RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – martedì 13 dicembre 2016 (Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2) Electrolux sperimenta il lavoro da casa (M. Veneto) La cantieristica spinge l’export in Fvg (Piccolo) La metà del molo VII ceduta a Aponte (Piccolo) Il futuro tra Roma e Tieste, un rebus per Serracchiani (Piccolo) L’ombra delle elezioni sulla legge di bilancio (M. Veneto) Friuli senza ministri. Rosato: «Presto al voto» (M. Veneto) La Cisl del Fvg taglia i dirigenti (M. Veneto) Casa, nuovi bonus sotto l’albero (Gazzettino) Accolti due ricorsi, orali a porta chiusa nel concorsone scuola (M. Veneto, 2 articoli) Troppi viaggi in auto blu, nei guai Panontin e De Anna (M. Veneto) CRONACHE LOCALI (pag. 11) «Sciopero a oltranza», e arriva la paga (M. Veneto Pordenone) Caso Ideal Standard, sentenza entro l’anno (Gazzettino Pordenone) Ex Sintesi, venduti i macchinari (M. Veneto Pordenone) Ospedale, il cantiere a gennaio e nel 2020 si entra (M. Veneto Udine, 2 articoli) L’assistenza primaria arriva a Buia (M. Veneto Udine) Dipendenti preoccupati per l’Unione, scatta il volantinaggio (Gazzettino Udine) Il Friuli nella top ten: la provincia di Udine vola al nono posto (M. Veneto Udine) Offensiva antibivacchi, il Tar boccia il Comune (Piccolo Trieste) Tasse, il Comune passa all’incasso (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Monfalcone, a scuola un neo iscritto su due è straniero (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE Electrolux sperimenta il lavoro da casa (M. Veneto) di Elena Del Giudice - Si chiama Smart Working, si legge “lavoro da casa”, propria o quella dei genitori, dal bar piuttosto che in treno o in aereo... Insomma lavoro a distanza grazie alla tecnologia. Lo stipendio è lo stesso, la flessibilità ovviamente è molto diversa. Posso mettermi al computer quando il bimbo dorme, posso lavorare la sera dopo cena o la mattina dopo la palestra. Non serve che mi rechi in ufficio, ma è chiaro che compiti e obiettivi devono essere raggiunti. È Electrolux che sta sperimentando lo Smart Working nei propri stabilimenti italiani, e lo fa intanto formando i dipendenti interessati. Che sono parecchi: circa il 30% dei collaboratori che “possono” lavorare da altrove. Gli operai, vincolati alla linea di montaggio, ovviamente sono esclusi. Le professionalità coinvolte sono: progettisti, programmatori e informatici, impiegati e dirigenti amministrativi, chi si occupa di organizzazione delle vendite ecc. «La rivoluzione digitale sta rapidamente trasformando il mondo del lavoro, le attitudini e le aspettative delle persone e la visione stessa dell'azienda. Per questo Electrolux ha introdotto in Italia lo Smart Working, una nuova modalità di lavoro i cui principi chiave sono flessibilità, autonomia, ma anche responsabilizzazione e fiducia - spiega Marco Mondini, responsabile delle risorse umane del Gruppo in Italia -. Con questo nuovo approccio vengono meno i tradizionali vincoli legati allo spazio fisico, dando la possibilità ai lavoratori di connettersi e lavorare da casa o da qualunque altro luogo diverso dall'azienda». «Riorganizzarsi in senso smart significa cambiare lo stile di lavoro sia dell'azienda che del lavoratore con nuovi modelli di leadership orientati al risultato e non al controllo - prosegue Mondini -. Il nostro obiettivo è quello di incoraggiare e accrescere il livello di autonomia e responsabilizzazione a favore di un'organizzazione più flessibile e performante». Lo Smart Working risponde alle esigenze di un miglior bilanciamento tra vita privata e professionale, generando di conseguenza maggiore motivazione nella vita lavorativa. Per i lavoratori che utilizzano lo Smart Working è prevista una sessione formativa dedicata alla gestione per obiettivi delle attività, alla salute e sicurezza sul lavoro, alla riservatezza dei dati e delle informazioni aziendali, con un modulo specifico sul lavoro da remoto. Mentre Electrolux avvia il progetto, i sindacati lo analizzano, E i risultati di un’indagine avviata un paio di mesi fa tra i profili “alti” del Gruppo, sulle formule flessibili del lavoro, qualche dubbio lo hanno fatto emergere. Potendo riassumere in uno slogan: «Non toglietemi tutto ma solo il mio badge». Della serie: «non è dal luogo, dalla fabbrica o dall’ufficio in questo caso - spiega Augustin Breda, Rsu Fiom - che i lavoratori intervistati potendo si allontanerebbero per poter lavorare a distanza con strumentazione tecnologica, quando piuttosto che dalle rigidità orarie. Cosa questa che richiamerebbe la necessità di ripartire il lavoro che c’è, e quello sempre più ridotto che ci sarà in futuro, anche attraverso la riduzione delle ore da lavorare». Visto l’annuncio della sperimentazione dello Smart Working nelle fabbriche italiane di Electrolux, Breda ritiene «urgente la convocazione di un incontro con le Rsu che avevamo già richiesto a seguito di notizie inerenti l’utilizzo da parte dell’azienda di applicativi informatici integrati per la misurazione delle performance, sistema retributivo e piani di successione dei dipendenti». In sostanza il sindacalista teme che l’utilizzo delle nuove tecnologie e la raccolta dei dati, «sia più legata alla produttività che dal punto di vista dei lavoratori».
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La cantieristica spinge l’export in Fvg (Piccolo) Accelera l’export delle regioni del Nord Ovest nel terzo trimestre dell’anno, con una crescita del 2,1% rispetto al trimestre, mentre le regioni del Nordest registrano una sostanziale stabilità (-0,2%) e sembra rallentare la forte spinta che aveva caratterizzato i territori del Sud nella prima parte dell’anno, soprattutto grazie al traino della Basilicata con il comparto automotive: il Sud e le isole registrano infatti un calo dell’export dell’1,5%. Considerando l’intero periodo gennaio-settembre, tuttavia, l’Istat rileva che il maggiore apporto dato al lieve aumento tendenziale dell’export nazionale (+0,5%) è in gran parte da attribuirsi alle aree meridionali (+10,6%). Il valore delle esportazioni delle imprese del Friuli Venezia Giulia nei primi nove mesi del 2016 fa segnare un incremento del 5,5% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, pari a 528 milioni di euro in più. Si tratta del migliore risultato tra le regioni del Nordest, che nel suo complesso registra una crescita pari a +1,5%; a livello nazionale la dinamica positiva è stata molto più contenuta (+0,5%). Dopo un avvio di anno negativo (-5,5%), l'export regionale è fortemente cresciuto nel secondo trimestre (+22,4%), mentre gli ultimi mesi evidenziano un rallentamento delle vendite estere (+1,1%). I primi nove mesi dell'anno evidenziano anche una netta contrazione delle importazioni regionali (-7%) e una conseguente crescita dell'avanzo commerciale (+902 milioni di euro, pari a +21,6%), che nel 2016 ha superato i 5 miliardi. Lo rileva una rielaborazione dell'Ires Fvg curata dal ricercatore Alessandro Russo su dati Istat. A livello territoriale si è verificata una notevole espansione delle esportazioni della provincia di Trieste (+29,3%) e una più moderata crescita in quella di Gorizia (+3,8%). Nella provincia di Udine si osserva al contrario una variazione negativa (-1,5%), in quella di Pordenone il volume di export è rimasto sostanzialmente invariato (-0,3%). L'ottimo risultato della provincia giuliana proviene sia al settore della cantieristica navale (+122,8%, pari a 460 milioni di euro in più), sia al comparto della meccanica strumentale (+50,5%, che equivale a 156 milioni di euro in più). Tornando al contesto regionale, senza l'apporto della cantieristica navale nei primi nove mesi del 2016 il valore delle esportazioni sarebbe rimasto sostanzialmente invariato (0,2%). Tra i principali comparti dell'economia regionale si segnala l'incremento del 3,2% delle vendite di macchinari e apparecchiature, mentre quello del mobile segna una battuta d'arresto (3,5%), nonostante i segnali di ripresa evidenziati nell'ultimo biennio. Anche le esportazioni di apparecchi elettrici risultano in deciso calo nel 2016 (-12%).
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La metà del molo VII ceduta a Aponte (Piccolo) di Silvio Maranzana - Gianluigi Aponte “blinda” il Molo Settimo. Con un’operazione che si è conclusa nei giorni scorsi il patron di Msc (Mediterranean shipping company), colosso mondiale dei container secondo solo alla danese Maersk, ha acquisito attraverso una delle sue società la perfetta comproprietà del terminal triestino passando dal 45% al 50% delle quote. «Il piano progettato dall’inizio si è concretizzato - spiega Pierluigi Maneschi che con la sua To Delta resta proprietario dell’altra perfetta metà della società concessionaria - Msc ha fatto crescere il proprio traffico su Trieste già del 35%, per cui è scattata la clausola che prevedeva la cessione da parte nostra di un’ulteriore piccola fetta del terminal. Dal punto di vista pratico non cambia nulla - aggiunge Maneschi - perché la gestione di Trieste marine terminal (che è la società terminalista del Molo Settimo, ndr.) resta a To Delta a partire dal fatto che il presidente di Tmt rimane Fabrizio Zerbini. Ad Aponte infatti interessa fare l’armatore, ma in questo modo, cioé con la proprietà del 50% delle quote, si è assicurato che il controllo del terminal triestino non possa essere ceduto a nessun altro». Gianluigi Aponte, sorrentino è a capo di un gruppo con un giro d’affari di 13 miliardi di dollari. I principali introiti vengono dal settore container di Msc che ha sede a Ginevra. L’operazione a Trieste non è di poco conto. Nel 2008 la scalata al Molo Settimo era stata tentata dalla Maersk che voleva assicurarsi il controllo pieno per concretizzare il progetto del superporto che con l’appoggio di Unicredit avrebbe dovuto coinvolgere anche Monfalcone. Lo stesso Maneschi però come l’ex presidente dell’Autorità portuale Claudio Boniciolli avevano valutato l’operazione con una certa freddezza, tanto da indurre Maersk a recedere. Ora i danesi non serberanno rancore a Trieste perché sono alleati proprio di Msc nel consorzio 2M, il più potente al mondo dal momento che raggruppa le due compagnie più importanti, le prime a utilizzare le megaportacontainer. Il primo effetto di tutto questo lo si vedrà a Trieste già giovedì con l’arrivo di Msc Paloma, nave da 14mila teu, cioé la più grande mai entrata in Adriatico. «Per Trieste sarà un test cruciale - anticipa Maneschi - dovremo movimentare tremila contenitori e l’obiettivo, mai raggiunto qui da noi, sarebbe di movimentarne 100 all’ora». Il target probabilmente non sarà centrato, ma Tmt dovrebbe comunque fornire una buona performance tale da far incrementare l’arrivo delle megaportacontainer. Dei 188 milioni previsti per l’ampliamento del Molo Settimo, la metà infatti li sborserà Aponte, che sarebbe come dire la Msc. «Alla fine dell’anno prossimo si vedrà il molo incominciare a crescere - preannuncia Maneschi - e alla fine dei lavori due navi da 14mila o più teu potranno ormeggiare alla banchina in assoluta sicurezza, cioé senza sporgere come invece accade oggi». Il Molo alla fine sarà lungo 970 metri, 200 in più rispetto ai 770 attuali. Come contropartita del megainvestimentoTmt ha sottoscritto nel dicembre 2015 con l’Authority una concessione di ben sessant’anni.
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Il futuro tra Roma e Tieste, un rebus per Serracchiani (Piccolo) di Marco Ballico - Fosse per Massimiliano Fedriga, «prima se ne va, Debora Serracchiani, meglio è». Il ragionamento di Riccardo Riccardi è invece più articolato: «Dica, la presidente, che cosa farà. Perché una Regione che deve ridefinire i suoi rapporti finanziari con lo Stato proprio nel 2017 non può restare appesa a pur legittime ambizioni personali». Serracchiani, sempre lei. Nel giorno in cui la direzione nazionale Pd, come previsto, non affronta il nodo del riassetto del partito, e quindi di un possibile ricambio nel ruolo di vice Renzi che la presidente del Fvg divide con Lorenzo Guerini, ecco il richiamo di Forza Italia «a non mettere i cittadini della regione sotto scacco». Se una parte del Pd regionale vorrebbe che, dopo le sconfitte alle amministrative, la presidente concentrasse i suoi impegni sul territorio, il tema sollevato a centrodestra è quello delle voci che danno Serracchiani decisa a continuare la sua carriera politica a Roma, in Parlamento. A candidarsi dunque quando il governo Gentiloni avrà esaurito il suo compito, probabilmente prima della scadenza naturale del mandato in Regione, primavera 2018. Si andasse a elezioni politiche nei primi mesi del 2017, l'anticipo sarebbe di non poco conto nel caso in cui la presidente della giunta scegliesse di dimettersi per consentire l'election day: voto nazionale e regionale nello stesso giorno. Se invece le Camere venissero sciolte in autunno e la presidente, in lista per la capitale, optasse per rimanere in carica fino all'eventuale elezione (la legge prevede che si possa candidare e che, una volta conquistato un seggio parlamentare, si possa poi dimettere da piazza Unità), i tempi si allungherebbero e si arriverebbe a ridosso del 2018. Lasciare Trieste presto, troppo presto, potrebbe essere un problema di opportunità. L'unica volta che accadde fu con Riccardo Illy, ma a legislatura quasi ultimata. Anche in quell'occasione, tuttavia, la sola via per anticipare la data delle regionali fu quella delle dimissioni. Il leader di Intesa democratica se ne andò dal Palazzo l'8 febbraio 2008 con un unico obiettivo dichiarato: che i cittadini si risparmiassero disagio e costo di una doppia, ravvicinata chiamata alle urne, votando tanto per le politiche quanto per le regionali, le provinciali e le comunali di Udine in un unico turno, ad aprile. Dal momento delle dimissioni, è ancora la legge che lo detta, ci sarebbero 60 giorni per indire nuove elezioni regionali. Tempistiche chiare, ma che Fi non intende farsi imporre da Serracchiani. «Subito dopo il voto del 4 dicembre - ricorda Riccardi - abbiamo chiesto che non si facesse pesare sul Fvg la gestione della crisi di governo e il congresso permanente del Pd. Cosa che purtroppo si sta puntualmente avverando». La preoccupazione azzurra riguarda l'aggiornamento del patto con il ministero dell'Economia, il Serracchiani-Padoan che dà certezza ai conti della Regione. L'assessore alle Finanze Francesco Peroni ha spiegato che il terreno per il prossimo protocollo «è già stato preparato», ma Riccardi incalza: «Stiamo affrontando una Finanziaria a valere su un anno in cui si rivedono gli accordi con Roma, un passaggio fondamentale nel momento in cui l'80% della spesa è bloccato da salute, trasporti ed enti locali. Serracchiani non può pensare di fare campagna elettorale da presidente né infilare il Fvg nel tritacarne degli equilibri del Pd». E dunque «faccia da subito chiarezza perché a noi delle sue ambizioni interessa poco, specie se contrastano con il percorso già delicato della vita della Regione». Renzo Tondo, da Autonomia Responsabile, aggiunge che «il percorso» della «débacle renziana richiama quella che stanno subendo ormai da mesi Serracchiani e il Pd regionale» e cita «il caos delle Uti» e gli «errori» commessi: «Anche qui in Fvg la favola della rottamazione si è rivelata solo la caparbia volontà di favorire e potenziare la nomenklatura dei fedelissimi signorsì». Sbrigativo Fedriga: «Se se ne va prima del tempo, non credo ci saranno ripercussioni, anzi. La vicenda è tuttavia esemplare per dimostrare che Serracchiani ha usato il Fvg come trampolino di lancio personale». Anche da Alessandro Colautti (Ncd) arriva una più timida richiesta di fare chiarezza. Ma, rispetto a Riccardi, la motivazione non riguarda il Serracchiani-Padoan: «Non credo che il prossimo governo avrà in cima alla sua agenda il patto con il Fvg. La vittoria del No al referendum ha sottratto alle "speciali" la forza di negoziazione. La nostra situazione di debolezza prescinde dalle decisioni della presidente».
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L’ombra delle elezioni sulla legge di bilancio (M. Veneto) La sensazione, strisciante ma particolarmente reale, è che a piazza Oberdan da domani a venerdì si parlerà molto poco di numeri e tanto di politica e prospettive future della Regione. Da questa mattina, infatti, il Consiglio regionale è chiamato ad analizzare la legge di Bilancio del Fvg per il 2017 – così come uscita dalle diverse Commissioni che l’hanno esaminata –, ma è inevitabile che il referendum costituzionale, il nuovo Governo e le prospettive di elezioni anticipate – a Roma ma secondo più di qualcuno anche a Trieste – rappresenteranno il principale cavallo di battaglia del centrodestra e del M5s. D’altronde si sa bene come in politica sia difficile trovare spazio per la “pietà” nei confronti dell’avversario, specialmente se questo è ferito e si può cercare di affondare. Fuori metafora, quindi, significa che le opposizioni in Consiglio regionale sono pronte a mettere nel mirino la presidente Debora Serracchiani e il Pd dopo il tonfo al referendum e le scoppole dem subìte alle amministrative di primavera e autunno. Lo ha già annunciato Riccardo Riccardi, capogruppo a piazza Oberdan di Forza Italia, che ancora lunedì 5 dicembre aveva pesantemente attaccato la presidente chiedendole di non trascinare il Fvg nelle beghe interne del Pd. I grillini, poi, da parte loro non paiono avere intenzione di non sottolineare la necessità di conoscere in anticipo se anche il Fvg, come probabilmente accadrà al Paese, andrà a elezioni anticipate. Una richiesta di chiarezza, questa, avanzata anche da alcune parti del Pd – a partire da Mauro Travanut – con la maggioranza, quindi, che potrebbe trovarsi a dover rispondere anche al fuoco amico, nonostante l’impegno preso di discutere, in Aula, soltanto dei contenuti dalla legge di Bilancio e non di scenari, presenti e futuri. Per quanto riguarda l’ex Finanziaria, comunque, parliamo di un Bilancio che pareggia a 5 miliardi, di cui più o meno 3,7 sono risorse utilizzabili liberamente. Le fetta maggiore di risorse, come da un ventennio a questa parte, andrà alla sanità e alle politiche sociali – 2,6 miliardi di euro –, con la prima delle altre poste decisamente staccata se pensiamo agli “appena” 400 milioni destinati alle Autonomie Locali. Da notare, in questo senso, come il Fondo ordinario per gli investimenti a favore dei Comuni e delle Uti, per il 2019 assegni quasi 27,818 milioni di euro (13,490 per i Comuni e 14,328 per le Uti) per il 2019, mentre per il 2018 si passa a 15,237 milioni (7,2 per i Comuni e poco più di 8 per le Uti), e per il 2017 si parla di oltre 11 milioni (5,5 milioni per i Comuni e 6,227 per le Uti). Dalle Commissioni, inoltre, è stata prevista una quota di 250 mila euro per misure alternative alla detenzione con per persone con problemi di dipendenza patologica, mentre l’importo destinato alla cooperazione sociale per il triennio 2017-2019 è stata alzata sino alla quota di 6,45 milioni di euro, a PromoTurismoFvg sono stati trasferiti 350 mila euro per la valorizzazione delle località sciistiche del Fvg e mezzo milione alle cooperative e associazioni che operano nei Comuni. Altre novità sono previste da oggi, con gli emendamenti in arrivo dalla giunta e dal Consiglio. (m.p.)
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Friuli senza ministri. Rosato: «Presto al voto» (M. Veneto) di Mattia Pertoldi - Willer Bordon resta l’ultimo esponente politico del Fvg che la nostra regione è stata in grado di esprimere come ministro. Ettore Rosato, infatti, ieri non ce l’ha fatta – a condizione che fosse mai stato realmente in corsa come sussurravano i rumors di Montecitorio – a entrare nella squadra, pressoché identica alla precedente, che il nuovo presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha scelto per guidare l’esecutivo che entro il 2017 traghetterà il Paese alla urne. Sì, perché la sensazione netta, e confermata anche dallo stesso Rosato, è che questo sia un vero e proprio Governo a tempo determinato, destinato a trovare una sintesi in Parlamento per la legge elettorale, gestire i principali appuntamenti europei, varare i provvedimenti per la ricostruzione delle aree del Centro Italia devastate dal terremoto e quindi alzare bandiera bianca. «È un Governo molto simile al precedente – ha spiegato il capogruppo alla Camera del Pd Rosato – e non poteva essere altrimenti considerato come nasca con una vocazione a termine. Abbiamo portato al presidente Gentiloni, cui auguriamo buon lavoro, il sostegno forte, leale, attivo e pieno del Pd alle sue scelte, ma restiamo convinti che questa legislatura abbia terminato il suo percorso ed esaurito la spinta propulsiva, l’orizzonte delle elezioni per noi resta vicino, anzi, per il Pd queste dovranno avvenire il prima possibile». Una posizione chiara, quella di Rosato che viaggia in parallelo alle parole espresse da Matteo Renzi nelle giornate che hanno fatto seguito alle sue dimissioni, ma che, probabilmente, spiegano anche con chiarezza il perché l’attuale capogruppo alla Camera possa aver declinato – a condizione che sia stato interpellato – l’invito a entrare nel Governo. Lasciare, infatti, il ruolo di tessitore alla Camera del partito di maggioranza relativa che giocherà un ruolo principale nelle scelte da prendere da qui alla prossima primavera – a partire dalla definizione delle regole del gioco – decidendo di diventare ministro per una manciata di mesi in un Governo di transizione si sarebbe infatti tradotto in un suicidio politico e in una mossa azzardata che una persona intelligente e navigata come il deputato triestino non avrebbe mai compiuto. Rosato, dunque, parteciperà alle trattative per la stesura della legge elettorale sulla quale si dovrà confrontare, però, con tutte le opposizioni alcune delle quali, come la Lega Nord, preannunciano una vera e propria battaglia politica. «Gentiloni è semplicemente imbarazzante – ha spiegato il capogruppo alla Camera del Carroccio Massimiliano Fedriga – e se analizziamo il ruolo assegnato a Maria Elena Boschi e lo confrontiamo con le dichiarazioni secondo le quali, se il Pd avesse perso il referendum, lei avrebbe abbandonato la politica capiamo come questa gente abbia preso in giro gli italiani e viva fuori dalla realtà. Siamo tornati alla Prima Repubblica elevata al cubo, ma a giugno si andrà al voto e il Paese punirà questa intollerabile arroganza». Giugno, o fine maggio, è l’orizzonte temporale che filtra con sempre maggiore insistenza dagli ambienti di centrosinistra e pure da quelli di centrodestra. Sei mesi, più o meno, necessari a Gentiloni per completare quanto avviato da Renzi nei suoi mille giorni di Governo e all’ex premier per organizzare il congresso nazionale del Pd. Una vera e propria resa dei conti interna ai dem in cui l’attuale segretario punta a sganciarsi, una volta per tutte, dalla minoranza interna, avere mano libera nella composizione delle liste elettorali e portare il Paese a votare. Tra maggio e giugno, nelle intenzioni dell’ex presidente del Consiglio, anche se non tutti, in Fvg, la pensano alla stessa maniera. «Non sono così certa che andremo alle urne prima dell’estate – ha commentato Sandra Savino, parlamentare di Forza Italia e coordinatrice regionale del partito – perché sul piatto c’è la definizione della legge elettorale, materia di per sé complessa, il vertice del G7 a Taormina (in programma il 26 e 27 maggio ndr) e soprattutto la definizione del pacchetto normativo per la ricostruzione post-sisma. Stiamo a vedere, certamente le scelte su questo Governo non mi convincono per nulla. È la quasi esatta fotocopia di quello precedente. Renzi, a questo punto, avrebbe anche potuto fare a meno di dimettersi, spostare la sua “madre costituente” che ha fallito, cioè Boschi, in un altro ruolo, così come è avvenuto, e andare avanti fino alle elezioni. È una presa in giro, non c’è altro da dire». Prospettive, ipotesi e ragionamenti politici tutti ancora da seguire in prospettiva giorno dopo giorno. La concretezza attuale, invece, dice che il Fvg, ancora una volta, resta a bocca asciutta, senza alcun rappresentante in un Governo nazionale. Un vuoto, come accennato, che dura ormai da molti anni, dai tempi del compianto muggesano Willer Bordon (era di Muggia) tra il 1999 e il 2001, ministro dei Lavori Pubblici nel Governo D’Alema e 7
dell’Ambiente in quello guidato da Giuliano Amato. Per ritrovare un ministro friulano, invece, dobbiamo ritornare addirittura ai tempi della Prima Repubblica e risvegliarci con Giorgio Santuz ai Trasporti (1988) e prima di lui Loris Fortuna e Mario Toros. La Cisl del Fvg taglia i dirigenti (M. Veneto) Una giornata importante per la Cisl del Fvg, che aggiunge un tassello chiave a quel processo di cambiamento e rinnovamento fortemente voluto dalla segreteria regionale, di concerto con la Confederazione. Il Consiglio generale del sindacato, riunitosi a Monfalcone alla presenza di Annamaria Furlan, ha infatti, votato il sì definitivo alla regionalizzazione, vale a dire, in sostanza, taglio netto dei livelli dirigenziali, una diversa articolazione e gestione delle attuali unioni provinciali, il tutto a favore della costruzione di un’unica struttura Cisl di dimensione regionale, poiché è proprio la scala regionale a garantire un’adeguata programmazione, formazione, economia di scala e di specializzazione per i servizi. Un’operazione radicale che genererà consistenti risorse, sia monetarie (si stima, dalla manovra, un risparmio del 30% dei costi), sia di personale, da riversare direttamente sulla prima linea, sui territori, per le attività sindacali nei posti di lavoro e, in generale, tra la gente. «Procederemo per gradi – sottolinea Fania, ormai alla vigilia del congresso di aprile - ma senza fermarci perché è arrivato il momento che il sindacato cambi davvero rotta per rispondere in modo compiuto e più funzionale a un mercato del lavoro completamente diverso e alle nuove istanze di chi rappresentiamo, a partire dai giovani per cui oggi il sindacato resta ancora una realtà distante». «Una giornata importante – ha commentato la segretaria generale Annamaria Furlan a Monfalcone per tenere a battesimo l’avvio del percorso -. Con il Friuli Venezia Giulia è stato fatto un buon lavoro, con il contributo di tutti e il risultato è un salto di qualità che consentirà di svolgere nel migliore dei modi il ruolo e l’attività sindacale». Un’attività che oggi – ha analizzato la segretaria generale, prendendo spunto dall’attualità (Brexit, Trump e voto referendario) – si trova a dover fare i conti con un quadro politico ed economico fortemente mutato e carico di incognite, ma anche di sfide irrinunciabili, come la partita sulle politiche industriali, a cui – per Furlan – si impone la questione della qualità. Casa, nuovi bonus sotto l’albero (Gazzettino) Testo non disponibile
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Accolti due ricorsi, orali a porta chiusa nel concorsone scuola (M. Veneto, 2 articoli) di Michela Zanutto - Prova orale a porte chiuse? E il concorso della scuola traballa. Perché la legge impone trasparenza e su questa base il Tar ha accolto due ricorsi di altrettanti aspiranti insegnanti di italiano alle scuole medie e superiori che, dopo la bocciatura, ora potranno ritentare il colloquio. E come loro centinaia di altri “prof”. Il perché è presto detto: si è creato un precedente. Per di più in una fase in cui i 123 vincitori delle classi A012 e A022 (Discipline letteraria negli istituti di istruzione secondaria di secondo grado e Italiano, storia, geografia nella scuola secondaria di primo grado) sono già entrati in servizio. Precedente che coinvolge tutti gli aspiranti prof bocciati dopo l’orale. Le domande arrivate all’Ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia per partecipare al concorso bandito a febbraio nell’ambito della Buona scuola, erano 2 mila 872 per mille 315 posti in ogni ordine e grado. Posti che alla fine dei colloqui non saranno interamente coperti. Questo significa che, mediamente, la percentuale di bocciature supera il 54 per cento. A terminare in tempo utile per le ammissioni in ruolo per l’anno scolastico 2016/2017 erano state, a settembre, soltanto le prove delle scuole medie e superiori. La primaria sta ancora attendendo la fine degli orali, al via in questi giorni e destinati a protrarsi fino alla fine di maggio. Proprio fra i candidati delle scuole medie e superiori ci sono i due ricorrenti cui il Tar ha dato ragione. «È fondata la censura relativa allo svolgimento della prova orale a porte chiuse, poiché non è stato consentito l’accesso al pubblico - scrivono i magistrati Umberto Zuballi, Manuela Sinigoi e Alessandra Tagliasacchi nella sentenza depositata la scorsa settimana -. E lo svolgimento della prova orale a porte chiuse contrasta con i principi che riguardano la pubblica amministrazione in genere e lo svolgimento delle prove orali dei concorsi in particolare, le quali, salvo che non sia stabilito altrimenti, devono essere accessibili al pubblico». Proverbiale, ormai, la severità delle commissioni d’esame in queste occasioni. Dopo il concorso dei dirigenti scolastici del 2011 che aveva promosso meno personale di quanto fosse necessario, non sono mancate le lamentele neppure sugli esaminatori del 2016. Anche se non si conoscono esattamente le percentuali delle ammissioni per le secondarie di primo e secondo grado (tutti sindacati lamentano «una scarsa comunicazione da parte dell’Usr»), si sa come sta andando alla scuola primaria con il 74 per cento dei candidati respinti. Al concorso si sono iscritti mille e 34 aspiranti maestri, il numero più alto dei docenti in corsa per una cattedra in regione. Allo scritto erano già 825. Ma all’orale sono arrivati in 321, meno del 40 per cento. E soprattutto ancora una volta meno dei posti a concorso, 482. Numeri ancora più bassi per la classe di concorso A028 Matematica e Scienze (medie inferiori di primo grado): 113 iscritti, 110 presenti allo scritto, 29 ammessi all’orale (il 26 per cento). A fronte di 99 caselle da riempire. Era stato il segretario regionale dell’Flc Cgil, Adriano Zonta, ad avvertire già a settembre che i mille 315 posti da assegnare in Friuli Venezia Giulia non sarebbero stati interamente coperti, giacché in otto classi di insegnamento non sono state bandite prove in regione, per un totale di 158 posti senza alcun candidato in corsa, e in tre i docenti iscritti sono inferiori al numero delle immissioni in ruolo previste, per altri 17 posti scoperti in partenza. La gestione delle superiori resta nel caos Testo non disponibile
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Troppi viaggi in auto blu, nei guai Panontin e De Anna (M. Veneto) di Luana de Francisco - Di nuovo la tentazione dell’auto blu e di un suo utilizzo a fini non propriamente istituzionali. Il faro della Procura della Repubblica di Trieste sugli uffici di piazza Unità d’Italia riparte da qui, con una nuova tornata investigativa che, dopo la stagione delle “spese pazze”, torna a chiedere spiegazioni alla politica regionale. E l’approccio con cui lo fa non poteva essere più bipartisan di così. Perchè a finire iscritti sul registro degli indagati, accomunati nel medesimo fascicolo dalle stesse ipotesi accusatorie, sono l’ex assessore Elio De Anna, titolare della Cultura e dello Sport ai tempi della giunta di centrodestra capitanata da Renzo Tondo, e l’attuale assessore alle Autonomie locali, alla Protezione civile e alla Caccia, Paolo Panontin, nella squadra di centrosinistra targata Debora Serracchiani. Una contiguità improbabile, la loro, ma di facile decifrazione: a unirli nel concorso di reato è Fulvio Spitz, il loro autista, a sua volta indagato. È lui, 56 anni, di Vivaro, il fil rouge dell’inchiesta, il dipendente regionale assegnato prima all’uno e poi all’altro, per accompagnarli nei loro spostamenti a bordo della Bmw serie 5 di servizio. Peculato, falso e truffa le ipotesi formulate dal pm Massimo De Bortoli, che in questi giorni ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ai diretti interessati. Nei guai anche Sara Faccio, 37 anni, di Ronchi dei Legionari, la segretaria particolare di Panontin, cui si contesta un’ipotesi di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, in concorso con l’assessore e con Spitz. Il periodo preso in esame dagli investigatori è quello a cavallo tra la legislatura in corso e quella che l’ha preceduta e l’auto blu attenzionata è quella guidata, appunto, da Spitz. A non convincere sono i “Fogli di viaggio” giornaliero sottoscritti dall’autista e di volta in volta vistati dall’assessore di turno. Stando alla tesi accusatoria, i rendiconto sarebbero stati gonfiati con «chilometri indebitamente percorsi». Per un totale che, nel caso del monitoraggio effettuato dal 24 marzo al 26 aprile 2013, quando assessore era De Anna, ammonterebbe a 89 ore e 31 minuti di lavoro in eccesso e a 2.043 chilometri percorsi per ragioni «non di servizio», e che per i successivi tre mesi e mezzo d’indagine, dal 3 maggio al 23 agosto 2013, quando a Trieste era arrivato Panontin, sarebbe stato calcolato invece in 121 ore e 43 minuti e 3.798,9 ore. In tutte quelle occasioni, l’auto blu sarebbe stata utilizzata da Spitz «in via esclusiva», con conseguente consumo di olio, carburante, usura di pneumatici ed esborsi per pedaggio autostradale. In cima alle contestazioni, i tragitti compiuti dalla sua abitazione, la frazione di Basaldella di Vivaro, nel Pordenonese, a quella dell’assessore assegnatogli (Cordenons, per De Anna, e Azzano Decimo, per Panontin). E questo perchè, capo d’imputazione alla mano, «le disposizioni regolamentari dell’utilizzo dei veicoli della Regione non ammettono il loro ricovero in luogo diverso dalle autorimesse a disposizione dell’amministrazione regionale». Il sospetto del pm è che del novero facciano parte anche «tragitti effettuati fuori dall’orario di servizio» e una serie di altri casi in cui «l’autovettura non sia stata utilizzata per motivi di rappresentanza». C’è poi un episodio che riguarda il solo Panontin, chiamato a rispondere di un impiego dell’auto di servizio ritenuto «assolutamente incompatibile con le funzioni di rappresentanza»: un pranzo «di natura conviviale» cui si fece accompagnare, il 13 maggio, a Muggia, e al quale parteciparono dieci altre persone, tra cui sindaco e vice di Azzano Decimo. Il coinvolgimento della sua segretaria è invece legato a una «dichiarazione di chiamata in servizio» da lei predisposta su richiesta di Spitz e con avvallo di Panontin, finalizzata a ottenere la sospensione da parte del giudice di pace di Spilimbergo della sospensione della patente per 60 giorni disposta nei confronti dell’autista a seguito di una multa per eccesso di velocità. Secondo la Procura, si sarebbe trattato di un falso.
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CRONACHE LOCALI «Sciopero a oltranza», e arriva la paga (M. Veneto Pordenone) di Giulia Sacchi - Mattinata di sciopero ieri alla Sigma Re di Aviano per il mancato rispetto da parte del Gruppo Sassoli degli accordi sui pagamenti degli stipendi. In seguito alla violazione delle intese sulla liquidazione delle spettanze, i lavoratori si sono riuniti in assemblea sindacale straordinaria e hanno deciso di proclamare lo sciopero a oltranza, bloccando la produzione. Ma subito dopo avere assunto la decisione di incrociare le braccia sino a quando la proprietà non avesse ottemperato a quanto stabilito, l’azienda si è fatta viva e ha garantito il versamento del 40 per cento dello stipendio di novembre entro oggi. Le maestranze (l’organico è composto da 52 unità, ma nel sito opera una trentina di addetti) hanno deciso di concedere una chance all’impresa. Patti chiari, però: se oggi non avranno in mano la ricevuta del bonifico e le somme non figureranno nei conti correnti, la battaglia proseguirà. Domani sarà ripristinato lo sciopero a oltranza e le macchine si fermeranno. Ieri i lavoratori hanno incrociato le braccia solamente al mattino: dopo le rassicurazioni aziendali, gli addetti sono tornati alle proprie postazioni e l’attività produttiva è ripresa. I sindacalisti Gianni Piccinin (Fim), Roberto Zaami (Uilm) e Bruno Bazzo (Fiom), anche stavolta, non hanno risparmiato una condanna al comportamento della proprietà. «E’ assurdo che i dipendenti debbano scioperare per vedersi riconosciuto ciò di cui hanno diritto, peraltro per una prestazione già erogata – ha messo in evidenza Piccinin –. Il quadro è preoccupante e il fatto che l’azienda abbia assicurato che provvederà a pagare, tra l’altro soltanto dopo l’annuncio dello sciopero, non ci fa di certo tirare un sospiro di sollievo. Il problema non è risolto e la proprietà deve esserne consapevole». «La situazione può ripresentarsi anche nei prossimi mesi, visti pure i precedenti (la scorsa primavera si erano verificati episodi analoghi) – ha aggiunto Piccinin –. L’atteggiamento della proprietà è allarmante: il Gruppo Sassoli è assente e questo è sintomo di disinteresse nei confronti dei lavoratori, delle loro famiglie e della realtà produttiva». I sindacati hanno rilevato che gli addetti sono stanchi e delusi non soltanto per quanto sta accadendo, ma anche per l’assenza di prospettive. «Non vediamo miglioramenti – ha concluso Piccinin –. Sinora abbiamo sentito grandi promesse, peccato però che stiamo assistendo solamente a grandi delusioni. Sarebbe onesto se il Gruppo ammettesse di non farcela più: le forze, sindacali e politiche, scenderebbero in campo compatte, come già accaduto, per individuare una soluzione. Non dire nulla e continuare a lasciare le maestranze in balia degli eventi non porterà da nessuna parte».
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Caso Ideal Standard, sentenza entro l’anno (Gazzettino Pordenone) (d.l.) Vertenza Ideal Standard davanti al tribunale di Pordenone: ieri le parti, sia i legali del sindacato che quelli dell’impresa multinazionale, hanno depositato ulteriori memorie e osservazioni sul caso. Ora il giudice del lavoro Angelo Riccio Cobucci dovrà valutare il dossier di entrambe le parti per poi decidere. Non è escluso che una decisione possa arrivare già entro l’anno.Al deposito delle ultime osservazioni da parte degli avvocati avvenuto nella mattinata di ieri si era arrivati poiché nell’ultima udienza - circa tre settimane fa - il magistrato del lavoro aveva dovuto prendere atto che non vi erano i presupposti per poter giungere a un possibile accordo per via stragiudiziale. Sostanzialmente, nell’istruttoria fino a quel momento, non era emersa la volontà di trovare un’intesa bonaria tra le parti senza dover per forza giungere al provvedimento del giudice. Provvedimento che, dunque, ora è inevitabile. La causa voluta dal sindacato - come hanno ribadito ieri i legali di Cgil, Cisl e Uil, rispettivamente Luigi Locatello, Fabrizio Querin e Luca Colombaro - è fondata sulla convinzione che vi sia stato un comportamento anti-sindacale da parte dell’impresa che non avrebbe rispettato alcuni accordi, e di conseguenza determinati impegni, anche davanti alle istituzioni rispetto alla chiusura del sito industriale di Zoppola e al riavvio dell’attività attraverso la cooperativa di lavoratori che si era costituita. Una tesi che la multinazionale - ha chiuso circa due anni fa la storica fabbrica di Orcenico lasciando a casa oltre quattrocento operai - respinge sostenendo che gli accordi sarebbero stati rispettati. Un caso per nulla semplice: il primo di questo tipo in Italia rispetto a una multinazionale. Ora è atteso il provvedimento del giudice che potrebbe sciogliere la riserva entro dicembre. Tre sarebbero però le possibili strade del pronunciamento: o l’accoglimento della tesi sindacale con la condanna dell’azienda, o il rigetto della causa stessa. Ma il giudice, dopo avere esaminato le memorie delle parti, potrebbe anche chiedere di ascoltare alcuni testimoni attraverso un supplemento di istruttori.
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Ex Sintesi, venduti i macchinari (M. Veneto Pordenone) di Guglielmo Zisa - L’imprenditore veneto Gianni Bucino si è aggiudicato ufficialmente dal concordato Ame srl in liquidazione per la cifra di 275 mila euro, il primo dei due lotti messi all’asta ieri da Norberto Paronuzzi, commercialista con studio a Pordenone, liquidatore giudiziale del concordato preventivo dell’ex Sintesi. A diffondere la notizia dell’esito della gara è stato Luigi Pitton, professionista spilimberghese, già componente del consiglio direttivo di Sintesi e oggi consulente della stessa Ame. L’asta, tenutasi ieri a Pordenone, prevedeva la vendita di due distinti lotti: il primo, costituito da macchinari e attrezzature conservati nell’ormai ex magazzino adibito a carico-scarico merci, è stato appunto aggiudicato all’imprenditore veneto. Del lotto, per cui si partiva da una base d’asta di 163 mila euro, fanno parte macchinari vari e attrezzature, autoveicoli, carrelli elevatori, scaffalature, stampi, arredi e macchine d’ufficio, materiale di risulta. «Tutti materiali e attrezzature, compreso l’impianto di verniciatura, che, nella migliore delle ipotesi, potrebbero essere riutilizzati magari proprio a Spilimbergo qualora chi li ha acquisiti avesse la volontà di fare ripartire l’azienda, cosa che potrebbe anche non essere del tutto improbabile», commenta fiducioso Pitton, aggiungendo: «Credo che la cessione potrebbe avere risvolti occupazionali importanti se l’amministrazione comunale e quella regionale spingessero per far sì che l’acquirente compri anche i marchi che facevano parte del secondo lotto, rimasto invece invenduto». La vendita del secondo lotto, stimato in 122 mila euro, inclusivo dei marchi Sintesi, Cabas, Bum, Dmk, è andata deserta, ma Pitton non demorde: «Si tratta di marchi importanti che hanno ancora molto estimatori, seppure da tempo fuori mercato, ma che potrebbero diventare nuovamente appetibili. Basti pensare che, poco prima del fallimento, Sintesi aveva un portafoglio clienti di almeno 600 mila euro. I margini per la ripartenza ci sarebbero a patto che vengono coinvolti gli stessi lavoratori, gli stessi designer e ovviamente gli stessi prodotti». Unica cosa certa è che la vendita del lotto dei macchinari andrà a rimpinguare le casse del concordato.
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Ospedale, il cantiere a gennaio e nel 2020 si entra (M. Veneto Udine, 2 articoli) di Alessandra Ceschia - Ci sono voluti tre anni e nove mesi, ma a gennaio aprirà il cantiere per il nuovo ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine. Per quanto la grandezza di un complesso ospedaliero non si desuma solo dai numeri ma anche, e soprattutto, dalle persone e dalla loro professionalità, le cifre sono espressione di una svolta epocale, tanto per la sanità udinese quanto per quella regionale. A fornirle è stato il direttore generale Mauro Delendi, ieri, nel corso di un incontro che ha riunito vertici regionali, provinciali, comunali, progettisti e costruttori al Santa Maria della Misericordia. I numeri «I lavori per il nuovo ospedale, che occuperà una superficie di 56.804 mq, inizieranno a gennaio 2017 e dureranno 1.335 giorni. Il complesso sarà realizzato da un’associazione temporanea d’impresa romana» ha esordito Delendi. Ad assicurarsi l’appalto, che comporterà investimenti per 81 milioni di euro complessivi, è stata la Grandi lavori Fincosit Spa di Roma per un importo a base di gara per l’esecuzione dei lavori di 66.615.239 più Iva di cui 2.450.000 per oneri di sicurezza, mentre la base di gara per la redazione della progettazione definitiva ed esecutiva era pari a 2.550.745 più Iva. La costruenda Ati si è aggiudicata l’intervento con un ribasso economico dell’11,82% sui lavori e del 35% sulla progettazione. Il completamento dell’opera, con occupazione delle nuove aree assistenziali, è previsto nella seconda metà del 2020. La collocazione del nuovo manufatto è in adiacenza al I e II lotto, orientato sul versante di via Chiusaforte, per una volumetria di 230.000 metri cubi. Sono state stralciate le opere relative ad aree di deposito al livello -2, che restano al rustico, per un totale di circa 1.400 mq. Sono previsti 2 livelli sotto il piano di campagna e 4 fuori terra; il quarto piano ospiterà gli ambulatori medici. I soldi ci sono tutti «Il grande vantaggio di questo intervento sta nella disponibilità dell’intero finanziamento fin dall’avvio della progettazione, a differenza di quanto accaduto con il 1° e 2° lotto – ha sottolineato il direttore nella sua presentazione –: in questo caso, infatti, i finanziamenti sono stati messi a disposizione per fasi successive e questo modo di procedere ha provocato incertezze nell’avanzamento dei lavori e anche periodi consistenti di fermo cantiere». Nel nuovo corpo di fabbrica saranno ricavati 229 posti letto per degenze ordinarie, 19 sale operatorie e per attività interventistica, 39 posti letto in terapia intensiva e semintensiva, 44 posti letto in day hospital e day surgery, 18 posti letto per l’unità coronarica, 12 box pronto soccorso e 14 posti letto medicina d’urgenza oltre a 30 posti letto osservazione breve temporanea e intensiva. Più aree verdi Notevole il peso esercitato sulla progettazione dall’attenzione all’inserimento ambientale che, come ha evidenziato l’architetto Giuseppe Losurdo, «ha rivisto le impostazioni relative alla correzione del corso del canale Ledra, cosentendo di ricavare 4 mila mq di superficie alberata in più rispetto al progetto originale. Questa – ha aggiunto – rappresenta una delle più grandi opere realizzate con la tecnologia Bim, Building information modelling, un metodo di costruzione virtuale visualizzabile come un modello geometrico tridimensionale». La vera e propria rivoluzione per il Santa Maria della Misericordia di Udine, però, non è arrivata solo con le tecnologie di progettazione. Cambia l’organizzazione La rimodulazione degli spazi rispetto alla destinazione originaria ha permesso di riorganizzare anche il funzionamento dei servizi ospedalieri. A spiegarlo è stato l’architetto Glauco von Wunster. «La formulazione del bando lasciava discrete possibilità di riprogettazione rispetto al preliminare – ha premesso von Wunster – così abbiamo pensato una struttura che non fosse graduata per specialità, ma per intensità di cure, una scelta che permetterà più efficienza energetica e del personale». In altre parole, gli ambulatori saranno alloggiati tutti allo stesso piano – il quarto – per favorire la sinergia fra i medici, le degenze saranno ben distinte non solo dalle emergenze, ma anche dalla day surgery, vale a dire dal dipartimento all’interno del quale i pazienti potranno effettuare piccoli interventi per essere dimessi in giornata. Scelte strategiche che non solo impediranno interferenze fra le varie attività, ma permetteranno anche la chiusura serale di alcuni piani. L’impegno dei costruttori Accorato l’intervento di Carlo Ferroni, vicepresidente dell’azienda costruttrice Glf che ha illustrato «le potenzialità di una struttura adeguata alle esigenze di una sanità migliore. Il ruolo delle costruzioni è vitale per questo Paese: forniscono occupazione, investimenti e innovazione – ha detto –. Metteremo tutto il nostro impegno per realizzare l’opera nei tempi, nei modi e con le caratteristiche previste». 14
Saranno disponibili 750 posti letto, presto le demolizioni Testo non disponibile L’assistenza primaria arriva a Buia (M. Veneto Udine) Si inaugura domani il centro per l'assistenza primaria (Cap) di Buja che sorgerà nell’edificio di via Vidisêt a Ursinins dove sono già da tempo ospitati i medici di base a servizio delle famiglie bujesi. L’appuntamento per il taglio del nastro è domani alle 9.30. Sarà presente la presidente della Regione Debora Serracchiani insieme ai rappresentanti dell’amministrazione comunale di Buja ma anche dei paesi vicini, in particolare Majano, e Treppo Grande, visto che il nuovo centro in futuro servirà un’area più ampia rispetto ad ora, e per questo sarà completato in base a quanto previsto dalle direttive della riforma sanitaria che in questi ultimi anni ha modificato e aggiornato il servizio sanitario regionale. Di fatto, se attualmente sono cinque i medici di base operativi in quella sede, in futuro diventeranno sei. L’obiettivo è quello di facilitare la continuità delle cure nei confronti delle persone colpite da malattie croniche, oltre che rafforzare il servizio sul territorio. Il futuro Cap disporrà anche della presenza di un’infermiera e della guardia medica, ma in quella sede sarà possibile trovare le attrezzature che permettono di realizzare alcuni esami come l’elettrocardiogramma (collegato in telemedicina con la cardiologia ospedaliera), l’esame del fondo dell’occhio, la spirometria e alcune ecografie. Nel Cap verranno programmati e coordinati gli interventi a domicilio dei pazienti che saranno effettuati da un team composto dal medico di famiglia del malato, infermieri, assistenti sociali, operatori socio-sanitari e specialisti in base alle necessità rilevate. Il Cap sarà inoltre integrato con i servizi materno-infantili e per disabili e con i servizi per la salute mentale e le dipendenze. Quello che si inaugura domani è il terzo Cap aperto nel territorio dell’Alto Friuli, dopo quelli di Tarvisio e Ovaro. Il servizio sarà inizialmente sotto osservazione per verificarne il funzionamento: se gli esiti saranno positivi, l’amministrazione regionale prevede di attivarne altri nel 2017, più in dettaglio anche a Tolmezzo, Gemona, San Daniele e Codroipo andando così a completare l’offerta nell’ambito dell’Aas3. (p.c.) Dipendenti preoccupati per l’Unione, scatta il volantinaggio (Gazzettino Udine) Testo non disponibile
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Il Friuli nella top ten: la provincia di Udine vola al nono posto (M. Veneto Udine) di Giacomina Pellizzari - Il Friuli nella top ten per qualità della vita in Ialia. Nella tradizionale classifica de “Il Sole 24 ore”, quella che da 25 anni misura la vivibilità nei vari territori, Udine, in un anno, conquista nove posizioni e balza al nono posto. Passando dal 60° al 17° posto, Pordenone fa meglio ma, rispetto al capoluogo friulano, resta indietro. Gorizia stabile al 19° posto. Trieste al decimo. E anche se, come sostiene il sindaco di Udine Furio Honsell, le classifiche lasciano il tempo che trovano, fa piacere a tutti vedere che la provincia di Udine è la prima in Friuli Venezia Giulia. Analizzando i gruppi degli indicatori emerge che Udine deve fare ancora qualche sforzo per raggiungere Pordenone che in fatto di sicurezza si colloca al quinto posto in Italia. Nel capoluogo friulano, ogni 100 mila abitanti, si registrano 145 scippi, 316 furti in casa, 26 furti d’auto, 15 rapine e 245 truffe e frodi informatiche. Sul fronte truffe, però, va peggio a Gorizia dove la media raggiunge 304 denunce ogni 100 mila abitanti. Udine si difende bene sull’ambiente e il welfare, ma non riesce a superare Gorizia che si colloca al quarto posto. Interessante il tasso di emigrazione ospedaliera che se a Udine si ferma a 5, a Pordenone raddoppia. Molto viene investito anche sul fronte dei servizi sociali, basti pensare che la spesa pro capite per minori, anziani e poveri raggiunge 95 euro, mentre a Pordenone si ferma a 70 e a Gorizia a 94. La copertura della banda larga viene data al 91 per cento, ma sentendo le lamentele che arrivano dalla montagna viene da pensare che su questo punto manchi un qualche approfondimento. Passiamo alla demografia. Udine al 13° posto supera Pordenone (18°) e Gorizia piombata davvero in basso (100°). La provincia di Udine è la meno popolosa, la densità per chilometro quadrato non va oltre i 107 abitanti, mentre a Pordenone raggiunge i 107 e a Gorizia addirittura 300. È evidente che a “penalizzare” Udine e Pordenone sono le zone montane dove lo spopolamento resta un problema da risolvere. E se il tasso di denatalità per mille abitanti è 8 quello di vecchiaia è 207. In un anno si separano 28 coppie ogni 10 mila coniugati e si laureano 79 studenti ogni mille giovani. Ogni 100 stranieri, cinque acquisiscono la cittadinanza. Non va male neppure come capacità di spesa: nella nostra provincia ogni residente guadagna mediamente 25.120 euro l’anno. I friulani, per abitare in una casa di medie dimensioni, pagano 510 euro al mese di affitto e fronteggiano protesti per un valore di circa 2.488 euro annui. Il valore del patrimonio immobiliare residenziale pro capite è pari a 41.253 euro. Resta qualcosa da fare pure sul fronte culturale dove la provincia si blocca al 45° posto. Sul territorio, ogni 100 mila abitanti, si contano 6 librerie e 735 tra ristoranti e bar. La provincia di Udine, rispetto a quelle di Pordenone e Gorizia, spicca per la spesa dei turisti stranieri che in un anno ammonta a 407 milioni di euro. Insomma al nord e in particolare in Friuli si vive bene. Le condizioni migliorano ad Aosta che per la terza svetta in cima alla classifica, a Milano, Trento, Belluno Sondrio, Firenze, Bolzano e Bologna. Province che, nella classifica, anticipano Udine. Fanalino di coda Vibo Valentia. «Si tratta continua Honsell - di valutazioni qualitative perché la qualità della vita a Udine si percepisce solo vivendoci. Esprimo profonda soddisfazione perché dopo nove anni di amministrazione, la città ha scalato diverse posizioni in questo classifiche. Nel complesso emerge un quadro della società udinese come un contesto sostanzialmente sano e con una buona qualità dei servizi».
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Offensiva antibivacchi, il Tar boccia il Comune (Piccolo Trieste) di Diego D’Amelio - Il Tribunale amministrativo del Friuli Venezia Giulia boccia l’ordinanza “antibarboni” emessa dal Comune di Trieste a fine settembre per vietare lo stazionamento all’aperto, il consumo di alimenti e la collocazione di qualsivoglia materiale su suolo pubblico nella zona attorno alla Stazione centrale. Secondo il Tar, il problema dei senzatetto non ha infatti quel carattere di emergenza tale da giustificare un’ordinanza del sindaco: da qui la decisione di annullare l’atto, invitando il municipio a ricorrere ad altri strumenti. Il Tribunale ritiene dunque fondate le ragioni di un cittadino pakistano, colpito da una multa di 50 euro perché trovato dalla Polizia municipale a dormire all’aperto: assistito dai legali dell’Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, il richiedente asilo ha ora ottenuto l’annullamento dell’ordinanza, che ad ogni modo era già scaduta il 15 novembre, ma di cui è stata chiesta la cancellazione postuma per eliminare la causa della multa. Ben quattro gli avvocati dell’Asgi presenti all’udienza, a sottolineare il massimo coinvolgimento dell’associazione nella battaglia contro un provvedimento che nelle scorse settimane ha suscitato vibranti polemiche. Da una parte il cittadino straniero e i suoi legali Stefania Bearzi, Caterina Bove, Alessandra Fantin e Dora Zappia -, dall’altra Comune e ministero degli Interni, dal momento che l’emissione di un’ordinanza vede il sindaco agire quale ufficiale del governo. Il Tar ha infine annullato l’atto, evidenziando che le ordinanze possono essere emesse solo in caso di urgenza e imprevedibilità rispetto a pericoli che minaccino incolumità pubblica e sicurezza urbana. Nessuna emergenza è stata invece ravvisata dal Tar nell’intenzione del Comune di ovviare alla «situazione di scadimento della qualità urbana in una zona qualificata quale snodo di entrata nella città di Trieste» e a prevenire il «senso di disagio diffuso nella popolazione, generando una sensazione di degrado e l'alterazione del decoro urbano», come recita il testo dell'ordinanza. Il Tar ha inoltre condannato il ministero a rifondere al ricorrente le spese legali per un totale di mille euro. Per il Comune, la sentenza non rappresenta comunque uno stop. Il vicesindaco leghista, Pierpaolo Roberti, prende atto «della decisione del Tar di annullare l'ordinanza perché ritenuto provvedimento amministrativo non adatto», ma allo stesso tempo conferma che la strada è ormai segnata: «La volontà dell’amministrazione - continua Roberti - rimane la stessa, ovvero adottare tutti i provvedimenti possibili affinché Trieste torni ad essere una città bella, pulita e sicura: quindi nel frattempo si è dato avvio all'iter per l'approvazione del nuovo regolamento di Polizia urbana, in arrivo in aula consiliare all'inizio del prossimo anno. Un nuovo atto amministrativo che supererà tutte le eccezioni sollevate dal Tar». Il provvedimento assunto dal Tribunale peserà tuttavia inevitabilmente sul dibattito che accompagnerà la preparazione del nuovo regolamento a gennaio, quando è facile prevedere il riaccendersi dello scontro sulle scelte fin qui assunte dalla giunta Dipiazza in materia di pubblico decoro. Una linea attuata a suon di ordinanze - contro parcheggiatori abusivi, mendicanti, artisti di strada e persone senza fissa dimora -, che dovrebbero confluire nel regolamento onnicomprensivo. Le polemiche infuriano fin dall’insediamento del nuovo esecutivo e sono state particolarmente vivaci nel corso dell’estate, al momento dell’annuncio dell’ordinanza antibarboni che avrebbe visto infine la luce a fine settembre. La decisione venne assunta davanti al progressivo aumento di persone accampate per strada nei pressi della Stazione. Da qui la volontà del Comune, con un provvedimento firmato da Roberti, di vietare la permanenza sulle panchine della zona, da piazza Libertà ai gradini della Sala Tripcovich, fino all'ingresso del Porto vecchio. Se la Prefettura gradì poco, il provvedimento incassò pesanti critiche da Curia, Caritas, Comunità di San Martino al Campo e Sant'Egidio, che misero nel mirino soprattutto la decisione di gettare nell'immondizia gli effetti personali che il senzatetto avesse lasciato per strada. Il nuovo regolamento "antidegrado" verrà discusso in aula a gennaio, ma sui social network è già cominciato il tam tam della protesta: la prima manifestazione si terrà il 21 dicembre.
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Tasse, il Comune passa all’incasso (Piccolo Gorizia-Monfalcone) di Francesco Fain - Una partita da oltre 5 milioni di euro che sarà una boccata d’ossigeno per il bilancio comunale. Scadono venerdì i termini per il versamento del saldo di Imu e Tasi. «Al pagamento dell’Imu - spiega l’assessore comunale al Bilancio, Guido Germano Pettarin - sono interessati 7.952 cittadini: si tratta dei proprietari di immobili di lusso e di altri beni che non siano l’abitazione principale. Il primo acconto ha portato nelle nostre casse 2.716.189 euro. Con il saldo che deve essere corrisposto entro il 16 dicembre la cifra supererà i 5 milioni, oltre la previsione di incasso che era di 4 milioni 837mila euro». La Tasi sulla prima casa, invece, è stata esentata per legge. «Così come sono esentati dal pagamento anche i proprietari di immobili commerciali perché già pagano l’Imu», specifica Pettarin. «Gli unici soggetti, dunque, che pagano la Tasi sono i proprietari di immobili di lusso che a Gorizia sono una decina per una previsione di incasso di 5mila euro». Parallelamente, c’è un’interessante ricerca del Servizio politiche sociali della Uil che ha puntato la lente d’ingrandimento su tutti i capoluoghi italiani. Ebbene: Gorizia fa un’ottima figura perché - mediamente - ogni goriziano paga di Tasi e Imu 582 euro (di cui 291 di saldo). Siamo lontani mille anni luce dal dato di Roma (2.064 euro medi), Milano (2.040), Bologna (2.038), Genova (1.774) e Torino (1.745). Peraltro, i goriziani sono ottimi pagatori. I ritardi nei pagamenti sono sporadici. «Il ritratto di Gorizia è quello di una città virtuosa: già lo sapevamo e anche in questi mesi abbiamo avuto ulteriori conferme - commenta ancora Guido Germano Pettarin, assessore comunale alle Finanze -. I cittadini sono ligi al pagamento delle tasse ma scusate se torno ad evidenziarlo: un pizzico di merito ce l’ha anche il Comune che ha imposto una tassazione fra le più basse d’Italia». Non è facile districarsi fra le varie tipologie e, quindi, il personale degli uffici comunali competenti sarà a disposizione dei cittadini durante gli orari d’ufficio, da lunedì a venerdì dalle 9 alle 12 e lunedì e mercoledì anche il pomeriggio, dalle 16 alle 17 per fornire informazioni, in particolare su variazioni e calcolo dell’imposta e stampa dei modelli di versamento. Ma ecco un veloce vademecum delle esenzioni, delle aliquote e delle detrazioni vigenti. Per quanto riguarda l’Imu, l’abitazione principale è esente tranne gli immobili di lusso ovvero le categorie A1, A8 e A9. Agli immobili non esenti si applica l’aliquota del 4 per mille con detrazione di 200 euro mentre agli altri immobili e aree edificabili l’aliquota è al 7,6 per mille, esclusa la categoria D5 (banche e assicurazioni) dove l’aliquota è maggiorata al 10,6 per mille. Va ricordato anche nel Comune di Gorizia i terreni agricoli sono esenti. Per ciò che concerne la Tasi, l’abitazione principale è esente tranne gli immobili di lusso e agli immobili non esenti si applica l’aliquota del 1,5 per mille con detrazioni progressive. «L’obiettivo della mia amministrazione è sempre stato quello di evitare di mettere le mani nelle tasche dei cittadini - spiega il sindaco Romoli - e su questa linea ci siamo mossi fin dall’inizio cercando, da una parte, di tagliare le spese non indispensabili della macchina comunale e, dall’altra, di gestire con efficienza i conti».
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Monfalcone, a scuola un neo iscritto su due è straniero (Piccolo Gorizia-Monfalcone) di Laura Borsani - Tra i bambini nati nel 2011, in entrata alla prima classe elementare nell’anno scolastico 2017/2018, i piccoli stranieri rappresentano esattamente la metà del “popolo” delle matricole. È un dato anagrafico che non può indicare prospettive ai fini delle prossime iscrizioni, ma dà comunque la misura della realtà monfalconese che si ripercuote sul sistema scolastico. Che in città mantiene la concentrazione degli alunni stranieri in centro. Il ragionamento della nuova amministrazione è chiaro: non si può continuare a sostenere una situazione da tempo ormai complessa e che presuppone adeguati sforzi didattici, progettuali, comprese le risorse docenti ed economiche. C’è da chiedersi, peraltro, se sia affrontabile, e fattibile, “spalmare” la popolazione scolastica straniera coinvolgendo maggiormente gli altri istituti. Le criticità sono legate anche agli inserimenti in corso d’anno che condizionano gli equilibri delle classi, come pure l’abbandono di quei bambini in rientro nel loro paese di origine. Su questi elementi l’assessore all’Istruzione, Francesca Tubetti, assieme al sindaco Anna Maria Cisint, hanno posto la questione-principe, scrivendo al titolare dell’Ufficio scolastico regionale e dirigente dell’Ufficio 1, Pietro Biasiol. L’urgenza in assoluto è quella di garantire ai due Comprensivi Giacich e Randaccio una dirigenza scolastica fissa. Di mezzo c’è anche la proporzione tra stranieri e italiani nelle classi. Le linee guida del Miur stabiliscono il tetto del 30%, intendendo stranieri senza cittadinanza italiana, precisando però che il tetto è modificabile in relazione alla conoscenza e padronanza della lingua italiana. L’assessore Tubetti osserva: «Il problema di fondo è quello di avere contezza reale del livello di conoscenza degli stranieri della lingua italiana. La nostra richiesta al dirigente scolastico regionale è pertanto quella di stabilire dei criteri affinchè le scuole possano accogliere nel diritto di tutti allo studio i bambini non superando il 30% previsto, verificando comunque le effettive conoscenze della lingua italiana tra gli stranieri». Le proporzioni all’interno delle classi elementari ad oggi fotografano una mappa che non nasconde alcune situazioni-limite. Non si tratta solo della elementare Duca d’Aosta. Anche la Sauro sostiene “quote” di stranieri alte. Parliamo di stranieri nel senso più ampio del termine, non circoscritto alla sola comunità asiatica. Le origini sono rappresentate da albanesi, algerini, bengalesi, bosniaci, croati, indiani, moldavi, rumeni, senegalesi, serbi, tunisini e ucraini. Un esempio su tutto: la terza classe della Sauro quest’anno è composta da 17 alunni stranieri e da un solo alunno italiano. Nella prima su 18 alunni tre sono di nazionalità italiana. In seconda sono 13 stranieri su 9 italiani. Complessivamente alla elementare su 110 alunni 48 sono italiani. Quanto alla Duca d’Aosta, su 319 bambini totali, 142 sono stranieri, tenendo però conto delle sezioni a tempo normale e di quelle a tempo pieno. Un dato generale: al Comprensivo Giacich su 897 studenti, tra media ed elementari (Sauro, Toti e Duca d’Aosta), gli stranieri sono 390, mentre al Comprensivo Randaccio siamo a 146 rispetto ai 792 allievi totali. Ma intanto i punti evidenziati nella missiva al dirigente scolastico regionale chiamano in causa la continuità progettuale e organizzativa di fronte alla mancanza di incarichi fissi a dirigenti scolastici titolari. «Bambini italiani e stranieri - viene spiegato al dirigente regionale - giungono nel nostro comune a seguito di trasferimenti non sempre del tutto stabili del proprio nucleo familiare di appartenenza i quali vengono iscritti alla frequenza delle scuole monfalconesi anche dopo la chiusura dei periodi di iscrizione ministeriale, determinando un aumento sproporzionato specie di alunni stranieri; ciò principalmente all’interno del Comprensivo Giacich». Un aspetto che «condiziona l’effettiva attuazione dei processi formativi», considerando che «l’offerta formativa dev’essere sostenuta sia in termini di organico delle risorse umane, sia in termini di qualità». La questione di fondo è l’integrazione degli stranieri: «Le classi hanno elevate percentuali di stranieri rispetto ai bambini autoctoni e i livelli di conoscenza della lingua, nonchè di appartenenza ad ambiti socio-culturali ed etnici, non sono sempre facilmente gestibili dal personale delle stesse scuole».
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