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Immobiliare Italia
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International review of macrotrends
RES 10
Excellence in moving Real Estate to fund management
Real estate Economy Society
Sommario 01. La città si tinge di verde 02. Innovare conviene
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01. La città si tinge di verde
In Europa e nel mondo nascono quartieri pilota pensati per l’ambiente
RES
di Giuseppe Roma (Censis)
Le pagine di questo numero di Res sono dedicate al tema della dimensione urbana della sostenibilità. Le riflessioni sullo sviluppo sostenibile hanno ormai una storia lunga alle spalle (il rapporto Brundtland è del 1987), e non vi è dubbio che, a fronte di un concetto ormai fortemente pervasivo e persino inflazionato, vi è un certo pericolo di sconfinare nella retorica. LA CULTURA AMBIENTALE FATICA AD ENTRARE NEI PIANI DI GOVERNO
Del resto la misurazione dei cambiamenti effettivi (sul fronte dei rifiuti, delle emissioni di gas serra, del consumo di suolo, del risparmio energetico, ecc) mostra che rispetto agli ambiziosi obiettivi di tanti piani e programmi si registra un certo ritardo. Tra le cause vi è al fondo una difficoltà a far diventare la cultura della sostenibilità come un caposaldo dell’azione di governo, un indirizzo politico forte su cui coagulare il consenso, e da tradurre poi in atti concreti e coerenti. E’ necessario quindi un cambiamento culturale rilevante, anche perché per attuare credibili strategie su questo terreno occorre una progressiva e consapevole modificazione delle preferenze collettive, nella direzione di una complessiva discontinuità rispetto ai trend consolidati.
LE ULTIME CATASTROFI NATURALI E NUCLEARI IN AIUTO ALLA SVOLTA
La sensazione è che le riflessioni recenti seguite alla più grave crisi economico-finanziaria del secondo dopoguerra, e ad alcuni shock ambientali planetari (dal disastro petrolifero del Golfo del Messico all’emergenza delle centrali nucleari giapponesi), potrebbero dare una spinta importante verso la ricerca di un modello di sviluppo che tenti di ricreare un maggiore equilibrio tra uomo e natura, tra produzione e ambiente, tra consumo e riserve. Tali criticità possono cioè diventare fattori di accelerazione non solo per una presa di coscienza effettiva della necessità di un’agire più responsabile nei confronti dell’ambiente, ma anche nella ricerca concerta di soluzioni possibili di uscita dalla crisi, capaci di trasformare la sostenibilità ambientale in occasione di crescita e di riequilibrio economico.
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In questa direzione le città hanno senza dubbio un ruolo decisivo non solo in quanto luoghi di intenso consumo delle risorse, ma anche come laboratori per strategie innovative capaci di innescare processi di cambiamento culturale e strutturale.
Un nuovo paradigma per lo sviluppo urbano
In un contesto globalizzato come quello attuale il ruolo delle città risulta più che mai accresciuto, in quanto nodi di raccordo, di connessione ed integrazione tra scala globale e dimensione locale, luoghi in cui si raccoglie e coagula creatività e innovazione, dove è più facile realizzare sempre nuove sintesi. ESCLUSIONE SOCIALE E DEGRADO AMBIENTALE LE SFIDE DELLE CITTA’
Le realtà urbane tuttavia non sono solo elementi fondamentali della competizione tra sistemi economici, ma costituiscono anche i luoghi di massima concentrazione dei processi di esclusione sociale, nonché dei fattori di consumo e degrado delle risorse ambientali. Sia le problematiche della coesione sociale ed economica che quelle della sostenibilità ambientale sono dunque, in modo sempre più evidente, aspetti della questione urbana.
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In particolare molte delle problematiche ambientali con cui ci dobbiamo misurare oggi riguardano direttamente le città. Si pensi a: • inquinamento atmosferico dovuto alla mobilità veicolare e al riscaldamento/raffreddamento degli edifici, e alterazione del clima • il consumo di suolo e l’impermeabilizzazione delle superfici legati ai processi di espansione urbana • la produzione dei rifiuti solidi urbani • gli sprechi e le carenze nell’approvvigionamento della risorsa idro-potabile. LA CARTA DI AALBORG AFFIDA ALLE METROPOLI NUOVI STILI DI VITA
La consapevolezza della centralità della dimensione urbana nel governare alcune variabili critiche ha spinto le aministrazioni cittadine europee nel 1994 a sottoscrivere quella Carta di Aalborg, che ha sancito che le città sono chiamate a svolgere un ruolo fondamentale nel processo di cambiamento degli stili di vita e dei modelli di produzione, di consumo e di utilizzo degli spazi. Hanno cioè un ruolo chiave nel promuovere uno sviluppo sostenibile del territorio e possono diventare i principali laboratori di sperimentazione di nuove politiche.
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Più recentemente, in relazione agli obiettivi perseguiti dall’Unione europea sul fronte del contrasto ai cambiamenti climatici (pacchetto 20 20 20), attraverso il Patto dei sindaci (Covenant of Mayors), le amministrazioni di migliaia di municipalità europee si sono impegnate ad elaborare piani di azione per la riduzione dei gas serra. Nell’ambito del Patto dei sindaci, l’Unione europea ha poi finanziato il bando “Smart cities” per investire sulle città che fanno della sostenibilità ambientale l’elemento di uno sviluppo duraturo e rispettoso della natura. Le “città intelligenti” sono quelle in grado di produrre alta tecnologia, promuovere trasporti puliti e migliorare in generale la qualità della vita dei suoi abitanti all’insegna delle basse emissioni. TRA LE SFIDE PRINCIPALI RIFIUTI, ACQUA, ENERGIA E MOBILITA’ URBANA
E’ dunque sempre più forte la consapevolezza che il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi sottoscritti dagli stati sul fronte della sostenibilità passi anche attraverso politiche di livello locale ed in particolare mediante un’insieme di interventi organici promossi a livello delle aree urbane. Le sfide che coinvolgono le città per un riorientamento dello sviluppo urbano sono molteplici. Si articolano su più piani e riguardano in primo luogo: • • • • •
PIU’ ATTRATTIVE LE CITTA’ CHE SAPRANNO GESTIRE LE CRITICITA’ AMBIENTALI
la riduzione dei consumi di energia ed utilizzo delle risorse rinnovabili la creazione di una mobilità sostenibile basata su un riequilibrio modale e sull’uso di veicoli a bassa emissione il contenimento della dilatazione del territorio urbano che determina un eccessivo consumo di suolo agricolo ed un costante incremento del pendolarismo l’abbattimento degli sprechi nell’utilizzo delle risorse idriche la riduzione della produzione dei rifiuti e la gestione integrata del loro ciclo.
Non vi è dubbio che, per attuare credibili strategie per migliorare la sostenibilità dell’ambiente urbano, sia necessaria una progressiva e consapevole modificazione delle preferenze collettive, nella direzione di una complessiva discontinuità rispetto ai trend consolidati. Una discontinuità quanto mai necessaria se si considera che l’obiettivo della sostenibilità ha valenza strategica per la competitività dei Paesi. Nel futuro prossimo saranno le città che meglio sapranno gestire le criticità ambientali e sociali, quelle che dimostreranno una migliore capacità di risposta strategica alle sfide imminenti, che avranno le chanche di una migliore qualità di vita e di una più elevata attrattività.
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Mobilità ad emissioni zero: la “città elettrica” La crisi della mobilità è forse l’aspetto più emblematico della sfida che comporta la sostenibilità urbana. Da un lato infatti il ruolo delle città come luoghi di concentrazione di servizi superiori e di opportunità aumenta di importanza; dall’altro vi è una evidente carenza dell’offerta di trasporto, in termini di qualità e quantità, rispetto alle dimensioni della domanda ed alle prestazioni richieste.
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Infatti gli spostamenti urbani ancora oggi si basano prevalentemente sull’uso del mezzo individuale, mentre il trasporto collettivo, che sarebbe di gran lunga il più conveniente in termini di costi e di impatti, in molti contesti ha ancora un ruolo marginale. Ciò è particolarmente vero nel caso italiano dove lo squilibrio modale che vede l’auto assoluta protagonista degli spostamenti urbani (due terzi degli spostamenti viene fattoin auto), che storicamente ci caratterizza rispetto ad altri paesi europei, è stato aggravato dalle dinamiche di dispersione residenziale. Il ciclo edilizio degli ultimi decenni si è indirizzato infatti in gran parte verso zone di nuova urbanizzazione, difficili da servire col trasporto collettivo, perché sparse nel territorio metropolitano e spesso lontane dalla reti esistenti, la cui accessibilità è spesso quasi esclusivamente basata sull’uso del mezzo di trasporto individuale. Si è così aggravata la congestione sulla rete viaria di ingresso alle città, senza che fosse realizzato un intervento significativo per rendere più efficiente ed attraente per l’utenza il trasporto su rotaia.
IN ITALIA TUTTI IN AUTO 60 OGNI 100 ABITANTI 49 IN GRAN BRETAGNA
Non stupisce dunque che oggi le città italiane siano, in Europa, quelle con un più alto tasso di motorizzazione: ben 60 auto ogni 100 abitanti, quando in Germania, Spagna e Francia circolano 50 auto ogni 100 abitanti; in Gran Bretagna 49. Più di un terzo del parco auto attuale (34,4 per cento) si trova nelle grandi aree urbane. Di qui i noti fenomeni di congestione.
Tasso di motorizzazione nei Paesi europei (auto per 1000 abitanti) 601 513
507
504 498
483
477
475
462
458
446
439
423
422
415
381 311
305
Fonte: Elaborazione Censis su dati Eurostat, 2008
Romania
Ungheria
Bulgaria
Danimarca
Portogallo
Polonia
Repubblica Ceca
Irlanda
Grecia
Paesi Bassi
Svezia
Regno Unito
Belgio
Spagna
Francia
Germania
Finlandia
Austria
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Italia
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Recenti rilevazione dell’Aci hanno segnalato come romani e milanesi passino più di 500 ore l’ anno in macchina con un tempo medio di spostamento di circa 60 minuti, mentre i torinesi passano 450 ore l’ anno in auto ed i genovesi 380. Congestione che è comunque alla base non solo dell’allungamento dei tempi di spostamento ma anche dell’inquinamento atmosferico, dato che alle basse velocità con cui si compiono i percorsi urbani i consumi e quindi le emissioni salgono. Particolarmente drammatica è la questione delle polveri sottili: il particolato è l’inquinante che oggi è considerato di maggiore impatto nelle aree urbane, ed è composto da tutte quelle particelle solide e liquide disperse nell’atmosfera. I TRASPORTI URBANI PRODUCONO IL 49% DELLE POLVERI SOTTILI
Tra i fattori antropici alla base dell’inquinamento da polveri sottili vi sono le emissioni del riscaldamento domestico (in particolare gasolio, carbone e legna), quelle della combustione dei motori a scoppio (autocarri, automobili, aeroplani), nonché i residui dell’usura del manto stradale, dei freni e delle gomme delle vetture. Secondo i dati dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente, la produzione di Pm10 (polvere inalabile formata da particelle inferiori a 10 µm in grado di penetrare nel tratto respiratorio superiore e provocare malattie respiratorie croniche) in Italia deriverebbe per il 49 per cento dai trasporti. Accogliendo le direttive europee, dal 2002 anche in Italia si è identificato come limite giornaliero di Pm10 nelle aree urbane il valore di 50 µg/mc (milionesimi di grammo al metrocubo). L’Unione europea ha anche fissato il limite di 35 giornate/anno in cui i livelli delle polveri Pm10 possono superare la soglia fissata.
19MILA VITE SALVATE OGNI ANNO ELIMINANDO LE MICROPARTICELLE
Nel 2010 sono stati ben 48 i capoluoghi di provincia italiana fuorilegge rispetto a tale soglia. Come è noto in una città come Milano il problema è particolarmente stringente: in alcuni giorni vi sono zone della città in cui si supera quota 100, il doppio del limite consentito dall’Unione europea, mentre il bonus sulla qualità dell’aria di 35 giorni nel 2011 è stato superato dopo soli 40 giorni dall’inizio dell’anno. Peraltro nel 2008 l’Unione europea ha adottato una nuova direttiva che detta limiti di qualità dell’aria con riferimento anche alle Pm2,5 (25 mcg/mc valore di riferimento che si riferisce alla media annuale) che sono particelle piccolissime che rimangono sospese più a lungo nell’atmosfera e raggiungono più facilmente le parti profonde dell’apparato respiratorio. Un recente studio internazionale sugli effetti dell’inquinamento atmosferico coordinato dall’Istituto Francese per la Sorveglianza della Salute Pubblica (InVS) e co-finanziato
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dall’Ue (progetto Aphekom) ha evidenziato che se le più grandi città europee rispettassero il limite di concentrazione di Pm 2,5 raccomandato dall’Organizzazione mondiale della Sanità (10 mcg/mc), si salverebbero 19mila vite all’anno, risparmiando 31,5 miliardi di euro in costi per la sanità e l’assenteismo dal lavoro. ANIDRIDE CARBONICA: DAI PRIVATI IL 57% DEL SETTORE TRASPORTI
In particolare lo studio condotto su 25 città europee ha evidenziato che solo Stoccolma si colloca sotto al limite dei 10 mcg/mc di Pm2,5, con 9,4 mcg/mc; la città è poi seguita da Dublino (10,5 mcg/mc) e da Malaga (12,8 mcg/mc). In fondo alla classifica troviamo Atene (29) Barcellona (27) Budapest con 33,7 mcg/mc e Bucarest con 38,2 mcg/mc. Roma si posiziona a metà classifica con 21,4 mcg/mc Ma il settore dei trasporti è sul banco degli imputati anche sul fronte del riscaldamento globale, essendo il secondo per maggior rilascio di CO2, dopo quello dell’energia. In particolare le emissioni di anidride carbonica prodotte da autovetture private rappresentano il 57 per cento di tutte le emissioni di CO2 prodotte dal settore dei trasporti. La legislazione comunitaria, con gli obblighi imposti nella costruzione di veicoli, ha consentito un notevole abbattimento dei fattori di emissione. Tuttavia la costante crescita del parco auto (da 50 auto ogni 100 abitanti nel 1991, alle attuali 60) ha in parte ridimensionato gli effetti positivi dell’innovazione tecnologica introdotta, aggravando la congestione.
LE AUTO ELETTRICHE NON SONO SUFFICIENTI A RISOLVERE I PROBLEMI
I due terzi del parco auto attuale (cioè 23,9 milioni di auto) sono costituiti da auto ante 2006 cioè da veicoli di classe Euro 0,1,2 e 3. Non vi è dubbio quindi che per rendere più sostenibili le nostre città sarà necessario modificare profondamente le modalità di spostamento all’interno delle aree urbane. In Italia, in particolare, si sconta la mancanza di un progetto unitario del territorio e della mobilità in cui siano centrali le potenzialità del trasporto collettivo integrato (strada-ferrovia). Il passaggio dall’attuale condizione di squilibrio modale ad un modello di mobilità caratterizzato da una maggiore integrazione/ combinazione delle diverse forme di trasporto e da un ridimensionamento dell’uso dell’auto privata, richiede politiche organiche e coraggiose. In sostanza è necessario lavorare su almeno tre fattori: • il potenziamento del trasporto pubblico locale (con corsie riservate e vie preferenziali, sistemi di integrazione tariffaria, strumenti per l’infomobilità) • l’adozione di strumenti di pianificazione (come Piani urbani della mobilità) di area vasta e improntati alla sostenibilità • il completo rinnovo tecnologico del parco circolante con la rottamazione delle vetture obsolete e l’introduzione di vetture a basso impatto ambientale.
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Riguardo quest’ultimo aspetto è interessante notare quanto si sta muovendo sul fronte della diffusione dell’auto elettrica, da molti ritenuta una soluzione interessante per abbattere l’inquinamento da polveri sottili. A PARIGI IL CAR-SHARING SARA’ ELETTRICO E IN TUTTE LE STAZIONI
Per ora su questo fronte siamo alle sperimentazioni locali.I problemi come è noto riguardano in primo luogo le infrastrutture per la ricarica, la loro diffusione e la loro standardizzazione. Dopo il successo riscosso a Lione anche a Parigi è in fase di avvio il progetto Autolib, una sorta di car sharing su quattro ruote pensato sulla falsa riga del Velib, il sistema di biciclette pubbliche utilizzato da quasi 200.000 parigini. Autolib, che partirà dall’autunno del 2011, fornirà ai parigini circa 3.000 auto elettriche, una cifra che potrebbe crescere dopo l’apertura del servizio nel mese di settembre 2011. Il funzionamento di Autolib prevede il noleggio della vettura in una delle mille stazioni presenti a Parigi e dintorni, e la possibilità di prenotare un parcheggio nella stazione di arrivo: l sistema permetterà infatti di consegnare la vettura anche in una stazione diversa da quella da cui è stata prelevata. Con il car-sharing gli utenti avranno il posteggio assicurato nelle stazioni per la condivisione. Le auto utilizzate saranno alimentate da una batteria ai polimeri di litio metallico creato per permettere una percorrenza di circa 250 chilometri. La ricarica di queste batterie avrà bisogno di circa quattro ore per un pieno. I costi saranno piuttosto contenuti: a fronte di un abbonamento mensile di circa 12 euro, il costo del noleggio sarà di 2 euro all’ora. Inizialmente il progetto sarà attivo a Parigi, ma poi si diffonderà anche in 50 comuni limitrofi alla capitale.
A BERLINO TRA BREVE 50 COLONNINE PER LA RICARICA
La sperimentazione si basa sulla considerazione che nella capitale francese il pubblico potenziale è elevato dato che il 56 per cento dei parigini non possiede un’automobile e, quelli che la possiedono in media la tengono parcheggiata per il 95 per cento del tempo. Tanto che si stima che il 26 per cento dei parigini pensi concretamente a rinunciare alla propria auto a causa dell’alto costo, dei problemi di parcheggio e dell’utilizzo infrequente. Anche a Berlino si punta decisamente sull’auto elettrica: il governo della città-Stato, vuole raggiungere l’obiettivo di 100mila auto di qui al 2020. Vattenfall, il colosso svedese dell’energia che controlla l’azienda berlinese dell’elettricità, prevede in poco tempo di installare 50 colonnine. Sono previsti a breve incentivi per chi attrezza il garage con prese di corrente d’adeguata potenza, ed il coinvolgimento delle aziende automobilistiche (come Daimler che già produce nel quartiere di Marienfelde le propulsioni per la Smart elettrica, o Continental che concentra a Berlino ricerca e sviluppo per le batterie).
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Uno dei tre atenei berlinesi, la Technische universitaet, si occuperà di organizzare un network dei centri di ricerca, mentre l’ex aeroporto di Tempelhof diventerà un parco di pro va dei nuovi veicoli. Sperimentazioni significative sono in corso anche in Italia, in particolare a Reggio Emilia e Parma. A Reggio Emilia premiata come prima città elettrica d’Europa già nel 2003, sono 250 le auto elettriche che ogni giorno attraversano le strade del centro storico.
REGGIO EMILIA PRIMA CITTA’ ELETTRICA DEL CONTINENTE
All’inizio l’uso dell’auto elettrica (il mini furgoncino Porter della Piaggio) ha riguardato il comune e le aziende di servizi ad esso legate, estendendosi poi ad altre tipologie di soggetti (farmacie, polizia, vigili del fuoco, associazioni di categoria, infine imprese, negozi, artigiani) ed infine anche i privati cittadini grazie alla possibilità dell’eco-noleggio a lungo termine. Non c’è bisogno di carburante, i parcheggi sono gratuiti, ci si muove liberamente con facile accesso al centro, e le spese di gestione (assicurazione, bollo, revisione), manutenzione ordinaria/straordinaria e assistenza stradale sono comprese nel costo di noleggio. A PARMA MILLE VEICOLI ED ENTRO IL 2015 300 COLONNE DI RICARICA
Simile l’iniziativa che sta per decollare a Parma con il progetto Zero Emission City, dove saranno stanziati 9 milioni di euro per acquistare mille veicoli elettrici e realizzare 300 colonnine di ricarica entro il 2015.
Concentrazione media di polveri sottili Pm 2,5 in alcune città europee 45 40 35 30 25 20 15 10 5
Fonte: progetto Aphekom
Stoccolma
Dublino
Londra
Tolosa
Bilbao
Bordeaux
Parigi
Lione
Strasburgo
Lille
Marsiglia
Brixelles
Granada
Roma
Vienna
Siviglia
Valencia
Lubiana
Barcellona
Atene
Budapest
Bucarest
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Le vetture elettriche saranno date in parte in dotazione al comune per la gestione dei servizi pubblici, in parte utilizzate all’interno del già esistente servizio di car sharing cittadino. Il comune stesso darà un incentivo ai cittadini che vorranno iscriversi al car sharing elettrico, ed il costo all’utente dovrebbe aggirarsi intorno ai 400 euro al mese (tutto incluso). A fronte di tale spesa il parcheggio in città sarà gratuito, si avrà libero accesso nelle Ztl e si potranno utilizzare le corsie preferenziali.
Il risparmio energetico nella nuova edilizia In un certo senso si può dire che i non brillanti risultati delle grandi conferenze mondiali sul cambiamento climatico hanno avuto come contraltare una forte spinta verso un’economia low carbon a livello di politiche locali. Molte amministrazioni cittadine fanno dell’attenzione alla sostenibilità il tratto distintivo non solo della propria azione di governo ma dell’immagine complessiva della città. NELL’UNIONE EUROPEA IL 42% DELL’ENERGIA SI CONSUMA NEGLI EDIFICI
Non mancano in Europa esempi di città che hanno scelto di fissare obiettivi virtuosi da raggiungere su questo fronte. Amburgo, ad esempio, che ha ricevuto il premio Green capital 2011, è impegnata a ridurre le proprie emissioni di CO2 del 40 per cento entro il 2020. A Monaco è stata fissata una roadmap verso un sistema a bassa intensità di carbonio in termini molto stringenti e si calcola che entro il 2030 la città avrà tagliato del 50 per cento le emissioni rispetto al 1990. Ad Amsterdam entro il 2015 tutte le nuove costruzioni saranno ad emissioni zero. Si può dire che si sta gradualmente affermando una nuova cultura dell’abitare, in cui l’uso corretto delle risorse in un’ottica di sostenibilità delle trasformazioni diventa il principio cardine del progetto e non un mero vincolo di cui tenere conto. In questa ottica i cambiamenti da introdurre nei prossimi anni riguardano anche le caratteristiche prestazionali del bene casa. Il patrimonio edilizio concorre infatti ad alimentare i consumi energetici soprattutto a causa della climatizzazione invernale ed estiva, ed è sempre più diffusa la consapevolezza della necessità di incorporare le tematiche del risparmio energetico nel processo costruttivo. Secondo le stime dell’Unione Europea, il 42 per cento dei consumi energetici è rappresentato dalla gestione termica degli edifici residenziali e del terziario. Negli edifici residenziali almeno il 68 per cento dei consumi energetici è dovuto al riscaldamento degli ambienti, l’11 per cento alla produzione dell’acqua calda sanitaria, il 5 per cento per usi cucina, e circa il 16 per cento per usi elettrici, illuminazione elettrodomestici, condizionamento.
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Peraltro le tecnologie edilizie per la realizzazione di abitazioni più parsimoniose dal punto di vista energetico sono già disponibili da molto tempo: grazie ad esse è possibile ridurre fino all’80 per cento le emissioni di anidride carbonica prodotte dal riscaldamento e dai sistemi di produzione dell’acqua calda. LA CARTA DI AALBORG IMPEGNA GLI EUROPEI A COSTRUIRE VERDE
La Certificazione energetica degli edifici è applicata nel nord Europa a partire dagli anni ottanta: è il caso della Svezia che per quanto concerne i requisiti minimi di prestazione energetica degli edifici già nel 1942 aveva adottato una legislazione in materia, aggiornata poi successivamente. Anche la Danimarca ha attivato la certificazione energetica e le procedure di calcolo molto prima dell’entrata in vigore della Direttiva europea. La stessa Carta di Aalborg del 1994 sulla sostenibilità urbana impegnava le amministrazioni cittadine europee a promuovere l’utilizzo di edifici efficienti. Sfruttando questa positiva esperienza, l’Unione europea ha emanato la direttiva 2002/ 91/ CE che ha imposto l’applicazione di requisiti minimi in materia di rendimento energetico agli edifici di nuova costruzione o alle ristrutturazioni di una certa dimensione, nonchè l’introduzione dell’obbligo della certificazione energetica. A partire dal 2005 gradualmente tutte le normative nazionali di settore hanno recepito tali indicazioni e si può affermare che oggi la situazione europea è più o meno omogenea.
RECEPITE SOLO NEL 2009 LE DIRETTIVE UE EMANATE NEL 2002
Quanto all’Italia, la direttiva è stata recepita con un decreto nel 2005 (n°192) ma solo nel 2009, sono state varate anche le Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici. Essendo passati cinque anni dal Dlgs 192 a quando sono giunte le linee guida, nel frattempo varie regioni d’Italia hanno adottato delle proprie norme come attuazione per la redazione dell’Attestato di certificazione energetica (Ace). In quest’ambito la Provincia autonoma di Bolzano si è sempre distinta come apripista dell’innovazione. In particolare il progetto CasaClima, inizialmente nato dalla esigenza di adempiere alla direttiva europea poi convertita in normativa provinciale, si è tradotto prima in un metodo di certificazione energetica degli edifici (2002) e poi ha dato luogo all’agenzia omonima, una struttura pubblica indipendente che si occupa della certificazione energetica degli edifici. Ad oggi l`Agenzia CasaClima ha certificato oltre 2.500 edifici, distribuiti su tutto il territorio nazionale. Recentemente la Provincia Autonoma di Bolzano ha introdotto una norma che impone per le nuove costruzioni un fabbisogno energetico inferiore a 50 kWh/mq.
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Ciò significa che da aprile 2011 la classe B (classe tra 30 e 50 kWh/mq/anno) costituisce lo standard minimo nelle nuove costruzioni. E’ da ricordare che nel 2005 la stessa Provincia Autonoma aveva fissato la classe C come standard minimo per le nuove costruzioni. IL 90% DEGLI EDIFICI CONSUMA TROPPO: 22 LITRI DI GASOLIO A MQ
E’ importante ricordare che mentre i nuovi edifici tengono conto delle normative più recenti, la stragrande maggioranza del parco edifici presente sul territorio nazionale è composto da edifici ad alto consumo energetico (che rientrano nella classe più bassa, la G). I dati del ministero dello Sviluppo economico indicano infatti che quasi il 90 per cento del patrimonio edilizio italiano ha un fabbisogno energetico di circa 22 litri di gasolio per metro quadro abitato. I consumi si possono considerare su 200kWh/mq/anno al nord e 150kWh/mq/anno nel sud del Paese.
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Ecoquartieri ed ecocittà Negli ultimi anni, per iniziativa delle amministrazioni pubbliche, soprattutto nel nord Europa si sono moltiplicati i progetti innovativi in materia di progettazione urbana sostenibile a scala di quartiere. GLI INSEDIAMENTI PILOTA CHE CONSUMANO MENO ACQUA, SUOLO, ENERGIA
Contenimento del consumo di suolo attraverso il recupero di aree dismesse, uso di materiali da costruzione riciclati, riduzione del consumo energetico degli edifici al fine di limitare le emissioni, risposta al fabbisogno di energia elettrica attraverso l’autoproduzione con tecniche pulite, ottimizzazione e chiusura del ciclo delle acque, climatizzazione basata su misure passive, sono tutti elementi che si stanno introducendo e sperimentando negli insediamenti pilota. Tra i casi più famosi: Hammarby Sjöstad (8mila appartamenti) a Stoccolma, che nasce come quartiere autosufficiente dal punto di vista energetico grazie allo sfruttamento di fonti pulite e rinnovabili. Il sistema di raccolta pneumatica dei rifiuti è una parte fondamentale del programma di sostenibilità del quartiere: grazie ad un sistema di riciclaggio a circuito chiuso, gli abitanti “contribuiscono” fino al 50 per cento dell’energia necessaria semplicemente producendo rifiuti, mentre il restante 50 per cento deriva da altre fonti pulite: pannelli solari, centrali idriche ed eoliche. Ad Hammarby le cucine funzionano con la combustione della spazzatura domestica, trasformata in biogas, mentre l’acqua calda e l’energia elettrica viene autoprodotta con i pannelli solari;
UN QUARTIERE DI MALMO USA L’ACQUA PIOVANA E HA UN GIARDINO SUI TETTI
Augustenborg a Malmo, piccolo quartiere innovativo racchiuso tra due strade ad alta percorrenza. Orti comuni e numerose altre attività sociali riuniscono gli abitanti, sensibilizzandoli attorno al tema della natura, dell’ecologia, delle energie rinnovabili. L’area è attrezzata per il compostaggio: vi sono 13 miljöhus (casette ecologiche per la raccolta differenziata dei rifiuti dove gli abitanti producono compost), l’acqua piovana è raccolta e depurata attraverso 6 chilometri di canali e aree di infiltrazione. Un giardino botanico di 9.500 metri quadrati è stato realizzato sui tetti delle abitazioni; BedZed (Beddington Zero Emission Development), realizzato tra il 2000 e il 2002, è un piccolo insediamento pilota progettato dall’architetto Bill Dunster a Sutton a sud di Londra. I materiali naturali e riciclati provengono da un raggio di 60 chilometri.
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Le case sono tutte dotate di pannelli fotovoltaici e di convogliatori d’aria per garantire il ricircolo dell’aria, in quanto le finestre non possono essere aperte per far sì che il calore nei mesi invernali non venga disperso. L’acqua piovana e l’acqua di scarico vengono raccolte e depurate e usate dagli abitanti del quartiere per irrigare le piante. Nel quartiere sono presenti stazioni di servizio dotate di impianti per ricaricare le auto elettriche, e funziona un servizio di car-sharing; A FRIBURGO DAL 2009 5MILA ABITANTI VIVONO IN UNA EX CASERMA
Il quartiere Vauban a Friburgo, nella Germania sud occidentale, si è sviluppato sull’area di una ex caserma ed ora ospita cinquemila abitanti in duemila appartamenti. Ha preso vita nel 1996 grazie al Project group Vauban, supportato dalla consulenza dei cittadini, cioè del Forum Vauban. I lavori sono terminati nel 2009, con l’obiettivo di accogliere per lo più giovani famiglie. Un impianto di cogenerazione alimentato esclusivamente da trucioli di legno e gas naturale è agganciato alla rete del riscaldamento, mentre la riduzione del 60 per cento delle emissioni di CO2, è garantita dalla coibentazione e dall’efficienza dell’utilizzo del calore.
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Gli impianti solari sviluppano il 65 per cento dell’energia prodotta. L’acqua piovana viene raccolta ed utilizzata per le case e per l’irrigazione del terreno. KRONSBERG (HANNOVER) DIVENTATA LABORATORIO DI EDILIZIA SOSTENIBILE
Vi sono appena150 auto ogni mille abitanti, non essendovi parcheggi di fronte le abitazioni, ma solo nella periferia del quartiere in zone che si raggiungono a piedi dalle abitazioni. La maggior parte dei residenti si sposta in bicicletta o prende il tram che collega Vauban al centro di Friburgo. Esiste un servizio di noleggio auto ed un sistema di car-pooling. Il quartiere Kronsberg, ad Hannover per 15mila abitanti si sviluppa in occasione dell’Expo 2000 su un’area attigua a quella dell’Esposizione. Nasce come una sorta di laboratorio di edilizia sostenibile da una progettazione partecipata che ha coinvolto l’amministrazione cittadina e una trentina tra progettisti e costruttori edili. Gli edifici hanno consumi energetici molto ridotti e l’acqua piovana non viene raccolta nella rete fognaria. Lungo le strade, in prossimità delle case e delle grondaie sono stati realizzati 11 Km di “solchi” drenanti, lasciati a verde. Poco lontano dal quartiere sono state installate tre torri eoliche di potenza 300 kW, 1500 kW e 1800 kW; GWL Terrain ad Amsterdam, piccolo insediamento (625 appartamenti) realizzato negli anni novanta su un’area che ospitava la società municipale di gestione delle
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acque, è stato progettato come quartiere completamente “car free”. Appena 130 i parcheggi disponibili per i residenti (uno ogni quattro abitazioni), che sono peraltro esterni all’insediamento. AD AMSTERDAM E’ NATO UN QUARTIERE CAR-FREE CHE SI SCALDA COL SOLE
Ciò in virtu’ di una buona accessibilità al trasporto pubblico, piste ciclabili di collegamento con la città e la vicinanza alla stazione centrale (10 minuti in bicicletta). Funziona inoltre un sistema interno di car sharing e solo il 20 per cento dei residenti possiede un’auto. Gli appartamenti sono serviti da una piccola centrale di cogenerazione e scambiatori di calore e sono orientati in modo da massimizzare gli apporti naturali del riscaldamento solare. I tetti verdi presenti sulle coperture dei blocchi principali consentono di migliorare l’isolamento e ridurre il deflusso superficiale delle acque, mentre una rete idrica duale riutilizza l’acqua piovana negli scarichi delle toilette. Esperimenti interessanti sono in corso anche in Italia, e in questo panorama si distingue senz’altro Bolzano, città da sempre attenta ai temi del risparmio energetico e della progettazione sostenibile. In particolare la realizzazione del nuovo eco-quartiere Casanova (941 alloggi per circa 3.500 persone) prevede una forte attenzione ai temi dell’energia, della mobilità e delle risorse idriche.
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Il risparmio del fabbisogno energetico (circa il 40 per cento rispetto agli edifici di tipo tradizionale) è ottenuto utilizzando elevati livelli di isolamento, una forma compatta dell’edificio, un utilizzo razionale ed efficace delle fonti energetiche tradizionali e rinnovabili. AL CASANOVA DI BOLZANO BISOGNO ENERGETICO RIDOTTO DEL 36% ANNUO
Per quanto riguarda la mobilità, il quartiere CasaNova avrà una pista ciclo-pedonale interna collegata alla rete della città di Bolzano e sarà realizzata anche una nuova stazione ferroviaria del treno metropolitano. La produzione di acqua calda sanitaria sarà erogata da un impianto centralizzato a collettori solari, per la maggior parte installati lungo la linea ferroviaria tangente al quartiere CasaNova, con un risparmio del fabbisogno energetico annuo del 36 per cento rispetto a quello prodotto con fonti energetiche tradizionali. Anche il recupero delle acque piovane e l’orientamento degli edifici fanno parte delle prerogative degli immobili in costruzione sopra i quali verranno realizzati i tetti verdi per un migliore isolamento termico.
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Fin qui i casi di eco-quartieri sorti in Europa; ma non mancano progetti sperimentali in altri contesti geografici, legati alla creazione di città satelliti di nuova concezione. Per l’Expo 2010 di Shanghai, ad esempio, era prevista la costruzione di una nuova eco-città, Dongtan, il cui progetto, molto costoso peraltro, è stato rimandato e per è ora bloccato. MASDAR CITY (ABU DHABI) NASCE PER AVERE ZERO CARBONIO E RIFIUTI
Senza dubbio il caso più noto, fuori del vecchio continente, è quello di Masdar City ad Abu Dhabi. La città progettata da Foster and Partners, mira ad essere un modello di insediamento a zero-carbonio e zero-rifiuti. Masdar City si estenderà su 6 kmq per una popolazione di 50mila abitanti è costruita a 30 chilometri a est dalla capitale, vicino all’aeroporto internazionale di Abu Dhabi. I cantieri sono partiti nel 2008, e si prevedono dieci anni per completare l’intervento. Cuore del progetto il Masdar institute of science and technology, polo universitario realizzato in collaborazione con il Massachusetts institute of technology e dedicato esclusivamente allo studio e alla ricerca nel campo delle energie rinnovabili e delle tecnologie pulite.
IL PROGETTO DI FOSTER SI ISPIRA ALLE MEDINE PER VINCERE IL CALORE
Nel progettare l’insediamento Foster rifacendosi alle antiche medine ha concepito la struttura di Masdar - con una fitta trama di edifici per “difendere” gli spazi aperti dal torrido sole e con i conseguenti spazi angusti tra un palazzo e l’altro dove il vento possa creare delle naturali correnti d’aria. La città sarà naturalmente realizzata con materiali innovativi e innocui per l’ambiente come i pannelli ondulati simili a terracotta che ricopriranno le facciate degli edifici per schermarli dai raggi solari o l’uso di giochi di specchi e vetrate per ricavare luce naturale ovunque. Inoltre, saranno progettati sistemi per il riciclo quasi totale dei rifiuti e per l’utilizzo senza sprechi dell’acqua. Al posto delle auto circa 2.500 navette a carbonio zero che effettueranno 150mila itinerari al giorno. L’energia sufficiente a mantenere questo “eco-giocattolo” sarà garantita da impianti fotovoltaici, eolici e termali.
Preservare la risorsa suolo: costruire sul costruito Il suolo è la prima risorsa consumata dalle città nel loro sviluppo. Gli anni di massima dilatazione delle città italiane sul territorio sono stati quelli del dopoguerra e del boom economico, fase in cui il forte inurbamento e il conseguente fabbisogno abitativo hanno determinato la rapida urbanizzazione di vaste aree agricole intorno alle città storiche. Ma in anni recenti, pur ormai chiaramente in assenza di una spinta demografica di quella forza, il consumo di suolo ha ripreso a crescere in modo rilevante.
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La città contemporanea si è dimostrata grande divoratrice di spazi: ciò sia in relazione al fenomeno dello sprawl urbano, con gli insediamenti residenziali a bassa densità della cosiddetta “città diffusa”, sia in relazione alle mega-strutture per il consumo e l’intrattenimento di massa. In particolare tale incremento è legato in misura significativa all’ultimo grande ciclo espansivo delle costruzioni e dell’immobiliare. FINO AL 2007 L’EDILIZIA ERA UN SETTORE PESANTE DELL’ECONOMIA ITALIANA
Dalla seconda metà degli anni novanta fino al 2007 la componente più importante dell’economia delle costruzioni italiana, quella basata sulla produzione e compravendita di abitazioni, ha rappresentato uno dei segmenti più forti dell’economia del Paese. Si è realizzata una nuova offerta abitativa quantitativamente rilevante, e quasi unicamente in proprietà, legata in parte a reali fattori di domanda come il forte incremento del numero delle famiglie e degli stranieri, la ricerca di migliori condizioni abitative, l’espansione di un’economia dei servizi a forte carattere urbano. L’innalzamento dei valori immobiliari nelle aree centrali, caratterizzate da migliore qualità dell’ambiente urbano, dei servizi e da un più elevato livello di accessibilità, ha alimentato un ulteriore esodo di popolazione verso i comuni esterni.
MA LA BASSA DENSITA’ DEGLI ALLOGGI PERIFERICI CONSUMA MOLTO SUOLO
Comuni caratterizzati da un’ampia offerta di nuova edilizia residenziale (basata su tipologie a bassa densità) a prezzi più abbordabili. Di qui i processi di dispersione insediativa tipici della città diffusa, che hanno prodotto un ulteriore consumo di suolo agricolo. Sull’entità del fenomeno consumo di suolo permane una notevole carenza informativa, sebbene i pochi studi approfonditi in grado di identificare i reali termini quantitativi di questo processo siano estremamente preoccupanti. La mancanza di dati ufficiali forniti con adeguata periodicità all’elaborazione statistica limita anche la possibilità di valutare gli effetti di piani e normative. In ogni caso secondo stime del Censis in Italia nel periodo 2001-2010 il consumo medio di suolo vergine (non più riconvertibile una volta sigillato e impermeabilizzato dagli usi urbani) per nuovi insediamenti, è stato in media pari a 53,2 ettari al giorno, cioè 194 chilometri quadrati l’anno, al netto dello spazio consumato per infrastrutture ed altre attrezzature (centrali energetiche, discariche, cave ecc). L’andamento del consumo di suolo appare legato, più che alle dinamiche demografiche, al volume degli investimenti in
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costruzioni e alle scelte della pianificazione urbanistica ed edilizia. Infatti, quando il consumo di suolo è diminuito, come nella recente crisi, ciò è avvenuto sostanzialmente per effetto della congiuntura negativa, e non per un indirizzo legislativo e di governo. L’IMPERMEABILIZZAZIONE DEI SUOLI PROBLEMA DELLE AREE URBANIZZATE
Nel prossimo futuro, in assenza di una politica organica, la riduzione solo parziale del tasso di impermeabilizzazione dei suoli sarà quindi dovuta più ad un ridimensionamento degli investimenti in costruzioni che ad un cambio di paradigma culturale. Un vero e proprio cambio di paradigma si rende invece necessario se si vuole realizzare una reale inversione di tendenza. Per ridurre il consumo di suolo due sono le opzioni di fondo che devono essere prese in considerazione: da un lato puntare sulla densità, su tessuti urbani compatti, dall’altra limitare al massimo il consumo di suolo vergine puntando al riutilizzo dei terreni già infrastrutturati ma oggi abbandonati. Il concetto di compattezza rappresenta ormai una scelta necessaria, dato che le diseconomie della dispersione sono rilevanti sia in termini ambientali che di mobilità. Lo sprawl è causa infatti di gravissimi sprechi: rende obbligatorio l’impiego quotidiano dell’automobile; provoca un aumento parossistico del traffico; incide suii consumi energetici; causa la proliferazione di strade che a loro volta aumentano il consumo di suolo; aggrava l’inquinamento dell’aria e dell’acqua; incide negativamente sull’impiego del tempo delle persone: riduce la coesione sociale.
Stima dell’andamento del consumo medio di suolo (in ettari/giorno) nel periodo 2000 - 2010 in Italia al netto delle infrastrutture 63,2
60,8 57,2
49,4
57,3
52,5
53,5
52,8
50,6 45,6 38,4
2000
2001
Fonte: Censis, 2011
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
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Per il futuro l’altra parola d’ordine dovrebbe essere “costruire sul costruito” aderendo al principio del riuso dei brownfield, cioè delle aree già urbanizzate anziché edificare su spazi liberi (greenfield). UNA SVOLTA PUO’ VENIRE DALL’USO DELLE AREE GIA’ USATE E DISMESSE
Un cambiamento rilevante non può che provenire infatti da uno sviluppo urbano indirizzato sempre di più verso le aree della città già trasformate ed oggi obsolete (i tanti vuoti urbani quali scali ferroviari e grandi insediamenti industriali dismessi, ex mercati e caserme ecc), valorizzando così anche gli investimenti già programmati e/o effettuati sulle reti.
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Da tempo altri paesi hanno ritenuto necessario contrastare lo spreco di territorio, indirizzando l’attività edilizia verso il riuso disuolo già urbanizzati. La Germania, in particolare, si è distinta per aver fissato un obiettivo a livello nazionale di contenimento dei consumi di suolo per il 2020. Anche alcune città italiane stanno orientando i loro strumenti urbanistici in questa direzione.
Uscire dall’emergenza: la gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti La questione dei rifiuti si sta imponendo in questi anni in termini emergenziali. L’angoscia dell’emergenza è espressa dalle immagini di alcune città del sud Italia (Napoli, Palermo) con cassonetti sommersi da montagne di sacchi d’immondizia campeggiano ai lati delle strade le zone di raccolta della spazzatura sono ormai diventate delle vere e proprie discariche abusive. MA E’ IL CICLO DEI RIFIUTI IL TEMA FONDAMENTALE PER SALVARE L’AMBIENTE
Ma il vero tema è quello della sostenibilità ambientale nella chiusura del ciclo dei rifiuti. E’ il caso di ricordare che la strategia europea (2008) stabilisce una gerarchia per le diverse opzioni di gestione dei rifiuti basata sugli effetti che ciascuna opzione ha sull’ambiente. In base a tale criterio nell’ordine vi sono: la riduzione nella produzione dei rifiuti; il riutilizzo, riciclaggio, recupero energetico; lo smaltimento. Per migliorare la gestione integrata dei rifiuti è dunque necessario che la gestione del ciclo dei rifiuti sia basata sempre più su tale scala gerarchica, superando definitivamente la situazione attuale in cui una proporzione rilevante (e spesso preponderante) dei rifiuti viene ancora smaltita in discarica.
QUANTITA’ MINIMIZZATE RACCOLTA DIFFERENZIATA MASSIMO RICICLAGGIO
Il primo passo è ridurre al minimo le quantità di rifiuti prodotti. Per raggiungere tale obiettivo non è sufficiente a che i cittadini facciano la raccolta differenziata, ma è importante che le imprese inizino a produrre solo beni fatti con materiali riciclabili, riutilizzabili e facilmente disassemblabili. In secondo luogo, occorre implementare una raccolta dei rifiuti finalizzata al recupero delle materie prime: se si punta alla chiusura del ciclo dei rifiuti con la realizzazione di nuovi inceneritori e discariche, senza passare per il riciclo, la quantità di rifiuti prodotti aumenterà sempre. Lo sviluppo della raccolta differenziata non è solo finalizzato a ridurre i flussi di rifiuto indifferenziato da avviare a recupero energetico o smaltimento, ma soprattutto mirato alla promozione delle filiere del riciclaggio. Si tratta di considerare i rifiuti come una risorsa in un mondo di risorse limitate e quindi immaginare distretti del riciclo, favorire
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lo sviluppo di industrie locali che riutilizzino i materiali resi disponibili in quantità sempre maggiori, dalla promozione della raccolta differenziata, sviluppare processi innovativi nella progettazione degli imballaggi. La direttiva dell’Unione europea del 2008 impone il ricorso a regimi di raccolta differenziata almeno per la carta, il metallo, la plastica e il vetro, con l’obiettivo di aumentare di almeno il 50 per cento il riutilizzo e il riciclaggio entro il 2020. RACCOLTA DIFFERENZIATA: I MIGLIORI A NORD (45,5%) MA SALERNO E’ AL 60,3%
Anche se con notevole ritardo rispetto a paesi più impegnati su questo fronte, che riescono a recuperare notevoli quantità di materiale, la situazione italiana sta evolvendo. In relazione alla raccolta differenziata vi sono stati in alcune aree del Paese passi in avanti significativi ma permangono anche divari consistenti: il nord si attesta a quota 45,5 per cento, mentre si egistrano ancora risultati scadenti per il meridione (14,7 per cento) nonostante alcune significative eccezioni (come Salerno ad esempio, che superando la crisi rifiuti in Campania spicca per il suo 60,3 per cento). Un problema specifico riguarda la raccolta differenziata dei cosiddetti rifiuti organici, che rappresentano oltre il 30 per cento dei rifiuti solidi urbani. L’attuale legislazione dell’Unione Europea non limita le scelte degli Stati membri in merito alle opzioni per il loro trattamento purché si attengano a determinate condizioni generali stabilite nella direttiva quadro sui rifiuti.
Rifiuti solidi urbani riciclati in un anno nei principali Paesi europei (Kg/abitante) 2009 400
235 182
174
168
Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat
Italia
Belgio
Austria
Francia
Germania
Olanda
Svezia
69
58
48 Spagna
189
Regno Unito
196
Danimarca
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Finora si sono avute politiche molto diverse da uno Stato membro all’altro e ciò ha causato un profondo divario tra gli Stati membri che riciclano meno (90 per cento di smaltimento in discarica, 10 per cento di riciclaggio e sfruttamento energetico) e quelli con un ciclo di rifiuti più efficace (10 per cento di smaltimento in discarica, 25 per cento di sfruttamento energetico e 65 per cento di riciclaggio). L’obiettivo è ambizioso: entro il 2020 abbattere l’emissione di gas serra iniziando a smaltire i rifiuti organici con un trattamento biologico, che prevede la produzione di compost e biogas utili anche al trasporto.
I PIANI EUROPEI PUNTANO AI RIFIUTI ORGANICI PER PRODURRE ENERGIA
Se questi sono i fattori su cui lavorare per migliorare la gestione dei rifiuti, va segnalato il fatto che alcune città hanno deciso di osare di più, adottando la cosiddetta Zero Waste Strategy (strategia Rifiuti Zero”) che si pone l’obiettivo di azzerare, o quanto meno ridurre al minimo, le quantità di rifiuti prodotti. In realtà la strategia “Rifiuti Zero” non si accontenta di sostenere al massimo la raccolta differenziata ed il riciclaggio dei materiali, ma punta anche ad un dialogo con l’industria. L’approccio mette in evidenza che i prodotti, che non possono essere riciclati, recuperati o compostati, rappresentano uno spreco di risorse, e come tali dovrebbero finire in impianti di screening, per essere studiati. In sostanza se un prodotto non può essere riutilizzato, riciclato o in qualche modo compostato, allora non andrebbe prodotto.
Percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti nelle principali città italiane (2009) 42,3
37,1
33,1
33,8
36,6
32,1
24,1
Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat
6,8
Catania
Cagliari
5,5 Palermo
21,4
Bari
18,9
Napoli
Roma
Firenze
Bologna
Venezia
Milano
Torino
Genova
20,7
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La Zero Waste International Alliance mira a costruire nelle comunità una maggiore consapevolezza dei benefici sociali ed economici derivanti da una lettura diversa dei rifiuti, visti non più come un problema ma come un’imprescindibile risorsa capace di assicurare nuove opportunità lavorative e anche occasioni di business ecosostenibile. CANBERRA E’ GIA’ AL 74% DI DIFFERENZIAZIONE E VUOLE ARRIVARE AL 100%
La prima metropoli a seguire questa strada è stata la capitale dell’Australia, Canberra. Già nel 1996 l’amministrazione locale lanciò l’obiettivo di azzerare la produzione dei rifiuti nel 2010, in modo da eliminare le due discariche della città sostituendole con centri di riciclaggio. Attualmente l’adozione di questi obiettivi e le azioni implementate per il loro raggiungimento, ha permesso alla città di differenziare correttamente il 74 per cento dei rifiuti. Molte altre città, a diverse latitudini, hanno accettato la sfida Rifiuti Zero, come San Francisco, che già nel 2000 ha raggiunto la soglia del 50 per cento di raccolta differenziata e che nel 2007 ha superato quota 70 per cento. In Italia è stato il comune di Capannori (Lucca) il primo a deliberare tale strategia, seguito successivamente, e a fatica, da altri comuni: Aviano, Acerra, Carbonia, Giffoni, Tre Casali, Vinchio, Monte San Pietro.
Città e risorse idriche: la lotta agli sprechi Il tema dell’approvvigionamento idrico desta crescente preoccupazione. Molte città in tutto il mondo stanno affrontando problemi legati alla scarsità d’acqua e all’inquinamento. I problemi riguardano l’aumento dei consumi dovuto sia a fattori demografici che comportamentali, la mancata infiltrazione dovuta all’impermeabilizzazione di grandi superfici e alla canalizzazione dell’acqua piovana, nonché l’inquinamento delle falde, dovuto all’uso di pesticidi in agricoltura e di materiali nocivi in edilizia. IN ITALIA VIENE PERDUTA TROPPA ACQUA POTABILE PER LE RETI INADEGUATE
In particolare l’Italia è oggi un Paese che presenta un elevato prelievo di acqua ad uso potabile (circa 9,1 miliardi di metri cubi nel 2008). Si tratta di un dato, tra l’altro, che tende ad aumentare progressivamente. Il sistema infrastrutturale degli impianti di captazione e delle reti di distribuzione dell’acqua potabile evolve da anni con grande lentezza. Questo impatta negativamente in primo luogo sull’ammodernamento delle reti, che presentano livelli di vetustà notevoli, con consistenti perdite che obbligano a prelievi eccessivi alla fonte contribuendo al depauperamento della risorsa e ingenerando fenomeni di competizione tra gli usi (agricolo, civile, industriale, idroelettrico). C’è peraltro un problema di soddisfacimento di una domanda potenziale che rimane inespressa soprattutto nelle regioni del
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Mezzogiorno e che può leggersi nelle quote elevate di popolazione che ritiene di non disporre di una fornitura sufficiente rispetto al proprio fabbisogno. In Germania le attuali perdite di rete, che caratterizzano il contesto nazionale (7 per cento circa), sono considerate uno spreco ed un danno ambientale “inaccettabili”. Nel nostro Paese, per contro, con quote di perdita idrica almeno quattro volte superiori, non sono definitivamente accertate né la natura del fenomeno né la sua portata complessiva. PER 165 LITRI CONSUMATI SOLO 100 SONO FATTURATI IL RESTO E’ DISPERSO
Esiste una diffusa inefficienza gestionale che si traduce in un aumento della massa complessiva dell’acqua “lavorata” (pompaggi e potabilizzazioni) e dei relativi costi. Tutto ciò riverbera evidentemente sulle tariffe per l’utente finale. Nel bilancio complessivo delle risorse idriche le dispersioni possono giocare un ruolo non indifferente nel determinare temporanee crisi di scarsità. Una quota di acqua che potrebbe soddisfare le attese delle utenze in termini di maggiori disponibilità e consumi ed essere convogliata verso nuove utenze risulta di fatto sottratta alla disponibilità dei gestori. Guardando al dettaglio dei dati disponibili si rileva che negli ultimi 10 anni la situazione non è di fatto migliorata: nel 1999 ogni 100 litri di acqua erogata (e fatturata) ne sono stati prelevati 168. Nel 2008 si è scesi a 165. Le maggiori dispersioni sono al sud, ma anche le regioni del nord non sono certo esenti da sprechi idrici.
LO SPRECO COMPORTA UN MAGGIORE PRELIEVO CHE IMPATTA L’AMBIENTE
Lo spreco di un bene che come l’acqua, che sta via via assumendo un carattere non più di bene libero ma di risorsa scarsa, non si traduce solo in costi aggiuntivi e disagi per l’utenza. Significa anche la necessità di aumento del prelievo e dunque di maggiori impatti sugli ecosistemi. In un’ottica di sostenibilità, la riduzione delle perdite corrisponde dunque ad una significativa diminuzione della quantità d’acqua che è necessario prelevare dall’ambiente. Per questo si guarda con speranza alla possibilità di implementare sistemi idrici intelligenti che potrebbero consentire di ridurre fino al 50 per cento lo spreco di acqua dovuto alle perdite nelle condutture. In questi sistemi verranno applicate tecnologie avanzate di depurazione, che consentiranno di riciclare e riutilizzare l’acqua a livello locale, riducendo l’energia necessaria per il suo trasporto fino al 20 per cento. L’individuazione e la riparazione automatica delle perdite riducono considerevolmente il costo di ammodernamento delle infrastrutture idriche obsolete.
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Le perdite e le rotture venivano generalmente identificate dopo che l’acqua era fuoriuscita dalla conduttura e si era riversata nelle strade. L’ACQUA SI PUO’ SALVARE CON LE TECNOLOGIE APPLICATE AI GASDOTTI
Ma applicando al settore idrico la tecnologia utilizzata da anni nel settore petrolifero e dei gas naturali per il rilevamento e la riparazione automatica delle perdite, è possibile rendere queste attività più intelligenti ed efficienti. Come si vede, se la capillarità delle reti di acquedotti si può ritenere sufficiente garantendo che la quota di popolazione raggiunta sia sostanzialmente prossima a quella totale in tutte le regioni, la copertura dei servizi di fognatura e depurazione, pur considerando il cinque percento di popolazione che sfugge alla rilevazione, è tutt’altro che completa. In alcune regioni del Mezzogiorno la popolazione non servita da fognature raggiunge un quarto del totale e quella non collegata a sistemi di depurazione può superare il 50 per cento. Ma non solo di dispersioni si tratta. E’ importante infatti diffondere una attenzione ai consumi idrici e al tema del risparmio dell’acqua. Al riguardo il caso di Barcellona è particolarmente interessante. Con i cambiamenti climatici nel bacino del Mediterraneo gli episodi di siccità stanno diventando più
Dispersioni di rete nei comuni italiani con più di 200mila abitanti, 1999 - 2005 - 2008 1999
112 107 106
2005
2008
105 94 98
53
49
52
53 42 32 32
32
40
38 29
29
33 33
29 29 29
Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat
Firenze
Bologna
Verona
Genova
Torino
Napoli
Roma
Palermo
14
13 11
9
Venezia
54 54 54
Milano
57 61 61
Bari
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frequenti e più duraturi, e la città ha seri problemi di approvvigionamento. Si è pertanto avviata una politica di riduzione dei consumi domestici d’acqua potabile ed un piano tecnico di approvvigionamento a fonti idriche alternative. In particolare per combattere il deficit idrico si stanno accelerando infrastrutture per migliorare la disponibilità di acqua nei prossimi anni, per mezzo dei dissalatori (50 per cento), riutilizzo dell’acqua depurata (20 per cento), interconnessione ed efficienza di reti (20 per cento) e disinquinamento delle acque sotterranee (10per cento). Si sono adottate anche misure urgenti, come la somministrazione di acqua supplementare per mezzo di navi, divieto di riempire le piscine e di irrigare i giardini. Ma soprattutto è stata realizzata una campagna di sensibilizzazione per l’uso responsabile ed efficace dell’acqua da parte dei cittadini attraverso i media (televisione, radio, giornali).
BARCELLONA VINCE LA GUERRA DELL’ACQUA CON L’INFORMAZIONE
La campagna comprendeva: • consigli pratici per risparmiare acqua (chiudere i rubinetti quando non si usano, usare la doccia al posto della vasca da bagno, usare la lavatrice e il lavastoviglie a carico completo, usare economizzatori nei rubinetti, annaffiare le piante di mattino o di sera)
Consumo quotidiano medio di acqua (in metri cubi) per famiglia (anno 2007) in alcune città europee
Fonte: elaborazione su dati Dexia - AmbienteItalia
108 108
96
Goteborg
Bruxelles
118
Barcellona
119
Copenhaghen
125
Hannover
127
Praga
140
Madrid
152
Vienna
159
Londra
162
Helsinki
163
Berlino
169
Saragoza
191
Milano
207
Napoli
209
Lione
210
Stoccolma
Roma
Parigi
221
Anversa
287
31
32
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. • • 650MILA KIT DISTRIBUITI GIORNALI, RADIO E TV E UN RISPARMIO DEL 50%
l’informazione sui reali consumi domestici degli utilizzi più comuni: lavarsi le mani, i denti, farsi una doccia, fare una lavatrice, ecc una campagna di distribuzione gratuita di kits di areatori per rubinetti per il risparmio idrico realizzata dall’Agenzia catalana dell’acqua (campagna “Cada gota compta”, “Ogni goccia conta”).
Sono stati distribuiti gratuitamente ben 650.000 kit con i quali è possibile ridurre il consumo d’acqua di circa 50 per cento attraverso i giornali più noti e, contemporaneamente, sono stati distribuiti un’altra quantità di essi attraverso i comuni. I kit distribuiti contenevano due dispositivi e una chiave per l’autoinstallazione e manutenzione. Da notare che nel 2009 il consumo medio d’acqua a Barcellona è sceso a 110 litri per abitante.
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02. Innovare conviene
Risparmio e cultura promuoveranno gli immobili ecologici
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di Mario Breglia
(Scenari Immobiliari)
L’innovazione tecnologica nel corso del tempo ha dato un plus al valore medio degli immobili, perché ne ha aumentato il comfort e/o moltiplicato le funzionalità. Questo incremento risulta tanto più elevato quanto meno l’innovazione è diffusa. Il differenziale tende a ridursi mano a mano che la tecnologia si diffonde, fino a che la sua mancanza diventa un fattore di degrado. L’IMMOBILE ECOLOGICO E’ PIU’ CONFORTEVOLE E VINCE IN RISPARMIO
L’innovazione attuale e del prossimo futuro è costituita dall’immobile ecosostenibile, che oltre ad aumentare il comfort e la funzionalità rappresenta anche un risparmio energetico e quindi economico. Nel corso della storia l’evoluzione strutturale del contenitore edilizio è stata sempre correlata alla sua funzionalità. La cascina, disposta su un solo piano, rappresentava il luogo di lavoro e di vita quotidiana dei contadini. L’abitazione a due piani fu creata per affittare a terzi il secondo piano, quando lo spazio di lavoro si separò da quello abitativo in seguito allo sviluppo dell’agricoltura intensiva. Gli agglomerati residenziali furono i protagonisti dell’urbanistica dopo la rivoluzione industriale che raggruppò le famiglie a ridosso delle fabbriche.
NELL’ULTIMO SECOLO OGNI INNOVAZIONE EDILE HA INCISO SUL MERCATO
Nell’ultimo secolo le singole unità immobiliari sono state caratterizzate da specifiche innovazioni che si sono susseguite nei decenni. Ad ogni era tecnologica ha corrisposto un’innovazione che ha inciso sul mercato immobiliare del momento. Nel 1900 le innovazioni si chiamavano ascensore, bagno in casa, acqua potabile, riscaldamento, gas, campanello e luce elettrica. Queste caratteristiche comportavano un aumento sul prezzo medio di zona che poteva variare dal 15 per cento in centro al 25 per cento in periferia. Questo perché, ad un alazzo d’epoca in centro corrisponde in ogni caso un valore più alto
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rispetto ad un immobile in periferia. Nei primi decenni del secolo scorso compaiono il telefono, il riscaldamento centralizzato e la radio. Costituivano innovazioni richieste anche i doppi servizi ed il termosifone autonomo. NEL DOPOGUERRA I PREZZI ERANO GUIDATI DAI NUOVI MATERIALI
Nel dopoguerra il differenziale di prezzo era rappresentato dall’aria condizionata e dai nuovi materiali, cemento armato e plastica in primis. Negli anni sessanta venivano fortemente apprezzati l’isolamento acustico, il videocitofono e gli ascensori con le porte automatiche. A partire dagli anni settanta l’innovazione esce dal singolo immobile e si colloca nel quartiere.
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Sono le soluzione di sistema le più ricercate dalla domanda: acqua calda e sicurezza centralizzate, sistemi interni di comunicazione, reti di telefonia e tv. Nei primi anni del nuovo secolo l’innovazione è rappresentata dalla casa cablata: alla new economy corrisponde una new house ed una new city. Nello stesso spazio convivono funzioni domestiche e di rappresentanza, lavorative e di ricerca. La casa si trasforma in un contenitore plurifunzionale, integrato con la città e collegato con il mondo. Nell’era della globalizzazione e dei forti cambiamenti climatici, con una crescente sensibilità collettiva verso i problemi di salute del pianeta e dei suoi abitanti, l’innovazione tecnologica è rappresentata dalla casa ecosostenibile. LA QUALITA’ ENERGETICA ACCRESCE FINO AL 10% IL VALORE DELL’IMMOBILE
Un’abitazione efficientemente energetica, consuma meno energia e allo stesso tempo migliora il comfort di chi ci abita. Diversi elementi contribuiscono al risparmio energetico che possono far diminuire il consumo di energia di una casa anche del 15 o 20 per cento. Dal punto di vista strutturale si devono utilizzare materiali isolanti, pannelli solari e caldaie a condensazione. Secondo una indagine condotta da Scenari Immobiliari, presso un’ampia serie di società protagoniste nell’ambito immobiliare (imprese di costruzione, grandi proprietari, promotori, intermediari immobiliari), l’incidenza della qualità energetica del fabbricato sul valore dell’immobile può variare, in media, dal 3 al 10 per cento. Tuttavia, il differenziale è solo all’inizio della sua curva ascendente. In effetti, la tematica è ancora poco conosciuta ma il potenziale di valorizzazione resta elevato. Nella graduatoria delle caratteristiche richieste per l’acquisto di un immobile, il livello di risparmio energetico tuttora non è ai primi posti. Gli acquirenti non percepiscono ancora il valore aggiunto dell’innovazione, ma lo considerano un costo aggiuntivo, a volte ingiustificato.
IL SETTORE NON ABITATIVO GIA’ RECEPISCE IL VALORE DELL’ECOSOSTENIBILITA’
Come ad ogni ciclo di diffusione di un’innovazione la non conoscenza della tecnologia e della convenienza (economica e funzionale) da parte dell’utilizzatore, mantiene basso il plus valore dell’immobile. Ma è solo questione di tempo. Le tecnologie innovative, come ad esempio l’impermeabilità e la compattezza del involucro traspirante ma ermetico (senza dispersione), trasformano l’innovazione in un vero valore immobiliare che gradualmente viene apprezzato.
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Il settore non residenziale ha iniziato già da qualche anno a vedere l’incremento del valore dell’immobile ecosostenibile. Sia la domanda che l’offerta di spazi ad uso ufficio, principalmente di prodotto nuovo, si stanno concentrando su fabbricati di classe A (spazio per uffici dall’elevata flessibilità sui piani, di standard internazionali e di alta qualità, impianto di climatizzazione, ascensori, servizio di parcheggio con custodia, pavimenti sopraelevati o controsoffittatura e moderni servizi per affari; adeguamenti alle regole internazionali di sicurezza ed antincendio; efficientemente energetico). In questo settore il plus di valore varia dal 3 al 10 per cento, mentre il deprezzamento per un fabbricato non ecologico può scendere al 2 o addirittura all’ 8 per cento, già ora.
SOLO LE MULTINAZIONALI CAPISCONO IL VALORE DEI CAPANNONI VERDI
Anche nel comparto della logistica i capannoni di nuova realizzazione sono progettati per avere il minor impatto ambientale, grazie alla presenza di alcune importanti caratteristiche: pannelli solari da cui ricavare energia per il riscaldamento delle acque di servizio; sistema di raccolta di acqua piovana per evitare di gravare sulla rete idrica locale; sistema di illuminazione zenitale, che integra luce naturale con quella artificiale, per dare luce al magazzino evitando i consumi e quindi l’emissione di anidride carbonica.
Andamento dei prezzi medi reali e delle compravendite nel settore residenziale in Italia 1960 - 2015* (base 1960 = 100) Prezzi medi reali
Compravendite 350 300 250 200 150 100 50 0
1960
1965
1970
Fonte: Scenari Immobiliari
1975
1980
1985
1990
1995
2000
2005
2010
2015*
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Tuttavia, soltanto per le grandi multinazionali che sono sensibili al tema ecologico e apprezzano questo tipo di strutture, si giustifica un valore più alto dell’immobile (intorno al 5 per cento), mentre per molti operatori locali si tratta solo di una spesa ingiustificata. LA CASA ECOLOGICA PIACE DI PIU’ AI GIOVANI E AI PROFESSIONISTI
Nel comparto residenziale, invece, l’attenzione all’ecologia è condizionata dal livello socio-culturale delle famiglie: sono in particolare i giovani e i professionisti ad avere maggiore conoscenza e attrazione della tematica ambientale. Secondo i costruttori, negli ultimi dodici mesi si è registrato un crescente interesse verso la qualità della costruzione e verso l’efficienza energetica dell’edificio, ma ancora limitata agli immobili di pregio. Si tratta di una tendenza destinata ad aumentare. Per questo comparto il plus di valore dell’immobile ecologico varia dal 3 al 10 per cento, il deprezzamento in assenza dell’innovazione, per ora può essere nullo o scendere al 5 per cento. Nel settore abitativo, nei prossimi cinque anni è previsto un forte incremento della domanda di immobili ecosostenibili che comporterà un aumento del plus di valore del fabbricato, differenziato fra le regioni. Sarà più elevato nelle regioni del nord e nelle grandi città.
Quanto incide l’innovazione sul valore delle case Periodo
1900 1911 1921 1931 1951 1956 1961 1971 1981 1991 2000 2010
-
1910 1920 1930 1940 1955 1960 1970 1980 1990 1999 2009 2015
Fonte: Scenari Immobiliari
Innovazione tecnologico - strutturale
Incremento (%) Minimo
Massimo
Acqua - Luce
5
15
Telefono - Servizi Comfort interno Impiantistica Struttura palazzo tipologia alloggio Materiali
7 3
10 8
2 2 3 2
6 8 10 12
Ambiente esterno Infrastrutture Qualità globale Cablaggio - Reti - Wifi
2 3 5 4
8 9 12 14
Ecosostenibilità
3
15
39
38
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L’aumento della domanda di una casa ecosostenibile è fortemente condizionato dalla sensibilità delle famiglie verso i temi ambientali, argomento che già oggi coinvolge in maniera minore gli acquirenti del centro sud. Sia per il comparto abitativo che per il settore ufficio si prevede un deprezzamento che può variare dal 5 al 20 nel primo e dal 7 al 20 per cento nel secondo, per l’immobile che entro il 2015/2020 non rispetterà le caratteristiche di efficienza energetica. Tocca ora all’offerta adeguarsi velocemente alle caratteristiche richieste, affinché la qualità energetica diventi parte integrante degli immobili, sia nuovi che usati, così avremo anche le case di classe A, oltre che gli uffici.
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Res-International review of macrotrends Advisory Board Mario Deaglio - Presidente Torben M. Andersen Stefano Boeri Barry Eichengreen Francesco Giavazzi Massimo Lo Cicero Alberto Martinelli Dieter Rebitzer Giuseppe Roma Saskia Sassen John Seely Brown Jürgen von Hagen Coordinatrice Maggie Dufresne Numero 10 - primavera 2011 Direttore responsabile Maria Rosaria Zincone Segretaria di redazione Simona Pecorino Redazione e amministrazione Via Lorenzo Magalotti, 15 00197 - Roma Tel. +39 06 8558802 Fax. +39 06 84241536 www.res-si.eu Editore Scenari Immobiliari srl Stampa Multimedia Publishing srl Pubblicazione trimestrale registrata al Tribunale di Roma in data 5 maggio 2008 con numero 168/2008. Vietata la riproduzione. Tutti i diritti riservati
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