Incontro con don Giuseppe Ferretti – parroco a Grizzana Morandi La Bibbia nella vita del catechista ed educatore e nel suo servizio” Parrocchia di Santa Giovanni 15-novembre-2006 D. Lino (parroco di San Giovanni): questo è il secondo incontro che facciamo insieme, abbiamo fatto martedì scorso Santa Lucia, il catechista educatore della Chiesa, il mandato della Chiesa, questa sera facciamo la Bibbia nell’uso personale che deve farne il catechista - educatore e qualche dritta anche come usare la Bibbia nella nostra opera di educazione dei nostri ragazzi, i giovani. I vescovi italiani nel documento sulle parrocchie, la parrocchia missionaria, verso la fine usano questo termine, la cosiddetta “pastorale integrata”… adesso negli ambienti un po’ ecclesiali si fa un gran parlare di questa “pastorale integrata” che è una cosa poi molto semplice: fare insieme gruppi di parrocchie, di realtà di zone pastorali. Ecco questa iniziativa vorrebbe muoversi su questa linea: è nata in maniera informale da alcuni parroci, chiacchierando… facciamo qualcosa per far crescere i nostri catechisti – educatori ogni anno, guidiamoli, ecco in modo che possano così, migliorare anche se stessi in questa loro posizione. Però mi pare molto bello che lavoriamo insieme, perché la zona di Casalecchio è proprio… è chiarissimo che è una zona pastorale, siamo vicinissimi tutte le parrocchie, e quindi penso che sia la linea su cui camminare anche negli anni futuri. Questo e speriamo tante altre realtà, c’è già le Caritas che si radunano anche loro, c’è già un abbozzo di Caritas inter parrocchiale…eccetera… bene, questa sera c’è d. Giuseppe, non ha bisogno di presentazioni visto che molti di voi… lo conoscevate, parroco di Grizzana, dove i parroci sono stati lì ognuno cinquant’anni, quindi anche lui starà là molto… la tradizioni di parroci longevi a Grizzana, perché “Grizzana risana”, dice la réclame… bene, con gli auguri di buona saluta, sentiamo cosa ci dice. D. Giuseppe: speriamo di giungere alla fine di questo incontro avendo incontrato più a fondo la Parola di Dio e parlando a voi che siete catechisti cosa vi dovrò dire sul rapporto con la Parola di Dio? E allora, per rispondere a questa domanda che mi pongo, parto da alcune premesse che sono fondamentali, che la Parola presenta… si presenta… e dice quello che è. Anzitutto la Parola di Dio è necessaria per credere: non si da’ fede senza annuncio. L’Apostolo Paolo è molto chiaro su questo punto, al cap. 10 della Lettera ai Romani, quando fa l’itinerario storico della fede, partendo dall’affermazione “chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato” secondo una serie di domande concatenate, cap. 10 dal versetto 13 in avanti, “ora come potranno invocarlo senza avere prima creduto in Lui? Come potranno credere senza averne sentito parlare? O come potranno sentirne parlare senza che uno lo innanzi? E come lo annunzieranno senza prima essere inviati? Come sta scritto: quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene”. Possa
questo livello così fondamentale e necessario per credere, ascoltare la Parola di Dio? Essa si colloca nella nostra esistenza come la parola efficace per la salvezza. Il profeta Isaia in quel celebre passo in cui descrive l’efficacia della Parola di Dio, o meglio il Signore stesso che detta questo oracolo al profeta, al cap. 55 dice appunto, invitando alla conversione, “cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino” e aggiunge “perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie, quanto il cielo sovrasta la terra tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri. Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché Dio è il pane, dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà dalla Parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”. Parola efficace quella di Dio, non torna a Lui senza aver operato quello per cui è stata inviata. Una parola che diventa lampada, luce sul nostro cammino, la Scrittura le Salmo dice: “luce per i miei passi è la Tua parola, lampada per i miei passi è la Tua parola, luce sul mio cammino”. Una Parola che diventa nutrimento, quando Gesù è tentato da Satana, dopo i quaranta giorni ebbe fame l’attentatore allora gli si accostò, dice il cap. 4 del Vangelo di Matteo, e gli disse: “se sei Figlio di Dio dì che questi sassi diventino pane, ma Egli rispose: sta scritto non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Poste queste premesse che la Scrittura stessa dichiara, collocando quindi la Parola di Dio in un rapporto di necessità nei nostri confronti, noi ne abbiamo bisogno, ne abbiamo bisogno come il pane, ne abbiamo bisogno come la luce che ci illumina il cammino, ne abbiamo bisogno per credere… come ci collochiamo noi di fronte a questa Parola? Come l’accogliamo nella nostra esistenza? Come essa viene da noi annunciata? Vedete, non voglio prendere la via dell’accusatore, non è mio compito accusare, un pastore nella Chiesa non accusa i suoi fratelli, li difende, per cui cerco con voi, se posso, di animare la vostra, la mia fede, perché possiamo ritornare, dico ritornare tutti… anch’io ho bisogno di ritornare ogni giorno a questa Parola di Dio con cuore rinnovato… e ritornare a questa Parola per ritrovare con essa un rapporto nuovo, bello, un rapporto di salvezza, non un peso in più sulle nostre spalle, ma anzi il contrario, come dice Gesù nel vangelo: “venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi” che siete appesantito, come dice letteralmente il testo, che portate fardelli pesanti sulle vostre spalle. Quindi “venite a me”, non perché io vi imponga nuovi fardelli, ma perché vi tolga quelli e vi dia il mio, il mio giogo è soave, il mio peso è leggero. Come farà il Signore a toglierci questi fardelli così pesanti dalle spalle e dare il suo giogo soave, il suo peso leggero? Lo dice subito: “prendete il mio giogo sopra di voi” e che cosa significa? Lo dice subito: “imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo per le vostre anime”.
Quindi mettersi alla scuola della Parola di Dio è mettersi alla scuola della mitezza e dell’umiltà del Cristo. È solo mettendosi a questa scuola di mitezza e umiltà che si impara a conoscere, a vivere, ad accogliere in noi il giogo soave della Parola di Dio. E quindi mi pongo ora con voi una domanda: come potrà questa parola entrare nella nostra vita e diventare così familiare da sentirne l’intima nostalgia nel cuore? A sentire la necessità di essa? Se vogliamo usare un linguaggio di oggi, ovviamente con le appropriazioni che bisogna fare con la Parola del Signore, una dipendenza dalla Parola di Dio, sentirne la necessità, sentirne il bisogno, sentirne il desiderio. Certo è un’arte difficile quella che vuole insegnare ad altri come si fa ad avere un rapporto così bello e profondo con la Parola di Dio. Io spero molto dal Signore che è con noi… dove sono due o tre riuniti là il Signore è in mezzo a loro… quindi credo davvero alla Sua presenza tra noi… la vostra presenza è grazia, grazia gli uni per gli altri, perché ognuno di noi è una luce, quando tante luci si trovano creano splendore. È il Cristo che si manifesta nell’unità della Chiesa, nel trovarsi insieme. Quindi confido molto dalla Sua bontà per voi e per me, che ci insegni Lui come si fa ad entrare in un rapporto così viscerale con la Parola del Signore, da sentirne quindi il bisogno stesso di comunicarla, di fare gustare agli altri la bellezza di questo dono che il Signore ci ha fatto. Ora è necessario diventare familiari della Parola di Dio. Direi… posso tradurre anche in altri termini… è necessario diventare familiari di Gesù che parla perché tutta la Parola è Lui che parla. Quindi è mettersi ai piedi di Gesù per ascoltarlo, per scegliere questa parte buona, come Egli dice riguardo a Maria. Ma se noi prendiamo quel brano, così celebre del Vangelo di Luca, alla fine del cap. 10, versetto 38, Gesù, quando Marta si ferma davanti a Lui e dice “Signore non ti curi che mia sorella mi ha lasciato sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”, ma Gesù le rispose “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è una cosa di cui c’è bisogno, Maria si è scelta la parte buona che non le sarà tolta”. Gesù non contrappone l’attività di Marta alla contemplazione di Maria, contrappone due stati spirituali delle due sorelle, lo stato di agitazione e di preoccupazione che caratterizza Marta e lo stato di quiete, di abbandono e di ascolto che caratterizza Maria. Io lo so che qui possono già iniziare le vostre obiezioni: come possiamo giungere da uno stato di agitazione, di preoccupazione, di stress, quale ci può caratterizzare nella nostra stessa società… stasera a venire qui avrete fatto fatica, ad uscire dalle vostre case, dopo una giornata di lavoro, sentire così questo impegno che si aggiungeva ad altri, quindi è comprensibile questo stato che noi viviamo con ritmi assai veloci, ma allora carissimi, siamo gente condannata a morte noi? Per noi non esiste salvezza? Dobbiamo proprio essere gente schiavizzata? Non suona per noi il messaggio della redenzione, della salvezza in Cristo? Il Suo “venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi” non ha forse valore anche per noi? O dobbiamo rassegnarci ai ritmi di una società così sempre più frenetica dove lo spazio della libertà, di un respiro, si fa sempre più corto? o C'è una via? La troveremo noi questa
sera questa via, questa via che è riposo in Cristo, è ascoltare Lui che parla. Lo spero, lo spero proprio da Colui che è buono, che è misericordioso, che è amico di noi uomini, che ovviamente è la Parola per ogni generazione. E allora come si farà a rompere questo stato di preoccupazione e di agitazione? Come faremmo noi ad entrare dentro al riposo di Maria? All’essere rapiti nel cuore dal Signore? Ecco allora che io cercherò di mettere accanto alla vostra riflessione alcuni aspetti per, così, aiutare ciascuno di noi a riflettere su questo aspetto. Sembra paradossale ma il primo impatto con la Parola di Dio è un impatto di violenza: bisogna essere decisi a rompere. “Venite a me” dice Gesù “voi tutti che siete affaticati ed oppressi”. Quel tratto da dove sono io a Gesù è un tratto che io faccio con dei pesi sulle spalle, con la stanchezza addosso. E Lui mi chiede ancora di fare un passo, di muovermi verso di Lui, in questo stato di stanchezza e di debolezza. Abbiamo a riflettere su questo punto. Egli vuole che noi facciamo questo passo, nella nostra situazione, come il papà che al bimbo che muove i primi passi… e lo invita a venire a Lui… così il Signore invita noi, con la nostra stanchezza, ad andare a Lui. Allora voi capite che già nel nostro spirito sorgono mille obiezioni “ma Signore come posso venire a Te? Sono stanco”… bisogna che io mi faccia una violenza iniziale per andare a Lui. E guardate, che dopo tanti anni che questo libro è nelle mie mani, per grazia e bontà del Signore, io sento che ogni giorno devo farmi questa violenza, devo spezzare qualcosa in me per incontrare il Signore. Il Cristianesimo è fatto di violenza, di rotture profonde, radicali, forti, Egli le vuole. Poteva benissimo il Signore dire “vengo a voi, che siete affaticati ed oppressi, vi tolgo il peso dalle vostre spalle”, non “venite a me”. Ecco allora chi avrà coraggio di fare questi passi verso il Signore nel suo stato di stanchezza e peso che ha addosso, e non dice a se stesso “ci vado quando mi sento meglio, quando sto meglio, quando sono più riposato…” chi opera questo comincia già a sentire un grandissimo sollievo. Sente la verità delle promesse del Signore. E se poi facendo questo passo in cui cerca di abbandonare le sue preoccupazioni, ciò che lo agita, si pone in ascolto della Parola di Dio, allora comincia a recepire nel suo spirito che si placano queste forze che lo dominano, questi pensieri così pesanti, che opprimono la mente e il cuore, e impara dalla scuola di Gesù la mitezza e l’umiltà del cuore. La Parola di Dio quindi si colloca in quel punto di rottura, come il vino e l’olio del buon samaritano sulle ferite, per portare un risanamento spirituale nella nostra esistenza. Il nostro pensiero non nella superficialità del nostro sentire, per cui scattiamo immediatamente appena uno ci tocca come una pelle fragile, ma per portarlo nelle profondità di noi stessi, all’incontro con Dio. Vedete quindi quanto è necessaria la Parola di Dio, questa medicina, questo nutrimento, questa luce, questo rapporto. Ma io non sono ancora giunto a quello che è il di questa sera, ma poi tante cose lascerò poi a voi, come conseguenze da trarre di fronte a queste mie premesse, perché desidero ancora mettere
davanti ai vostri occhi, quale sia il rapporto con la Parola del Signore, come si fa ad entrare in questo rapporto? Anzitutto devo affermare che c’è l’annuncio pubblico, questo è fondamentale per la fede: ascoltare l’annuncio che pubblicamente è fatto. Guardate, non guardate noi preti, guardate al Cristo che parla, noi siamo strumento per il quale Cristo opera, ma l’importante è la fede nell’ascolto quando viene pubblicamente annunciato. Quello è un passaggio qualitativo di estrema importanza per la fede, non è un bravo predicatore che comunica la fede, è l’annuncio e la fedeltà ad esso che comunica la fede. Un bravissimo letterato che può trascinare un’assemblea e non ha contenuto di Parola di Dio, non crea la fede, un uomo povero che annuncia il messaggio nella sua purezza e integrità crea la fede, anche se può essere sgraziato come tipo di comunicazione e di linguaggio. Di questo un catechista deve averne una chiara coscienza, non solo nella ricezione del Suo messaggio ma anche nella trasmissione del Suo messaggio, perché l’annuncio deriva dal nostro stesso atto di fede: “ho creduto perciò ho parlato” dice il salmo; quindi l’apostolo commenta: “anche noi crediamo e quindi parliamo”, convinto che Colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti, risusciterà anche noi con Lui. Quindi la fede è basata sull’ascolto, sull’ascolto credente. Quindi questo annuncio pubblico è fondamentale. Noi nella Chiesa abbiamo sempre uno stupendo equilibrio, tra l’espressione comunitaria e l’espressione personale, non può mancare una e non può mancare l’altra. Deve esserci una profonda armonia tra l’espressione comunitaria dell’annuncio e l’ascolto personale dell’annuncio, non si può ridurre tutto ad annuncio pubblico, necessario e fondamentale per l’atto della fede, come non si può ridurre tutto ad un ascolto personale, tutto deve essere intimamente e fortemente integrato., questo vale anche per noi che annunciamo: se non c’è ascolto non ci può essere annuncio. Se uno che annuncia non ascolta che cosa annuncia? Annuncia se stesso e non si può annunciare se stessi nella Chiesa di Cristo, si deve annunciare Lui. Ma adesso vengo brevissimamente, per concludere, alle caratteristiche dell’ascolto personale. Come vi dicevo, per andare al Cristo ci vuole un momento di rottura con se stessi, di violenza, che è quello di andare a Lui carichi della nostra povertà e dei nostri pesi, con la promessa che Egli ce li toglie se ci mettiamo alla Sua scuola, così vi è un’altra violenza che è paradossale: quella di passare dal rumore al silenzio. Fare silenzio, entrare nel silenzio. Posso pensare che per diversi il silenzio faccia paura, quasi che sia uno specchio riflessivo di se stessi, il silenzio, ma il silenzio non è questo. Il silenzio è il placarsi di noi stessi, è la premessa di un incontro, è l’attesa di entrare in comunione, è bussare ad una porta, è cercare con la speranza di trovare, è chiedere con la speranza di ottenere, oserei dire speranza che nella Scrittura è certezza, per noi non c’è una speranza dubbia, la speranza è certa. Quindi entrare nel silenzio, creare il silenzio, avere il coraggio di entrare in questa zona dello spirito, dove devi anche vedere te stesso senza paura, misurarti senza le tue illusioni, senza i tuoi inganni o gli inganni degli altri, senza appunto le apparenze esterne, ma vedere la tua
interiorità, ma un’interiorità immediatamente recuperata da Dio, non lasciata andare. Recuperata da Dio proprio attraverso l’impatto con la Sua parola. Silenzio quindi riflessivo che inizia un itinerario che posso esprimere in tre tappe. La prima è la purificazione interiore: la Parola di Dio purifica, Dio ama e quando comunica la Sua parola è perché ama colui al quale la dona. Come quando il Signore volge lo sguardo, è uno sguardo d’amore, Dio è amore non può non mare. Dio è parola che salva, non può non salvare. Quindi quando noi ci mettiamo sotto l’ascolto della Parola di Dio entriamo subito in uno stato di purificazione spirituale. Non tanto attraverso una discussione con noi stessi, queste operazioni appartengono agli uomini non appartengono a Dio, Dio non discute, Dio crea, Dio forma, Dio plasma. La parola di Dio è creatrice, non è come la parola dell’uomo, che è una parola che semplicemente evidenzia, la parola di Dio opera quello che dice. Dalla purificazione interiore viene l’illuminazione della mente, cioè il nostro intelletto si purifica e viene illuminato dalla conoscenza, si dissipa il dubbio, questa malattia della conoscenza dell’uomo, che è il dubbio: l’uomo non può avere certezze di nulla, tutto può mettere in discussione. L’uomo quando afferma con certezza è perché vuole dire “è certo questo” ma non è mai sicuro al cento per cento. Quindi la parola del Signore illumina l’intelletto proprio rafforzandolo e portandolo nella verità. E infine il calore del cuore: “non ci ardeva forse il cuore mentre Egli parlava con noi”. Ora, ecco a dei catechisti che trasmettono l’insegnamento di Dio, quale conclusione si potrà trarre? È chiaro che più si ha rapporto con la parola del Signore più la si comunica, non solo in formulazioni astratte, ma la si comunica con la propria vita, la si comunica col proprio atteggiamento, col proprio sentire. Quindi quell’insegnamento che tu dai anche elementare e semplicissimo, quale può essere il primo balbettio della fede di un bambino che comincia a dire l’abbecedario della fede, tu potrai comunicargli questo tesoro stupendo che è la Parola di Dio, glielo comunicherai come latte, come bimbi appena nati gustati il puro latte della Parola per crescere con esso verso la salvezza. E a chi è più robusto gli comunicherai un cibo solido, quindi quegli insegnamenti profondi della nostra fede che diventano luce sul nostro cammino. Ecco, io vi chiedo perdono se non vi ho dato linee indicative per la catechesi, ma queste penso che le abbiate nei vostri ambienti, nella vostra realtà ecclesiale parrocchiale, quindi ho preferito con voi fare un piccolo cammino di incontro con la Parola di Dio, speriamo di averlo incontrato. D. Lino: dico una cosa io così, per rompere il ghiaccio… come poter fare perché oggi la Parola di Dio spesso è soffocata… la difficoltà che io sento dai catechisti, che vedo anche dagli educatori, i ragazzi delle medie eccetera… è che hanno tanti interessi, stimoli, talmente pieni, che uno dei tanti
è anche il mondo della fede, così… bisognerebbe invece che fosse il centrale della loro vita, la colonna… ecco la difficoltà secondo me principale è questa… ci puoi dire qualcosa?… D. Davide: secondo me vale anche per i preti… D. Lino: certo, sì, sì… è che io ho davanti tutti i catechisti di Casalecchio allora penso a loro, ma certo vale anche per noi, anche noi viviamo in questo mondo quindi… D. Giuseppe: la risposta varia secondo l’età. Per un bambino la risposta è diversa… per un adulto e per un presbitero, sono diverse… proviamo a rispondere a voi, non rispondo ai bambini no? Penso di… no dico di rispondere, ma di porre alcune dati riflessivi che poi io ho già un po’ espresso in queste parole che ho detto… cioè bisogna che noi cogliamo come agisce Gesù e Gesù agisce con una profonda libertà. Se c’è un maestro che lascia così liberi oserei dire è Lui. Ma non lascia libero per indifferenza, ma al contrario per amore, perché crede alla nostra libertà, e ci crede talmente che si propone sempre in un rapporto di libertà anche quando è svantaggiato, come in questo caso: con questi molteplici stimoli dove la fede può essere legata a un fenomeno e come tale essere relativizzata ai tanti fenomeni e perdere il senso dell’assoluto… perché poi è questo l’equivoco grosso, la fede diventa un fenomeno tra i tanti fenomeni, non è l’impatto assoluto con l’Assoluto, in altri termini con la mia persona, che è valore assoluto, con la persona del Cristo, di Gesù, quindi in Lui con quella del Padre e dello Spirito. Ma rimane così un fenomeno che può essere colto come un fenomeno che ha valore sociale, perché la religione cristiana è buona, perché insegna l’amore per i poveri, può avere rilevanza psicologia perché è rilassante mettersi in una chiesa semi buia e lì lasciarsi andare un po’ ai propri pensieri… come dicono alcuni “io alla liturgia non ci vado, vado in chiesa per conto mio, mi accendo la mia candela, sto lì…” non dico mica che questo sia disprezzato dal Signore, sapete? Lui non spegne il lucignolo fumigante non spezza la canna incrinata. Così, come avviene questo passaggio all’Assoluto? Vedete qui sembra strano quello che io vi propongo e sembra allontanarsi a prima vista da quello che è l’obiettivo, ma in realtà non so fino a che punto noi ci crediamo come assoluto. O se ci sentiamo più fenomeno di massa, la massificazione… quindi non tanto emergere con delle particolarità caratteriali di stile e di scelta, che poi diventano di moda e tutti fanno così. Ma emergere dal profondo di se stessi nella propria singolarità come unico e irripetibile com’è la nostra persona e collocarsi davanti all’Unico e all’Assoluto, è questo il passaggio. Che non so fino a che punto si sia disposti a fare, proprio perché la massificazione da’ sicurezza. Essere appartenenti a quel tipo di problematica di classe di situazione da’ sicurezza, soprattutto negli adolescenti. È il primo passo verso una propria identificazione, un rapporto, una
crisi, un mettersi in discussione, un mettere in discussione tutti i fenomeni a livello psicologico che non vanno ovviamente disprezzati e sottovalutati ma non possono essere risolti solo a livello fenomenico, perché la persona è il valore unico e assoluto. Questo nella Chiesa lo sappiamo da lunga data, per noi non esiste la massa, esiste la comunità dei credenti, esistono i fratelli, esistono le persone nella loro singolarità, nel loro dono, nel loro unico e irripetibile. Quindi quello penso che sia il punto di partenza: un recupero di se stessi. Che è fatto proprio nel momento stesso in cui tu ti relazioni, perché il modo per non recuperare se stessi nella propria identità è l’isolamento perché la persona è fatta per la relazione e la prima fondamentale relazione è quella con Dio. E da questa relazione prima e fondamentale derivano poi tutte le altre. Ma quando noi siamo ripiegati su noi stessi nell’auto contemplazione di un io ripiegato su se stesso che si esalta e si pone al centro di tutto è chiaro che qui c’è la nostra morte, il nostro nulla, non tanto il nulla premessa della pienezza della vita di Dio quanto il nulla tremendo dell’auto distruzione. Quindi a mio avviso il discorso va portato sulla persona, e questo Gesù lo fa, Gesù si relazione a noi come a persone, e per ognuno di noi ha un rapporto personale che non è ripetibile con altri. Se ognuno di noi potesse raccontare la sua storia spirituale sarebbero tutte diverse le une dalle altre, perché sono caratterizzate dal Suo rapportarsi a noi, dalla nostra storia intrecciata con la Sua quindi con le nostre risposte i nostri sì, i nostri no eccetera… questo è il dato a mio avviso importante. Quindi anche per noi ministri di Cristo è estremamente necessario il recupero del nostro rapporto con Dio, il rapporto della nostra persona con Dio, e quindi di un annuncio che è l’espressione di questo rapporto, e quindi un annuncio che diventa l’annuncio dell’esperienza del Signore. Perciò penso che nella catechesi sia importante educare al senso della persona, non dell’individualità, della persona. Giovanni: … mi scuso se ho rubato il posto a qualcuno di Casalecchio… volevo fare una domanda… io ho iniziato tre anni fa a fare catechismo i bambini, per trent’anni sono riuscito a dire di no, poi alla fine sono riusciti a convincermi e ovviamente ho chiesto consiglio a chi già lo faceva, e mi sono sentito dire da diverse persone, tieni presente che hai a che fare con bambini di sei sette anni… allora io quando ho cominciato a preparare e fare le mie lezioni cercavo effettivamente di parlare pensando “sono dei bambini hanno una certa età” ma mi accorgevo che non riuscivo a prenderli forse proprio perché io usavo delle parole semplici ma forse non dicevo ciò in cui veramente credevo, perché sminuivo non solo le parole ma anche il contenuto. D. Giuseppe parlava giustamente secondo me proprio del calore del cuore… ecco forse era venuto meno quello… poi a un certo punto ho cominciato a leggere il Vangelo pensando “se io fossi un bambino e avessi in mano questo che cosa ci troverei?” effettivamente lì ho ritrovato una chiave per poter aprire la porta del cuore di questi bambini. E mi chiedevo: oggi per esempio molto spesso mi capita… sono
io che dico, vorrei parlare di questo ai bambini perché vorrei sapere io cosa pensano loro, perché alla fine è una cosa che incuriosisce anche me. Allora la mia domanda era: fino a che punto è giusto sminuire dei bambini oppure pensare “no, questo non glielo dico perché no lo capiscono”, fino a che invece bisogna anche dire quello in cui si crede poi quello che arriverà loro solo Dio lo sa… D. Giuseppe: direi che hai già risposto tu, davvero sai non voglio aggiungere altre parole perché hai già risposto… hai scoperto quello che bisogna fare e quindi io ti direi continua in questa via. Non avere paura dei limiti, non ci sono limiti proprio perché se tu ti metti realmente all’ascolto del Vangelo e loro, tu saprai loro parlare, saprai creare quel ponte quel collegamento, e quindi ti direi ecco continua così, non voglio aggiungere altro perché guasterei quello che hai detto tu. D. Stefano:… tutti compunti… io insomma, mi veniva in mente almeno una cosa, per dare uno sbocco… D. Lino: alzati che non ti vedono D. Stefano: … sono il cappellano di questa parrocchia… D. Lino: di’ da quanti giorno così se dici delle sciocchezze… D. Stefano: … circa tre settimane, allora, visto che non tutti abbiamo uno stesso rapporto con la Parola di Dio, però forse sarebbe bene che tutti quanti lo avessimo per lo meno, mi veniva da lanciare questa idea: se uno non ha che un rapporto funzionale, nel senso, incontro – scontro, cioè faccio un incontro su questo mi scontro con la Parola di Dio per non dire qualcosa ai ragazzi. Però ci potrebbe essere anche un… diciamo formiamoci una base, per chi non ha una base pluriennale, chi non è già arrivato a un rapporto vivo con la Parola di Dio, per cominciare a viverlo, è chiaro che ognuno avrà il suo, però c’è un livello dal quale si può partire? Qual è? Provo a dire… io metto lì, perché alcune cose mi vengono in mente… quale può essere? La liturgia? La liturgia delle ore? Oppure una preparazione della Messa domenicale per cui uno durante la settimana comincia a meditare quei testi o c’è una strada madre? Una via privilegiata per giungere a un rapporto stabile e privilegiato con la Parola di Dio? D. Giuseppe: qui starebbe al pastore di Casalecchio rispondere…
D. Lino: i pastori… ci sono tanti pastori… c’è don Bruno… D. Giuseppe: non lo dico per rimandare la domanda al mittente, è perché penso che ogni realtà pastorale debba trovare questa base comune dove ci si possa istruire, aiuta4rsi a vicenda, stimolare e anche programmare eventualmente uno studio di base della Scrittura. Io qui ho presentato di più un discorso a livello diciamo spirituale esistenziale del rapporto, però quello premesse che tutti abbiamo respirato, abbiamo avuto, io stesso ho avuto chiaramente dei maestri che mi hanno insegnato a leggere. Ecco per questo voi che siete maestri in loco bisogno a mio avviso che vi troviate e facciate una scuola biblica, cioè che insegni gli elementi di base della Bibbia, questo mi sembra opportuno, sarebbe molto bello, perché è chiaro che ci sono delle conoscenze da acquisire, sia di metodo che anche di storia, perché se uno mi colloca Isaia con S. Paolo nel Nuovo Testamento c’è bisogno proprio di mettere un po’ a posto il quadro della situazione. Quindi per quello dico… spero che abbiate questo coraggio… mi dispiace se ti ho dato un peso… D. Lino: però è anche vero che la realtà nostra ancora qui è che i bambini vengono che hanno già un po’ la visione del tutto, ad esempio in terza elementare partecipano già la Messa. Io penso che sia un bene anche se certamente non potranno capire tutta cos’è la Messa… penso che sia un cammino lungo dallo spessore profondissimo che ha l’Eucarestia, però privarli di questo aiuto per dare elementi molto semplici così non è nella tradizione della Chiesa… D. Giuseppe: ma io penso ai catechisti… non tanto alla catechesi dei bambini… D. Lino: io pensavo alla parrocchia… D. Giuseppe: …cioè di una scuola di base per leggere la Scrittura per i catechisti… Tirto: ma a livello personale da dove incominciare per provare a innamorarsi… D. Giuseppe: dici bene, da dove cominciare? Perdonami la battuta: quando si vuol bene a una persona ogni parola è buona, cioè voglio dire parti da dove ti senti meglio, dal Vangelo, da uno scritto apostolico, va bene, l’importante è che ci sia questo desiderio di incontrare il Signore nella sua Parola, poi dopo Lui ti guida, oppure ti farai consigliare, no? Comunque la Chiesa ha sempre privilegiato i Salmi e i Vangeli come cuore delle Scritture, sono i due libri da macinare, no? I Salmi come preghiera e il Vangelo come riferimento supremo.
Domanda: lei prima parlava di silenzio e ascolto, oggi come per poter trasmettere, come si può trasmettere se viene a mancare il silenzio e l’ascolto soprattutto con bambini di una certa età, basta il nostro silenzio e ascolto per poter trasmettere? Oppure dobbiamo richiedere il loro silenzio e ascolto per poter trasmettere? D. Giuseppe: ma penso che si tratta di educare al silenzio e all’ascolto, come poi si faccia ad educare … bisognerà vedere i modi, però Giovanni le ha già dato alcune indicazione nel suo discorso… cioè il nostro prima ascoltarli, mettersi in sintonia con loro, un bimbo che è ascoltato ascolta, spesso penso che non ascolti quando sente una frattura interiore, non sente comunione, e quindi penso che anche il silenzio diventa una pedagogia dell’ascolto. Come si insegna a parlare uno per volta così si può insegnare ad ascoltare il Signore tra quelli che parlano. Vorrei solo mettere in rilievo: se davvero noi li ascoltiamo in una pace profonda, e non invece in una tensione, è quello che mi premerebbe che verificassimo noi… se non già siamo un po’ prevenuti per cui siamo tersi quando li accogliamo, per cui si ripete lo stesso modello nella scuola, e se invece diventa un luogo dove loro stessi, dopo aver scremato una certa irrequietezza, si sentono ascoltati quindi poi guidati, ecco… ma penso che sono discorsi che andrebbero ascoltati anche a livello di catechisti… porsi queste domande mi sembra molto importante. D. Bruno: vorrei dire delle cose sagge, non so se sono sagge. Intanto devo ringraziare, perché nelle cose che hai detto, con molto garbo… hai sottolineato più volte due cose, la prima che è un ascolto personale, la seconda è che hai citato più di una volta l’espressione “Dio che ci parla Gesù, che ci parla”. Noi siamo più portati ad ascoltare uno che parla piuttosto che leggere un suo discorso, credo quindi che sia molto importante che dentro ognuno di noi ci sia questo sforzo di passare a un livello personale di intimo in un rapporto col Signore, dopo lo ascoltiamo, ma se manca la parte precedente nel rapporto col Signore rischiamo molto spesso di ridurre quella che chiamiamo la Sua Parola un libro da leggere: bello, interessante che cerchiamo di vedere se ci dice qualche cosa ma non Lui che ci parla. Ecco in questa ottica mi sembra che sia molto… che recuperiamo dentro di noi questa convinzione… recuperando il linguaggio più corretto che è “Gesù che ci parla” non “la Parola di Gesù”. Sembra una sciocchezza ma noi molto spesso, nel nostro vivere quotidiano, cambiamo le parole e finiamo per cambiare anche le idee e il modo di pensare e di agire. Credo che sia molto importante quello che tu hai detto: ecco se io cerco davvero l’incontro con il Signore non posso non desiderare di ascoltarlo e fare in modo che le sue parole funzionino ed entrino profondamente nella mia vita, ma se devo mettermi in ascolto della sua Parola senza avere incontrato chi dice questa
parola forse rimane un po’ ferma… è per questo che mi preoccupo di meno di quello che dico ai ragazzi, di fronte la Parola di Dio… se è dentro di me qualche cosa salta fuori… e se è veramente Parola di Dio anche lei si arrangerà un po’ per arrivare al cuore dei ragazzi. D. Lino: siamo proprio nel cuore… quello che ha detto d. Bruno, di come è nato questo corso… lo posso dire… nello studio di d. Bruno un’estate di due anni fa parlavamo dei catechisti, ma anche dei giovani… cioè noi ci accorgiamo che nelle nostre parrocchie portiamo gli elementi migliori… quelli che vengono alle riunioni… fino a un certo punto e poi non riusciamo esternamente a far sì che abbiano questo rapporto personale con Gesù. Mi ricordo con d. Bruno diciamo “come facciamo a far crescere un po’ i nostri catechisti e i nostri educatori?”. Proviamo a fare una tre sere tutte insieme con questa intenzione, più che preoccuparci della metodologia spicciola come programmi… hanno altra sede… questo corso vorrebbe farci crescere personalmente, perché c’è un’altra parola… la testimonianza, cioè comunicare il messaggio nostro, cristiano, è diversissimo da come comunicare la geografia, la storia eccetera, perché abbiamo a che fare col Signore, il centro, il cuore della nostra vita. Ecco d. Bruno ha toccato il punto, dove vorremmo arrivare con questo corso, fare sì che anche noi, compresi noi preti che possiamo dire tante di quelle messe da soffocare per abbondanza spirituale, come è capitato a me quando ero senza cappellano che ho detto una marea di messe ma alla fine le dicevo per arrivare alla fine… non servono poi tanto fatte così. Volevo dire, questo piccolo corso di tre sere raggiungerà la sua meta se riusciamo tutti a entrare in un rapporto personale un po’ più intimo, più vero, più profondo col Signore, questo è lo scopo per cui è nato, è vero d. Bruno?