione, definiti dall’assessorato, si basavano sull’esame dei soli titoli. Per la selezione dei tre informatici, invece, dopo la formazione di una graduatoria in base ai titoli, relativa al titolo di studio e ad esperienze o corsi di formazione documentati nell’utilizzo di pacchetti software specifici, verrà introdotta una prova con valutazione automatica sulla capacità di utilizzare i pacchetti software, tesa a confermare l’idoneità all’incarico. La commissione è composta dal dirigente di settore e da due esperti esterni. Il contenuto degli incarichi in questione è essenziale. Nel primo si quantifica un ammontare di 500 ore lavorative da svolgere nell’arco dei dodici mesi, retribuite su fattura e sulla base dell’approvazione di stati d’avanzamento. Il compenso per questo incarico non ci è stato reso noto, ma comunque non fa riferimento a tariffari professionali. Nel secondo incarico, invece, è previsto un compenso di £. 32.500.000 IVA inclusa a testa nell’arco dell’anno, liquidate a tranches bimestrali sulla base di una verifica del lavoro svolto, che viene pianificato e assegnato in incontri settimanali con il dirigente di servizio. Questi collaboratori provengono dalle immediate vicinanze di Salerno, hanno un’età compresa tra i 25 e i 32 anni, sono alla prima esperienza lavorativa (se si esclude la frequenza di studi professionali) e sono, nell’opinione del dirigente di servizio, particolarmente entusiasti e motivati in questo contesto. In effetti, il contatto con gli esperti di livello nazionale in tema di pianificazione territoriale e la possibilità di lavorare con una delle primissime province del Mezzogiorno a realizzare una simile progetto, costituisce un’esperienza qualificante. Tale esperienza, sebbene non basti da sola a conferire solidità sul mercato del lavoro, può apre prospettive più interessanti, ad esempio rispetto ai colleghi assunti a tempo determinato, e inseriti in ruoli più
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tradizionali. D’altra parte, se si considerano tutti gli elementi che compongono il costo del lavoro, i consulenti dell’ufficio del piano guadagnano pressappoco come i loro colleghi laureati assunti a part time, e, anche se formalmente non vengono controllati sulla presenza, è possibile che il loro orario di lavoro effettivo sia superiore. Resta il fatto tutti questi giovani lavoratori flessibili della Provincia di Salerno, pur nella differenza di prospettive e opportunità, devono ancora “trovare la loro strada”. Per quanto riguarda invece le relazioni dei consulenti dell’ufficio di pianificazione con il personale interno, non si sono riscontrati problemi, sostanzialmente perché, usando le parole del dirigente, i nuovi arrivati “non pestano i piedi a nessuno”, non essendoci all’interno dell’ufficio dipendenti con cui entrare in competizione nel campo delle opportunità di carriera. Da notare, inoltre, che il servizio in questione si trova in una sede distaccata rispetto agli altri uffici. Un aspetto interessante nell’organizzazione del servizio di pianificazione territoriale, è che questo si regge sostanzialmente sulle collaborazioni esterne. Il modello seguito, comunque, appare molto sensato: si è avviato contemporaneamente un primo gruppo con una funzione strategica e di guida, con la partecipazione del dirigente del servizio, e un secondo gruppo che opera nella struttura provinciale in maniera più continuativa, coordinato dal dirigente di servizio. Da rimarcare che i due gruppi di consulenti hanno contratti simili con l’amministrazione, sono professionisti esterni, per lo più con partita IVA, ma hanno anche condizioni contrattuali e posizioni nel mercato del lavoro molto diverse. Per il primo gruppo, guidato da un esperto affermato, la Provincia di Salerno è uno dei tanti committenti, che va eventualmente ad aggiungersi ad una retribuzione da dipendente legata all’impegno accademico. Per il secondo gruppo, invece, la Provincia di Salerno rappresenta, se non l’unico, il principale committente e la principale fonte di reddito, con un impegno contrattuale che presumibilmente, non rispecchia la prassi del rapporto di lavoro, e che rende inadeguata per queste persone l’etichetta di “liberi professionisti”. Qualche considerazione sui meccanismi di selezione. Nonostante molte amministrazioni siano solite attribuire incarichi esterni “intuitu personae” (si veda ad esempio il caso di Pomigliano d’Arco), la Provincia di Salerno assume un atteggiamento “prudenziale”, attivando un bando ad evidenza pubblica anche per le collaborazioni professionali. Anche in questo caso, dunque, si utilizzano criteri formali e oggettivi di selezione, ma a
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differenza della selezione del personale a tempo determinato, operata su grandi numeri, non si utilizzano test a risposta multipla, ma soltanto una valutazione di titoli. In questo caso gli spazi di discrezionalità, apparentemente minimi, possono essere superiori. E’ difficile capire come questa discrezionalità venga gestita. Di certo il dirigente di servizio giudica inadeguata una selezione legata a criteri formali, indotta dalle norme e dalla prassi, e avverte la necessità di verificare in modo mirato le capacità e le motivazioni dei candidati, per quanto queste valutazioni non siano ufficialmente compatibili con le modalità selettive in uso nell’ente. La stessa definizione da parte dell’ente di un regolamento di selezione che modifichi queste prassi e legittimi altri criteri appare poco probabile, in virtù del fatto che troppi attori e osservatori tenderebbero a giudicarlo come un arbitrio, e forse, la stessa dirigenza lo vedrebbe come un possibile rischio di maggiore ingerenza politica. Questo tipo di preoccupazione può anche essere rilevata in un passaggio del regolamento di accesso agli impieghi, relativo agli uffici di staff alle dirette dipendenze del Presidente e degli Assessori, dove si definiscono regole che limitano fortemente la discrezionalità, e si specifica inoltre che “gli uffici di staff, ex art. 6, comma , Legge n. 127/1997 sono costituiti fino a tre addetti per il Presidente e fino a due per ogni Assessore. Almeno un addetto, per ogni ufficio, deve essere munito di laurea”. Un altro aspetto da discutere riguarda la prosecuzione del rapporto per i “consulenti interni” dell’ufficio del piano. Tale ufficio funziona essenzialmente grazie alla loro presenza, e a giudizio del dirigente, l’ideale sarebbe di poter stabilizzare questi rapporti di collaborazione esterna, una volta constatato che queste persone sono capaci e motivate a svolgere il loro ruolo. Anche qui la soluzione ideale sembra essere il fatidico “concorso su misura”, che rispettando la forma, consenta di acquisire queste persone negli organici. Attualmente, l’amministrazione non si è mossa in questo senso, e per ora, la situazione è “precaria” non solo per i lavoratori, ma anche per l’organizzazione. Si ripropone dunque lo stesso problema osservato per i dipendenti a tempo determinato: laddove esistono vuoti di professionalità e di organico, i rapporti di lavoro flessibile alle volte riescono solo a tamponare fabbisogni organizzativi duraturi, e in questo senso rappresentano più un ripiego rispetto al tempo indeterminato che una leva in più da scegliere liberamente e da gestire.
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A tale riguardo, è emblematica l’opinione del dirigente dell’ufficio del piano, che, pur non avendo dipendenti fissi, ritiene che molte forme flessibili siano “una cosa da evitare”, in quanto il part time e i rapporti a termine causano una discontinuità di impegno laddove c’è necessità di forza lavoro, mentre sarebbe utile vedere i contratti a tempo come modalità di messa in prova e selezione di personale da assumere, non tanto come strumento per far fronte ad esigenze temporanee e a picchi di lavoro. In questo senso, con riferimento all’assunzione degli 85 dipendenti a tempo determinato e part time, il nostro interlocutore avrebbe visto più opportunamente un gruppo meno numeroso e a tempo pieno, con una successiva selezione di persone da assumere a tempo indeterminato, eventualmente con la formula del corso concorso, utilizzando una sorta di “stage formativo” all’interno dell’amministrazione come momento per orientare un’ulteriore selezione. Tuttavia, una simile soluzione non è compatibile con il regolamento di assunzione attualmente in vigore.
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Esaminati gli aspetti più significativi del lavoro flessibile nella Provincia di Salerno, è opportuno completare il quadro con ulteriori informazioni. Il passaggio da tempo pieno a tempo parziale ha avuto in questa amministrazione un’adesione scarsissima: ci sono stati tre soli casi, meno dell’1% dei dipendenti ha fatto questo tipo di richiesta. Si tratta di tre persone iscritte ad albi, presumibilmente motivate dall’intenzione di lavorare da liberi professionisti al di fuori dell’amministrazione. In riferimento al part time, il responsabile dello sviluppo risorse umane ha rilevato due aspetti negativi. Il primo è che le norme sul part time si adattano meglio ad amministrazioni con migliaia di dipendenti, in grado di creare risparmi significativi, mentre in un ente come la Provincia di Salerno, con soli tre rapporti a tempo parziale, le economie realizzate non consentono né di acquisire nuovo personale, né di aumentare significativamente gli incentivi e il salario accessorio per gli altri dipendenti. La seconda osservazione riguarda un problema di controllo sul lavoro: è probabile che l’eventuale secondo lavoro del personale a part time possa “invadere” le ore lavorative svolte nell’amministrazione; e, nonostante i dirigenti abbiano comunque la possibilità di controllare le prestazioni, questa tendenza rischia di rendere ancora meno produttivo per l’amministrazione questo tipo di rapporto.
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Da segnalare, inoltre, che la Provincia di Salerno ha cominciato a considerare la possibilità di introdurre forme di telelavoro. Nel contratto di lavoro decentrato integrativo c’è infatti un articolo dedicato al telelavoro, in cui l’amministrazione si impegna a promuoverlo “allo scopo di razionalizzare l’organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione” […] “A tal fine potranno essere installate, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici”. Inoltre, è in fase di predisposizione una bozza di regolamento su questa materia. Il responsabile del personale considera plausibile l’impiego del telelavoro per diversi profili professionali: tecnici progettisti, informatici, personale impegnato nell’inserimento o nell’analisi di dati. L’informatizzazione e la creazione di una rete interna, recentemente realizzate, costituiscono una base di partenza importante per introdurre il telelavoro, tuttavia a riguardo non sono stati definiti piani specifici, che individuino tempi, costi e benefici dell’operazione. In linea di principio, la direzione del personale è aperta al futuro utilizzo del lavoro interinale, anche se ritiene che sia necessario attendere una specifica regolamentazione nazionale per gli enti pubblici. Sul piano dell’utilità di questo strumento, l’opinione è che sia poco adatto per le qualifiche alte, dove occorrono persone che abbiano il tempo di integrarsi nel contesto del funzionamento amministrativo dell’ente, e più adatto per qualifiche medio basse. D’altra parte, queste qualifiche sono ampiamente coperte nell’amministrazione provinciale, anche grazie alla presenza di 480 lavoratori socialmente utili, impegnati per mansioni esecutive; per cui si può desumere che il lavoro interinale non venga visto come una alternativa importante per la Provincia di Salerno.
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Il caso della Provincia di Salerno mostra una varietà di situazioni, di alternative e di problematiche relative alle forme flessibili di impiego. La principale caratteristica che risalta ad una prima analisi è che questa amministrazione, come probabilmente molte altre, ha una carenza di personale qualificato, in grado di svolgere realmente le numerose funzioni che la norma le attribuisce, e in particolare quelle di maggiore impatto sul piano dello sviluppo
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economico e territoriale. E’ in questo contesto che le forme flessibili trovano una ampia applicazione: non perché l’esigenza sia temporanea, ma perché lo sono le risorse! La stragrande maggioranza dei numerosi lavoratori flessibili operanti nella Provincia di Salerno, sarebbe necessaria al di là della durata dei contratti, tuttavia l’esistenza di vincoli normativi e di risorse impediscono di stabilizzare questi rapporti, e in realtà l’ente non ha ancora costruito le condizioni per l’acquisizione almeno di alcuni di questi lavoratori a termine. L’elevato turnover dei dipendenti a tempo determinato conferma che l’amministrazione non ha leve per trattenere queste persone, che, dal canto loro, cercano un lavoro più stabile o con maggiori opportunità di carriera. Per quanto riguarda la selezione di queste risorse, se si eccettuano alcuni esperti di fama, selezionati “intuitu personae”, prevale un atteggiamento “prudenziale”, sia per la selezione dei dipendenti a tempo determinato, sia per i collaboratori esterni: i criteri selettivi si attengono a una dimensione formale che non sembra favorire margini di discrezionalità, il contenuto di eventuali esperienze di lavoro e le motivazioni dei candidati non vengono considerate, e talvolta la selezione avviene per soli titoli. Tale impostazione, considerata inadeguata a selezionare le persone migliori secondo alcuni dirigenti, viene da essi stessi giudicata inevitabile, per prevenire contestazioni e ricorsi, e anche per impedire l’esercizio di una eccessiva discrezionalità da parte dei politici. Sembra quindi che una serie di circostanze inducano la dirigenza ad assumere un atteggiamento conservatore sul tema della selezione del personale, nonostante le nuove opportunità normative e l’inadeguatezza dei modelli tradizionali. Da un lato, dunque, la Provincia di Salerno ha mostrato apertura e vivacità nell’utilizzo delle forme flessibili di impiego; dall’altro le politiche di gestione di questo personale mostrano alcuni punti di debolezza, come l’utilizzo di criteri formali di selezione o il mancato investimento su queste risorse. Tali limiti sono in parte causati da vincoli normativi, in parte da atteggiamenti conservatori facilitati dal contesto.
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Capitolo settimo ,ULVXOWDWLGHOODULFHUFDWUDLQQRYD]LRQHHFRQWLQXLWj GL0DXUR%RQDUHWWL ,OSDUDGLJPDWUDGL]LRQDOHGLJHVWLRQHGHOSHUVRQDOH
E’ importante collocare i risultati della ricerca nell’ambito dei tradizionali criteri e modalità di gestione del personale nelle amministrazioni pubbliche.
Questo
inquadramento consente infatti di leggere meglio il fenomeno del lavoro flessibile che, per essere compreso, va messo in relazione alle politiche del personale: reclutamento, selezione, valutazione e verifica delle prestazioni, carriere, retribuzioni, mobilità, pianificazione, formazione. Al di là delle innovazioni promosse in alcuni enti, soprattutto negli ultimi anni, esistono infatti problemi tipici di direzione del personale nel settore pubblico, in riferimento ai singoli aspetti appena elencati che aiutano a spiegare i comportamenti adottati. A volte le amministrazioni esaminate collocano l’impiego del lavoro flessibile nel solco culturale tradizionale, in altri casi al contrario utilizzano le novità introdotte dalle norme per rendere più razionali e coerenti le proprie esperienze di gestione del personale. E’ dunque fondamentale osservare quale è la logica d’azione che tradizionalmente ispira le politiche di gestione del personale per osservare con più attenzione le traiettorie e cogliere eventuali discontinuità. Il reclutamento e la selezione, nelle amministrazioni pubbliche, sono attività tradizionalmente ispirate a criteri di legalità e oggettività. Non solo, i requisiti per ricoprire le posizioni sono spesso di tipo generico, anzi, le stesse selezioni sono pensate per profili generici e non per specifiche posizioni lavorative. La genericità dei requisiti determina, per alcune selezioni, un numero esorbitante di domande, che si rivela
terribilmente
antieconomico
e
distante
dalle
esigenze
organizzative
dell’amministrazione, anche perché determina dei ritardi, che vanno ad aggiungersi ai tempi lunghi legati alle procedure concorsuali degli avvisi pubblici. Sempre sul piano dei requisiti, alcuni enti pubblici sono, in Italia, gli unici datori di lavoro che reclutano anche persone senza esperienza lavorativa per posizioni dirigenziali, laddove, di norma, per una selezione di questo tipo è richiesta ai candidati un’esperienza di almeno cinque anni.
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Per quanto riguarda la selezione vera e propria, questa è molto basata su elementi formali (titoli, votazioni). Le prove di selezione verificano le conoscenze possedute, ma non gli aspetti legati ai contenuti delle esperienze svolte in precedenza, mentre la valutazione non prende quasi mai in considerazione gli aspetti motivazionali e di comportamento, oppure il parere del superiore diretto della persona da assumere. Aspetti attentamente esaminati in altre realtà, per raggiungere l’obiettivo di acquisire risorse che svolgano con efficacia il proprio ruolo. Questo determina una sorta di maggiore casualità nella selezione: può andare bene o male, ma senz’altro il processo non è gestito in modo da non sbagliare. Qui si tralasciano volutamente i possibili problemi di corruzione nell’espletamento dei concorsi pubblici. Da segnalare, invece, il fenomeno del “concorso su misura”, cioè della definizione delle procedure concorsuali mirate ad assumere una persona in particolare, che magari ha realizzato buone prestazioni in una precedente collaborazione occasionale. I criteri di selezione vengono progettati in maniera tale da avvantaggiare notevolmente questa persona. Se da un lato questa pratica può essere censurabile sul piano legale, testimonia con evidenza una esigenza organizzativa reale: quella di far entrare nella selezione criteri diversi dalla dimensione formale, di verificare sul campo le capacità delle persone prima di assumerle, e, in definitiva, di esercitare una scelta che determini prestazioni migliori. Riassumendo, alcuni problemi tipici del reclutamento e della selezione nel settore pubblico sono i seguenti: -
I tempi per effettuare il reclutamento e la selezione sono lunghi;
-
C’è un’utilizzo parziale dei possibili criteri di selezione: prevale la dimensione formale e le conoscenze, a volte generiche, a scapito delle effettive esperienze, dei comportamenti e delle motivazioni;
-
Le regole formali vincolano l’azione, ma comunque possono essere aggirate rispetto ai loro fini iniziali.
La valutazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni ha da sempre rappresentato un problema, che faticosamente alcuni enti sono riusciti a risolvere. Tale attività, finalizzata sia a verificare e migliorare le prestazioni dell’organizzazione, sia a valutare il personale, a motivarlo e a gestire paghe e incentivi, raramente è riuscita a decollare. Alla cultura del formalismo, che ha condizionato anche le altre funzioni di direzione
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del personale, si è aggiunta una difficoltà oggettiva che rende molti settori pubblici poco assimilabili a un contesto di produzione, misurabile e valutabile secondo i criteri sviluppati dalle scienze manageriali. Inoltre, le risorse economiche per incentivare il personale e le possibilità effettive di creare dei percorsi di carriera e stimolare la dinamicità del mercato interno sono state, finora, piuttosto scarse. Dunque, i dirigenti non hanno a disposizione molte leve per agire in questa direzione. Anche in questo caso, è evidente il forte impatto che l’utilizzo delle forme flessibili può avere, consentendo al datore di lavoro di prorogare o meno un rapporto a tempo determinato, di cercare o meno delle soluzioni per stabilizzarlo; o addirittura, per le collaborazioni esterne, di negoziare durata, condizioni retributive e incentivi caso per caso, con estrema discrezionalità. Per quanto riguarda i livelli retributivi, con gli ultimi contratti di lavoro le paghe dei dirigenti pubblici cominciano ad essere competitive e possono esercitare quella che è la principale funzione della retribuzione: attirare e trattenere risorse qualificate sul mercato del lavoro. Per i non dirigenti, tuttavia, la paga non risulta particolarmente attraente, e le collaborazioni esterne rappresentano un modo per retribuire professionisti, anche per lavori continuativi, che altrimenti non accetterebbero di lavorare per l’amministrazione. Un’altra prerogativa delle amministrazioni pubbliche è il tipo di pianificazione del personale. Storicamente, gli organici sono stati definiti in base a un generico fabbisogno di figure professionali, (un certo numero di tecnici, di amministrativi, ecc.) e non in stretta correlazione con le attività e le funzioni da svolgere. Queste ultime, peraltro, sono spesso cambiate nel tempo, sia rispetto alle esigenze reali delle comunità da amministrare, sia rispetto alla normativa, in particolare con il processo di conferimento di funzioni dalle amministrazioni dello stato agli enti locali, avviato nel 1997. Questo può determinare ulteriori scollamenti tra ciò che le singole amministrazioni dovrebbero fare o pianificano di fare e la struttura e la qualità degli organici. Tuttavia, anche quegli enti in grado di individuare i fabbisogni di risorse umane in funzione di obiettivi definiti, si trovano ad affrontare i problemi di reclutamento e selezione di cui abbiamo parlato in precedenza. A tale riguardo le collaborazioni esterne e a tempo determinato, per vincoli normativi o di risorse, rappresentano una soluzione soltanto temporanea.
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Sul piano della pianificazione interna, e in particolare di una mobilità verticale e orizzontale funzionale ai fabbisogni organizzativi, abbiamo già parlato delle difficoltà nel creare un mercato dinamico e nel definire percorsi di carriera legati al merito. Questo aspetto, e in generale un contesto in cui le opportunità di gratificazione e sviluppo sono scarse per i dipendenti, tende a creare una certa tensione sociale tra questi e i collaboratori esterni, che, dal punto di vista del personale interno, sottraggono risorse e opportunità: risorse utilizzabili per gli incentivi, opportunità di carriera e anche di qualificazione professionale. In definitiva il tradizionale paradigma della gestione del lavoro pubblico è riconducibile ad un modello “amministrativo” : legalità, assenza di discrezionalità, carriere poco programmabili, dinamiche organizzative ridotte. Negli ultimi anni questo paradigma è stato profondamente ridiscusso sia dall’opinione pubblica sia dalle nuove norme in materia di lavoro pubblico, cercando di spostare l’approccio verso modelli gestionali più simili a quelli conosciuti nel settore privato. E’ in questo quadro che occorre leggere i comportamenti delle amministrazioni per cogliere se semplicemente si è proceduto ad un adempimento normativo nella continuità del modello amministrativo (con una finalità prevalentemente di semplificazione delle procedure di reclutamento e selezione) oppure se le nuove flessibilità sono rientrate in un più generale processo di innovazione del modello di gestione del personale e rappresentano un tassello coerente di un disegno di sviluppo consapevole. Il lavoro flessibile può essere un elemento di forte cambiamento, in grado di portare competenze, modalità di lavoro e culture nuove, di favorire il raggiungimento di risultati importanti; ma, se collocate fuori da un mutato contesto di riferimento, può anche creare tensioni sociali e idiosincrasie rispetto al sistema di regole esistente. ,ULVXOWDWLGHOODULFHUFD
2.1 Alcune considerazioni preliminari L’indagine ha un profilo qualitativo di studio di caso e, pertanto, non è possibile tracciare un quadro omogeneo e significativo sotto il profilo dei dati. Tuttavia appare con evidenza dai casi che il fenomeno è, in generale consistente e tendenzialmente crescente. Se si eccettua l’istituto del part-time, su cui occorre fare un discorso a parte, tutti gli istituti considerati nell’indagine presentano quantità inaspettate. I numeri
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rilevati nella Regione Campania, nei Comuni di Brescia, Milano, Bologna, fanno più volte ricorrere l’espressione “organizzazione parallela” che, come osserveremo successivamente, sembra essere l’immagine che meglio si adatta al quadro raccolto. Le ragioni che in generale hanno spinto verso un così forte ricorso a tali forme di flessibilità sembrano sostanzialmente tre: •
La pubblica amministrazione, dopo un lungo periodo in cui prima ha svolto un ruolo di paracadute sociale sotto il profilo occupazionale e successivamente ha dovuto contribuire (downsizing) al rientro dal debito pubblico, è investita di nuove funzioni e attese nel campo dello sviluppo economico, dell’utilizzo del territorio, delle prestazioni sociali. A tali nuove attese spesso non è possibile rispondere per carenze qualitative e quantitative d’organico. La pubblica amministrazione, tradizionalmente bacino d’occupazione per basse qualifiche con bassi salari e ridotti orari di lavoro, esprime nuove esigenze professionali che il personale attualmente in organico non è in grado di soddisfare. Tecnici del territorio, informatici, controller, esperti nello sviluppo economico, sono professionalità rare nel mercato del lavoro che il tradizionale sistema di politiche di gestione del personale non riesce ad attrarre e a integrare nell’organizzazione in modo stabile
•
Le nuove esigenze strategiche (di sviluppo da un lato e di riduzione delle risorse dall’altro) hanno determinato ricadute profonde sui modelli organizzativi. Sempre più evidente è il ricorso a forme di outsourcing da un lato e di riduzione delle piante organiche dall’altro. La scelta sembra essere quella di ridurre complessivamente i costi fissi dell’organizzazione preferendo a tal fine flessibilizzare la struttura del costo del lavoro. Da questo punto di vista il ricorso a queste professionalità nuove e non strutturate nell’organizzazione assicura una profonda autonomia nella gestione del costo del lavoro. Inoltre in molte circostanze l’impiego di forme di lavoro flessibili sembra vengano introdotte per aggirare i vincoli di dotazione organica imposti da esigenze centrali di controllo della spesa.
•
Il tradizionale paradigma di gestione del personale spesso non sembra coerente con alcune esigenze del nuovo mercato del lavoro di riferimento della p.a. I tempi lunghi di selezione, la prevalenza degli aspetti formali tra i criteri di selezione e la concreta impossibilità di poter disporre delle figure richieste in modo rapido e tempestivo sono caratteristiche che rendono particolarmente attraente la scelta di ricorrere a
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queste forme di rapporto di impiego. In un sistema molto regolamentato in cui l’accesso viene prescritto da esigenze di imparzialità e dal riconoscimento degli interessi legittimi e in cui la dinamica interna è solo marginalmente dipendente dalla discrezionalità del datore di lavoro, sembra evidente che il ricorso a istituti flessibili risulti essere una opportunità per chi intende gestire in modo discrezionale il personale. Tale scelta da un lato sembra il frutto di una incapacità di gestire in modo corretto le politiche di gestione (con adeguata programmazione non sembra impossibile utilizzare in modo più efficace gli istituiti esistenti) e dall’altro di una effettiva volontà di uscire dal tradizionale solco della semplice amministrazione del personale per assumere un nuovo ruolo di gestione e sviluppo delle risorse, recuperando un maggiore margine di autonomia.
Sempre in linea generale, emerge una profonda spaccatura tra come le forme di lavoro flessibile vengono adottate al nord e al sud. Tre sono gli aspetti che sembrano più evidenti: •
le amministrazioni del sud, salvo il caso di Pomigliano d’Arco (peraltro anomalo per l’intervento diretto degli amministratori) utilizzano rapporti di lavoro flessibile adottando meccanismi di selezione del tutto simili a quelli trasparenti e oggettivi previsti per i concorsi;
•
negli stessi casi spesso il ricorso a collaborazioni diviene l’occasione per favorire alcune occasioni occupazionali;
•
alcuni istituiti tesi a recuperare risorse per l’amministrazione e a ridurre il costo del lavoro (il part-time) sono praticamente sconosciuti al sud.
Complessivamente appare dunque che, mentre al Nord l’impiego degli istituti viene prevalentemente utilizzato per conciliare le esigenze di funzionamento organizzativo e le forme del rapporto di lavoro, al Sud è molto sentito il ruolo della p.a. come opportunità occupazionale,
accanto a esigenze di reperire nuove professionalità
inesistenti internamente (come nel caso della Provincia di Salerno o nello stesso caso di Pomigliano), Osservando i singoli istituti è possibile cogliere alcuni spunti interessanti.
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2.2 Il part time Il part-time è quasi sempre considerato un istituto introdotto per favorire il lavoratori nella conciliazione dei propri tempi di vita con i tempi di lavoro. In realtà questo istituto, introdotto alla vigilia delle decisioni sull’Unità monetaria europea, doveva portare un contributo rilevante in termini di riduzione del costo del lavoro. Nei casi osservati l’istituto sembra avere avuto un esito paradossale: •
in generale l’incidenza è stata modesta e certamente inferiore alle attese che ne avevano motivato l’introduzione (l’attesa era intorno al 10%)
•
l’incidenza
maggiore
si
è
verificata
al
nord
dove
il
problema
del
sovradimensionamento degli organici non esiste e dove al contrario sembra che abbia creato alcuni problemi di gestione •
al sud, dove al contrario l’introduzione sarebbe stata opportuna per riequilibrare gli organici, l’istituto è praticamente inutilizzato (meno dell’1 % a Salerno, 1,4% alla Regione Campania, nessuna richiesta al Comune di Pomigliano)
Laddove utilizzato il part-time ha riguardato alcune professioni pregiate (i tecnici che possono permettersi il doppio lavoro) e le donne che hanno impiegato l’istituto per conciliare esigenze personali con quelle lavorative. In due casi è stato riscontrato invece un impiego dell’istituto coerente con le esigenze dell’organizzazione. Certamente il caso più significativo sembra quello osservato nel Comune di Rimini in cui la formula innovativa del part-time ciclico verticale ha permesso di superare il precariato degli stagionali a tempo determinato, stabilizzando il rapporto di lavoro e non disperdendo le competenze sviluppate dagli individui nel corso degli anni. Anche il caso dei comuni di Bologna e di Brescia appaiono di particolare interesse dove l’organizzazione è riuscita a conciliare le esigenze di orario di lavoro dei servizi sociali con i bisogni del personale in servizio a prevalenza femminile. In generale l’esito osservato era abbastanza prevedibile: l’introduzione di questo istituto rappresenta una reale opportunità per le realtà in cui la riduzione del reddito è ammortizzabile dalla presenza di un secondo reddito familiare. Per altre situazioni in cui l’orario di lavoro non risulta un reale impedimento al secondo lavoro e in cui non sono stati di fatto introdotti controlli reali per verificare il rispetto delle norme sull’incompatibilità, l’incentivo alla richiesta di part-time, da parte del lavoratore, non era effettivamente percepibile. Sotto il profilo delle amministrazioni non appariva
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chiaro il vantaggio se non per particolari contesti (di fatto non così diffusi) effettivamente in grado di coniugare alcune esigenze. D’altro canto per come formulato l’istituto è sempre apparso come un’opportunità per i lavoratori. Molto meno sono stati valorizzati e diffusi i vantaggi potenziali per la parte datoriale che, da parte sua, non ha fatto nulla per cogliere in un quadro strategico più complessivo questa ulteriore possibilità d’azione. Al contrario le amministrazioni hanno lamentato la difficoltà a rifiutare ai richiedenti la concessione di questo nuovo regime e la complessità di gestire variazioni indipendenti dalla volontà datoriale nell’organizzazione del lavoro.
2.3 Le collaborazioni occasionali Le collaborazioni occasionali rappresentano un fronte di grandissimo interesse. Innanzi tutto questa è la forma di “lavoro atipico” certamente più diffusa sotto il profilo quantitativo. Al Comune di Milano e alla Provincia di Viterbo per esempio il numero delle collaborazioni si avvicina al 20 % del personale occupato. In realtà tale dato va depurato dei rinnovi e delle collaborazioni per importi modesti, ma rimane certamente significativo. In secondo luogo le collaborazioni sono difficilmente osservabili, come oggetto omogeneo, per almeno tre ragioni. •
Se osservate con una logica “verticale” le collaborazioni presentano almeno due tipologie. I professionisti che hanno un vero mercato del lavoro e che forniscono una collaborazione professionale alle amministrazioni. In questi casi la tariffa è negoziata, l’orario di lavoro non è stabilito, l’incarico viene comunque assegnato in modo diretto e senza selezione. Sono questi i casi di Brescia, dei professionisti alti della provincia di Salerno, della provincia di Viterbo. All’estremo opposto è il caso della Regione Campania, dei collaboratori di più basso profilo della provincia di Viterbo, dei collaboratori di Pomigliano. In questi casi l’autonomia della collaborazione professionale è quasi invisibile. La selezione è fatta con bando (eccetto Pomigliano dove è di indicazione politica), il criterio di selezione è quello formale, l’autonomia nell’organizzazione del lavoro è inesistente, la retribuzione è stabilita in modo unilaterale e spesso è inferiore a quella del lavoratore dipendente. Di fatto in questi casi si osservano situazioni più di tipo parasubordinato che di collaborazione professionale. Infatti non è raro in questi casi osservare una tendenza
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del lavoratore e anche dell’amministrazione alla stabilizzazione dei posti di lavoro. In questi casi molto più di una volontà di ridurre i costi tramite questo istituto sembra emergere una volontà di: a) favorire una occupazione diffusa secondo logiche non più proponibili tramite “posto fisso”
b) Creare corpi professionali di
cui si sente l’esigenza e difficilmente attuabili in modo rapido ed efficace c)Utilizzare la collaborazione come funzione di periodo di prova prima della stabilizzazione del posto, normalmente effettuata successivamente mediante concorsi “ad hoc”. Esistono poi realtà che presentano situazioni intermedie come quelle di Rimini in cui ad esempio la selezione avviene in modo discrezionale sulla base di curriculum, esiste un albo, le professionalità sono medio-alte, ma la relazione di inpiego è molto strutturata. •
Una seconda ragione che spiega la difficile lettura delle collaborazioni è di carattere “orizzontale” . Le collaborazioni sono di tutti i tipi e avvengono in ogni settore professionale dell’Ente. Sono nel settore tecnico, in agricoltura, nel personale, nei servizi sociali, nello sviluppo economico, all’anagrafe. Se si incrociano la dimensione della difformità “verticale” con quella “orizzontale” del settore di appartenenza sembra molto difficile poter parlare dell’istituto delle collaborazioni professionali in via generale. Esistono al contrario una babele di profili e realtà che rendono estremamente difformi gli obiettivi di impiego, le modalità di accesso, le relazioni di lavoro.
•
Una terza ragione di difficoltà è di tipo “organizzativo” . Se si eccettuano alcune realtà tradizionalmente attrezzate nella gestione del personale come Bologna o Rimini, le collaborazioni sono gestite direttamente dai settori. Non avviene così una omogeneità di relazione, una politica dei collaboratori e neppure un controllo complessivo delle quantità e dei costi. Questo fenomeno che in numerose amministrazioni riguarda migliaia di persone e che i casi mostrano come l’emergere di “un’organizzazione parallela” appaiono completamente fuori dal controllo dell’organizzazione e, in gran parte, dei sindacati.
Complessivamente sembra possibile evidenziare che salvo i professionisti di più alto profilo, gli altri collaboratori appaiono anche agli occhi degli stessi colleghi come “colleghi di serie B” , meno sicuri del posto, meno retribuiti e con minori diritti di
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partecipazione. Questo esercito di “lavoratori minori” appare più insicuro anche se più volenteroso e, in molte realtà, rappresenta una base sconosciuta su cui si reggono organizzazioni ormai incapaci di fare a meno di queste professionalità.
2.4 Il lavoro a tempo determinato. Anche nel caso del lavoro a tempo determinato sembra emergere una certa varietà di impiego. In generale viene considerato una formula sub-ottimale. Da un lato non garantisce la discrezionalità e la flessibilità delle collaborazioni e dall’altro non permette la valorizzazione e la stabilizzazione di un patrimonio che, una volta formato, rischia di essere disperso. Per questa ragione le amministrazioni più avanzate ritengono più adeguato, la collaborazione come forma di apprendistato e di selezione e il rapporto a tempo indeterminato, come modalità di stabilizzazione. Queste organizzazioni di medio-grandi dimensioni con una funzione di governo della mobilità sviluppata, ritengono utile disporre del personale più capace in modo indeterminato. Sembra invece interessante l’opzione adottata dal Comune di Bologna che utilizza in modo diffuso questo istituto per le funzioni dirigenziali. In questo caso ben un dirigente su quattro ha un rapporto di lavoro a tempo determinato. Le ragioni che hanno condotto Bologna a tale scelta sono di duplice natura. Da un lato introduce tramite questo meccanismo una forma ampia di spoil system e dall’altro stabilizza maggiormente alcune collaborazioni di consulenza, responsabilizzando tali figure con un ruolo formale di potere nella struttura organizzativa.
2.5 Cenni su altri istituti Alcune brevi considerazioni sono riferibili al lavoro interinale e al telelavoro. Il lavoro interinale sembra raccogliere molto interesse da parte delle amministrazioni. Ciò nonostante non viene ritenuto adeguato per i lavori di cura, tipici dei servizi sociali. D’altro canto molti servizi, ad altro valore professionale, prodotti dalle amministrazioni pubbliche, sembrano non particolarmente coerenti con le caratteristiche del lavoro interinale.
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Diverso è il caso del telelavoro. In questo caso non sembra assolutamente ritenuto utile dalle amministrazioni. Molto più delle opportunità vengono evidenziate le problematiche legate alle difficoltà di coordinamento e controllo delle prestazioni. Peraltro l’assenza di esperienze significative e diffuse è piuttosto eloquente al di là delle parole espresse dagli intervistati. ,OUXRORGHJOLDWWRULGLUH]LRQHGHOSHUVRQDOLHRUJDQL]]D]LRQLVLQGDFDOL
Nel quadro complessivo tratteggiato gli attori sembrano avere ruoli marginali e soprattutto non maturi rispetto allo sviluppo del fenomeno. Le direzioni del personale, fatto salvo alcune più evolute (Bologna e Rimini) non sembrano avere particolari strategie di governo. Le collaborazioni sono fuori controllo, gli istituti vengono utilizzati in modo indifferenziato e non esistono quadri organici di pianificazione dello sviluppo delle risorse umane. Complessivamente, le direzioni del personale non sembrano avere chiari obiettivi di gestione e sviluppo del personale entro cui collocare l’utilizzo degli istituti in una logica di leve sistemiche. Al contrario le direzioni amministrano gli istituti e nella maggior parte dei casi assicurano una copertura della correttezza formale degli atti. Non si può pertanto parlare, nonostante la rilevanza qualiquantitativa del fenomeno, di strategie di gestione del lavoro atipico. Molto spesso invece si osserva l’utilizzo degli istituti per aggirare i vincoli previsti dalle tradizionali forme di impiego che richiederebbero competenze di direzione non attualmente presenti. Infatti le nuove modalità concorsuali introdotte, il sistema di classificazione, i meccanismi di valutazione,
le nuove strutture retributive, offrono opportunità di
sviluppo reali al tradizionale rapporto di lavoro a tempo indeterminato. L’impiego di questi istituti richiede però sistemi di programmazione, strumenti di valutazione e selezione, modelli di relazioni sindacali non sempre presenti nelle amministrazioni. L’impiego delle forme flessibili di lavoro appare dunque anche come una via di uscita semplice per chi non intende affrontare una reale evoluzione del proprio ruolo di direzione. Non è casuale, sotto questo profilo, che il ricorso più massiccio e meno coerente avvenga proprio nelle realtà meno evolute e che l’indice di utilizzo, in questo caso non sia significativo di una reale propensione all’innovazione organizzativa. Le realtà più avanzate sono anche quelle che degli istituti fanno un uso selettivo e realmente coerente con le finalità per cui sono stati introdotti.
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Le organizzazioni sindacali sembrano piuttosto estranee alla partita. Solamente sono da segnalare alcuni accordi siglati nelle realtà più sviluppate nelle quali inizia anche a farsi strada la consapevolezza dell’emergere di una “organizzazione parallela”. Sembra evidente per le OO.SS l’esigenza di entrare maggiormente nel merito di queste diversità, anche perchè espressioni quali “organizzazioni parallele” o “lavoratori di serie b” rappresentano un disagio grave per il datore di lavoro, ma un segnale non meno importante per le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori. &RQFOXVLRQL
La ricerca ha messo in luce un quadro di grande vivacità. Il fenomeno del lavoro atipico sembra in pieno sviluppo e quantitativamente rilevante. In generale non esiste una vera strategia di gestione dello sviluppo professionale delle risorse in cui le amministrazioni collocano gli istituti. Al contrario le direzioni del personale e le organizzazioni sindacali sembrano impreparate ad una gestione consapevole. Non sembra molto evidente come le forme di lavoro flessibile rientrino in un disegno di innovazione delle politiche di gestione del personale. In particolare non si osserva una tendenza ad impostare un sistema di gestione complessivo capace di utilizzare in modo sinergico le nuove opportunità offerte sia per il lavoro contrattualizzato sia per il lavoro flessibile. Sembra invece un quadro a doppio binario fatto di due organizzazioni parallele. Esiste il mondo dei dipendenti contrattualizzati e a tempo indeterminato che prevede un modello di gestione fortemente regolamentato, in cui la discrezionalità appare ancora non accettata come criterio di gestione. In questo quadro le relazioni sindacali sono molto intense e lo spazio assunto dalle organizzazioni di rappresentanza del lavoro è molto ampio. In questo mondo, nonostante le novità contrattuali e normative, la continuità del paradigma tradizionale sembra molto radicato e presenta pochi motivi di discontinuità. A fianco di questo mondo esiste un’organizzazione parallela fatta di flessibilità, discrezionalità, rapporti di lavoro definiti in modo unilaterale. Questo modo parallelo è composto da una pluralità di forme, professioni e condizioni, non facilmente assimilabili una all’altra. Questo mondo è poco conosciuto e difficilmente osservabile perchè disomogeneo e per lo più fuori dal controllo delle OO.SS e delle stesse direzioni del personale. I singoli
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settori delle amministrazioni gestiscono le collaborazioni e non esistono politiche di sviluppo chiare. A differenza di quanto potrebbe accadere in altri contesti, non sembra essere questo il frutto di una intenzionale strategia di frammentazione del lavoro, ma l’esito di una cultura di gestione che stenta ad affermarsi. Si perpetua cioè rispetto a nuovi istituti un tradizionale approccio di amministrazione casuale dei singoli istituti. Esistono però anche alcune amministrazioni in cui il fenomeno appare più strutturato e gestito sotto il profilo strategico. In questi casi l’uso del lavoro flessibile è più selettivo: il rapporto a tempo determinato è impiegato per introdurre logiche di spoil system e per responsabilizzare dirigenti e consulenti; le collaborazioni professionali sono impiegate per profili medio alti e per realizzare periodi di prova per selezionare personale da stabilizzare; le figure operative tendono invece a scomparire e a trasformarsi in opzioni più complessive di outsourcing. Le realtà più evolute sembrano comunque preferire il rapporto a tempo indeterminato ritenendo fondamentale, nelle loro politiche, trattenere, valorizzare e sviluppare le risorse pregiate. Sembra cioè in questi casi attenuarsi la metafora dell’organizzazione parallela, mentre sembra più evidente un impiego strategico e focalizzato rispetto a specifiche figure professionali (dirigenti e professional) o a particolari stadi dello sviluppo professionale (l’inserimento in prova). Ciò che distingue queste seconde realtà dalle prime è una maggiore tradizione di direzione del personale e una presenza consolidata e matura delle relazioni sindacali. Queste realtà sono infatti quelle che meglio riescono a gestire il contratto di lavoro e che attenuano il fenomeno “dell’organizzazione parallela” perchè “ne hanno meno bisogno”. In definitiva si potrebbe affermare che meglio si gestisce il rapporto di lavoro tradizionale, minori sono l’esigenza di adottare forme di lavoro flessibile in modo indiscriminato e la propensione a creare “organizzazioni” parallele fuori dal controllo delle parti. Maggiore sembra invece in questi casi la propensione ad utilizzare in modo selettivo le forme flessibili e ad assicurare la coerenza tra finalità e strumenti. Queste osservazioni fanno emergere alcune ricadute sul piano delle sviluppo delle competenze degli attori. Più che fare crescere una semplice conoscenza diffusa sulle forme atipiche del lavoro, sembra fondamentale fare evolvere una cultura della direzione del personale e delle relazioni sindacali. E’ solo in questo modo che sarà
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possibile affiancare, a quelli tradizionali, questi nuovi istituti che se non collocati in un quadro di senso più articolato rischiano di creare problemi complessivi di gestione.
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