AMICI
Dei
Musei
VICENZA
RESTAURO DEL MONUMENTO AD ANDREA PALLADIO
a cura di Antonio Marangoni
VICENZA 2012
La Basilica Palladiana viene restituita ai vicentini e agli appassionati di arte di tutto il mondo dopo un lungo restauro. A Vicenza torna a brillare il suo gioiello più bello e rappresentativo in piazza dei Signori, il cuore della nostra città. All’ombra della Basilica sono stati cancellati dalla statua del suo creatore, Andrea Palladio, i segni del tempo con un efficace intervento di restauro. Stonava quell’immagine cupa del Palladio, con la pietra segnata dal logorio del tempo e annerita dalla polvere, a pochi metri dal monumento simbolo della città. Ora, grazie all’impegno dell’Associazione degli Amici dei Monumenti, dei Musei e del Paesaggio per la Città e Provincia di Vicenza, realtà che da oltre 60 anni offre un contributo fondamentale per la tutela del patrimonio artistico e paesaggistico del nostro territorio, la statua del Palladio è tornata alla bellezza originaria. Le migliaia di visitatori attesi a Vicenza per la riapertura della Basilica restaurata e per la grande mostra Raffaello verso Picasso al suo interno, hanno finalmente la possibilità di osservare scolpita nella pietra la figura nitida del grande architetto le cui opere sono state dichiarate Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco. E per questo va il ringraziamento mio, dell’Amministrazione comunale e della città all’Associazione e al Club Lions Vicenza Host che hanno dimostrato ancora una volta quanto sia utile e virtuosa la collaborazione tra pubblico e privato per promuovere l’arte e la cultura. Achille Variati Sindaco di Vicenza
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AMICI
Dei
Musei
VICENZA
All’appuntamento dell’inaugurazione della Basilica restaurata e della grande mostra “Da Raffaello a Picasso” la statua dell’autore delle logge, Andrea Palladio, posto quasi a vigilare sulla sua opera nella contigua piazzetta omonima, non poteva presentarsi nel suo stato di degrado. Pronta quindi è stata la risposta dell’Associazione Amici dei Monumenti, dei Musei e del Paesaggio per la Città e Provincia di Vicenza che, coerentemente con le sue finalità statutarie e la sua tradizione di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio artistico, grazie alla collaborazione di Arcart srl di Xavier Robusti e degli Uffici Tecnici Comunali insieme con la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici, si è assunta l’impegno di riportare allo splendore originario l’opera realizzata dallo scultore romano Vincenzo Gajassi nel 1859. Anche allora l’onere finanziario fu sostenuto da un antesignano “amico dei monumenti”, il vicentino Francesco Bressan. Il restauro di un’opera comporta sempre anche una sua riscoperta dal punto di vista storico-artistico che merita di essere opportunamente documentata e adeguatamente divulgata. Per il conseguimento di questo obiettivo all’Associazione si è unito il Club Lions Vicenza Host che ha sostenuto l’onere finanziario della pubblicazione: un’esemplare sinergia tra due istituzioni che hanno a cuore il patrimonio artistico della loro città. La brochure, curata da Mons. Antonio Marangoni, direttore degli Archivi della Diocesi, cui va la nostra gratitudine, viene offerta ai vicentini e ai turisti, affinché, insieme con le architetture palladiane, possano apprezzare anche coloro che, nel corso dei secoli, hanno reso omaggio al loro artefice e ne traggano esempio. Mario Bagnara Presidente dell’Associazione Amici dei Monumenti e del Club Lions Vicenza Host 2
GIOVANNI BUSATO, Ritratto di Francesco Bressan, Pinacoteca Palazzo Chiericati
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FRANCESCO BRESSAN (1785-1868) Podestà di Vicenza (1851-1852) e committente del monumento ad Andrea Palladio Francesco Bonaventura Bressan nacque a Vicenza il 14 luglio 1785 da Giuseppe e Teresa Perancin, rampollo di una agiata famiglia di mercanti stabilitasi da parecchio tempo in Città. Il nonno Francesco aveva avuto quattro figli: nel 1750 Giuseppe, padre del nostro, Anna Maria nel 1752, Pietro nel 1755 e Orsola Giovanna nel 1760. L’ambiente commerciale di famiglia non assicurò una educazione colta al giovane Francesco, ma grazie alla sua indole curiosa egli seppe comunque emergere dalla mediocrità, sviluppando le facoltà naturali di cui era dotato. Amante di tutto ciò che è bello, divenne esperto di arte, di musica e di danza. Appresa egregiamente la lingua francese, si avvicinò alla letteratura facile dei suoi tempi, sfondando le barriere che allora separavano i ceti civili ed entrando nei circoli eletti ed elevati della città berica. Non era avvenente nell’aspetto fisico, anzi basso di statura e secco, tuttavia attirava grande simpatia per il garbo e la battuta di spirito, riscuotendo successo soprattutto con il pubblico femminile, anche se egli mai si sposò. Passò la giovinezza fra le feste e la caccia, frequentando il bel mondo e interessandosi di tanto in tanto degli affari di famiglia. La condizione benestante gli permise di viaggiare moltissimo: Francesco Bressan in sei lunghi viaggi visitò quasi tutta l’Europa, fatta eccezione solo per la Russia ed il Portogallo, lasciando importanti e dettagliate relazioni, conservate dalla Biblioteca Bertoliana ma ancor oggi inedite. Argomento ricorrente di questi diari sono le Belle Arti alle quali, sebbene ignaro dei principi teorici, era portato da un istinto suo proprio che lo faceva giudice intelligente della buona pittura e della buona scultura. Si riporta qui un breve brano tratto da Un viaggio in Ispagna nel 1845: “22 Maggio. Uscendo da Bayona il primo tratto di strada è dilettevole; si costeggia l’Oceano, si vedono ridenti colline; ma dopo alcune leghe si viaggia continuamente in mezzo a montagne … Proseguendo si arriva ad Astigazzaga, piccola borgata, perché le diligenze spagnuole – a quanto mi vien detto – non viaggiano di notte per tema dei malandrini.
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Si parla qui un idioma che non è né spagnuolo né francese: è figlio spurio, credo, delle due lingue, fratello del guascone e del basco. Ai confini ci avevano consegnato a una guardia armata di due schioppi, stiletti ed alquanta munizione. Lo chiamano lo “escopettero”. Rimessoci in viaggio abbiamo una strada orribile: sempre montagne altissime. Si attaccano talvolta alla carrozza fino a 10 mule e 4 buoi, e non ne abbiamo meno di otto, miste, secondo i casi, a qualche cavallo. Il paese che si percorre è misero, in parte scarso di popolazione. Vi si rimarcano le tracce di una lunga guerra civile …”. La fortuna del Bressan derivava dal fatto di essere figlio unico e di aver ereditato, in età matura, anche l’ingente patrimonio dello zio Pietro, pure celibe, morto nel 1836. Acquistò l’Ospizio detto la Commenda, appartenuto all’Ordine dei Cavalieri di Malta, e nel 1842 lo ristrutturò radicalmente, dandogli l’aspetto di un edificio neoclassico e destinandolo a propria elegante dimora di campagna circondata da parco. La villa fu adibita ad ospedale da campo da parte delle truppe austriache nelle terribili giornate del giugno 1848, data la vicinanza ai luoghi dei furiosi combattimenti. In quegli anni Francesco Bressan iniziò a partecipare alla vita pubblica di Vicenza, facendo ingresso nelle cariche cittadine quale membro della Commissione di pubblica Beneficenza e del Consiglio Comunale. Memorabile un gesto di prodigalità, e non fu l’unico, che lo rese popolare tra la cittadinanza: rinunciò a favore della Pia Casa, di cui era presidente, ad un legato di 1.000 colonnati (monete d’argento spagnole) lasciatogli da un suo congiunto, il dott. Lorenzo Doni. Dopo il ritorno degli Austriaci nel travagliato 1848, fu chiamato dal voto dei concittadini a reggere il Comune come Podestà, dal 26 novembre 1851 al 18 giugno 1852, unico non nobile fino all’annessione all’Italia. Il motivo delle dimissioni inaspettate fu l’indignazione causata dalla pesante censura dell’Austria, che egli non riuscì ad evitare, in occasione della solennità del Corpus Domini, festa molto cara alla comunità vicentina, che cadeva giovedì 10 giugno, come riferisce lo storico Francesco Formenton. La città aveva già allestito, come da tradizione secolare, la Ruota, ferma dal 1847, si erano fatti i preparativi
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per il palio, erano stati realizzati i palchi in Corso per gli spettatori. L’8 giugno era tutto pronto ma, a sorpresa, giunse un ordine del maresciallo Radetzky di smontare la Ruota e di sospendere ogni altro spettacolo della festa imminente, per commemorare il sacrificio dei soldati austriaci morti nella riconquista di Vicenza il 10 giugno del 1848. La sorte volle che la mattina della festa piovesse e che non si facesse neanche la processione in cattedrale per divieto del vescovo Mons. Cappellari, il quale fece trasportare la celebrazione alla domenica seguente. Francesco Bressan, comunque, rimase nell’Amministrazione ricoprendo altri incarichi. In qualità di assessore, il 29 luglio 1856 così scriveva alla Congregazione Municipale di Vicenza: “ È comunemente sentita in questa nostra città la mancanza di un monumento alla memoria di ANDREA PALLADIO, anco perché quello eretto per disposizione del benemerito e desideratissimo nostro concittadino Girolamo Egidio Conte di Velo nel comunale cimitero, serve piuttosto a decoro del sito e della tomba, che ad onorare specialmente quella nostra patria celebrità. Ed infatti le statue ed altri oggetti d’arte destinati a tale scopo, voglionsi collocati in luogo di libero e facile accesso. Ora vien detto che il progetto da altri esposto fino dallo scorso anno per la erezione di un monumento al Sommo Architetto, sulla Piazza dell’Isola, non possa aver luogo, ed anzi riesca, se non d’impossibile, almeno d’improbabile esecuzione. Qualora questa Onorevole Congregazione potesse assicurarmi che l’Autore di quel progetto vi avesse spontaneamente rinunziato, io mi permetterei per supplire in qualche modo al difetto, di far lavorare a mie spese la statua del PALLADIO, ed offrirla al Comune di Vicenza, perché fosse eretta nella Piazza Grande di questa nostra città; riservandomi d’indicare in seguito la qualità della materia, cioè se in marmo od in bronzo, il nome dell’artista, il sito ed il giorno in cui intenderei che fosse collocata. Mi riservo anche di far conoscere i motivi che mi determinerebbero a scegliere la Piazza Grande anziché quella dell’Isola.
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Supplico pertanto riverentemente questa Municipale Rappresentanza, nel caso che credesse di accettare la mia offerta, di parteciparmelo; e di sentire, in quanto lo credesse opportuno, le Commissioni alle Cose Patrie ed all’Ornato, delle quali mi sarebbe graditissima una opinione sull’argomento”. Le autorità cittadine accolsero con entusiasmo l’offerta, cosicché egli commissionò l’esecuzione dell’opera allo scultore romano Vincenzo Gajassi, il quale la realizzò tra il 1858 e il 1859. Fatta giungere a Vicenza nel giugno del 1860, fu posizionata su alto basamento nella Piazzetta della Ruota ed inaugurata il 27 luglio 1861. Nel frattempo Francesco Bressan aveva rinunciato al seggio in Comune, poiché era iniziata per lui una sequenza di malanni fisici che lo avrebbero tormentato per la lunga stagione autunnale della vita. Fu seguito e curato da un amico paziente e premuroso, il medico dott. Antonio Sandri, che più volte lo salvò in extremis, anche durante alcune crisi notturne. Nel corso dell’esistenza Bressan mantenne relazioni con personaggi di fama internazionale come il celebre compositore Gioacchino Rossini, il sopranista Giovanni Battista Velluti, considerato l’ultimo grande evirato cantore, il chiarissimo abate Melchiorre Missirini, poligrafo ed esperto studioso di Dante, il conte Cambray-Digny, padre di Luigi, ministro delle Finanze del Regno d’Italia dal 1867 al 1869, ed ancora il Procuratore alla Corte Reale di Parigi, il signor Partarrieu Lafosse, suo compagno in tanta parte dei viaggi per l’Europa. Dal Governo sabaudo fu decorato per i suoi meriti con la croce dell’Ordine cavalleresco dei SS. Maurizio e Lazzaro. Morì per una “paralisi polmonare” a ottantatré anni il 17 settembre 1868 alle due di notte, nel suo palazzo di città situato in Via S. Giuseppe, e il 19 si officiarono i funerali nella chiesa di S. Michele ai Servi. Nel testamento nominò eredi dell’ingente patrimonio numerosi parenti, primo fra tutti Giulio Breganze, il quale fece erigere nella cappella principale del cimitero maggiore una lapide in memoria del benemerito cittadino e proprio benefattore.
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Disegno del Monumento presentato alla Commissione all’Ornato del Comune 8
IL MONUMENTO AD ANDREA PALLADIO (1859) eretto in Piazzetta Palladio Le prime notizie sulla volontà di erigere a Vicenza un monumento ad Andrea Palladio, l’architetto che aveva reso famosa la città in tutto il mondo, risalgono al Consiglio Municipale del 23 marzo 1831, sotto la guida del podestà Andrea di Valmarana. Si ipotizzava di innalzarlo nella Piazza dell’Isola (l’attuale Piazza Matteotti) perché vi si affacciavano due sue opere insigni: il Teatro Olimpico e il Palazzo Chiericati, poi sede del Museo Civico. Le discussioni si protrassero per decenni e portarono nel frattempo alla realizzazione di un monumento funebre nella cappella principale del cimitero maggiore, scultura marmorea di Giovanni De Fabris eseguita nel 1845 e finanziata dal conte Girolamo Egidio di Velo. Non si trattava, comunque, di un monumento nel senso pieno del termine, in spazio pubblico aperto. Dopo l’ennesimo progetto presentato nel 1855, il 29 luglio 1856, in veste di assessore, Francesco Bressan offriva questa opportunità al Comune di Vicenza, pur riservandosi la scelta del materiale, dell’artista e il luogo dove posizionarlo. Il podestà Gaetano di Valmarana, a nome della Congregazione Municipale, rispose tempestivamente alla proposta in data 2 agosto, con la seguente lettera: “Nessuna cosa può meglio corrispondere al desiderio dei Cittadini tutti, che la statua del PALLADIO eretta in un pubblico luogo di questa Città in onore dell’illustre architetto, ad ammirazione ed esempio universale, ed eziandio a decoro ed abbellimento del luogo medesimo. Il Municipio deve quindi con animo riconoscente accettare l’offerta da Lei fatta nella sua Istanza 29 luglio testé decorso, potendola assicurare che l’Autore del Progetto esposto nel passato anno nelle Sale del Museo, ha già spontaneamente e per iscritto rinunciato perfino alla idea di poterlo eseguire. Il Municipio assai apprezzando il desiderio lodevolissimo ch’Ella sente di regalare il proprio Paese d’un distinto oggetto d’arte, facendo in 9
pari tempo cosa utile ed a tutti aggradevolissima, non può nemmeno dubitare che la scelta del luogo possa mai frapporre impedimento di sorta, tanto più che sulla scelta medesima il Municipio può bene fidarsi al conosciuto di Lei buon gusto saggiamente attemperato alla convenienza ed opportunità pubblica. Perciò, ov’Ella abbia deciso positivamente il luogo in cui vuol collocata la statua, e formato il disegno, vorrà essere così gentile di farlo conoscere a questa Commissione dell’Ornato, la quale già fin d’ora interpellata dichiarò di non potersi pronunciare, se prima non le siano offerti gli estremi sui quali solo può basare un giudizio. Voglia intanto, Pregiatissimo Signore, accertarsi della gratitudine pubblica a cui la generosa sua offerta tanto dà diritto”. Sabato 17 gennaio 1858 si tenne un incontro in municipio tra il podestà Valmarana, gli assessori Guido Piovene, Mariano Fogazzaro e Fedele Lampertico, il dott. Francesco Secondo Beggiato membro della Commissione delle Cose Patrie, l’ing. Luigi Dalla Vecchia membro della Commissione all’Ornato e Francesco Bressan. Costui, ricordando come da lungo tempo progettava di far erigere un monumento ad Andrea Palladio, espose che inizialmente lo immaginava in mezzo alla Piazza dell’Isola, ma che poi ne era stato dissuaso sia per la vastità del luogo, sia per le sue condizioni precarie. Era stato invece consigliato dallo scultore Gajassi, scelto da lui come autore dell’opera, di innalzarlo in Piazza Grande, davanti alla Loggia del Capitaniato o in fondo, tra la Piazzetta della Ruota e la Strada dei Giudei, lasciando un passaggio di tre o quattro metri. I rappresentanti del Comune si dichiararono favorevoli alla proposta, notando come la fronte del palladio si sarebbe in tal modo rivolta verso la Basilica. A quel punto Bressan presentò due disegni del monumento, che si sarebbe realizzato in marmo ravaccione sopra un piedistallo ottagonale, della misura complessiva di circa sei metri d’altezza: nel primo le facce del basamento erano semplici e sopra un solo gradino, nel secondo sopra tre gradini e un bassorilievo di statuette allusive avrebbe decorato le facce del basamento. La Commissione apprezzò entrambe le ipotesi, dando preferenza alla soluzione dei tre gradini e alla decorazione con bassorilievi. 10
Bressan rassicurò che avrebbe dato le indicazioni raccolte allo scultore Vincenzo Gajassi di Roma e che la statua sarebbe stata recapitata a Vicenza entro l’estate del 1859, senza nessun aggravio per la città. Seguirono le firme di tutti gli intervenuti. Ottenuta l’approvazione, il committente diede subito ordine di iniziare il lavoro e dopo qualche mese lo scultore chiese istruzioni sulle scritte da applicare al basamento. Bressan si confrontò allora col dotto ed autorevole canonico Pietro Marasca che, in data 5 aprile 1858, così gli significava: “Pregiatissimo Signor Francesco, ho veduta ed esaminata l’Iscrizione ch’Ella intende di porre sul monumento Palladiano, e parmi che fatta qualche leggera modificazione, essa risponda bene al proposito suo, e all’esigenze dell’Arte. Dunque sulla faccia dinanzi del Piedistallo potrà mettere in carattere molto grande: ANDREA PALLADIO; e sulla faccia posteriore in lettere nuciali le parole: FRANCESCO BRESSAN DONAVA ALLA PATRIA MDCCCLIX. Io stimo che questa semplice Iscrizione dovrà parere agl’intelligenti più di qualunque elogio fattibile a PALLADIO, universalmente famoso. Qui viene espresso né più né meno di quanto è necessario a sapersi: che s’Ella bramasse (e ciò mi par naturale) di far conoscere anche il nome dell’Artefice, questo dovrebbesi collocare nel zoccolo della statua, di che abbiamo infiniti esempij com’Ella sa. Riceva, Egregio Signore, le mie sincere congratulazioni per sì bella e generosa opera, e mi comandi senza risparmio. Di Lei Devoto Servo ed Amico don Pietro Marasca, canonico”. A fine dicembre 1859 il monumento era ultimato per cui bisognava provvedere al trasporto, assolvendo anche a tutte le procedure burocratiche e al pagamento dei dazi esistenti tra gli Stati italiani pre-unitari. Il prezioso involucro, esentato comunque da dazi, giunse a Vicenza nel giugno del 1860 e fu depositato nei magazzini del palazzo municipale. Il 28 del mese il facente funzione di podestà Giovanni Testa, uomo coinvolto col governo austriaco, convocò in municipio per una verifica Francesco Secondo Beggiato, Clemente Barbieri, Carlo Balzafiori, Giovanni Battista Cita, Luigi Dalla Vecchia, Jacopo Cabianca, Francesco Bressan e Antonio Lovise. 11
Ma bisognò attendere la seduta del Consiglio Comunale del 20 marzo 1861 perché si desse relazione del sopralluogo: “Alla presenza della Commissione alle Cose Patrie, della Deputazione all’Ornato, del Municipio, del Donatore, e di altri intelligenti, furono nel giorno 28 Giugno p. p. aperte le Casse che lo contengono, e per quanto lo permisero gl’ingombri dei puntelli e delle Casse, fu ammirata la grandiosa opera, e fu riconosciuto che in nessuna parte del Monumento esistevano guasti o lesioni, e che furono dall’Artista adempiute tutte le condizioni del Contratto. E fu in questa occasione che il generoso Donatore, il quale prima avea data la condizione che il Monumento fosse posto sulla Piazza Maggiore, facendo nuovo atto di abnegazione e di deferenza, annuì alle preghiere delle Commissioni, ed assentì che il collocamento abbia luogo nella Piazzetta minore a ponente della Basilica, fra essa cioè ed il Portico di Rampo”. Per l’erezione del monumento si stabilì che toccava al Municipio la spesa delle fondazioni e della collocazione del basamento, per un ammontare di 3.500 lire austriache. Inoltre veniva precisato: “E siccome poi l’Artista Sig. Gajassi officiato dal Sig. Bressan, aderì di trovarsi presente all’innalzamento della Statua, così dipenderà dalla possibilità più o meno vicina della sua venuta, l’allogare la Statua stessa lasciando scorrere a suo giudicio quel tempo, che troverà necessario per l’asciugamento e consolidamento della base”. Il Consiglio Municipale approvò con 14 voti favorevoli e 2 contrari. Infine il 26 luglio, dopo avere atteso invano che lo scultore giungesse in città, il cav. Giovanni Testa informava Francesco Bressan che l’opera sarebbe stata scoperta completamente in quella notte, senza però avere un’inaugurazione ufficiale. Ecco il passaggio fondamentale del testo: “… La presente poi è diretta a darle notizia, che in questa notte viene levata la sbarra, ed ogni impedimento per modo, che domani sarà scoperto al pubblico sguardo il cospicuo dono, mancante solo della ringhiera di ferro che deve proteggerlo all’ingiro, perché non può essere compiuta se non più tardi. Il Municipio vi sostituirà frattanto una barriera di legno, e farà continuamente sorvegliare a che non sia recato danno od oltraggio al Monumento, che manderà ai posteri venerata la di Lei memoria. 12
Spiace che questo fatto non possa essere accompagnato da una festa cittadina che le sarebbe ben dovuta, ma la Sua modestia sarà più che contenta, che gli animi sentano quello che non è permesso sempre di esprimere … ”. L’atteggiamento ipocrita dei vertici comunali, probabilmente condizionati dal governo austriaco poco indulgente verso la città e il suo expodestà, non sfuggì allo scrittore Francesco Formenton che, nelle sue Memorie storiche di Vicenza edite nel 1867, cioè appena sei anni dopo, scriveva: “Abbiamo pur detto che il generoso concittadino Francesco Bressan avea nell’anno 1857 commessa la statua di Palladio al romano scultore Vincenzo Gajassi. Quel marmoreo simulacro veniva alzato sul piedistallo il giorno 19 giugno 1861, presso la basilica. Nel 27 luglio di notte fu scoperta la statua. E perché nelle tenebre? …”. Finalmente nel settimanale romano Varietà illustrate del 1859 apparve un degno articolo a firma di Q. Leoni dedicato al monumento palladiano, che descrive mirabilmente l’opera scultorea e merita di essere almeno parzialmente riportato: “… Così il monumento a PALLADIO immaginato dal Gajassi non è altro se non una statua ed un piedistallo. Ma l’uno e l’altra sono veramente monumentali. Il basamento è un ottagono, i cui quattro specchi dei lati portano appese corone di quercia e d’alloro a simboleggiare la solidità e l’eleganza, onde principalmente si pregiano l’architetture del PALLADIO, e queste corone si aggruppano cogl’istrumenti più adoperati dagli architetti. Nella faccia anteriore sta scritto il titolo, e nella posteriore la dedica del monumento. Il descritto basamento s’innalza sopra tre gradini, e su di esso poggia la statua colossale di PALLADIO, che rappresentasi alleggiato come chi abbia afferrata l’idea per sviluppare ed attuare un grandioso concetto. Ha rivolta la faccia verso la basilica (ché così vien chiamato volgarmente il palazzo della Ragione a Vicenza); e quando sarà collocata al suo posto, sembrerà che tenga fisso lo sguardo in quelle logge, le quali saranno sempre il più bel monumento della sua gloria: una mano tiene al mento, come appunto fa chi si raccoglie in profonda meditazione; 13
coll’altra sostiene le seste ed un rotolo di disegni, in taluno dei quali, alquanto spiegato si possono vedere segnate le linee delle logge suddette. Appiedi gli sta un capitello mutilato d’ordine ionico, come quelli che ammiransi nel secondo piano del teatro di Marcello, e vi sta a significare che il grand’uomo studiò, e molto, gli antichi avanzi; i quali se oggi vanno meno in rovina, molto nondimeno vi andavano all’epoca in cui viveva il PALLADIO, tal che oltre la fatica propria dello studio, doveva pur durar quella di aggirarsi fra dumi e macerie, fatti nido ancora di rettili immondi, per disseppellire qualche nobile frammento, o misurare qualche atterrata colonna, miseri avanzi di stupendissimi monumenti: e questo indica il serpe che striscia sul capitello accennato. Riguardo al ritratto del PALLADIO, lo Scultore ne trasse i lineamenti dal busto che si vede fra gli altri degli uomini illustri nella protomoteca capitolina, come quello che è più volgarmente conosciuto: le fogge del vestire son quelle del secolo decimosesto nella sua metà; il maggior partito cercò trarlo lo Scultore dal grandioso mantello, che usavasi a quel tempo … La statua del PALLADIO uscita dalle mani d’uno scultore romano sarà pur simbolo di quella fratellanza nel genio e nella gloria, che stringer deve come sorelle le città tutte d’Italia. L’esempio dell’onorevole Bressan sia stimolo pei facoltosi ad impiegar parte delle loro dovizie in opere di pubblica utilità ed ornamento, le quali mentre sieno una benintesa protezione alle arti, servano pure ad onorare la memoria dei sommi, e destarne nei posteri l’emulazione …”.
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VINCENZO GAJASSI (1811-1861) scultore del monumento ad Andrea Palladio Dal Dizionario Biografico degli Italiani si ricavano le notizie riguardanti la vita e l’opera di Vincenzo Gajassi, scultore rinomato dell’Ottocento romano, nato nella capitale dello Stato Pontificio nel 1811. Esordì giovanissimo come incisore, tra il 1826 e il 1827, realizzando una trentina di tavole illustrate collegate al libro La Secchia rapita di Alessandro Tassoni, a imitazione del più famoso Bartolomeo Pinelli. Vincenzo era legato d’amicizia con quest’ultimo, pur non seguendone lo stile artistico, quanto piuttosto l’anticonformismo e lo spirito scherzoso “se è vera la notizia, riportata dal Silvagni (1883-85), che egli fosse a capo di una banda di artisti, a cui si univano giovani rampolli della ricca borghesia e della nobiltà, dedita a burle di ogni sorta: legare le carrozze all’uscita dei teatri, simulare incendi, o tingere in nero il cavallo bianco di qualche elegante”. Gajassi ebbe maggiore fortuna nel 1832 con la pubblicazione delle Notti romane di Alessandro Verri e nel 1833 partecipando alla realizzazione di Scene di società ossia Piacevole collezione di… illustrazioni desunte dagli umani costumi, timido tentativo di satira sociale della Roma contemporanea, opera di vari artisti tra cui il Pinelli. Nello stesso anno il nostro iniziò una serie, continuata fino al 1835, sulla Storia della Grecia moderna dal 1803 al 1832, raffigurante alcuni degli episodi più crudeli e sanguinosi della lotta di liberazione dai Turchi, di cui si conservano solo dieci tavole, probabilmente per ragioni di censura. Di certo per tale motivo si dedicò, subito dopo, ad illustrare I martiri ovvero Il trionfo della religione cristiana, di Chateaubriand (1834-35), libro gradito alle autorità pontificie. Da quel momento in poi lavorò quasi esclusivamente nella scultura, di cui primo e principale committente fu il principe banchiere Alessandro Torlonia, il quale aveva cominciato nel 1833 la ristrutturazione e l’abbellimento del proprio palazzo in Piazza Venezia e della propria villa su Via Nomentana, oltre alla costruzione della cappella funebre di famiglia in S. Giovanni in Laterano. 15
Gajassi partecipò a tutti e tre i cantieri ma, purtroppo, molte sue opere sono andate disperse o perdute, dato che il palazzo fu smantellato e distrutto tra il 1901 e il 1902, mentre la villa venne deturpata da atti di vandalismo in anni più recenti. Si ha notizia di quaranta lastre di marmo che ornavano il pavimento dell’atrio del palazzo, incise e intarsiate di piombo e di otto medaglioni, non è chiaro se di stucco o di marmo, con altrettante figure allegoriche. Tra il 1835 e il 1836 eseguì la scultura di marmo di una delle nove Muse che insieme con un Apollo ancora ornano le nicchie di una sala di villa Torlonia; del 1837 il grande timpano di terracotta che abbellisce il frontone del Tempio di Saturno nel parco della villa; del 1840 trentacinque bassorilievi in stucco che decoravano villa Torlonia presso porta Pia, completamente distrutta da un attentato nel dopoguerra. Nel 1841 allestì una colonna, sul modello della Traiana, con dipinti sul fusto in finto bassorilievo narranti fatti della vita di papa Gregorio XVI. Opere sue sono pure il busto in marmo di Benvenuto Cellini della Protomoteca capitolina e quello di Andrea Doria a palazzo Doria-Pamphilj al Collegio Romano, di cui una replica è conservata in Campidoglio. Tra le opere di cui non si ha più traccia: un bassorilievo raffigurante Napoleone “che vede in sogno le ombre di tutti coloro che per lui furon morti”; due versioni della progenitrice Eva; una statua al naturale a tutto tondo della Madonna di S. Sisto di Raffaello e una statua colossale di Socrate, entrambi, quest’ultime, spedite a Varsavia. Nel 1846 scolpì il Monumento funebre di Caterina Maria Bryant, morta a diciannove anni poco dopo il matrimonio col principe Borghese, situato nella chiesa romana di S. Isidoro. Del 1858 è un altro monumento funebre, quello del marchese Enrico Forcella, eseguito per la chiesa dei cappuccini di Palermo. La sua ultima e più importante opera è il Monumento a Palladio del 1859, collocato accanto alla Basilica di Vicenza in Piazza dei Signori, commissionatogli da Francesco Bressan e da costui donato al Municipio della città. Vincenzo Gajassi non poté presenziare all’inaugurazione dell’opera avvenuta il 27 luglio 1861, perché gravemente malato. Infatti morì a Roma il successivo 20 ottobre.
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Particolari del Monumento prima e dopo il restauro
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INTERVENTO DI RESTAURO Il restauro del Monumento ad Andrea Palladio, commissionato dall’Associazione Amici dei Monumenti di Vicenza, è stato un intervento di tipo principalmente conservativo. Dopo aver ottenuto le autorizzazioni da parte del Comune di Vicenza e della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Verona, l’impresa di restauro Arcart srl ha iniziato i lavori . L’insieme dei dati e delle informazioni raccolte dalle analisi a vista e da quanto emerso in laboratorio, ci ha permesso di configurare una anamnesi accurata sullo stato di degrado. A seguito di diverse e scrupolose valutazioni sullo stato complessivo dell’opera e, tenuto conto della necessità espositiva della stessa, si è optato per un trattamento biocida della pellicola litica, per seguire poi ad una pulitura mirata di tutto l’apparato, la risarcitura di alcune lacune e l’applicazione di un protettivo biocida. Risultava indispensabile, dopo una diffusa ispezione della superficie e preso atto della sinergia dei fattori fisici e chimici, i quali avevano determinato un degrado importante e vasto, ridonare un aspetto dignitoso ma rispettoso delle trasformazioni naturali considerando la collocazione nell’ambiente spazio temporale. Sulla base delle informazioni ricavate dallo stato di degrado, sono state eseguite delle prove di pulitura per verificare il metodo più idoneo e meno invasivo. Dopo una pulitura superficiale molto delicata e ben controllata, lo strato di sporco superficiale, caratterizzato principalmente da deposito pulviscolare di natura organica (polveri, pollini, guano, resine), è stato rimosso mediante mezzi meccanici quali pennelli in setola morbida. Successivamente sono stati eseguiti dei test con biocidi specifici per colonie algali e muschi. Il trattamento biocida, valutato con l’esecuzione di campionature, ha permesso di individuare come idoneo il Biotin. Preventivamente la superficie è stata inumidita per riattivare il ciclo vitale dei licheni e dopo un paio di giorni si è provveduto all’applicazione del prodotto steso a pennello, con una percentuale dell’1%. 18
Passati quattro giorni dall’applicazione, si è passati alla rimozione meccanica eseguita delicatamente mediante spazzolini con setole di nylon rimuovendo i primi strati di alghe. Poi si è provveduto a ripetere il trattamento in maniera localizzata sulle parti in cui persisteva il fenomeno biologico, con una percentuale superiore, pari al 3%. Tra un trattamento e l’altro la superficie non è stata mai risciacquata, questo per permettere al biocida di poter interagire con la superficie stessa. Nel frattempo è avvenuto il naturale fenomeno di alterazione cromatica dei licheni che da verdi hanno assunto un colore tra il giallo e l’arancione. Le zone ancora una volta sono state trattate applicando il biocida ad impacco, con supportante la polpa di carta, isolandole con della pellicola trasparente e lasciandole così per un paio di giorni. Alla fine del trattamento tutta la superficie è stata trattata con acqua demineralizzata e sono stati rimossi i licheni manualmente con specilli. La pulitura di tutta la superficie è stata eseguita con una soluzione di carbonato d’ammonio in percentuale pari al 10% in acqua demineralizzata, lavorandola con un pennello a setole morbide e tamponando le eventuali colature con una spugna morbida. Questo primo trattamento risultava insufficiente alla rimozione delle molte macchie scure ancora presenti, si è optato perciò all’applicazione di un impacco di carbonato d’ammonio saturo, miscelato in polpa di carta e sepiolite, con un tempo di contatto di un’ora e successivo risciacquo di tutta la superficie con acqua demineralizzata. A bisturi successivamente sono state rimosse le concrezioni cementizie presenti sulla superficie. Le stuccature sono state eseguite con una malta composta di calce bianca, polvere di marmo (calcio carbonato micronizzato) con un rapporto legante inerte di 1: 3. Le medesime sono state poi velate con un colore ad acquerello per accompagnarle alla cromia del manufatto. Infine, per scopo conservativo, la statua è stata ricoperta con applicazione di un protettivo a base di silicato di etile steso a pennello sino a rifiuto. Xavier Angelo Robusti restauratore 19
Particolari del Monumento prima e dopo il restauro
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Fonti documentarie: Archivio Comunale di Vicenza Biblioteca Bertoliana Archivio Diocesano di Vicenza Laboratorio di Restauro: Arcart srl, Montecchio Maggiore (VI) Tipografia Stella srl, Sarego (VI) Settembre 2012