ILVA. Sono 25 le aziende ammesse all'acquisto
Nella fase iniziale le aziende ammesse erano state solo 19 a fronte di 29 domande, ma adesso le aziende ammesse sono diventate 25 , delle quali soltanto 12 le aziende interessate all’acquisto dell’intero gruppo ILVA, mentre altre 13 puntano alle società controllate, ed avranno accesso alla fase di “due diligence” . Le prime 12 aziende che hanno manifestato il proprio interesse all’intero gruppo, avranno la precedenza in quanto come ha spiegato Enrico Laghi uno dei tre commissari straordinari dell’acciaieria, alla Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati, “l’obiettivo e’ cedere il compendio unitario con limitate eccezioni” a asset non-core. Conclusasi la procedura delle manifestazioni di interesse che ha visto escluse tre aziende perchè avevano presentato la domanda su singoli beni , adesso il procedimento entra nel vivo con l’accesso alle “data room“, che consentirà di conoscere il reale andamento gestionale-economico-finanziario, con delle presentazioni personalizzate e la visita degli stabilimenti di Taranto, Genova e Novi Ligure. In questa fase della gara si potrebbero arrivare ad un’ulteriore riduzione del numero dei partecipanti in quanto, come ha spiegato il commissario Laghi, che si è detto “soddisfatto per qualita’ e interesse delle manifestazioni“, illustrando ai parlamentari che “dato l’impegno economico e l’importanza del gruppo le cordate avranno maggiori possibilita’ di trovare un risultato positivo“, aggiungendo
che “i soggetti che hanno manifestato interesse per singoli compendi o amplieranno l’oggetto o non parteciperanno alle fasi successive, solo in limitati casi si potrebbe immaginare di avviare la vendita di singole attivita’ non core che non facciano perdere valore“. Tra i 25 possibili acquirenti i nomi principali, ricordati dal commisario straordinario Laghi, sono di fatto alcuni tra i maggiori operatori del settore, italiani ed esteri, come la Cassa Depositi e Prestiti per una quota di minoranza, la Eusider, Finarvedi, Gruppo Marcegaglia, la multinazionale franco-indiana ArcelorMittal e la turca Erdemir. Il termine della “due diligence” è prevista per il 15 aprile, data in cui si raccoglieranno le offerte vincolanti, e come ha spiegato Laghi “se saranno piu’ di una, ci sarà una fase di rilanci e poi si contrattera’ con una solo azienda per decidere le modalita’ di vendita“. Per la valutazione delle offerte di acquisto pervenute si terrà conto del “piano industriale, della sua sostenibilita’ finanziaria, del mantenimento dei livelli occupazionali, del piano ambientale e del minor utilizzo di risorse pubbliche“. Al momento il termine delle operazioni di valutazione , e’ previsto entro il 30 giugno 2016. Laghi ha quindi illustrato ai parlamentari la situazione dell’azienda che ha aumentato le perdite alla fine del 2015 per 380 milioni di euro complessivi, annunciando pero’ iniziative per recuperare la marginalita’ con un potenziale stimato in 320 milioni. In questa periodo, nonostante la “peggiore crisi del mercato dell’acciaio“, l’ ILVA si attende un miglioramento in termini gestionali-economico-finanziari grazie alle misure anti-dumping europee, giudicate pero’ insufficienti e da estendere ai prodotti dell’area a caldo. Il commissario Laghi, concludendo, dopo aver ringraziato il Governo Renzi per come sta seguendo il processo di amministrazione straordinaria in corso, ha rivendicato i risultati ambientali raggiunti: 200 milioni investiti, la riduzione del 55% delle polveri e il completamento del 93% delle prescrizioni ambientali Aia, con scadenza 31 luglio 2015, rispetto al precedente un obiettivo fissato dell’80%. Laghi ha anche spiegato che “non risultano fenomeni di sloping, c’è molta cura e attenzione utilizzo impianti: ogni rischio sloping l’impianto viene fermato o rallentato, forse non accadeva in passato ma in periodo di commissariamento statale la produzione è sempre ridotta o fermata con conseguenze economiche ma prevalgono la sicurezza e la salute“, ed assicurato che l’azienda intende “continuare a fare investimenti in campo Aia nei prossimi 4 mesi e consegnare a quello che sarà l’investitore un set di investimenti coerenti col piano ambientale“.
Mentre a Milano e Roma si lavora per il salvataggio definitivo dell' ILVA, a Taranto c'è chi rema contro
Il gruppo mantovano della famiglia Marcegaglia formalizzerà oggi una proposta che verrà depositata entro le 18 di mercoledì presso il notaio Carlo Marchetti in Milano, sede deputata al deposito delle offerte contenenti le manifestazioni di interesse per l’avvio della procedura di vendita degli asset dell’ILVA. Tra i potenziali interessati all’operazione di vendita avviata dai tre commissari straordinari Corrado Carruba, Piero Gnudi, ed Enrico Laghi nominati dal Governo Renzi, compare anche il gruppo cremonese Arvedi il cui interesse della realtà è ben noto da tempo avendo risposto positivamente anche alla fase di “ricognizione”dell’anno scorso. Nona caso circola ormai da diverse settimane, un ipotetico progetto di integrazione tra le attività dell’acciaierie cremonesi e l’ ILVA. In queste settimane sono circolati anche i nominati di gruppi di dimensioni più piccole, che potrebbero manifestare il proprio interesse, per poi affiancarsi in una successiva fase di aggregazione attorno ad una cordata di matrice italiana, partecipata dalla Cassa Depositi e Prestiti, composta dal trader Trasteel, di Eusider, e della famiglia Ottolenghi.
In questa prima fase, spiegano gli addetti ai lavori, i gruppi ed i potenziali acquirenti che formalizzeranno una manifestazione di interesse saranno attratti soprattutto dalla possibilità di avere accesso alla “data room” di ILVA, che consentirà l’ora di accedere nei dettagli alla valutazione dei numeri e conoscere la reale situazione industriale del colosso tarantino, acquisendo informazioni preziose. Per questo motivo anche l’elenco dei soggetti stranieri è potenzialmente aperto. In questi ultimi mesi sono tre i principali gruppi esteri che avevano manifestato interesse per lo stabilimento di Taranto e che per questo motivo ci si attende la loro manifestazione di interesse: i coreani di Posco, l’indiana Jindal ed il colosso franco-indiano ArcelorMittal. Vanno ricordate e tenute ben presenti le dichiarazioni del Presidente del Consiglio Matteo Renzi che ha chiarito e ribadito in un’intervista sulle pagine confindustriali del Sole24Ore, che non consentirà ai competitors stranieri di riuscire a far chiudere l’ILVA, “Noi non accetteremo mai che ILVA sia uccisa dalle lobby di acciaierie di altri paesi. Adesso è aperto il bando, vediamo se – come io credo – ci sarà una cordata vincente. Sono ottimista“. Dichiarazioni a cui hanno fatto seguito quelle del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, durante una trasmissione del programma ‘Uno Mattina’ su Rai Uno, si è manifestato fiducioso sulla possibilità che l’ ILVA possa rientrare a pieno titolo sul mercato “soprattutto, se non esclusivamente, con capitali italiani. Anche perché le imprese di altri Paesi si cominciano a preoccupare che torni sul mercato un grande player italiano: questo è il punto, parliamoci chiaro“, e seguite da quelle del ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi: “Il governo – ha dichiarato la Guidi a Rainews24 – sta continuando a fare quello che ha sempre dichiarato: rimettere velocemente tutto il complesso Ilva sul mercato, rilanciarlo, fare un turnaround complesso e complicato, soprattutto mantenere i giusti impegni sull’aspetto ambientale e rilanciare senza perdere la strategicità di un impianto siderurgico. Questo vale per tutta l’Ilva“.
nella foto Paolo Scaroni con il presidente russo Vladimir Putin Così come va tenuta nel giusto conto l’ipotesi di interesse di Paolo Scaroni all’ex amministratore delegato dell’ Eni ed attuale deputy chairman di Rothschild, manifestata nei giorni scorsi in un “Faccia a Faccia” di Mix24 su Radio 24, il quale ha dichiarato al conduttore Giovanni Minoli di aver incontrato lo scorso 22 gennaio il premier Renzi per parlare dell’ ILVA e si è detto favorevole alla possibilità di guidare una cordata tutta italiana. “Il processo di dismissione dell’ILVA è appena iniziato – ha detto Scaroni – è molto presto per fare ragionamenti intorno all’Ilva. Diciamo che se si creasse una cordata italiana che avesse bisogno di una persona che conosce un po’ il mondo dell’acciaio ci penserei“. Una soluzione questa che avanza lentamente e si consolida, e che prevederebbe non solo la partecipazione dello Stato attraverso la Cassa Depositi e Prestiti che agirebbe utilizzando il Fondo Strategico e potrebbe acquisire una pacchetto importante di azioni , seppure di minoranza, per un massimo del 30-40%, che vedrebbe la partecipazione di diversi gruppi industriali italiani, e delle banche che hanno sinora anticipato garantito i finanziamenti del Governo all’ ILVA di Taranto. Altra ipotesi di intervento e compartecipazione dello Stato nella cordata, quello del fondo “salva-imprese”, il nuovo strumento creato dal Governo che avrà proprio la Cassa Depositi e Prestiti come principale sottoscrittore . Il governo conta di avere risorse da destinare a questo fondo sino a 3 miliardi di euro ed affianco alla Cdp vedrebbe la compartecipazione di Poste Vita ed Inail per un
10/15 % dell’investimento complessivo .
Mentre sull’ asse MilanoRoma si lavora al vero salvataggio industriale e gestionale dell’ ILVA, a Taranto c’è ancora chi occupa il proprio tempo a fare polemiche e proteste inutili . E’ incredibile infatti vedere Confindustria Taranto affiancarsi ancora una volta ai sindacati metalmeccanici, che stanno organizzando una manifestazione simbolica con uno sciopero lampo di 4 ore, della serie “ci siamo anche noi”, dimenticando i “miracoli” finanziari fatti del Governo Renzi per garantire l’occupazione di oltre 14mila famiglie dei dipendenti dell’ ILVA e 300 società dell’ indotto (con ulteriori 5mila addetti) . E’ a dir poco incoerente fare comunicati per ringraziare il lavoro dei deputati tarantini del Pd Pelillo e Vico per l’impegno ed il sostegno apportato al salvataggio dell’ ILVA e delle società fornitrici, e poi scendere in piazza accanto ai sindacati. Se fosse dipeso dai sindacalisti, ambientalisti ed imprenditori locali, a quest’ ora lo stabilimento siderurgico di Taranto sarebbe già chiuso e fallito e la città in “fiamme”, ovvero sarebbe scoppiata una vera e propria insurrezione popolare.
nella foto Fabio Riva, attualmente detenuto in carcere Altrettanto imbarazzante la posizione della Confindustria nazionale e della Federacciai, sempre pronti a difendere e “proteggere” il Gruppo Riva, ed a elargire pagelle di insufficienza al Governo, ai vai Commissari nominati ed al management dell’ ILVA in amministrazione straordinaria, dimenticando la mancata, o meglio omessa “ambientalizzazione” degli impianti dello stabilimento tarantino da parte della famiglia Riva nel corso della sua ventennale gestionale, coronata da un’evasione fiscale di oltre 2 miliardi di euro, accertata dalla Guardia di Finanza. Unica voce “solitaria” nell’imprenditoria (quella “vera”) il Gruppo Amenduni, che era socio al 10% del Gruppo Riva, e che da anni ha intrapreso non poche azioni legali di ogni genere nei confronti dei Riva. La vera fase conclusiva della crisi dell’ ILVA sta per partire, ed una cosa è certa: nessuno dei cosiddetti “imprenditori” di Taranto vi parteciperà. Tutti gli “addetti ai lavori” preferiscono restare dei “prenditori“, cioè soltanto dei fornitori, cercando di portare a casa le proprie commesse e se possibile i crediti maturati sinora. Per le ragioni ormai ben note a tutti e soprattutto perché nel corso degli anni, nella storia dello stabilimento siderurgico tarantino, nessuno ha mai conquistato con i fatti un minimo di attendibilità. Ma di tutto questo, noi non ci meravigliamo.
Giornalismo ? No, è solo
disinformazione a ruota libera di Antonello de Gennaro Ancora una volta siamo costretti ad occuparci del giornalismo schierato, fazioso, disinformato molto diffuso a Taranto, spesso al servizio di sindacalisti, politicanti ed associazioni pseudoambientali. Sarà questa la colpa della chiusura di ben due quotidiani ed una televisione negli ultimi due anni ? Probabilmente si. Cerchiamo di capirci qualcosa. Cercando di fare del giornalismo chiaro, trasparente, indipendente, e sopratutto documentato, basato sui fatti, e non sulle opinioni personali qualsiasi esse siano. E’ quello che si aspettano i lettori quando leggono un giornale, ed è quello che quotidianamente stiamo cercando di fare
nella foto, Francesco Casula ILVA & DINTORNI. Il giornalista Francesco Casula è un collaboratore esterno della redazione tarantina del quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno , (retribuito con 5 euro netti ad articolo ), che come suo diritto si dichiara pubblicamente “comunista“, collabora saltuariamente da Taranto con Il Fatto Quotidiano. Ed è stato proprio sul quotidiano romano diretto da Marco Travaglio,
che nei giorni scorsi il giornalista tarantino ha manifestato la propria incompetenza in materia di economia e politica industriale. Casula parlando dell’ ILVA di Taranto, ha scritto ieri che “L’AZIENDA INDIANA ACQUISTA SOLO CON L’IMPUNITÀ TOTALE” , sostenendo in realtà delle teorie esclusivamente personali e peraltro sulla base di notizie prive di qualsiasi fondamento ed alcun riscontro (come confermatoci da fonti ministeriali e dei vertici ILVA) , facendosi ridere dietro da una platea molto ampia di top managers e rappresentanti istituzionali a livello ministeriale e governativo. Ecco cosa ha scritto il giornalista Quotidiano:
Francesco Casula su Il Fatto
“Lo stabilimento Ilva di Taranto e il quartiere Tamburi. “Due condizioni per valutare l’acquisto dell’Ilva di Taranto. Dettagli non trascurabili che dipingono in modo emblematico la visione futura dello stabilimento siderurgico ionico. Almeno nelle intenzioni di alcuni acquirenti. Non acquirenti qualunque, ma quelli teoricamente in pole position come ArcelorMittal, leader mondiale nella produzione d’acciaio, che insieme a imprenditori italiani capeggiati dal Gruppo Marcegaglia sarebbero interessati a sedersi al tavolo per discutere le condizioni di acquisto della fabbrica dei Riva. In una lettera al governo, infatti, la società indiana ha provato a mettere le cose in chiaro. Secondo indiscrezioni trapelate dopo il “no” ricevuto dal Governo nell’ottobre 2014, Mittal è tornata alla carica esattamente 12 mesi più tardi. Un ritorno reso ancor più legittimo dopo bocciatura dell’Unione europea che ha bollato come “aiuti di Stato” i prestiti garantiti elargiti dall’Italia per la sopravvivenza dell’ ILVA. Come in una partita di poker, però, i giocatori indiani hanno provato a rilanciare: per valutare (solo valutare, non acquistare) il futuro dell’acciaieria ionica, infatti, gli indiani hanno chiesto che lo stato italiano realizzi due condizioni. La prima inquietante richiesta è una immunità totale per i nuovi acquirenti e per il management. Non il “semplice” salvacondotto che il governo italiano ha già garantito agli attuali amministratori, ma una licenza di impunità. Chi gestisce oggi l’ILVA, infatti, gode dell’immunità solo in relazione alla realizzazione delle prescrizioni imposte dal piano ambientale. Mittal, invece, pretende una sorta di “assicurazione casco” su tutti gli aspetti: una sorta di lasciapassare che garantirebbe la non punibilità dei nuovi
proprietari e dello staff dirigenziale, ad esempio, anche per responsabilità sulla violazione delle norme di sicurezza”.
Casula straparla quando sostiene di una presunta “bocciatura dell’Unione europea” che avrebbe a suo dire, e sopratutto dei suoi amichetti pseudo-ambientalisti “bollato come “aiuti di Stato” i prestiti garantiti elargiti dall’Italia per la sopravvivenza dell’ ILVA”.
Peccato per il lettori del Fatto Quotidiano che tutto ciò non sia vero, in quanto l’ Unione Europa alla data odierna non ha sanzionato il Governo Italiano, ma ha bensì soltanto effettuato soltanto una normale apertura della (eventuale) procedura di infrazione che a Bruxelles aprono a centinaia (!!!) a seguito della valanga di esposti ricevuti dai soliti “quattro” pseudo-ambientalisti tarantini, ognuno ben noto per la ricerca spasmodica quotidiana di protagonismo mediatico con velleità elettorali politiche. Uno stipendio pubblico, si sa, è molto ambito a Taranto…. In realtà come scrive correttamente il collega Claudio Tito del quotidiano La Repubblica (che almeno sa di cosa scrive) la procedura di infrazione, nella fattispecie, non è stata ancora completata. Il collega Tito spiega molto bene che “Sul caso Ilva, infatti, il governo insiste nel richiamare l’attenzione sulla circostanza che non si tratta di un semplice “salvataggio” ma anche di un’operazione finalizzata al risanamento ambientale. E secondo l’esecutivo italiano, proprio la disciplina europea prevede l’intervento pubblico in questi casi e in modo particolare in riferimento all’intervento siderurgico“ Aprire una procedura di infrazione, è cosa ben differente. Il collega
Casula dovrebbe avere il buon gusto e la necessaria professionalità di documentarsi un pò di più e cercare di capire meglio la differenza, magari facendosela spiegare da un avvocato esperto di diritto internazionale, specializzazione che in quel di Taranto a dir poco “latita”, e dopodichè forse avrà la possibilità (e la fondatezza) di poter spiegare la realtà dei fatti, a quelle decine di lettori che acquistano il Fatto Quotidiano in edicola a Taranto.
Sarebbe interessante conoscere come e da chi Casula abbia appreso e raccontato virgolettando, cioè attribuendo a terzi delle frasi mai dichiarate ufficialmente da nessuno (!!! ) che la multinazionale franco indiana Arcelor Mittal, “pretende una sorta di “assicurazione casco” su tutti gli aspetti” Un vecchio vizietto giornalistico, che spesso nei Tribunale si conclude con sentenze per diffamazione per chi si inventa fonti inesistenti. Non contento, il giornalista-comunista invece di fare informazione per i lettori, scende nella polemica “politica”, scrivendo:
Il governo deve decidere se proseguire con la trattativa, ma la Puglia dice no “Il motivo è legato alla seconda richiesta presentata al governo: il dissequestro dell’area a caldo, cioè di quei sei reparti bloccati il 26 luglio 2012 dal gip Patrizia Todisco perchè fonte di emissioni che causavano “malattia e morte nella popolazione”. In sostanza, come anticipato da Repubblica, gli indiani vorrebbero aumentare il livello di produzione a 9 milioni di tonnellate all’anno (oggi fermo al limite di poco più di 8 milioni imposto dall’autorizzazione integrata ambientale), ma senza passare a nuove forme energetiche, anzi. Mentre l’ipotesi del gas, auspicata anche dal governatore della Puglia Michele Emiliano prende piede, gli indiani vorrebbero continuare a produrre acciaio più o meno con la stessa modalità che ha avvelenato operai e
cittadini del quartiere Tamburi, infatti proprio Emiliano sul Fatto di ieri invocava Eni o Enel come acquirenti ideali per l’Ilva. Invece, con gli indiani ancora una volta salute e lavoro nel capoluogo ionico non troverebbero un equilibrio: perché produrre acciaio partendo da carbone e minerale di ferro stoccate nei parchi minerali (ancora) a cielo aperto significherebbe lasciare che tonnellate di polveri vengano trasportate dal vento e finiscano nelle case e nelle vite degli abitanti del vicino quartiere Tamburi. Ora, naturalmente, la prossima mossa spetta al premier Matteo Renzi“
nella foto, Matteo Renzi e Michele Emiliano Anche in questo caso Casula continua in un giornalismo “schierato“. Peraltro disinformato, utilizzando delle dichiarazioni “politiche” e non tecniche espresse dal governatore Emiliano (che è bene ricordare ai lettori, è solo un magistrato in aspettativa e non ha mai fatto l’industriale o il manager !). Come giustamente fa osservare un nostro lettore che di industria ci capisce qualcosa, “Il Governatore della Puglia scambia un altoforno per un barbecue e ne chiede l’alimentazione a gas piuttosto che a carbone. Peccato che siano già alimentati a gas e che il carbonio del carbon coke sia necessario, in fusione, per produrre l’acciaio che, altrimenti, resterebbe ferro“. Resta da capire da chi e con quali competenze tecniche specializzate Casula abbia stabilito e scritto che “ produrre acciaio partendo da carbone e minerale di ferro stoccate nei parchi minerali (ancora) a cielo aperto significherebbe lasciare che tonnellate di polveri vengano trasportate dal vento e finiscano nelle case e nelle vite degli abitanti del vicino quartiere Tamburi”
Casula inoltre non dice come è finito il sequestro giudiziario di cui parla, operato dal Gip Todisco. Con una prima istanza, in data 4 gennaio 2013, i p.m. tarantini chiedevano disporsi – sulla base dello ius superveniens rappresentato dall’art. 3 d.l. 207/2012, nel frattempo convertito in legge – la modifica del provvedimento di sequestro preventivo delle aree e degli impianti dello stabilimento ILVA (disposto appunto dal giudice Todisco sin dal 25 luglio 2012 ), restituendo alla proprietà la facoltà di uso degli impianti e revocando i custodi-amministratori già nominati dal G.i.p.; in alternativa, chiedevano che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale del decreto legge. Casula non racconta le motivazioni per cui la Corte costituzionale, lo scorso 9 aprile 2014, ha rigettato il ricorso del gip di Taranto Patrizia Todisco, e del Tribunale del Riesame, contro la legge definita “Salva Ilva”.
Secondo la magistratura tarantina il decreto e la legge sarebbero stati incostituzionali perché, agendo anche in maniera retroattiva, annullavano di fatto i provvedimenti emessi contro l’acciaieria, come il sequestro dell’area a caldo o quello dell’acciaio già prodotto e sulle banchine del porto, in attesa di essere venduto. L’ILVA si era sempre opposta a questi due decreti di sequestro, presentando ricorsi con la motivazione che la vendita della merce (un milione e ottocento mila tonnellate rimaste sulle banchine dal 26 novembre 2012 , per un valore commerciale di 1 milardo di euro) avrebbero permesso i lavori di bonifica ambientale. Proprio il 3 maggio 2013 , malgrado la Consulta fosse già intervenuta, il Gip Todisco aveva respinto l’ennesima istanza di restituzione di gran parte della merce, presentata dall’ILVA, dichiarandola inammissibile perché non erano
state ancora depositate le motivazioni della Corte costituzionale. Qualche giorno prima, infatti, era il 26 aprile 2013 la Procura aveva disposto il dissequestro la restituzione di una minima parte: l’acquirente delle merci è la compagnia di Stato irachena Oil Projects Company, e l’ILVA (ancora a gestione “privata” ) aveva annunciato che la data ultima per la spedizione era il successivo 5 maggio 2013; altrimenti l’acciaieria privata avrebbe chiesto un risarcimento danni allo Stato di 27 milioni di euro.
Bene. Adesso leggete cosa stabilì la Corte Costituzionale sul sequestro dell’impianto disposto dal Gip Patrizia Todisco. La Consulta ritenne che bisogneva interrompere il clima di “sfiducia preventiva” verso l’ILVA, perché “l’aggravamento dei reati già commessi o la commissione di nuovi reati è preventivabile solo a parità delle condizioni di fatto e di diritto antecedenti all’adozione del provvedimento cautelare. Mutato il quadro normativo (a seguito dell’introduzione degli interventi di bonifica ambientale come condizione per la produzione, ndr.) le condizioni di liceità della produzione sono cambiate e gli eventuali nuovi illeciti penali andranno valutati alla luce delle condizioni attuali e non di quelle precedenti“.
La Consulta, spiegando le ragioni per le quali respinse la tesi presentata dal Gip Todisco e dal Tribunale del Riesame , aggiunse che “si può rilevare con certezza che nessuna delle norme censurate (nella legge Salva Ilva, ndr.) può incidere, direttamente o indirettamente, sull’accertamento della responsabilità e che spetta naturalmente all’autorità giudiziaria, all’esito di un giusto processo, l’eventuale applicazione delle sanzioni previste dalla legge”. Non ci sarebbe quindi alcun “Salva-Ilva”, secondo la Consulta in quanto “le disposizioni non cancellano alcuna fattispecie incriminatrice, né attenuano le pene, né contengono norme interpretative e/o retroattive in grado di influire in qualsiasi modo sull’esito del procedimento in corso, come invece si è verificato
nella maggior parte dei casi di cui si sono dovuti occupare la Corte costituzionale italiana e la Corte di Strasburgo“. Il novello editorialista dei due ponti…cioè Casula , così conclude il suo articolo : “Il capo dell’esecutivo non potrà fare altro che scoprire le carte: rimandare al mittente le proposte e cercare nel frattempo di mantenere le tante promesse fatte finora a parole oppure svelare il bluff dei proclami degli ultimi anni e accettare la proposta di Mittal . Perchè al di là di dichiarazioni e decreti, a Taranto, a distanza di oltre tre anni del sequestro degli impianti non è cambiato molto. Lo Stato vanta la realizzazione dell’80 percento delle prescrizioni, ma resta da fare ancora molto: dalla copertura dei parchi minerali all’individuazione di un nuovo asset aziendale nella speranza che il futuro degli operai ionici non passi nelle mani di un nuovo padrone interessato esclusivamente al profitto” Leggere frasi dell’articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano, come ad esempio “il futuro degli operai ionici non passi nelle mani di un nuovo padrone interessato esclusivamente al profitto” chiarisce senza alcun dubbio il “credo” politico di Casula. Qualcuno dovrebbe spiegare al giornalista Casula ed agli ambientalisti”last minute” a lui molto cari , che un’azienda che produce acciaio non è una congrega di boyscout, o una sezione del partito comunista, e sopratutto che il fine di qualsiasi attività imprenditoriale o commerciale che sia, è l’utile, cioè il guadagno. Senza questa parola magica non si pagano stipendi e fornitori, non si mandano avanti le aziende. Verrebbe voglia di chiedere a Casula chi dovrebbe individuare “un nuovo asset aziendale“. Forse qualche suo amico-ambientalista che non capisce una “mazza” di impresa ? O qualche suo collega esperto di questioni sindacali giornalistiche tarantine puntualmente irrisolte ? Di quale “bluff dei proclami degli ultimi anni” parla il collaboratore tarantino del Fatto ( o stra-fatto ?) Quotidiano ? La campagna mediatica giornalistica-ambientalista tarantina accanitasi negli ultimi tre anni contro il risanamento ambientale e la ristrutturazione industriale dell’ ILVA di Taranto, sulla quale bene farebbero nel nuovo anno a svolgere qualche accertamento ed indagare la Guardia di Finanza e la Procura della Repubblica (quando si risveglierà dal precedente torpore…) su chi finanzia, come vanno avanti queste pseudo associazioni-ambientali, come vivono e si mantengono questi pseudo ambientalisti “last minute”. Verrebbero
fuori anche viaggi e biglietti aerei offerti da qualche imprenditore del settore a giornalisti ed ambientalisti. E state pur certi che se ne vedrebbero e leggerebbero delle belle. Di “balle” infatti ne abbiamo viste e lette sin troppo sinora.
Ilva: allo studio una joint venture fra Stato ed Arcelor Mittal ADGNEWS24 – La cordata ArcelorMittal continua a voler mantenere aperta la negoziazione con il governo italiano, manifestando la propria disponibilità ad entrare con una posizione minoritaria (nella prima fase) in presenza un azionariato pubblicoprivato, che si renderebbe possibile grazie all’intervento del Fondo strategico nazionale , braccio economico della Cassa Depositi e Prestiti, che finanzierebbe anche la presenza del Gruppo Marcegaglia . Infatti, nonostante le offerte della multinazionale e del gruppo italiano, non siano state ritenute congrue, il Governo è costretto a correre ai ripari, in quanto ormai la liquidità di cassa proveniente del prestito ponte delle banche si sta esaurendo, a fronte dell’indebitamento crescente della società, valutato in circa in 1,5 miliardi. Aditya Mittal, numero uno di ArcelorMittal Europa dopo l’incontro avvenuto mercoledì mattina con il ministro dello Sviluppo economico Guidi ha dichiarato: “Crediamo che la nostra partnership con il Gruppo Marcegaglia sia in grado di offrire un sicuro futuro all’ ILVA. Intendiamo incrementare la produzione della società per raggiungere la piena capacità di utilizzo degli impianti in modo da generare più lavoro e garantire importanti livelli occupazionali. Siamo anche pronti a fare i necessari investimenti per introdurre migliorie nel ciclo produttivo, nell’ambiente e in nuove tipologie di prodotti che permetteranno a Ilva di mantenere ed spandere la propria offerta al mercato italiano internazionale. Siamo sicuri di essere i migliori partner perILVA, in grado di garantire un futuro sostenibile per i dipendenti e per tutti gli stakeholder”. ArcelorMittal e Marcegaglia non hanno interrotto il dialogo con il Governo, e sarebbero pronti ad affrontare e sostenere il costo dell’Aia, come ieri ha lasciato intuire uscendo dal Mise Antonio Marcegaglia, l’amministratore delegato del gruppo ( accompagnato da
sua sorella Emma Marcegaglia attuale Presidente dell’ Eni ) il quale ha dichiarato: “Siamo flessibili, dovremo esserlo e lo saremo”. Anche se battono sulla necessità di creare una “bad company” nella quale far defluire le richieste di risarcimento ambientale e i contenziosi giudiziari, ed una “newco” (cioè una “new company“) ove trasferire impianti , personale ed attività industriali. Risanare il siderurgico tarantino, non solo ha un costo, ma ha scadenze precise: entro il 31 luglio — dopo il decreto che ha stabilito uno slittamento di cinque mesi — dovrà essere applicato l’80% delle prescrizioni fissate dalla legge. Proprio per questo motivo è al vaglio uno slittamento della data, mentre per il completamento della bonifica rimane il termine ultimo del 4 agosto 2016 . Operazioni per le quali è necessaria la liquidità che si attende dello sblocco di 1,2 miliardi dei 1,9 sequestrati dalla magistratura milanese alla Riva Group, reso possibile grazie all’emendamento del senatore Salvatore Tomaselli al decreto Competitività di luglio, a seguito del quale è arrivato in consenso del Gup di Milano. Ieri sera il premier Renzi affiancato dal suo nuovo super-consulente economico il consulente economico Andrea Guerra, ha convocato il ministro Federica Guidi, il commissario Piero Gnudi, ed i vertici della Cassa depositi e prestiti e del Fondo strategico nazionale , per arrivare ad una decisione finale collegiale prima di affrontare un nuovo decreto salva ILVA all’ordine del giorno nel Consiglio dei ministri di venerd’. Al termine dell’incontro ha dichiarato: “C’è un Paese da cambiare, oggi abbiamo lavorato sull’ILVA mentre altri preferiscono giochetti parlamentari“. Quindi siamo arrivati alle ore conclusive che vedono in trepida attesa le banche esposte sul fronte Ilva ee le imprese pugliesi dell’indotto siderurgico in fibrillante preoccupazione che con il decreto si adotti la legge Marzano che, nella sostanza, potrebbe congelare la situazione debitoria. Ma non dovrebbe essere così. L’ipotesi su cui si sta lavorando il Governo non è ben vista dal presidente della commissione Industria del Senato Massimo Mucchetti per il quale “Lo Stato fa da sgabello ai privati“, ma anche fra i sindacalisti della Fiom il responsabile siderurgia Rosario Rappa sostiene che «si fa avanti il modello Alitalia, ripulire l’ILVA e scaricare sulla collettività 40 miliardi di perdite» . nel frattempo la Procura della repubblica del capoluogo jonico ha aperto un fascicolo a carico di diversi indagati, a causa di materiali inquinanti scoperti grazie alle segnalazioni di alcuni lavoratori proprio nel sottosuolo dell’area dove dovrà sorgere il nuovo impianto di aspirazione dell’acciaieria 1 dell’ ILVA, secondo quanto previsto dall’Aia . Più che una soluzione, un vero e proprio compromesso.
Il Gruppo ArcelorMittal invia a Gnudi la lettera d’intenti per l' ILVA. La ArcelorMittal accellera le trattative inviando a Piero Gnudi, il commissario straordinario dell’ ILVA, una lettera con la quale viene formalizzato ufficialmente l’interesse per la fabbrica tarantina di proprietà della famiglia Riva da parte del colosso siderurgico francoindiano ma con sede in Lussemburgo La multinazionale multinazionale dell’acciaio, che nell’operazione di acquisto dell’ ILVA di Taranto, si muove in cordata con il gruppo italiano Marcegaglia. Nel testo della proposta inviato a Gnudi non viene fatta volutamente alcuna quantificazione di esborso finanziario. in pratica vogliono l’azienda a costo “zero” . L’offerta del magnate indiano Lakshmi Mittal illustra come di fatto andrebbe strutturata l’operazione dal loro punto di vista. Condizione essenziale e imprescindibile è che l’ attuale ILVA venga divisa in due società (come il Corriere del Giorno aveva già anticipato n.d.r.) : una “bad company” in cui dovrebbero restare gli attuali rischi civili e patrimoniali per ogni precedente danno ambientale; mentre nella “new company” si concentrerà l’attività industriale vera e propria. La mossa conferma l’accelerazione sulla trattativa che era nell’aria già da alcuni giorni. Non a caso il presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva esposto martedì scorso ai sindacati la necessità di salvare con la massima urgenza l’ ILVA di Taranto. Ed all’improvviso come per incanto è arrivata la lettera-proposta di ArcelorMittal e Marcegaglia al commissario governativo.
La cordata ArcelorMittalMarcegaglia vuole l' ILVA a costo
zero ! Il Governo nella persona del presidente del consiglio, Matteo Renzi, vuole che si concludano a breve le attuali negoziazioni per la cessione dell’ ILVA e pressano il commissario Gnudi che sta cercando di chiudere la trattativa. Renzi vuole postare fra i suoi tweet e slide il secondo salvataggio aziendale nazionale:dopo l’ Alitalia anche l‘ ILVA . Un salvataggio che ad onor del vero sembra allo stato attuale più una svendita di un altro pezzo dell’industria italiana italiana, che un valore reale per i conti economici del nostro PIL . Piero Gnudi è perfettamente a conoscenza che di questo passo senza uno stabile forte sostegno finanziario l‘ ILVA rischia di chiedere i battenti . Non a caso sono proprio le banche, a spingere e premere affinchè la trattativa per la cessione si concluda concretamente. Altrimenti la disponibilità della seconda tranche del prestito ponte concordato con Gnudi, cioè gli altri 125 milioni sui 250 complessivi stanziati potrebbe sfumare.
Il commissario governativo attuale, è perfettamente consapevole e conscio che allo stato attuale l’ ILVA perde mensilmente alcune decine di milioni di euro, che non sono certamente i 60-70 milioni denunciati dal presidente di Federacciai Antonio Gozzi nel maggio scorso durante la gestione del precedente commissario governativo Enrico Bondi , ma resta sicuramente un bella somma, e peraltro Gnudi sa perfettamente che di questo passo il valore dell’acciaieria di Taranto scende ogni giorno di più. I possibili acquirenti dell’ ILVA e cioè i franco-indiani di ArcelorMittal in cordata con il Gruppo Marcegaglia stanno facendo pressione su questo aspetto, cercando di far scendere il prezzo. Proprio ieri il Corriere della Sera, ha anticipato che potrebbe avvicinarsi allo “zero” o persino essere negativo. I rappresentanti del colosso franco-indiano che si stanno occupando della trattativa guidati dal chief executive officer per l’Europa, Aditya Mittal, figlio del patron del gruppo Lakshmi, sono stati più che chiari :
piuttosto che concretizzare l’eventuale valore dell’ ILVA è necessario e fondamentate accertare e quantificare le cause che lo abbattono giorno dopo giorno.
Innanzitutto è importante chiarire la fine che faranno gli attuali debiti a medio lungo termine dell’ ILVA che si attestano sul miliardo e mezzo ai quali bisogna aggiungere i circa due miliardi di investimento ambientale e industriale da realizzare, necessario e fondamentale per rilanciare lo stabilimento con una produzione che sia sostenuta e sostenibile, considerando sarà necessario spingere sull’attività industriale ma in un contesto ambientale compatibile, per poter ritornare a produrre a regime senza inquinare come avvenuto sino ad oggi. Oltre a questi numeri che saranno necessari, secondo le stime calcolate dagli acquirenti, un periodo che oscilla fra i 6 ed i 12 mesi per raggiungere gli standard che consenta di non perdere 60 milioni al mese, e quindi il totale dell’ l’investimento complessivo necessario sfiora i 4 miliardi di euro. Ovviamente stiamo parlando di una “new company” dell’ ILVA da costituire, lasciando nella “bad company” , cioè l’attuale ILVA i rischi di dover risarcire danni civili e patrimoniali per il precedente danno ambientale alla cittadinanza, causati dalla gestione della famiglia Riva. Il Governo e il commissario, hanno posto come punto stabile della trattativa la salvaguardia dei posti di lavoro per 12 mila dipendenti a cui bisogna assicurare un futuro solido e stabile. Le parti partendo da queste posizioni hanno avviato le loro trattative , sono consapevoli che entrambe potranno considerarsi vittoriose solo in caso di esito positivo: gli indiani per aver acquisito la più grande acciaieria d’Europa senza pagarne un euro per l’acquisto; il governo per aver salvato l’occupazione e aver posto le basi per il rilancio (che poi spetterà agli acquirenti) dell’acciaio italiano.
La salvaguardia dell’italianità, almeno parziale dell’operazione, verrebbe garantita dalla presenza del gruppo Marcegaglia che darebbe vita, secondo il Governo, ad una compartecipazione tra il primo produttore mondiale e il primo trasformatore italiano di acciaio. La sola presenza dell’investitore italiano invece non garantirebbe, certamente, da delle conseguenti decisioni se le cose non dovessero andare bene di disinvestimento. Certamente la presenza e partecipazione all’operazione di un importante gruppo industriale nazionale selezionato dal governo offre più garanzie rispetto alla sola presenza indiana; anche lo stesso gruppo Marcegaglia nei mesi scorsi, ha dismesso proprio a Taranto l’attività della controllata Buildtech , a causa del crollo del mercato del fotovoltaico. Analizzata da un’altra visione, l’operazione ILVA, in caso di una gestione positiva, quindi ben gestita, potrebbe persino rivelarsi una vera e proprio possibilità di riscatto a Taranto per il gruppo industriale mantovano. Anche perchè sarebbe anche una soluzione immediata per la riconversione (con ricollocazione dei 120 addetti) della Buildtech . Un ruolo importante, per il passaggio dell’ ILVA alla cordata ArcelorMittal-Marcegaglia, potrebbe essere ben giocato dai sindacati, se l’occupazione, come si auspica, verrà tutelata e garantita anche perchè i sindacati attualmente non riscuotono più molta fiducia e credibilità fra i lavoratori dell ILVA, ed in tal caso potrebbero rivendicare la soluzione come una propria conquista. Con delle ipotesi del genere trasformate in realtà, in definitiva l’unico sconfitto a Taranto sarebbero i “professionisti” …. del protagonismo ambientale ( per alcuni l’ ambientalismo è solo una strategia di visibilità ). Per molti di loro il mostro inquinante dell’ ILVA va chiuso, ma nessuno di loro ha mai sinora spiegato e sopratutto indicato concretamente una soluzione certa che possa garantire anche la tutela degli attuali posti di lavoro. Tutto ciò anche perchè quasi nessuno di oro ha in realtà una vera e propria competenza in ambito ambientale o manageriale. Solo slogan al vento.
Confagricoltura Taranto: Ilva, la "bad company" ? Un grande rischio per il riconoscimento del risarcimento ambientale «L’ipotesi di una bad company Ilva in cui infilare il contenzioso ambientale mi pare davvero una pessima idea: non vogliamo finire nel calderone dei “cattivi”». Commenta così Luca Lazzàro, presidente di Confagricoltura Taranto, la notizia circolata sulla carta stampata circa la definizione del nuovo assetto societario del colosso siderurgico tarantino su cui stanno lavorando il ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi, e il commissario straordinario Piero Gnudi. La possibilità di applicare il “modello Alitalia” all’ ILVA – come riportato da autorevoli organi di stampa – è stata ventilata durante un vertice a Roma, al quale oltre al ministro e al commissario ILVA hanno preso parte Aditya Mittal, responsabile finanziario di ArcelorMittal (il colosso franco-indiano che da tempo corteggia l’ ILVA), i banchieri di JpMorgan che l’assistono, Antonio ed Emma Marcegaglia, a capo di un gruppo con forti interessi nella produzione di acciaio. Un incontro ai massimi livelli, che testimonia la volontà del governo di stringere i tempi per trovare una soluzione definitiva alla questione ILVA. «Stando alle cronache – dice Lazzàro – il commissario Gnudi vorrebbe costituire una newco, una specie di Ilva 2 alla quale l’attuale Ilva conferirebbe le aziende, i dipendenti e i debiti legati alla sua attività, tra i quali il finanziamento-ponte da 250 milioni. Così facendo, si finirebbe col tutelare il credito delle banche, mentre resterebbe alla bad company il contenzioso ambientale, assieme alle pretese risarcitorie di decine di aziende e portatori d’interessi diffusi, come Confagricoltura. È noto – continua Lazzàro – che la mia organizzazione è in attesa di conoscere la decisione della Cassazione sull’istanza di remissione, per potersi poi costituire parte civile nel processo “Ambiente svenduto” perché riteniamo, a ragion veduta, di essere noi agricoltori, insieme alle persone che si ammalano per l’inquinamento, le prime vittime di questo sistema che ha rovinato il territorio e lo sta penalizzando pesantemente non solo dal punto di vista ambientale, ma anche sul versante squisitamente economico». L’effetto del marchio “Taranto”, sinonimo di inquinamento, sta
costando parecchio ad aziende che facevano dell’export il loro punto di forza. «Se a ciò aggiungiamo – aggiunge il presidente di Confagricoltura di terra jonica – la possibilità che diventi più difficile, se non peggio, tutelare gli interessi di tante aziende che, anche in sede civile, stanno rivendicando il risarcimento dei loro diritti lesi dall’azienda siderurgica, il quadro è completo. Le indiscrezioni circolate su ipotetiche newco e badco non ci fanno affatto stare sereni, perché si rischia di infierire ulteriormente su un territorio già abbastanza provato e, per giunta, tenuto fuori da ogni circuito decisionale e partecipativo rispetto al proprio futuro. Al contrario – ribadisce Lazzàro – assistiamo all’ennesima decisione calata dall’alto, peraltro basata su modelli industriali vecchi e superati». L’idea di Confagricoltura, invece, corre su un piano diverso: «Non possiamo più permetterci – sottolinea il presidente jonico – di sbagliare il modello di sviluppo per Taranto, una realtà che ha bisogno di ripartire da scelte nuove: quella che proponiamo noi, un’agricoltura moderna e proiettata nella competizione mondiale, è certamente in antitesi col modello ormai obsoleto della monocultura dell’acciaio». Infine, Lazzàro sollecita il premier Renzi a tornare a Taranto per parlare «la stessa lingua usata due giorni fa nel Palazzo di vetro dell’Onu, quella della Green economy targata Italia. Qui a Taranto, invece, abbiamo visto e sentito parlare soltanto di “grey economy”, non una semplice questione di cromatismo ma di sostanza».
Arcelor Mittal vuole l' ILVA e studia le carte al ministero ArcelorMittal “resta interessata ad una potenziale acquisizione di Ilva e conferma che sta lavorando con il gruppo Marcegaglia, azienda leader nella lavorazione e distribuzione dell’acciaio in Italia, per valutare tali opportunità“. Queste le dichiarazioni ufficiali del colosso franco-indiano per testimoniare e commentare come ” approfondito e cordiale” l’incontro avvenuto oggi al ministero dello Sviluppo “per discutere del futuro di ILVA” a cui hanno partecipato Aditya Mittal il responsabile per le operazioni Merger&Aquisitions di ArcelorMittal e ceo per l’Europa, il ministro Federica Guidi presente alla riunione insieme a Piero Gnudi commissario
governativo dell’ ILVA . All’incontro, erano presenti anche gli amministratori delegati della Marcegaglia, Emma e Antonio Marcegaglia ed i rappresentanti della banca d’affari internazionale JP Morgan. Nel comunicato diramato dalla multinazionale franco-indiana, si da atto che l’incontro “è avvenuto in seguito all’invito rivolto dal Governo Italiano tempo fa di esaminare le attività di ILVA” e che «ArcelorMittal resta interessata ad una potenziale acquisizione di ILVA e conferma che sta lavorando con il gruppo Marcegaglia per valutare tali opportunità», ed i vertici del gruppo indiano e del gruppo italiano hanno esaminato lo stato delle trattative insieme ai tecnici del ministero. I contenuti dell’incontri sono stati “blindati” ma è trapelata la possibilità di creare una “newco” (cioè una nuova società) per lasciare in una “bad-company” (in pratica l’attuale) tutti i rischi che potranno derivare dalle gestioni passate, a partire dal contenzioso ambientale, e per mettere quindi al sicuro i futuri nuovi azionisti da ogni incertezza legata alla «vecchia-ILVA». Una strategia che ricorda molto da vicino la cessione dello Stato della compagnia aerea ALITALIA. Nel frattempo, a Taranto, è attesa per domani una delegazione composta da una decina di top managers del gruppo indiano Jindal, uno dei maggiori produttori di acciaio al mondo, che dopo essere stato ieri all’ ILVA di Genova. è stata ricevuta oggi dalla dirigenza dello stabilimento siderurgico tarantino. Da quanto si è appreso, si è trattato di un incontro preliminare in cui i tecnici del gruppo interessato ad acquisire la gestione dell ‘ILVA che hanno potuto visionare la documentazione inerente allo stabilimento, costituendo tre sottogruppi di lavoro che stanno esaminando rispettivamente il settore “Laminazione”, il settore “Acciaierie” ed il settore relativo alle aree degli “Altiforni“.
Tutte le ipotesi sulle trattative per l' Ilva
Piero Gnudi, nuovo commissario straordinario dell’ILVA, si è dato una priorità. trovare nuovi azionisti a cui affidare il rilancio dell’azienda, che è la condizione preliminare al piano industriale necessario per uscire dalla crisi. La joint-venture ArcelorMittal, è ormai pronta a passare dall’analisi dei conti del gruppo, alle trattative per constatare la distanza in termini di soldoni fra domanda ed l’offerta Ma fra i contatti in corso vi è ampia apertura per una cordata che abbia tra gli azionisti anche imprenditori italiani, a partire dal Gruppo Marcegaglia, il Gruppo Arvedi . Da soli nessuno degli italiani avrebbe in realtà le risorse necessarie, ma in cordata possono essere della partita. Il vero problema attualmente insormontabile è che nessuno vuole pagare di tasca propria il conto necessario per il risanamento ambientale, dopo i disastri causati dalla famiglia Riva, attuale proprietaria dell’ ILVA. ArcelorMittal e compagnia , infatti, sono disposti ad assumersi l’onere degli investimenti necessari per il finanziamento del piano industriale necessario al rilancio della produzione, scesa a livelli imprevedibili, e con perdite operativa difficili da sostenere a lungo. Sono necessari significativi interventi per la manutenzione degli impianti, per troppo a lungo rimandati dagli uomini al servizio della famiglia Riva. La massa di denaro necessaria, infatti, è quella da destinare al piano ambientale di risanamento, che nessuno può in alcun modo mettere in discussione per due motivi chiari e “blindati”: ci si deve muovere nel rispetto di nuove norme di legge , essendo stato approvato per decreto Legge, che è stato uno dei primi atti intrapresi dal governo Renzi. La seconda ragione è che la Procura di Taranto ha gli strali puntati sugli impianti siderurgici, con ispezioni in arrivo. Ma tuttavia, alla ArcelorMittal non hanno alcuna minima intenzione di assumersene carico, ritenendo il risanamento ambientale una eredità
esclusivamente del passato. E non stiamo parlando di pochi euri. Il conto effettuato su incarico dell’ex commissario Bondi, alla società di consulenza McKinsey, arriva a 1,8 miliardi di euro. Quasi 1,5 miliardi per il necessario rispetto delle prescrizioni strettamente ambientali, più circa 140 milioni per ridurre i rischi d’incidenti rilevanti e 180 di miglior efficienza energetica. Stiamo parlando di numeri importanti, di una somma che potrà essere ridimensionata ma che comunque, resta di notevole impatto. Una concreta possibilità è che il conto ambientale lo paghi la famiglia Riva, come sembrerebbe dopo la decisione adottata dall’ultimo Consiglio dei Ministri che ha reso disponibili per il risanamento dell’ ILVA i fondi sequestrati dalla Procura di Milano. Ma in Italia nulla va dato per certo e rimane quindi il solito rischio e malcostume della politica italiana collusa ai poteri forti economico-industriali, e che alla fine, finisce che a pagare è sempre il contribuente italiano. Sino a quando ?