UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO
FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE PRIMARIA INDIRIZZO SCUOLA PRIMARIA
MODELLI SPONTANEI SU LUCE, VISIONE E COLORE NELLA SCUOLA PRIMARIA
Studente: Barbara Melis Matricola n. 0408601
Relatore Ch.mo Prof.re Claudio Fazio
Relatore Ch.mo Prof.re Filippo Spagnolo
ANNO ACCADEMICO 2004/2005 1
INDICE
INTRODUZIONE
pag. 4
PREMESSA
pag. 6
I CAPITOLO: INSEGNAMENTO E APPRENDIMENTO NELLA FISICA. 1.1 Apprendimento e insegnamento
pag 11
1.2 La fisica e i modelli di apprendimento – insegnamento
pag. 15
1.3 L’insegnamento della fisica e i modelli di sviluppo dell’intelligenza
pag. 20
1.4 La conoscenza
pag. 28
1.5 Conoscenza scientifica e conoscenza comune: analogie e differenze
pag. 33
1.6 Il linguaggio nell’educazione scientifica
pag. 35
1.7 L’educazione scientifica nella scuola primaria
pag. 38
II CAPITOLO: LA LUCE E LA PERCEZIONE VISIVA. 2.1 La luce
pag. 44
2.2 Teorie sulla luce
pag. 47
2.3 I fenomeni luminosi
pag. 50
2.4 Le sorgenti ottiche
pag. 54
2.5 La percezione visiva
pag. 56
2.6 Gli oggetti illuminati
pag. 60
2.7 I colori
pag. 62
2.8 Il colore dei corpi
pag. 65
III CAPITOLO:IL LAVORO SPERIMENTALE. 3.1 Premessa
pag. 68
3.2 Ipotesi di ricerca
pag. 68
3.3 Campione di ricerca
pag. 69
3.4 Metodologia didattica
pag. 69
3.5 Metodologia organizzativa
pag. 70
3.6 Analisi a-priori
pag. 74
2
Pag. 75
3.7 Analisi dei dati
IV CAPITOLO:IL MODULO. 4.1 PRESENTAZIONE DEL MODULO: La luce Obiettivi
generali
Obiettivi
specifici di apprendimento per la classe II
Obiettivi
specifici di apprendimento per la classe IV
Tabelle
esiti formativi per le classi II-IV A/B
Relazioni
tra situazioni e concetti
Mappa di riferimento Situazioni/esiti
Pag. 76 Pag. 77 Pag. 78 Pag. 79 Pag. 80 Pag. 82 Pag. 84
V CAPITOLO:ATTIVITÀ E RISULTATI DATI SPERIMENTALI. 5.1
Presentazione
del capitolo
5.1.1 Analisi a-priori prima situazione 5.1.2 Brainstorming 5.1.3 Risultati fase pretest “situazione 1” 5.2.1 Analisi a-priori seconda situazione (fase pretest) 5.2.2 Brainstorming 5.2.3 Risultati fase pretest “situazione 2" 5.3.1 Analisi a-priori terza situazione (fase pretest) 5.3.2 Brainstorming. 5.3.3 Risultati fase pretest “situazione 3” 5.4
Intervento
5.5
Test
didattico.
di verifica (fase di post test).
5.5.1 Risultati fase post-test.
Pag. 85 Pag. 87 Pag. 89 Pag. 98 Pag. 100 Pag. 101 Pag. 103 Pag. 104 Pag. 106 Pag. 111 Pag. 113 Pag. 129 Pag. 126
VI CAPITOLO: ANALISI E CONFRONTO DEI DATI SPERIMENTALI. 6.1 Risultati prima situazione: La luce. 6.2 Risultati seconda situazione :
6.3 Risultati terza situazione : Il colore della luce. 6.4 Analisi qualitativa delle risposte tramite lo studio del video. 6.5 Conclusioni. ALLEGATI.
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INTRODUZIONE. Il lavoro sperimentale (D.P.R. 419/74)1 che mi propongo di presentare, nasce dalla volontà di approfondire una disciplina, come quella fisica, dal punto di vista della didattica e, soprattutto dell’insegnamento nella scuola primaria. La mia ricerca parte dalla constatazione che si dà poca importanza agli aspetti didattici dell’insegnamento delle discipline scientifiche e, in particolare della fisica, portando così gli studenti a non amare questa disciplina e considerarla, con il tempo, incomprensibile e difficile. È pur vero che la fisica si traduce in una serie di leggi e regole, ma queste vengono considerate elementi successivi perché l’educazione scientifica, nella scuola dell’infanzia e primaria, deve iniziare con le prime esperienze di osservazione e rappresentazione del mondo circostante. Solo successivamente, nella scuola secondaria, subentrerà lo studio approfondito delle leggi fisiche. Il mio compito è stato quello di analizzare alcuni elementi basilari del sapere in fisica, in un contesto molto vicino al vissuto quotidiano: “La visione”. Sono state realizzate attività che potessero suscitare nei bambini, grande curiosità, disponibilità e motivazione. La mia ricerca sperimentale ha dimostrato quanto questa disciplina può essere interessante per gli alunni, i quali hanno evidenziato grandi abilità di interpretazione e argomentazione. Il lavoro si suddivide in sei capitoli. 1
La scuola cessa di essere un luogo chiuso dove si “trasmette cultura” e diventa un luogo aperto in cui si “produce cultura”, si fa ricerca, si sperimentano nuove strategie educative, nuove metodologie e ci si aggiorna costantemente. L’insegnante non è più un “depositario del sapere”, ma un operatore che nelle diversi sedi della programmazione e con i suoi allievi “produce sapere”. L’art.1 (oggi art. 276 del T.U.) così recita: La sperimentazione nelle scuole di ogni ordine e grado è espressione dell’autonomia didattica dei docenti e può esplicarsi: a. Come ricerca e realizzazione di innovazioni sul piano metodologico-didattico; b. Come ricerca e realizzazione di innovazione degli ordinamenti e delle strutture esistenti.15 Se ne deduce che la sperimentazione deve essere considerata come una costante dell’attività di insegnamento, come manifestazione di quell’autonomia didattica dei docenti sancita, peraltro, dallo stato giuridico del personale della scuola di cui al D.P.R. 417/74.
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Il primo capitolo contiene i punti fondamentali dell’approccio alla fisica (sia nell’insegnamento che apprendimento) nella scuola primaria. Si mettono in evidenzia le teorie psicologiche che hanno approfondito questo tema, cercando di chiarire il concetto di e . Il capitolo si conclude evidenziando gli obiettivi dell’educazione scientifica nella scuola primaria secondo le Indicazioni Nazionali. Il secondo capitolo è più tecnico, in quanto analizza l’argomento oggetto del lavoro, ovvero . Si esaminano le caratteristiche fondamentali del “fenomeno luminoso”, facendo riferimento al processo di e al . Il terzo capitolo, espone le fasi dell’indagine sperimentale secondo la 2. Il quarto capitolo introduce la metodologia didattica seguita, ovvero quella della didattica “Modulare” che rappresenta le attività in schemi e tabelle e le organizzazioni sulla base delle competenze da far acquisire ai discenti. Il quinto capitolo analizza i momenti che hanno contraddistinto il lavoro sperimentale. Sono state inseriti l’analisi a-priori per ogni singola situazione, le conversazioni scaturite dal brainstorming e dalle attività didattiche proposte dall’insegnante, e i dati relativi alle fase di pre test (brainstorming) e post test (test di verifica). Il sesto capitolo approfondisce e analizza i dati ottenuti dal pre e post test attraverso l’elaborazione di tabelle di contingenza. Inoltre viene fatta un’analisi qualitativa delle risposte più interessanti date dai bambini attraverso lo studio dei video realizzati durante la sperimentazione.
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La è stata elaborata da Guy Brousseau. Tale paradigma “consente di interpretare e tentare delle previsioni sui fenomeni didattici”, riflettendo sugli elementi costitutivi dei fenomeni d’insegnamento-apprendimento che altrimenti resterebbero impliciti e latenti. Filippo Spagnolo, Insegnare le matematiche nella scuola secondaria, Firenze, La Nuova Italia, 2000.
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PREMESSA. Nelle Indicazioni Nazionali per la Scuola Primaria e, successivamente, per la Scuola Secondaria di I grado, sono stati introdotti esplicitamente argomenti propri delle scienze della natura (fisica, chimica, biologia, geologia, astronomia), che di solito si indicano insieme alla matematica, con il nome generale di . La scienza ha come scopo la conoscenza “ragionata” del mondo naturale e delle leggi che la governano. Essa è un’esplorazione sistematica del mondo sensibile che si arricchisce sempre più, ma risponde essenzialmente ad interrogativi che si pongono già i bambini nella prima infanzia riguardo la natura e alle macchine. “E’ realmente così?”, “Perché e così?”, “Perché, se avviene questo, avviene quest’altro?”. Affrontare queste domande fa parte di quell’imparare a pensare e a comunicare , che è fine essenziale della scuola Primaria. L’insegnamento della scienza, ha in comune con l’insegnamento in altri campi la funzione di favorire negli allievi fin dai primi anni di scuola, lo sviluppo di uno spirito critico e della capacità di formulare il pensiero in modo preciso. Finalità generale dell’educazione scientifica è l’acquisizione da parte del bambino di conoscenze e abilità che ne arricchiscano la capacità di comprendere e rapportarsi con il mondo e che, al termine della scuola dell’obbligo, lo pongono in grado di riconoscere quale sia il ruolo della scienza nella vita di ogni giorno e nella società odierna e quali siano le sue potenzialità e i suoi limiti. Nel corso del loro itinerario formativo, gli allievi apprendono a conoscere e riconoscere i fatti, formulare le domande in termini di cause ed effetti, tradurre le conclusioni e i dubbi in forma logicamente corretta e con parole precise. Questo modo di porsi di fronte alle esperienze di ogni genere è condizione di libertà e di maturazione personale in tutti
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i campi; spetta alla scuola garantire a tutti gli scolari questo primo livello di formazione.1 L’avvio di un discorso scientifico ha però anche una funzione specifica, quella di promuovere la riflessione critica e concreta con particolare riferimento ai fenomeni che si osservano nella natura e negli oggetti prodotti dalla tecnica. Utilizzare le capacità critiche ed espressive in ambiti che sono oggetto della scienza e della tecnica e trasformarle in competenze personali, è un preciso obiettivo del processo educativo che si realizza nei vari percorsi scolastici. Riguardo alla scienza e alle sue applicazioni, vi sono due esigenze da rispettare: una di formazione e l’altra di informazione. Queste non sono facili da conciliare quando si deve insegnare a livello molto semplice, per di più ad allievi di vario ambiente socioculturale e di varie attitudini personali. Forse la difficoltà più grande è che, per poter introdurre gli elementi essenziali del pensare scientifico, occorre preparare il terreno stabilendo un preciso riferimento a fatti familiari agli allievi, applicando ad essi un minimo di terminologia tecnica e insegnando, in particolare, a usare correttamente termini entrati nell’uso quotidiano. Per raggiungere questo obiettivo, l’istruzione scientifica dovrebbe essere parte regolare del corso di studi che va dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria. L’istruzione ai livelli elementari dovrebbero occuparsi in maniera organica della scienza considerata nella sua unità mettendo in rilievo lo spirito di scoperta caratteristica della scienza stessa. Nel campo della scienza, particolare importanza assume la fisica considerata una disciplina sperimentale. Educare alla fisica significa non solo sviluppare conoscenze e comprensione delle leggi fisiche ma anche capacità osservative e operative e, più in
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Carlo Petracca, Progettare per competenze verso i Piani di Studio Personalizzati Ed. Elmedi 2003
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generale, comportamenti e attitudini scientifiche. Questo è il motivo per cui bisogna iniziare l’educazione alle scienze sperimentali in età precoce perché comportamenti, attitudini, capacità osservative e operative si sviluppino gradualmente.2 E’ un percorso che mira a trasformare progressivamente la naturale curiosità di tutti i bambini in un’esplorazione metodica, così da far raggiungere una comprensione dei fenomeni che, a partire dalla formulazione abbastanza circostanziata di un problema posto dall’osservazione del mondo sensibile, procede dall’analisi di oggetti e fenomeni (osservazione e descrizione) sino alla costruzione di nessi tra i molteplici aspetti dei fenomeni stessi (interpretazione). Questo percorso richiede diversi punti di vista (qualitativi, quantitativi, strutturali, funzionali, di relazione), ma una particolare insistenza sull’argomentazione logica, nonché l’uso di un’apposita terminologia. È evidente che la comprensione e l’acquisizione di queste conoscenze in giovane età coinvolge tutta la personalità pertanto, la scuola primaria deve far fronte a due condizioni educative e didattiche: - che l’insegnamento della scienza, nello specifico della fisica, non deve costituire una forzatura rispetto al contenuto di esperienza del mondo che hanno gli allievi; - che esso si integri secondo le giuste proporzioni con l’insegnamento in altri campi; Inoltre, contenuti, concetti, procedimenti, capacità da acquisire non vanno proposti in modo formale, ma secondo procedure didattiche opportune; ogni alunno dovrebbe essere motivato all’apprendimento e coinvolto attivamente eseguendo esperimenti, compiendo osservazioni e traendo conclusioni. Per facilitare questo processo di apprendimento le aule delle scuole devono diventare dei laboratori oltre che sale di studio, e l’ambiente intorno la scuola dev’essere usato per studi all’aperto. 2
D. Allasia, V. Mentel, G. Rinaudo, La fisica per maestri Ed. Libreria Cortina Torino, 2004.
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Per raggiungere quello che viene definito < l’alfabetismo scientifico>, bisogna fornire agli allievi esperienze diverse da quelle che essi compiono di solito. Un problema pedagogico molto interessante riguarda la maniera in cui questi esperimenti dovrebbero essere incorporati nel programma didattico. Innanzitutto le esperienze devono essere eseguite direttamente dai bambini e non descritte dall’insegnante o lette su un libro. Si dovrebbe cercare di correlare l’esperienza insolita con l’esperienza più comune; vengono costruite in questa maniera le astrazioni che stanno alla base del punto di vista scientifico. Man mano che i bambini compiranno ulteriori osservazioni, le considereranno più scientificamente; le astrazioni formeranno un legame fra esperienze precedenti ed esperienze successive, quindi i bambini potranno applicare le loro conoscenze in maniera sistematica. La logica con cui costruire le tappe del percorso didattico, non è lineare ma piuttosto circolare o meglio ricorsivo, in quanto cambiando il punto di vista o i contesti si riprende il lavoro fatto proponendo passi ulteriori per portare gradualmente a una comprensione maggiore dei fenomeni. Per quanto riguarda la terminologia scientifica e tecnica, sembra necessario che si introducano e si giustifichino almeno termini che si incontrano nella vita ordinaria. Questo aiuterà gli allievi ad abituarsi ad un linguaggio preciso; al contrario, parlare in modo approssimato può recare gran danno allo sviluppo di una seria formazione scientifica. Perché ciò non accada, la terminologia scientifica va introdotta con estrema gradualità evitando di usare parole difficili che l’allievo non è in grado di comprendere correttamente. Negli ultimi anni, nell’ambito della scuola dell’obbligo, la formazione e l’organizzazione delle conoscenze e dei modi di pensare sulla realtà ha assunto un ruolo centrale nella progettazione scolastica sia a livello programmatico che operativo. La
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capacità di sviluppare le dimensioni cognitive necessarie alla comprensione dei fatti naturali e degli artefatti, che fanno parte della nostra vita costituisce da un lato una componente culturale autonoma e insostituibile, dall’altro uno stimolo e un supporto alla costruzione individuale della conoscenza. Da questo punto di vista la scuola accompagna il singolo individuo nel suo passaggio da bambino ad adulto e lo rende partecipe del sapere elaborato dalla società umana nel corso dei millenni. C’è continuità nell’evoluzione culturale della specie umana, così come c’è continuità nello sviluppo fisico e psicologico, dunque anche cognitivo di ogni singolo essere umano. A partire da questa duplice continuità si possono costruire itinerari di raccordo fra conoscenze, competenze, capacità individuali e saperi e metodologie caratteristiche dei diversi ambiti.
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I CAPITOLO INSEGNAMENTO E APPRENDIMENTO NELLA FISICA 1.1 APPRENDIMENTO E INSEGNAMENTO. L’apprendimento del sapere scientifico comporta spesso difficoltà per gli allievi, sia per l’intrinseca complessità di certi concetti, sia per la funzione che essi assumono in relazione all’esperienza dell’allievo. I concetti scientifici sono strumenti che servono a organizzare l’esperienza su un piano diverso anche se non lontano da quello di ogni giorno; costituiscono cioè, nelle loro relazioni, una parte ampia e significativa di un settore disciplinare. Pensiamo per fare un esempio, al concetto di , certamente uno dei più impegnativi nell’apprendimento della matematica o a quello di < luce> nell’apprendimento della fisica nella scuola primaria. Imparare questi concetti significa per l’allievo riorganizzare alcune operazioni di cui ha gia fatto esperienza al di fuori della scuola e rendersi conto che, uno stesso termine, può indicare comportamenti diversi in ambiti diversi dell’esperienza. Significa inoltre, non solo inquadrare un concetto “spontaneo” in un linguaggio più preciso, ma anche rendersi conto che il termine < misura> o , possono riferirsi all’esperienza di ogni giorno, a operazioni matematiche che seguono direttamente regole e procedure. Secondo Vygoskij, l’apprendimento di un concetto a scuola, non può prescindere dall’esperienza spontanea che fornisce all’allievo la necessaria piattaforma per un apprendimento di grado superiore.1 D’altra parte, l’acquisizione di un concetto scientifico, modifica profondamente la concettualizzazione spontanea che diviene più consapevole. Tale processo di
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Elena Bertonelli, Cesare Scurati, Pietro Boscolo, Franco Frabboni, Giaime Rodano, La dimensione curricolare, La scuola italiana dal programma al curricolo.
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costruzione e cambiamento si può realizzare impostando la pratica didattica non più sui contenuti delle discipline ma sulla centralità ed autonomia del soggetto che apprende, ovvero sulle strategie di mediazione messe in atto dall’insegnante per collegare le modalità del conoscere spontaneo e i nuclei fondanti del sapere scientifico. Si tratta dunque di porre attenzione ai saperi generativi, a quei saperi cioè che sono in grado di promuovere continuamente la ricerca di altri saperi, alimentando la motivazione a continuare ad imparare. Pertanto il presupposto di un efficace insegnamento scientifico è il contatto diretto dei bambini e dei ragazzi con gli oggetti di osservazione e di studio, il saper fare su cui costruire esperienza e sviluppare riflessione, ponendo sempre attenzione a rendere consapevoli i bambini e i ragazzi della dimensione sia concettuale che sperimentale. D’altra parte l’acquisizione e lo sviluppo di abilità cognitive relative all’area scientifica è possibile quando le informazioni in ingresso si integrano con conoscenze già consolidate. Le osservazioni concrete devono perciò stimolare e sostenere le interpretazioni che divengono via via più articolate e formalizzate, seguendo la strategia di ogni corretto procedimento scientifico. Il coinvolgimento diretto costruisce infatti motivazione, attiva il lavoro mentale, prospetta soluzioni ai problemi e guida il desiderio di continuare a capire. È chiaro che lo studente può sperimentare che cosa significa affrontare un problema scientifico solo eseguendo indagini egli stesso. Per eseguire un indagine siffatta, lo studente deve avere un’adeguata preparazione culturale perché possa avvertire l’esistenza di un problema scientifico e possa affrontarlo e risolverlo, deve cioè essere in grado di esaminare dal punto di vista scientifico la situazione dalla quale può nascere il problema.
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In questa prospettiva, particolare attenzione va dedicata all’attività metacognitiva2 in modo che i bambini ed i ragazzi possano dedicare il tempo necessario alla riflessione sul percorso compiuto, sulle competenze acquisite, sulle strategie poste in atto, sulle scelte effettuate e su quelle da compiere. Inoltre, nello sviluppo del processo di apprendimento nell’area scientifica, saper descrivere, argomentare e convincere, usando un linguaggio appropriato e rappresentazioni efficaci, è una competenza linguistica che i bambini possono acquistare dando forma al pensiero scientifico che nasce dalla loro stessa esperienza. Compito della scuola è quindi anche quello di aiutare i bambini e i ragazzi a rintracciare nelle parole la molteplicità dei loro significati e la loro relazione problematica con i concetti, per facilitare la formazione delle capacità di astrazione e generalizzazione. Il processo di insegnamento/apprendimento è oggi visto come un processo di interazione fra tipi di conoscenza diverse (la conoscenza scientifica e la conoscenza “spontanea” degli allievi) responsabili dell’azione di mediazione dell’insegnante e finalizzato ad una progressiva integrazione della conoscenza scientifica nella conoscenza dei singoli allievi. Essere in possesso di cultura scientifica significa essere curiosi ed aperti verso il mondo nella sua molteplicità, disposti ad assumersi responsabilità interpretative ed operative, individuali e socializzate, essere disposti a lavorare e collaborare con gli altri, essere capaci di esprimere le proprie opinioni, di ascoltare quelle degli altri e di gestire i conflitti, non su basi personalistiche ma con riferimenti intersoggettivi. Il compito dell’insegnante è quello di sapere costruire percorsi didattici che portino alla luce della consapevolezza il mosaico complessivo 2
Con il termine metacognizione (Flavell 1971), si intende una dimensione mentale che va oltre o sta al di là della cognizione e quindi la coscienza o la conoscenza che un soggetto ha dei propri processi mentali e la capacità di controllarli, organizzandoli, dirigendoli e modificandoli in base alle mete di apprendimento che deve conseguire (pag. 24). Alessandra La Marca, Didattica e sviluppo della competenza metacognitiva, PALUMBO.
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composto dalle reti cognitive dei diversi allievi per farli evolvere in una direzione che appaia sensata anche agli allievi ignari della rete concettuale della disciplina che costituisce la meta finale dell’insegnamento. Perché ciò sia possibile, l’insegnante deve essere in grado in ogni momento di confrontare le proprie proposte con la rete cognitiva degli allievi, permettendo una progressiva conquista di autonomia e fiducia nelle proprie capacità di apprendimento da parte di ogni alunno. Attraverso confronti e collaborazioni fra allievi, l’insegnante guida la realizzazione di un processo collettivo di costruzione di conoscenza che si intreccia ai processi individuali, costringendo ciascun allievo a riflettere sui propri pensieri ed azioni che sono alla base del processo di apprendimento.
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1.2 LA FISICA E I MODELLI DI APPRENDIMENTO - INSEGNAMENTO. I modelli di apprendimento che hanno avuto maggior influenza, riguardo la metodologia di insegnamento della scienza, e quindi anche della fisica, fanno riferimento alla corrente dell’Empirismo, Comportamentismo e Costruttivismo. La dottrina empiristica si diffonde nel mondo anglosassone agli inizi del XX sec. Considera la conoscenza come conseguenza della nostra esperienza del mondo. Il modello filosofico di base è l’empirismo di David Hume. Egli parla di modello del “travaso” che, tradotto in pedagogia, simboleggia un bicchiere e l’acqua. L’allievo è il bicchiere da riempire con l’acqua, compito dell’insegnante è travasare la conoscenza dalla bottiglia al bicchiere. Anche se sotto forma mascherata, questo è sostanzialmente il modello pedagogico che tuttora forma lo zoccolo duro di molti modi di insegnare la fisica, di molti libri di testo (nozionismo) e dei programmi nazionali fino a quelli del dopoguerra. Comunque, l’approccio empiristico ha dato particolare importanza agli aspetti disciplinari che debbono essere assolutamente chiari e ben impostati. Il pensiero comportamentista pone l’accento sul contesto sociale e sui rapporti con gli altri, ad esempio compagni, famiglia, società (Dewey, anni 60, inizio anni 70). Le basi del modello di apprendimento comportamentista, si fondano sul processo stimolo-risposta (condizionamento operante);3 si impara perché si è stimolati a farlo, pertanto il riferimento implicito è l’apprendere indotto o guidato. Esso è correlato all’istruzione scolastica e alla conoscenza di discipline specifiche. Dalla teoria comportamentista scaturisce l’inserimento della disciplina nel contesto sociale e l’importanza dell’apprendimento cooperativo. 3
Il condizionamento operante è una teoria tipica del comportamentismo e vede il suo massimo esponente in Burnus Frederick Skinner. Il termire “operante” sta ad indicare l’operare, agire, il modificare l’ambiente al fine di raggiungere un certo risultato.
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L’idea di base del costruttivismo è che la conoscenza è una costruzione soggettiva che ogni allievo deve fare per conto proprio e che quindi non si trasmette. Lo stesso Jean Piaget crede che i bambini non siano vasi vuoti da riempire di conoscenza, ma dei costruttori attivi del sapere, piccoli scienziati che costantemente generano e verificano le loro teorie sul mondo.4 Per Piaget la capacità intellettuale del bambino, prima che egli raggiunga la maturità, percorre alcuni stadi che differiscono fra loro sotto l’aspetto qualitativo. Solo nell’ultimo, chiamato “stadio delle formazioni formali”, 5il bambino è capace di ragionare come un adulto sulle relazioni e implicazioni delle affermazioni verbali. Piaget, con le sue ricerche sullo sviluppo cognitivo, ha realizzato un serio tentativo di costruire una teoria integrata dello sviluppo cognitivo. La posizione di Piaget si pone tra empirismo e razionalismo, sostenendo che la mente impone una griglia sull’esperienza e costruisce nuove strutture cognitive, ma nel tempo gli schemi si trasformano per creare schemi di rappresentazioni mentali più potenti. L’esperienza è lo stimolo per lo sviluppo, ma quello che si incrementa non è semplicemente una copia di quello che si è esperito quanto piuttosto un insieme di strutture cognitive con le quali interpretare l’esperienza.6 Nella teoria piagetiana l’interesse è sullo sviluppo delle strutture conoscitive guidato da funzioni cognitive caratteristiche della specie umana. Il modello 4
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S.Papert: the century greatest Minds. Time Magazine’ s special issues, 29 Marzo 1999 Gli stadi dello sviluppo sono i seguenti: - Stadio dei riflessi ereditari e delle prime emozioni (dalla nascita al primo mese). - Stadio delle prime abitudini motorie e delle percezioni organizzate (dal secondo a quarto mese). - Stadio dell’intelligenza senso-motoria o pratica e delle prime fissazioni esterne dell’affettività (dopo il quarto mese e fino ai 2 anni). - Stadio dell’intelligenza intuitiva e dei sentimenti interindividuali spontanei (dai 2 anni fino ai 6 anni circa). - Stadio delle operazioni concrete e inizio delle costruzioni logiche e dei sentimenti morali – sociali (dai 6 anni ai 10/11 anni). - Stadio delle operazioni formali, della formazione della personalità e dell’inserimento affettivo e intellettuale nel mondo degli adulti (dagli 11/12 anni in poi). John Mcshane, Lo sviluppo cognitivo. Il mulino 1991
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di riferimento è quello “biologico” di adattamento, pertanto parliamo di apprendimento spontaneo inteso come apprendimento svincolato dall’istruzione. Questa teoria mette in risalto la costruzione autonoma e personale dei concetti. I concetti spontanei del bambino si sviluppano dal basso verso l'alto, dalle proprietà più elementari di ordine superiore, mentre i concetti scientifici si sviluppano dall'alto verso il basso [...]. La prima comparsa di un concetto spontaneo è di solito legata a un incontro diretto del bambino con questa o quella cosa, con cose che, in verità, gli sono nel contempo spiegate dagli adulti, ma che sono comunque cose reali, vive. La nascita del concetto scientifico, al contrario, comincia [...] attraverso la relazione mediata con l'oggetto. Inoltre l’approccio costruttivista parte dalla constatazione che il gioco e l’esplorazione, oltre ad essere di per sé gratificanti, permettono di imparare meglio che con i metodi tradizionali della scuola. Ancora, è emerso che nel lavoro di gruppo vengono attivati processi di comunicazione che rendono più efficace l’apprendimento. La premessa fondamentale è che il bambino costruisce attivamente il proprio bagaglio conoscitivo. Piuttosto che assimilare idee che gli insegnanti propongono e interiorizzarle forzatamente attraverso una pratica estenuante di ripetizione a memoria o meccanica, il costruttivismo riconosce al soggetto il diritto e la capacità di inventare le proprie idee. È con l’azione che il soggetto entra in contatto con l’oggetto, con la realtà esterna; non c’è niente di meglio per fare comprendere qualcosa al bambino che lasciargliela sperimentare in prima persona. Piaget, infatti, sostiene che le conoscenze non possono essere dall’esterno, ma sono costruite interiormente dagli individui con un’attività mentale e operativa propria; si conosce solo quando si agisce sull’oggetto e lo si elabora attraverso il proprio schema mentale.
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Nello sviluppo del bambino si evidenzia che le strutture intellettuali non sono , ma si elaborano attraverso un’interazione; il soggetto “assimila” gli stimoli attraverso gli schemi di cui dispone in quel momento, imponendoli così alla realtà con cui entra in rapporto e poi li “accomoda”, cioè li modifica per adattarli ai cambiamenti di situazione. Nel processo di assimilazione7 il soggetto adatta a sé l’ambiente, se lo rappresenta secondo le strutture mentali che si è già costruite; le esperienze, perciò, vengono assimilate solo nella misura in cui l’individuo è in grado di conservarle e di consolidarle nei termini della propria esperienza soggettiva. Nel processo di accomodamento,8 invece, il soggetto modifica i propri schemi per adattarli ai nuovi dati prendendo atto delle limitazioni impostegli dalla realtà, in cui concepisce e incorpora l’esperienza dell’ambiente come effettivamente gli si presenta. La teoria costruttivista rifiuta la figura dell’insegnante come fornitore di informazioni e critica negativamente il distacco della scuola dalla vita e, dal lato pratico, si limita a proporre raccomandazioni generali.9 Il ruolo dell’insegnante è fondamentale in quanto egli deve creare uno scenario che metta l’allievo in condizione di costruire la sua conoscenza nel modo più possibile e autonomo.
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Il processo di “assimilazione” permette di conoscere, cioè di dare un significato all’oggetto esterno sulla base delle strutture esistenti. Il bambino, che acquista prima le strutture psichiche necessarie a stabilire certe connessioni logiche, potrà avere una nozione di quantità legata alla dimensione spaziale. 8 Il processo di “accomodamento”modifica schemi di riferimento onde renderli più adeguati alla realtà che costituisce oggetto di conoscenza e permette di integrarli con le nuove strutture che si vanno organizzando in seguito ad altre alterazioni con il reale. 9 Franco Azzali, Dino Cristanini, Programmare Oggi – Le fonti, i modelli, le azioni. Fabbri Editori
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Il modello di insegnamento di tipo costruttivista: a. Mantiene un buffer tra chi apprende e gli aspetti potenzialmente negativi delle pratiche di insegnamento; b. Predispone un contesto di apprendimento che supporti sia l’autonomia che le relazioni; c. Include le ragioni dell’apprendimento all’interno della stessa attività di apprendimento; d. Sostiene un apprendimento auto – regolato promovendo così abilità e attitudini che permettono a chi apprende di assumere crescenti responsabilità per lo sviluppo di processi di ristrutturazione; e. Promuove la tendenza a chi apprende ad attivare processi di apprendimento intenzionale. Allo stesso modo gli ambienti di apprendimento di taglio costruttivista: a. Danno enfasi alla costruzione della conoscenza e non alla sua riproduzione; b. Evitano eccessive semplificazioni rappresentando la naturale complessità del mondo reale; c. Presentano compiti autentici (contestualizzare piuttosto che astrarre); d. Offrono ambienti di apprendimento assunti dal mondo reale, basati su casi piuttosto che sequenze istruttive predeterminate; e. Offrono rappresentazioni multiple della realtà; f. Alimentano pratiche riflessive; g. Permettono costruzioni di conoscenza dipendenti dal contesto e dal contenuto; h. Favoriscono
la
costruzione
cooperativa
della
conoscenza
attraverso
negoziazione sociale.
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1.3 L’INSEGNAMENTO DELLA FISICA E I MODELLI DI SVILUPPO DELL’INTELLIGENZA. A partire dagli Anni’20 varie scuole di psicologia si sono occupate delle attività di pensiero giungendo a studiare anche l’intelligenza. La ricerca psicologica ha avanzato ipotesi più complesse tra le quali, per un insegnante, può esser utile sintetizzare l’approccio delle intelligenze multiple (Howard Gardner) nella formulazione sintetica di tre tipi fondamentali: intelligenza intuitiva, descrittiva e ordinativa o formale. Ciascun essere umano pur essendo dotato della capacità d’uso di tutti i tipi di intelligenze, nel corso dello sviluppo tende a far prevalere uno dei tre tipi sugli altri. Si hanno così persone che tendono ad affrontare un problema con un approccio intuitivo alla globalità del problema stesso mentre altri tendono ad affrontarli in via descrittiva, ovvero attraverso procedimenti analitici. Altri ancora possono avere bisogno di sistemare il problema in un contesto ordinativo teorico prima di procedere a tentativi di soluzione. Può essere importante riflettere su quali tipi di intelligenza sono richiesti per una buona comprensione della fisica. Poiché la disciplina è oggi un intreccio tra conoscenza dei fenomeni e conoscenza dei quadri teorici in cui essi trovano una spiegazione è ragionevole pensare, oltre all’utilità di un approccio intuitivo ai fenomeni, alla necessità di tipo descrittivo (per la conoscenza dei fenomeni) e di tipo formale (per la comprensione dei quadri teorici). Dopo il lavoro pionieristico di Kohler sull’apprendimento animale, gli autori della Gestalt10 hanno lavorato al pensiero produttivo umano considerato come lo strumento
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Il termine tedesco “Gestalt”, nel passato, è stato tradotto con il significato di “forma”, ma che è più corretto tradurre con l’espressione “struttura organizzata”. La psicologia della Gestalt, fondata nell’Università di Francoforte da tre studiosi, Max Wertheimer, Kurt Koffka e Wolfanh Kohler, partì dalla premessa filosofica di base che il tutto è più della somma delle sue parti e che la giusta impostazione per capire il comportamento deve essere lo studio dell’esperienza di tutta la sua complessità piuttosto che lo studio molecolare di sensazioni e azioni comunemente fatto nei laboratori di psicologia. L’approccio
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che consente le migliori prestazioni nella soluzione dei problemi e che sta alla base dell’intelligenza. Contributi molto importanti sono venuti da psicologi che studiavano lo sviluppo ed erano interessati a capire come si evolve il pensiero e come matura l’intelligenza nei bambini. Jean Piaget e Lev Semenovic Vygotsky, pur movendo da prospettive diverse hanno studiato l’intelligenza dall’interno, vista cioè come strutture e meccanismi che si formano e crescono nel rapporto tra individuo e ambiente. In ambito scientifico esistono varie tassonomie che indicano le fasi importanti dello sviluppo dell’intelligenza. In ambito pedagogico si definisce “tassonomia” una lista ordinata di obiettivi che consente di analizzare una finalità educativa e di specificarne i diversi livelli di realizzazione possibile.11 Nel 1948 a Boston, durante il congresso dell’American Psycological Association, venne preparata la prima tassonomia che venne completata da Benjamin Bloom12 nel 1956. Nello stesso anno pubblicò a New York con la casa editrice Mckay, la Taxonomy of educational objectives: the classification goal. Handbook I: cognitive domain. Suddivise la sua tassonomia in tre ambiti < cognitive >, < affective >, < psychomotor >. Gli obiettivi della sfera cognitiva vennero raggruppati in sei livelli ognuno dei quali
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Victor Garcia Hoz Antonio Bernal Guerriero, Santo di Nuovo, Giuseppe Zanniello “ Dal fine agli obiettivi dell’educazione personalizzata” Ed. Palombo 2000. 12 Il meccanismo su cui si fonda la tassonomia di Benjamin Bloom è quello del feed-back, cioè dell’interazione, che permette una verifica ed un superamento delle difficoltà intervenendo su delle micro-strutture. Non è difatti vero che chi non apprende non intuisce globalmente ciò che viene spiegato dall’insegnante. L’alunno è spesso fuorviato da alcuni elementi particolari, che spesso possono divenire delle chiavi per introdursi nel discorso. Queste chiavi vanno identificate. Affinché questo avvenga, è necessario dividere l’unità di apprendimento in tante sotto-unità, che consentono di identificare quali siano gli impedimenti alla comprensione dell’intera unità. Inoltre la teoria dell’istruzione di Bloom parte dal presupposto che spesso l’insuccesso non è attribuibile all’individuo ma quasi sempre al contesto in cui l’apprendimento si svolge. L’insegnamento collettivo mette in evidenzia l’errore e la diversità nel processo di apprendimento
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rispecchiava il diverso grado di complessità delle attività intellettuali implicate nel loro conseguimento. I livelli si dividevano in: Conoscenza: cioè capacità di richiamare alla memoria fatti, metodi e processi, modelli, strutture, ordini; Comprensione: conoscere quello che viene comunicato senza stabilire necessariamente rapporti fra i materiali; Applicazione: utilizzazione delle rappresentazioni astratte (idee generali, regole di procedimento, metodi diffusi, principi, idee, teorie ) in casi concreti; Analisi: separazione degli elementi di una comunicazione in modo da rendere chiara la gerarchia delle idee e/o rapporti fra le idee espresse; Sintesi: riunione di elementi e parti per formare un tutto in modo da organizzare una struttura che prima non si distingueva chiaramente; Valutazione: formulazione di giudizi qualitativi e quantitativi sul valore del materiale e dei metodi utilizzati per uno scopo preciso su criteri prestabiliti.
Facendo riferimento a questa tassonomia Benjamin Bloom sostiene che l’insegnamento della fisica conduce il discente ad assumere atteggiamenti di : Disponibilità all’ascolto. L’allievo deve essere disponibile ad accettare le indicazioni del docente, conoscere e capire le regole, ascoltare le idee dei compagni, leggere la documentazione fornita. Accettazione. L’allievo deve approvare l’esistenza di regole e di valori propri della disciplina.
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Comprensione. L’allievo deve capire non tanto le leggi fisiche o l’attività sperimentale ma i < valori> legati a tali attività e regole. Questa classificazione pone al centro il discente che deve sviluppare un atteggiamento positivo verso la fisica, le sue regole, il suo modo di “vedere” e “interpretare” il mondo. Tale aspetto potrà essere realizzato grazie alla complicità dell’insegnante che deve: •
Essere disponibile all’ascolto delle idee e delle difficoltà degli studenti.
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Dimostrare di essere coinvolta/o e convinta/o personalmente di ciò che insegna.
•
Dimostrare di accettare le regole, comprenderne e condividerne i valori.
Altre tassonomie prodotte tra il 1957 e il 1980 riflettono una tricotomia di obiettivi come quelli raggruppati nel campo conoscitivo di J. Guilford. Secondo l’autore i processi intellettuali si traducono in cinque operazioni mentali. Conoscenza e memoria. Nell’attività si deve fare emergere ciò che i bambini sanno per esperienze di vita quotidiana, sul tema che si affronta. E’ noto, grazie a studi di psicologia, che le nuove conoscenze si acquisiscono e non si dimenticano (cioè vanno a fare parte della memoria di lunga durata) solo se sono bene raccordate con le conoscenze e le memorie precedenti. È importante un buon attacco all’attività; non iniziare mai imponendo un punto di vista o un procedimento che risulti estraneo alla classe, non dare spiegazioni astratte, ma fare emergere il tutto dagli interessi dei bambini, dalle circostanze, dalla vita quotidiana di scuola o di casa, cioè dal contesto della classe. 13 Pensiero divergente: riferito al pensiero creativo, alternativo e originale. È sollecitato da situazioni aperte, come quelle sociali che ammettono più soluzioni alternative. La 13
D. Allasia, V. Mentel, G. Rinaudo, La fisica per maestri Ed. Libreria Cortina Torino,2004.
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produzione cognitiva “creativa” non è in alcun modo implicita nella situazione di avvio e rigorosamente conseguente ad essa, come avviene invece nella produzione convergente, in cui la soluzione del problema è deducibile dalle premesse secondo regole già codificate. Il pensiero convergente fa riferimento al pensiero logico e razionale. Consiste in un procedimento sequenziale e deduttivo, nell’applicazione meccanica di regole apprese nell’analisi metodica dei dati. Si adatta a problemi chiusi che prevedono un’unica soluzione, è il pensiero sollecitato anche dalla scuola ed è una fase importante perché riguarda lo sviluppo di tutta una serie di abilità operative, logiche ed espressive che sono essenziali per l’effettiva acquisizione delle nuove conoscenze. Infine il pensiero critico, riferito alla capacità di riflettere su aspetti cruciali, su ciò che funziona e su ciò che può essere migliorato. Il pensiero critico deve portare a confrontare le nuove conoscenze acquisite con ciò che già si sapeva, in modo da essere da stimolo per la proposta e lo sviluppo di nuove attività che mettono alla prova la validità di quanto appreso.
Ultimo modello di sviluppo dell’intelligenza è dato da Robert Karplus, professore di fisica teorica nell’università della California. Secondo Karplus la scienza a livello della scuola primaria, deve non solo essere semplificata bensì organizzata su basi diverse dalle solite presentazioni logiche per argomento alle quali è abituato lo scienziato universitario. Con l’aiuto finanziario della National Science Fondation, nell’anno 1959/1960, furono preparate tre unità scientifiche intitolate < Coordinate, Forza, Che cosa sono io?>. Sebbene l’insegnamento dell’unità generasse un
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certo entusiasmo, le conversazioni con gli insegnanti e gli allievi rivelarono idee gravemente sbagliate e certe lacune. L’analisi di tutto l’esperimento didattico portò Karplus a formulare tre quesiti: 1. Come si può creare un’esperienza d’apprendimento che assicuri una salda connessione fra l’atteggiamento intuitivo dell’allievo e i concetti dal punto di vista scientifico moderno? 2. Come si può determinare ciò che i fanciulli hanno appreso? 3. Come si può comunicare con l’insegnante in maniera che egli possa a sua volta comunicare con gli allievi? Nella primavera del 1960 Robert Karplus ebbe occasione di familiarizzare con il punto di vista che i fanciulli assumono rispetto ai fenomeni naturali e di elaborare risposte provvisorie al primo dei tre quesiti. Questo gli permise di intensificare l’apprendimento da parte dei fanciulli stimolando le loro osservazioni su esperimenti eseguiti in aula; ma progettò anche di insegnare loro a interpretare le loro osservazioni in modo più analitico di quanto facciano i fanciulli senza un insegnamento particolare. A questo scopo decise di insegnare regolarmente in una seconda elementare. Formulò la teoria della mettendo in rilievo l’importanza che hanno nella scoperta le idee preconcette e l’abito mentale dell’osservatore. Queste idee preconcette determinano quale tipo di generalizzazione un bambino può ricavare dalle sue esperienze. Se il bambino deve formare concetti scientifici moderni, deve esaminare i suoi esperimenti e interpretarli dal punto di vista della scienza moderna.14
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Robert Karplus/Herbert D. Thier, Rinnovamento dell’educazione scientifica elementare, Zanichelli Editore Bologna
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Nel suo insegnamento sperimentale, Karplus, cercò di sviluppare questo punto di vista con i suoi allievi elaborando un modello di sviluppo dell’intelligenza che distingue i cicli di apprendimento scientifico in tre stadi: Esplorazione. I bambini sono immersi in un contesto con dei materiali appositamente scelti per favorire l’esplorazione spontanea senza istruzioni precise. Nascono così nuove idee, che costituiscono il Background per l’introduzione dei concetti. Durante l’attività di esplorazione si possono fare domande e commenti per incoraggiare un ulteriore coinvolgimento nell’attività stessa. L’esplorazione è immediatamente seguita, nella stessa lezione, dalla fase di invenzione del concetto, guidata dall’insegnante. Invenzione. L’apprendimento spontaneo è limitato dai preconcetti, quindi sarà l’insegnante a formulare i nuovi termini e concetti utili a interpretare le osservazioni in modo chiaro ed esplicito, rendendo più volte i termini appropriati proprio all’apparire del concetto. Pertanto si incoraggiano gli allievi a fare altri esempi che illustrano la nuova idea. Attraverso gli esempi forniti dagli allievi, l’insegnante verifica il grado di comprensione. Bisogna ricordare che “l’invenzione” è solo l’ inizio del processo di comprensione-competenza per il bambino. La conoscenza, la comprensione e l’eventuale capacità di applicazione del concetto nella vita di tutti i giorni deriveranno dall’esperienza che i bambini faranno durante e dopo l’attività. Scoperta. Attività in cui il bambino trova una nuova applicazione del concetto attraverso l’esperienza. Le attività di “scoperta” rafforzano il concetto originario e stendono il suo
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significato. Queste attività possono essere progettate o essere già bagaglio dell’esperienza quotidiana dei bambini. Nell’immagine ingenua di scienza si è talvolta portati a vedere la scoperta di un fenomeno come un momento definitivo di arrivo. Al contrario , la scoperta , è il punto di partenza che organizza e sviluppa la conoscenza. La padronanza e la comprensione dei concetti si conquistano attraverso la pratica e l’applicazione ripetuta di essi.
Con l’impiego delle tassonomie degli obiettivi educativi, gli insegnanti sono stati aiutati ad indirizzare i loro alunni verso il conseguimento di un livello intellettuale più alto senza accontentarsi della semplice acquisizione di conoscenza. È stata attribuita maggiore importanza agli aspetti non cognitivi nella formazione della personalità degli alunni e si è cercato di unificare i criteri di valutazione rendendo così più agevole la ricerca sperimentale in campo educativo.
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1.4 LA CONOSCENZA. Nel paradigma oggettivista, la conoscenza viene vista come una verità esterna, oggettiva, indipendente dal singolo soggetto al quale si richiede razionalità, obiettività autonomia e indipendenza dal contesto. Nel costruttivismo, invece, la conoscenza15 viene intesa come il risultato di una costruzione realizzata in uno specifico ambito e ambiente poiché è saldamente collegata con la società dell’epoca ed è rappresentata dalle persone che vivono in un determinato contesto storico e in una determinata cultura. Allora la conoscenza viene costruita in un contesto sociale con il contributo delle persone che vivono e agiscono in questo contesto. Vale a dire che, in ambito costruttivista, non abbiamo più il concetto di conoscenza come realtà assoluta, esterna indipendente, bensì conoscenza il cui significato viene discusso e costruito da una comunità di soggetti che interpretano la conoscenza stessa. Gli allievi infatti costruiscono nuove conoscenze, non soltanto sulla base di quelle che già possiedono, ma attraverso la negoziazione e la condivisione di significati. Lo stesso concetto può essere interpretato e quindi dar luogo a conoscenze diverse se è diverso il momento e il contesto in cui il progetto viene discusso. Nella concezione costruttivista la conoscenza viene costruita attraverso e in base all’esperienza tramite un apprendimento attivo che consente quindi lo sviluppo dei significati. 15
Gardner ci dà una definizione di comprensione generale ovviamente distinguendo il concetto di comprensione dal concetto di conoscenza …Dice Gardner “noi siamo in grado di comprendere qualcosa quando possiamo trasferire quello che abbiamo imparato in termini di procedure, concetti-chiave…in situazioni nuove. In una prima approssimazione potremmo chiarire meglio questo concetto di comprensione se pensiamo a quello che accade in tutte le discipline: la comprensione è fonte di competenza, la comprensione è ciò che porta alla competenza. Quando parliamo di comprensione nel campo della fisica non vogliamo dire che il ragazzo sa ripetere la formulazione delle leggi che ha trovato sul manuale ma vogliamo dire che ha acquisito una mentalità scientifica che gli permette di ragionare e di spiegare scientificamente i fatti oppure anche se non è in grado di spiegarli scientificamente di sapere che cosa vuol dire di spiegarli scientificamente. Quindi la comprensione è, se così possiamo dire il livello più alto di conoscenza, quello che bisogna raggiungere per essere competenti in un campo disciplinare.
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Il processo di costruzione della conoscenza di un essere umano, inizia sin dalla nascita, ed è un processo spontaneo in cui l’ambiente di riferimento è costituito da oggetti ed eventi caratteristici della vita quotidiana di ciascuno e dalla cultura che ad essi si riferisce. Questo processo è finalisticamente guidato dalle necessità individuali di interazione con l’ambiente naturale e sociale, identiche per tutti all’inizio della vita e che vanno differenziandosi nei diversi individui durante il suo corso. Questo tipo di conoscenza è episodica ed essenzialmente inconsapevole se non nei suoi esiti, accettati o rifiutati a seconda del successo o del fallimento delle azioni che ne derivano rispetto agli scopi di vita volta per volta prefissati. Lo strumento utilizzato per la costruzione, comunicazione e il confronto delle rappresentazioni è la lingua naturale integrata ad altri codici (gestuali, iconici, di matematica elementare ..) non specialistici. Attraverso questo processo l’individuo raccoglie esperienze e le organizza in schemi e modelli di realtà allo scopo di fornire capacità di interazione con l’ambiente rispetto al vivere quotidiano. La conoscenza è costituita da strutture definite “schemi”;16 essi sono considerati la componente principale della comprensione. Comprendere vuol dire attribuire un significato a ciò che accade davanti ai nostri occhi e ciò non è possibile se noi non abbiamo una traccia entro cui inserire tutti gli accadimenti e dare loro un ordine temporale, logico, causale ecc. Fare supposizioni cercare cause sono tutte strategie cognitive che, sulla base di schemi, tentano di inquadrare quello che è avvenuto all’interno di una serie di eventi probabili. In campo scientifico, partire da un ipotesi ci 16
Gli SCHEMI sono strutture organizzate di conoscenze. Possiedono sia qualità statiche (la loro struttura) sia qualità dinamiche ( la loro attitudine a prepararci ad attendere certe informazioni ). Essi vengono utilizzati consciamente - nel guidare il recupero delle informazioni - oppure talvolta operano automaticamente, nel riconoscere un nuovo concetto e nel trarre una conclusione evidente. Essi sono costituiti sia da conoscenze dichiarative che da conoscenze procedurali e la loro funzionalità risiede appunto in questa caratteristica che fa conservare nella memoria conoscenze di vario tipo relative ad una determinata situazione o ad un problema.
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consente di isolare tra i tanti fatti, quelli utili per verificare se tale ipotesi è attendibile; ma una volta raccolti tutti questi fatti siamo in condizione di riassumerle in poche e semplici idee. Avere uno schema che funziona da ipotesi, significa poter ricostruire qualche cosa di cui non abbiamo avuto esperienza.17 Gli schemi vengono utilizzati inconsciamente nel guidare il recupero delle informazioni, talvolta, operano automaticamente nel riconoscere un nuovo concetto e nel trarre una conclusione evidente. Questo processo avviene grazie alla complementarietà di due conoscenze: la conoscenza dichiarativa e la conoscenza procedurale.18 La conoscenza dichiarativa ci dice ciò che c’è nella realtà; si riferisce all’organizzazione dei contenuti di una disciplina. La conoscenza procedurale ci permette di sapere come fare qualcosa e si riferisce alle strategie che il soggetto mette in atto nella risoluzione di problemi (Problem Solving). In particolare, la conoscenza procedurale può essere rappresentata attraverso Script, un insieme di azioni ordinate che ha luogo in un contesto specifico. Gli script vengono considerati importanti strutture che si formano in fasi molto precoci dell’apprendimento, nell’ambito delle scienze sperimentali, vengono descritte come procedure messe in atto per l’esecuzione di una ricerca o in un lavoro sperimentale di laboratorio. Nella fisica è 17
Adele Bianchi, Parisio Di Giovanni, Psicologia in azione Paravia 1996. La conoscenza dichiarativa, rappresentata per mezzo delle proposizioni è "sapere che qualcosa è pertinente ". Essa fornisce molto spesso i dati necessari allo svolgimento di certe procedure e disciplina, regolando la successione delle operazioni procedurali. Più in generale la conoscenza dichiarativa interagisce con la proceduralità nella risoluzione dei problemi, fornendo i dati necessari per avanzare nella scoperta di nuovi dati significativi, sia durante la risoluzione di problemi creativi (come sviluppare un’argomentazione o una composizione pittorica) fornendo nuove intuizioni. La conoscenza procedurale è "sapere come fare qualcosa. " Essa può essere attivata più velocemente ed è più reattiva all’ambiente di quanto non lo sia la conoscenza dichiarativa, più lenta ma più cosciente. La proceduralità consiste non in un semplice richiamo di informazioni, bensì in una trasformazione di informazioni. La distinzione tra conoscenza procedurale e conoscenza dichiarativa è stata fatta dal filosofo Ryle (1949) ed è fondamentale nella teoria dell’apprendimento di R. Gagné (1977)… 18
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importante sapere che , chi apprende, sia informato degli script specifici delle discipline ( Nickerson, 1985), ma anche ciò che dovrebbe essere chiaro per l’apprendimento di qualsiasi conoscenza procedurale e cioè l’importanza dell’esercizio stesso. Un bambino, nell’affrontare un problema e trovare una soluzione, mette in atto queste due conoscenze che gli permettono di stabilire come le informazioni che lui possiede possano essere applicate. Questo passaggio comporta l’introduzione di un terzo tipo di conoscenza definita “meta – conoscenza”. Il suo compito è quello di fornire il controllo sulle procedure attraverso attività con cui il soggetto valuta l’adeguatezza tra i processi messi in atto e le richieste del compito da svolgere. L’insegnante deve stimolare l’alunno affinché possa acquisire questo tipo di conoscenza e quindi orientarlo ad < imparare a pensare >. Se l’imparare a pensare non si riduce ad una pura speculazione, porta necessariamente ad agire bene (Gordillo 1994). Ma per pensare, è necessario possedere le disposizioni adeguate per poterlo fare (Beltran 1995): le disposizioni affettivo – motivazionale del soggetto che apprende devono quindi tenersi sempre presenti ( Pintrich Marx Boyle 1993). Il soggetto in condizione di apprendimento è in continuo rapporto con la realtà e le operazioni mentali a cui è chiamato lo inducono a produrre rappresentazioni interne. Queste si traducono in abilità di base, in acquisizioni conoscitive di tipo dichiarativo procedurale tra loro integrate. Nella costruzione di queste abilità intervengono due assi fondamentali: l’asse linguistico e l’asse procedurale. L’asse linguistico presiede alla descrizione dei fenomeni attraverso l’elaborazione di sempre nuove reti preposizionali via via più integrate tra loro. In tutte le discipline esiste
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un aspetto descrittivo dei fenomeni, fatti, eventi, concetti, procedure che implicano operazioni logiche multiple quali la significazione, il riconoscimento, l’acquisizione, l’esposizione. L’asse logico procedurale interviene nell’organizzare le reti preposizionali e presiede ad operazioni complesse quali la quantificazione dei fenomeni, la simbolizzazione, la proceduralità. Queste abilità non riguardano soltanto le materie scientifico-matematico, ma anche in generale tutta l’organizzazione del sapere.
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1.5 CONOSCENZA SCIENTIFICA E CONOSCENZA COMUNE: ANALOGIE E DIFFERENZE. Che le conoscenze fisiche nascano da un modo particolare di guardare al mondo dovrebbe apparire chiaro sin dai primi contatti scolastici con questa disciplina. Invece spesso non è così, le conoscenze fisiche sono in genere comunicate come se fossero conseguenze dirette di un’osservazione corretta dei fenomeni naturali. Quando si comincia a conoscenze fisiche nella scuola primaria, bisogna considerare che i bambini non posseggono gli strumenti per distinguere tra loro discorsi scientifici da altri discorsi e non capiscono le differenze tra le varie discipline. Le conoscenze fisiche non si acquisiscono in modo naturale e spontaneo, dal momento che presuppongono un modo particolare di osservare, descrivere e interpretare il mondo. Non solo occorre apprendere a osservare il mondo secondo particolari criteri, ma occorre anche capire che la fisica è una disciplina scientifica e che la scienza moderna ha regole proprie per produrre conoscenza e renderla condivisibile. L’acquisizione di conoscenze fisiche implica sempre una cambiamento concettuale del proprio modo di pensare la realtà naturale, di cercare la spiegazione di certi fenomeni, di confrontarsi con altre modalità di accesso alla conoscenza. La crescita delle conoscenze fisiche è caratterizzata da un lungo e faticoso processo di costruzione e ristrutturazione di conoscenze. È, durante la scuola primaria, che il bambino comincia a strutturare il suo modo di pensare e di esprimersi. Lo sviluppo delle capacità linguistiche e comunicative è di fatto uno dei principali obiettivi della scuola primaria. L’insegnante sa che, in questo contesto, egli deve introdurre anche il passaggio da forme di conoscenza comune a forme di conoscenza scientifica. Nel processo di costruzione di conoscenza spontaneo l’ambiente di riferimento è costituito da oggetti ed eventi caratteristici della vita quotidiana di ciascuno e dalla
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cultura comune che ad essi si riferisce. Tale processo è finalisticamente guidato dalle necessità individuali di interazione con l’ambiente naturale e sociale, praticamente identiche per tutti all’inizio della vita e che vanno differenziandosi nei diversi individui durante il suo corso. La costruzione spontanea di conoscenza è episodica ed essenzialmente inconsapevole se non nei suoi esiti, accettati o rifiutati a seconda del successo o del fallimento delle azioni che ne derivano rispetto agli scopi volta per volta prefissati. Lo strumento principale utilizzato per la costruzione, la comunicazione ed il confronto delle rappresentazioni è la lingua naturale, integrata da altri codici (gestuali, iconici, di matematica elementare) non specialistici.
La costruzione storica di conoscenza scientifica, per esempio di conoscenza fisica, è invece finalizzata a sé stessa. L’ambiente di riferimento, più che mai determinato culturalmente, è costituito da eventi (gli esperimenti di laboratorio) che si verificano a scale sempre meno direttamente accessibili ai canali percettivi naturali e che sono sempre più “costruiti ad hoc” per rispondere a domande estremamente specializzate. Il processo di costruzione di conoscenza è il più possibile consapevole ed avviene secondo regole definite e condivise dalla comunità degli scienziati che nel loro insieme giudicano dell’accettabilità o meno delle interpretazioni e rappresentazioni dei fenomeni (modelli, leggi, principi, teorie …) costruite dai singoli membri della comunità. Alla progressiva specializzazione delle domande e degli eventi considerati, rispetto alle domande ed agli eventi che caratterizzano l’esperienza quotidiana, si accompagna, ora come conseguenza, ora come causa, una progressiva specializzazione del linguaggio.
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1.6 IL LINGUAGGIO NELL’EDUCAZIONE SCIENTIFICA.
Il linguaggio viene considerato lo strumento privilegiato per osservare, vedere, interpretare la realtà. Tutte le attività scolastiche del bambino, sono determinate da un continuo confronto del suo modo di osservare e descrivere le cose e il modo di osservare e descrivere che sono imposti dalla cultura dominante. Questo confronto avviene proprio a livello linguistico in quanto il bambino si impossessa gradualmente di nuovi modi di dire e acquisisce un nuovo vocabolario che gli permette di cambiare il suo modo di vedere il mondo. Effettuare e/o guardare le esperienze può anche essere divertente, ma non comporta la costruzione di conoscenza. Non si passa in modo autonomo dall’esperienza al concetto (Dewey, 1933). Dei fenomeni si deve catturare, dopo la meraviglia e la curiosità iniziale, non il loro aspetto estetico e magico, ma la loro logica, la rete di connessioni che può essere costruita a partire da essi. Perciò, dopo l’esperienza, deve seguire la riflessione sull’esperienza che si realizza con la mediazione del linguaggio. È il linguaggio che facilita le altre attività cognitive: descrivere, rappresentare, individuare le differenze e somiglianze, individuare relazioni e connessioni causali, classificare e definire. Queste attività cognitive consentono di conservare il significato del fenomeno. Il linguaggio scientifico si basa su alcuni presupposti, primo fra tutti è l’astrazione.
Immaginiamo che una maestra decida di trattare un argomento di “fisica” introducendo alcuni concetti elementari sulla meccanica. Decide di introdurre l’argomento partendo dalla cinematica comunicando criteri per osservare e descrivere il “movimento” delle cose.
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Per un bambino, ma anche per un adulto, le cose che si muovono sono tante e lo fanno in tanti modi. Il mare, le bandiere, i serpenti, il pallone, le foglie……scorrere, sventolare, agitarsi, strisciare, saltare, cadere, ecc., sono tutti modi di muoversi. Ammettiamo che, nel senso comune, le parole che hanno la radice comune “m(u)ov…” si riferiscono a qualcosa che cambia configurazione o posizione nello spazio e nel tempo, ma dobbiamo anche capire che i bambini ancora non hanno riflettuto su questo aspetto comune a tutti i movimenti. Una cosa è usare le parole “m(u)ov…”, una cosa è riflettere sul fatto che stiamo parlando di cambiamento di configurazione o posizione di qualcosa nello spazio e nel tempo. Il bambino non distingue il particolare dal generale e quindi va aiutato a compiere un’astrazione. Grazie a questo processo, l’insegnante riesce a passare dall’attenzione alle svariate forme di movimento di tutte le cose che ci circondano, al concetto di movimento, così comune come esso è trattato dalla fisica. Cominciare a vedere i movimenti dal punto di vista fisico non solo implica un’astrazione, ma anche particolari criteri linguistici per descrivere i movimenti stessi. Per esempio, la meccanica cerca di rappresentare il movimento secondo criteri in cui il linguaggio matematico gioca un ruolo fondamentale. In fisica occorre fissare criteri per misurare il movimento: il che implica un linguaggio matematico e quindi, la fisica, è costretta a parlare solo di particolari forme di movimento. Parla, per esempio, di movimenti abbastanza regolari e controllabili, di oggetti semplici o di oggetti che eseguono movimenti facilmente descrivibili. La fisica, dunque, seleziona i movimenti che sono significativi dal suo punto di vista. Le forme di linguaggio quantitativo sono diverse. Supponiamo che l’insegnante chieda ai bambini di disegnare il percorso che ha fatto la palla dal punto A al punto B. Per ottenere risultati significativi l’ insegnante dovrà dare qualche criterio generale per disegnare il percorso, fronteggiando situazioni
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in cui, per esempio, un bambino chiede: “maestra, come faccio a disegnare il percorso di una palla che rimbalza? ….Come faccio a disegnare il percorso di una palla che gira su sé stessa?”. Il disegno è un’altra forma di comunicazione e si serve di un proprio linguaggio. Da quanto detto, dovrebbe risultare chiaro che, nel corso del loro apprendimento alla fisica, gli alunni cominciano ad usare nuovi giochi linguistici. Essi scoprono che, per giocare al gioco della fisica, devono acquisire nuove parole le quali, se applicate in modo corretto e condiviso dai compagni, gli permettono di descrivere ciò che osservano in modo comprensibile anche dagli altri. Spesso, però, si crede che dietro una parola ci sia un’idea chiara e distinta, la conoscenza comune che è dietro l’uso di tali espressioni è semplicemente conoscenza della lingua; tutto ciò che si richiede è la capacità di usare le parole in certe situazioni in modo appropriato. Solo quando si comincia a giocare il gioco specializzato della fisica, si comincia a costruire un linguaggio speciale e i termini devono essere usati correttamente. Tuttavia, l’effetto più importante dell’essersi impossessati di un nuovo gioco linguistico è che, tale padronanza, si riflette sulle capacità di osservazione. Già quando si parla di percorsi, l’attenzione osservativa viene diretta verso aspetti del moto della palla che magari prima nemmeno era presa in considerazione. In questo caso è evidente che sapere osservare significa sapere ridurre il campo di osservazione. Questo è l’obiettivo dell’insegnante che vuole trattare argomenti di natura fisica, cercare di partire dal generale per giungere al particolare del fenomeno.
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1.7 L’EDUCAZIONE SCIENTIFICA NELLA SCUOLA PRIMARIA. L’educazione scientifica è entrata di diritto anche nella scuola primaria con i Programmi Nazionali del 198519 e ribadita con le Indicazioni Nazionali (Dlgs 59/2004).20 Il suo scopo è quello di creare capacità di indagine e di astrazione dei bambini e dei ragazzi, essenziali per raggiungere obiettivi formativi necessari sia per la formazione comune del cittadino, sia per l’avvio al successivo ciclo di studi. In quest’area della scuola primaria è evidente la continuità con le attività manipolative e cognitive sviluppate nella scuola dell’infanzia, che mettono i bambini in rapporto diretto con realtà concrete sviluppando in parallelo la capacità di parlarne, di spiegarle e di rappresentarle in modi diversi. L’educazione scientifica si propone come obiettivi fondamentali: a. Lo sviluppo di atteggiamenti di base nei confronti del mondo, come la tendenza a porre proprie domande, o a coglierle nel discorso degli altri come motivazione all’osservazione e alla scoperta; l’intraprendenza inventiva, soprattutto per quanto riguarda la formulazione di ipotesi e spiegazioni; l’abitudine a identificare entro situazioni complesse singoli elementi ed eventi e l’attenzione alle loro relazioni; l’esigenza di trovare criteri unitari per descrivere e interpretare
fenomeni
anche
assai
diversi;
l’autonomia
al
giudizio,
19
C.M. 15 gennaio 1985, n. 17, prot. n. 261, prevede attività di sperimentazione nelle scuole di ogni ordine e grado. 20
Oggi, con la riforma proposta dal ministro Moratti, si è arrivati a elaborare i Piani di Studio Personalizzati per la cui realizzazione il ministero non elabora più i programmi o curricoli, ma le Indicazioni Nazionali e Raccomandazioni. I nuovi programmi, che non si chiamano più così, si compongono di tre documenti ufficiali: Le Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati, le Raccomandazioni per la loro attuazione e il Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del Primo Ciclo di istruzione (6-14 anni).
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accompagnato da disponibilità a considerare le opinioni altrui ed a confrontare queste e le proprie con i fatti; il rispetto consapevole per l’ambiente; b. L’acquisizione di abilità cognitive generali quali, per esempio, la capacità di analisi delle situazioni e dei loro elementi costitutivi, la capacità di collegare i dati dell’esperienza in sequenze e schemi che consentano di prospettare soluzioni ed interpretazioni e, in certi casi, di effettuare previsioni, la capacità di distinguere ciò che è certo da ciò che è probabile, la capacità di formulare semplici ragionamenti ipotetico- deduttivi; c. La crescente padronanza di tecniche di indagine, da quelle di tipo osservative, sino all’impiego di situazioni pratiche del procedimento sperimentale; d. Lo sviluppo di un rapporto sempre più stretto e articolato tra il ed il . Il fare, inteso come attività concreta manuale e osservativa, è riferimento insostituibile di conoscenze sia per le scienze della natura, sia per lo sviluppo di competenze tecnologiche. Tutti questi obiettivi, in gran parte comuni ad altre aree disciplinari, vanno perseguiti attraverso lo svolgimento di attività e l’acquisizione di conoscenze riguardanti aspetti fondamentali sia del mondo fisico sia del mondo biologico, considerati nelle loro reciproche relazioni e nel loro rapporto con l’uomo. Il possesso di tali conoscenze può essere considerato come un ulteriore obiettivo collegato ai precedenti da uno stretto rapporto di interdipendenza. Riguardo alla scienza e alle sue applicazioni, le Indicazioni Nazionali, vogliono offrire agli insegnanti una traccia che possa aiutarli a realizzare il duplice obiettivo di: -
familiarizzare gli allievi con gli aspetti della scienza più vicini alla nostra vita quotidiana in un contesto di tempi e società in continuo mutamento;
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-
fornire loro un minimo di basi concettuali e terminologiche, e più generalmente gli strumenti intellettuali, in modo che gradualmente arrivino a far proprio il metodo di pensiero della scienza.
Data la natura del suo lavoro e le responsabilità connesse, l’insegnante dovrà costruirsi in base a quella traccia il percorso che considera il più efficace sia per conformità ai fini dell’insegnamento, sia in relazione alla sua mentalità personale e all’ambiente scolastico in cui opera. Nel contesto di una classe, poi, l’insegnante potrà utilizzare, purchè con saggezza e lungimiranza, la flessibilità organizzativa che la scuola mette a disposizione. Potrà così ripartire il processo di apprendimento, eventualmente suddividendo la classe in gruppi di lavoro, previsti dai laboratori, secondo attitudini personali e tempi di assimilazione. Se applicate con la dovuta attenzione alle varie sensibilità psicologiche degli allievi (senso di responsabilità, competitività, ecc.), queste misure consentiranno un’efficace cooperazione tra insegnante e allievi e soprattutto la collaborazione fra allievi e allievi, senza appiattimento del livello didattico e al tempo stesso con assoluto rispetto della pari dignità di tutti. Le Indicazioni Nazionali, come si è detto, offrono agli insegnanti i materiali concettuali di base. Rimane fermo, però, che tocca all’insegnante adeguare l’ordine degli argomenti e i tempi ad essi dedicati al contesto della situazione reale in cui opera e procedere alla progettazione delle Unità di Apprendimento.21 Per arrivare a formulare interrogativi autenticamente scientifici, sia pure a livello molto elementare, occorre un percorso che comincia col rilevare analogie e somiglianze, passa a individuare delle regolarità, e 21
Le Unità di Apprendimento propongono flessibilità nei traguardi e nei percorsi formativi. Quello che fa l’insegnante non può essere programmato del tutto perché dipende da come l’alunno risponde alle sollecitazioni. L’apprendimento cui si riferiscono le UA non è, semplicemente, la sommatoria delle conoscenze acquisite e delle abilità sviluppate, ma un apprendimento che promuove e trasforma capacità individuali in competenze, le quali racchiudono ed integrano capacità, conoscenze, abilità, valori, atteggiamenti e comportamenti. È un apprendimento che si realizza secondo un’azione globale unitaria e transdisciplinare. Alessandra La Marca, PERSONALIZZAZIONE E APPRENDIMENTO, Strumenti e competenze. Ed. A. 2005
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giunge infine, a enunciare possibili regole da sottoporre a verifica. In questo approccio ad un “mondo da interrogare” sembra particolarmente opportuno trasmettere agli allievi almeno un’idea del metodo sperimentale, dell’importanza delle misure ripetute per questioni di natura quantitativa, del significato dell’idealizzazione (moto rettilineo uniforme, gas ideali, ecc.), dell’importanza della congruenza fra le parti di un tutto unitario, e cosi via. Aprire le menti dei giovanissimi a queste cose non è compito facile e non si può fare riferimento ad un metodo universalmente valido. Nei primi anni si può raccomandare che la comunicazione fra docente e discenti si stabilisca anche a carattere di gioco, nel prosieguo dell’esperienza scolastica è bene però che emergano procedure più sistematiche. In generale, però, un’esperienza molto ampia suggerisce che l’insegnamento proceda molto per via di esempi, di esperimenti e osservazioni dirette oculatamente scelti. La scelta di questi ausili deve essere particolarmente curata; dovrà essere cioè calibrata tenendo conto di tre fattori: 1. La situazione concreta di fronte a cui il docente si trova in classe o in Laboratorio; 2. Il tempo disponibile per gli argomenti scelti; 3. La sua personale formazione scientifica. Quest’ultima è importante perché i momenti di maggior valenza formativa del lavoro di chi insegna sono quelli in cui presenta argomenti che ha profondamente capito e fatto propri, e che ritiene particolarmente interessanti; in questi casi egli può davvero essere chiaro ed efficace, anche restando al livello di sviluppo cognitivo dei suoi allievi.
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Per la scuola primaria22, partendo dalla classe prima i bambini dovrebbero osservare e identificare oggetti, giungendo da una descrizione grafica ad una verbale, risultato questo di un’organizzazione mentale di particolari significativi dell’immagine. Lo scopo è esplorare e decomporre nei loro elementi situazioni molto semplici e familiari, partendo sempre dal vissuto del fanciullo per valorizzare la sua curiosità iniziale. Nella classe seconda si osservano oggetti e fenomeni, e si raccolgono dati, arrivando a confronti e paragoni, avventurandosi in semplici esempi di classificazione; in terza, poi, si potrà insistere sul racconto/resoconto di piccoli studi che rispondano a un quesito o risolvano un problema, possibilmente sollevato dagli allievi stessi. Nelle classi quarta e quinta gli allievi dovrebbero divenire consapevoli della distinzione tra fatti, la loro interpretazione in termini di regole e leggi (teoria), congetture, ipotesi senza solide radici nei fatti; parallelamente dovrebbero comprendere i meccanismi di fenomeni semplici e sviluppare qualche aspetto storico connesso, sia pur tenendo conto della gradualità con cui i concetti di passato e futuro emergono nella mente del bambino. È essenziale curarsi di costruire una traccia pubblica del cammino che si percorre (cartelloni di gruppi e di classe, registrazioni di discussioni, sintesi di relazioni), per poter recuperare collettivamente i suoi momenti salienti, le decisioni prese, i problemi rimasti aperti, le scoperte fatte e le conclusioni via via raggiunte. Tale attività innesca un processo di metariflessione su cosa è un percorso di costruzione di conoscenza, indirizzata non tanto ad un' acquisizione di consapevolezza sui comportamenti personali quanto ad un' acquisizione di consapevolezza su caratteristiche generali della costruzione di conoscenza, ed in particolare di “conoscenza scientifica”. Questo processo di metariflessione attivato fin dalla scuola primaria e proseguito per tutta la 22
“Raccomandazioni” per l’attuazione delle Indicazioni Nazionali per i Piani di studio personalizzati nella Scuola Primaria.
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durata degli studi, porterà l’alunno a costruirsi dei veri e propri fondamenti di tipo epistemologico progressivamente più complessi fino al termine della scuola secondaria.
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II CAPITOLO LA LUCE E LA PERCEZIONE VISIVA
2.1 LA LUCE. Che cos’è la luce? La luce è parte integrante delle condizioni ambientali a cui siamo abituati, è la condizione che si stabilisce in presenza di una sorgente luminosa e che tende a riempire tutto lo spazio disponibile. Per il senso comune, la luce è una proprietà degli oggetti: del fuoco, della lampadina, ecc.; questi fanno luce, ma questa luce sembra diversa da quella naturale. Dal punto di vista della fisica spesso si parla di "luce" come sinonimo di "radiazione", senza effettuare la distinzione tra sensazione cerebrale interiore al nostro cervello e la radiazione fisica esterna. Ciò è dovuto al postulato della fisica classica che ha preteso in modo riduttivo di separare le qualità (e quindi le sensazioni) dalle quantità strumentalmente misurabili. La luce è un fenomeno fisico di natura energetica. Secondo Huygens la luce è 1 essa è in grado di trasmettersi rapidamente a grandi distanze, senza essere accompagnata dal trasferimento di materia. Infatti un oggetto che emette luce, non diminuisce la sua massa, e un oggetto che viene illuminato non aumenta di massa. La propagazione avviene sotto forma di radiazioni e la teoria ondulatoria della luce, interpreta queste radiazioni come “onde elettromagnetiche”, un’alternarsi ciclico di campi elettrici e magnetici concatenati, generati da rapidissime oscillazioni di cariche elettriche, variabili in intensità.
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Marcella Ciuffi, Tanti Perché Loffredo, Napoli
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Le radiazioni elettromagnetiche trasportano nello spazio e nel tempo l'energia prodotta da una sorgente luminosa. L'energia trasportata dai campi elettromagnetici assomiglia al sistema di onde del mare; la differenza è che il mare produce onde di materia (tridimensionali nello spazio) anzichè di pura energia. Quando il campo elettromagnetico interagisce con la materia l’onda cede l’energia ad essa sotto forma di , cioè di pacchetti di energia, che contengono una quantità definita di energia. Se si tratta del campo elettromagnetico della "luce visibile", tali quanti di energia sono detti "fotoni di luce visibile". Essi si comportano come particelle e la loro energia dipende dalla frequenza delle radiazioni: maggiore è la frequenza di una radiazione, maggiore sarà l'energia di un singolo fotone. (Definiamo frequenza, il numero di cicli completi di oscillazione che avvengono in ogni secondo. Si esprime in hertz (Hz); 1 hertz equivale a 1 ciclo al secondo). Il periodo è l’inverso della frequenza e rappresenta il tempo necessario per effettuare un’oscillazione completa.
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Tutti noi siamo perennemente immersi nelle radiazioni elettromagnetiche che hanno un andamento simile a quello mostrato in figura e dovute ai raggi solari, raggi cosmici, emissioni radioattive, telecomunicazioni, ecc. Queste onde sono caratterizzate dal periodo e dalla lunghezza d'onda, misurata per esempio, in nanometri. Un nanometro (nm) equivale a un miliardesimo di metro. (Definiamo lunghezza d’onda, la distanza percorsa dall’onda durante un periodo). La luce è, quindi,composta da onde elettromagnetiche. Al variare della lunghezza d'onda varia il colore percepito. Dai nostri occhi le onde visibili sono quelle comprese tra i 380 e i 780 nanometri, cioè tra il violetto e il rosso, passando per azzurro, verde, giallo verde (intorno ai 550 nanometri, dove la sensibilità dell'occhio umano è massima), giallo e arancio. Al di sotto dei 380 nm si ha la luce ultravioletta e al di sopra dei 780 nm quella infrarossa. Una luce è detta monocromatica quando la sua composizione è data esclusivamente da onde elettromagnetiche di uguale lunghezza d'onda. Normalmente, invece, la luce che percepiamo comprende varie lunghezze d'onda e, in particolare, quella del sole comprende tutta la gamma di lunghezze d'onda visibili. In questo senso la luce del sole è bianca. Un oggetto, che non emette luce propria, appare di un certo colore perchè diffonde quelle determinate radiazioni luminose assorbendo le altre. Risulta ovvio che tali radiazioni devono essere presenti per essere diffuse e quindi per una buona illuminazione devono essere presenti, nella sorgente luminosa, tutte le lunghezze d'onda visibili. Nel valutare l'emissione di sorgenti luminose viene presa in considerazione anche la cosiddetta “temperatura di colore”, misurata in gradi kelvin (K). Bassi valori della temperatura di colore corrispondono a tonalità calde e viceversa alti valori corrispondono a tonalità fredde.
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2.2 TEORIE SULLA LUCE. Nel corso del tempo, sono state formulate diverse teorie per spiegare la natura della luce. Nel 1704 Isaac Newton pubblicò un libro intitolato in cui per la prima volta veniva proposta una teoria della luce fondata su solide basi sperimentali. Secondo Newton, i raggi luminosi consistevano in minuscole particelle o che viaggiavano in linea retta. Secondo tale teoria i corpuscoli, partendo dalla sorgente e movendosi in linea retta, rimbalzerebbero su alcuni corpi (i cosiddetti corpi opachi) e ne attraverserebbero altri (i cosiddetti corpi trasparenti). Infine, penetrando nell’occhio, vi stimolerebbero la sensazione visiva. Secondo la teoria di Isaac Newton, questi corpuscoli subiscono il fenomeno della riflessione e della rifrazione. Infatti, quando un corpuscolo di luce urta contro un ostacolo, si comporta come una pallina,
seguendo
le
leggi
della
riflessione(fig. 1). Passando, invece, da un mezzo ad un altro, per esempio dall’aria all’acqua, i corpuscoli
vengono
contemporaneamente
frenati deviati,
e
quindi Fig.1
danno luogo al fenomeno della rifrazione. La teoria di Newton, però non riesce a dare una giustificazione del fenomeno di diffrazione, caratteristica generale dei fenomeni ondulatori che si manifesta ogni volta
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che una porzione di fronte d’onda, sia esso di suono, di onde di materia o di luce, investe un ostacolo, sia opaco che trasparente (ad esempio si manifesta quando un fascio luminoso illumina il bordo di un ostacolo, attraversa un foro, oppure più fenditure praticate su uno schermo, illumina un piccolo oggetto come un capello…). Il fronte d’onda non viene alterato (in fase o in ampiezza) e la propagazione non è più rettilinea. Al di là dell’ostacolo i fronti d’onda interferiscono e si produce una distribuzione di intensità. Ciò non spiega la presenza di zone scure sullo schermo. Infatti, secondo questa teoria, queste zone scure dovrebbero corrispondere a zone in cui non arrivano i corpuscoli, e in effetti, non è logico pensare che i corpuscoli luminosi arrivino soltanto in certe zone e non in altre. Il fenomeno della diffrazione può essere spiegato secondo la teoria del fisico scozzese Maxwell, il quale afferma che la luce non è costituita di materia, ma è generata dalla rapidissima vibrazione delle particelle cariche che si trovano nella materia come per esempio gli elettroni. La luce, cioè, sarebbe costituita da onde che si propagano in ogni direzione (fig 2). Fig.2
Come le onde acustiche, anche le onde luminose hanno una loro lunghezza d’onda e quindi una loro frequenza e una loro energia; precisamente hanno un’energia tanto più grande quanto maggiore è la loro frequenza e quindi, quanto più piccola è la loro lunghezza d’onda. La relazione tra frequenza, f, e lunghezza d’onda, λ, di un’onda è λ= v/f, dove v è la velocità di propagazione dell’onda.
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I vari colori dell’iride corrispondono perciò ai raggi di varie lunghezze d’onda, così come i suoni acuti e gravi corrispondono alle onde sonore di varie lunghezze d’onda. La teoria di Maxwell spiega il fenomeno della diffrazione: ogni zona buia, infatti, corrisponde alla zona in cui si sovrappone la cresta di un’onda con la valle di un’altra onda (Interferenza Distruttiva). In realtà, prima ancora di Maxwell, il fisico danese Huygens, aveva affermato che la luce si propaga per mezzo di onde come il suono; perciò già si parlava di teoria ondulatoria di Huygens . In effetti, mentre la teoria corpuscolare permetteva di spiegare solo alcuni fenomeni ottici, quali la riflessione e la rifrazione, la teoria ondulatoria consentì di spiegare tutti i fenomeni ottici. Tuttavia, essa poneva un delicato problema: attraverso quale sostanza si propagano le onde luminose? Per risolvere questa difficoltà, si suppose che anche lo spazio fosse riempito da una sostanza tenuissima, che venne chiamata . Dovette passare ancora molto tempo prima che ci si rendesse conto che l’etere cosmico non esisteva e che la natura delle onde luminose era talmente diversa da quella delle onde sonore, da consentire loro di propagarsi attraverso il vuoto. La svolta decisiva si ebbe nel 1905 quando Albert Einstein dimostrò che la luce consiste, è vero di onde, ma che queste si comportano in certi casi come corpuscoli. Secondo Albert Einstein, la luce è costituita da fotoni che manifestano la loro natura corpuscolare nella riflessione e rifrazione; mentre in altri fenomeni luminosi, come l’interferenza, manifestano la loro natura di onde.
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2.3 I FENOMENI LUMINOSI. Quando un’onda passa da un mezzo a un altro, la direzione di propagazione subisce una variazione; questo fenomeno è detto di rifrazione. Ad esempio, quando un raggio di luce passa dall’aria all’acqua. Se immergiamo un’asticina diritta in un bicchiere vuoto, la vedremo sicuramente diritta. Se, invece, immergiamo l’asticina nell’acqua, essa ci appare spezzata. Questo esperimento è dato dal fatto che, i raggi luminosi vengono deviati esattamente nel punto di contatto fra l’aria e l’acqua, cambiando quindi la direzione. Ma occorre una conferma sperimentale a questa esperienza. Versiamo qualche goccia di latte in una vaschetta con l’acqua, facciamo un foro in un cartoncino nero e lo poniamo di fronte ad una sorgente di luce, ad esempio una torcia elettrica; otterremo così un fascetto di luce intensa che sarà inviata alla Fig.3
superficie dell’acqua (fig.3). Questa esperienza spiega perché l’asticina immersa parzialmente nell’acqua appare spezzata; in realtà è la luce che, nel passare dall’aria all’acqua, subisce una deviazione. Se si varia l’angolo di entrata del fascio di luce in acqua, vedremo che varia anche l’angolo con cui la luce passa nell’acqua. Lo stesso fenomeno, che rappresenta la rifrazione, si verifica anche per l’aria e per l’acqua. La luce subisce una deviazione quando tocca la superficie di separazione di due mezzi diversi. Solo quando il raggio luminoso incide perpendicolarmente alla superficie si separazione non subisce alcuna deviazione.
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Oltre questa posizione, non possiamo inclinare il raggio incidente, dunque questa è la posizione limite oltre la quale non possiamo più avere il raggio rifratto (fig. 4). Dal momento che il percorso della luce è invertibile, si potrà anche provare a
Fig.4
fare passare il fascio di luce dell’acqua all’aria, trovando l’inclinazione adatta affinché nell’aria esca un raggio radente alla superficie di separazione; ma se proviamo poi a dirigere la luce secondo una direzione compresa fra la direzione limite e la superficie dell’acqua,
si
noterà
un
nuovo
fenomeno: il fascio di luce non viene più rifratto, ma subisce una riflessione e resta quindi all’interno dell’acqua. Questo fenomeno è detto di riflessione totale (fig. 5). Ogni volta che un’onda incide sulla Fig.5
superficie di separazione tra due mezzi, si separa in due componenti distinte: una prosegue nel secondo mezzo, subendo la rifrazione, l’altra viene riflessa all’interno del primo mezzo. Nel caso della luce che colpisce il vetro di una finestra, la luce riflessa è debole rispetto a quella rifratta. Se invece, la luce colpisce un materiale opaco, è più intensa la luce riflessa rispetto a quella che riesce a penetrare nel mezzo prima di essere completamente assorbita. Avremo così il fenomeno della riflessione.
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Parliamo di luce polarizzata, quando le oscillazioni di un’onda trasversale hanno luogo, ad esempio, nello stesso piano. Un’onda è trasversale quando la direzione di oscillazione è perpendicolare a quella di propagazione. La luce è un’onda trasversale. Un’onda è longitudinale quando la direzione di oscillazione è parallela a quella di propagazione. Il suono è un’onda longitudinale. Più comunemente le onde trasversali oscillano in tutte le direzioni, in questo caso, esse possono essere studiate come la combinazione di oscillazioni orizzontali e verticali o di una qualunque altra coppia di direzioni perpendicolari. Generalmente, la polarizzazione della luce si ottiene mediante filtri polarizzatori, che disposti in parallelo, favoriscono il passaggio della luce di una lampada anche se un po’ attenuata (fig. 6).
Fig.6
Se invece i filtri sono disposti in modo perpendicolare l’uno rispetto all’altro, le onde non riescono a passare e si ottiene l’estinzione completa della luce (fig. 7). Oltre che per assorbimento, la polarizzazione della luce può avvenire anche per riflessione. Quando un’onda luminosa si riflette su una superficie, l’onda riflessa risulta parzialmente o totalmente
Fig.7
polarizzata, a seconda dell’angolo di incidenza, in direzione parallela alla superficie di riflessione. Per esempio, quando si osserva la superficie del mare, la luce che ci 52
proviene da essa è costituita in gran parte da onde polarizzate, che vibrano in orizzontale3.
3
P.Stroppa, F.Randazzo,V.Neroni Mercati, Moduli e Metodi Di Fisica 2 Arnoldo Mondatori Scuola
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2.4 LE SORGENTI OTTICHE. Sono definite < sorgenti ottiche>, tutti i corpi capaci di emettere radiazioni ottiche, ossia quelle radiazioni che, colpendo il nostro l’occhio, ci procurano quella speciale sensazione che chiamiamo “luce”.4 In una stanza buia, il nostro occhio non riesce a vedere alcuno oggetto; esso non è stimolato da alcuna sensazione luminosa. Accendendo una lampadina e guardandola, il nostro occhio avverte uno stimolo luminoso. È questo stimolo che ci fa dire che la lampada è una sorgente ottica. Ma, quando la stanza è illuminata, riceviamo lo stesso stimolo guardando un oggetto qualsiasi della stanza. In condizione di illuminazione, dunque, tutti gli oggetti della stanza sono sorgenti ottiche. La differenza tra la lampadina e gli altri oggetti consiste nel fatto che la prima emette energia a causa della trasformazione di energia elettrica, in energia luminosa, mentre gli altri oggetti della stanza emettono energia sotto forma di radiazioni ottiche a spese dell’energia elettromagnetica che hanno ricevuto dalla lampadina. Tali oggetti irradiano parte dell’energia ricevuta, cioè la diffondono in tutte le direzioni. Ma da dove viene la luce? Nella maggioranza dei casi essa proviene “dall’eccitazione” degli elettroni atomici. Ad esempio, nella lampada la corrente passa attraverso un filamento di tungsteno. Tale passaggio di corrente porta il filamento a una temperatura di qualche migliaio di gradi. A tale temperatura gli elettroni subiscono elevatissime variazioni di energia; ritornando allo stato normale essi possono restituire l’energia accumulata sottoforma di radiazioni ottiche. Così la più importante sorgente di luce, il sole, sfrutta l’energia proveniente dalle trasformazioni nucleari che avvengono al suo interno. La luce dei lampi è frutto dello 4
Paolo Alberico, Fisica di Base Minerva Italica
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sfregamento delle molecole d’aria con le cariche elettriche che si muovono ad elevatissime velocità tra le nubi o tra queste e la terra. In genere, ogni corpo, se è portato ad una temperatura sufficientemente elevata, emette luce. La luce emessa diventa sempre più chiara man mano che la temperatura aumenta; intorno ai 600° C la luce emessa è di colore rosso scuro; intorno ai 1200° C è di colore arancione vivo; intorno ai 6000° C è di colore giallo biancastro. Il nostro sole ha, appunto, una temperatura media superficiale che si aggira intorno ai 6000°C.
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2.5 LA PERCEZIONE VISIVA. Condizione necessaria del vedere è che negli occhi entri luce proveniente dall' oggetto che si vuole vedere. Questa concezione è fondata su alcune schematizzazioni tutt’altro che intuitive: i concetti di sorgente primaria e sorgente secondaria; la considerazione dell’occhio come recettore passivo; lo schema sorgente-oggetto-occhio che vede la luce come ente mediatore fra i tre elementi. Per costruire una spiegazione della corrispondenza quotidianamente sperimentata fra gli oggetti che riempiono lo spazio fisico in cui siamo immersi e le immagini visive che ne abbiamo, è necessario individuare le regole che mettono in relazione le caratteristiche fisiche e geometriche della luce corrispondenti ai diversi aspetti psichici delle immagini visive degli oggetti (forme, dimensioni, colori, collocazione spaziale …) con le caratteristiche del sistema percettivo (occhio, sistema nervoso) che consentono di distinguere e correlare tali aspetti. Alla fisica spetta il compito di indagare le caratteristiche della luce e di descriverne/spiegarne il processo di propagazione all’interno dell’occhio. Il resto è di pertinenza della biologia, della neuroscienze e della psicologia della percezione. Si immagina qualsiasi oggetto come fatto di infiniti punti (sorgenti puntiformi), ciascuno dei quali emette nello spazio circostante fascetti divergenti di luce fra loro contigui. Analogamente si immagina la retina come formata da infiniti punti-recettori. Da ogni punto-sorgente può entrare nell’occhio un fascetto di luce delimitato dalla pupilla. Grazie alla struttura interna dell’occhio (in particolare al cristallino), ogni fascetto viene fatto convergere su uno specifico punto della retina. Questo modello permette, attraverso un’operazione non intuitiva di discretizzazione del continuo, di stabilire una corrispondenza ideale punto a punto fra lo spazio visivo e la struttura dei recettori. La geometria complessiva dei fascetti e le caratteristiche fisiche della luce di cui sono
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formati costituiscono il supporto fisico di ogni immagine visiva. L’apparato visivo umano riceve, seleziona e struttura le radiazioni provenienti dall’esterno e le trasforma in segnali nervosi da inviare al cervello, dove vengono codificati attraverso la catena di reazioni fisico – chimiche che presiede al fenomeno della percezione visiva (fig.1). L’occhio umano è un sistema ottico naturale, un dispositivo di grande complessità. esso
utilizza
Infatti, un
sofisticato sistema di lenti convergenti, allo scopo di eseguire una
Fig.1
corretta focalizzazione delle immagini. Se l’occhio fosse un forellino raccoglierebbe una quantità di luce insufficiente per garantire una visione distinta. D’altra parte, una maggiore apertura del foro determinerebbe immagini sempre sfuocate. L’occhio umano è costituito da un bulbo avente diametro di circa 2 cm; esso è provvisto di un sistema di lenti convergenti, composte dalla cornea e dal cristallino, che ha il compito di focalizzare sulla retina le immagini degli oggetti osservati. I raggi di luce, dopo aver attraversato la cornea e la pupilla, incontrano la lente convergente “il cristallino” che li concentra in fondo al bulbo oculare della retina. Le sensazioni della retina vengono trasmesse al cervello tramite il nervo ottico. Quando c’è molta luce, l’iride restringe la pupilla, attraverso cui i raggi luminosi penetrano nell’occhio; l’opposto accade al buio. In condizioni normali, la distanza focale di questo sistema è uguale a circa 1,7 cm ed è in grado di mettere a fuoco sulla retina oggetti posti alla distanza di circa 25 cm. La distanza tra il cristallino e la retina è fissa, pari a 1,8 cm; pertanto la focalizzazione di
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oggetti che si trovano a distanze più vicine o più lontane dall’occhio può ottenersi, seconda la relazione dei punti coniugati, solo modificando il valore della distanza focale. Di questa operazione si occupano i muscoli ciliari, che cambiano la forma del cristallino, variandone appunto la distanza focale. L’occhio contiene due tipi di fotorecettori: i coni e i bastoncelli. I coni operano in condizioni di piena luce e permettono il riconoscimento del colore e dei dettagli delle immagini. I coni sono di tre tipi, ciascuno contenente uno specifico fotopigmento. I bastoncelli sono responsabili della visione crepuscolare e notturna che non permette il riconoscimento dei colori e dei dettagli delle immagini. Essi, quindi, giocano un ruolo dominante quando le condizioni d’illuminazione sono scarse e consentono la visione di luce debole, detta “visione scotopica”. La presenza dei tre diversi tipi di coni nella retina, scoperta solo recentemente, aggiunge valore alla teoria dei colori elaborata quasi duecento anni fa. Secondo tale teoria la visione umana dei colori può essere interpretata come un fenomeno tricromatico; pertanto la vasta gamma dei colori può essere ottenuta dalle diverse combinazioni dei tre colori primari (rosso, blu, verde). Nella percezione visiva sensibilità e risoluzione temporale si compensano; le piccole e veloci risposte dei coni permettono al sistema visivo di rilevare improvvisi cambiamenti di intensità o movimenti rapidi di oggetti quando il livello d’illuminazione è elevato e i bastoncelli sono saturati; d’altra parte i segnali più lenti e più intensi di questi ultimi sono più adatti per rilevare i “pochi” fotoni disponibili quando il livello d’illuminazione è basso.Ci sono situazioni in cui gli oggetti ci appaiono con forme, dimensioni, posizioni diverse da quelle che hanno in realtà. Coerentemente con il modello base della visione, l’alterazione delle caratteristiche geometriche delle immagini visive di questi
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oggetti deve essere dovuta ad un’alterazione della geometria dell’insieme dei fascetti luminosi che partono dai diversi punti di ciascun oggetto e arrivano agli occhi dell’osservatore. Spiegare quello che si vede guardando verso uno specchio o una distesa d’acqua oppure attraverso una lente di ingrandimento e così via implica di conseguenza sia lo studio di cosa avviene alla luce quando nella sua propagazione incontra un nuovo mezzo materiale (riflessione/diffusione e rifrazione), sia la ricostruzione di cosa vede l’occhio, attraverso lo studio delle deformazioni dei conetti elementari. Si tratta di saper gestire e porre in relazione, utilizzando il modello di raggio, descrizioni discretizzate della continuità degli “spazi visivi” e degli “spazi di luce”.
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2.6 GLI OGGETTI ILLUMINATI. Gli oggetti si comportano in modo diverso quando un fascio di luce incide su di essi. Una certa categoria di sostanze è trasparente, nel senso che la luce si propaga attraverso di essi praticamente inalterata. Tra questi, possiamo citare l’aria, il vetro e l’acqua; anche se per gli ultimi due, bisognerebbe fare riferimento al fenomeno della riflessione e della rifrazione che avvengono alla superficie di separazione che in genere è con l’aria. Per l’acqua può divenire importante, se lo spessore è grande, l’assorbimento della luce; infatti la luce del sole non raggiunge la profondità dei mari. Alcune sostanze sono trasparenti solo per uno o alcuni colori, mentre assorbono gli altri. Si tratta di sostanze che “filtrano” la luce e sono molto comode per fare esperimenti, in quanto permettono di selezionare un particolare colore emesso dalla sorgente. Altre sostanze sono in grado di riflettere, più o meno bene, tutta la radiazione luminosa che li colpisce. A questa categoria appartengono in genere i metalli, l’alluminio e l’argento che sono particolarmente adatti per fare da specchi. Queste due categorie di sostanze, non hanno un colore proprio o perché sono trasparenti alla luce, o perché riflettono la radiazione di qualunque colore. Certi metalli hanno un proprio colore, come il rame e l’oro, perché riflettono meglio alcuni colori rispetto ad altri. Cosa succede quando la luce, proveniente dal sole o da un’altra sorgente luminosa, colpisce i corpi? Perché vediamo gli oggetti che ci circondano? Al secondo quesito verrà spontaneo rispondere < Vedo perché ho gli occhi>. È giusto, ma non vedremmo nulla in una stanza buia, anche tenendo gli occhi ben spalancati. Per vedere gli oggetti è necessario che essi emettano luce (propria o riflessa) e questa, a sua volta, passando
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attraverso la pupilla colpisca la retina che si trova sul fondo dell’occhio. Il fascio di luce che colpisce il corpo, cioè il fascio di luce incidente, viene in parte riflesso, in parte trasmesso al di là del corpo, in parte resta nel corpo stesso perché viene assorbito da esso e perciò non si vede. In base a queste conoscenze si può capire quando si parla di , di e di . •
Uno specchio perfetto, è un corpo che non assorbe né trasmette luce, ma la riflette completamente.
•
Un corpo trasparente è un corpo che trasmette tutta la luce, quindi non l’assorbe né la riflette.
•
Un corpo nero è un corpo che non trasmette né riflette luce, ma l’assorbe completamente.
In effetti, però, queste sono definizioni un po’ teoriche, perché nella maggior parte dei casi un corpo non è mai perfettamente assorbente (cioè nero), né del tutto trasparente. Infatti, a parte lo specchio dove comunemente ci osserviamo, se consideriamo ad esempio una superficie speculare di una lamina metallica, essa riflette un’ immagine poco nitida di un oggetto posto davanti ad essa. L’oggetto è poco nitido proprio perché la lamina metallica non è uno specchio perfetto in quanto pur riflettendo una buona parte della luce, ne assorbe una parte. Allo stesso modo un corpo che a prima vista definiremo trasparente, come il vetro di una finestra, in realtà riflette una parte di luce; tant’è vero che dentro possiamo vedere l’immagine riflessa delle case. Infine, per ottenere un corpo perfettamente nero si può ricoprire la superficie con il nerofumo di una candela, oppure fare un foro in una scatola che abbia le pareti interne nere. In questo caso la luce verrà completamente assorbita.
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2.7 I COLORI. Se si chiedesse cosa è il colore, o meglio perché noi vediamo gli oggetti di un determinato colore, le risposte sarebbero per lo più date in termini di scienza del senso comune, cioè date in termini di esperienze avute. Si dà per scontato che, una volta stabilito che la luce non è altro che quella parte dello spettro di onde elettromagnetiche visibile all’occhio umano e che la radiazione elettromagnetica interagisce con la materia in determinati modi dando luogo a fenomeni di diffusione, riflessione e assorbimento, tutta la problematica relativa ai colori risulta chiara ed evidente. Al più si aggiunge che, nella scuola primaria e in quella media inferiore, il colore viene trattato in educazione artistica dove si comincia a parlare di mescolamento di colori, di sintesi additiva e sottrattiva in un contesto molto suggestivo ma non propriamente scientifico. Per rafforzare lo schema scientificamente corretto del concetto di colore, è necessario procedere anche attraverso esperimenti che risultano in accordo con questo, mentre contraddicono i modelli introdotti dal senso comune. La necessità di passare attraverso una fase sperimentale è evidente specialmente quando l’esperienza quotidiana sembra contraddire il modello scientifico mal interpretato, come capita spesso parlando di fenomeni legati alla luce e ai colori. Basta pensare quanto sia difficile convincere gli studenti che la luce non si vede finchè non raggiunge il nostro occhio. Un modello accettabile per interpretare il colore, è stato sviluppato poco più di cento anni fa, non va confuso con la tecnica pittorica che permette di ottenere qualunque colore mescolando opportunamente alcuni colori base. La teoria scientifica corretta spiega nell’ambito del modello questo fatto.
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Per comprendere il concetto di , bisogna partire dal presupposto che si tratta di un fenomeno complesso nel quale sono coinvolti tre elementi fondamentali: a. La sorgente di luce che determina le caratteristiche della radiazione elettromagnetica che illumina gli oggetti. b. Le caratteristiche dell’oggetto illuminato relative alla diffusione, alla riflessione, all’assorbimento e alla riemissione della luce incidente (radiazione che illumina l’oggetto). c. Le caratteristiche del “sensore” occhio e del processo di visione che determinano la sensazione finale del colore da noi percepito. Per studiare oggettivamente la luce emessa da una sorgente, bisogna servirsi di un mezzo dispersore, ad esempio un prisma di vetro. Se con un’opportuna fenditura selezioniamo un sottile fascio di luce proveniente da una lampada ad incandescenza e lo facciamo passare attraverso il prisma, possiamo osservare il risultato su uno schermo bianco. Il risultato è noto a tutti, si osserva l’arcobaleno o più correttamente lo spettro della luce della sorgente. Scientificamente si dirà che la proprietà del prisma di vetro di deflettere ad angoli diversi le varie lunghezze d’onda della luce emessa dalla sorgente, ha permesso di scomporre questa nelle sue componenti. Quando osserviamo lo spettro della luce ottenuto con il prisma utilizzando come sensore il nostro occhio, il processo di visione ci fa percepire dei colori che, in questo caso, sono associati a ben determinate lunghezze d’onda. Il problema dei colori è dovuto al fatto che il nostro occhio (il processo di visione) non è in grado di separare le varie componenti delle luce (non distingue le varie lunghezze d’onda o frequenze) provenienti dallo stesso punto o da punti tanto vicini che non risultano spazialmente separati. Questo è legato a come funzionano i recettori di colore nell’occhio e alla funzione di visione nel suo complesso.
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È interessante notare che, tra i colori ottenuti dal prisma, non c’è il bianco che però possiamo facilmente ottenere facendo riconvergere in un punto tutti i colori con l’uso di una lente. Questo fatto fa comprendere due aspetti: in primo luogo il bianco è una sensazione dell’occhio, il bianco poi non è un colore puro. Quando viene raggiunto contemporaneamente da tutti i colori (quelli che il prisma scompone) l’occhio percepisce la sensazione di bianco. Non è strettamente necessario che tutti i colori siano realmente sovrapposti, basta che siano abbastanza vicini che la risoluzione angolare dell’occhio non riesca a distinguerli spazialmente. Nello spettro ottenuto con il prisma, manca il nero che rappresenta assenza di colore e quindi, assenza di luce, esso non può essere ottenuto con una combinazione di altri colori ma solo togliendo ogni colore. Si può affermare, pertanto, che la radiazione emessa da una sorgente deve comprendere almeno un colore puro, in questo caso si dirà che è monocromatica. Alcune sorgenti di luce, come ad esempio le comuni lampade fluorescenti emettono più di un colore e lo spettro analizzato con il prisma mostra una serie di righe di vari colori ben separati e di diversa intensità. Ai nostri occhi la luce appare bianca ma fredda, in quanto manca dei vari toni che danno il colore alla luce, invece le lampade ad incandescenza così come il sole, emettono una luce che studiata con il prisma, mostra tutti i colori con un passaggio continuo dall’uno all’altro attraverso le tonalità (qui, con tutti i colori, intendo quelli percepiti dai nostri occhi e ai quali sono associabili ben determinate lunghezze d’onda). Questa luce appare ai nostri occhi bianca e calda.
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2.8 IL COLORE DEI CORPI. I colori non “appartengono” né alla luce, né agli oggetti, sono un fenomeno puramente percettivo legato all’interpretazione che la mente dà della composizione spettrale dei conetti di luce che entrano nei nostri occhi, a sua volta determinata sia dalla sorgente primaria da cui proviene la luce, sia dai mezzi materiali che attraversa e dalle superfici da cui viene riflessa o diffusa. La luce emessa da ogni sorgente primaria è infatti formata da una sovrapposizione di componenti tipiche della sorgente stessa (spettro della sorgente). Nel corso della propagazione ogni componente viene assorbita, riflessa, diffusa in una percentuale diversa, determinata dalla natura dei mezzi materiali e delle superfici incontrate. Anche la deviazione per rifrazione è diversa per componenti diverse. Tutto ciò che ci circonda (oggetti, materiali, piante, animali), illuminato dalla luce solare, ci appare dei più svariati colori. Ciò dipende dal fatto che un materiale può assorbire una parte della radiazione solare; la radiazione che raggiunge l’occhio contiene solo le radiazioni solari che non sono state assorbite e ciò stimola in noi la sensazione di colore. Se l’oggetto illuminato per esempio assorbe prevalentemente le radiazioni della regione blu-verde, verranno trasmesse al nostro occhio prevalentemente le radiazioni della regione rossa e quindi noi percepiamo quell’oggetto come rosso. L’oggetto ci appare pertanto del colore complementare rispetto a quello che è stato assorbito. Alcuni oggetti, invece, appaiono colorati anche se non sono costituiti da materiali capaci di assorbire le radiazioni solari. Il colore può allora essere dovuto all’interferenza tra le radiazioni solari. Questo fenomeno è responsabile del colore delle bolle di sapone, delle conchiglie delle ostriche, delle ali di certe farfalle e delle piume del pavone. Il
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fenomeno dell'interferenza si manifesta, per esempio, in presenza di un film sottile di materiale trasparente (come in un caso di un sottile strato di olio sulla superficie dell'acqua). Le radiazioni visibili vengono riflesse dalle superfici inferiore e superiore del film e possono essere in “fase” cioè sommarsi o non essere in fase e pertanto annullarsi. Quale delle due possibilità si verifichi dipende dallo spessore del film. In ogni caso le radiazioni che non sono in fase si annullano e pertanto il colore corrispondente non sarà presente tra le radiazioni riflesse che appariranno così del colore complementare. Tuttavia le radiazioni non in fase durante la riflessione non vengono perse, ma riappaiono come componenti della luce trasmessa. La luce trasmessa e riflessa dal film risulta pertanto di colori complementari. I “colori degli oggetti” sono quindi determinati dalle componenti presenti nella luce che arriva all’occhio e dalla loro intensità relativa. Per comodità si usa riferirsi alle diverse componenti della radiazione luminosa parlando di “colori della luce” e intendendo per radiazione di un dato colore quella componente che, percepita isolatamente, provoca la sensazione del colore corrispondente. I singoli “colori della luce” sono molti di meno dei “colori degli oggetti” e corrispondono essenzialmente alle sfumature tra il rosso ed il violetto che è possibile percepire nell’arcobaleno, fenomeno di dispersione che produce la separazione spaziale delle componenti della luce emessa dal sole (spettro solare). Si dà invece il nome di “luce bianca” alla luce che si ottiene dalla sovrapposizione di componenti di tutti i colori con una distribuzione delle intensità relative uguale o prossima a quella della luce solare. La comprensione degli aspetti fisici del fenomeno del colore richiede l’uso di una logica di tipo operatoriale per l’analisi dell’interazione
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luce-materia e di operazioni di scomposizione e ricomposizione per l’analisi delle caratteristiche della luce e delle operazioni percettive di sintesi additiva e sottrattiva. Un corpo illuminato, non emette luce propria, ma si limita a diffondere quella che riceve da una sorgente luminosa. In generale, però, il corpo non diffonde tutta la luce ricevuta, in quanto ne assorbe una parte.5 Da quanto detto si ricava immediatamente che la percezione di colore è soggettiva finchè si utilizza solo l’occhio come sensore. Cosa avviene quando la luce colorata giunge sai nostri occhi? Il cono che consente di vedere in bianco e nero è costituito di una sostanza sensibile colorata che, nel momento in cui giunge il raggio di luce, subisce una trasformazione chimica, in seguito alla quale perde per breve tempo il proprio colore. La cellula, che è stata così decolorata, invia la cervello un messaggio, sotto forma di una debolissima corrente elettrica. Subito dopo, essa riacquista il suo primitivo colore ed è pronta a ricevere un nuovo raggio di luce. I coni per funzionare hanno bisogno di una luce abbastanza intensa, se questa è troppo fioca, la visione è assicurata dai soli bastoncelli che forniscono immagini in bianco e nero. Questa è la ragione per cui, quando c’è poca luce, riusciamo ancora a distinguere la forma degli oggetti, ma non il loro colore.
5
T. Durante, G. Moreno, E. Totano Aloj, Introduzione alle Scienze Sperimentali Le Monnier
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III CAPITOLO IL LAVORO SPERIMENTALE 3.1 PREMESSA. In questo capitolo viene presentato e decritto il momento della ricerca sperimentale che, in ambito “fisico”, scaturisce dal personale interesse suscitato dalle lezioni di “Laboratorio di Esperienze Didattiche” tenute dal Prof. re Claudio Fazio. La fisica, come sappiamo, è una disciplina che parla di fenomeni della realtà e li descrive e spiega mediante leggi fisiche. Questi fenomeni, sono conosciuti in modo spontaneo anche dai bambini; sta all’insegnante riuscire a fare emergere questa conoscenza spontanea e trasformarla in una conoscenza di tipo “scientifico”. Questa ipotesi di ricerca rappresenta l’elemento fondante del lavoro sperimentale; infatti, attraverso attività, si vuole verificare se l’intervento didattico può modificare i modelli spontanei dei bambini e tramutarli in un tipo di conoscenza che sia precursore della conoscenza scientifica propriamente detta. Obiettivo ultimo della ricerca è, inoltre, quello di dimostrare come un argomento di così difficile approccio “La Luce”, può divenire giocoso e interessante per i bambini riuscendo, in questo modo, a trasferire alle nuove generazioni una cultura di cui la scienza è parte integrante e marginale.
3.2 IPOTESI DI RICERCA. Un’ipotesi di ricerca è un’idea iniziale ammessa come punto di partenza di una dimostrazione e ha lo scopo di spiegare degli eventi che non si conoscono perfettamente. L’elemento che contraddistingue un’ipotesi è la sua falsificabilità infatti, 68
attraverso tentativi sistematici, si tenta di contestarla. Pertanto la ricerca inizia da un’ipotesi generale. Nel caso specifico lo studio parte dalla consapevolezza che i bambini posseggono dei modelli spontanei sul concetto di “Luce”: il fine è quello di verificare se attraverso l’intervento didattico questi modelli subiscono un cambiamento concettuale.1
3.3 CAMPIONE DI RICERCA. La sperimentazione è stata condotta presso il “Circolo Didattico Statale” di Belmonte Mezzagno, nei mesi di Ottobre/Novembre dell’Anno Scolastico 2005/2006. Nell’indagine sono stati coinvolti 92 bambini appartenenti a quattro classi di cui due di seconda primaria e due classi di quarta primaria costituite, entrambe, da 46 bambini. Il mio intervento nelle classi è stato precedentemente definito con le insegnanti sia dell’ambito logico-matematico che di italiano, concordando le modalità di svolgimento di ogni attività (tempi, spazi, disposizione dell’aula). La mia presenza in classe è durata circa 60 minuti per ogni attività e si è preferito lavorare nelle prime ore del mattino per avere maggiore attenzione e concentrazione dei bambini, soprattutto per i più piccoli.
3.4 METODOLOGIA DIDATTCA . La ricerca è stata suddivisa in due fasi. Nella prima fase, si sono realizzate delle attività di laboratorio precedute da un Brainstorming.
1
Nella ricerca psicologica attuale sullo sviluppo cognitivo e l’istruzione si usa l’espressione “cambiamento concettuale”, per indicare il settore che studia i processi attraverso cui le teorie ingenue si modificano e le strategie di insegnamento facilitano tale cambiamento.
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Lo scopo di questa strategia è stato quello di indagare e raccogliere concezioni spontanee circa i tre concetti chiave relativi al tema trattato: LUCE-VISIONECOLORE. Successivamente, sono stati svolti gli esperimenti dove i bambini sono stati coinvolti direttamente e indotti a progettare possibili soluzioni utilizzando nel modo più efficace e produttivo le informazioni a loro disposizione date dall’insegnante. Per ciascun argomento, sono stati previsti l’osservazione diretta dell’esperienza, la riflessione e il confronto attraverso la discussione collettiva. Per quanto concerne la riflessione sull’esperienza laboratoriale è stato seguito il seguente itinerario didattico: ai bambini è stato chiesto di prestare molta attenzione a quanto si stava svolgendo in quanto, successivamente, sarebbero stati invitati a rispondere a delle domande. La seconda fase della ricerca, ha previsto la realizzazione di un questionario contenente, per le classi seconde, 7 domande di cui 3 aperte e 4 a risposta multipla, mentre per le classi quarte 6 domande di cui 4 aperte e due a risposta multipla. Per evitare confusione specialmente nelle seconde, si è preferito leggere volta per volta le domande; i bambini rispondevano individualmente rispettando i tempi per la domanda successiva. Il tutto è avvenuto in circa 20 minuti. Per valutare le risposte è stata condotta un’analisi di tipo quantitativo e qualitativo volto ad individuare, all’interno di ciascuna risposta la presenza/assenza di concetti ritenuti particolarmente significativi in relazione al training sperimentale.
3.5 METODOLOGIA ORGANIZZATIVA. Gli obiettivi, le conoscenze e le abilità trasformate in competenze sono gli elementi che un insegnante si pone nello svolgimento di un lavoro.
70
Nella ricerca sperimentale questi elementi sono stati programmati seguendo una didattica di tipo “modulare”. Si comincia a parlare di modularità in ambito scolastico nel Regolamento sull'autonomia scolastica, organizzativa e didattica (DPR n. 275 dell’8/3/1999, art.4). Il termine è stato introdotto per pianificare il lavoro dell’insegnante, ovvero trasformare la tradizionale programmazione in un progetto aderente alle reali possibilità di una classe. Esso consente finalmente alle scuole di rendere flessibili i percorsi formativi e affida ai docenti il compito della scelta delle metodologie e strategie più adeguate che superino gli attuali vincoli di rigidità dell'orario scolastico e della classe. Per questo motivo il modello dell'insegnamento apprendimento basato essenzialmente sul gruppo classe, le verifiche tradizionali, su orari e lezioni rigide va ripensato secondo una struttura che prevede articolazioni a carattere modulare e flessibile. La modularità è infatti una strategia didattica flessibile, ma nel contempo rigorosa; si può dire che "'l'organizzazione modulare delle didattica è una vera e propria strategia formativa altamente strutturata in cui l'organizzazione del curricolo, delle risorse, del tempo e dello spazio prevede l'impiego flessibile di segmenti di itinerario di insegnamento-apprendimento - i moduli - che hanno struttura, funzioni ed estensioni variabili, ma formalmente ed unitariamente definite. Ciascun modulo viene a costituire una parte significativa, altamente omogenea ed unitaria di un più esteso percorso formativo capace di far perseguire ben precisi obiettivi cognitivi ..... in rapporto alla tipologia degli insegnamenti, delle aree di contenuto, delle attività didattiche, delle esigenze individuali, delle risorse, della qualità ottimale del rapporto docenti-alunni. All'interno di un itinerario di studi programmato modularmente, ciascun modulo può venire così disinserito, se necessario modificato nei contenuti e/o nella durata, sostituito,
71
mutato di posto nella sequenza originariamente progettata, al fine di adattare contemporaneamente la proposta formativa alle necessità dell'allievo e ai traguardi di conoscenza e competenza previsti da un percorso complessivo di istruzione". La Modularità è un sistema di lavoro e in campo scolastico può essere applicata ad ogni singola disciplina, ad un progetto relativo alle attività integrative, alla programmazione dell’insegnante; si parlerà allora di: - Modulo disciplinare - Modulo dell’attività - Piano di lavoro per Moduli La logica della modularità richiede che: •ogni modulo risulti (almeno al livello considerato) in sé concluso, autosufficiente, spendibile perché fornitore di crediti formativi identificabili mediante gli esiti collegati a funzioni esercitabili e misurabili; •in ogni modulo siano attivate operazioni (con complessità in evoluzione) e riflessioni sull'operatività supportate da quadri di riferimento teorici esplicitati; •ogni modulo sia aggregabile in modo da garantire una sequenzialità non solo cronologica, ma logica. Questi elementi favoriranno il conseguimento di finalità quali: A. Il potenziamento dei saperi di base e lo sviluppo di competenze (successo scolastico). B. La facilitazione dell’apprendimento da parte dell’allievo (pianificazione del suo lavoro). Ma cos’è un modulo?
72
E’ un segmento unitario, omogeneo e in sé compiuto di un percorso didattico scandito e articolato in Unità didattiche, cioè in sottosegmenti di percorso, che si completano solo all’interno del modulo cui sono strettamente correlati (come micro-temi rispetto ad un macro-tema). È flessibile, strutturato cioè in modo tale da essere aperto a intersecazioni in percorsi didattici diversi oppure collocabile autonomamente all’interno di uno stesso percorso formativo e può essere disciplinare o pluridisciplinare, interdisciplinare o trasversale. Un modulo deve: A. Evidenziare i nuclei di operatività esercitata; B. Facilitare la definizione degli esiti di un progetto formativo che debba garantire al termine una valutazione oggettiva delle prestazioni raggiunte dal discente; C. Costituire il quadro di riferimento per la pianificazione didattica. L’articolazione attuativa di un Modulo prevede la mappa concettuale delle varie U.D. necessarie per la sua completezza; queste, strutturate come la tradizione didattica insegna, saranno connesse in una sequenza da garantire il raggiungimento degli obiettivi preposti. Particolare attenzione va posta alla valutazione; questa se posta al termine di un Modulo didattico ha sicuramente il valore di sommativa e verifica obiettivi di livello tassonomico superiore rispetto a quelli verificati con valore sia formativo che sommativo, al termine di un’U.D. E’ consigliabile per la valutazione degli obiettivi del modulo proporre prove di verifica di ampio respiro educativo quale il colloquio da sostituirsi alla tradizionale interrogazione ( a domanda …risposta! ) , il componimento scritto, seguendo le modalità ultimamente consigliate, senza trascurare la relazione e le riflessioni personali.
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Come nelle unità di apprendimento, anche nel modulo risulta importante la meta raggiunta dal discente “ la Competenza”. 2 Una competenza è però, spesso, troppo ampia per poterne verificare l’acquisizione durante le normali attività didattiche. Conviene, allora, introdurre gli “Esiti di Formazione”, ovvero delle abilità di più semplice verifica, che concorrono all’acquisizione delle competenze.
Alcuni esempi di esiti di formazione per le discipline scientifiche sono: 1. Acquisire dati e organizzarli mediante tabelle; 2. Analizzare e interpretare schemi; 3. Analizzare qualitativamente e/o quantitativamente trasformazioni di energia da una forma all’altra. 4. Applicare relazioni tra grandezze per risolvere semplici problemi; 5. Determinare il concetto di reversibilità e di irreversibilità di un fenomeno; 6. Verificare la funzionalità di un modello nell’interpretazione di fenomeni osservati.
3.6 ANALISI A-PRIORI. L’indagine sperimentale ha previsto un’analisi a-priori dei comportamenti attesi da parte degli alunni. Il fine di questo metodo era quello di ipotizzare possibili comportamenti e risposte dei bambini sia durante le attività di brainstorming che dopo la verifica del test, mettendo in evidenzia eventuali risposte modificate dopo l’intervento didattico. 2
Questo termine indica un insieme di conoscenze teoriche, pratiche e di abilità che assicurano l’attitudine a svolgere un’ampia serie di funzioni (Dalla definizione proposta dai documenti del Consiglio d’Europa).
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L’analisi a-priori rappresenta uno strumento utile per affrontare questo tipo di ricerche perché permette al ricercatore di porre l’attenzione su aspetti interessanti quali le probabili risposte che si possono supporre in un determinato contesto. 3.7 ANALISI DEI DATI. Sono state costruite preventivamente delle tabelle con i dati di analisi a-priori che ci sono serviti per le successive considerazioni Le tabelle sono a doppia entrata con, nella colonna verticale, il numero degli alunni e le classi coinvolte nella sperimentazione; nella colonna orizzontale, invece, figurano le probabili risposte attese dai bambini e indicate con le lettere dell’alfabeto: “A1, A2, A3….; B1, B2, B3…….; C1,C2,C3…..;etc. I dati ricavati dall’analisi delle risposte date dai bambini al pre-test e al post-test sono stati quindi tabulati attraverso tabelle EXCEL, riportate a pag.155. I dati pre-post test sono stati inoltre raccolti e commentati in tabelle di contingenza (pag. 126) dalle quali è possibile farsi una immediata idea degli spostamenti tra le categorie A, B, C, …, delle risposte date dai bambini prima e dopo l’intervento didattico effettuato. Si è effettuata una ulteriore analisi, dei dati di tipo qualitativo tramite lo studio delle riposte date dai bambini durante la sperimentazione e registrate in un video. Esso si è dimostrato un utile strumento complementare all’analisi dei pre e post test che ha permesso di documentare nel modo più completo e particolareggiato quanto è accaduto nell’arco delle giornate in cui si sono svolte le diverse fasi della sperimentazione. Il filmato permette al ricercatore di avere una idea di ciò che è successo in classe durante le attività didattiche e consente una ulteriore focalizzazione sugli atteggiamenti avuti dai bambini durante le attività didattiche oggetto di questa ricerca. Tuttavia, soltanto chi ha
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vissuto quei momenti può effettivamente raccontare il clima in cui si sono realizzate le varie attività, gli umori delle insegnanti e dei bambini, ma anche la loro curiosità, creatività e voglia di fare.
IV CAPITOLO IL MODULO 4.1 PRESENTAZIONE DEL MODULO DIDATTICO: LA LUCE. Questo modulo didattico ha lo scopo di introdurre l’allievo agli importanti concetti di “luce”, “occhio”, “colore”. Il modulo prevede attività sperimentali che hanno l’obiettivo di condurre il discente alla costruzione attiva della propria conoscenza. Ogni attività viene preceduta da una fase in cui gli allievi vengono stimolati a discutere, per evidenziare i propri modelli spontanei (conoscenze e rappresentazioni mentali pregresse, dovute all’esperienza di vita comune) su tali argomenti. Le situazioni didattiche successive mirano a far acquisire nell’allievo un modello interpretativo per i fenomeni luminosi relativi alla propagazione della luce. Il modulo si configura a livello di “servizio” in quanto è teso a far ottenere competenze applicabili in diversi ambiti culturali; la sua tipologia è anche di “sviluppo” in quanto mira a far familiarizzare lo studente con gli strumenti e le modalità previste nel campo scientifico. È evidente che la trattazione sviluppata, destinata a bambini di seconda e quarta primaria, non può giungere fino alla corretta formalizzazione della relazione: LUCE
OGGETTO
OCCHIO
LUCE
OGGETTO
COLORE
76
ma deve sempre fermarsi al concetto intuitivo dato dai bambini. Sarà il docente a riprendere tali concetti in seguito adottando strumenti e modalità diverse in funzione del contesto scolastico.
OBIETTIVI GENERALI
A LIVELLO COGNITIVO •
Creare stimoli cognitivi e organizzativi che abituino all’uso del metodo della scienza che procede per problemi.
•
Abituare all’osservazione della complessità dell’ambiente che ci circonda.
•
Conoscere le caratteristiche sulla luce e sulla diffusione.
•
Acquisire il concetto di “colore”
•
Comprendere le interazioni esistenti tra sorgente luminosa, occhio e oggetto
•
Comprendere le interazioni esistenti tra sorgente luminosa, occhio e colore
A LIVELLO OPERATIVO •
Utilizzare semplici strumenti e tecniche di osservazione per effettuare esperienze concrete
•
Effettuare semplici esperimenti sulla diffusione della luce
•
Effettuare semplici esperimenti sulla percezione visiva
•
Effettuare semplici esperimenti sul colore della luce
A LIVELLO LOGICO •
Riuscire ad individuare l’influenza esistente tra luce e corpi.
•
Analizzare fenomeni per riflettere ed esprimere ipotesi e soluzioni.
77
OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO PER LA CLASSE II Conoscenze
V
FENOMENI OSSERVABILI FACILMENTE: -
DIFFUSIONE DELLA LUCE
-
RELAZIONE LUCE-OGGETTO-OCCHIO
-
RELAZIONE LUCE-OCCHIO-COLORE
A
-
SAPER OSSERVARE
-
-
SAPER CLASSIFICARE
L
-
SAPER ESEGUIRE SEMPLICI ESPERIENZE
U
-
SAPER FARE PREVISIONI SULL’ANDAMENTO
I S T
Abilità
DI ALCUNI FENOMENI LEGATI ALLA LUCE
C E Conoscenze
RICOSTRUZIONE DEL SAPERE ATTRAVERSO “UN PACCHETTO “ DI ESPERIENZE: -
SORGENTI E LORO CLASSIFICAZIONE
-
FENOMENO DELLA VISIONE
-
I COLORI DELLA LUCE
T
-
SAPER OSSERVARE
I
-
SAPER CLASSIFICARE
C
-
SAPER PROGETTARE ED ESEGUIRE SEMPLICI
O T
A
Abilità
ESPERIENZE
78
-
SAPER FARE PREVISIONI SULL’ANDAMENTO DI ALCUNI FENOMENI LEGATI ALLA LUCE
OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO PER LA CLASSE IV Conoscenze
V
FENOMENI OSSERVABILI FACILMENTE: -
DIFFUSIONE DELLA LUCE
-
RELAZIONE LUCE-OGGETTO-OCCHIO
-
RELAZIONE LUCE-OCCHIO-COLORE
A
-
SAPER OSSERVARE
-
-
SAPER CLASSIFICARE
L
-
SAPER ESEGUIRE SEMPLICI ESPERIENZE
U
-
CONOSCERE IL COMPORTAMENTO DELLA
I S T
Abilità
LUCE NEI CONFRONTI DEI CORPI
C -
E
SAPER FARE PREVISIONI SULL’ANDAMENTO DI ALCUNI FENOMENI LEGATI ALLA LUCE
Conoscenze RICOSTRUZIONE DEL SAPERE ATTRAVERSO “UN PACCHETTO “ DI ESPERIENZE: -
SORGENTI E LORO CLASSIFICAZIONE
-
IL FUNZIONAMENTO DELL’OCCHIO
-
I COLORI DELLA LUCE
T
-
SAPER OSSERVARE
I
-
SAPER CLASSIFICARE
C
-
SAPER PROGETTARE ED ESEGUIRE SEMPLICI
O T
Abilità
79
A
ESPERIENZE
-
CONOSCERE IL COMPORTAMENTO DELLA LUCE NEI CONFRONTI DEI CORPI
-
SAPER FARE PREVISIONI SULL’ANDAMENTO DI ALCUNI FENOMENI LEGATI ALLA LUCE
TABELLA ESITI FORMATIVI CLASSE II/IV A-B
E
•
S
OSSERVARE CON ATTENZIONE GLI OGGETTI APPARTENENTI AL MONDO REALE
I
•
ACQUISIRE IL CONCETTO DI “LUCE”
T
•
CONOSCERE LE CARATTERISTICHE DELLA LUCE
I
•
ANALIZZARE
-
METTENDO
F
VISIVA
O
OCCHIO”
R
•
E
SITUAZIONI IN
EVIDENZIA
LA
RELAZIONE
“LUCE-OGGETTO-
SITUAZIONI
SPERIMENTALI
ANALIZZARE
M
METTENDO
A
VISIVA
T
COLORE”
E
SPERIMENTALI
IN
EVIDENZIA
LA
RELAZIONE
LA
LA
PERCEZIONE
PERCEZIONE
“LUCE-OGGETTO-
I V I 40 ORE
DURATA SERVIZIO: LIVELLO
ACQUISIRE CONOSCENZE E COMPETENZE
APPLICABILI IN DIVERSI AMBITI E SETTORI DEL SAPERE
SVILUPPO:
APPROCCIO,
ADDESTRAMENTO
ED
ELABORAZIONE
80
IN QUESTO MODULO LE INSEGNANTI PARTENDO DAL NOTE
BAGAGLIO CONOSCITIVO DI ESPERIENZE POSSEDUTE
DELL’INSEGNANTE
DAGLI ALUNNI, ATTRAVERSO SEMPLICI ATTIVITÀ SPERIMENTALI, AIUTA QUESTI ALLA COMPRENSIONE E
CONOSCENZA
DEL
FENOMENO
LUMINOSO.
PERTANTO PROPONE OSSERVAZIONI DI DIVERSE SITUAZIONI DEL FENOMENO, CON LA SUCCESSIVA RACCOLTA DEI DATI E LA VERBALIZZAZIONE.
LO
SCOPO DEL MODULO È DI AFFRONTARE TALE
INSEGNAMENTO SENZA LA PRETESA DI VOLERE SPIEGARE
“ TUTTO”, MA CON LA CONSAPEVOLEZZA
CHE NULLA PUÒ CONSIDERARSI DEFINITIVO: È IMPORTANTE IMPARARE CON GLI SCOLARI. I BAMBINI DELLE SECONDE E DELLE QUARTE,
NOTE DELLO STUDENTE
LAVORANO
IN
UN’AULA
TRASFORMATA
IN
LABORATORIO SCIENTIFICO. GLI ESPERIMENTI CHE SVOLGONO
PARTONO
DALL’OSSERVAZIONE
DI
TUTTO CIÒ CHE LI CIRCONDA. IN OGNI ESPERIMENTO I BAMBINI DEVONO OSSERVARE ATTENTAMENTE IL FENOMENO E RIFLETTERE SU CIÒ CHE HANNO VISTO, L’ATTIVITÀ SI CONCLUDE CON UNA DISCUSSIONE COLLETTIVA.
81
SITUAZIONI DI LAVORO S1
BRAINSTORMING SUI CONCETTI INTUITIVI RELATIVI AL TEMA "LUCE"
S2
BRAINSTORMING SUI CONCETTI INTUITIVI RELATIVI AL TEMA "VISTA” E SUCCESSIVA ATTIVITÀ ESPLORATIVA "
S3
BRAINSTORMING SUI CONCETTI INTUITIVI RELATIVI AL TEMA "COLORE" E SUCCESSIVA ATTIVITÀ ESPLORATIVA
RELAZIONI TRA SITUAZIONI E CONCETTI SITUAZIONE
FENOMENO
CONCETTI
CONCETTI
REALE
RIPRODOTTO
BASE
ORGANIZZATORI
IN LABORATORIO -BRAINSTORMING
-ELEMENTI
SUL
CONCETTO “LUCE”
INDAGINE SUL
S1
CONCETTO DI
“LUCE”
-
FONDAMENTALI
OSSERVARE
-CARATTERISTICHE
I
-TABELLA
FENOMENI LUMINOSI
-
INDIVIDUARE
CLASSIFICARE OGGETTI
E GLI
LUCE OGGETTI
ILLUMINATI
IN
“LUCE
NATURALE/LUCE ARTIFICIALE”
82
INDAGINE SUL
S2
COMPORTAMENT
-BRAINSTORMING SUL
-FUNZIONAMENTO
CONCETTO DI
CARATTERISTICHE
“VISIONE”
DELL’OCCHIO
- REALIZZAZIONE DI
-RELAZIONE
UNA “SCATOLA
O DELLA LUCE
OTTICA”
NELLA
LUCE OGGETTI OCCHIO
PERCEZIONE
TRA
OGGETTO-OCCHIO
E
LUCENELLA
PERCEZIONE VISIVA
ELEMENTI FONDAMENTALI TABELLA
VISIVA
-BRAINSTORMING SUL
INDAGINE SUL
S3
CONCETTO DI
“COLORE”
CONCETTO DI
“COLORE” -ATTIVITÀ “COLORARE LA LUCE”
- IL COLORE DELLA LUCE
LUCE OCCHIO COLORE
- IL COLORE DEGLI OGGETTI -RELAZIONE OCCHIO
TRA
LUCE-
–COLORE
NELLA
PERCEZIONE VISIVA
VERIFICHE E
LA VERIFICA SARÀ SCRITTA, SVILUPPATA IN FORMA DI
VALUTAZIONE
QUESTIONARIO. PER LA VALUTAZIONE L’INSEGNANTE
STUDENTI
UTILIZZERÀ UNA TABELLA DELLE POSSIBILI RISPOSTE DATE DAI BAMBINI.
83
MAPPA DI RIFERIMENTO SITUAZIONI/ ESITI A) OSSERVARE CON ATTENZIONE GLI OGGETTI APPARTENENTI AL MONDO REALE; B) ACQUISIRE IL CONCETTO DI “LUCE” C) CONOSCERE LE CARATTERISTICHE DELLA LUCE D) ANALIZZARE SITUAZIONI CONCRETE E IPOTIZZARE SOLUZIONI METTENDO IN EVIDENZIA LA RELAZIONE TRA LUCE-OGGETTO-OCCHIO E) ANALIZZARE SITUAZIONI CONCRETE METTENDO IN EVIDENZIA LA RELAZIONE TRA LUCE-OGGETTO-COLORE F) RAPPRESENTARE I DATI RACCOLTI MEDIANTE L’ELABORAZIONE DI TABELLE
MAPPA DI RIFERIMENTO SITUAZIONI/ ESITI CLASSE IIA/B
A
B
C
D
E
F
S1
X
-
-
-
-
X
S2
X
-
X
X
-
X
S3
X
-
-
-
X
X 84
MAPPA DI RIFERIMENTO SITUAZIONI/ ESITI CLASSE IVA/B
A
B
C
D
E
F
S1
X
-
X
-
-
X
S2
X
-
X
X
-
X
S3
X
-
-
-
X
X
V CAPITOLO
ATTIVITA’ E RISULTATI DATI SPERIMENTALI
5.1 PRESENTAZIONE DEL CAPITOLO. Il capitolo si propone di descrivere le fasi dell’indagine sperimentale mettendo in evidenzia i vari passaggi che hanno contraddistinto il lavoro. Questo permetterà una verifica della questione alla base della nostra ricerca: “In che modo l’intervento didattico, può modificare i modelli spontanei che posseggono i bambini e cominciare la loro transizione verso modelli di tipo scientifico?”. Ogni situazione, che vede protagonisti l’insegnante/ricercatore e gli alunni, seguirà il seguente percorso: a. Analisi a-priori sui tre argomenti: Luce- Visione- Colore
85
Questa prima fase permette all’insegnante, di prevedere comportamenti e risposte da parte dei bambini. b. Brainstorming1 sui tre argomenti: Luce- Visione- Colore La seconda fase si propone di trattare gli argomenti con i bambini per individuare le loro concezioni spontanee. I risultati ottenuti dalle conversazioni verranno raccolti e classificati in tabelle a doppia entrata dove, nella colonna, verrà inserita l’analisi a-priori precedentemente elaborata, mentre nella riga la classe e il numero dei bambini.
c. Intervento Didattico La terza fase prevede esperimenti condotti dall’insegnante e documentate dalla diretta conversazione tra questa e gli alunni. Il dialogo metterà in evidenzia alcune affermazioni dei bambini ritenute interessanti. Lo scopo è quello di stimolare nei bambini la capacità di riflettere e indagare sui fenomeni oggetto di indagine. d. Test di verifica Rappresenta l’ultima fase del lavoro, uno strumento di riepilogo degli argomenti trattati, i cui dati ricavati verranno anch’essi raccolti in tabelle a doppia entrata.
1
Braingstorning è un termine inglese che vuol dire tempesta di idee. Questa tecnica di produzione di idee viene messa in atto a proposito di problemi difficili. Un gruppo viene invitato ad esprimere numerose idee per risolvere un preciso problema e poi a rinunciare a tali idee in base al giudizio proprio ed altrui. Il successo di questo metodo si basa sull’esercizio dell’auto censura degli adulti.
86
Il lavoro si conclude comparando i risultati ottenuti dal brainstorming con i dati ottenuti dal test di verifica. Lo scopo è quello di accertare se, l’intervento didattico, ha modificato le concezioni dei bambini o se questi sono rimasti tali.
5.1.1 ANALISI A-PRIORI PRIMA SITUAZIONE (FASE PRE-TEST).
LA LUCE LEGENDA DELLE POSSIBILI RISPOSTE DATE DAI BAMBINI A1
I BAMBINI NON RISPONDONO
A2
I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE FA VEDERE LE COSE
A3
I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE È UNA COSA CHE ILLUMINA
A4
I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE È UN RAGGIO DI SOLE CHE VIENE DAL CIELO
A5
I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE È UNA LAMPADA
A6
I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE È CALORE
A7
I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE È UNA COSA TRASPARENTE
A8 A9
I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE È L’ARCOBALENO I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE È IL SOLE
87
MOTIVAZIONE DELLE POSSIBILI RISPOSTE A1
PERCHÉ NON POSSEGGONO UNA CONOSCENZA SULL’ARGOMENTO E IL CONCETTO LUCE CREA LORO CONFUSIONE
A2
PERCHÉ IL FENOMENO DELLA VISIONE È UNA CONCEZIONE SCONTATA TRA I BAMBINI
A3 A4 A5
PERCHÉ FANNO RIFERIMENTO ALLA LUNA E ALLE STELLE PERCHÉ LA LUCE, PER I BAMBINI, VIENE SEMPRE DALL’ALTO PERCHÉ È L’OGGETTO PRESENTE NELLA LORO VITA QUOTIDIANA E LA RICOLLEGANO AD ESPERIENZE, COME, LO SPEGNERE LA LUCE QUANDO VANNO AL LETTO
A6 A7
PERCHÉ FANNO RIFERIMENTO AGLI OGGETTI DI USO COMUNE COME IL FORNO, IL FONO ECT. PERCHÉ DA PARTE DEI BAMBINI, NON LE VIENE DATA UNA RAPPRESENTAZIONE MATERIALE E QUINDI NON VIENE ASSOCIATA AD UN UNICO OGGETTO MA A DIVERSI, COME LA LAMPADA O IL SOLE.
A8 A9
PERCHÉ PENSANO ALLE LAMPADINE COLORATE PERCHÉ RAPPRESENTA L’ELEMENTO CHE ACCOMPAGNA I BAMBINI NELL’ARCO DELLA GIORNATA COLLEGANDO COSÌ LE AZIONI CHE ABITUALMENTE COMPIONO COME LO SVEGLIARSI, ANDARE A SCUOLA, GIOCARE
LUCE NATURALE E LUCE ARTIFICIALE LEGENDA DELLE POSSIBILI RISPOSTE DATE DAI BAMBINI B1 B2
I BAMBINI NON RISPONDONO
B3
I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE NATURALE È QUELLA CHE RISCALDA MENTRE QUELLA ARTIFICIALE NON RISCALDA
B4
I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE NATURALE È QUELLA DI UNA LAMPADA MENTRE QUELLA ARTIFICIALE VIENE DAL SOLE
B5
I BAMBINI RISPONDONO CHE, SIA LA LUCE NATURALE CHE ARTIFICIALE, VENGONO DAL SOLE
B6
I BAMBINI RISPONDONO CHE, SIA LA LUCE NATURALE CHE ARTIFICIALE, VENGONO DALLA LAMPADA
I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE NATURALE VIENE DAL SOLE MENTRE QUELLA ARTIFICIALE VIENE DA UNA LAMPADA
MOTIVAZIONE DELLE POSSIBILI RISPOSTE
88
B1
PERCHÉ NON SI ASPETTANO QUESTO TIPO DI DOMANDA DA PARTE DELL’INSEGNANTE
B2
PERCHÉ CAPISCONO L’IMPORTANZA DI ENTRAMBE, INFATTI LA LUCE NATURALE RAPPRESENTA PER I BAMBINI FONTE DI VITA PER LE PIANTE E GLI ESSERI VIVENTI; MENTRE LA LUCE ARTIFICIALE AIUTA L’UOMO ALLA SOPRAVVIVENZA PERCHÉ GLI FA COSTRUIRE OGGETTI INDISPENSABILI PER LA VITA QUOTIDIANA
B3
PERCHÉ
B4
PERCHÉ
LA LAMPADA È L’OGGETTO CHE CARATTERIZZA LA LORO QUOTIDIANITÀ
B5
PERCHÉ MOLTI DI LORO NON CONOSCONO IL TERMINE “NATURALE E ARTIFICIALE”.
B6
PERCHÉ MOLTI DI LORO NON CONOSCONO IL TERMINE “NATURALE E ARTIFICIALE
FANNO RIFERIMENTO ALLA LUCE DEL ACCOMPAGNA DURANTE LE CALDI GIORNATE ESTIVE
SOLE
CHE
LI
5.1.2 BRAINSTORMING. L’insegnante, per introdurre l’argomento, nelle quarte chiama due bambine mentre nelle seconde è la stessa insegnante che scrive sulla lavagna la parola “LUCE” (Vedi foto n° 1 pag.122). Dopo aver ampliamente parlato della luce, l’insegnante chiede agli alunni quale sia la differenza tra luce naturale e artificiale.
(IIA) L’Insegnante: Attenti a cosa scrivo sul foglio Tutti: LUCE! Insegnante: Voglio sapere cosa vi viene in mente quando parlo della luce Emanuele: Accendere Giuseppe:La luce è illuminata Gabriella: La luna fa luce Salvo: Il sole fa luce 89
Giovanni: La luce fa vedere le cose Insegnante: Giovanni come le vediamo le cose Giovanni: La luce fa vedere le cose con i fili Chiara: I fari fanno la luce Salvo: Le stelle Giuseppe: La luce si stacca. Giuseppe: La lampada fa luce Salvo: La candela. Emanuele: La luce si accende e si spegne Aurora: Una torcia fa luce Marco: Il fuoco. Insegnante: Il fuoco fa solo luce? Marco: No, fa calore Ivan: La luce si attacca Girolamo: I lampi e i fulmini. Ivan: Il forno. Insegnante: Perché riscalda le cose perché è calore. Luca: Il lume.
(II B) Insegnante: Bambini, adesso scriverò sul foglio una parolina e voi mi dovrete dire cosa vi viene in mente. LUCE Marco: Una lampadina Giuseppe: La luce del sole Insegnante: Perché? Giuseppe: Perché è una luce vivente. Marco: La luce del computer. Nunzio: Il televisore. Sabrina : La luce del faro. Marco: Maestra, una torcia! Francesco: La luce del fono.
90
Insegnante: Perché? Francesco: Perché metto la spina Sabrina: Maestra, la luce della luna. Giuseppe: La luce delle stelle. Davide: Un accendino. Marco: La luce del ferro, quando illumina il metallo. Miriam: La luce dello specchio Insegnante: Perché? Miriam: Perché uno si specchia e quando c’è una finestra, lo specchio si riflette. Marco: Perché la luce colpisce il vetro e fa la luce Luca: E lo specchio si illumina Insegnante: Ritorniamo a pensare alla parolina Luce. Sabrina: Maestra, la pietra che quando si spacca fa scintille. Insegnante : Qualcuno di voi, mi ha detto le luce del sole perché? Luca: Perché il sole fa la luce a tutto il paese
(IVA) L’insegnante: Guardiamoci intorno, cosa ci fa venire in mente il termine ? Alessio: Senza la luce sarebbe buio e le piante non potrebbero crescere Daniel: Senza la luce non si può cucinare. Insegnante: Perché? Daniel : Perché non vediamo le pentole e non c’è elettricità. Francesca: Senza la luce le cose elettroniche, tipo la televisione o il forno, non funzionano. Insegnante: Questo è un concetto giustissimo. Sara: Senza la luce non si potrebbe studiare. Giuseppe: Senza la luce non ci possiamo muovere né dentro la casa, né fuori perché c’è buio. Sara: Senza la luce del sole, non ci potremmo riscaldare. Alessio: E non potremmo crescere bene. Insegnante: Perché? Alessio: Perché il calore fa bene alle ossa e alla pelle.
91
Sandy: Senza la luce non si può vivere. Daniel: Senza la luce non vediamo il mare e l’acqua non si riscalda. Chiara: Senza la luce del sole non crescono le piante e perciò non ci sarebbe molto ossigeno. Insegnante: Adesso, bambini, avendo visto le caratteristiche della luce, vi voglio porre una domanda. Cos’è per voi la luce? Se penso alla luce, cosa mi viene in mente? Daniel: Lampadina. Alessio: Fuoco e Sole Alessio II: Elettricità Francesca: Stella Alessio: Luna Jonathan: Calore Sandy: Candela Insegnante: Non vi viene altro in mente? Proviamo a chiudere gli occhi e pensiamo: LUCE Sara: Vita Alessio: Pace. Giuseppe: Benessere Daniel: Gioia Insegnante: Perché Giuseppe, hai detto benessere? Giuseppe: Perché il sole ci fa crescere bene e poi il calore non ci fa venire il raffreddore. Insegnante: E perché felicità? Alessio II: Se tu chiudi gli occhi per riflettere pensi ad una cosa bella Insegnante : Quindi se parli di luce, pensi a cose belle!! Però non capisco gioia. Sara: Perché quando c’è la luce si va fuori e ci si diverte. Insegnante: In effetti noi siamo abituati che, nei film e nei cartoni animati, il concetto di buio da vita al concetto di paura o terrore mentre la luce ci mette tranquillità. Alessio: Maestra, il buio è nero, la luce è chiara ed è bella.
92
Insegnante: Perché la luna vi fa pensare alla luce? Alessio II: Perché ci splende. Insegnante: Ma siamo di notte!E quindi. Alessio II: Da una luce al buio. Daniel: E illumina il cielo. Insegnante: Cosa è per voi il buio? Alessio:Terrore e spavento. Daniel: Stare male. Sara: Serenità, perché rilassa. Jonathan: Paura. Daniel: Distruzione. Roberto: Incertezza perché non vedi quello che fai Insegnante: Adesso, pensiamo al buio come oggetto, nome comune di cosa. Alessio II: Se noi abbiamo una matita con una gomma di sopra, ci sembra qualcosa di viscido perché non la vediamo ma lo percepiamo Insegnante: Pensiamo ad un oggetto. Alessio: Camerino. Sara:Soffitta. Daniel: Ripostiglio. Sefora: Occhi Roberto: Notte.
(IVB) L’insegnante: Guardiamoci intorno, cosa ci fa venire in mente il termine ? Ivan: L’accendino. Deborah: L’oro. Insegnante: Perché l’oro? Deborah: Perché brilla. Insegnante: Cosa pensate quando vi dico “Luce”? Gianluigi: Lampada e il sole. Maestra ma anche la luna. Saveria: I lampi
93
Ivan: Maestra, ho chiuso gli occhi e vedevo delle riflessioni. Insegnante: Che riflessioni, Ivan. Ivan: Erano dei colori che facevano delle forme. Salvo: Arcobaleno Giovanna: La candela e il fuoco. Giovanni: Il riflesso del sole Emanuele: Le lucciole e le stelle. Angela: Un fiammifero acceso. Insegnante: Perché la lampada vi fa pensare alla luce? Gianluigi: Perché illumina.
L’insegnante prosegue il dialogo collegandosi con il secondo tema oggetto di analisi: luce naturale e luce artificiale. (II A) Insegnante: Bimbi, secondo voi che differenza c’è tra il sole e la lampadina? Marco: La lampada fa luce Francesco: La lampada ha poca luce e il sole ne ha tanta Marco: Perché il sole è una grossa sfera di fuoco e fa la luce a tutto il mondo e la lampada fa meno luce Insegnante: E la torcia perché? Marco: Perché quando se ne va la luce accendiamo la torcia. Insegnante: Quindi va via la luce e cosa c’è? Tutti: IL BUIO!!!!! Insegnante: C’è il buio. Ma cos’è il buio. Sabrina: Una cosa che non si vede. Insegnante: Perché non si vede? Sabrina: perché non c’è la luce Insegnante: Sì, ma proviamo a fare un esperimento. Chiudiamo gli occhi, non vediamo niente però c’è la luce, perché? Sabrina: Perché abbiamo gli occhi chiusi. Insegnante: E poi. Non vi viene in mente altro? Allora vi chiedo; perché vediamo? Francesco: Perché abbiamo gli occhi Insegnante: Quindi gli occhi sono fondamentali per vedere. Giusto?
94
Marco: Maestra, quando vado a letto con mia madre a dormire apro la porta e si vede la luce che entra nella stanza da letto. Insegnante: Adesso voglio chiedervi l’ultima cosa: qualcuno di voi ha detto che pensando alla parolina luce gli viene in mente la luna perché? Sabrina: Perché di notte si illumina. Marco: Con le stelle si illumina di più Giuseppe: La luce del sole è una luce vivente Francesco: Maestra, secondo me la lampada è una cosa artificiosa Insegnante: Perché? Francesco: Perché è fatta dall’uomo,invece la luce del sole no, è una cosa che non ha costruito la persona
(IIB) Insegnante: Allora bambini, secondo voi che differenza c’è tra il sole e la lampada? Giuseppe: Il sole fa più luce e la lampada no. Aurora: Il sole fa più luce e calore, la lampada fa solo luce Luca: Il sole fa sempre luce, invece la lampada si spegne e si accende. Emanuele: Il giorno fa luce, la notte no. Insegnante: La notte!! Cosa vi fa venire in mente? Giovanni: La notte c’è buio Francesco: Il buio non fa vedere niente. Insegnante: Però proviamo a fare un esperimento. Chiudiamo gli occhi, c’è la luce, ma non vediamo niente perché Francesco: quando chiudo gli occhi vedo buio non vedo niente.
( IVA) Insegnante: Mi spiegate qual è la differenza tra la luce naturale e quella artificiale? Emmanuel: La luce naturale è quella del sole, invece quella artificiale è quella della Lampadina Alessio: La luce del sole riscalda, invece quella della lampadina no Daniel: Perché la luce del sole dà l’ossigeno alla pianta. Giuseppe: Maestra! Esiste una lampada che emette calore e fa crescere lo stesso le
95
piante Salvo: Maestra, se non c’è la luce diventiamo ciechi e non ci vediamo. Jonathan: Con la luce della lampadina le uova, ad esempio delle tartarughe, non si possono schiudere. Emmanuel: Senza la luce, l’acqua non si surriscalda e non evapora e non c’è la pioggia. Alessio: Maestra, data che la luce è parte di vita, senza la luce naturale non possiamo vivere. Giuseppe: Senza il sole non si può formare il sale, tipo che loro fanno così mettono l’acqua salata nei contenitori e l’acqua si vaporizza e si forma il sale marino. Sara: Senza sole non c’è il cibo per gli animali. L’insegnante: Perché? Sara: Senza il sole le piante non vivono e non danno il cibo agli animali. Alessio: Maestra le piante, senza il sole seccano. Insegnante: Seccano, o succede qualche altra cosa? Io ricordo di un esperimento che avete fatto in prima con la maestra Grazia. Vi ricordate della pianta di lenticchie? Alessio: La pianta esposta alla luce del sole, faceva la fotosintesi clorofilliana invece la pianta messa al buio non la faceva. Insegnante: E quindi seccava, o succedeva qualcos’altro. Daniel: No, maestra, non seccava le lenticchie erano bianche perché stavano dentro l’armadio invece quelle fuori erano verdi.
(IVB) Insegnante: Mi spiegate qual è la differenza tra la lampada e il sole? Gianluigi: Il sole non l’accendiamo noi, sta sempre accesa e senza batteria, invece la lampada è con la batteria. E poi, maestra, il sole è pieno di fuoco. Ivan: La lampada fa diventare più scuri. Insegnante: Ma anche il sole ci fa diventare più scuri. Simone: Maestra, la lampada è artificiale, invece il sole è naturale Insegnante: Cosa vuol dire per voi, naturale? Giovanni II: Creato dalla natura.
96
Giovanni I: Maestra, la luna è una luce naturale. L’Insegnante: Perché? Giovanni II: Perché illumina. Insegnante: Ma se c’è buio, come fa ad illuminare? Simone: Viene illuminata dal Sole. Salvo: Perché è una stella. Insegnante: La luna viene illuminata, questo è un concetto giustissimo. La luna non ha luce propria, viene illuminata dal Sole. Giovanni I: Quando qua è notte in Australia è giorno. Gianluigi: Maestra, il Sole passa davanti alla Luna. Insegnante: E’ la Luna che gira intorno al Sole assieme a tutti gli altri pianeti, compresa la Terra. Giovanni ha parlato della notte, a questo punto mi viene di chiedervi: cosa è per voi il BUIO ? Angela: Quando chiudiamo gli occhi Ivan: Quando spegniamo la luce Saveria: Dormire e spavento Giorgia: La notte. Gianluigi: Lo spazio. Insegnante: Perché Angela hai detto Angela: Perché è buio. Insegnante: E quindi per vedere una cosa abbiamo bisogno della…. Tutti: La luce Insegnante: Ma se chiudiamo gli occhi, in presenza di luce lo stesso non vediamo le cose perché? Gianluigi: Perché queste, maestra come si chiamano. Insegnante: Palpebre Gianluigi: Sì maestra, le palpebre quando si chiudono coprono le pupille.
97
5.1.3 RISULTATI FASE PRETEST “SITUAZIONE 1”.
LA LUCE CLASSE E NUMERO DI ALUNNI
98
II A/B ANALISI A-PRIORI
6 9%
N46
16
A1
21
A2
1
A2
3
A3
11
A3
3
A4
0
A4
0
A5
12
A5
4
A6
4
A6
9
A7
0
A7
0
A8
0
A8
1
A9
2
A9
5
IN PERCENTUALE
8 0%
IVA/B
A1
Totale
7 0%
N46
46
Totale
II A/B
46
IV A/B 1 23%
1 35%
9 4%
1 2 3
5 26%
1 4 0%
9 51%
4
2 3%
5 6
2 2%
4 5 6 7
5 4%
9
8 3 24%
3
3 3%
7 4 0%
2
9 8 5%
7 1%
6 10%
LUCE NATURALE E LUCE ARTIFICIALE
CLASSE E NUMERO DI ALUNNI
99
8
II A/B ANALISI A-PRIORI
N46
IVA/B
N46
B1
44
B1
42
B2
1
B2
3
B3
1
B3
1
B4
0
B4
0
B5
0
B5
0
B6
0
B6
0
TOTALE
46
TOTALE
46
IN PERCENTUALE
II A/B 3 2%
5 0%
IV A/B 3 2%
4 0%
2 2%
6 0%
1
5 0%
4 0% 6 0%
2 7%
1
2
2
3
3
4
4
5
5
6
6
1 91%
1 96%
5.2.1 ANALISI A-PRIORI SECONDA SITUAZIONE (FASE PRETEST).
“NOI VEDIAMO QUANDO…..”
100
LEGENDA DELLE POSSIBILI RISPOSTE DATE DAI BAMBINI C1
I BAMBINI RISPONDONO QUANDO C’È LA LUCE
C2
I BAMBINI RISPONDONO QUANDO LA LUCE COLPISCE I NOSTRI OCCHI
C3
I BAMBINI RISPONDONO QUANDO LA LUCE DIFFUSA DAGLI OGGETTI COLPISCE I NOSTRI OCCHI
C4
I BAMBINI RISPONDONO QUANDO LA LUCE È DIFFUSA DAGLI OGGETTI
C5
I BAMBINI NON RISPONDONO
MOTIVAZIONE DELLE POSSIBILI RISPOSTE C1
PERCHÉ LA LUCE VIENE CONSIDERATA DAI BAMBINI UN ELEMENTO CHE ACCOMPAGNA LORO IN OGNI MOMENTO DELLA GIORNATA E QUINDI COLLEGANO QUESTO AD AZIONI QUOTIDIANE
C2
PERCHÉ PENSANO CHE LA LUCE
C3
I BAMBINI IMMAGINANO UN OGGETTO AL BUIO CHE, PER ESSERE VISTO, DEVE AVERE LA LUCE DI UNA LAMPADINA DIRETTA VERSO SÉ STESSO. QUESTA LUCE PRIMA COLPISCE L’OGGETTO E POI LO RIMANDA AGLI OCCHI
C4
PERCHÉ MOLTI OGGETTI BRILLANO COME L’ORO PERCHÉ NON SI SONO MAI POSTI QUESTO PROBLEMA
C5
GLI OCCHI SE, TENUTI CHIUSI, NON FANNO
5.2.2 BRAINSTORMING. La seconda attività di brainstorming riprende l’argomento sulla luce per giungere alla “percezione visiva”, ovvero come e quando noi vediamo.
101
(IIA) L’insegnante: Bambini, secondo voi perché vediamo? Giuseppe: Perché abbiamo gli occhi. Emanuele: Perché c’è la luce. Luca: Vediamo perché teniamo gli occhi aperti Silvia: Perché c’è la luce. Aurora: Quando c’è buio non vediamo, ma quando c’è la luce vediamo. Girolamo: Perché mettiamo la luce nel lampadario e fa luce. Giuseppe: Perché teniamo gli occhi aperti.
(IIB) Insegnante: Bambini, secondo voi perché vediamo? Marco: Perché noi, se non abbiamo gli occhi non possiamo vedere niente. Sabrina: Senza la luce non vedi niente perché se spegni la luce non vedi niente. Davide: Perché abbiamo gli occhi
(IVA) Insegnante: Bambini, secondo voi perché vediamo? Giuseppe: Perché serve per accendere la luce. Alessio: Perché, siccome c’è la spina per accendere la luce, allora la chiamiamo elettricità Alessio: Perché c’è la luce che ci circonda Teresa: Perché c’è la luce del sole Alessio: Maestra, con la luce naturale o artificiale? Insegnante: Perché, mi chiedi questa differenza? Alessio: Siccome se c’è buio, noi vediamo con quella artificiale Insegnante: Sì, hai ragione, ma io ho chiesto in generale perché vediamo? Andrea: Abbiamo bisogno della vista Salvo: Per vedere, abbiamo bisogno degli occhi Insegnante: E’ perché, secondo voi Teresa: Perché con gli occhi c’è la luce e vediamo Alessio: Noi vediamo con le pupille Insegnante: Come, Alessio, vediamo con le pupille? Alessio: Perché noi non possiamo vedere con l’altra parte dell’occhio; la parte di
102
dietro è collegata alla testa e noi vediamo dalla parte davanti Insegnante: Quindi dalla parte davanti cosa succede Alessio? Alessio: Dietro perché è collegato al cervello con un nervo e davanti arriva la luce. Insegnante: Quindi, bambini, è la luce che ci circonda che ci fa vedere o è il nostro occhio? Tutti: E’ il nostro occhio. Alessio: Infatti, maestra, noi vediamo anche al buio.
(IVB) Insegnante: Bambini, secondo voi perché vediamo? Ivan: Noi, vediamo perché negli occhi abbiamo delle lacrime bagnate che ci fanno vedere. Insegnante: E sono le lacrime che fanno vedere? Salvo: No, maestra, sono le pupille. Insegnante: Come riusciamo a vedere? Emanuele: Perché c è la luce Giovanni: Noi vediamo attraverso le pupille. Insegnante: Giustissimo, ma quando siamo al buio non vediamo anche se abbiamo gli occhi aperti perché? Angela: Perché non c’è luce.
5.2.3 RISULTATI FASE PRETEST “SITUAZIONE 2"
“NOI VEDIAMO QUANDO…..”
103
CLASSE E NUMERO DI ALUNNI
II A/B ANALISI A-PRIORI
N46
IVA/B
N46
C1
14
C1
6
C2
3
C2
4
C3
0
C3
0
C4
0
C4
0
C5
29
C5
36
TOTALE
46
TOTALE
46
IN PERCENTUALE
II A/B
IV A/B 1 13%
1 30% 1
5 63%
4 0%
3 0%
3 0%
4 0%
2 2 7%
2 9%
1 2
3
3
4
4
5
5 5 78%
5.3.1 ANALISI A-PRIORI TERZA SITUAZIONE (FASE PRETEST).
IL COLORE DELLA LUCE
104
LEGENDA DELLE POSSIBILI RISPOSTE DATE DAI BAMBINI. D1
I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE È BIANCA
D2
I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE È GIALLA
D3
I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE NON SI VEDE
D4
I BAMBINI RISPONDONO CHE LA LUCE È DI TANTI COLORI
D5
I BAMBINI NON RISPONDONO
MOTIVAZIONE DELLE POSSIBILI RISPOSTE
D1
PERCHÉ FANNO RIFERIMENTO ALLA LAMPADA CHE SI TROVA A SCUOLA COME A CASA
D2
PERCHÉ FANNO RIFERIMENTO AL SOLE D3 PERCHÉ PENSANO CHE NON SI PUÒ TOCCARE D4 PERCHÉ FANNO RIFERIMENTO ALLE DIVERSE LAMPADINE CHE HANNO NEI LORO ALBERI DI NATALE D5 PERCHÉ NON HANNO MAI RIFLETTUTO SU QUESTO TEMA
COLORATE
IL COLORE DEGLI OGGETTI “AL BUIO, VEDIAMO GLI OGGETTI COLORATI?………”
105
LEGENDA DELLE POSSIBILI RISPOSTE DATE DAI BAMBINI. E1
I BAMBINI RISPONDONO CHE NON SI VEDONO PERCHÉ NON C’E LUCE
E2
I BAMBINI RISPONDONO CHE NON SI VEDONO PERCHÉ AL BUIO NON SONO COLORATI
E3
I BAMBINI RISPONDONO CHE SI VEDONO PERCHÈ HANNO IL COLORE
E4
I BAMBINI RISPONDONO CHE SI VEDONO MA NON SANNO SPIEGARLO
E5
I BAMBINI RISPONDONO CHE È LA LUCE CHE LI COLORA
E6
I BAMBINI RISPONDONO CHE SI VEDONO SOLO QUELLI LUMINOSI
E7
I BAMBINI NON RISPONDONO
MOTIVAZIONE DELLE POSSIBILI RISPOSTE
E1
PERCHÉ PER I BAMBINI È SCONTATO CHE, PER VEDERE GLI OGGETTI, OCCORRE LA LUCE
E2
PARTENDO DALL’ESPERINEZA DIRETTA CHE VIVONO I BAMBINI, SPEGNENDO LA LUCE, IL COLORE SVANISCE QUINDI INTUISCONO L’IMPORTANZA DELLA LUCE E NON DELLA VISTA
E3
PERCHÉ
I BAMBINI PENSANO AGLI OGGETTI CHE USANO QUOTIDIANAMENTE SIA A SCUOLA (LIBRI, COLORI….) CHE A CASA (TELEVISORE, FONO, FRIGORIFERO…) E LI RICORDANO COLORATI ANCHE SE SONO AL BUIO
E4
PERCHÉ NON HANNO ACQUISITO UNA CONOSCENZA SULL’ARGOMENTO PERCHÉ I BAMBINI PENSANO ALLE LAMPADINE COLORATE CHE DANNO
E5
IL COLORE AGLI OGGETTI
E6
PERCHÉ FANNO RIFERIMENTO AGLI OGGETTI FLUORESCIENTI CHE, SPESSO, SI TROVANO NELLE LORO CAMERETTE
E7
PERCHÉ I BAMBINI NON RIESCONO AD IMMAGINARE L’OGGETTO AL BUIO
5.3.2 BRAINSTORMING. L’insegnante, richiama alla mente degli alunni l’importanza della luce e pone la seguente domanda: 106
(II A) Insegnante: Secondo voi, di che colore è la luce? Giuseppe: Gialla. Simona: Bianca. Luca: Maestra, io verde perché tipo quando ci sono le lampade con cartoni di fuori e la lampada di dentro che fa vedere i colori. Insegnante: Alcuni di voi mi hanno detto che la luce è gialla, perché? Salvo: Maestra, come il sole! Il sole è giallo però si vede bianco. Insegnante: E perché? Emanuele: Perché ci sono le nuvole e il cielo e io vedo la luce bianca Insegnante: Bambini, Salvo mi ha detto che il sole è giallo, ma noi vediamo la luce bianca, perché? Luca: Il sole è bianco e le montagne fanno il colore giallo. Il sole punta verso le montagne e fa vedere il colore giallo. Giuseppe: Il cielo è azzurro e quindi il sole ci fa vedere il cielo. Luca: Maestra, la luce colpisce la montagna e fa colorare le montagne.
(II B) Insegnante: La prima volta abbiamo parlato della luce e alcuni di voi hanno fatto l’esempio della lampadina o del sole. La seconda volta che ci siamo visti cosa abbiamo fatto? Giuseppe: Maestra, la scatola. Non si vedeva niente perché era buio, poi hai messo una specie di carta e c’erano i giocattoli. Insegnante: Giuseppe, era la carta che faceva vedere i giocattoli? Giuseppe: Sì. Clara: No, maestra, era la lampada. Marco: Maestra, era la carta stagnola. Insegnante: Va bene bambini, adesso parliamo del colore. Cos’è per voi il colore? Giuseppe: Maestra, esempio il nero. Insegnante: E la luce di che colore è? Francesco: E’ gialla, perché mio padre mi ha comprato delle lampade gialle. Giuseppe: Maestra, le lampade sono bianche però la luce è gialla. ( Per Davide il colore è sinonimo di maggiore intensità).
107
Sabrina: Ci sono anche delle lampade verdi o blu Marco: Sì maestra, è vero, ci sono tante luci colorate
(IVA) Insegnante: Secondo voi, la luce di che colore è? Giuseppe: Gialla Alessio: Bianca Francesca: Gialla Chiara: Trasparente Emanuele: Maestra, anche per me è trasparente Sandy: Maestra, la luce può essere di tanti colori. L’insegnante: Perché? I bambini non sanno rispondere pertanto l’insegnante chiede perché la luce è gialla Giuseppe: Perché è fatta con la luce del sole Daniel: Perché con la luce naturale gli da il colore giallo. Tipo se la lampadina è bianca con un giallo chiaro, la luce naturale gli dà il colore. O i raggi, perché sono gialli e danno la luce alla luce artificiale Giuseppe: Maestra, la luce è bianca perché è splendente. Sara: Perché quando non c’è il sole mica il cielo è giallo, ma è bianco solo che ci riflettono i raggi. L’insegnante: Alcuni di voi hanno detto trasparente, perché? Sara: Perché non si vede. Giuseppe: Perché è tanto splendente e non la vediamo e quando la vediamo pensiamo che sia trasparente. Daniel: Alcune volte vediamo la polvere con la luce. Tipo nella macchina quando c’è la luce forte e il sole ci batte vediamo la polvere. Sara: Maestra è bianca la luce perché è artificiale.
(IV B) Insegnante: Secondo voi, la luce di che colore è? La metà della classe risponde gialla, altri bambini bianca mentre per una bambina è trasparente
108
Giovanni: Bianca Silvia: Trasparente Ivan: Gialla Gianluigi: Gialla Emanuele: Trasparente Insegnante: Secondo voi, perché è gialla? Emanuele: Perché la luce illumina L’insegnante: Invece perché bianca? Francesca: Perché i raggi del sole sono per esempio il sole è alto e c’è il cielo e il sole riflette il cielo; i raggi del sole vanno sul cielo quando apriamo la finestra ci viene una luce bianca Giorgia: Vuole dire come uno specchio. Il colore riflette bianco. L’insegnante: E perché trasparente? Giorgia: Trasparente perché può essere di tanti colori. Perché una lampadina può essere bianca, gialla, arancione Giovanni: Maestra, per me la luce è un laser colorato. L’ho sentito ad un documentario L’insegnante: Come mai Giovanni Giovanni: Perché riflette
L’insegnante continua il dialogo con i bambini, facendo una domanda più specifica. (II A) Insegnante: Bambini secondo voi, parlando di colore, possiamo vedere gli oggetti al buio?
Aurora: Sì, perché è giorno e tu ci vedi Alessandra: No, perché gli oggetti sono nascosti dal buio e sono colpiti dal buio Valeria: Sì, gli oggetti non hanno colore al buio Kevin: Maestra, secondo me , si vedono Insegnante: Perché? Kevin: Non lo so Ivan: No, non si possono vedere, perché non c’è la luce del sole e la lampada che illuminano gli oggetti
109
Giovanni: Sì, perché sono stati colorati Insegnante: Cosa vuoi dire Giovanni:Sono colorati con i pennelli Gabriella: No, per me non sono colorati perché non c’è la luce ed è scuro
(IIB) Insegnante: Bambini, abbiamo parlato del colore e siamo circondati da tanti oggetti colorati come ad esempio il banco, gli armadi, i cartelloni!, Ma se c’è buio riusciamo a vederli colorati? Marco: No, si vedono al buio, perché c’è buio Marco II: Sì, perché io nella mia cameretta, ho un adesivo che quando me ne vado a dormire lo vedo con i colori che aveva Giovanni: Sì, perché sono stati fatti colorare Giuseppe: No, perché non c’è la luce Sabrina: No, non sono colorati Insegnante: Perché? Sabrina: Perché non c’è il colore non si vede Giuseppe II: Gli oggetti non si possono vedere al buio, perché gli oggetti non si possono vedere nel buio, ma solo quando c’è la luce Miriam: Sì, perché sono di colore forte Giuseppe: Secondo me, gli oggetti sono colorati anche al buio, perchè sono colorati con i colori Salvo: Secondo me gli oggetti al buio non sono colorati, perché non c’è la luce
(II A) Insegnante: Bambini secondo voi, parlando di colore, possiamo vedere gli oggetti colorati al buio? Chiara: Quelli luminosi sì perché si colorano Jonathan: Secondo me, dipende che oggetti sono ci sono quelli che non si vedono e ci sono quelli che si vedono
Sandy: Sì, secondo me gli oggetti sono colorati anche al buio perché sono i nostri occhi che ci permettono di vedere Angela: Sì, secondo me gli oggetti sono colorati anche al buio perché c’è la luna e le
110
stelle e perciò si lluminano al buio Emmanuel: Sì, perché quando un oggetto ha un colore molto vivace, si oscura ma resta colorato Sefora: Secondo me sono colorati gli oggetti nel buio perché non può cambiare il Colore Salvo: No, gli oggetti non si possono colorare al buio, perché c’è buio e non si vede niente Sara: Sì, secondo me gli oggetti sono colorati anche al buio, perché al buio non se ne vanno i colori ma restano i propri colori
(IIB) Insegnante: Bambini secondo voi, parlando di colore, possiamo vedere gli oggetti colorati al buio? Salvo: Per me gli oggetti sono colorati al buio perché al buio il colore non si leva e gli rimane di sopra Emanuele: No, perché al buio non si vede il colore Giovanni: No, perché non si vede niente Giorgia: Sì, perché, non sono tutti, gli oggetti di sera si vedono di un verdastro o un giallastro fosforescente che fanno vedere una luce Giuseppe: Sì, perché gli oggetti non cambiano colore Giovanna: Per me gli oggetti al buio non sono colorati perché al buio non si vede Niente Ivan: Per me gli oggetti sono colorati anche al buio, perché al buio il colore non si leva e le rimane di sopra
5.3.3 RISULTATI FASE PRETEST “SITUAZIONE 3”.
IL COLORE DELLA LUCE
111
CLASSE E NUMERO DI ALUNNI
II A/B ANALISI A-PRIORI
IVA/B
N46
D1
15
D1
16
D2
10
D2
5
D3
0
D3
3
D4
0
D4
2
D5
21
D5
20
TOTALE
IN PERCENTUALE
N46
46
TOTALE
46
IV A/B
II A/B
1 33% 5 45%
1
1 35%
5 43%
1
2
2
3
3
4
4
5 4 0% 3 0%
2 22%
4 4%
2 11%
3 7%
IL COLORE DEGLI OGGETTI “AL BUIO, VEDIAMO GLI OGGETTI COLORATI?………”
112
5
CLASSE E NUMERO DI ALUNNI
II A/B ANALISI A-PRIORI
N46
N46
E1
5
E1
3
E2
0
E2
1
E3
0
E3
7
E4
1
E4
2
E5
0
E5
0
E6
1
E6
1
E7
39
E7
32
TOTALE
IN PERCENTUALE
IVA/B
46
TOTALE
II A/B
3 2 1 0% 0% 11%
46
IV A/B
4 2% 5 0%
1 7% 6 2%
2 2%
3 15%
1 2
1
3
2
4 4%
3
4 5
4 5
5 0% 6 2%
6 7 7 85%
7 70%
5.4 INTERVENTO DIDATTICO. Il paragrafo si propone di inserire le conversazioni tra l’insegnante e i bambini, scaturite dagli esperimenti, relativi al tema della “Visione degli oggetti” e del “Colore della luce e degli oggetti”.
113
6 7
La prima situazione inerente il “Concetto di luce”, viene considerata dall’insegnante introduttiva e necessaria per la scelta futura delle attività che avrebbe svolto. Infatti, uno dei compiti importanti che l’insegnante deve assolvere quando tratta degli argomenti, è quello di trovare delle situazioni che stimolino nel bambino, la capacità di problematizzare trovando una o più soluzioni riuscendo, così, anche ad argomentarle. 5.4.1 La prima attività, relativa al tema della “visione degli oggetti”, viene sviluppata attraverso l’utilizzo di uno strumento: la realizzata dalla stessa insegnante. È una semplice scatola di scarpe foderata all’interno da cartoncino nero e, nelle due parti più corte, da un lato è stato eseguito un foro a forma di occhio mentre nella parte opposta è stato inserita carta di alluminio. Inoltre, all’interno della scatola vi dei piccoli giocattoli e una piccola torcia che, in una prima fase è spenta e quindi i bambini vedranno la scatola al buio, mentre nella seconda fase la torcia si accenderà per raccogliere i commenti dei bambini. (Vedi foto n°2 pag.122).
(IIA) Tutti i bambini, dopo aver visto la scatola con la torcia spenta, dicono alla maestra di non aver visto niente e spiegano il perché. Aurora: Perché la scatola è nera. Simona: Perché c’è buio. L’insegnante fa rivedere la scatola con la torcia accesa e chiede ai bambini se vedono qualcosa. Tutti i bambini dicono di sì e chiede perché. Kevin: Perché c’è la luce Alex: Perché c’era il buco dell’occhio e faceva vedere Giovanni: Perché c’era la lampadina. Giuseppe: Perché c’era il buco e entrava la luce. Girolamo: Si vedeva la luce che entrava nel buco dell’occhio. Giuseppe: Perché c’era la carta stagnola.
114
Aurora: Perché la luce era così e la vedevamo ( allarga le braccia in modo orizzontale). (II B) L’insegnante prende la scatola senza accendere la lampadina e dice agli alunni. Insegnante: Facciamo una bella attività. Guardate questa scatola cosa c’è? Tutti: Un buco!!!! L’insegnante: Guardate la forma di questo buco, cosa vi fa pensare? Tutti: Un occhio, maestra! L’insegnante: Bravi! E’ proprio un occhio. Vediamo cosa c’è dentro!
Tutti i bambini, dopo aver visto all’interno della scatola, rispondono < niente>. (Vedi foto n°3 pag. 123) Insegnante: Perché? Francesco: Perché la scatola era chiusa e non si vedeva. Sabrina: Perché si accende la luce Davide: Perché era buio. Piero: Maestra, c’era qualcosa ma non si vedeva perché non c’era la luce L’insegnante: E’ quindi per vedere qualcosa, cosa è fondamentale? Tutti: La luce!!! L’insegnante, senza farsi vedere dai bambini, accende la piccola torcia all’interno della scatola e chiede ai bambini se vedono qualcosa. Tutti i bambini rispondono di sì. A questo punto l’insegnante chiede perché. Davide: C’era una carta lucida Marzia: C’era la luce, ma per vedere doveva esserci una lampadina. L’insegnante: Cosa vuoi dire. Marzia: Io, maestra ho visto, perché c’era una lampadina che faceva luce Marco: Maestra, si vedeva perché c’era il foglio d’oro. Sabrina: Io ho visto la carta d’argento. Davide: C’era la lampadina e forse c’era di sopra la carta stagnola che era grigia e faceva più luce. Marco: Maestra, la luce faceva vedere la carta e poi il motorino (IVA) I bambini osservano la scatola al buio e commentano. (Vedi foto n° 4 pag.123). Giuseppe: Vedo buio, è tutta nera
115
Alessio: Si vede sul fondo un po’ di luce Jonathan: La luce nel fondo Stefano: Tutto buio Emmanuel: Niente, tutto nero Andrea: Tutto nero Laura: Una carta Francesca: La carta tutta nera Insegnante: Per coloro che hanno visto buio, nero o niente, mi volete spiegare perché? Emmanuel: Perché non ci andava luce. Sara: Perché con il buio non si vede niente. Daniel: Con il buio prima si vede e poi non si vede niente. Alessio: Senza la luce del sole non si può vedere. Perché mica c’erano altri buchi dove poteva entrare la luce. Salvo: Perché la scatola era chiusa. Giuseppe: Prima che noi non abbiamo messo l’occhio( nel buco), c’era un poco di luce che entrava nel buco grosso e poi noi abbiamo messo l’occhio e con la nostra ombra la luce non entrava più e la scatola era diventata più buio e quindi alcuni vediamo la luce perché forse hanno messo l’occhio male e quindi entrava la luce. Teresa: Se c’è buio, il nostro occhio non fa entrare la luce e non si vede niente. Alessio: Perché se noi mettevamo il nostro occhio vicino alla scatola, vedevamo buio perché era la nostra ombra che c’è lo impediva. Michael: Anche le nuvole coprono la luce del sole (oggetto frapposto tra la sorgente e il nostro occhio). Alessio: Noi abbiamo visto dentro la scatola perché la nostra vista ci permette di vedere. Dopo aver argomentato le risposte dei bambini l’insegnante, accende la torcia all’interno della scatola, e fa rivedere l’oggetto. Tutti i bambini rispondono di aver visto qualcosa e l’insegnante chiede perché. Giuseppe: Perché sotto c’era la luce Alessio: Perché c’era la luce artificiale e dei personaggi che riflettevano Andrea: Perché c’era la carta trasparente
116
Teresa: Perché ho visto da più lontano Chiara: Perché c’era il foglio argentato e faceva vedere la luce.
(IVB)L’insegnante fa vedere la scatola con la torcia spenta ai bambini. Alcuni di loro vedono la carta stagnola, alcuni niente, l’insegnante chiede di motivare le risposte. Giorgia: Non ho visto niente perché c’era buio. Lorenzo: Non c’era niente. Emanuele: Perché c’era buio. Molti bambini vedevano la carta stagnola con la scatola al buio perché, alcuni di loro, erano seduti in un’ala della classe molto luminosa. L’insegnante decide pertanto, di chiedere come mai riuscivano a vederla. Giovanni: Perché dietro a me c’è la finestra e il sole batte nella testa e poi negli occhi Silvia: Perché quando mi arrivava il sole negli occhi, io vedevo la carta Simone: Ho visto una cosa luminosa, come uno specchio che rifletteva. Giorgia: Maestra, è una mia teoria. Ognuno vede qualcosa: Deborah ha visto alcuni puntini, alcuni la carta stagnola e quindi ognuno ha una sua visione ottica L’insegnante: Cosa vuoi dire con visione ottica Giorgia: Maestra, ognuno ha i suoi pensieri eppure quando chiudiamo gli occhi vediamo quello che stiamo pensando e poi se stiamo vedendo nella scatola vediamo qualcosa immischiando con i pensieri si può vedere.
Giorgia voleva dire che la nostra mente elabora per avere una visione grafica. A questo punto un bambino si sofferma sulla parte esterna della scatola e dice; Gianluigi: Maestra, guarda è la carta colorata, nera però è colorata male ed è rimasta un po’ di bianco; quando c’è il bianco nel buio si vede Giovanni: Maestra, ora hai messo la scatola alla luce e si vedeva la carta stagnola L’insegnante: Come mai? Giovanni: Perché il sole giunge nel buco dell’occhio. L’insegnante, accende la torcia nella scatola e la fa vedere ai bambini Silvia: La carta stagnola si vedeva più forte perché mi ha fatto vedere i pupazzi. Salvo: Secondo me c’è una lampadina che fa vedere
117
5.4.2 La seconda attività, relativa al tema della “colore della luce”, viene sviluppata utilizzando lo stesso strumento della volta precedente: la . Questa volta però, la scatola non contiene niente e viene fatta vedere una prima volta con la torcia accesa allo scopo di verificare cosa i bambini dicono sul colore della luce, mentre una seconda volta, viene inserito un foglio trasparente color verde. Quando l’insegnante avrà raccolto le risposte più interessanti, spiegherà ai bambini cosa è avvenuto all’interno della scatola e presenta tre fogli di diverso colore illuminati dalla stessa torcia. I bambini vedranno come la luce può avere diversi colori.
(II A) L’insegnante fa osservare la scatola e tutti i bambini vedono la luce di colore giallo e chiede il perché. (Vedi foto n° 5 pag.124). Luca: Perché c’era la torcia. L’insegnante: Bambini guardiamo la lampada, è di colore bianca ma perché, dentro la scatola, abbiamo visto il giallo? Margherita: Perché la lampadina era gialla. Giuseppe: Perché la scatola è al buio. Aurora: La luce è bianca però c’è il buio. Giovanni: C’è il sole che entra nel buco e mi fa vedere il colore giallo. Luca: Perché la torcia è gialla. L’insegnante, a questo punto, esce dall’aula e inserisce un foglio colorato all’interno della scatola. I bambini, osservata la scatola, rispondono di aver visto il colore verde e quindi l’insegnante chiede il perché. Luca: Perché la torcia è verde. Giuseppe: Maestra ci sono due torce, una gialla e una verde. Giovanni: Maestra, c’è un foglio verde.
L’insegnante, per spiegare il fenomeno, prende un’altra torcia e mostra ai bambini come utilizzando dei fogli trasparenti colorati si ottengono diversi colori. Grazie a questa spiegazione dei bambini aggiungono. (Vedi foto n° 6 pag.124). Luca: Maestra, ma noi vediamo perché il foglio è trasparente Giovanni: Maestra, la luce bianca è in tutti i colori
118
Luca: La luce tocca le cose colorate.
(II B) L’insegnante fa osservare la scatola. Insegnante: Abbiamo visto la luce gialla, ma guardiamo la lampada della nostra aula è…….bianca. Allora perché guardando nella scatola avete visto il colore giallo? Clara: Perché c’è la torcia e ha sempre la luce gialla L’insegnante prende una torcia più grande e la accende, i bambini continuano ad affermare che la luce è gialla. L’insegnante fa riflettere sulla luce della torcia e la luce del sole. Marco: Maestra, se spegniamo la luce è bianca Giuseppe: E’ bianca perché non c’è niente
L’insegnante inserisce il foglio colorato (verde) all’interno della scatola. I bambini commentano. Insegnante: Abbiamo visto un altro colore, come mai? Piero: Perché hai messo un’altra lampadina Piero: Perché hai cambiato la carta Aurora: Perché la scatola la muovevi e facevi il giallo e il verde Giuseppe: Quel tubo c’era la lampadina che mi fa vedere il colore Miriam: C’era la lampadina bianca, c’era una cartoncino verde e faceva piccole luci.
L’insegnante prende tre fogli trasparenti colorati e fa vedere i diversi colori Marco: Il foglio è trasparente, per questo noi vediamo la luce verde
(IVA) L’insegnante introduce l’esperimento parlando del colore della luce che, i bambini, avevano discusso nel brainstorming. L’insegnante fa osservare la scatola. Teresa: Maestra ho visto la luce gialla perché è artificiale Daniel: Perché c’era una lampadina con un liquido che quando si fa il bottone esce la luce gialla. Michael: Perché sopra la lampada c’è uno scocth
119
Daniel: Perché c’era lo scotch giallo e con questa luce si è trasformata in gialla Giuseppe: Perché quando c’è buio, c’è l’hai presente la luce bianca? Quando c’è buio diventa gialla. Salvo: Secondo me, è trasparente, perché quando il raggio della luce, per esempio con la luce io voglio illuminare il muro, il raggio della luce non si vede ma si vede nel muro. Vincenzo: Io ho fatto una prova: ho acceso la luce e l’ho messa nel muro che era bianco e non si vedeva niente. Sara: Maestra la luce è gialla perché è artificiale. Insegnante: Non riesco a capire perché secondo altri è bianca. Teresa: La luce artificiale è bianca per l’elettricità, nella scatola infatti c’è la lampada Daniel: Secondo me quello che ha detto Vincenzo è così: quando mette la luce bianca non si vede niente perché è accesa, quando si spegne si vede tutta la luce perché c’è il buio e la lampadina illumina il buio. Sandy: Maestra, è la luce del sole che colpisce la lampada e diventa bianca. Giuseppe: Ogni lampadina ha il suo colore di luce, perché ha la luce bianca però ha tanti colori. Daniel: Maestra un giorno ho visto alla televisione che Milo ha fatto una maschera con i contorni però ha ritagliato il centro e l’ha buttata e ci ha messo una carta arancione, poi ha acceso la lampada e l’ha fatto vedere nel muro buio e si vedeva la maschera. Insegnante: Secondo te perché? Daniel: Perché questa luce, la parte arancione ha fatto entrare la luce facendo fare l’ombra. L’insegnante: Quindi la luce….. Daniel: Fa fare pure l’ombra. Perché c’è la luce, noi ci mettiamo tipo al muro e copriamo questa cosa. Alessio: Perché noi ci mettiamo di davanti, quindi la luce ci fa l’ombra Sara: Perché c’è la luce tipo di dietro e noi la copriamo e ci viene solo ai contorni.
120
A questo punto l’insegnante propone la scatola inserendo, al suo interno, il foglio colorato. I bambini indicano il colore e commentano Giuseppe: Ho visto il verde, perché nella lampada hai messo un tappo colorato Alessio: Perché hai messo un foglio o qualcosa trasparente colorato Vincenzo: Perché hai messo un cartoncino Andrea: Perché hai messo un’altra lampadina Laura: Perché hai cambiato il vetro della lampadina Daniel: Maestra, ho fatto una visita agli occhi e vedo cose al buio, c’è un vetro con tanti vetri e io devo cercare di vedere che colori vedo e tu hai cambiato il vetro. Michael: Hai messo lo scotch colorati.
L’insegnante fa vedere cosa c’è all’interno della scatola. Successivamente chiama tre bambine dando loro tre fogli colorati diversamente. Dopo l’insegnante mette due fogli colorati insieme e i bambini vedono un altro colore e commentano. (Vedi foto n° 7 e n° 8 pag.125). Sara: La luce dell’arcobaleno. Daniel: Che la luce artificiale è pure gialla se noi ci mettiamo una cosa colorata tipo trasparente non vediamo la luce quella che c’è nella lampadina, ma vediamo la luce della cosa colorata.
(IVB) L’insegnante fa vedere la scatola e i bambini vedono la luce di colore giallo, l’insegnante chiede il perché. Emanuele: Perché c’è la lampadina colorata. Giorgia: E’ la lampadina che rifletteva nella scatola e mi faceva vedere la luce gialla Salvo: Perché la lampada era accesa. L’insegnante ripropone la scatola con all’interno, il foglio trasparente verde, i bambini commentano quello che hanno visto. Filippo: Perché hai messo due lampadine Angela: Hai messo due lampadine e due foglietti Simone: Perché la luce è di tutti i colori Giorgia: Hai messo un laser verde. Giovanni: Hai messo due lampadine che si sono unite e hanno dato quel colore
121
Giorgia: Hai messo una cosa verde.
122
Foto n°1
Foto n°2
Foto n°2
123
Foto n°3
Foto n°4
124
Foto n°5
Foto n°6
125 Foto Foton°8 n°7
TEST DI VERIFICA (FASE DI POST TEST).
L’insegnante conclude il lavoro sperimentale, somministrando il test conclusivo e riepilogativo degli argomenti trattati. Per i bambini di seconda primaria, la domanda relativa alla differenza tra luce naturale e artificiale è stata elaborata come risposta chiusa, in quanto l’insegnante ha rilevato che i bambini non conoscevano i due termini anche se gli sono stati spiegati. La domanda, posta in questi termini, vuole aiutare i bambini nel rispondere, ma nello stesso tempo, verificare se hanno capito tale differenza.
126
TEST DI VERIFICA PER LE CLASSI II A/B
A) COS’E’ PER TE LA LUCE?………………………… B) COS’E’ PER TE LA LUCE NATURALE? A
LA LUCE CHE VIENE DAL SOLE
B LA LUCE CHE VIENE DA UNA LAMPADINA C NON LO SO D
………………………………………………..
B) COS’E’ PER TE LA LUCE ARTIFICIALE? A
LA LUCE CHE VIENE DAL SOLE
B LA LUCE CHE VIENE DA UNA LAMPADINA
127
C NON LO SO D ………………………………………………………………………… C) NOI VEDIAMO QUANDO….. A C’E’ LA LUCE B LA LUCE DEL SOLE COLPISCE I NOSTRI OCCHI C LA LUCE DIFFUSA DAGLI OGGETTI COLPISCE I NOSTRI OCCHI D LA LUCE E’ DIFFUSA DAGLI OGGETTI E NON LO SO F
…………………………………………………………………………
D) DI CHE COLORE E’ LA LUCE NATURALE ? ……………………………….
E) SECONDO TE, GLI OGGETTI SONO COLORATI ANCHE AL BUIO ? PERCHE’? ……………………………………………………………….
F) IL VASO IN FIGURA E’ILLUMINATO DALLA LUCE DEL SOLE. IL VASO E’ MARRONE, I FIORI ROSSI, LE FOGLIE VERDI E IL LAMPADARIO BIANCO. SE ORA SI OSCURA LA STANZA E SI ACCENDE UNA LUCE VERDE, COSA SUCCEDE AI COLORI DEGLI OGGETTI?
A
RIMANGONO
CON
IL
LORO
COLORE
NATURALE B DIVENTANO VERDI C DIVENTANO DI UN ALTRO COLORE D NON SO E …………………………………………………………………………
TEST DI VERIFICA PER LE CLASSI IV A/B A)COS’E’ PER TE LA LUCE?…………………………
B) QUAL’E’ LA DIFFERENZA TRA LA LUCE NATURALE E QUELLA ARTIFICIALE?……
C) NOI VEDIAMO QUANDO….. A C’E’ LA LUCE B LA LUCE DEL SOLE COLPISCE I NOSTRI OCCHI C LA LUCE DIFFUSA DAGLI OGGETTI COLPISCE I NOSTRI OCCHI D LA LUCE E’ DIFFUSA DAGLI OGGETTI
128
E NON LO SO F
…………………………………………………………………………
D) DI CHE COLORE E’ LA LUCE NATURALE ? ……………………………….
E) SECONDO TE, GLI OGGETTI SONO COLORATI ANCHE AL BUIO ? PERCHE’? ……………………………………………………………….
F) IL VASO IN FIGURA E’ILLUMINATO DALLA LUCE DEL SOLE. IL VASO E’ MARRONE, I FIORI ROSSI, LE FOGLIE VERDI E IL LAMPADARIO BIANCO. SE ORA SI OSCURA LA STANZA E SI ACCENDE UNA LUCE VERDE, COSA SUCCEDE AI COLORI DEGLI OGGETTI?
A
RIMANGONO
CON
IL
LORO
COLORE
NATURALE B DIVENTANO VERDI C DIVENTANO DI UN ALTRO COLORE D NON SO E …………………………………………………………………………
5.5.1 RISULTATI FASE POST-TEST. “SITUAZIONE 1” LA LUCE
CLASSE E NUMERO DI ALUNNI
129
II A/B ANALISI A-PRIORI
N46
IVA/B
N46
A1
12
A1
6
A2
15
A2
15
A3
7
A3
12
A4
1
A4
0
A5
7
A5
1
A6
3
A6
5
A7
0
A7
1
A8
0
A8
1
A9
1
A9
5
Totale
46
Totale
46
LUCE NATURALE E LUCE ARTIFICIALE CLASSE E NUMERO DI ALUNNI
II A/B ANALISI A-PRIORI
N46
IVA/B
N46
B1
8
B1
10
B2
17
B2
31
B3
0
B3
5
B4
12
B4
0
B5
3
B5
0
B6
6
B6
0
TOTALE
46
TOTALE
46
“SITUAZIONE 2”
CLASSE E NUMERO DI ALUNNI
130
II A/B ANALISI A-PRIORI
N46
IVA/B
N46
C1
29
C1
36
C2
9
C2
8
C3
2
C3
2
C4
0
C4
0
C5
6
C5
0
TOTALE
46
TOTALE
46
“SITUAZIONE 3” IL COLORE DELLA LUCE
CLASSE E NUMERO DI ALUNNI
131
II A/B ANALISI A-PRIORI
N46
IVA/B
N46
D1
28
D1
7
D2
18
D2
27
D3
0
D3
11
D4
0
D4
1
D5
0
D5
0
TOTALE
46
TOTALE
46
“AL BUIO, VEDIAMO GLI OGGETTI COLORATI?………”
CLASSE E NUMERO DI ALUNNI
II A/B ANALISI A-PRIORI
N46
IVA/B
N46
E1
12
E1
14
E2
0
E2
2
E3
6
E3
7
E4
2
E4
0
E5
6
E5
10
E6
2
E6
1
E7
28
E7
12
TOTALE
46
TOTALE
46
VI CAPITOLO ANALISI DEI DATI SPERIMENTALI 132
La ricerca che ho effettuato, ha accertato che i bambini posseggono delle concezioni spontanee, ma a volte, queste concezioni possono essere modificate grazie all’intervento dell’insegnante. Questo è stato il risultato della mia indagine; le attività in classe infatti, hanno permesso agli alunni di riflettere su alcuni fenomeni cercando di porsi degli interrogativi che venivano argomentati con l’insegnante e i compagni. Questo procedimento, a volte, ha determinato in loro un cambiamento concettuale, infatti nella fase di verifica hanno modificato le loro risposte rispetto alla fase di brainstorming. Questi dati sono stati rilevati, confrontati e illustrati attraverso delle tabelle di contingenza che, successivamente, sono state analizzate situazione per situazione. Le tabelle sono a doppia entrata . Nelle caselle totali Pre e Post test, sono riportati i numeri dei bambini che hanno dato una determinata risposta A1, A2, A3……..; B1, B2, B3……ect; rispettivamente nel Pre test e nel Post Test. In ciascuna casella sono riportati i numeri dei bambini che si sono spostati da una categoria all’altra ovvero, dal Pre al Post test.
6.1 RISULTATI PRIMA SITUAZIONE: LA LUCE. II A/B
133
Post A1
A2
A3
A4
A5
A6
A7
A8
A9
A1
12
4
0
0
0
0
0
0
0
16
A2
0
1
0
0
0
0
0
0
0
1
A3
0
4
7
0
0
0
0
0
0
11
A4
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
A5
0
5
0
0
7
0
0
0
0
12
A6
0
0
0
1
0
3
0
0
0
4
A7
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
A8
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
A9
0
1
0
0
0
0
0
0
1
2
Totale Post-test
12
15
7
1
7
3
0
0
1
46
Pre
Totale Pre-test
ANALISI DEI DATI. Nel Pre-test, 16 bambini hanno dato risposte di tipo A1, 4 bambini hanno dato risposta di tipo A2 e nessuno ha dato risposte di tipo A3, A4, A5, A6, A7, A8, A9. Nel post test, dei 16 bambini che hanno dato risposta di tipo A1, 12 hanno continuato a dare risposta di tipo A1, 4 bambini hanno dato risposta di tipo A2 e nessuno ha continuato a non dare risposte di tipo A3, A4, A5, A6, A7, A8, A9. È una piccola percentuale, ma il dato da un lato dimostra che l’intervento didattico ha fornito ai bambini dei nuovi elementi a loro sconosciuti, dall’altro mette in evidenzia l’importanza dell’attività svolta che, se fosse stata ripresa e argomentata nuovamente, avrebbe raccolto ulteriori dati. Per quanto riguarda la risposta di tipo A2, nella fase di pre test ha risposto 1 bambino che nella fase di post test ha continuato a dare la stessa risposta. Il bambino nel pre test aveva solo affermato che la luce è importante per
134
vedere; nel post test invece ha argomentato ampiamente la risposta sostenendo quanto gli siano importanti per vedere. Degli 11 bambini che nel pre test, avevano dato risposte di tipo A3, nel post test 7 bambini hanno continuato a dare risposta di tipo A3, 4 bambini hanno dato risposta di tipo A2 e nessuno ha continuato a dare risposte di tipo A1, A4, A5, A6, A7, A8, A9. Anche in questo caso, i bambini grazie all’attività svolta in classe, hanno cercato di rispondere in modo più particolare, mettendo in evidenza il fenomeno della visione. Nella fase di pre test, invece i bambini parlavano di luce come qualcosa che illumina senza fare riferimento a caratteristiche specifiche. Dei 12 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo A5, nel post test, 7 hanno continuato a segnalare la risposta di tipo A5, 5 bambini hanno dato risposta di tipo A2, nessuno risponde alle risposte di tipo A1, A3, A4, A6, A7, A8, A9. Questo risultato dimostra che alcuni bambini hanno modificato le loro concezioni; infatti mentre nella fase di pre test i bambini parlavano di luce associandola ad un oggetto , dopo l’intervento dell’insegnante, aggiungono un importante elemento ovvero . Nelle risposte di tipo E7 e E8, sia nel pre test che nel post test, nessuno ha risposto. Per finire, dei 2 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo A9, 1 bambino ha continuato nel post test a dare la stessa risposta, 1 bambino è passato alla risposta di tipo A2. Anche in questo caso, abbiamo avuto un cambiamento concettuale infatti mentre nella fase di pre test i bambini sostenevano che la luce è rappresentata dal , nel post test 1 bambino ha ritenuto più importante parlare del fenomeno visivo.
“LUCE”. IV A/B
134
135
ANALISI DEI DATI.
Post A1
A2
A3
A4
A5
A6
A7
A8
A9
A1
6
8
6
0
0
0
1
0
0
21
A2
0
3
0
0
0
0
0
0
0
3
A3
0
0
3
0
0
0
0
0
0
3
A4
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
A5
0
0
3
0
1
0
0
0
0
4
A6
0
4
0
0
0
5
0
0
0
9
A7
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
A8
0
0
0
0
0
0
0
1
0
1
A9
0
0
0
0
0
0
0
0
5
5
Pre
Totale Pre-test
Totale 6 15 12 0 1 5 1 1 5 46 Post-test Nel pre test 21 bambini hanno dato risposta di tipo A1, 3 bambini hanno dato risposta di tipo A2, 3 bambini hanno dato risposta di tipo A3; nessuno bambino ha dato risposte di tipo A4 e A7, 9 bambini hanno dato risposta di tipo A5, 9 bambini hanno dato risposta di tipo A6, 1 bambino ha dato risposta di tipo A8 e 5 bambini hanno dato risposta di tipo A9. Dei 21 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo A1, nel post test 6 bambini hanno continuato a dare risposta di tipo A1, 8 bambini hanno dato risposta di tipo A2, 6 bambini hanno dato riposta di tipo A3, 1 bambino ha dato risposta di tipo A7 e nessuno ha continuato a dare risposta di tipo A4, A5, A6, A8, A9. I bambini, dopo l’intervento didattico, hanno dimostrato di avere acquisito delle nuove conoscenze, individuando alcuni elementi fondamentali nel . 135
136
Dei 3 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo A2, nel post test, hanno continuato con la risposta di tipo A2; in questo caso l’intervento non è stato efficace perché i bambini sono rimasti ai loro modelli spontanei. Lo stesso vale per la risposta di tipo A3, anche nel post test sono rimasti 3 bambini. Nella fase di pre test nessuno aveva dato risposte di tipo A4 lo stesso dicasi per la fase di post test. Dei 4 bambini che nel pre test, avevano dato risposte di tipo A5, nel post test, 1 bambino ha continuato a dare risposta di tipo A5, 3 bambini hanno dato risposta di tipo A3. I bambini parlando di luce non si riferiscono solamente alla lampada, ma cominciano a descriverne le caratteristiche. Dei 9 bambini che nel pre test, hanno dato risposta di tipo A6, nel post test, 5 hanno dato la stessa risposta e 4 bambini hanno dato risposta di tipo A2. Anche in questo caso, si è avuto un cambiamento concettuale perché i bambini pensano al fenomeno naturale come elemento fondamentale per vedere. La risposta di tipo A7 non è stata segnalata sia nella fase di pre test che di post test. La risposta di tipo A8, nel pre test è stata data da 1 bambino che ha confermato anche nella fase di post test. Il bambino parlava di arcobaleno ma non riusciva a spiegarlo, pertanto l’insegnante ha cercato di chiarire questi dubbi. Nella fase di post test ha risposto allo stesso modo, spiegando però il fenomeno. Tuttavia si può affermare che l’intervento dell’insegnante ha consentito al bambino di fare acquisire e consolidare una nuova conoscenza. Per finire, dei 5 bambini che nel pre test, hanno dato risposta di tipo A9, nel post test, hanno continuato a dare la stessa risposta per cui si deduce che l’attività non è stata funzionale e motivante per loro. 136
137
CONFRONTO II-VI A/B. Mettendo a confronto le due classi II e IV A/B, si può affermare che i bambini di entrambe le classi, hanno subito dei cambiamenti concettuali soprattutto per quanto riguarda l’argomento inerente il . L’intervento didattico ha facilitato questo mutamento portando i bambini a capire la relazione tra .
“LUCE NATURALE E LUCE ARTIFICIALE” 137 II A/B
138
Post B1
B2
B3
B4
B5
B6
B1
8
15
0
12
3
6
44
B2
0
1
0
0
0
0
1
B3
0
1
0
0
0
0
1
B4
0
0
0
0
0
0
0
B5
0
0
0
0
0
0
0
B6
0
0
0
0
0
0
0
Totale Post-test
8
17
0
12
0
6
46
Pre
Totale Pre-test
ANALISI DEI DATI. Nel pre test, 44 bambini hanno dato risposta di tipo B1, 1 bambino ha dato risposta di tipo B2, 1 bambino ha dato risposta di tipo B3, nessuno ha dato risposta di tipo B3, B4, B5, B6. Dei 44 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo B1, nel post test, 8 hanno continuato a dare risposta di tipo B1, 15 bambini hanno dato risposta di tipo B2, nessun bambino ha continuato a dare risposta di tipo B3, 12 bambini hanno dato risposta di tipo B4, 3 bambini hanno dato risposta di tipo B5 e 6 bambini hanno dato risposta di tipo B6. Questo risultato dimostra che, l’intervento didattico, ha favorito nei bambini la curiosità in un argomento che non conoscevano. I dati dimostrano però che i bambini fanno confusione tra la luce naturale e quella artificiale, perché parlano di luce in senso generale non soffermandosi alle caratteristiche specifiche. Soltanto 1 bambino su 46, ha nel pre test, dato la risposta di tipo B2 confermandola anche nella fase di post test. Questo dimostra che il bambino conosce la 138
139
differenza tra luce naturale e artificiale, pertanto l’intervento dell’insegnante ha ulteriormente rafforzato questo modello spontaneo. La risposta di tipo A3, nel pre test è stata indicata da 1 bambino, nel post test è stata riconfermata dallo stesso bambino, quindi si deduce che la spiegazione dell’insegnante non è stata interessante. Per quanto riguarda le risposte di tipo B4, B5, B6, nessuno ha risposto sia nella fase di pre test che nella fase di post test.
“LUCE NATURALE E LUCE ARTIFICIALE” IV A/B Post B1
B2
B3
B4
B5
B6
B1
10
28
4
0
0
0
42
B2
0
3
0
0
0
0
3
B3
0
0
1
0
0
0
1
B4
0
0
0
0
0
0
0
B5
0
0
0
0
0
0
0
B6
0
0
0
0
0
0
0
Totale Post-test
10
31
5
0
0
0
46
Pre
Totale Pre-test
ANALISI DEI DATI. Nel pre test, 42 bambini hanno dato risposta di tipo B1, 3 bambini hanno dato risposta di tipo B2, 1 bambino ha dato risposta di tipo B3 e nessuno ha dato risposta di tipo B4, B5, B6. Dei 42 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo B1, nel post test 10 bambini hanno continuato a rispondere B1, 28 hanno dato risposta di tipo B2, 4 bambini
139
140
hanno dato risposta di tipo B3, nessuno ha continuato a dare risposte di tipo B4, B5, B6. L’intervento didattico è stato efficace perché i bambini hanno acquisito una nuova conoscenza riuscendo ad argomentare tale differenza in modo più approfondito. Dei 3 bambini che nel pre test, hanno dato risposta di tipo B2, nel post test hanno continuato a dare risposta di tipo B2. Il bambino conosce la differenza e ha consolidato questa concezione. Al contrario, 1 bambino non ha ricevuto utili informazioni dal colloquio con l’insegnante segnando sia nella fase di pre e post test la risposta di tipo B3.
CONFRONTO II-VI A/B. Confrontando i dati ottenuti dalle due tabelle, si può concludere che, per quanto riguarda la II A/B, l’argomento deve essere ripreso per permettere ai bambini di approfondire e consolidare concetti quali . Al contrario, nella IV A/B i bambini, grazie all’intervento dell’insegnante, hanno dimostrato di avere interiorizzato tale differenza riuscendo ad argomentare in maniera approfondita.
6.2 RISULTATI SECONDA SITUAZIONE :
140
141
II A/B Post C1
C2
C3
C4
C5
C1
14
0
0
0
0
14
C2
0
3
0
0
0
3
C3
0
0
0
0
0
0
C4
0
0
0
0
0
0
C5
15
6
2
0
6
29
Totale Post-test
29
9
2
0
6
46
Pre
Totale Pre-test
ANALISI DEI DATI. Nel pre test 14 bambini hanno dato risposta di tipo C1, 3 bambini hanno dato risposta di tipo C2, 29 bambini hanno dato risposta di tipo C5 mentre nessun bambino ha dato risposta di tipo C3 e C4. Dei 14 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo C1, nel post test hanno continuato a dare risposta di tipo C1. L’intervento didattico, non ha raggiunto validi risultati, i bambini hanno rivolto l’attenzione più all’importanza che ha la luce ha nel vedere le cose e non sulle caratteristiche del processo di visione. Dei 3 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo C2, nel post test hanno confermato la risposta però l’attività svolta in classe sulla , ha contribuito a far riflettere i bambini che la luce pervenuta dall’esterno colpisce l’occhio, rappresentato nell’attività dal buco della scatola. Da quì la segnalazione e spiegazione della risposta relativa. Tuttavia, anche se i bambini hanno risposto allo stesso modo, l’attività ha permesso loro di argomentare ampliamente il fenomeno.
141
142
L’attività poneva come obiettivo la scelta, da parte degli alunni, della risposta di tipo C3 che nel pre test non è stata segnalata da nessuno, mentre nel post test da due bambini. Il dato non è rilevante ma positivo perché ci fa capire che i bambini intuiscono questo processo che può essere interiorizzato attraverso ulteriori attività. Dei 29 bambini che hanno dato nella fase di pre test, risposta di tipo C5, nel post test, 15 bambini hanno dato risposta di tipo C1, 6 bambini di tipo C2, 2 bambini di tipo C3 e 6 bambini di tipo C5. Anche se le risposte sono state diverse, l’attività ha consentito di modificare modelli spontanei che posseggono i bambini.
IV A/B Post C1
C2
C3
C4
C5
C1
6
0
0
0
0
6
C2
0
4
0
0
0
4
C3
0
0
0
0
0
0
C4
0
0
0
0
0
0
C5
30
4
2
0
0
36
Totale Post-test
36
8
2
0
0
46
Pre
Totale Pre-test
ANALISI DEI DATI. Nel pre test 6 bambini hanno dato risposta di tipo C1, 4 bambini hanno dato risposta di tipo C2, nessun bambino ha dato risposta di tipo C3 e C4, 36 bambini hanno dato risposta di tipo C5. Nel pre test i 6 bambini che hanno dato risposta di tipo C1, nel post test, hanno continuato a indicare la risposta di tipo C1. Per i bambini di quarta, la luce è
142
143
l’unico elemento che permette di vedere senza però soffermarsi su . Dei 4 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo C2 nel post test hanno continuato a dare la stessa risposta ma, l’attività della scatola ottica, ha fornito loro nuovi elementi che hanno consentito ai bambini di capire la relazione tra . Nessuno ha continuato a dare risposta di tipo C3 e C4 anche nel post test. Dei 36 bambini che nel pre test, hanno dato risposta di tipo C5, nel post test, 30 bambini hanno dato risposta di tipo C1, 4 bambini hanno dato risposta di tipo C2 e 2 bambini di tipo C3. Possiamo pertanto affermare che l’intervento didattico ha modificato le concezioni dei bambini anche se il dato significativo sarebbe stato quello di verificare una cambiamento concettuale dalla risposta di tipo C2 alla risposta di tipo C3. Questo avrebbe dimostrato un cambiamento tra conoscenza spontanea e conoscenza scientifica.
CONFRONTO II-VI A/B. Confrontando le tabelle e i dati ricavati, si può affermare che l’attività della , ha condotto i bambini a dare delle valide spiegazioni sul fenomeno della visione. Infatti molti di loro, osservando la torcia accesa all’interno della scatola, hanno capito che la luce deve colpire l’oggetto (nel caso specifico il applicato nella parte opposta al foro) e, successivamente arrivare agli occhi. Molti bambini, infatti, dicevano che era il foglio di alluminio che permetteva di fare vedere i giocattoli, se invece non c’era il foglio, la luce colpiva la parte della scatola e faceva vedere solo i giocattoli che si trovavano di fronte alla lampada mentre gli altri non si vedevano in maniera chiara. Questo dato, inoltre, fa capire che i bambini hanno una concezione spontanea riguardo la “Propagazione della luce”, ovvero intuiscono che la luce si propaga in linea diretta.
143
144
6.3 RISULTATI TERZA SITUAZIONE :IL COLORE DELLA LUCE. II A/B Post D1
D2
D3
D4
D5
D1
15
0
0
0
0
15
D2
0
5
3
2
0
10
D3
0
0
0
0
0
0
D4
0
0
0
0
0
0
D5
1
0
0
0
20
21
Totale Post-test
16
5
3
2
20
46
Pre
Totale Pre-test
ANALISI DEI DATI. Nel pre test 15 bambini hanno dato risposta di tipo D1, 10 bambini hanno dato risposta di tipo D2, nessun bambino ha dato risposta di tipo D3 e D4, 21 bambini hanno dato risposta di tipo D5. Dei 15 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo D1, nel post test hanno continuato a dare la stessa risposta. Però, in questo caso, i bambini hanno osservato che la luce della torcia (inserita all’interno della scatola), era di colore bianca perché l’interno era foderato con cartoncini neri. Quando l’insegnante ha inserito i fogli trasparenti colorati, i bambini hanno intuito che la luce è sempre bianca ma è l’oggetto che ne determina il colore. Dei 10 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo D2, nel post test, 5 hanno continuato a dare risposta di tipo D2, 3 bambini hanno dato risposta di tipo D3 e
144
145
2 bambini di tipo D5. Questo dato dimostra che i bambini hanno seguito attentamente l’esperimento dando, successivamente, una loro interpretazione. IV A/B Post D1
D2
D3
D4
D5
D1
7
9
11
1
0
28
D2
0
18
0
0
0
18
D3
0
0
0
0
0
0
D4
0
0
0
0
0
0
D5
0
0
0
0
0
0
Totale Post-test
7
27
11
1
0
46
Pre
Totale Pre-test
ANALISI DEI DATI. Nel pre test 28 bambini hanno dato risposta di tipo D1, 18 bambini hanno dato risposta di tipo D2, nessun bambino ha dato risposta di tipo D3, D4, D5. Dei 28 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo D1, nel post test, 7 bambini hanno continuato a dare risposta di tipo D1, 9 bambini hanno dato risposta di tipo D2, 11 bambini hanno dato risposta di tipo D3, 1 bambino ha dato risposta di tipo D4, nessuno ha continuato a dare risposta di tipo D5. Per le classi quarte, l’attività svolta ha fornito degli elementi nuovi che i bambini hanno interiorizzato e argomentato in modo più specifico. Dei 18 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo D2, nel post test hanno continuato a dare la stessa risposta. L’attività, in questo caso, non è servita perché i bambini continuano a sostenere che la luce è gialla perché proviene dal sole e non danno ulteriore motivazione.
145
146
CONFRONTO II-VI A/B. Confrontando le due classi, si può affermare che l’intervento didattico su questo tema ha modificato modelli spontanei soprattutto nella classe quarta; al contrario nelle seconde l’attività doveva essere riproposta per permettere ai bambini di soffermarsi di più sul fenomeno riuscendo a dare delle risposte più significative. Il dato emerge dalla tabella in quanto si evidenzia che la metà dei bambini non hanno risposto sia nella fase di pre e post test.
. 146 II A/B 147
Post E1
E2
E3
E4
E5
E6
E7
E1
5
0
0
0
0
0
0
5
E2
0
0
0
0
0
0
0
0
E3
0
0
0
0
0
0
0
0
E4
0
0
0
1
0
0
0
1
E5
0
0
0
0
0
0
0
0
E6
0
0
0
0
0
1
0
1
E7
7
0
6
1
6
1
18
39
Totale Post-test
12
0
6
2
6
2
18
46
Pre
Totale Pre-test
Analisi dei dati. Nel pre test 5 bambini hanno dato risposta di tipo E1, nessun bambino ha dato risposta di tipo E2, E3 e E5, 1 bambino ha dato risposta di tipo E4, 1 bambino ha dato risposta di tipo E6, e 39 bambini hanno dato risposta di tipo E7. Dei 5 bambini che hanno dato risposta di tipo E1, nel post test, hanno continuato a dare la stessa risposta; lo stesso dicasi per la risposta di tipo E2 ed E3, nel post test nessun bambino ha risposto. Per quanto riguarda la risposta di tipo E4, sia nel pre e post test ha risposto soltanto 1 bambino. L’attività svolta in classe non è stata utile perché il bambino ha risposto meccanicamente senza riflettere, non tenendo in considerazione l’attività eseguita con i compagni. Anche la risposta di tipo E5 non è stata indicata sia nella fase di pre e post test. 148 147
Infine dei 39 bambini che, nella fase di pre test hanno dato risposta di tipo E7, nel post test, 18 bambini hanno continuato a dare risposta di tipo E7, 7 bambini hanno dato risposta di tipo E1, 6 di tipoE3, 1 bambino di tipo E4, 6 bambini di tipo E5 e 1 bambino di tipo E6. Questi risultati sono significativi, la metà dei bambini che nella fase di pre test non hanno risposto, nella fase di post test hanno dato svariate risposte, tuttavia anche in questo caso, l’intervento ha stimolato i modelli dei bambini, modelli che si sarebbero trasformati in conoscenze se l’intervento fosse stato riproposto.
IV A/B Post E1
E2
E3
E4
E5
E6
E7
E1
3
0
0
0
0
0
0
3
E2
0
1
0
0
0
0
0
1
E3
0
0
7
0
0
0
0
7
E4
0
0
0
0
2
0
0
2
E5
0
0
0
0
0
0
0
0
E6
0
0
0
0
0
1
0
1
E7
11
1
0
0
8
0
12
32
Totale Post-test
14
2
7
0
10
1
12
46
Pre
Totale Pre-test
Analisi dei dati. Nel pre test 3 bambini hanno dato risposta di tipo E1, 1 bambino ha dato risposta di tipo E2, 7 bambini hanno dato risposta di tipo E3, 2 bambini hanno dato risposta di tipo E4, nessun bambino ha dato risposta di tipo E5, 1 bambino ha dato risposta di tipo E6, e 32 bambini hanno dato risposta di tipo E7.
148 149
Dei 3 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo E1, nel post test, hanno continuato a dare la stessa risposta; vale anche per il bambino che aveva segnato la risposta di tipo E2 e 7 bambini che avevano segnato la risposta di tipo E3. Significativo è, invece il cambiamento che hanno avuto 2 bambini che nel pre test hanno dato risposta di tipo E4, mentre nel post test sono passati alla E5. In questo caso, l’intervento didattico ha modificato le concezioni dei bambini i quali inizialmente non riuscivano a dare una spiegazione alla domanda posta dall’insegnante, al contrario dopo l’attività i bambini hanno capito l’importanza e la relazione che esiste tra. Per quanto riguarda la risposta di tipo E6, è stata data da un bambino sia nel pre test che nel post test. Il bambino non ha riflettuto sull’attività e ha continuato a fare riferimento alle sue concezioni spontanee, nello specifico parlando di oggetti luminosi il bambino sostiene che questi possono essere visti al buio colorati solo se sono fluorescenti. Infine dei 32 bambini che nel pre test, hanno dato risposta di tipo E7, nel post test, 12 bambini hanno continuato a dare risposta di tipo E7, 11 bambini hanno dato risposte di tipo E1 e 8 bambini di tipo E5. Come nelle seconde il dato è significativo perché più della metà della classe, rispetto alla fase di pre test hanno risposto in numero maggiore.
CONFRONTO II-VI A/B. Confrontando i risultati delle due classi, posso affermare che l’intervento ha condotto i bambini ad analizzare un aspetto del fenomeno un po’ complesso. Le attività potevano essere riproposte e modificate in funzione della classe destinataria. Infatti, penso che se avessi svolto per le seconde un’attività più semplice, i risultati sarebbero stati diversi.
149 150
6.4 ANALISI QUALITATIVA DELLE RISPOSTE TRAMITE LO STUDIO DEI VIDEO. Il video realizzato durante le varie attività, è stato un valido strumento per l’analisi delle risposte da parte dei bambini. Quando si interagisce con gli alunni, infatti, può sempre sfuggire qualche loro osservazione, proprio perché si ritiene che essa non sia importante; invece analizzandola con attenzione può rilevarsi un elemento utile che può aiutare il ricercatore/insegnante a dare risposte ai suoi molteplici interrogativi. Dalla visione del video sono state scelte le risposte più significative e interessanti che evidenziano i modelli spontanei dei bambini mettendo in evidenzia come riescono a interpretare il mondo circostante dando, a volte delle motivazioni valide e singolari. Alla domanda , alcuni bambini hanno risposto: Giorgia (IVB): Per me la luce è un riflesso che viene dal sole e si espande. Analizzando questa risposta, possiamo soffermarci su due termini: . Intuitivamente la bambina capisce che la luce si propaga ma nello stesso tempo può anche riflettere. Da qui il consiglio per un insegnante di svolgere attività inerenti il fenomeno della diffusione e riflessione. Giorgia istintivamente, ha utilizzato due termini che potevano sembrare comuni, ma che invece spiegano molte cose. Giovanni (IIA): Per me la luce è un raggio che viene dal cielo. Anche la risposta di Giovanni e significativa. Il bambino specifica che il raggio viene dal cielo, per cui parla intuitivamente di propagazione della luce. Per lui la luce si propaga in linea retta, e la linea è rappresentata dal raggio. Mariella (IVA): Per me la luce è l’immenso. La risposta di Mariella, secondo me, è la più particolare di tutte perché la bambina utilizzando il termine, fa riferimento a tutto ciò che la luce può fare: fa
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vedere le cose, fa riscaldare, illumina la notte ect. Con questa risposta, Mariella ritiene che la luce sia un elemento di primaria importanza.
Passiamo alla domanda . I bambini hanno risposto: Teresa (IVA): Per me la luce è gialla perché è artificiale. Teresa fa riferimento alle lampadine colorate, ma risponde che la luce è gialla perché osserva attentamente la lampadina della torcia utilizzata dall’insegnante durante l’attività. Non si rende conto della lampada della classe che emette luce di colore bianco ma, si concentra esclusivamente sulla torcia. Francesca (IVA): Per me la luce è gialla perché sono i raggi del sole che la rendono di questo colore, ma quando apriamo la finestra la luce è bianca. Francesca intuisce che la luce naturale è bianca, ma l’elemento sole la confonde, quindi cerca di dare un ulteriore motivazione parlando della luce che emette la lampada della classe. Giovanni (IVB): Per me la luce è di tanti colori perché è trasparente. La risposta di Giovanni scaturisce dall’attività svolta in classe; il bambino ha osservato attentamente l’esperimento relativo al “Colorare la luce”. Si è reso conto che sono gli oggetti (fogli trasparenti colorati) che fanno cambiare il colore della luce.
L’ultima domanda era la seguente:< Al buio, gli oggetti sono colorati?>. Sabrina (IIB): Per me gli oggetti non si vedono perché non sono colorati. Sabrina afferma che il colore dell’oggetto è determinato dalla luce. La bambina pensa che al buio gli oggetti non sono colorati perché, nella sua concezione, il buio è anche un colore che elimina tutti gli altri.
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Miriam (IIB): Per me gli oggetti si vedono perché sono di colore forte. La risposta di Miriam fa riferimento agli oggetti fluorescenti, infatti la bambina parla della coccinella che ha nella sua stanzetta e pensa che tutti gli oggetti di quel colore si vedono al buio. Sandy (IVA): Per me gli oggetti sono colorati al buio perché sono i nostri occhi che ci permettono di vedere. La risposta di Sandy è interessante per due motivi: primo perché la bambina parla dell’importanza della luce nel vedere gli oggetti colorati, secondo perché questi oggetti possono essere visti colorati grazie agli “occhi”. Sandy dimostra di aver capito quanto la relazione Luce-oggetto-occhio, sia fondamentale. Il video ha fornito altre risposte che possono essere oggetto di ricerche successive.
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6.5 CONCLUSIONI Il mio lavoro si poneva come ipotesi generale quella di verificare se e in che modo, l’intervento didattico può modificare le concezioni spontanee possedute dai bambini. A tal fine ho organizzato della attività che cercassero di mettere in crisi questi modelli; in alcuni casi l’intervento didattico è stato efficace e funzionale allo scopo, ma solo per gli argomenti inerente . Per quanto riguarda , non ho avuto grandi risultati soprattutto nelle seconde, perché l’argomento avrebbe richiesto ulteriori attività di approfondimento. Il dato significativo riguarda, invece, l’attenzione con cui i bambini di seconda primaria hanno seguito le attività proposte dall’insegnante. Essi hanno mostrato grande interesse e curiosità, le loro concezioni spontanee sull’argomento sono andate oltre ogni mia aspettativa, inizialmente infatti, ero preoccupata per i più piccoli ma durante le attività sono stati quelli che hanno dato più informazioni. I bambini di quarta, hanno dimostrato grande partecipazione ma, durante le varie attività sono stati più superficiali non ponendo l’attenzione su alcuni aspetti rilevanti. Questo dato dimostra che l’ambito fisico, deve iniziare dalla scuola dell’infanzia; si deve cercare di fare capire ai bambini che tutto ciò che avviene ha una spiegazione. L’importante è che il bambino inizi a porsi delle domande, manifestare le sue opinioni e con il tempo e l’aiuto esterno riuscire ad acquisire sempre più conoscenze. La mia ricerca ha, però, lasciato dei problemi aperti che potrebbero essere successivamente indagati; primo fra tutti riguarda il concetto di “Luce”. Per molti bambini la luce è non solo riferita alla lampada ma a tutti gli elettrodomestici. Questo dato è stato rilevato in entrambe le fasce d’età, quindi sarebbe interessante capire perché i bambini rispondono in questo modo. Per quanto riguarda il
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, sarebbe interessante capire perché i bambini rispondono subito gialla anziché bianca, e per finire altro elemento di futura indagine, riguarda i tre fenomeni della luce: Propagazione- Rifrazione – Riflessione. Durante le attività i bambini mi hanno dato diversi input sull’argomento della , quindi sarebbe interessante indagare sulle loro concezioni in riferimento a questi temi. In conclusione posso affermare che, l’ambito fisico è ricco di spunti di osservazione e di analisi perché affronta fenomeni del mondo circostante. I dialoghi dei bambini con l’insegnante riguardo questi fenomeni devono trovare più spazi, la sperimentazione ha offerto questa opportunità ma se questi bambini avessero partecipato ad una sperimentazione annuale, avrebbero meglio e più facilmente iniziato il percorso di trasformazione delle loro conoscenze spontanee in conoscenze scientifiche.
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ALLEGATI RISULTATI PRIMA DOMANDA FASE PRE-TEST.
LEGGENDA DATI TABELLA
A1 A.2A.1 A.2A.2 A.2A.3 A.2A.4 A.2A.5 A.2A.6 A.2A.7 A.2A.8 A.2A.9 A.2A.10 A.2A.11 A.2A.12 A.2A.13. A.2A.14 A.2A.15 A.2A.16 A.2A.17 A.2A.18 A.2A.19 A.2A.20 A.2A.21 A.2A.22 A.2A.23 A.2B.1 A.2B.2 A.2B.3 A.2B.4 A.2B.5 A.2B.6 A.2B.7 A.2B.8 A.2B.9 A.2B.10 A.2B.11 A.2B.12 A.2B.13 A.2B.14 A.2B.15 A.2B.16
A2 0 0 1 1 1 0 0 0 1 0 1 0 1 0 0 1 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 1 1 1 1
A…1,2,3…
2A – 4A
1,2,3,4…
RISPOSTA ADOTTATA
CLASSE E SEZIONE
ALUNNI
A3 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0
A4 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0
A5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
A6 0 0 0 0 0 0 0 1 0 1 0 1 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 0 0 1 0 1 0 1 0 0 0 0 0 0
A7 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
A8 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
A9 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2 0 0 0
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A.2B.17 A.2B.18 A.2B.19 A.2B.20 A.2B.21 A.2B.22 A.2B.23 A.4A.1 A.4A.2 A.4A.3 A.4A.4 A.4A.5 A.4A.6 A.4A.7 A.4A.8 A.4A.9 A.4A.10 A.4A.11 A.4A.12 A.4A.13. A.4A.14 A.4A.15 A.4A.16 A.4A.17 A.4A.18 A.4A.19 A.4A.20 A.4A.21 A.4A.22 A.4A.23 A.4A.24 A.4B.1 A.4B.2 A.4B.3 A.4B.4 A.4B.5 A.4B.6 A.4B.7 A.4B.8 A.4B.9 A.4B.10 A.4B.11 A.4B.12 A.4B.13 A.4B.14 A.4B.15 A.4B.16 A.4B.17 A.4B.18 A.4B.19
0 0 1 0 1 0 0 0 1 1 0 0 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 0 1 1 0 0 1 0 1 0 1
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0
0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 0 0 1 0 0 0 0 1 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
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A.4B.20 A.4B.21 A.4B.22
0 0 0
0 0 0
0 0 0
0 0 0
0 0 0
1 0 0
0 0 0
0 0 0
0 0 0
RISULTATI SECONDA DOMANDA FASE PRE-TEST.
B1 B.2A.1 B.2A.2 B.2A.3 B.2A.4 B.2A.5 B.2A.6 B.2A.7 B.2A.8 B.2A.9 B.2A.10 B.2A.11 B.2A.12 B.2A.13. B.2A.14 B.2A.15 B.2A.16 B.2A.17 B.2A.18 B.2A.19 B.2A.20 B.2A.21 B.2A.22 B.2A.23 B.2B.1 B.2B.2 B.2B.3 B.2B.4 B.2B.5 B.2B.6 B.2B.7 B.2B.8 B.2B.9 B.2B.10 B.2B.11 B.2B.12 B.2B.13 B.2B.14 B.2B.15 B.2B.16 B.2B.17 B.2B.18 B.2B.19
B2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0
B3 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
B4 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
B5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
B6 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
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B.2B.20 B.2B.21 B.2B.22 B.2B.23 B.4A.1 B.4A.2 B.4A.3 B.4A.4 B.4A.5 B.4A.6 B.4A.7 B.4A.8 B.4A.9 B.4A.10 B.4A.11 B.4A.12 B.4A.13. B.4A.14 B.4A.15 B.4A.16 B.4A.17 B.4A.18 B.4A.19 B.4A.20 B.4A.21 B.4A.22 B.4A.23 B.4A.24 B.4B.1 B.4B.2 B.4B.3 B.4B.4 B.4B.5 B.4B.6 B.4B.7 B.4B.8 B.4B.9 B.4B.10 B.4B.11 B.4B.12 B.4B.13 B.4B.14 B.4B.15 B.4B.16 B.4B.17 B.4B.18 B.4B.19 B.4B.20 B.4B.21 B.4B.22
1 1 1 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 1 1 0 0 1 1
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
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RISULTATI TERZA DOMANDA FASE PRE-TEST. C1 C.2A.1 C.2A.2 C.2A.3 C.2A.4 C.2A.5 C.2A.6 C.2A.7 C.2A.8 C.2A.9 C.2A.10 C.2A.11 C.2A.12 C.2A.13. C.2A.14 C.2A.15 C.2A.16 C.2A.17 C.2A.18 C.2A.19 C.2A.20 C.2A.21 C.2A.22 C.2A.23 C.2B.1 C.2B.2 C.2B.3 C.2B.4 C.2B.5 C.2B.6 C.2B.7 C.2B.8 C.2B.9 C.2B.10 C.2B.11 C.2B.12 C.2B.13 C.2B.14 C.2B.15 C.2B.16 C.2B.17 C.2B.18 C.2B.19 C.2B.20 C.2B.21 C.2B.22
C2 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0 0 1 0 1 0 0 0 0 0 1 0 1 1 1 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0
C3 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
C4 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
C5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1 0 0 1 0 0 1 0 1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 1 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0
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C.2B.23 C.4A.1 C.4A.2 C.4A.3 C.4A.4 C.4A.5 C.4A.6 C.4A.7 C.4A.8 C.4A.9 C.4A.10 C.4A.11 C.4A.12 C.4A.13. C.4A.14 C.4A.15 C.4A.16 C.4A.17 C.4A.18 C.4A.19 C.4A.20 C.4A.21 C.4A.22 C.4A.23 C.4A.24 A.4B.1 C.4B.2 C.4B.3 C.4B.4 C.4B.5 C.4B.6 C.4B.7 C.4B.8 C.4B.9 C.4B.10 C.4B.11 C.4B.12 C.4B.13 C.4B.14 C.4B.15 C.4B.16 C.4B.17 C.4B.18 C.4B.19 C.4B.20 C.4B.21 C.4B.22
0 0 0 0 1 0 1 0 0 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 0 1 1 0 0 1 1 1 1 1 1 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
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RISULTATI QUARTA DOMANDA FASE PRE-TEST. D1 D.2A.1 D2A.2 D.2A.3 D.2A.4 D.2A.5 D.2A.6 D.2A.7 D.2A.8 D.2A.9 D.2A.10 D.2A.11 D.2A.12 D.2A.13. D.2A.14 D.2A.15 D.2A.16 D.2A.17 D.2A.18 D.2A.19 D.2A.20 D.2A.21 D.2A.22 D.2A.23 D.2B.1 D.2B.2 D.2B.3 D.2B.4 D.2B.5 D.2B.6 D.2B.7 D.2B.8 D.2B.9 D.2B.10 D.2B.11 D.2B.12 D.2B.13 D.2B.14 D.2B.15 D.2B.16 D.2B.17 D.2B.18 D.2B.19 D.2B.20 D.2B.21 D.2B.22
D2 1 1 1 1 1 0 1 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 1 0 0 0 1 1 1 0 0 1 0 0 1 0 0
D3 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 1 1 0 0
D4 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
D5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 1 1 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 1 0 0 1 0 0 1 0 1 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 1 1 1 0 0 0 1 0 0 0 1 1
162
D.2B.23 D.4A.1 D.4A.2 D.4A.3 D.4A.4 D.4A.5 D.4A.6 D.4A.7 D.4A.8 D.4A.9 D.4A.10 D.4A.11 D.4A.12 D.4A.13. D.4A.14 D.4A.15 D.4A.16 D.4A.17 D.4A.18 D.4A.19 D.4A.20 D.4A.21 D.4A.22 D.4A.23 D.4A.24 D.4B.1 D.4B.2 D.4B.3 D.4B.4 D.4B.5 D.4B.6 D.4B.7 D.4B.8 D.4B.9 D.4B.10 D.4B.11 D.4B.12 D.4B.13 D.4B.14 D.4B.15 D.4B.16 D.4B.17 D.4B.18 D.4B.19 D.4B.20 D.4B.21 D.4B.22
0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 1 1 1 1 1 0 0 1 0 1 1 1 1 0 1 0 1 1 1 0 0 1 0 0 1 1 1 1
0 0 1 1 1 1 1 0 0 0 1 1 1 0 0 0 1 1 1 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 1 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
163
RISULTATI QUINTA DOMANDA FASE PRE TEST. E1 E.2A.1 E.2A.2 E.2A.3 E.2A.4 E.2A.5 E.2A.6 E.2A.7 E.2A.8 E.2A.9 E.2A.10 E.2A.11 E.2A.12 E.2A.13. E.2A.14 E.2A.15 E.2A.16 E.2A.17 E.2A.18 E.2A.19 E.2A.20 E.2A.21 E.2A.22 E.2A.23 E.2B.1 E.2B.2 E.2B.3 E.2B.4 E.2B.5 E.2B.6 E.2B.7 E.2B.8 E.2B.9 E.2B.10 E.2B.11 E.2B.12 E.2B.13 E.2B.14 E.2B.15 E.2B.16 E.2B.17 E.2B.18 E.2B.19 E.2B.20 E.2B.21
E2 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0
E3 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
E4 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
E5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
E6 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
E7 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
164
E.2B.22 E.2B.23 E.4A.1 E.4A.2 E.4A.3 E.4A.4 E.4A.5 E.4A.6 E.4A.7 E.4A.8 E.4A.9 E.4A.10 E.4A.11 E.4A.12 E.4A.13. E.4A.14 E.4A.15 E.4A.16 E.4A.17 E.4A.18 E.4A.19 E.4A.20 E.4A.21 E.4A.22 E.4A.23 E.4A.24 E.4B.1 E.4B.2 E.4B.3 E.4B.4 E.4B.5 E.4B.6 E.4B.7 E.4B.8 E.4B.9 E.4B.10 E.4B.11 E.4B.12 E.4B.13 E.4B.14 E.4B.15 E.4B.16 E.4B.17 E.4B.18 E.4B.19 E.4B.20 E.4B.21
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 0 1 0 0 1 0 0 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1 1 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 0
165
E.4B.22
0
0
0
0
0
0
0
RISULTATI PRIMA DOMANDA FASE POST-TEST. A1 A.2A.1 A.2A.2 A.2A.3 A.2A.4 A.2A.5 A.2A.6 A.2A.7 A.2A.8 A.2A.9 A.2A.10 A.2A.11 A.2A.12 A.2A.13. A.2A.14 A.2A.15 A.2A.16 A.2A.17 A.2A.18 A.2A.19 A.2A.20 A.2A.21 A.2A.22 A.2A.23 A.2B.1 A.2B.2 A.2B.3 A.2B.4 A.2B.5 A.2B.6 A.2B.7 A.2B.8 A.2B.9 A.2B.10 A.2B.11 A.2B.12 A.2B.13 A.2B.14 A.2B.15 A.2B.16 A.2B.17 A.2B.18 A.2B.19 A.2B.20
A2 0 0 1 1 1 0 0 0 1 0 1 0 1 0 0 1 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0
A3 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 0 1 0 0 1 1 0 0 1 1 1 0 1 1
A4 0 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0
A5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
A6 0 0 0 0 0 0 0 1 0 1 0 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
A7 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
A8 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
A9 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
166
A.2B.21 A.2B.22 A.2B.23 A.4A.1 A.4A.2 A.4A.3 A.4A.4 A.4A.5 A.4A.6 A.4A.7 A.4A.8 A.4A.9 A.4A.10 A.4A.11 A.4A.12 A.4A.13. A.4A.14 A.4A.15 A.4A.16 A.4A.17 A.4A.18 A.4A.19 A.4A.20 A.4A.21 A.4A.22 A.4A.23 A.4A.24 A.4B.1 A.4B.2 A.4B.3 A.4B.4 A.4B.5 A.4B.6 A.4B.7 A.4B.8 A.4B.9 A.4B.10 A.4B.11 A.4B.12 A.4B.13 A.4B.14 A.4B.15 A.4B.16 A.4B.17 A.4B.18 A.4B.19 A.4B.20 A.4B.21 A.4B.22
1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1 1 1 0 0 1 1 0 0 1 0 0 0 1 1 1 0 0 1 0 1 1 1 0 1 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 0 0 0 1 1 0 1 1 1 1 0 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 0 1 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0
167
RISULTATI SECONDA DOMANDA FASE POST-TEST. B1 B.2A.1 B.2A.2 B.2A.3 B.2A.4 B.2A.5 B.2A.6 B.2A.7 B.2A.8 B.2A.9 B.2A.10 B.2A.11 B.2A.12 B.2A.13. B.2A.14 B.2A.15 B.2A.16 B.2A.17 B.2A.18 B.2A.19 B.2A.20 B.2A.21 B.2A.22 B.2A.23 B.2B.1 B.2B.2 B.2B.3 B.2B.4 B.2B.5 B.2B.6 B.2B.7 B.2B.8 B.2B.9 B.2B.10 B.2B.11 B.2B.12 B.2B.13 B.2B.14 B.2B.15 B.2B.16 B.2B.17 B.2B.18 B.2B.19 B.2B.20 B.2B.21 B.2B.22 B.2B.23
B2 1 1 1 1 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0
B3 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 1 1 1 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0
B4 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
B5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 1 1 1 0 0 1 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
B6 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 0 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
168
B.4A.1 B.4A.2 B.4A.3 B.4A.4 B.4A.5 B.4A.6 B.4A.7 B.4A.8 B.4A.9 B.4A.10 B.4A.11 B.4A.12 B.4A.13. B.4A.14 B.4A.15 B.4A.16 B.4A.17 B.4A.18 B.4A.19 B.4A.20 B.4A.21 B.4A.22 B.4A.23 B.4A.24 B.4B.1 B.4B.2 B.4B.3 B.4B.4 B.4B.5 B.4B.6 B.4B.7 B.4B.8 B.4B.9 B.4B.10 B.4B.11 B.4B.12 B.4B.13 B.4B.14 B.4B.15 B.4B.16 B.4B.17 B.4B.18 B.4B.19 B.4B.20 B.4B.21 B.4B.22
1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0
1 0 1 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 1 0 0 0 1 1 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
169
RISULTATI TERZA DOMANDA FASE POST-TEST. C1 C.2A.1 C.2A.2 C.2A.3 C.2A.4 C.2A.5 C.2A.6 C.2A.7 C.2A.8 C.2A.9 C.2A.10 C.2A.11 C.2A.12 C.2A.13. C.2A.14 C.2A.15 C.2A.16 C.2A.17 C.2A.18 C.2A.19 C.2A.20 C.2A.21 C.2A.22 C.2A.23 C.2B.1 C.2B.2 C.2B.3 C.2B.4 C.2B.5 C.2B.6 C.2B.7 C.2B.8 C.2B.9 C.2B.10 C.2B.11 C.2B.12 C.2B.13 C.2B.14 C.2B.15 C.2B.16 C.2B.17 C.2B.18 C.2B.19 C.2B.20 C.2B.21 C.2B.22 C.2B.23 C.4A.1
C2 1 1 1 1 1 0 1 1 1 0 0 0 1 1 0 1 1 1 1 1 0 1 1 1 1 1 0 1 0 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1
C3 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1 1 1 0 0 1 0 0 0 0 1 0 1 1 0 0 0 0 0 0
C4 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0 0 0
C5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 1 0 0 0 0 1 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0
170
C.4A.2 C.4A.3 C.4A.4 C.4A.5 C.4A.6 C.4A.7 C.4A.8 C.4A.9 C.4A.10 C.4A.11 C.4A.12 C.4A.13. C.4A.14 C.4A.15 C.4A.16 C.4A.17 C.4A.18 C.4A.19 C.4A.20 C.4A.21 C.4A.22 C.4A.23 C.4A.24 A.4B.1 C.4B.2 C.4B.3 C.4B.4 C.4B.5 C.4B.6 C.4B.7 C.4B.8 C.4B.9 C.4B.10 C.4B.11 C.4B.12 C.4B.13 C.4B.14 C.4B.15 C.4B.16 C.4B.17 C.4B.18 C.4B.19 C.4B.20 C.4B.21 C.4B.22
1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 1 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 1 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
171
RISULTATI QUARTA DOMANDA FASE POST-TEST. D1 D.2A.1 D2A.2 D.2A.3 D.2A.4 D.2A.5 D.2A.6 D.2A.7 D.2A.8 D.2A.9 D.2A.10 D.2A.11 D.2A.12 D.2A.13. D.2A.14 D.2A.15 D.2A.16 D.2A.17 D.2A.18 D.2A.19 D.2A.20 D.2A.21 D.2A.22 D.2A.23 D.2B.1 D.2B.2 D.2B.3 D.2B.4 D.2B.5 D.2B.6 D.2B.7 D.2B.8 D.2B.9 D.2B.10 D.2B.11 D.2B.12 D.2B.13 D.2B.14 D.2B.15 D.2B.16 D.2B.17 D.2B.18 D.2B.19 D.2B.20 D.2B.21 D.2B.22 D.2B.23
D2 1 1 1 1 1 0 1 1 1 1 1 1 1 1 0 1 0 1 1 1 1 1 1 0 0 1 1 0 0 0 1 0 0 0 1 1 1 0 0 1 0 0 1 0 0 0
D3 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 1 1 0 0 0
D4 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
D5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
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D.4A.1 D.4A.2 D.4A.3 D.4A.4 D.4A.5 D.4A.6 D.4A.7 D.4A.8 D.4A.9 D.4A.10 D.4A.11 D.4A.12 D.4A.13. D.4A.14 D.4A.15 D.4A.16 D.4A.17 D.4A.18 D.4A.19 D.4A.20 D.4A.21 D.4A.22 D.4A.23 D.4A.24 D.4B.1 D.4B.2 D.4B.3 D.4B.4 D.4B.5 D.4B.6 D.4B.7 D.4B.8 D.4B.9 D.4B.10 D.4B.11 D.4B.12 D.4B.13 D.4B.14 D.4B.15 D.4B.16 D.4B.17 D.4B.18 D.4B.19 D.4B.20 D.4B.21 D.4B.22
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 1 0 0 0 0 0 1 0 0 0
0 1 1 1 1 1 0 0 0 1 1 1 0 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 1 0 0 0 0 1 0 1 1 1 1 1 1 1 1 0 1 1 1 1 1 0 0
0 0 0 1 1 0 0 1 1 0 0 1 0 1 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
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RISULTATI QUINTA DOMANDA FASE POST-TEST. E1 E.2A.1 E.2A.2 E.2A.3 E.2A.4 E.2A.5 E.2A.6 E.2A.7 E.2A.8 E.2A.9 E.2A.10 E.2A.11 E.2A.12 E.2A.13. E.2A.14 E.2A.15 E.2A.16 E.2A.17 E.2A.18 E.2A.19 E.2A.20 E.2A.21 E.2A.22 E.2A.23 E.2B.1 E.2B.2 E.2B.3 E.2B.4 E.2B.5 E.2B.6 E.2B.7 E.2B.8 E.2B.9 E.2B.10 E.2B.11 E.2B.12 E.2B.13 E.2B.14 E.2B.15 E.2B.16 E.2B.17 E.2B.18 E.2B.19
E2 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 0 0 1 1 1 0 1 1 1 0 0 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0 1
E3 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
E4 0 0 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
E5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
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0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0
174
E.2B.20 E.2B.21 E.2B.22 E.2B.23 E.4A.1 E.4A.2 E.4A.3 E.4A.4 E.4A.5 E.4A.6 E.4A.7 E.4A.8 E.4A.9 E.4A.10 E.4A.11 E.4A.12 E.4A.13. E.4A.14 E.4A.15 E.4A.16 E.4A.17 E.4A.18 E.4A.19 E.4A.20 E.4A.21 E.4A.22 E.4A.23 E.4A.24 E.4B.1 E.4B.2 E.4B.3 E.4B.4 E.4B.5 E.4B.6 E.4B.7 E.4B.8 E.4B.9 E.4B.10 E.4B.11 E.4B.12 E.4B.13 E.4B.14 E.4B.15 E.4B.16 E.4B.17 E.4B.18 E.4B.19
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 1 0 0 1 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0 0 1 0 0 1 0 0 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 0 0 0 1 0 0 0 1 0 0 0 1 1 0 0 1 0 0 0 1 0 0 1 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 1 1 0 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
175
E.4B.20 E.4B.21 E.4B.22
0 0 0
0 0 0
0 0 0
0 0 0
0 0 0
0 0 0
0 0 0
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