Il baule dei ricordi Racconti di un gruppo di ospiti residenti nella R.S.A. San Francesco Bergamo
L’Infanzia e la casa La luce pallida del sole filtra attraverso la tenda di cotone, mossa da un flebile vento. Siamo tutte intorno al tavolo marrone con il caffè bollente davanti agli occhi e le dita che tamburellano al ritmo di una canzone anni '40. Ci guardiamo l'un l'altra, in silenzio, senza parlare. Siamo partite per un viaggio nel tempo e nulla deve distrarci dal dolce ricordo. La nostra pelle si rilassa a quel suono e le rughe si distendono rendendosi meno visibili. Il tavolo è colmo di oggetti di un tempo, usciti da un vecchio baule che ora giace aperto a capotavola. Qualcuna di noi non esita a prendere tra le mani qualche vecchio aggeggio, per vedere se ancora funziona. Luigia fa scricchiolare il vecchio macinino del caffè, mentre Giulietta già vede nel vecchio paiolo di rame una fumante polenta di farina gialla. Le pare di sentire le voci dei suoi fratelli mentre quasi litigavano per avere il pezzo croccante che si era formato sul f ondo della pentola. " Siccome non avevamo l'acqua calda - la voce di Fidia si diffonde dolce e delicata - le mamme facevano scaldare l'acqua sul fuoco e poi, a turno, la usavano per lavare nei mastelli noi bambini" . Tutte muovono il capo come a condividere quel ricordo. Pare di essere tornate indietro… ci sentiamo sollevare dalla mamma sul tavolo mentre l'acqua che ancora profuma di marsiglia g occiola dalle nostre teste… Due giorni dopo siamo già tutte sedute, con il caffè caldo davanti a noi, e quando il vecchio baule viene svuotato davanti ai nostri occhi una valanga di ricordi ci viene incontro correndo. L'aria pare più fredda e qualcuna di noi si stringe nel suo pesante scialle. Abbiamo voglia di ricordare ancora. Saltano alla mente delle parole in bergamas co; Rosetta ne ha s critte un po’ su un foglio di carta… sidèl, scagna, bigaröla, föch, résulì (i riccioli), scùa, cüg ià, pirù, stignàt… Un pesante ferro da stiro fa capolino dal baule. " Ol fer de stirà! Lo riempivamo con la brace accesa della stufa o del camino, presa con le molle" " Si apriva qui e la si metteva qua dentro" dice Aurora mentre lo manovra e gesti antichi ci tornano alla mente. " Oppure c'era l'anima: era s olo una piastra con il manico. La si teneva sulla stufa per s caldarla. Però bis ognava averne due, per poter fare il cambio." " Ma noi non stiravamo le lenzuola. Ci mettevamo uno per parte mentre i bambini piccolini si mettevano sotto. Tiravamo le lenzuola, poi le las ciavamo un po’ cadere per far divertire i piccoli, le piegavamo e basta, erano pronte per il letto; e che profumo…" " Poi le facevamo sbiancare, vi
ricordate? Si stendevano sull'erba, così prendevano il s ole e si as ciugavano bene, poi si passava con l'annaffiatoio e si sbrofavano" "No, noi non con l’annaffiatoio, andavamo con il secchio e facevamo così - Rina muove la mano mimando l’atto di prendere l’acqua e farla sgocciolare- … mi sembra ancora di sentire il “tac” dell'acqua." "Usavamo anche la cenere, nel mastello, per fare le grandi pulizie. Mettevamo dell'acqua bollente, poi la cenere e le lenzuola… ma sa come mi venivano bene?" " Con quella si puliva anche il rame." " Aceto e sale" incalza Giuseppina, " solo così diventa brillante il paiolo della polenta!" " Ma io mi ricordo che il sòi (secchio) aveva un buco" " Sì, dice Giulietta, c’era un tappo che serviva per svuotare l'acqua senza doverlo capovolgere, visto che era molto pesante." "I panni da lavare, venivano messi nel caagnöl, una cesta a forma di nido. Quando si partiva per il lavatoio era abbastanza leggera, ma al ritorno era pesante." Nel frattempo il sapone da bucato, ol pà de saù, passa di mano in mano. Il suo profumo inebriante aiuta a ricordare… ed evoca altri odori, tanto che Fidia aggiunge: " Gli uomini in tas ca, avevano la tabacchiera, dalla quale toglievano del tabacco da annusare." " Anche mia mamma la usava." " Quello invece, dice Sandra indicando una scatoletta, era per il lucido delle s carpe" . " Ma poteva contenere anche le caramelle… gli anesì." " Anche i mentì." " Io mi ricordo che c'erano delle caramelle…i tac, erano tipo la liquirizia, a forma di animaletto. Costavano pochissimo" . " Andavamo a comprarli all'oratorio. Mi ricordo che alla domenica, ci davano qualche soldo, noi andavamo al dutrinì (dottrina) e poi passavamo a comprarle" . " Poi c'erano le foetine, erano piccole caramelle di liquirizia. Mi ricordo che me le mettevo in tas ca e capitava che si attaccassero tutte insieme, poi le string he" . " Anche il matrical, si portava ai vecchi, di un colore tendente al giallino." "E il sùcbachet?" "Era un bastoncino di liquirizia che si succhiava". " A me arrivava la S. Lucia che consisteva in un sacchettino con dentro due o tre mandarini, che poi non vedevo più in tutto l'anno, frutta secca, caramelline di zucchero, i basì. Tutto qui. Ce li tenevamo lì, magari per quindici giorni e ne mangiavamo un poco per volta." "Ce li gustavamo i dolci; adesso è diverso, perché si ha troppo" . Torniamo a parlare della casa e delle stanze. " Noi eravamo in tanti… “ dice Giulietta, “i fratelli più piccoli dormivano con il papà e con la mamma, uno in fondo ai piedi e due ai lati. Poi c'era la camera delle s orelle e dei fratelli. Poi essendo morta la nonna, i più grandi erano andati a dormire in quella camera, mentre i più piccoli, ancora in cinque o sei, tutti insieme." "Io dormivo con le mie sorelle e qualcuno dormiva sull' ottomana, che di notte diventava letto. Ma non avevamo in camera il ris caldamento. In cucina avevamo il franklin, un fuoco di terracotta, si metteva la legna, mentre in camera mettevamo ol prét o la mònega (monaca) aggiunge Agnese. Tutte ridono. "Era di legno e teneva sollevate le coperte, dentro si metteva lo s caldino di rame" "Oppure usavamo i mattoni, i refrattari. Li avvolgevamo negli stracci e li infilavamo in fondo al letto. " Poi c'erano le bottiglie, dove si metteva l'acqua bollente, come se f osse una borsa dell'acqua calda" "E quando faceva freddo… vi
ricordate i vetri?" "E' vero, si faceva la brina o una lastrina di ghiaccio." " Ma appunto, come mai adesso non si vede più?" "In casa non c'era nemmeno il bagno. Accanto ai piedi avevamo ol bocàl (vas o da notte) poi il catino e la brocca." Racconta Giulietta: " Il gabinetto era in mezzo al cortile. Era un buco. Al mattino tutti scendevano perché bis ognava svuotarci dentro il vasino. Mi ricordo che una volta uno del mio cortile è entrato e senza guardar dentro ha svuotato il suo vas o… ma il gabinetto era già occupato da un altro signore e l'ha lavato" . Di nuovo ridiamo tutte di gusto.
La scuola Il tesoro che racchiude il baule dei ricordi evoca giorni lontani, la nostra infanzia tras corsa anche sui banchi di s cuola. Ecco i pennini, " ce n'erano di diversi tipi - dice Maria prendendone uno tra le mani e mimando l’atto di scrivere - quello sottile per s crivere in bella calligrafia, quello con la punta quadrata, per i disegni di geometria" ; ed il diploma, con la s critta " lavori donnes chi" ; la pagella, in cui si valutava anche la bella scrittura " eh sì, c'era un quaderno apposta per la scrittura." " A scuola utilizzavamo inchiostro e calamaio – comincia a raccontare Giulietta - Nel banco c'era il buco per il calamaio e quando cadeva la g occia di inchiostro sul foglio si usava la carta assorbente." "E se durante il dettato si arrivava alla fine della pagina, bis ognava fare in fretta ad as ciugarla per poter continuare il dettato. Invece il calamaio che avevamo a casa era fatto in modo che non si roves ciasse: era quadrato, con una piccola apertura per intingerci il pennino." " Mi ricordo ancora aggiunge Agnese - il rumore del pennino mentre s crivevo sul quaderno. L'inchiostro che usavamo era blu. Solo la maestra usava l'inchiostro ross o, per correggere gli errori." Alcune f otografie scorrono di mano in mano. Tra queste ce n’è una che ritrae un g ruppo di bambine con una donna. “Guardate – dice Aurora mostrando alle altre signore del gruppo la vecchia fotografia – questa è la mia classe! E c’è anche la mia maestra…” In un attimo gli occhi le si illuminano mentre aggiunge: “Ero molto affezionata alla mia maestra; mi ha seguito dalla prima alla quarta elementare e ho avuto un dispiacere grossissimo quando ci ha las ciati. Si chiamava Giuseppina Carozzi. Era brava ma anche un po’ severa: quello che diceva la maestra non si poteva dis cutere. Un giorno avevo indossato un bellissimo cappello, fatto da mia zia che era una modista, con una fas cetta di organza, piena di rosette. Arrivata a s cuola lo appesi sull’appendiabiti, fuori dalla classe. Siamo tutti nei nostri banchi quando la maestra arriva e porta in classe questo cappello, chiedendo di chi è? Io sono rimasta zitta… era il periodo in cui circolavano i pidocchi e io avevo paura che magari ne avesse trovato uno proprio lì, mentre invece lei voleva saperlo solo perché lo trovava molto bello… “ “Anche la mia maestra era severa – si guarda le mani, Fidia, mentre racconta - " Mi ricordo ancora il righello che veniva usato come bacchetta s ulle mani." "Cara mia, certe maestre i era mia tat aleg re (non erano tanto allegre)".
"Io sono finita tante volte dietro la lavagna, quando ero in collegio – ricorda Marietta - Facevo ridere le mie compagne e allora la maestra mi metteva in castig o. Ma poi, da dietro la lavagna, facevo capolino e le boccacce alle mie compagne." Tutte ridiamo di gusto. " Avevamo anche il grembiulino nero con il colletto bianco." E Luigia aggiunge -" sapete, ai bambini piccoli, nell'asilo della mia s cuola a Milano, sul grembiulino veniva s critto “non mi baciare” perché c'era il ris chio di malattie." “C'era anche la messa dello s colaro, vi ricordate – dice Giulietta - al mattino, prima di andare a s cuola si andava a messa." "Io non avevo tempo di andare a messa – risponde con decisione Agnese - perché ogni mattina dovevo percorrere con le mie amiche tre chilometri di strada a piedi per arrivare a Brembate dove c'era la s cuola: dove abitavamo noi non c'era. Ci trovavamo tutte sulla strada e poi si partiva e si andava a s cuola insieme. Eh, sì…è un romanzo la mia vita." "Un romanzo bello, che varia e che ci piace leggere" . Dal baule viene tolto l'astuccio di legno e la lavagnetta con il gessetto. " Anche noi l'avevamo la lavagnetta; da una parte c'erano le righe, dall'altra i quadretti" . "E l'abbecedario, c'è ancora?" "Sì, poi venne sostituito dal sillabario" . "I quaderni ed i pennini li mettevamo nella cartella, ma chi era meno fortunato legava i quaderni con il laccio. E la cartella era sempre la stessa; tutti gli anni. La scuola cominciava il primo di ottobre ed ogni giovedì c’era vacanza!” “ E poi – dice Giulietta - non c'era la mensa come oggi: i bambini dell'asilo portavano il cestino; dentro c’era un pezzetto di f ormaggio e la frittata…che non mancava mai… La mamma incartava tutto con della carta velina… Mi pare ancora di sentire il profumo di quando si apriva il cestino – emozioni ass opite affiorano al ricordo di profumi familiari - Poi loro davano il primo piatto, che di s olito consisteva in un piatto di risotto al pomodoro o in una minestra. C'erano delle lunghe tavolate con i buchi, per mettere il piatto ed evitare che si roves ciasse e per sedersi… le panchine. La suora prendeva in braccio i più piccoli e li faceva sedere." " Dopo mangiato, riposavamo con le mani appoggiate sul banco." Continua Aurora “Io andavo a scuola vicino alla funicolare, in Città Alta, dalle suore francesi. Tornavamo a casa a mangiare, però avevamo l'intervallo, la ricreazione, per mangiare magari un frutto e giocare un po’.
I giochi Giocavamo a cip, a toc, a mondo. Scrivevamo per terra i numeri, buttavamo il sasso e saltavamo facendo attenzione a non pestare le righe, se no era " bruciato" e si doveva ripartire da capo." Usando la lavagnetta lo rappresentiamo in piccolo. - " C'erano tanti giochi a circolo: ci si metteva in cerchio ed una passava dentro e fuori cantando, per esempio: Io s on contadinella, alla campagna bella, se fossi una regina sarei incoronata ma sono contadina e mi tocca lavorar." " Sì, - dice Marietta - oppure: girogirotondo, cas ca il mondo, cas ca la terra, tutti giù per terra." " C'era anche la merla o sgarela o pinpinel, ma giocavano s olo i ragazzi, usando il bastoncino e il marciapiedi. Vinceva chi
rius civa a mandare il bastoncino più lontano." "E il pirli?" "Era una trottola di legno, vinceva chi la faceva durare di più" " Poi c'era quel cavallo fatto con il bastone e la corda". Dal baule es ce, accompagnata da molte es clamazioni, la bambola di pezza. " Non avevamo molte bambole, c'erano quelle fatte con le pannocchie." "Io ne avevo una s ola e non mi verg ogno a dire che ci ho giocato fino a tredici, quattordici anni!" " Anche la bicicletta, sì, la bicicletta c’era…” – dice all’improvviso Carolina, rendendoci partecipi di uno dei pochi ricordi che la malattia le permette ancora di richiamare alla memoria. "Se mi portate un bottone e del filo di cotone, - dice all’improvviso Fidia - vi faccio vedere io un bel gioco!" "Io giocavo anche alla caàlina (la cavallina)" "No, io no, - si appresta a dire Rina - perché mia mamma non voleva, avevo dei fratellini piccoli e diceva che era pericoloso!" . "E poi… si cantava tanto – si unis ce al dis cors o Elvira, la canterina del gruppo – e le canzoni erano anche animate. Vi ricordate farfallina, bella bianca, vola, vola e mai si stanca. Vola qua, vola là poi si ferma sopra un fiore, poi si ferma sopra un fior?” Si, qualcuna di noi se la ricorda ancora e la canticchia sottovoce mentre Elvira, mimando i gesti infantili, sussurra “io me la ricordo come fosse adess o…” Ecco Fidia intenta a costruire un piccolo gioco con il filo ed il bottone che aveva chiesto. Lo fa girare come se fosse un piccolo yo-yo, mentre tutte noi la osserviamo divertite. "Quando arrivava Santa Lucia, dovevamo andare a letto presto e mettere fuori dalla nostra cameretta una s carpa." " Se ci occorreva qualcosa per la s cuola dovevamo chiederla, scrivendo una letterina, così trovavamo anche dei quaderni o cose così." " Io non ricevevo dei giocattoli… qualcuna di voi sì?" " Io avevo una bella bambola di porcellana, però non bis ognava toccarla ed era appesa al muro. Me l'aveva portata Gesù Bambino." Nessuno vuole interrompere il flusso di ricordi e di emozioni che irrompe come un fiume in piena, ma che non fa paura…
Farsi belle e uscire Si sentono in sottofondo le note di una famosa canzone, " Baciami piccina" . Qualcuna di noi si unis ce alla musica, canticchiando il ritornello. Ed ecco altri oggetti che il baule conservava gelosamente e che ora generosamente ci svela: ol borsì, la borsèta.. " Io ho ancora una mantellina come quella, - dice Maria - me l'aveva fatta la mia mamma e la us o ancora" . "E' da mettere quando ci si fa belle!" " Io ce le avevo tutte quelle cose lì" , esclama Aurora. Il tavolo si trasforma pian piano in una accessoriata toilette. " Quella" - incalza Sandra - " è la petenina, la si usava quando si aveva tanta forf ora o i piöcc (pidocchi). Vi ricordate? Per toglierli usavamo il petrolio. Prima di pettinarci, però, usavamo la mantellina, poi facevamo le onde con il ferro per i capelli e per farle durare usavamo acqua e zucchero. Ed eravamo pronte per us cire a fare la passeggiata sul " Sentierone" e " Viale Roma" . Il profumo di violetta passa di nas o in nas o. " Io mi truccavo, mettevo il profumo e il fondotinta." " Ma
non c'era il fondotinta" - ribatte Fidia - " ai nostri tempi c'era la cipria." " Anche il rossetto era di moda. Io lo mettevo sulle guance, tipo il fard." " Chi non li aveva, faceva dei nei finti, per bellezza, era di moda." "C'era anche il detto: bella non è se neo non ha." " Una volta ci tenevano di più!" " Si usavano molto i cappelli, di paglia, alla parigina…" " Mia mamma quando lo mettevo mi diceva: cosa aspetti? il principe azzurro?" "Lo si usava molto… andavi dal fruttivendolo e ti mettevi il cappello e i guanti, se no non eri completa." " Anche in chiesa bis ognava andare con il capo coperto: o con il velo o con il cappello." " Con la manica corta non si poteva entrare…" " Ma neanche con le calze di nylon, perché erano troppo chiare." " In chiesa eravamo donne da una parte e uomini dall'altra." " Mio papà - dice Giulietta - mi raccontava che ai loro tempi era ancora peggio: mettevano un telone per evitare che mas chi e femmine si vedessero." " A proposito di calze di nylon, - interviene Sandra - mi ricordo che c'era un negozio s pecializzato nella riparazione di calze, per le smagliature. Si chiamava " Telaio d'oro" , sotto i portici del Sentierone. Io ho ancora l’attrezzo che serviva per rimagliare: è una specie di uncinetto con due denti e serviva per chiudere le smagliature”. “Tutte usavamo le calze: dai 12-13 anni las ciavamo le calzette e cominciavamo ad usare le calze con il reggicalze, e la gonna non arrivava mai s opra il ginocchio”. “Sotto i vestiti portavamo la sottoveste. A noi la faceva la mamma. C’era la sottoveste per l’estate e la s ottoveste per l’inverno, in flanella g rossa, teneva caldo; oppure c’era quella di lana, lavorata a mano”. “E vi ricordate le mutande di lana che arrivavano fin quasi al ginocchio??” “Mia mamma aveva delle mutande di lana che arrivavano fino alle caviglie”. “Alcune sottovesti erano così belle che sembravano dei vestiti, con pizzi e voile”. “E c’erano anche i davantini tutti ricamati con pizzo valencienne, vi ricordate?“ " Tutte imbellettate si andava sul Sentierone, maggiormente la domenica, alle 11.30, dopo la Messa Alta e si faceva colazione al " Moca Efti" in via XX Settembre e lì a fianco c’era un bel negozio che vendeva gingilli." E magari si poteva incontrare qualcuno…
Il corteggiamento "Io ho incontrato in Viale Roma un mio vicino di casa – racconta Agnese - Mi ricordo che stavo andando a Messa in San Giorgio e ho sentito dei passi dietro di me: lui mi aveva seguito per tutto il tragitto. Mi raggiunse fuori dalla chiesa e mi disse: “ se permette, signorina, quando es ce dalla chiesa la accompag no”. Allora io ho cominciato a pensare: strano, per fare questo bis ogna che ci sia un motivo: non mi aveva mai guardato in faccia. Terminata la messa lui era lì fuori che mi as pettava. Abbiamo fatto la strada assieme e durante il tragitto verso casa mi ha detto: " Signorina, posso dirle una cosa? Le vorrei chiedere se mi vuol sposare" . Le signore che stanno as coltando es clamano in coro: che bello! E lei, cosa ha risposto? " Io ho detto: senta, adesso non è il momento di dire né sì né no. Vorrei pensarci perché ho la mamma malata; le darò una ris posta." "Io, in realtà, lo conos cevo già di vista: abitavamo nello stesso condominio ed era un uomo molto affascinante e s chivo. Poi ho detto alla mia mamma " il signore che abita sopra mi ha chiesto di sposarlo. Chiedo a voi se posso
farlo" perché la mia mamma aveva bis ogno di me e le mie s orelle erano sposate. La mia mamma mi rispose " Fai quello che desideri: noi siamo anziani e tu domani potresti restare s ola." Però per questo matrimonio ho dovuto affrontare tante cose: perché nessuno pensava che mi sarei sposata alla mia età: avevo già 43 anni. Le mie sorelle e mio fratello non volevano che mi spos assi: ero l'ultima e quella destinata ad accudire i miei genitori anziani e malati. Quando seppero del fidanzamento andarono su tutte le furie ma io, forte di quello che mi aveva detto mia mamma, feci ciò che mi disse il mio cuore. E se dovessi tornare indietro lo rifarei.” “Mi ricordo ancora – interviene Giulietta con un filo di voce che tradis ce l’emozione - quando mio papà mi ha raccontato come ha corteggiato mia mamma: la vide passare per la via e le chiese se poteva accompagnarla. Lei disse di sì e mentre camminavano papà le disse, indicando una via meno trafficata:passiamo di qua. Ma mia mamma gli rispose subito “voglio stare sulla via principale”. In realtà mio papà era talmente emozionato, che sentiva che stava arrossendo e voleva entrare nella via meno frequentata perché si verg ognava e non voleva farsi vedere da mia mamma mentre arrossiva!” Fidia sorridendo racconta: " Augusta, una mia amica, aveva un amico che si chiamava Aldo e le faceva la corte. Quando lui la invitava a passeggio, i genitori di lei li seguivano, non si poteva mai muovere da sola" . Come si chiamano quelli che controllano? I porta ol candelì!! " L'ultima mia s orella aveva un moroso che la portava a passeggio in macchina, una delle prime macchine che c'erano. Lui veniva lì ed il problema era chiedere ai miei genitori se la las ciavano andare con la macchina. Ma i miei genitori neanche a parlarne di andare con la macchina. Allora io dissi " va bene, verrò io, porterò me ol candelì" . Loro davanti e io sul sedile posteriore. A me dava un po’ fastidio, ma d'altronde cosa vuoi… Io però ho detto a mia sorella: ”io vengo con voi, però andare in giro insieme, io sempre dietro e voi due lì davanti … non mi va!” Allora og ni volta loro mi facevano s cendere in centro, poi andavano a fare una passeggiata e dopo un’ora venivano a prendermi sempre nello stess o posto. Tutto di nas costo dai miei genitori che erano tranquilli. Del resto, cosa andavo dietro loro a fare? “ Tutte ridiamo a questa es clamazione!
Il matrimonio Ed ecco, da un giradis chi sentiamo le dolci note di una canzone d'amore, che as coltiamo sorridendo. Qualcuna di noi tiene il ritmo con il piede, mentre altre si muovono delicatamente sulla sedia. Quando viene letta la lettera d'amore contenuta nel baule cala un silenzio attento e meravigliato; solo alla fine qualcuna bisbiglia: " Ma per chi è?, chi l'ha s critta?" " Anche mio marito me le s criveva, ogni giorno. Poi dopo le ho buttate via tutte, arriva una certa età in cui si fanno stupidaggini…" " Bhè, anche a me è capitato di ricevere lettere d'amore, forse ancora più belle di questa… quando avevo vent'anni." " A me mai; di mio marito mi ha colpita la sua simpatia, la sua gentilezza…" " Adesso il romanticismo non c'è più, sono tutti sempre indaffarati." " Non ci sono più le serenate s otto il
balcone." "Combinazione, abitavo vicino ad una signorina a cui facevano sempre le serenate. Cantavano in tre o quattro una canzone, uno con il violino, l'altro col mandolino o la chitarra, in mezzo alla strada, mentre la signorina stava alla finestra." " Mio papà, a mia mamma, faceva la serenata con il mandolino, lo sapeva suonare molto bene." " Ma tu," - dice Ag nese a Marietta - " non sapevi che c'erano le serenate alla sera?" e Marietta ris ponde " Certo che lo sapevo, ma de me i è mai enìcc." (da me non sono mai venuti). Tutte le signore s orridono. " Ma nemmeno da me!" "Certo, mica potevano venire a fare le serenate da me, c'era ancora mio marito!" "E' bello sentire la musica delle serenate di notte…" , qualcuna dice sospirando. Dal baule viene tolta una piccola confezione e Maria pian piano la apre. "E' un anello, magari di fidanzamento." " Io ne avevo uno molto bello. Mio marito l'avevo incontrato mentre prendevamo il tram assieme per andare a lavorare. Ci siamo conos ciuti così. Lui mi s criveva tutti i giorni e poi mi ha dato l'anello di fidanzamento e ci siamo sposati. Io avevo vent'anni, lui ventiquattro." "Io, invece, - interviene Lina che fino a quel momento non era mai intervenuta - abitavo vicino al mio futuro marito; le nostre case erano separate da una rete e alla sera ci salutavamo. Poi mia mamma, non vedendomi più, mi chiamava ed io le rispondevo che ero andata a chiudere il cancello. " Ma quanto ci vuole?" mi diceva, così dovevo rincasare. Mio papà faceva il veterinario, suo papà il medico, così si conos cevano. Poi sua mamma, non avendo figlie, mi aveva pres o come sua." "Il mio anello di fidanzamento l'ho perso io" - dice Maria intristendosi, come se fino ad allora i fili dei pensieri non si fossero mai sciolti - "E la fede?" chiede subito Fidia, accortasi del dispiacere per quella perdita, " ah, quella ce l'ho ancora, non la tolg o mai!" risponde Maria s orridendo. " Mio marito era stato richiamato per la Russia. Prima di partire è passato da me e mi ha regalato l'anello di fidanzamento, ci siamo sposati e poi è partito ed è stato in Russia per tutta la durata della guerra."L'anello di fidanzamento non lo mettevo sempre, invece la fede non si las cia mai" . "Io e mio marito ci siamo sposati il 1° ottobre del 1955 – ricorda Agnese - e siamo andati in viaggio di nozze a San Remo. Lui non mi aveva detto in quale alberg o avremmo alloggiato, per farmi una s orpresa. Quando siamo arrivati, fuori dall'albergo c'era una g rande s calinata e c'erano due camerieri in livrea che mi hanno aperto la portiera e ci hanno preso le valigie ed io ho pensato " vabbè, bisog na proprio che faccia la signora" . Mio marito era abituato: per lavoro viaggiava tanto e frequentava gli alberghi, invece io mi trovavo un po’ a disagio. La camera era bellissima! Bellissima e grande, però i letti erano separati. Mio marito disse " Io voglio i letti uniti" , e così ci prepararono il letto matrimoniale. Siamo stati lì otto giorni; al mattino bussavano alla porta e ci chiedevano cosa desideravamo per colazione; ogni tanto arrivavano i camerieri e ci chiedevano se avevamo tras corso bene la notte, se avevamo bis ogno di qualcos a,…, insomma, dovevo stare nell'etichetta. Se invece fossimo andati in un alberghetto avrei preferito: c'era troppo lusso ed io non avevo mai fatto una vita così, non ero abituata…” " Il mio abito da sposa era molto semplice, prima di tutto non ero più giovane: quando mi s ono s posata avevo 45
anni, me lo ricordo: era un tailleur blu." "Il mio, invece, era un vestitino di ras o grigio con dei fiori blu e sopra avevo un soprabito, perché mi sono sposata in novembre; un bellissimo soprabito viola ed un cappello. Era una bella giornata, me lo ricordo, finalmente! – dice Marietta s ospirando - Le altre signore convenute chiedono in coro " Perché finalmente??" e Marietta risponde: " Perché finalmente ero rius cita a sposarlo! Lui non si decideva a sposarmi ed io avevo la mia famiglia che brontolava perché dopo otto anni di fidanzamento pensavano che mi s pos assi. Ma lui proprio non aveva in mente il matrimonio e allora io gli dissi di non farsi più vedere. Un giorno me lo vedo fuori dall'ufficio che mi aspetta e mi chiede di parlare. Io gli risposi che eravamo d’accordo che non ci saremmo più visti, ma lui insistette e mi chiese di salire in macchina. Appena salita mi disse che il 15 novembre ci saremmo sposati. Io gli dissi: " non cambiare idea perché io lo dico anche ai miei genitori" . E infatti poi ci siamo sposati a Bergamo nella chiesa di Loreto il 15 novembre del 1955. E’ stata una giornata bellissima! "Il mio vestito, invece," - dice Maria - " era di velluto color caffèlatte con il soprabito di velluto più scuro. Noi ci siamo sposati a maggio a Selino, in Valle Imagna, perché mio marito era nativo di lì." " Anche il mio vestito era beige" , aggiunge Fidia, " e come dote ho ricevuto la camera da letto, perché a Milano si usava così, se c'erano i soldi" . " Io invece non ho avuto la dote. La biancheria l'ho comprata. Preparare il baule con la biancheria…per fare poi? Per fare come le mie sorelle? Loro avevano preparato tutto, avevano la dote e poi…una non l’ha mai usata per non rovinarla e l’altra è diventata grassa e non è più rius cita ad entrare nelle s ottane. Le lenzuola ricamate, quelle si erano bellissime! C'erano quelle di lino e quelle di fiandra, oppure di cotone grosso, a volte ricamate a mano dalle nostre nonne. Ho un ricordo, lontanissimo ma nitido, della figura di mia nonna mentre ricamava vicino al camino… Che bei ricordi….”