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Geografia
GRANTA ITALIA Testata registrata al Tribunale di Milano con il numero 186 Edita da RCS Libri, Via Angelo Rizzoli 8, 20132 Milano Stampata da ERRESTAMPA S.r.l., Orio al Serio (BG) Direttore responsabile: Massimo Turchetta
Pubblicato su licenza di Granta Publications, 12 Addison Avenue, London W11 4QR, UK © Granta Publications 2015, © RCS Libri 2015 Il confine © 2015 by Jhumpa Lahiri; Invito al viaggio in Val di Susa © 2015 by Wu Ming 1 / Published by arrangement with Agenzia Santachiara; Il fiume così vicino © 2014 Granta Publications; Su nella valle © 2015 by Paolo Cognetti; Gandhi il londinese © 2015 Granta Publications; Ti sorridono i monti © 2015 by Francesco Pacifico; Squarci di paesologia © 2015 by Franco Arminio; Across the border © by Filippo Minelli. Courtesy Ruttkowski 68 Gallery; Passaggio a Bonn © 2015 David Wagner; La geografia dei Pigmei © 2015 by Angelo Turco; Gli ospiti © 2015 by Fabio Viola; Sette giorni in Siria © 2013 Granta Publications; Come la neve © 2015 by Tommaso Giagni; Gran Turismo © 2015 by Leonardo Colombati; L’uomo al fiume © 2013 Granta Publications. Per i cartogrammi © Sasi Group (University of Sheffield) and Mark Newman (University of Michigan). www.worldmapper.org ISBN 978-88-17-08328-7 Prima edizione: settembre 2015
Copertina: Fotografia © Filippo Minelli Art Director: Francesca Leoneschi Graphic Designer: Mauro De Toffol / theWorldof DOT Fotocomposizione: Compos 90 srl Traduzioni a cura di: Barbara Bonadeo (L’uomo al fiume), Chiara Lurati (Gandhi il londinese), Michela Pea (Il fiume così vicino) e Nicola Vincenzoni (Sette giorni in Siria e Passaggio a Bonn).
Sommario 7
Editoriale Walter Siti
151 Passaggio a Bonn David Wagner
15 Il confine Jhumpa Lahiri
159 La geografia dei Pigmei Angelo Turco
25 Invito al viaggio
179 Gli ospiti Fabio Viola
in Val di Susa Wu Ming 1 45 Il fiume così vicino Melinda Moustakis 67 Su nella valle Paolo Cognetti 83 Gandhi. Il londinese Sam Miller 103 Ti sorridono i monti Francesco Pacifico 115 Squarci di paesologia Franco Arminio 129 Across the border Filippo Minelli
199 Sette giorni in Siria Janine di Giovanni 221 Come la neve Tommaso Giagni 233 Gran Turismo Leonardo Colombati 243 L’uomo al fiume Dave Eggers 251 GALLErIA
La geografia trasportata al morale Daniello Bartoli 269 Hanno collaborato
EditorialE | WALTER SITI
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ntitolando Geografia questo numero, l’intento era quello di far uscire gli scrittori dal loro guscio costringendoli a confrontarsi con la res extensa, con l’imprevedibile violenza del mondo cosiddetto reale; un nodo sempre delicato per gli scrittori, che non possono permettere alla realtà di essere informe ma non possono nemmeno infischiarsene come se la loro forma nascesse in un vuoto pneumatico o solo dal confronto con la letteratura precedente. Il “mondo esterno” è un pretesto per la letteratura o è vero il contrario, la letteratura è una delle chiavi che abbiamo per conoscere il mondo? Come scrive Wu Ming 1 nel testo che qui pubblichiamo, parlando della Val di Susa, “ci sono andato molte volte perché sto scrivendo un libro. O forse è l’inverso: sto scrivendo un libro perché ci sono andato molte volte”. Arrivati alla fine del percorso di redazione, credo di poter dire che l’intento iniziale è stato coronato da un certo successo: qualcuno dei collaboratori naturalmente fuori dal guscio c’era già da un pezzo (in un caso, quello di Arminio, c’è stato perfino un salto mortale: l’inventore della “paesologia” ha provato a guardarsi dentro e a raccontare le motivazioni intime della propria ossessione descrittiva), ma anche gli altri hanno comunque fatto i conti con la dimensione dell’esplorazione, dello straniamento e del viaggio. L’asse portante, e non sorprendente, del numero è il relativismo culturale: una distanza incolmabile tra visioni del mondo, una
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difficoltà o impossibilità di comprendersi. Il contributo più esemplare da questo punto di vista viene da un geografo “puro” come Angelo Turco: studiando la geografia dei pigmei dimostra come il medesimo territorio sia letto secondo categorie diverse a seconda dei fruitori – per i pigmei stessi la terra è una rete di eventi, quando si è usciti dalla foresta e quando ci si rientra; per i “grandi neri” Bofi la stessa terra è soprattutto un interdetto, fin dove ci si può spingere e dove no; per gli europei colonialisti la terra è un’estensione spaziale, da sfruttare e delimitare astrattamente. Su un registro molto più leggero, Dave Eggers racconta i malintesi culturali che colpiscono un occidentale nel semplice gesto di attraversare un fiume, in una situazione tragicomica in cui ognuno fa quel che non avrebbe voglia di fare. Sam Miller, parlandoci del poco conosciuto periodo londinese di Gandhi, ci dice di come la distanza geografica possa servire per rafforzare (se non proprio costruire) un’identità – scopriamo con sorpresa che Gandhi lesse per la prima volta la Bhagavad-gita (cioè un testo fondamentale dell’induismo) proprio a Londra e nella traduzione inglese. Jhumpa Lahiri costruisce il suo racconto su un incrocio di lontananze e su uno scambio di sguardi incuriositi; la narratrice-personaggio e la narratrice-autore si osservano e si “scrivono” reciprocamente, entrambe da straniere, sia pure con l’asimmetria dovuta all’opposizione servo/padrone e lavoro/vacanza. Fabio Viola, memore di Bradbury, ci invita a una attualissima riflessione sui migranti usando il genere fantascienza: tra i laghi di metano che esistono davvero su un satellite di Saturno, e in una fantastica capitale che ha il nome dello scopritore seicentesco del satellite stesso, alcuni terrestri discutono con gli indigeni sul rapporto tra integrazione e assimilazione. Per finire col raccontino intimista di David Wagner, che limpidamente mostra come i sentimenti si possano giocare sulla topografia (soprattutto quando i luoghi siano stati sconvolti dalla Storia).
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Constatare straniamento e relativismo può avere sbocchi ideologici opposti, di rassegnazione o di incitamento ad agire; il che equivale a chiedersi se conoscere il “mondo degli altri” possa servire per ottenere maggiore giustizia sociale e civile. Nel nostro numero è rappresentato l’intero ventaglio delle possibili risposte. Wu Ming 1 ci regala sulla protesta No Tav un intervento lirico e engagé (lirico perché engagé, rifiutando lo stile standard come cedimento ai clichés conformisti); la resistenza e l’insubordinazione a decisioni ritenute ingiuste hanno un valore positivo in sé, anche indipendentemente dai risultati, in quanto creano legami solidali; lottate, qualcosa resterà. Indiani Mapuches e manifestanti turchi scrivono nella loro lingua (nemmeno tradotta, come segno di inassimilabile diversità) parole di fratellanza. Melinda Moustakis zolianamente racconta lo sfruttamento di un lavoro bestiale, in un luogo lontano e inospitale che chiude gli uomini in una diffidente solitudine; ma il finale allude a un’aurorale speranza che il bisogno umano di legami sia più forte. Janine di Giovanni, da giornalista, squaderna la violenza insopportabile e inimmaginabile che si apre a pochi gradi di latitudine e longitudine da noi, allarmandoci sulla fragilità della tolleranza. Paolo Cognetti, per parte sua, sembra saltare oltre l’ostacolo e (come molti giovani) rifiuta in blocco le contraddizioni attuali: tenetevelo, il vostro bel mondo come l’avete ridotto, noi cerchiamo un altro inizio; la sua geografia è quella di orme su nevi intatte, di montagne da day after. Franco Arminio, dicevamo, analizza la propria geografia come se fosse un serbatoio di nevrosi, e fosse proprio la nevrosi a darle consistenza e ritmo poetico (“la mia letteratura senza il reflusso esofageo sarebbe ben poca cosa”). Così è comparso all’orizzonte il ripiegamento interiore; negli altri contributi prevale un senso psicologico e sociologico di spaesamento. Centrale e spiritosa è, in questa prospettiva, la serie fotografico-performativa di Filippo Minelli: gioca a rimpiattino
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tra la didascalia, il paesaggio fotografato e la bandiera (a Odessa una miniatura della Tour Eiffel e la bandiera “Coney Island”, “Ramallah” davanti ai resti del Muro di Berlino, la scritta “Yamoussoukro” davanti a San Pietro, ricordando che proprio nella capitale ivoriana il presidente Houphouët-Boigny volle costruita una replica “in maggiore” della basilica romana). La bandiera, icona simbolica per cui si combattono guerre, è ridicolizzata e resa ludicamente inefficace. Nel racconto di Tommaso Giagni i confini sono un gioco di illusioni e inganni criminali, la frontiera è un miraggio fluido “come la neve” (che però è anche la cocaina). La geografia è “cosa mentale”, come ci ricorda nella Galleria il seicentesco gesuita Daniello Bartoli: può essere usata come exemplum morale o lieto entertainment, ma non per questo è ingenua: più anzi si spiritualizza più si pone al servizio del proselitismo religioso e del successivo colonialismo. La “geografia fisica” è sempre anche “geografia umana”, il planisfero stesso si deforma secondo le domande che gli rivolgiamo; decidendo di punteggiare il numero coi “cartogrammi” (o planisferi tematici) volevamo rendere plasticamente proprio questa interazione: l’Africa diventa minuscola se si legge il planisfero col filtro della ricchezza o della capacità assicurativa, enorme se il criterio è la deforestazione; l’India si gonfia come una zampogna se si considera l’analfabetismo femminile mentre a sorpresa il Sud America è smilzo come un’acciuga; e via di questo passo. Ma se la geografia è “cosa mentale”, allora quasi inevitabilmente soggiace a stereotipi; qualcuno dei nostri autori ha impostato il suo racconto proprio su quello. Francesco Pacifico ci conduce in uno dei luoghi classici dell’esotismo senza un’ombra di esotismo, attraverso la parodia di un viaggio di nozze (il suo, empirico, trasfigurato in viaggio di nozze lesbico); sulle Alpi giapponesi, in un infernale girotondo, si sofferma su Heidi, cioè sulla Svizzera
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disegnata da un giapponese, che in Svizzera ha prodotto Heidiland, un parco tematico visitato dai giapponesi. È ovvio che concluda “cosa sia una terra, un luogo, non saprei” o, più aggressivo, “geografia, ti calpesto con le scarpe firmate”. Leonardo Colombati va più in là e traduce la geografia in un pellegrinaggio tra luoghi letterari, da Borges a Shakespeare a Omero. Come se la letteratura non potesse uscire da se stessa, prigioniera eterna dei propri sogni o delle proprie utopie. Dalla fiducia al disincanto (da sinistra a destra, si sarebbe detto nell’epoca delle idee chiare), il percorso è completo – e naturalmente può essere letto anche in senso opposto. Decida il lettore che verso prendere. ■
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