LEZIONE 16 ottobre 2013
IMPRESA E PROFESSIONI INTELLETTUALI: I liberi professionisti (avvocati, dottori commercialisti notai ecc.) non sono mai in quanto tali imprenditori. L’art. 2238 c.c. stabilisce infatti che le disposizioni in tema di impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se “ l’esercizio della professione costituisce elemento di una attività organizzata in forma di impresa”. E’ il caso del medico che gestisce una clinica privata nella quale opera, o del professore titolare di una scuola privata nella quale insegna. In questi casi si è in presenza di due distinte attivitàintellettuale e di impresa- e troveranno perciò applicazione nei confronti dello stesso soggetto sia la disciplina specifica dettata per la professione intellettuale (es. necessità di iscrizione ad albi professionali), sia la disciplina dell’impresa. Il professionista intellettuale che si limita a svolgere la propria attività non diventa mai imprenditore (anche quando si avvalga di vari collaboratori). Considerato che i requisiti propri dell’attività di impresa possono ricorrere anche nell’esercizio delle professioni intellettuali, non è facile trovare una spiegazione del motivo per cui i professionisti non diventino imprenditori. Infatti, come dimostrato nella scorsa lezione, l’attività dei professionisti è attività produttiva di servizi, di regola condotta con metodo economico e, anzi, a scopo di lucro. È inoltre attività nella quale l’organizzazione di capitale e di altrui prestazioni lavorative può assumere rilievo preminente rispetto alla prestazione d’opera intellettuale del professionista (es. studio del radiologo o del dentista e del centro di analisi cliniche). 1
Quindi si può dire che i professionisti non sono imprenditori per scelta del legislatore.
Scelta
ispirata
dalla
particolare
considerazione
sociale
che
tradizionalmente circonda le professioni intellettuali e che ha indotto il legislatore a dettare per le stesse uno statuto specifico (artt. 2229-2238). In particolare, l’art. 2232 c.c. sancisce il carattere personale dell’attività del professionista, imponendo che il prestatore d’opera intellettuale esegua personalmente l’incarico assunto, mentre l’art. 2233 stabilisce che il compenso debba essere adeguato al decoro della professione, oltre che all’importanza dell’opera. La principale preclusione all’esercizio, in forma societaria, delle professioni intellettuali era rappresentata dalla L. 1815/1939 che all’art. 2 vietava la costituzione e l’esercizio di società di società, agenzie o enti aventi lo scopo di dare ai propri consociati o ai terzi, prestazioni di assistenza tecnica, legale, commerciale, amm.va e tributaria. Tali professioni possono essere svolte solo sotto la dizione di “studio”. Il moderno esercizio dell’attività professionale, spesso caratterizzato dall’ingente investimento dei capitali, ha reso ormai anacronistica la scelta politica del codice del 1942, sollecitando una modifica dell’ordinamento, come del resto già avvenuto in altri paesi dell’Unione europea. Un primo cambiamento si è verificato con l’art. 24 della L. 266/1997 (C.d. Legge Bersani) che ha abrogato espressamente l citato art. 2 della legge 1815/1939, consentendo l’esercizio delle professioni intellettuali in forma societaria e demandando ad un regolamento interministeriale l’attuazione pratica del nuovo fenomeno.
2
Il legislatore nei singoli interventi in materia ha optato per modelli societari in cui prevale l’elemento personalistico in quanto la società, come il singolo professionista, deve rimanere illimitatamente responsabile nei confronti del cliente.
SOCIETA' TRA AVVOCATI Uno degli interventi legislativi atti a disciplinare la materia ha portato all’emanazione del D.Lgs. 2 febbraio 2001 n.96 che al titolo II, art.16 e segg. disciplina l'esercizio della professione forense in forma societaria precisando che la società tra avvocati è regolamentata dalle norme dello stesso titolo II della legge e, "ove non diversamente disposto, dalle norme che regolano la società in nome collettivo di cui al capo III del titolo V del codice civile". Invero, va rilevato che l'attività svolta dalle società tra avvocati è comunque un'attività di tipo professionale - secondo quanto chiarito nella relazione governativa -ed è caratterizzata dalla prestazione di servizi in tutto e per tutto analoghi a quelli espletati dal libero professionista singolo. In sostanza, accanto all'associazione professionale prevista dalla L.23 novembre 1939 n.1815, sorge una nuova figura, che costituisce un'entità giuridica distinta da quella dei singoli soci che la compongono: la società, infatti, è iscritta all'albo, riceve l'incarico professionale, percepisce il compenso, risponde con il suo patrimonio. Ciò posto , devesi evidenziare che con il D.lgs.96/2001 il legislatore non ha affrontato il problema della disciplina normativa applicabile sotto i profili fiscale e previdenziale a tale tipologia societaria , limitandosi ad un generico rinvio "alle società
in
nome
collettivo
di
cui
3
...al
codice
civile
"
.
Il decreto legislativo individua una speciale forma societaria per l'attività dei legali gestita collettivamente. Si tratta della società tra professionisti che ricalca i tratti tipici delle società di persone, integrati dalla particolare fiduciarietà della prestazione nei confronti del cliente. E’ esclusa quindi la forma delle società di capitali pur auspicata in alcuni ambienti del ceto forense. La corrispondenza della società tra professionisti con la società di persone si coglie nella regola di responsabilità illimitata dell’avvocato che svolge l’incarico all’interno della società. Non a caso viene richiamata esplicitamente la società in nome collettivo come forma societaria modello. Sono ammessi a partecipare alle società tra professionisti solo gli avvocati iscritti all’albo. Non può esistere un socio non avvocato neppure per trasferimento della quota a qualunque titolo essa avvenga (vendita, morte) pur ammettendosi che la società possa essere continuata con gli eredi dell’avvocato defunto, ma solo se abbiano il titolo professionale. Le società tra avvocati sono amministrate dai soci-avvocati congiuntamente o disgiuntamente: sarà lo statuto della società a deciderlo. Nei rapporti con i clienti la forma societaria non esclude la fiduciarietà del rapporto, in particolare il cliente ha il diritto di scegliersi l'avvocato, anzi la società ha l'obbligo di presentare una lista dei soci professionisti con l'indicazione delle loro specializzazioni. Tra questi il cliente potrà liberamente optare senza possibilità alcuna di ingerenza. Si precisa che questa scelta così come la preliminare consegna della lista dei professionisti deve risultare da un atto scritto. Si formalizza quindi il momento della scelta che può coincidere in sostanza con il conferimento della procura alle liti. L’individuazione degli avvocati incaricati da parte del cliente ha anche l'effetto di riservare a costoro il regime di responsabilità illimitata per l'attività 4
professionale svolta ( invece per le obbligazioni sociali non professionali rispondono tutti i soci). In caso il cliente non scelga, sarà la società a individuare il professionista che svolgerà l’incarico (e a questo punto non opera la riserva di responsabilità). I compensi per l’attività svolta dai soci professionisti rappresentano un credito della società. Questo significa che il rapporto contrattuale, distinto dalla procura alla lite, intercorra tra il cliente e la società. Un aspetto delicato riguarda il caso in cui la prestazione venga svolta non da un solo avvocato ma da più avvocati della stessa società. La regola generale e che è dovuto un solo compenso. Tuttavia il cliente potrà accettare di retribuire ciascun avvocato incaricato corrispondendo alla società tanti compensi quanti professionisti lo hanno seguito. La società tra avvocati costituisce una forma speciale di impresa, soggetta all'iscrizione nel registro impresa, ancorché in una sezione speciale. La specialità di tale impresa si coglie soprattutto per il fatto che non è soggetta a fallimento. Non valgono quindi le procedure concorsuali nel caso di insolvenza. I debitori potranno attivare la responsabilità patrimoniale della società nonché la responsabilità illimitata di tutti i soci nei casi previsti. La società tra legali viene iscritta in una sezione speciale dell'albo degli avvocati ed è soggetta a responsabilità disciplinare, così come lo sono personalmente gli avvocati soci.
- Le categorie di imprenditori: Come già detto nella precedentemente lezione, il legislatore distingue tra imprenditore commerciale e agricolo, piccolo e grande imprenditore, imprenditore individuale e impresa collettiva. a) L’IMPRENDITORE AGRICOLO: 5
ai sensi dell’art. 2135 possono individuarsi due categorie di attività agricole: quelle essenziali e quelle per connessione. Le prime sono quelle dirette alla “coltivazione del fondo, alla selvicoltura, all’allevamento di animali” e, come specifica il secondo comma, quelle attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale, o animale che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”. Lo stesso art. 2135 attribuisce la qualità di imprenditore agricolo a chi esercita attività connesse a quelle di coltivazione, selvicoltura e allevamento di animali. La connessione deve sussistere anche sul piano soggettivo, nel senso che deve esserci identità tra l’esercente l’attività agricola essenziale e l’esercente l’attività agricola per connessione (es. non è imprenditore agricolo chi vende prodotti agricoli altrui). L’imprenditore agricolo è sottratto alla più rigida disciplina dettata per l’imprenditore commerciale. In via generale, l’imprenditore agricolo che esercita l’attività agricola resta fuori dalla possibile applicazione delle procedure concorsuali. Naturalmente un’impresa agricola, o meglio la sua azienda, può essere assoggettata al fallimento nel caso in cui il titolare sia imprenditore
commerciale
in
basa
ad
altra
e
diversa
attività
imprenditoriale. b) L’IMPRENDITORE COMMERCIALE: Sono imprenditori commerciali coloro che non esercitano un’attività agricola (criterio di esclusione, o negativo), ovvero coloro che svolgono una delle attività indicate dall’art. 2195 c.c. (criterio positivo), cioè un’attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi, un’attività di intermediazione nella circolazione dei beni, un’attività di trasporto, 6
un’attività bancaria o assicurativa, o altre attività ausiliari delle precedenti (es. imprese di agenzia). C) IL PICCOLO IMPRENDITORE: In base al criterio della dimensione di cui abbiamo parlato, si contrappone al grande imprenditore la categoria del piccolo imprenditore. Il piccolo impr. non è sottoposto al c.d. statuto dell’imprenditore commerciale, pertanto deve iscriversi alla sezione speciale del registro delle imprese ai soli fini della certificazione anagrafica e pubblicità notizia e non è obbligato alla tenuta delle scritture contabili. Sono considerati piccoli imprenditori: -coltivatori diretti del fondo; -gli artigiani; -i piccoli commercianti; -coloro
che
esercitano
un’attività
professionale
organizzata
prevalentemente con il loro lavoro o con il lavoro dei componenti della famiglia. Perché si abbia impresa di piccole dimensioni è dunque necessario: - Che l’imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa; - Che il lavoro dell’imprenditore e dei suoi familiari prevalga sia rispetto ad eventuali prestazioni lavorative di terzi, sia rispetto all’organizzazione dei beni capitali. Per valutare tale prevalenza dovrà adattarsi un criterio qualitativo funzionale, quale ad esempio il capitale investito. Pertanto non sarà qualificabile piccolo imprenditore colui che, pur esercitando l’attività prevalentemente con il proprio lavoro, utilizza ingenti capitali.
- L’IMPRESA FAMILIARE: 7
L’art. 230 bis c.c. delinea un nuovo modello di attività imprenditoriale, cioè l’impresa agricola o commerciale in cui collaborano in modo continuativo il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo.
8