1 Voi siete tutti fratelli (Mt 23,8; Rnb 22,23). Sussidio per la formazione permanente sul capitolo 3° delle Costituzioni generali. A cura della Segreteria Generale OFM per la Formazione e gli Studi (Roma 2002) ** Hanno collaborato a questo volume: Arregui Joxe Mari, ofm Brunette Pierre, ofm Camps Rubén, ofm Freyer Johannes B., ofm Kremer Sebastião, ofm López Sebastián, ofm Rodríguez Carballo José, ofm Zamorano Saúl, ofm Vaiani Cesare, ofm ** Titolo originale: Todos vosotros sois hermanos Traduzione dallo spagnolo di Fr. Francesco Treccia ** Ufficio delle Comunicazioni della Curia Generale OFM © Segreteria generale OFM per la Formazione e gli Studi Roma 2002
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PRESENTAZIONE La Fraternità è la nostra forma di essere nel mondo e nella Chiesa. Non esiste vita francescana se non come Fraternità; la nostra vocazione è quella di essere fratelli e la nostra legge fondamentale è quella dell’amore (1Test 4). D’altronde il fondamento della nostra vita fraterna consiste nell’aprirci, confrontarci, accoglierci e dialogare. Questi sono gli strumenti per illuminare, fortificare e attualizzare il nostro comune progetto evangelico. Questa è la condizione perché nascano nuove motivazioni, che stimolino la creatività e aiutino a ricuperare la fiducia in noi stessi e negli altri. Dono e impegno, la Fraternità si riceve, ma si costruisce anche come chiamata divina e realtà umana. In quanto chiamata divina, la Fraternità si alimenta con la preghiera, l’ascolto della Parola, l’Eucaristia, il perdono e la riconciliazione. In quanto realtà umana, la Fraternità ha le sue proprie leggi, esigenze e mediazioni: rapporti autentici, familiarità, amicizia, giovialità, cortesia, servizio… Per aiutare i fratelli ad accogliere il dono della Fraternità ed edificarla costantemente, la Segreteria generale per la Formazione e gli Studi, continuando un lavoro iniziato nel 1993, ha preparato con la collaborazione di una commissione internazionale il sussidio «Voi siete tutti fratelli», che offre un materiale utile per la riflessione sia personale che comunitaria sul tema della Fraternità, nella formazione permanente ed in quella iniziale. Mentre esprimo la mia gratitudine alla Segreteria generale per la Formazione e gli Studi per questa iniziativa – e a Fr. Joxe-Mari Arregui, Fr. Pierre Brunette, Fr. Johannes Freyer, Fr. Saúl Zamorano, Fr. Cesare Vaiani, Fr. Sebastião Kremer, Fr. José Rodríguez Carballo e Fr. Sebastián López per la loro collaborazione alla elaborazione di “Voi siete tutti fratelli” – invito cordialmente tutti i Frati dell’Ordine a servirsi di questo sussidio per progredire, senza mai stancarci, nell’accoglienza del dono dei fratelli e nella costruzione della vera Fraternità come «famiglia unita in Cristo» (CCGG 45 §1), in modo da raggiungere «la piena maturità umana, cristiana e religiosa» (CCGG 39).
Roma, 16 gennaio 2002 Memoria dei Protomartiri dell’Ordine francescano ----------
Fr. Giacomo Bini, ofm Ministro generale
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“VOI SIETE TUTTI FRATELLI” (Mt 23, 8; Rnb 22, 23) La Segreteria generale per la Formazione e gli Studi da vari anni è impegnata alla stesura di testi per facilitare la lettura e l’assimilazione delle Costituzioni generali OFM, pubblicate nel 1987. A tale scopo ha pubblicato nel 1993 La nostra identità francescana. Per una lettura delle CC.GG, e nel 1996 Lo spirito di orazione e devozione. Con gli stessi intenti presentiamo ora il volume “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23, 8; cf. Rnb 22, 23). Con questo testo vogliamo offrire ai Frati e alle Fraternità un materiale che può costituire un sussidio per la formazione permanente che, tenendo conto del 3° capitolo delle Costituzioni generali, aiuti ad approfondire una delle “priorità” del nostro carisma francescano: la Fraternità, e in questo modo permetta ai Frati un «continuo rinnovamento dello spirito» (SSGG 2 §2). Effettivamente la Fraternità è una delle linee fondamentali del progetto di vita francescana: la vocazione di quelli che sono chiamati a questo stile di vita è una vocazione alla Fraternità, vocazione di fratelli. La Fraternità francescana ha origine ed inizio nel fatto al quale si riferisce Francesco nel suo Testamento, quando dice: «…dopo che il Signore mi dette dei Frati…» (2Test 14; 2Cel 15; 3Comp 25-29). Queste parole rivelano e manifestano alcuni degli elementi che costituiscono l’originalità e la caratteristica principale della Fraternità dei Frati minori. • Perché dire «il Signore mi dette dei Frati», significa proclamare che i fratelli li dà e dona il Signore. Significa sottolineare la gratuità del fratello e la gratuità della Fraternità o dell’insieme dei fratelli. Significa che il fratello non è per qualcosa, non è utile, né produttivo, funzionale o negoziabile. I fratelli esistono… per essere familiari tra di loro, per nutrire ed amare il fratello più di quanto una madre ama il figlio carnale (Rb 6, 7-8). I fratelli esistono per generare il fratello. • Perché dire che «il Signore mi dette dei Frati», significa proclamare che al centro di tutto sta la relazione interpersonale dei fratelli tra di loro. Significa sottolineare che i fratelli sono tali se comunicano tra di loro e quanto lo fanno. Significa affermare che la reciprocità è il principio costitutivo della Fraternità, intesa come relazione tra i fratelli. • Perché dire che «il Signore mi dette dei Frati» significa proclamare l’eguaglianza dei fratelli nel complesso dei fratelli che compongono la Fraternità dei Frati minori. Ma la Fraternità non è solamente uno dei temi fondamentali della “forma vitae”, bensì, nella coerenza interna della stessa, abbraccia anche gli altri temi, riassume tutto il progetto: la Fraternità è la “forma del Santo Vangelo” che il Signore spinse Francesco a vivere nella Chiesa quando «gli dette dei Frati» (2Test 14). Essere fratelli e osservare il Vangelo si equivalgono e coincidono. La Fraternità è lo stile pratico di vivere la vita francescana. Per questo la Fraternità, la relazione fraterna, sta sopra a tutto ed è il fine di tutto nella regola e vita dei Frati minori. Questa centralità della Fraternità come relazione e, di conseguenza, quella del gruppo di fratelli, “familiari tra di loro”, come Fraternità, perse rilievo e importanza con l’evoluzione che, dopo i primi anni, soffrì la vita dei fratelli e pertanto la visione dell’insieme dei fratelli come Fraternità, la Fraternità dei Frati minori, poiché presero il sopravvento, per diverse motivi, altre dimensioni di vita di fratelli: la vita comune o dell’osservanza, l’accentuazione delle relazioni giuridiche tra i fratelli su quelle della reciprocità, la concezione dell’autorità più come potere che come servizio, ecc. Le attuali Costituzioni generali del 1987 tornano a raccogliere e ad offrire il carismaopzione di Francesco per la Fraternità, sia come relazione tra i fratelli di una Fraternità, sia come il gruppo di fratelli che formano una Fraternità, sia come vita fraterna in comune o vita di fraternità.
4 Questo recupero tra l’altro si manifesta nella priorità che le nuove CCGG danno al termine Fraternità per nominare l’insieme dei Frati che costruiscono l’Ordine, la Provincia o una Casa, come aveva fatto Francesco (CCGG 1,1; 87). Si manifesta, anche e soprattutto, nella presenza costante della parola fratello (CCGG 1 §1-2; 38. 39, ecc.). Infine si manifesta nella priorità che danno alla relazione personale tra i fratelli. Per questo parlano di comunione fraterna (CCGG 1 §2; 42 §2), di unione fraterna (CCGG 42 §1. 43), di relazione spirituale e affettiva (CCGG 50), di stretta unione con i fratelli (CCGG 45)… E parlano anche della vita fraterna in comune (CCGG 38) o della vita di comunione fraterna (CCGG 42 §2), espressa dall’unanime osservanza della Regola e delle Costituzioni (cf. CCGG 42 §2). I temi che sviluppano queste schede, che offriamo come sostegno e aiuto ai Frati per la riflessione e revisione della vita di comunione fraterna, tengono conto di questi principali significati che ha la parola Fraternità: la Fraternità come relazione personale tra i fratelli, la Fraternità come l’insieme dei fratelli che formano una Casa, una Provincia o tutto l’Ordine, e la Fraternità come forma di vita comune. Si comprende, allora, l’ampiezza e la complessità del tema che ora intende illustrare “Voi siete tutti fratelli”, come è dimostrato anche dalla grande, ma anche frammentaria e parziale, bibliografia esistente al riguardo. Consapevoli di ciò e nonostante l’ambiguità che in questo caso contiene la dialettica ad intra e ad extra, abbiamo voluto concentrare qui la nostra attenzione su alcuni aspetti della dimensione ad intra della Fraternità francescana. “Voi siete tutti fratelli”, perciò, non pretende di essere un trattato completo sulla Fraternità, ma di offrire delle riflessioni su alcuni temi che ci sono sembrati più importanti per la vita delle Fraternità. Il materiale che presentiamo in “Voi siete tutti fratelli” è suddiviso in tre grandi blocchi. Il primo ha per titolo “Introduzione”. Il secondo, “La Fraternità francescana”. Il terzo, “Animazione della vita fraterna”. Questi tre blocchi sono seguiti da due “Appendici”. L’“Introduzione” comprende tre temi: il vocabolario francescano della comunione fraterna, l’origine della Fraternità e dalla vita comunitaria alla vita fraterna in Comunità. Il secondo blocco, “La Fraternità francescana: dono e impegno”, si sviluppa attraverso otto temi: costruire la Fraternità, realtà umana della Fraternità, uguaglianza e diversità, familiarità tra i Frati, correzione fraterna, i “preferiti” della Fraternità, Frati minori, Fraternità evangelizzatrice. Il terzo blocco, “L’animazione della Fraternità”, propone i vari aspetti e strumenti per favorire la crescita in questa dimensione: vita fraterna e animazione della Fraternità, vita fraterna e corresponsabilità, i Ministri e i Guardiani a servizio dell’animazione, vita fraterna e Capitolo locale, vita fraterna e formazione permanente, vita fraterna luogo di comunicazione e di dialogo, vita fraterna e discernimento. Le due “Appendici” con le quali si chiude “Voi siete tutti fratelli” contengono delle indicazioni della nostra legislazione sul Capitolo locale e i Guardiani. I temi sono stati preparati da una commissione internazionale in forma di schede per essere utilizzate nei vari incontri di Fraternità: Capitoli locali, revisioni di vita, sessioni di studio, ritiri ecc. Per questi motivi “Voi siete tutti fratelli” ha uno scopo eminentemente pratico, perché vuole porci dinanzi la problematica concreta che presenta la Fraternità nelle nostre Comunità e offrire alcune piste per potenziarla. Tenendo conto di questa praticità e che ciò di cui si tratta interessa ognuno in particolare e l’insieme della Fraternità perché possiamo trarne le necessarie conclusioni operative per la nostra vita, abbiamo creduto utile offrire, dopo ogni capitolo, una serie di testi, piste per la riflessione e domande per sostenere l’interiorizzazione dei contenuti e l’elaborazione del progetto personale di vita e del progetto di vita fraterna. Crediamo che per il lavoro di gruppo la metodologia potrebbe essere la seguente: • Ogni Frate legge in anticipo individualmente il tema assegnato per la riunione della Fraternità. • Il Frate incaricato di esporre in comune il tema, può tener conto non solo dei materiali che sono indicati, ma anche di altri spunti bibliografici sul tema. In ogni modo la cosa importante è che si focalizzi il tema, tenendo presente la situazione concreta della Fraternità. • L’impegno comunitario dovrebbe condurre ad alcune conclusioni operative.
5 Uno dei Frati della Fraternità dovrebbe fare da segretario per registrare le idee che sorgono nel dialogo e le conclusioni. • Sarebbe bene che il tema o i temi studiati in Fraternità fossero oggetto di riflessione orante nel ritiro mensile della Fraternità. “Voi siete tutti fratelli” sarà un sogno o un impegno? A ognuno di noi, a ogni Fraternità, il compito di dare una risposta nella sua vita e di far sì che quello che oggi potrebbe sembrare un’utopia, domani diventi gioiosa realtà. •
Fr. José Rodríguez Carballo. Ofm Segretario generale per la Formazione e gli Studi
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SIGLE E ABBREVIAZIONI SACRA SCRITTURA Gen Is At 1Cor Fil Gal Gv 1Gv Lc Mt Rm 1Tes
Genesi Isaia Atti degli Apostoli Prima lettera ai Corinti Lettera ai Filippesi Lettera ai Galati Vangelo secondo Giovanni Prima lettera di Giovanni Vangelo secondo Luca Vangelo secondo Matteo Lettera ai Romani 1 Lettera ai Tessalonicesi
SCRITTI DI SAN FRANCESCO D’ASSISI Am Aud LAn 1Lcus Lfl 1Lf 2Lf LOrd Lmin PCr Rb Rer Rnb Salv 1Test 2Test Uvol
Ammonizioni Audite, poverelle (1225) Lettera a sant’Antonio Prime lettera ai custodi Lettera a Frate Leone Lettera a tutti i fedeli, prima redazione Lettera a tutti i fedeli, seconda redazione Lettera a tutto l’Ordine Lettera a un Ministro Preghiera davanti al Crocifisso di S. Damiano Regola bollata Regola di vita negli eremi Regola non bollata Saluto alle virtù Piccolo Testamento (Siena) Testamento Ultima volontà (a S. Chiara)
BIOGRAFIE DI S. FRANCESCO D’ASSISI Anper 1Cel 2Cel 2Comp Fior LegM Legper Spec
Anonimo perugino Vita prima, di Tommaso da Celano Vita seconda, di Tommaso da Celano Leggenda dei tre Compagni Fioretti di san Francesco Leggenda maggiore, di S. Bonaventura Leggenda perugina Specchio di perfezione
ALTRE SIGLE CCGG CIC
Costituzioni generali dell’Ordine dei Frati Minori, 1987 Codice di Diritto Canonico, 1983
7 SSGG SSPP FP GS RTV OrOg PC PDV RFF VC VFC TestsC
Statuti generali dell’Ordine dei Frati Minori, 1991 Statuti particolari La formazione permanente nell’Ordine dei Frati Minori, documento della Segreteria generale per la Formazione e gli Studi, 1995 Gaudium et Spes, Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo «Riempire la terra col Vangelo di Cristo», Lettera di Pentecoste di Fr. Hermann Schalueck, ofm, 1996 L’Ordine oggi: riflessioni e prospettive, Lettera di Pentecoste di Fr. Giacomo Bini, ofm, 2000 Perfectae caritatis, Vaticano II, Decreto sul rinnovamento della Vita Religiosa, 1965 Pastores dabo vobis, Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II, 1992 Ratio formationis franciscanae, 1991 Vita consacrata, Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II, 1996 Vita fraterna in comunità, documento della Congregazione per gl’Istituti di Vita Consacrata, 7° edizione 1996. Testamento di Santa Chiara d’Assisi.
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PRIMA PARTE
INTRODUZIONE
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I VOCABOLARIO FRANCESCANO DELLA COMUNIONE FRATERNA
La relazione d’amore più che materno dei fratelli tra di loro ha, negli scritti di Francesco, un ricco e vario vocabolario. Questo vocabolario dimostra che la Fraternità è una delle caratteristiche più importanti della forma evangelica di vita scelta da Francesco. Rileggendo i suoi scritti e facendo attenzione al suo vocabolario possiamo comprendere meglio l’origine della Fraternità nella visione di Francesco, il posto che occupa nella sua vita e gli aspetti essenziali. Si tratta di leggere i testi partendo dalla parola “fratello” presa come termine chiave per capire ciò che Francesco pensa, vive e ci dice con questa parola e altri termini simili. 1. “Voi siete tutti fratelli” (Rnb 22,33) Tra i termini che Francesco usa per trattare della comunione fraterna, la prima e principale è la parola fratello. Questo termine, usato da Francesco 306 volte, è il sostantivo più usato nei suoi scritti dopo Signore che compare 410 volte. È il nome che Francesco dà a se stesso, 15 volte, ed è il nome che usa, insieme a quello di Fraternità che compare 10 volte nei suoi scritti, per designare coloro che con lui scelsero di «seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima madre» (UVol 1). Per Francesco ciò che ci caratterizza anzitutto, a partire dal Vangelo, è l’essere fratelli; da qui deriva tutto ciò che dobbiamo essere: fratelli che pregano (Rb 3,1-9), fratelli che vanno per il mondo (Rb 3,10-14), fratelli che non ricevono denaro (Rb 4), fratelli che lavorano (Rb 5), ecc. Nella Fraternità dei minori non c’è niente che preceda o superi la relazione fraterna, l’unità e uguaglianza di tutti sotto l’unica signoria di Cristo e del suo Vangelo (Rnb 1,1; Rb 1,1). Nella comunione fraterna essere fratello è la cosa più importante di tutto. E perché la parola fratello è un termine essenzialmente di relazione, l’essere fratello si realizza nelle relazioni personali che realmente esistono con i fratelli. Questo vuol dire che uno solo non può essere fratello e che la prima cosa nella Fraternità di Francesco è il rapporto da fratello a fratello, tra fratello e fratello (Rnb 11). Ma questa relazione deve essere interpersonale. Francesco mette in risalto e privilegia questa dimensione con una serie di parole e di espressioni presenti nei suoi scritti. Così reciprocamente compare 7 volte, alternativamente 4 volte, tra sé 4 volte, devono servirsi come vorrebbero essere serviti 8 volte, l’un l’altro 4 volte. A queste espressioni se ne potrebbero aggiungere altre, come dovunque siano e s’incontrino l’uno con l’altro (Rnb 7,15; Rb 6,7), tornare a vedersi (Rnb 7,15), come a se stesso (2Lf 27.43; Rnb 4,5; 6,2; Rb 6,9), avanti a lui (Am 25), con loro (Rb 10,5), il ministro con i suoi fratelli (Rnb 18, 1), separarsi dai suoi fratelli (Am 3,9; LOrd 3.14.17.20). Tutte queste espressioni ci dicono fino a che punto, negli scritti di Francesco, è sottolineata la dimensione interpersonale della relazione di amore più che materno tra i Frati minori. Perciò Francesco mette in risalto l’ineludibile reciprocità e intersoggettività che suppone la relazione personale. Nella sua vita e nei suoi scritti ha privilegiato la reciprocità, l’essere con, per, in, e col fratello: «E con fiducia l’uno manifesti all’altro la propria necessità, perché l’altro gli trovi le cose necessarie e gliele dia» (Rnb 9,10). Per questo tutti sono passivi ed attivi nell’essere familiari tra di loro (Rb 6,7-9), vivendo tutti faccia a faccia e corpo a corpo gli uni con gli altri. Responsabilità di tutti verso tutti, dono mutuo degli uni agli altri fino «a dare tutto se stesso», come dice il Celano di Francesco(2Cel 181), o, come dicono i Tre Compagni dei
10 primi Frati, a «consegnarsi alla morte senza esitare, non solo per amore di Cristo, ma anche per salvare l’anima o il corpo dei fratelli» (3Comp 41). 2. Il Signore mi donò dei Frati (2Test 14). Un’altra espressine molto significativa in Francesco è: «il Signore mi donò dei Frati» (2Test 14). Vicino alla morte, riassumendo nel suo Testamento i passi e i valori più importanti della sua vita, Francesco indica l’origine della sua Fraternità. Con una frase semplice spiega l’inizio della sua vita fraterna come un atto della volontà di Dio: «E dopo che il Signore mi donò dei Frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo» (2Test 14). La vocazione di Francesco e il dono dei primi fratelli si inseriscono in un piano evangelico di vita. Questa scelta di vita, cioè vivere il Vangelo con i fratelli, corrisponde all’obbedienza alla rivelazione divina. Perciò possiamo dire che la Fraternità francescana fa parte di un piano vocazionale nella vita di Francesco con il quale egli risponde per obbedienza alla volontà di Dio, assumendo il Vangelo come forma di vita. Francesco non concepiva la sua vocazione come sequela Christi secondo la forma tradizionale della vita religiosa del suo tempo, bensì, come abbiamo già indicato precedentemente, concepiva la vita fraterna come il nucleo della sequela di Cristo nello spirito del Vangelo. «Il Signore mi donò dei Frati» (2Test 14). Per Francesco il fratello, e per esso la Fraternità, è dono e grazia nell’evento salvifico del santo, amabile, piacevole, umile e pacifico fratello Gesù Cristo (2Lf 56). Perciò il fratello è dono del Signore nel quale Egli si dà e si fa presente (1Cel 24-25). Per questo il fratello è un buon fratello nel Dio bene, ogni bene, sommo bene. Detto in altra forma, il fratello ce lo dà e lo rende tale il Vangelo (3Comp 28-29). Perché non c’è altro Signore che faccia e dica ogni bene (Am 7,4; 8,3; 12,2), e neppure c’è un altro amore di quello che il Signore pone nel nostro cuore per servire e obbedire spiritualmente al fratello (Rnb 5,12-13). Da ciò scaturisce che sia gratuito il fratello e gratuita la Fraternità. E questo vuol dire che il «familiari tra di loro», nel quale il fratello si rivela e si realizza, è gratuito, non è redditizio né produttivo, né funzionale, né commerciabile. I fratelli ci sono… per essere «familiari tra di loro», per amarsi con un amore più che materno, per amarsi sempre reciprocamente (1Test 3). Amarsi l’un l’altro non ha bisogno di giustificazioni, né di ragionamenti: si giustifica da se stesso. È un compito sufficiente per tutta la vita, per la realizzazione delle persone nella propria comunione d’amore, per rendere presente l’amore con il quale il Signore ci ha amato, per incarnare la comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, origine e modello di ogni comunione d’amore, rivelazione che l’amore è la cosa più alta (1Cor 13,13). 3. La forma di vita (Rnb 8,9) Per Francesco la Fraternità è una forma di vita secondo il Vangelo per seguire la dottrina e l’esempio di Gesù Cristo (cf. Rnb 1,1). Tenendo conto dei suoi scritti, non c’è dubbio che per il “Poverello” era importante la visione della Fraternità come forma di vita. Francesco, particolarmente nella Regola non bollata parla con insistenza della forma di vita. «Se qualcuno, per divina ispirazione», vuole abbracciare questa vita (cf. Rnb 2,1) e far parte del gruppo intorno a Francesco, deve accettare la forma di vita dei fratelli (Rnb 2,2). Per questo motivo tutti debbono scegliere attività in conformità a questa forma di vita (cf. Rnb 8,9). Gli stessi Ministri, che hanno la responsabilità di cercare sempre il bene dei fratelli a loro affidati (Rnb 4, 6), nel modo di governare la Fraternità non debbono andare contro la forma di vita abbracciata dai fratelli (cf. Rnb 4,3). È importante notare tuttavia che questa forma di vita in Fraternità non coincide con un tipo di lavoro, o un tipo di vita religiosa, o un tipo di relazione con il mondo e le sue esigenze. La forma di vita, lo stile di stare in Fraternità, è un qualcosa in più. Per Francesco c’è un qualcosa in
11 più che dà forma e genera vita; il resto – lavoro, pratica religiosa, modo di relazionarsi col mondo e con la Chiesa, la stessa disposizione che anima gli incontri tra i fratelli – deve lasciarsi guidare creativamente da questo elemento di vita. E questo elemento di vita che definisce ogni cosa Francesco lo trova in Gesù Cristo. Gesù Cristo è venuto per essere nostro fratello e ci dà la sua vita come fratello. Per questo Francesco non vuole altro che «seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo» (Uvol 1). Nelle Ammonizioni Francesco dichiara che in Cristo ha incontrato la vita: «Il Signore Gesù dice ai suoi discepoli: “Io sono la via, la verità e la vita”» (Am 1,1); dalle stesse parole di Cristo comprende «che è lo Spirito che dà la vita» (Am 1,6); questo Spirito è colui che indica la sequela di Cristo per trovare la vita in tutte le situazioni possibili: «Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione… e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna» (Am 6, 2). In fondo Francesco sceglie la vita come la trovò in Cristo mentre obbediva alla rivelazione divina. Perciò scelse la vita del Vangelo di Gesù Cristo per sé e i suoi Frati: «La regola e vita dei Frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo» (Rb 1,1; cf. Rnb 2,1). E non si stanca mai di ricordare questa vita di Gesù Cristo secondo il Vangelo, che, come unica fonte, deve dare forma alla vita fraterna: «Manteniamoci dunque fedeli alle parole, alla vita, alla dottrina e al santo Vangelo di colui che si è degnato pregare per noi il Padre» (Rnb 22, 41). Così coloro che vogliono far parte di questa Fraternità «siano ricevuti all’obbedienza, promettendo di osservare sempre questa vita e Regola (Rb 2,11). Per Francesco vivere nella Fraternità è sinonimo di lasciarsi formare dalla vita stessa di Gesù Cristo come si trova nel Vangelo. Ciò vale tanto per ogni singolo Frate come per tutta la Fraternità e abbraccia tutti i modi di essere, di lavorare, di pregare, di porsi nel mondo e nella Chiesa. 4. Vivere nell’obbedienza (LOrd 2) Osservando i valori, con i quali Francesco descrive i parametri della sua Fraternità, ci si può rendere conto come sottolinei più l’obbedienza (21 volte) che la povertà (6 volte). Così nella Lettera a tutto l’Ordine si dirige a «tutti i Frati semplici che vivono nell’obbedienza» (LOrd 2). Vivere nell’obbedienza è una delle caratteristiche che descrivono la forma di vita dei Frati (cf. Rnb 1,1; Rb 1,1). Il contesto degli scritti di Francesco ci fa capire cosa Francesco intende con l’espressione «vivere nell’obbedienza». La terza Ammonizione, sulla vera obbedienza, l’interpreta come volontà di sopportare «la persecuzione piuttosto che volersi separare dai propri Fratelli» e come un «sacrificare la sua anima per i suoi fratelli» (Am 3,9). L’obbedienza esprime qui una fedeltà ai fratelli che include particolarmente le situazioni difficili della vita: qualunque cosa accada per Francesco il fratello resta sempre un fratello. Così intesa, l’obbedienza rispetta la Fraternità come base di una relazione che va oltre le vicissitudini della vita perché, come abbiamo visto, è dono di Dio. Per questo è sorella della carità (cf. Salv 3) perché aiuta i fratelli a vivere la carità anche in situazioni di discordia. Conservare fedelmente l’obbedienza al fratello equivale per Francesco a obbedire allo Spirito che dà la vita e aiuta a tenere mortificato il corpo (cf. Salv 15). Al contrario vagare fuori dell’obbedienza significa separarsi dai comandamenti del Signore (cf. Rnb 5,16) D’altra parte Francesco non esige un’obbedienza cieca, anche se qualche volta può sembrarlo. Difatti, quando parla dell’obbedienza, non solo lo fa in relazione alla Fraternità e alla forma di vita, ma tiene conto anche dell’anima del Frate concreto: l’obbedienza deve favorire le cose che si riferiscono alla salute dell’anima (cf. Rnb 4,3). Per questo, nessun Ministro può esigere qualcosa che vada contro la coscienza di un fratello. Il suo ripetuto e serio richiamo all’obbedienza, fino al termine della sua vita quando chiede l’obbedienza totale alla forma di vita, alla Regola e al Testamento (cf. 2Test 25.30-33.38), può essere compreso solo se si tiene conto della sua visione della Fraternità come dono di Dio e come luogo dove i Fratelli trovano la vera vita vivendo secondo il Vangelo di Cristo. L’obbedienza così intesa è un inserirsi nella vita stessa di Cristo, nostro fratello, e in questo senso va a favore del fratello che ritrova la pienezza della vita fraterna in Cristo.
12 San Francesco non concepisce l’obbedienza a senso unico, come se riguardasse solo i sudditi, obbligati a obbedire ai propri superiori, ma in senso reciproco. Per questo l’include anche nel concetto di “superiore”, che è al servizio degli altri fratelli. Nello stesso modo l’obbedienza reciproca è il modo come i Frati si debbono servire l’un l’altro; e l’obbedienza al fratello è il modo come ognuno deve preoccuparsi delle necessità dell’altro. Si potrebbe dire anche che l’obbedienza è il modo francescano di manifestare la propria attenzione, il proprio affetto al fratello, il modo di stare vicino agli altri. Questo senso fraterno di obbedienza, intesa come servizio fraterno, si trasformerà poi poco a poco in obbedienza ai superiori e alle loro decisioni. 5. Servendo il Signore (cf. Rnb 9,11) Come espressione di amore divino, il servire i fratelli manifesta un aspetto molto suggestivo della Fraternità quando Francesco indica che ognuno deve amare e nutrire il suo fratello come la madre ama e nutre suo figlio (cf. Rnb 9,11). L’allusione ad amare e nutrire ricorda la funzione propria della madre di generare e nutrire la vita che nasce. In questo senso il compito del fratello è quello di dar vita, spazio, possibilità di crescita e di sviluppo in un ambiente protetto dall’amore reciproco. Inoltre l’immagine della madre che ama e nutre evoca l’aiuto del fratello per far nascere e vivere nell’altro la vita dello Spirito, cioè nella propria Fraternità. Amare e nutrire il fratello quando è malato (cf. Amm 24, 1) o quando sta lontano (Am 25,1), sono espressioni concrete di questo spirito materno. In un clima fraterno, fondato sul dare e il sostenere, i Frati potranno anche obbedire diligentemente nelle cose che si riferiscono alla salute dell’anima (Rnb 4,3). 6. Comportarsi spiritualmente (Rnb 16, 5). La Fraternità francescana si fonda su relazioni spirituali. Vedere nell’altro il fratello spirituale (cf. Rb 6,8) crea un’unione che per san Francesco supera i legami del sangue perché si basa sullo Spirito del Signore. Avere questo Spirito del Signore e la sua santa operazione (cf. Rb 10,18) è la ricerca più importante della Fraternità. Tutta la vita della Fraternità e di ogni Frate è un camminare secondo lo Spirito (Rnb 5, 5). I Ministri debbono visitare i Frati e «spiritualmente li esortino e li confortino» (Rnb 4,2); tutti debbono osservare spiritualmente la Regola (cf. Rb 10,4), cioè vivere secondo la Regola, come indicalo Spirito stesso del Signore. In tutto ciò che i Frati fanno: lavoro, studio o qualunque altra cosa, i Frati debbono avere «lo spirito della santa orazione e devozione» (Rb 5,2; cf. LAn). E debbono comportarsi in modo spirituale nel loro agire con tutti, specialmente quando vanno tra gli infedeli (cf. Rnb 16,5). In questo caso concreto il “comportarsi spiritualmente” ha un significato molto preciso: «che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani». E in più «quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio…» (Rnb 16,5). Secondo questo testo il comportamento spirituale suppone tre elementi: non promuovere controversie o contese, stare soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio e, quando piace al Signore, annunziare la parola di Dio. Ciò vale non solo per la situazione particolare delle missioni, ma è necessario anche per la vita della Fraternità in qualunque luogo e circostanza. Così lo indica la Regola bollata: «quando vanno per il mondo, non litighino ed evitino le dispute di parole, e non giudichino gli altri, ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti e umili, parlando onestamente con tutti, così come conviene» (Rb 3,10). Questo brano enumera alcuni modi di comportarsi che esprimono il vivere secondo lo Spirito nella stessa linea con cui la Sacra Scrittura esprime il giusto comportamento del cristiano. La Fraternità così intesa è un modo di vivere sotto la guida dello Spirito del Signore, che caratterizza tanto la vita interna come le relazioni con il mondo. 7. Si chiamino tutti minori (Rnb 6,3)
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Nelle sue Lettere Francesco si definisce come «il più piccolo» (2Lf 87), «piccolo e disprezzabile» (LAn 1), «uomo di poco conto e fragile» (LOrd 3), cioè il minore. E nella Regola chiede: “Tutti siano chiamati semplicemente Frati minori” (Rnb 6, 3). Per questo la Fraternità, secondo Francesco. si definisce come «Frati minori» e la Regola è la «regola e vita dei Frati minori» (Rb 1,1). La minorità esprime e contrassegna il comportamento dei fratelli in seno alla Fraternità – secondo le parole del Vangelo: «il più grande tra voi diventi come il più piccolo» (cf. Lc 22,26; Rnb 5,12) – e nel loro modo di prestare i servizi richiesti fuori della Fraternità: «siano minori e sottomessi a tutti coloro che sono in quella stessa casa» (Rnb 7,2). La capacità di comportarsi come minori manifesta visibilmente se un fratello ha veramente lo Spirito del Signore (cf. Am 12). La definizione di “minori” riavvicina alla visione della povertà e umiltà di san Francesco. Per lui essere poveri e umili fa parte della vita come pellegrini e stranieri in questo mondo al seguito di Gesù. La minorità praticata come povertà e umiltà è una condizione di questo essere stranieri e pellegrini come segno visibile della partecipazione alla Fraternità nella sequela di Gesù (cf. Rb 6,2). Il capitolo nono della Regola non bollata esprime più completamente questa visione dell’essere pellegrini e stranieri come minori: «tutti i Frati si impegnino a seguire l’umiltà e la povertà del Signore nostro Gesù Cristo e si ricordino che nient’altro è consentito di avere, di tutto il mondo, come dice l’Apostolo, se non il cibo e le vesti e di questi ci dobbiamo accontentare» (Rnb 9,1). L’umiltà e la povertà di Cristo, come espressione dell’incarnazione del Figlio di Dio, sono per Francesco una nuova forma di esistenza. La povertà esprime esternamente l’umiltà interiore; e la povertà e l’umiltà insieme formano la minorità. La minorità, intesa come forma di vita, è per Francesco la stessa forma di vita che vissero Gesù Cristo, la sua santissima Madre e i suoi discepoli (cf. Rnb 9,5). Poiché voleva che la sua Fraternità vivesse più da vicino la forma di vita di Gesù, Francesco stimolava a vivere la povertà e l’umiltà per seguire Cristo con fedeltà. È importante riconoscere questo nucleo cristocentrico che sta alla base della minorità della Fraternità francescana. Questa forma concreta di vita vuole attualizzare la vita di Cristo nel contesto religioso, sociale, politico e della vita quotidiana. Non si tratta di un semplice costume pietoso, bensì di una vera opzione sociale in favore dei più emarginati. 8. Siano cattolici (Rnb 19,1) Francesco inserisce strettamente la sua Fraternità nella Chiesa cattolica: «tutti i Frati siano cattolici, vivano e parlino cattolicamente» (Rnb 19,1). Per questo vuole che si accettino nuovi fratelli solamente dopo che siano stati esaminati sulla fede cattolica: «i ministri, poi, diligentemente li eseminino intorno alla fede cattolica e ai sacramenti della Chiesa» (Rb 2,2). Inoltre promette obbedienza al signor Papa e alla Chiesa romana a nome proprio e a nome dei suoi Frati (cf. Rb 1,2ss). Nella Lettera a tutto l’Ordine indica vari aspetti di ciò che per lui comporta l’essere cattolici, mette in risalto ciò che considera importante e asserisce che vuole osservarlo fedelmente (LOrd 40-44). La Regola bollata ci illumina anche su ciò che vuol dire per lui l’essere cattolici: «stabili nella fede cattolica, osserviamo la povertà, l’umiltà e il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso» (Rb 12,4). Ci troviamo qui davanti al nucleo dell’essere cattolici: osservare la povertà, l’umiltà e il santo Vangelo. A differenza dei movimenti eretici del suo tempo, Francesco pensa che per vivere il santo Vangelo, per restare il più vicino possibile alla forma di vita di Cristo povero ed umile, è necessario essere cattolici. La Chiesa è quella che pone a nostra disposizione la parola di vita, il corpo ed il sangue di Cristo, cioè il Cristo vivente (cf. 2Test 10,13). Francesco promette obbedienza alla Chiesa e vive con pietà la fede cattolica perché questo è il cammino per unirsi a Cristo, vivendo della sua parola e dei sacramenti. Contemporaneamente Francesco, senza emettere giudizi né promuovere contese, col suo stile evangelico di vita, prende chiaramente posizione contro la Chiesa feudale contemporanea. Mentre riafferma il suo stretto legame con la Chiesa cattolica romana, è cosciente di quello che, anche se praticato dalla stessa Chiesa, si oppone al Vangelo (come si deduce, per esempio, dalla sua visita al Sultano durante le crociate).
14 Francesco, così devoto del papato, non accetta acriticamente le decisioni e la politica della Chiesa feudale del suo tempo e sa confrontare le decisioni della Chiesa con il Vangelo (cf. la predicazione davanti al Papa e ai cardinali). Il fine della sua obbedienza è la vita di Cristo secondo i sacramenti e secondo la parola del Vangelo. Ciò voleva raggiungere tanto nella Chiesa come nel mondo.
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere Rb 6, 7-8. Alla luce di questo testo: * Riflettere sulla fiducia che ognuno ha con i suoi fratelli. 2. Leggere Am 24 e 25. Alla luce di questi testi: *Riflettere sulle esigenze che propongono queste Ammonizioni alla propria vita. Domandarsi: o Che significano nella mia vita le espressioni: «voi siete tutti fratelli», «il Signore mi ha dato dei fratelli», «soffrire persecuzioni piuttosto che separarsi dai fratelli», «tutti si chiamino minori», «siano cattolici»? quali esigenze concrete emergono da queste espressioni? o Mi sento fratello di tutti i membri della mia Fraternità? Di chi sì e di chi no? C’è qualcosa nei miei atteggiamenti e nella mia condotta che è inspiegabile in un’ottica di Fraternità? Che posso fare e che farò per vivere fraternamente? o Come inserire questi aspetti nel progetto personale di vita? Come realizzarlo nella vita personale? Per la riflessione comunitaria 1. Leggere Rnb 9, 1. Alla luce di questo testo: ° Riflettere sulle conseguenze pratiche per la nostra vita che scaturiscono da questo testo. 2. Leggere Rnb 11. Alla luce di questo testo: ° Riflettere sulle relazioni dei Frati tra di loro. 3. Leggere Rb 6, 7-8. Alla luce di questo testo: ° Riflettere sul grado di fiducia che c’è nelle nostre Fraternità. 4. Leggere 2Test 14. Alla luce di questo testo: ° Riflettere sul modo di vivere la gratuità nelle nostre Fraternità. 5. Leggere VFC 21-28. Alla luce di questo testo: ° Riflettere sul rispetto di certi valori umani – riconciliazione, perdono, allegria, educazione, amabilità, sincerità, autocontrollo, delicatezza, senso dell’umore…– nella Fraternità. ° Riflettere sul senso della gratuità nelle nostre Fraternità. 6. Domandarsi: ° Che luogo occupano gli aspetti sopra descritti nel progetto di vita fraterna? o Come trattare questi aspetti nella Fraternità?
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II DALLA VITA COMUNITARIA ALLA VITA FRATERNA IN COMUNITÀ La vita religiosa è stata oggetto di profonde trasformazioni negli ultimo decenni. In pochi anni si sono introdotti grandi cambiamenti in uno stile di vita che aveva resistito per secoli all’urto degli avvenimenti. Se considerassimo l’evoluzione storica della vita religiosa, troveremmo certamente importanti e vere “rotture”. Ad esempio, il passaggio dalla vita eremitica – che accentuava la fuga mundi della persona in quanto essere individuale – alla vita cenobitica dove acquista rilevanza il comunitario; il passaggio dal deserto al convento, ai grandi monasteri; più tardi l’uscita dai grandi monasteri per abbracciare una vita di mendicità e itineranza, cioè il passaggio dal monachesimo classico agli Ordini mendicanti, tra i quali quello di san Francesco d’Assisi e i suoi compagni, ecc. Perciò non c’è da meravigliarsi se il Concilio Vaticano II, nel suo desiderio di rinnovare le strutture ecclesiastiche e adeguarle alla nuova società in continua evoluzione, abbia chiesto ai religiosi un ritorno alle fonti per ricuperare la propria identità originale e adattarsi ai tempi nuovi. (cf. PC 2). Difatti prima del Vaticano II la vita religiosa era caratterizzata dalla sua grande somiglianza e quasi uguaglianza tra i vari Istituti, frutto delle norme date da un unico dicastero e che fissavano alcuni modelli ben definiti ai quali si modellavano gli Istituti esistenti e quelli di recente fondazione. Con il Concilio Vaticano II emerge una nuova concezione della persona che porta ad accentuare sempre più la comunità intesa come vita fraterna, che si costruisce più sopra la qualità delle relazioni interpersonali che sopra determinati aspetti della cosiddetta “osservanza regolare”. Per comprendere meglio, perciò, gli avvenimenti che abbiamo vissuto nel nostro Ordine, è necessario ricordare l’evoluzione dello stile della nostra vita in comune. Così si coglierà più facilmente il nuovo significato della nostra vita in Fraternità come lo presentano le nostre Costituzioni generali. 1. La vita in comunità prima del Concilio Vaticano II Prima del Concilio Vaticano II la vita in comunità era caratterizzata principalmente per essere il luogo che permetteva di vivere un insieme di espressioni religiose, convalidate da norme e leggi e trasmesse dalla trazione. I fratelli si riunivano proprio per poter vivere insieme una struttura teologale, un insieme di esercizi spirituali e l’organizzazione della vita comunitaria era pensata in funzione di questo adempimento. Per questo il suo svolgimento era regolato in funzione della vita spirituale. E quando si parlava di “vita spirituale” si intendeva con ciò la pratica degli esercizi di pietà e delle virtù religiose. Norme come la custodia del silenzio, non entrare nella cella dell’altro, mantenere separate le differenti tappe della formazione (un novizio non poteva parlare con un professo temporaneo!), mostrano che ciò che era decisivo nella concezione e nella pratica della vita comunitaria non era la relazione interpersonale, ma la salvaguardia del ritmo e del clima spirituale. Lo scopo della vita spirituale consisteva nel facilitare la pratica degli esercizi spirituali. Esistevano due grandi nemici della vita comune: la familiarità tra i Frati e la mondanità. La familiarità si riferiva a un tipo di relazione più personale e la cui principale preoccupazione non era direttamente il fervore spirituale; la mondanità si riferiva alle tematiche estranee alla vita spirituale, e che pertanto doveva essere esclusa dall’ambito delle nostre relazioni comunitarie.
17 In una prospettiva del genere, vita in comune voleva dire fondamentalmente compiere atti comuni, anche se non c’era nessun tipo di relazioni personali tra i membri. In effetti, la maggioranza degli avevano come unico elemento in comune la compresenza fisica perché si voleva favorire unicamente l’individualismo. Scarsissimi erano gli atti comunitari con una qualche partecipazione dei membri, salvo le ricreazioni, ma anch’esse fatte con tanta cautela da rendere praticamente impossibile lo scambio personale. Le stesse relazioni tra le persone erano rigidamente regolamentate: si stabiliva con chi poter parlare, come conversare, quali temi si dovevano trattare, ecc. In definitiva, tutto era subordinato al vivere “individualmente” la relazione con Dio. Per questa ragione, perciò, il numero non rappresentava alcun problema; essere in 10 o in 50 Frati, nella stessa comunità, era la stessa cosa. 2. La vita fraterna dopo il Concilio Vaticano II Con il Concilio Vaticano II la nuova struttura della vita religiosa cambia di prospettiva: l’accento viene posto sulla percezione e sulla capacità soggettiva del religioso, come individuo o come gruppo, per giungere all’esperienza di Dio, vivere in comunità e dedicarsi a una missione apostolica. Esiste pertanto uno spostamento che accentua l’esperienza personale e comunitaria del soggetto. Di fatto il Concilio Vaticano II privilegia l’«universo delle relazioni personali soggettive» nella vita comunitaria, al contrario di quanto avveniva in passato in cui la vita comunitaria si caratterizzava come luogo dove si compivano atti in comune. La comunità si converte in una struttura di appoggio, in luogo che favorisce l’esperienza personale di Dio. Prima la vita comunitaria appariva come un elemento ascetico di rinuncia, di mortificazione, di santificazione personale attraverso i sacrifici che imponeva. Così si capisce la frase di san Giovanni Berchmans, gesuita del secolo XVII: «La vita comune è la mia massima penitenza». Al contrario, a partire dal Vaticano II, la vita comune diviene il luogo dell’autorealizzazione umano-cristiana, di sostegno effettivo per vivere la fedeltà a Dio e l’impegno con il fratello. La vita in comune diventa una realtà che ha valore in se stessa, come fattore arricchente della personalità umana. La solitudine, il distacco, l’assenza di vita comunitaria appaiono come minacce. Da qui sorge la necessità di ridurre il numero dei religiosi in una comunità per facilitare un genere di vita basato sulle relazioni vicendevoli. Questo produsse allo stesso tempo un vero rifiuto dei grandi edifici, dell’anonimato in seno alle grandi masse di religiosi che vivevano insieme. Questo passaggio a una struttura comunitaria composta da meno membri e in spazi più ridotti, segnò l’inizio necessario di un nuovo tipo di relazione tra i religiosi. Sorge la necessità di porre in comune la propria esperienza di Dio: la liturgia si trasforma, non più semplicemente il luogo del culto, ma si sente il bisogno di esprimere in essa agli altri la propria esperienza di Dio. Cambia anche il luogo fisico delle celebrazioni liturgiche in modo che anch’esso favorisca la comunicazione personale, diretta, senza inibizioni. La vita personale e comunitaria è sottoposta a valutazioni periodiche in riunioni comunitarie. Si adotta per questo il sistema di revisione di vita utilizzato dall’Azione Cattolica. Le riunioni comunitarie si moltiplicano, a volte semplicemente per accrescere la convivenza; sono incontri terapeutici che servono per allentare le tensioni. C’è uno spostamento dal “teologico” allo “psicologico. Non bastano più le motivazioni di tipo teologico. Il direttore spirituale è sostituito dallo psicologo. Malgrado tutto, però, questo spostamento dal teologico allo psicologico non comporta necessariamente uno svilimento del primo. Significa la scoperta di una dimensione fino a quel momento sconosciuta. Tuttavia questa scoperta fu così violenta che l’elemento teologico restò praticamente sepolto dalla valanga dello psicologico. Ma alla fine si giunge al giusto equilibrio: si tratta di trovare una nuova forma per vivere l’elemento teologico. In questa maniera la vita comunitaria si converte nel luogo
18 privilegiato dell’aiuto fraterno per l’assimilazione cosciente, libera e partecipata degli elementi costitutivi della vita religiosa. Come aspetto irreversibile di questa scoperta s’impone il fatto che non si può più prescindere dall’importanza del personale e dell’intersoggettivo. Per questo il concetto di autorità subisce una profonda trasformazione e si dà una nuova interpretazione ai voti religiosi. In sintesi abbiamo assistito al passaggio da una comprensione pratica della vita religiosa centrata su un complesso di principi spirituali universalmente accettati e un complesso di pratiche religiose regolate, a un progetto di vita liberamente accettato, discusso, assunto in maniera personale, cosciente e comunitario in cui acquisiscano rilevanza la soggettività e la partecipazione comunitaria e in cui tutto deve passare attraverso la mediazione dell’esperienza. Da punto di vista comunitario avviene lo stesso spostamento verso la vita, la partecipazione, la comunicazione, l’autorealizzazione affettiva vivendo con dei fratelli e la necessità di sperimentare in essa la crescita spirituale e il coraggio apostolico. L’importanza della relazione tra i membri della comunità influisce in maniera determinante negli aspetti strutturali della vita comunitaria. Dall’interno della vita fraterna vissuta in comune debbono sorgere l’entusiasmo apostolico e il sostegno per la pietà personale.
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1.
Leggere i seguenti testi: PC 2.3.5.6.9.12-15 Domandarsi: ° Che cosa significa nella mia vita, «la vita comune è la mia massima penitenza»? ° La vita fraterna, come la stai vivendo, ti sta aiutando a raggiungere la piena maturità umana, cristiana e religiosa, oppure no? Perché? ° Che significa per te tornare alle fonti per ricuperare l’identità primitiva? Che significa adattarsi alle esigenze dei tempi nuovi? ° Quali mezzi prevede il tuo progetto personale di vita per passare dalla vita comunitaria alla vita fraterna in comunità? Cosa manca?
2.
Per la riflessione in gruppo 1.
2.
Leggere i seguenti testi: VFC 5.67.68.69.70 VC 37.40. 44.58.63.70 RTV I Alla luce di questi testi domandarsi: ° La Fraternità come accoglie l’invito della Chiesa a rinnovare la nostra vita? Quali sono i criteri di questo rinnovamento? ° Quali sono i segni dei tempi che più ci sfidano in questa fase della storia e nel contesto nel quale viviamo? Che ripercussioni hanno in noi e nelle nostre Fraternità? ° Quali atteggiamenti assumiamo davanti alle numerose sfide ed esigenze delle molteplici ed ineludibili “segni dei tempi”? ° Come si pongono i Fati di una “certa età” di fronte ai cambiamenti che sono accaduti dopo il Concilio Vaticano II? ° I Frati più giovani come comprendono la storia vissuta dai Frati più anziani? ° Come stabilire un miglior dialogo per aiutare i Frati a porsi serenamente davanti ai cambiamenti sempre più rapidi che avvengono a tutti i livelli? ° Quali mediazioni prevede il progetto di vita fraterna per favorire il dialogo tra le diverse generazioni?
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III ORIGINE DELLA FRATERNITÀ (CCGG 38.40)
1. Senso e significato degli articoli 38 e 40 delle Costituzioni generali Questi due articoli delle nostre Costituzioni generali fanno riferimento all’origine, ai fondamenti e alla finalità della Fraternità francescana. Art. 38: «I Frati, come figli del Padre celeste, Fratelli di Gesù Cristo nello Spirito Santo, seguono la forma del santo Vangelo rivelata dal Signore a san Francesco, vivono insieme come Fratelli, si amano e si assistono vicendevolmente più di quanto una madre ami ed abbia cura del figlio nato dalla propria carne». Art. 40: «Ogni Frate è un dono che Dio fa alla Fraternità. Per quanto differiscono tra di loro per carattere, cultura, abitudini, per i talenti, attitudini e diverse qualità personali, i Frati debbono accettarsi l’un l’altro come sono nella loro realtà e considerarsi tutti uguali. In questo modo la Fraternità intera diventa il luogo privilegiato dell’incontro con Dio». Vediamo punto per punto come i due articoli sviluppano il senso e il significato della Fraternità nella vita francescana. L’articolo 38 colloca la Fraternità nella dimensione trinitaria. La Fraternità ha la sua origine nella Trinità: siamo figli del Padre celeste e Fratelli di Gesù Cristo nello Spirito Santo. D’altra parte sottolinea con chiarezza che il fine e la meta della Fraternità consistono nel costruire un modello di vita secondo il Vangelo come il Signore lo rivelò a Francesco. In questo modo, tanto la Fraternità come il modello di vita secondo il Vangelo a cui tende la vita in Fraternità, hanno il proprio fondamento nel mistero trinitario, come fu rivelato a Francesco. Questi lineamenti, che appaiono nell’art. 38, si completano con l’art. 40. In questo articolo si afferma di nuovo che, nella sua origine, la Fraternità è un dono di Dio. Ogni fratello è un dono di Dio agli altri fratelli. L’esistenza di ogni fratello, la sua persona e la sua originalità sono un dono di Dio. Ne deriva che ogni fratello deve accettare gli altri «come sono nella loro realtà…». La Fraternità si costruisce a partire dall’individualità di ognuno e dall’accettazione di tale individualità come un dono del Signore da parte di tutti i membri della Fraternità che partecipano del dono nella misura in cui accettano l’individualità di ogni fratello. In questo modo i fondamenti sui quali si costruisce la Fraternità sono le diverse capacità, i diversi carismi, caratteri e talenti dei propri fratelli. Solo nell’accettazione di questa diversità la Fraternità si converte in luogo privilegiato dell’incontro con Dio, che è l’origine di tale diversità. Oltre all’origine e ai fondamenti della vita fraterna, questi due articoli ci parlano dell’importanza e del valore della Fraternità per la vocazione e il carisma francescano. L’articolo 38 descrive la Fraternità come un elemento costitutivo della nostra forma di vita. La vita fraterna è il modo appropriato di mettere in pratica la vocazione francescana. Il carattere di Fraternità è essenziale per il cammino di Francesco. Anche l’articolo 40 vede nella Fraternità l’originalità propria del carisma francescano. Questa Fraternità, come nucleo della vita francescana, si costruisce precisamente con una relazione d’amore tra i fratelli. I fratelli si debbono nutrire reciprocamente come vere madri spirituali (cf. CCGG 38). Questo linguaggio spirituale di amare-nutrire si concretizza nell’articolo 40: l’amore si rivela nell’accettazione del fratello in concreto, col suo carattere, la sua cultura, la sua storia personale e i suoi difetti e limiti. E come segno visibile di questo amarenutrire si crea un’uguaglianza tra i diversi fratelli. Gli articoli 38 e 40 delle CCGG ci mostrano dunque i due punti di partenza per comprendere l’origine, il fine e l’importanza della Fraternità nella visione francescana. Mentre l’articolo 38 parte dall’alto, cioè da Dio trino, l’articolo 40 parte dal basso, cioè dal fratello nella
21 sua individualità, come dono di Dio. E mentre il primo prende in considerazione la rivelazione divina, il secondo sviluppa l’importanza che il fratello concreto ha per la vita in comune. Pertanto si può parlare di un’origine teologica e di un’origine umana della Fraternità. Le CCGG nel capitolo III torneranno a parlare dell’origine spirituale-teologico della vita fraterna, ricordando che i Fratelli sono figli del Padre celeste e Fratelli di Gesù Cristo nello Spirito Santo. Inoltre faranno riferimento alla relazione familiare con la Trinità, relazione che sta alla base della chiamata alla vita fraterna secondo il santo Vangelo rivelata dal Signore a Francesco. Ma è importante ricordare, come fanno i due articoli delle CCGG che stiamo considerando, che nella vita fraterna non si tratta solo di mantenere una relazione teologico-spirituale, ma che questa familiarità-fraternità deve tradursi in una mutua relazione umana di amore fraterno-materno e di accettazione mutua di tutti nell’uguaglianza. In sintonia con quanto detto, prendiamo ora in considerazione questi due punti di partenza nella visione francescana della Fraternità. 2. Origine teologica della Fraternità a. La Fraternità, rivelazione di Dio (Test 14) Descrivendo gli elementi essenziali della sua vocazione, Francesco afferma nel Testamento che il suo progetto di vita gli fu rivelato dall’Altissimo. Come lui stesso confessa, non aveva l’intenzione di cercare dei compagni per fondare un Ordine. Fu il Signore che gli donò dei Fratelli. Così proprio Francesco ci fa vedere che la Fraternità, elemento essenziale della sua vocazione evangelica, nasce dalla volontà divina: Dio costituì il primo nucleo francescano come Fraternità. Pertanto il nucleo dell’Ordine dei Frati minori, la Fraternità, non obbedisce a un progetto umano, bensì a una iniziativa divina. b. La Fraternità, vocazione evangelica (Test 14) Ricevuti i primi Frati come dono di Dio, Francesco non conosceva il modo concreto di vivere con questi fratelli. Come continua a spiegare nel suo Testamento, l’Altissimo stesso gli rivelò il progetto evangelico della sua vita in comunione fraterna. Da parte loro i suoi biografi ci mostrano il modo con cui Francesco e i suoi primi compagni scoprirono il Vangelo come progetto di vita. Partendo da alcuni testi del Vangelo, scrivono una prima Regola e vanno a Roma per presentarla al Papa e per chiedergli di confermarla a nome della Chiesa. Di conseguenza la Fraternità francescana si sviluppa su di un progetto evangelico e si concretizza nella sequela di Cristo. Lo stile francescano della vita fraterna è dunque una forma di vita evangelica. Francesco e i suoi primi Frati cercano di vivere la sequela di Cristo applicando il Vangelo al contesto quotidiano della propria vita. Il fine della vita fraterna è, in questo senso, quello di vivere lo spirito del Vangelo nel contesto quotidiano della realtà. Così la propria Fraternità è luogo di evangelizzazione e promuove, come missione propria, l’annuncio del Vangelo nel mondo. Ma il Vangelo ci propone Gesù Cristo come fratello della umanità attraverso la sua incarnazione e la sua passione: «oh, come è santo, come è delizioso, piacevole, umile, pacifico, dolce e amabile e sopra ogni cosa desiderabile avere un tale fratello e figli….» (2Lf 56). Incarnandosi e offrendo la sua vita per noi, Cristo si è fatto fratello, uno di noi. E questa vicinanza fraterna di Gesù Cristo all’uomo è per Francesco motivo e ragione della sua opzione per la Fraternità. Come Gesù, vuole essere fratello di tutti gli uomini e di tutta la creazione. Ma, allo stesso tempo, quando come fratello si avvicina a tutti gli uomini e a tutte le creature, vive la Fraternità con Cristo stesso. Per questo la Fraternità, nel momento in cui trova la sua ragione di essere nel fatto che Cristo si è fatto fratello di tutti, è anche la manifestazione concreta mediante la quale noi Frati minori esprimiamo la nostra sequela a Cristo “fratello”. c. Visione trinitaria della Fraternità (2Lf 49-53)
22 Francesco espone il suo progetto di Fraternità in un frammento della seconda redazione della sua Lettera a tutti i fedeli. Effettivamente nella 2Lf, spiegando la relazione dell’uomo di fede con Dio trino ed uno, Francesco utilizza vari termini che indicano una relazione familiarefraterna. I fedeli, afferma, sono figli del Padre celeste, di cui realizzano le opere. E sono sposi, Fratelli e madri di nostro Signore Gesù Cristo. Sono sposi quando l’anima fedele si unisce a nostro Signore Gesù Cristo per virtù dello Spirito Santo; sono fratelli di Gesù Cristo quando fanno la volontà del Padre; e inoltre sono madri di Gesù Cristo quando portano Cristo nel cuore e nel corpo per mezzo dell’amore divino e per la pura e sincera coscienza e lo generano attraverso le opere sante. In questo modo la vita di fede e penitenza crea una doppia relazione. In primo luogo crea la relazione familiare e fraterna dei fedeli con la Trinità come figli, sposi, fratelli e madri. In secondo luogo crea una relazione ugualmente familiare e fraterna tra gli stessi fedeli perché, come tali, tutti sono figli dello stesso Padre e fratelli in Gesù Cristo quando compiono la sua volontà e realizzano le sue opere. Vivendo così il piano salvifico di Dio si crea un’intima familiarità dei fedeli con Dio e dei fedeli tra loro. Questo modello di vita familiare tra i credenti e di questi con Dio uno e trino, in certo modoi si converte per Francesco nel modello della vita fraterna dei Frati minori. Per questo nella Regola non bollata propone ai Frati questo modello di vita fraterna-familiare sotto l’aspetto della maternità: «e con fiducia l’uno manifesti all’altro la propria necessità, perché l’altro gli trovi le cose necessarie e gliele dia. E ciascuno ami e nutra il suo fratello, come la madre ama e nutre il proprio figlio, in tutte quelle cose in cui Dio gli darà grazia» (Rnb 9,10-11). Francesco riprende qui la relazione familiare esposta nella Lettera ai fedeli applicandola concretamente alla vita della Fraternità. Per lui l’essere fratello si esprime nell’amore materno, l’amore che fa nascere e crescere la vita e che la nutre. Ogni Frate minore, come madre degli altri, è chiamato a far nascere e crescere in essi la vita dello spirito, la vita della fede e a nutrirla secondo il Vangelo. Questa vocazione materna il Frate minore la realizza attraverso la sequela di Cristo e mediante opere concrete di amore fraterno, dando la propria vita per il fratello, come fece Gesù Cristo, e dandola a ognuno secondo la loro necessità. d. Significato della vita fraterna in comune Per san Francesco l’essere fratello secondo il modello di familiarità con Dio trino che abbiamo segnalato, porta ogni fratello ad una stretta relazione di vita con quanti hanno scelto la stessa vocazione. Tutti i fratelli hanno ricevuto la chiamata di Dio a partecipare allo stesso progetto evangelico, seguendo il Cristo, come figli di uno stesso Padre celeste e come fratelli di un «fratello e figlio, il quale offrì la sua vita per le sue pecore» (cf. 2Lf 54-56). Così attorno a Francesco si crea una Fraternità di convivenza, cioè di vita in comunione, di vita comune allo scopo di dare la vita seguendo le orme di Gesù Cristo. In questo modo la vita fraterna, che affonda le sue radici nella Trinità, si manifesta e si rafforza condividendo con i fratelli la realtà della vita quotidiana, il lavoro, la missione evangelica. La vita fraterna in comune era per Francesco e i suoi primi Frati un modo di convivere per favorire la realizzazione della stessa vocazione nello Spirito del Signore. In questo modo la vita fraterne in comune è il luogo dove si condividono i valori evangelici applicandoli e mettendoli in pratica nelle relazioni tra gli stessi fratelli e nelle relazioni con la Chiesa e con il mondo, dando così testimonianza della bontà e delle meraviglie di Dio: «a colui che tanto patì per noi, che tanti beni ha elargito e ci elargirà in futuro, a Dio, ogni creatura che vive nei cieli, sulla terra, nel mare e negli abissi, renda lode, gloria, onore e benedizione, poiché egli è la nostra virtù e la nostra fortezza…» (2Lf 61-62). In tal modo la vita fraterna in comune appare come testimonianza della relazione intima con Dio Creatore, Redento e Salvatore (cf. Rnb 23,10). Ma allo stesso tempo, teologicamente parlando, si potrebbe dire che la vita fraterna-familiare in comune si fa espressione e testimonianza della unità-amore di Dio, nasce dall’alto come dono per testimoniare nel mondo la vita interna di amore della Trinità. L’amore tra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo si fa fraternità, si fa familiare e visibile nella vocazione evangelica dei Frati minori, che vivono nell’amore fraterno-materno.
23 3. Origine umana della Fraternità a.Valore di ogni fratello L’articolo 40 delle CCGG raccoglie, come abbiamo detto, il senso teologico-spirituale della Fraternità in quanto sviluppa il principio che ogni fratello è un dono per gli altri. Ma, nello stesso tempo, ogni fratello, nella sua individualità e con le sue doti personali, si trasforma in punto umano di partenza per la costruzione della vocazione fraterna, in sorgente della Fraternità. Perciò la Fraternità è costituita da persone concrete, col proprio carattere, la propria cultura, talenti e capacità personali. In questo senso ogni membro è un arricchimento della Fraternità. La Fraternità vive con le diverse ricchezze personali con le quali ognuno dei suoi componenti contribuisce alla costruzione dell’insieme e a dar vita ai valori della vocazione francescana. Ma siccome la differenza, sebbene sia un arricchimento, può diventare un ostacolo per la convivenza fraterna, i Frati sono esortati ad accettarsi mutuamente con rispetto e amore. La volontà di costruire, con un comportamento di tolleranza e di accettazione umana, una vera Fraternità nello spirito familiare-materno, aiuta a privilegiare la Fraternità come luogo d’incontro con Dio, sommo bene, il quale si rivela per mezzo dei doni che i Frati individualmente hanno ricevuto come caratteristica propria, per metterla a disposizione di tutti. D’altra parte la chiamata all’uguaglianza da parte di tutti i fratelli ricorda che la Fraternità si costruisce e si vive attraverso il contributo di tutti. Non si deve sottovalutare la ricchezza del fratello concreto, come punto di partenza per la costruzione della Fraternità. La Fraternità è viva in quando l’individuo vi trova il luogo dove donarsi agli altri. Per questo la Fraternità nasce dall’accoglienza dell’aspetto umano che l’altro offre. b. La Fraternità, realtà dialettica tra grazia e dovere I due articoli delle CCGG, che guidano la nostra riflessione, riflettono una certa dialettica tra grazia e dovere. In essi si esprime chiaramente la visione che la Fraternità nasce come dono della grazia di Dio, grazia che viene data attraverso il Figlio di Dio, Gesù Cristo, incarnato per lo Spirito Santo nell’uomo che sente la vocazione di vivere secondo lo stile di san Francesco (cf. CCGG 38). Questa grazia divina appare di nuovo come dono in ognuno dei fratelli che fanno parte della Fraternità (cf. CCGG 40). Dunque la Fraternità e i fratelli debbono rispondere con la propria vita a questa grazia che Dio ha loro data nella forma di vita e nella vita di ogni fratello. La grazia si converte dunque in impegno: impegno di seguire la forma di vita rivelata da Dio a san Francesco, impegno di costruire la vita fraterna amando e nutrendo il fratello (cf. CCGG 40). Come su una bilancia le CCGG, seguendo la pista del fondamento teologico-spirituale, uniscono nello stesso piano il valore della Fraternità in comune che si vuole costruire e il valore di ogni fratello con le sue qualità originali (cf. CCGG 38). Ci troviamo di fronte a uno sforzo per stabilire un equilibrio tra l’immissione nella Fraternità della persona individuale, che contribuirà con tutte le sue capacità al fine comune, e il rispetto-amore alla persona del fratello e delle sue necessità vitali da parte della Fraternità. Il fratello ha il dovere di inserirsi nel contesto della vocazione comune vivendo i valori della Fraternità col suo contributo alla propria missione. Per parte sua la Fraternità, creata da ognuno dei suoi membri, deve rispettare il dono ricevuto da Dio attraverso ogni persona che la compone. Perciò si deve sviluppare nella Fraternità una sensibilità di rispetto verso la diversità degli altri. E qui ci troviamo di nuovo davanti a una realtà dialettica tra la grazia del dono di essere fratelli e il dovere di costruire la Fraternità attraverso questo dono. Il fratello è un dono di Dio che bisogna accogliere così com’è nella Fraternità; nello stesso tempo la Fraternità è un impegno di relazione che bisogna costruire e sviluppare e questo compito spetta ugualmente a tutti. Condividendo in questo senso la propria vita, i propri doni nella sequela di Cristo, attualizzando insieme nella relazione familiare i valori del Vangelo, la Fraternità diventa un luogo d’incontro con Dio: «Riposerà su di essi lo Spirito del Signore e farà presso di loro la sua abitazione e dimora» (1Lf 6). 4. Conseguenze e difficoltà di questa visione
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Una prima conseguenza di questa visione è che la vocazione del nostro Ordine consiste nel costruire la Fraternità. Il primo scopo della nostra vocazione, pertanto, non è un impegno spirituale o pastorale o un progetto, ma è la stessa Fraternità. Tuttavia tale Fraternità non si costruirà mai, chiudendosi in se stessa: la Fraternità si costruisce per creare un luogo d’incontro con Dio. Costruendo la Fraternità Dio vuole costruirsi un luogo di presenza tra di noi e nel mondo. Teologicamente parlando, la costruzione della Fraternità come dono di Dio offre a Dio la possibilità di incarnarsi nell’oggi. Per questo la costruzione della Fraternità esige l’incarnazione nel mondo, nel proprio ambiente, specialmente tra i poveri e gli emarginati. In questo senso la Fraternità si deve aprire alla rivelazione divina, prestando attenzione ai segni dei tempi, alle circostanze attuali e al mondo per stare vicino alle necessità, richieste, gioie e sofferenze degli uomini. Una seconda conseguenza è il rispetto per la diversità tra i membri di una medesima Fraternità. Non si può raggiungere l’unità se non si rispetta la diversità. In questo senso la formazione al medesimo spirito e alla stessa spiritualità, senza eliminare le differenze e rispettando l’individualità di ciascuno, è un’esigenza della nostra vita fraterna. Noi Frati minori non viviamo insieme perché siamo amici. La nostra relazione non si basa sulla simpatia naturale. Tra di noi ci sono caratteri e temperamenti differenti, e molte volte opposti. La maturità umana di tutti non sta sempre allo stesso livello. La differente formazione ed educazione, i ritmi di vita e le necessità personali sono diverse. Ciò rende difficile la costruzione della vita fraterna, ma non deve essere mai causa di rotture. Costruire la vita fraterna in comune non è un compito facile. Richiede tempo e molta apertura a Colui che ci ha chiamati a questa forma evangelica di vita. Per Lui niente è impossibile e la sua grazia non ci mancherà.
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere i seguenti testi: • Rnb 1, 1-5; 2Cel 17: Fratelli, perché seguaci della dottrina e orme di Gesù Cristo. • Rnb 1, 1-5; 3Comp 29: Fratelli, perché uditori e osservanti del Vangelo. • 1Lf 1,8-13; 2Lf 46-56: Fratelli, perché fratelli di Gesù Cristo. • Rnb 22,37; Fior c. 14: Fratelli, perché Cristo sta in mezzo a loro. • Legper 104: Fratelli, perché creati dallo stesso Creatore. • 2Cel 198-199; Legper 110: Fratelli, perché Cristo ha preso la nostra umanità. • 1Lf 14-19; 2Lf 56-60; Rnb 22,41-55: Fratelli, per e nella unità della Trinità. • Rnb 22,33-34: Fratelli, perché hanno lo stesso Padre del cielo. • Legper 101: Fratelli, perché famiglia chiesta da Cristo al Padre. • 2Cel 180: Fratelli, perché figli della stessa madre, l’Ordine. • 1Lf 1,1-13; 2Lf 48-56; 2Cel 193: Fratelli, perché lo Spirito del Signore ci fa figli del Padre e fratelli di Gesù Cristo e perché lo Spirito è il Ministro generale dell’Ordine. • Rnb 1,1; Rb 1,1; 2Cel 191: Fratelli, perché seguono la stessa forma di vita. • Rnb prol. 2-3; Rb 1,2; 3Comp 46; Legper 58.102: Fratelli, perché riuniti dalla fede della Chiesa e per l’obbedienza ad essa. • 2Cel 158; Legper 112: Fratelli, perché Gesù Cristo è pastore e superiore dei fratelli. • Rnb 2,9; Rb 2,11: Fratelli, perché ricevuti all’obbedienza 2. Alla luce di questi testi: • Riflettere sulle basi della mia scelta della Fraternità. • Fare una revisione di vita sopra il vissuto concreto della Fraternità. 3. Domandarsi: • Che significa concretamente per la mia vita l’invito di san Francesco ai Frati di amarsi e custodirsi reciprocamente con maggior attenzione con la quale una madre ama e nutre il suo figlio carnale? • Che significa per me che “ogni fratello è un dono di Dio”? Quali esigenze concrete dovrebbe avere questa consapevolezza nella mia vita? • Come inserire queste esigenze nel progetto personale di vita? • Come far sì che siano il fondamento della vita fraterna a livello personale? Per la riflessione di gruppo 1. Leggere Test 14; Rnb 9.10.11; 3Comp 25-34 2. Alla luce di questi testi: • Fare una comunicazione fraterna sulla nostra situazione attuale e un confronto con l’ideale relativamente alle esigenze e difficoltà della vita fraterna. • Riflettere sull’origine e lo scopo della Fraternità francescana. Scambiare i diversi punti di vista. • Fare una revisione della vita quotidiana e degli impegni presi dalla Fraternità come tale e dai suoi componenti per vedere come esprimere meglio la nostra identità di Fraternità e l’origine di questa come dono di Dio. • Esaminare il modo concreto per incarnare questa vocazione nel proprio ambiente così che le nostre Fraternità siano evangelicamente significative.
26 3. Leggere Rnb 5,13s; Am 3.18.24.25 Alla luce di questi testi: • Riflettere sulle “virtù umane” che debbono caratterizzare la vita fraterna. • Fare una revisione delle relazioni fraterne con gli altri fratelli della Fraternità e con tutti quelli con i quali abbiamo relazioni. 4. Leggere CCGG 38.39.40 Alla luce di questi testi: • Analizzare le difficoltà della vita fraterna in comune. • Riflettere sui doni di ogni membro della Fraternità: come si rispettano e sviluppano questi doni in seno alla Fraternità e anche come i doni di ognuno contribuiscono alla crescita di tutti. 5. Leggere VC 14-22 Alla luce di questo testo: • Riflettere sul vissuto concreto della vita fraterna alla luce della comunione di vita trinitaria. • Rivedere la concezione dei voti alla luce della visione trinitaria, cristologia e missionaria. 6. Domandarsi: • Che immagine di se stesse danno le nostre Fraternità? • La nostra Fraternità – la sua voce, la sua ragione di essere, il suo messaggio – arriva di fatto al popolo. Detto in altra maniera: il carisma profetico continua ad essere vivo nella tua Fraternità? Segnala qualche indizio. • Che posto occupano nel progetto di vita fraterna gli aspetti che emergono dai testi prima meditati? • Come trattare questi aspetti nella formazione permanente e nella vita della Fraternità?
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SECONDA PARTE
LA FRATERNITÀ FRANCESCANA, DONO E IMPEGNO
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I COSTRUIRE LA FRATERNITÀ 1. “Chiamati a costruire la Fraternità” Noi Frati minori abbiamo imparato ed ereditato da Francesco d’Assisi, forma minorum, la sana abitudine di edificare e costruire. Francesco comprese la sua vocazione come un “va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina” (cf. 2Cel 10). La vocazione di Francesco si formò e consolidò, almeno all’inizio, mentre restaurava chiese (come si sa, risulta che ricostruì 3 o 4 chiese), perché è nella Chiesa dove uno ascolta la chiamata e dove si consolida ogni vocazione. In seguito questo “riparare la casa” Francesco e i suoi Frati l’intesero come una chiamata a vivere il Vangelo e seguire Gesù. Così ricostruirono la Chiesa medievale per restituirle la freschezza e la bellezza di Gesù, del quale la Chiesa deve essere immagine e manifestazione viva. Noi Frati minori abbiamo ereditato da Francesco questa chiamata di seguitare a costruire la Chiesa, edificando la Fraternità di fratelli minori. Sentiamo l’urgenza di edificare il popolo di Dio (cf. CCGG 95 §2). E lo facciamo con l’essere ciò che dobbiamo essere: fratelli e minori. La chiamata a costruire la Fraternità è perciò un’urgenza: anche se la comunione fraterna è già una realtà per mezzo dello Spirito, sentiamo interamente il non ancora della nostra dedizione. Tra di noi la comunione è un fatto che si palpa e si vive, e questo costituisce la grandezza della nostra vocazione; ma, d’altra parte, sentiamo la fragilità della nostra comunione perché ogni giorno mordiamo l’amaro cibo delle nostre divisioni e dissensi, delle nostre grandi e piccole dispute e rivalità, e questo costruisce la miseria del nostro vivere vocazionale. Grandezza e miseria, realtà e promessa, gioia e dolore… sono le due facce della nostra comunione; esse ci chiamano a radunare le forze per continuare ad edificare questa comunione trinitaria che ci si propone come realtà e promessa delle nostre fragili vite. La vita fraterna non è qualcosa di statico, gia acquisito, bensì qualcosa che si va facendo e disfacendo, costruendo e distruggendo, perché è una realtà viva, fatta da persone vive, forti e fragili allo stesso tempo. 2.Alla luce delle Costituzioni generali Nelle nostre CCGG c’è un testo chiave e chiaro al rispetto: «… si impegnino (i Frati) a costruire la Fraternità “come una famiglia unita in Cristo”» (cf. CCGG 45 §1). Oltre a questa espressione, le CCGG contengono una serie di dettagli, termini e modi di dire che mostrano di intendere il fraterno nel senso della crescita, come cammino, come impulso. Per esempio compaiono dovunque verbi come “costruire”, “edificare”, “fomentare”, “promuovere”, “appoggiare”… Non meno significativa è forse in questo senso l’espressione: «… e il vostro fraterno aiuto», della formula della professione (cf. CCGG 5 §2). La professione del Frate minore non è una meta dove riposare una volta raggiunta, bensì molto più l’inizio di un cammino che dura fino alla morte stessa e nel quale si conta con la vicinanza e l’aiuto dei fratelli per imparare ad essere fratello. Non si professa la nostra vita perché già si è fratello; piuttosto si professa per, tra fratelli e con il loro aiuto, impararlo e arrivare ad esserlo. La vocazione di Fraternità richiede dunque un andar facendosi, un andar costruendo la risposta vocazionale. Questa lettura della nostra vocazione come un processo, oltre a dare il via a ogni fratello e a ogni Fraternità, mette in evidenza la necessità di assumersi il compito di edificare e costruire la Fraternità. 3.Un grande compito La Fraternità francescana, nella sua piccolezza e minorità, è anche un compito grande perché la nostra vocazione mira a raggiungere mete che stanno oltre il controllabile. Uomini come gli
29 altri, ma chiamati ad essere fratelli; fragili e deboli come gli altri, ma chiamati a vivere partendo dalla promessa dell’ “Onnipotente”; radicati in questa terra, ma chiamati all’utopia del Regno che è storia e metastoria; radicati in una Fraternità concreta, e tuttavia aperti alla grande Fraternità costituita da tutti i fratelli di tutto il mondo; vivendo una storia semplice e allo stesso tempo aperti alla storia della salvezza che Dio vuole realizzare; limitati come gli altri poveri, ma completati dalla presenza di tanti fratelli che rendono possibile la Fraternità; prestando servizi a volte insignificanti ed essendo allo stesso tempo luce e fortezza del Vangelo per quanti contemplano questa comunione di fratelli; sprovvisti e spogliati di forza ma con l’intento di essere fermento di fraternità nel mondo per i meno favoriti; inviati nel mondo come fratelli, mansueti e pacifici di fronte alle aggressività e forze contrarie, ma con l’obiettivo di essere annunzio della pace messianica che il Signore Gesù ci ha portato… E questa professione si allarga, inoltre, perché l’essere fratello non è questione di apprendimento ideologico-intellettuale, bensì questione di cuore, di un cuore capace di avere “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (cf. Fil 2, 5), di un cuore capace di amare fino a dare la propria vita per i fratelli. E tutti sappiamo per esperienza che questo apprendimento è qualcosa che non finisce mai, perché quando pensavamo di aver raggiunta la meta, ci accorgiamo, con linguaggio paolino, di avere esperienze da “vecchio uomo”, un uomo con lo “spirito della carne”, come Francesco ripete tante volte, egoista, violento, “maggiore”, selezionatore, giudice del fratello…e perciò bisogna ricominciare. 4. Un impegno di tutti L’articolo 45 §1 sopra citato sottolinea il luogo e il compito di tutti i Frati in questa costruzione della Fraternità. Dice infatti: «I Ministri e i Guardiani, in stretta unione con i Frati loro affidati, si impegnino…». Certamente i Ministri e i Guardiani hanno, data la nostra identità, un gran servizio da compiere: sono i primi incaricati ad edificare la Fraternità. Ma non gli unici, né forse i più importanti in questo compito. A tutti i Frati, a tutti a modo loro, tocca il dovere e il piacere di edificare. Se nel nostro progetto di vita s’insiste sull’importanza della corresponsabilità (non per niente la nostra vocazione si definisce come “obbedienza mutua e caritatevole”, come volontà di fedeltà all’unico progetto professato in Fraternità) sul tema di edificare la Fraternità, la corresponsabilità non solo è vitale, ma è anche un punto di partenza. In questo modo si evita la bipolarità tra superiori e sudditi, che è stata una costante in molti momenti della nostra storia. Nella edificazione della comunione fraterna nessuno è di troppo e c’è bisogno di tutti: i Ministri, come stimolo ed esempio di comunione; i Frati, come il luogo dove si verifica tale comunione. Perciò né Ministri senza Frati, né Frati senza Ministri, ma tutti, gli uni e gli altri, in maniera integrata nella comunione fraterna ed edificante. 5. Edificare, non distruggere L’obbiettivo che si cerca è di edificare, costruire. Pertanto noi Frati dobbiamo cercare di usare verbi affermativi e positivi: motivare, appoggiare, sommare, stimolare, proporre, facilitare spingere… La prima forma di edificare consiste nel non distruggere, nel non demolire quello che già esiste, nel non erodere, nel non aprire brecce nella Fraternità. Ci sono modi sottili – e anche rozzi – di parole o gesti, per mezzo di azioni od omissioni, per distruggere la vita fraterna. Per questo le CCGG 43 ricordano: «I Frati si guardino da ogni azione che possa danneggiare l’unione fraterna». Questo richiamo a edificare la vita fraterna appare tanto più importante in quanto in molti luoghi i Frati e le Fraternità sentono la tentazione dell’individualismo, della superficialità, il materialismo, la proibizione… Il nostro tempo, così pieno e così sorprendente in molte parti dell’Ordine, richiede da noi una serie di atteggiamenti di fondo. Sono in definitiva gli atteggiamenti di ogni buon “costruttore” di Fraternità. Ne ricordiamo qualcuno: a. Creare vincoli positivi
30 Tutti cresciamo grazie alle attenzioni che ci offriamo gli uni agli altri in un ambiente di gratuità. L’appartenenza a una comunità è un diritto e un dovere. E ciò significa che è nella Comunità – come famiglia e come casa – dove possiamo ricevere e offrire risposte alle nostre necessità basilari nell’alternanza e nella reciprocità del dare e del ricevere. Creare vincoli positivi significa capacità di aver cura dell’altro e dargli vita, condividere reciprocamente la fecondità. Per questo c’è bisogno di ricchezza nella propria interiorità e di generosità. Prendersi cura dell’altro significa far sì che ci sia equilibrio tra la soddisfazione e la frustrazione delle nostre necessità. b. Generare speranza È la capacità realistica dell’uomo maturo che, dentro o fuori della Fraternità, invece di cercare soluzioni magiche davanti a desideri, inquietudini, gioie e dolori e utopie, affronta la vita con dedizione quotidiana, con lavoro assiduo e impegno generoso, utilizzando per questo la ragione, il cuore e le idee, come pure l’emozione, i mezzi e gli strumenti adeguati. Il proverbio popolare esprime con genialità quest’idea quando dice: «Chi qualcosa vuole, qualcosa deve soffrire»; e anche: «Opere sono amori». Desiderare di conoscere qualcosa non è uguale a “porsi in cammino per conoscerla veramente”. Vivere come uomini, fratelli, religiosi (“ri-legati”), essere nel mondo segno e profezia del Regno, generare speranza tra i poveri, significa mobilizzarsi senza travolgere né schiavizzare nessuno, uscire dalle fantasie, dai discorsi deliranti, dal lamento e dalle nostalgie; vincere la paura e avanzare nel dubbio, tirando fuori le migliori capacità di se stessi e degli altri, ravvivando la presenza di Colui che ci con-voca e raduna. c. Circoscrivere il dolore e accogliere la vita Dove c’è amore e passione, sempre c’è dolore. Il dolore è la perdita, la sorpresa, la nudità, il bene che ora non posso usufruire perché la vita mi rende più concreto ogni giorno e non posso abbracciare tutto. Nella vita di una Fraternità ci sono sempre piccoli e grandi dolori: talvolta gli altri non soddisfano le nostre aspettative; altre volte il progetto fallisce; in altri casi è la malattia o la morte di un Frate o forse l’uscita di un Frate dal nostro Ordine… E ci domandiamo che senso ha questa sofferenza, o come possiamo superarla. Ebbene, tutto ciò può dare la misura della nostra capacità d’amore. Come una Comunità affronterà il dolore? La maturità di una Fraternità si misura nella sua capacità di affrontare con maturità e correttamente il dolore, la difficoltà, la croce. Costruire la Fraternità significa anche affrontare le questioni che appaiono come una spina nella nostra vita, ma che ben intese ci fanno maturare e camminare, anche se delle volte a prezzo di sangue. Il nonsenso è causa profonda di sofferenza. La sofferenza causata dal dolore ci può togliere quasi tutto, ma non la volontà di senso, l’ultimo rifugio della libertà che dia senso alla semplice esistenza. Chi vede un perché nella vita trova un come sopportare il dolore. Così lo afferma la testimonianza di tante persone che hanno sopportato e superato il dolore e anche il fallimento perché avevano una causa che li motivava. Può accadere che il dolore diventi ansietà, angustia, risentimento. Ottenere che la sofferenza non ci disintegri è possibile solamente dando senso al dolore e accettando di passare per le fasi che richiede l’assimilazione di ogni conflitto. Queste sono alcune delle proposte per andar edificando e costruendo la nostra vita fraterna. Non sono le uniche ma possono interessare per la nostra mutua crescita. 6. Mediazioni per costruire la Fraternità Ci sono molte mediazioni per costruire ordinatamente la comunione fraterna. Le CCGG ne segnalano alcune, soprattutto nel III capitolo. Ne poniamo in risalto alcune: a. Reciprocità vitale e di servizi Non c’è comunione fraterna se non c’è reciprocità, perché non ci siamo riuniti per stare gli uni a lato degli altri, bensì gli uni rivolti verso gli altri in reciprocità vitale. Molto importante
31 riguardo alla reciprocità è la terminologia usata da Francesco e ripresa dal vocabolario del nuovo testamento (alter alterius, invicem inter se…). b. Corresponsabilità Solo quando si recepisce che la Fraternità è la “casa di tutti” e perciò siamo tutti uguali, anche se proveniamo da situazioni diverse, allora edifichiamo la Fraternità. Tutti ci sentiamo chiamati a rispondere al Signore che ci convoca e ci chiama al suo seguito. E questa corresponsabilità si deve concretizzare nei vari ambiti della vita di fede, della vita stessa e della missione. c. Capitolo o incontro della Fraternità La Fraternità si edifica ugualmente nel Capitolo della Fraternità, quell’assemblea – luogo di celebrazione della fede, ambito d’incontro dei fratelli e luogo di formazione e di correzione fraterna – nella quale «due o tre stanno riuniti nel nome del Signore», cercando di discernere la sua volontà. d. Progetto comunitario Le CCGG non citano esplicitamente il progetto comunitario; tuttavia la loro linea di pensiero, la poca concretezza, il non dettare norme concrete in molti casi… fanno capire la necessità del progetto comunitario. Questo è una mediazione concreta perché la Fraternità chiarifichi e decida come essere Fraternità e come edificarla. e. Non danneggiare l’unione fraterna L’art. 43 sopra citato segnala una forma concreta e realistica per edificare la Fraternità. Forse è il primo modo per edificarla: non distruggerla, non minarla alle fondamenta, non esporla in percorsi senza uscita. Cioè bisogna evitare ogni attività individuale e/o di gruppo che ne possa lesionare l’unità. f. Prestarsi per i servizi della Fraternità Il capitolo III delle Costituzioni potrebbe intitolarsi: Come costruire la comunione. E si potrebbe leggere la sua struttura come un’enumerazione dei servizi che bisogna prestare per portare a termine questa costruzione della comunione. Le CCGG segnalano molti servizi che i fratelli possono e debbono prestarsi reciprocamente: alcuni sono di tipo spirituale, altri “umani”, esistenziali…: dal servizio di dare continuamente impulsi di speranza, pace e gioia, fino a quello di curare in modo particolare gli anziani, infermi e deboli creando un ambiente di Fraternità che sia “luogo privilegiato dell’incontro con Dio” (art. 40). Solo così, costruendo giorno per giorno la comunione nel reciproco stimolo fraterno, i Frati potranno essere costruttori di nuove Fraternità del popolo di Dio (cf. CCGG 95 §2).
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere i seguenti testi: • Gv 17,11. Questo testo appare varie volte negli scritti di Francesco (1Lf 1, 27-28; 2Lf 56-60; Rnb 22,41-55). Con esso Francesco proclama la fonte e il modello della relazione d’amore più che materno tra i suoi Frati: l’amore del Padre e del Figlio. • Gv 15,12. Questo testo si trova una sola volta negli scritti di Francesco (Rnb 11,5) Con esso Francesco proclama il carattere cristologico della relazione d’amore più che materno dei Frati. • 1Gv 4,8.16. Il pensiero si trova 9 volte negli scritti di Francesco, anche se il testo di 1 Gv non viene mai citato alla lettera. Francesco con esso proclama di nuovo l’origine dell’amore in Dio. • 1Gv 3,18. Questo testo si trova una volta negli scritti di Francesco (Rnb 11,6). Con questo Francesco proclama la necessaria operatività dell’amore, tema molto presente nei suoi scritti in relazione alla Fraternità e altre aree. • Mt 5,44. Questo testo si trova quattro volte negli scritti di Francesco (2Lf 38; Am 9,1; Rnb 22,1; Rb 10,10). Con questo testo Francesco proclama il carattere di radicalità che ha la relazione d’amore più che materno tra i suoi Frati e tra questi e gli altri uomini. • Mt 7,12. Questo testo si trova 10 volte negli scritti di Francesco (Am 18,1; 2Lf 43; Lmin 17 ecc.). Con esso Francesco proclama il carattere di riguardo, reciproco, della relazione d’amore più che materno tra i Frati. • Mt 20,25-28. Si trova tre volte negli scritti di Francesco, anche se mai alla lettera. Francesco cita alla lettera solo la frase [non è venuto per] «essere servito, ma per servire» (Am 4,1; Rnb 4,6; 5, 9-12). Con questo testo Francesco proclama il carattere servizievole che deve avere la relazione d’amore più che materno tra i Frati. Di fatto i vocaboli servire, servitore, ministri sono abbondantissimi nei suoi scritti riferendosi senza dubbio a questo testo evangelico. • Lc 22,26. Il testo si trova due volte negli scritti di Francesco, anche se mai alla lettera (2Lf 42; Rnb 5,12). Il termine minore compare 16 volte nei suoi scritti e senza dubbio fa riferimento a questo testo. 2. Alla luce di questi testi: • Riflettere sulle esigenze dell’amore fraterno e le conseguenze pratiche nella propria vita e in relazione con gli altri. 3. Domandarsi: • Sono cosciente del mio ruolo insostituibile nel processo di costruzione della Fraternità? • Che cambiamenti sta esigendo nella mia vita la vocazione a costruire la Fraternità? Che attitudini positive debbo potenziare e che attitudini negative debbo evitare? • Cosa considero essenziale nella nostra vita fraterna? Sono disponibile per un dialogo fraterno sull’essenziale e a lasciarmi smontare dalla verità qualunque cosa accada? • Considero la preghiera il mezzo per eccellenza per costruire Fraternità? Che importanza (in valutazione, tempo, costanza, fedeltà) ha la preghiera personale nella mia vita? • Quali sono le mediazioni concrete che debbo mettere in atto per costruire Fraternità e che posto occupano nel progetto personale di vita? • Come trattare le esigenze dell’amore fraterno nella mia vita?
33 Per la riflessione comunitaria 1. Leggere i seguenti testi: • 1Cel 34-36; Lgper 115. 2. Alla luce di questi e altri testi: • Identificare e analizzare il tipo di relazione che esiste nella Fraternità dove uno vive. • Ricordare, dagli scritti e biografie, forme e modi che aveva Francesco per ricostruire la vita fraterna. • Segnalare qualche atteggiamento e modi di fare positivi che abbiamo osservato in qualche Frate della Comunità. (Dirsi le cose positive costruisce). • Ricordare anche forme e modi che secondo Francesco distruggono e danneggiano la vita fraterna. • Revisionare le nostre celebrazioni eucaristiche e altri momenti di preghiera comunitaria per vedere se sono segno della vita della Fraternità o frutto di abitudine. 3. Domandarsi: • La Fraternità dove io vivo è un’aggregazione di persone? È una vita conventuale di comunità? È un gruppo di persone che lavorano insieme? È un gruppo di amici che stanno insieme? Viene costruita la Fraternità? • Cosa può significare concretamente per noi oggi costruire la comunione fraterna? Modi concreti di farlo. • Cosa potrebbe significare per noi il salmo che dice: «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori…»? Che potremmo fare perché la preghiera comunitaria aiuti a fare Fraternità? • Attualmente cosa stiamo facendo per costruire la Fraternità di cui facciamo parte? Che posto occupano queste mediazioni nel progetto di vita fraterna? • Che mezzi indicheresti per progredire nella costruzione della Fraternità alla quale appartieni?
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II REALTÀ UMANA NELLA FRATERNITÀ 1.Chiamati alla maturità trinitaria L’art. 38 delle nostre CCGG pone la vocazione del Frate minore nel contesto della comunione trinitaria: siamo stati chiamati a partecipare alla comunione della vita e della vitalità esistente nel seno della Trinità. L’art. 39, come volendo completare o spiegare il richiamo alla comunione, pone la nostra vocazione come vocazione allo sviluppo antropologico e umano. La chiamata ad essere Frate minore è anche una chiamata a vivere e a far emergere tutte le potenzialità e capacità “umane”. E questo non come qualcosa di diverso dalla chiamata teologico-spirituale, bensì come suo completamento o esplicitazione: nello sviluppo umano e totale si percepisce la grandezza della nostra vocazione. Si tratta di essere e di vivere tutti gli aspetti della comunione, che è donazione, grazia, sviluppo, festa, dono, uscita da se steso, camminare verso l’altro… L’art. 39 segnala alcune di queste capacità o qualità umane: la familiarità di spirito, l’amicizia reciproca, la cortesia, lo spirito gioviale… E ci chiama a coltivare «tutte le altre virtù…» (cf. art. 39). Si tratta della dimensione antropologico-umana della nostra vocazione. È un aspetto che deve essere tenuto in grande considerazione giacché dappertutto ci si chiede la maturità umana della nostra vocazione. La Ratio formationis franciscanae, parlando dei candidati che vogliono vivere con noi, chiede continuamente una crescita umana, cristiana e francescana della nostra vocazione (cf. RFF 45ss, soprattutto il numero 56). Di questa crescita integrale parla ugualmente il documento della Congregazione per l’Istituti di Vita Consacrata sulla comunione fraterna: «sembra utile richiamare l’attenzione sulla necessità di coltivare le qualità richieste in tutte le relazioni umane: educazione, gentilezza, sincerità, controllo di sé, delicatezza di sé, senso dell’umorismo e spirito di partecipazione…” (La vita fraterna in comunità, n. 27). Altrettanto si dice nel documento Pastores dabo vobis che, parlando delle dimensioni della formazione sacerdotale, cita in primo luogo “la formazione umana, fondamento di ogni formazione sacerdotale (cf. PDV 43). Tuttavia questo richiamo alla maturità umana non è nuovo nella nostra tradizione francescana. Forse si può dire che durante lunghi periodi della nostra storia non le si è prestato una sufficiente attenzione perché si accentuavano altri temi; ma sempre è stata presente. Francesco d’Assisi era un uomo “umanamente maturo”: i lineamenti che lo identificano coincidono con quelli che le scienze moderne considerano propri di una persona umanamente matura. Negli scritti di Francesco troviamo quantità di segni che accentuano la necessità e l’importanza della maturità umana. Francesco facilita ed esige dai suoi Frati “questa maturità umana”. Eccone un piccolo campionario: • gioia («non si mostrino ipocritamente accigliati»); • comprensione («non giudichino nessuno»); • perdono mutuo e generoso; • equanimità («non si adirino…»); • amore come quello di una madre («perché se una madre ama e cura…»); • disponibilità verso gli altri; • libertà per non essere attaccato (a un ufficio che si deve lasciare…); • incassare le offese (Ammonizioni, passim);
35 Un testo significativo è Spec 85, dove Francesco pone in risalto tra le caratteristiche del “Frate perfetto” (vale a dire maturo), qualità come la cortesia, la delicatezza, l’accoglienza, lo spirito di servizio ecc. Le nostre Fraternità sono dunque chiamate a rendere possibili e a potenziare i segni di maturità umana per essere, anche per questo, “luoghi d’incontro con Dio” (cf. CCGG 40). •
2.Alcuni segni di maturità umana Quando possiamo dire che un Frate ha raggiunto la maturità o che una Fraternità è formata da Frati maturi? Quali sono i segni che ci permettono di identificare la maturità di una persona? Sono molti i segni che indicano la maturità di un Frate. Soprattutto ci sono attitudini e comportamenti che fanno crescere la fraternità, così come ci sono anche atteggiamenti che minacciano la comunione fraterna. Gli autori non sono sempre unanimi nella enumerazione di questi segni. Qui ci limitiamo a citarne qualcuno come esempio. Ne sintetizziamo sei, così i Frati possono enumerarne altri completando la lista: a. Armonia interiore • con la convergenza e integrazione di tutte le potenzialità umane. b. Comunicatività • in una relazione profonda e positiva con gli altri. c. Trascendenza • contatto personale e comunione con un Essere supremo che dà senso e vita. d. Efficienza • nel campo intellettuale, materiale, sociale… Cioè che la persona dovunque stia sia capace di far sviluppare le sue qualità e portare a termine i suoi progetti: professore, cuoco, intellettuale, operaio…, ma efficiente. e. Senso dell’umorismo • È la rara capacità che hanno alcune persone di amarsi profondamente e proprio per questo di saper sorridere di se stesse, di amare profondamente il mondo e, allo stesso tempo, sapendo riderne. • Bisogna distinguere chi ha senso dell’umore dal “comico” che prende tutte le cose per scherzo e delle cui “arguzie” gli altri “ridono”. • Ha senso dell’umorismo chi prende le cose sul serio, ma è capace anche di sorridere di ciò che fa e di relativizzare i propri progetti e intenzioni. g. Creatività • Capacità di creare qualcosa o di avere qualche esperienza originale. Senza dubbio potrebbero esserci altri i segnali di maturità umana (immagine positiva di sé, autostima, capacità di assorbire le critiche e le avversità, capacità di posporre il soddisfacimento delle proprie “necessità” e di farlo con agilità, capacità di apertura agli altri…), che appaiono tra le caratteristiche considerate classiche. Sarebbe un buon esercizio fraterno che la Fraternità stessa aggiungesse e commentasse altri elementi. 3. Alcune difficoltà Siamo chiamati ad essere immagine della comunione trinitaria, eppure quanto alle volte ci ritroviamo soli! Chiamati per essere segni e sacramento della nuova umanità di Cristo risorto e tuttavia quante ferite e quanti morsi di morte attorno alle nostre Fraternità! Chiamati ad essere segno di abbondante comunione e tuttavia quante briciole e ferite intorno alle nostre mense! Chiamati per grazia a questa comunione fraterna a immagine della vita trinitaria, riconosciamo che c’è una gran distanza tra l’ideale e la realtà. In non pochi casi la mancanza di maturità umana è causa di difficoltà e tensioni che convertono la nostra Fraternità in “un luogo terribile” dove rendono visibili i nostri limiti, ferite, “fughe” e perfino la nostra impotenza per convivere serenamente. È una minaccia per la nostra vocazione di comunione e di unità. A volte queste difficoltà per una convivenza serena sono difficoltà intrinseche allo sviluppo della persona:
36 • “Questo Frate oggi non l’ammetterebbero nell’Ordine”. • “È una persona molto strana”. • “Questo Frate è pieno di complessi che si traducono in una grande inibizione o in una notevole aggressività”. • “Uno sviluppo insufficiente nell’infanzia e nell’adolescenza hanno fatto di questo Frate una persona difficile”. • “Un’esperienza negativa in un’altra Fraternità ha fatto di questo Frate una persona chiusa in se stessa e asociale. • “È una persona bruciata”… Sono alcune delle espressioni che si sentono spesso nelle nostre conversazioni di Fraternità. E tutto ciò è reale, come sono reali le nostre “necessità e desideri” inconfessati e inconfessabili, le nostre “ferite” e carenze, le nostre paure e impossibilità, la nostra difficoltà nell’accettarci nella nostra verità, le nostre fantasie irreali… E bisogna tener conto di ciò, perché “non siamo eroi chiamati alla santità, ma poveri uomini convocati alla mensa della misericordia del Signore”. E finché non accetteremo questo statuto dell’umiltà e della debolezza umana, non potremo costruire una fraternità reale, matura e significativa. 3. Alcune mediazioni per crescere Non serve a nulla o molto poco il costatare semplicemente questi fatti della nostra immaturità. È necessario muoversi per rendere possibile a tutti i Frati di progredire sul cammino della maturità. a. Arrivare ad essere “uomini” • “Anche prima di arrivare ad essere uomini, già vogliono essere simili a Dio (Adversus Haereses IV, 328, 4). • Questa frase che sant’Ireneo rivolse agli gnostici del suo tempo (III secolo) può servirci molto bene per fare la prima puntualizzazione sulle mediazioni umane nella vita comunitaria. • Per giungere ad essere uomini è necessario andar acquisendo una serie di convinzioni e attitudini. • Accettarsi e amarsi nella propria umanità personale, nel proprio corpo; sviluppare in se stesso le dimensioni maschili e femminili che fanno parte del nostro essere. In ogni persona debbono integrarsi l’aspetto maschile e quello femminile: l’animus (lo spirito, l’intelligenza) e l’anima (aperta al mistero) debbono integrarsi e convivere uniti. • Imparare ad essere autonomi, indipendenti, capaci di vivere e di decidere da soli, senza bisogno di ricorrere continuamente all’approvazione o all’opinione degli altri. Su questa autonomia si basa la capacità di accettare i propri limiti e i limiti degli altri, il saper sopportare in silenzio le inevitabili carenze e frustrazioni della vita. • La responsabilità, la coscienza del dovere, la fedeltà a se stesso e soprattutto l’accoglienza degli altri ed essere aperti con loro, la possibilità di vivere e di programmare con loro un progetto di vita umano ed evangelico, sono altrettanti gesti di quella vera umanità che tutti dobbiamo cercare. • Apertura al mondo nel quale viviamo e che è il luogo dove si costruisce il nostro io. Questo mondo dal quale non si deve fuggire, che non si deve adulare né maledire, ma al contrario conoscere, amare, usare con discernimento in tutta la sua complessità culturale, scientifica, sociale, politica ecc. Giungere ad essere uomini oggi comporta tener conto del nostro mondo nella sua complessità. • Dominio della relazione: si arriva ad essere io pronunziando il tu. Uno progredisce nel suo itinerario di maturità umana quando si offre all’incontro con l’altro. L’uomo maturo è quello che sa aprirsi all’altro e sa accettarlo nella sua differenza. Quest’altro è il prossimo, l’uomo, ma anche, senza dubbio e in primo luogo, l’Assoluto, Dio. b. Accettazione dell’altro Che cos’è l’accettazione dell’altro? • Ricevere amorosamente la persona nella sua singolarità unica;
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• disponibilità per valorizzare positivamente il suo modo di procedere, i suoi sentimenti e intenzioni; • capacità di percepire quello che l’altro sente nell’originalità del suo mondo interiore; • confidare vivamente nella capacità di crescita della persona. Cosa non è l’accettazione dell’altro? • Concordare sempre con il modo di procedere dell’altro; • giustificare e approvare sempre la sua condotta; • studiare la persona a distanza; • avere una curiosità eccessivamente avida dell’intimità dell’altro; • avere un atteggiamento prevalentemente critico; • giudicare l’altro secondo i propri schemi mentali e affettivi; • evitare ogni conflitto occultando i sentimenti negativi. Come si facilita l’accettazione dell’altro? • Sforzandosi di sentire le cose come le sente l’altro; • essendo autentico e franco, ma non a qualunque prezzo, ma misurando ciò che l’altro può assimilare; • rafforzando i sentimenti positivi; • dando segnali di volersi avvicinare all’altro; • mostrando interesse per l’altro; • essendo paziente nell’ascolto; • essendo testimone della speranza; • interessandosi per le cose dell’altro, specialmente dei suoi sentimenti. Quando si rende difficile l’accettazione dell’altro? • quando lo si giudica solo in funzione delle sue qualità, efficacia e condotta edificante; • quando c’è una tendenza eccessivamente valutativa; • quando si ha poca fiducia nell’altro. • quando c’è ignoranza dell’altro; Fattori stimolanti della vita comunitaria • Trovare spazi per esprimersi liberamente; • ambiente con un certo calore affettivo; • assegnare ad ogni persona compiti e incarichi significativi e adeguati alla sua competenza, dando spazio alla sua creatività; • tener conto dello stimolo di referenze consistenti; • alimentare senza sosta un ideale generosamente vivo; • ambiente partecipativo in progetti attualizzati e significativi. c. Clima comunitario Nulla è risultato tanto efficace perché i Frati raggiungano la maturità quanto un buon clima comunitario. È il “punto zero” partendo dal quale si può parlare di molte altre cose, ma senza il quale è impossibile progredire in qualunque programma di crescita. Un buon clima comunitario, tra le altre cose, include: • un ambiente gradevole e di mutua accoglienza; • assenza di mormorazione e critica del gruppo fuori del gruppo; • gioia per l’incontro con i Frati e per la loro presenza; • disponibilità alla collaborazione; • agilità per capire e scusare il fratello; • un livello sufficiente di comunicazione e di sentimenti; • una relazione di una certa intensità con i Frati; • generosità per il mutuo perdono;
38 • coltura della “mistica di gruppo”… Quando una Fraternità è capace di creare questo ambiente o clima comunitario positivo è impensabile fin dove si può arrivare. Lì, in questo clima accogliente che chiamiamo “punto zero”, tutto è possibile, fino al confronto più veritiero tra i Frati… Però, senza di esso, è quasi impossibile camminare e impensabile la crescita dei Frati. Non è vero che chi più ci ha amato sono stati quelli che più ci hanno aiutato nella vita? Aiutare nella mutua crescita umana suppone questa accettazione mutua che ci porta a un amore semplice ma reale, che ci libera dalle nostre prigioni e dalle “immaturità” che ci danneggiano dal di dentro. Ma prima di arrivare a tale accettazione un po’ ideale del fratello, sarebbe bene pensare a personalizzare almeno questi altri atteggiamenti basilari per una Fraternità: • Rispetto dei sentimenti dell’altro. • Evitare sempre di fare giudizi di valore. • Distribuzione e coordinazione delle attività. • Valorizzazione di ogni persona.
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere i seguenti testi: • CCGG 39. • VFC 35-38. 2. Alla luce di questi testi: • Riflettere sulla vitalità delle virtù umane. 3. Domandarsi: • Dai segni di maturità umana segnalati, quali considero di meno nella mia vita e nella vita degli altri Frati? Come crescere in essi e aiutare che lo facciano gli altri? • Che mezzi uso per crescere umanamente? Che posto occupano nel progetto personale di vita? Per la riflessione in gruppo 1. Leggere i seguenti testi: • Rnb 11; Rb 3, 10-14; Rb 10, 7-12; Spec 85. 2. Alla luce di questi testi: • Scambiare sentimenti, esperienze e opinioni sulla maturità umana nella mia concreta comunità. • Indicare qualche segno e caratteristica di una persona umanamente matura secondo l’opinione dei membri della Fraternità. Indicarli, commentarli ed enumerarli per ordine d’importanza. • Enumerare le difficoltà che i Frati della Fraternità sentono per una convivenza umanamente matura. Descriverne i lineamenti e i sintomi. • Indicare modi realistici che possano contribuire a una crescita umana adeguata. 3. Domandarsi: • Le nostre Fraternità, chiamate ad essere come “aree verdi” nella nostra società, si vanno convertendo in segno provocatore di speranza dove si respira Dio, l’umanità autentica, e dove si coltivano i valori umani ed evangelici? • Quali virtù sociali ti sembrano imprescindibili per vivere in Fraternità? Quali mancano nella tua? Come acquisirle? • Come progredire nel cammino della maturità umana? • Che mezzi usare per aiutare i Frati, specialmente quelli che appaiono più difficili, a crescere, a camminare e incoraggiarsi nella comunione fraterna? • Che posto occupano i valori umani nel progetto di vita fraterna?
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III UGUAGLIANZA E DIVERSITÀ Le nostre Fraternità sono formate da noi, che siamo uguali e diversi: uguali perché ognuno è fondamentalmente un Frate che si riconosce sul piede di uguaglianza sostanziale con gli altri sulla base di una Regola comune professata da tutti; ma diversi perché ognuno ha le sue proprie caratteristiche, i suoi valori, difetti, uffici e ministeri che lo distinguono in modo inconfondibile. Da questa uguaglianza e diversità nascono molte delle ricchezze e problemi che caratterizzano la nostra vita. Pertanto è importante che prendiamo coscienza di ciò per poter assumere con coerenza questo aspetto della nostra vocazione. A questo c’invitano anche le nostre Costituzioni generali, che affermano: Art. 40: «Ogni Frate è un dono che Dio fa alla Fraternità. Per quanto differiscano tra di loro per carattere, cultura, abitudini, per i talenti, attitudini e diverse qualità personali, i Frati debbono accettarsi l’un l’altro come sono nella loro realtà e considerarsi tutti uguali. In questo modo la Fraternità intera diventa il luogo privilegiato dell’incontro con Dio». Art. 41: «Tutti i membri dell’Ordine., nonostante la distinzione degli uffici, degli incarichi e dei ministeri esercitati nella Fraternità, sono tutti di nome e di fatto fratelli e minori». 1. La grazia e il dono della diversità Prima di tutto è importante considerare la diversità che ci distingue come una grazia e un dono. Questa diversità può comprendere i campi più diversi, dalla nostra costituzione fisica o le nostre condizioni di salute fino al nostro itinerario spirituale così singolare e diverso per ognuno, passando per quegli aspetti sottili e interiori relativi al carattere, alle abitudini, alle piccole manie o alle grandi qualità. Questa diversità non è una novità. Basta dare un’occhiata alla storia dell’Ordine, e in particolare ai suoi grandi santi, per rendersi conto che mai ci sono stati due francescani uguali. Se confrontiamo i grandi santi della storia francescana scopriamo differenze evidenti e macroscopiche: tutti erano francescani, tutti furono santi, ma nello stesso tempo ognuno fu molto diverso dagli altri. Senza dubbio gran parte di tale diversità dipese dal diverso contesto storico nel quale vissero e che comprende epoche e luoghi molto diversi; tuttavia bisogna riconoscere che una certa importanza della diversità sembra essere insita alla natura della vocazione francescana. D’altra parte possiamo anche dimostrare notevoli differenze tra personaggi contemporanei. Basta pensare, per esempio, a sant’Antonio di Padova, contemporaneo di san Francesco e francescano esemplare, ma così diverso in molti aspetti dal Santo di Assisi. Se consideriamo il nostro tempo e i Frati di oggi, è impossibile ignorare la profonda diversità che ci distingue. Possiamo trovare francescani impegnati nelle più diverse attività e nei più diversi ambienti: con gl’immigranti, con gli uomini di studio, con le prostitute, con gl’infermi, con i ricchi, con i poveri… E queste differenze non si riferiscono solo al contesto nel quale ognuno svolge la sua attività, bensì anche alle motivazioni profonde che sostengono le loro differenti opzioni, fino al punto che alcuni Frati considerano un obbligo morale impegnarsi in alcune attività o campi che altri Frati non considerano urgenti. Queste differenze di sensibilità e di scelta le ritroviamo nei nostri incontri, dai capitoli locali fino ai Capitoli provinciali, nei quali emergono sempre proposte e pareri diversi, difesi con uguale sincerità e passione da persone profondamente diverse. La ricchezza spirituale e la fecondità apostolica delle nostre Fraternità dipendono molto da questa straordinaria differenza di sensibilità, di caratteri e di opinioni. Si tratta effettivamente di una grazia:la diversa sensibilità dei Frati ci permette di scorgere un’ampia gamma di prospettive diverse dalle nostre, alle quali mai saremmo giunti da soli e che molte volte ci si rivelano come valide e affascinanti.
41 Talvolta è possibile rendersi conto anche del peso di questa diversità. Quando bisogna prendere una decisione in comune, le diverse opinioni possono sembrare un ostacolo o un peso. Frequentemente si ha l’impressione che ostacolino il cammino comunitario. D’altra parte alcune decisioni debbono essere prese col consenso di tutti, e allora la diversità ci appare come un peso, che ostacola un cammino più spedito e forse più profetico o più creativo. 2. La grazia e il compito della uguaglianza Insieme alla constatazione delle nostre diversità è necessario osservare che ci anima la comune convinzione di un vincolo di profonda uguaglianza che ci fa tutti fratelli di tutti, compresi di quelli che vediamo per la prima volta, ma che ci si presentano come membri della stessa e grande famiglia che è il nostro Ordine. Da dove nasce questo sentimento di uguaglianza fraterna? Per rispondere a questa domanda si potrebbe evocare il senso di appartenenza che caratterizza ogni gruppo umano e costituisce anche una caratteristica psicologica di ogni gruppo umano e una caratteristica psicologica della nostra Fraternità. Potremmo riferirci ugualmente al sentimento di uguaglianza che caratterizza le relazioni sociali nel nostro tempo e che si esprime forse in una netta preferenza verso i metodi democratici ed ugualitari. Ma se vogliamo giungere sino in fondo nell’analisi della nostra uguaglianza fraterna, dobbiamo affermare che alla radice si trova la coscienza che «ogni Frate è un dono di Dio alla Fraternità» (CCGG 40). Se ogni Frate è un dono di Dio, non posso privilegiarne uno a detrimento dell’altro, o pensare che posso giudicare in modo diverso i doni dell’unico Signore. Questo atteggiamento equivarrebbe a giudicare Dio, autore di tali doni e che sa molto bene cosa fa quando ci dà questi fratelli. Se all’origine di questa uguaglianza fraterna c’è la convinzione di fede che ogni Frate è un dono di Dio, allora comprendiamo che l’uguaglianza fraterna si esprime con i segni dell’appartenenza comune a una stessa famiglia, l’Ordine: la professione, uguale per tutti nei suoi contenuti essenziali; il cammino di formazione iniziale e permanente, che obbliga e aiuta tutti ad essere veri Frati minori; l’uguaglianza di diritti e di obblighi; lo sforzo comune di dedicarsi pienamente al bene dei fratelli. Si tratta certamente di un cammino che, almeno in parte, si deve ancora percorrere. È una grazia e un impegno, come succede di frequente con quanto riceviamo dal Signore, che ci concede doni e grazie perché li facciamo fruttificare impiegandoli al servizio degli altri. Il dono della comune vocazione, che ci fa riconoscere in ogni Frate un dono speciale di Dio, è una grazia che dobbiamo usare per il bene della Fraternità. D’altra parte questo è l’atteggiamento che ci ha insegnato san Francesco, il quale all’inizio della sua vocazione non pensava di riunire dei fratelli intorno a sé, né molto meno di fondare un Ordine religioso, ma al quale, come leggiamo nel suo Testamento, «il Signore mi donò dei Frati” e “mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo». Perciò, se l’uguaglianza consiste nell’accettare ogni Frate come un dono di Dio, questa accettazione è una meta che bisogna cercare di raggiungere ogni giorno. Così si realizza questo gran segno del Regno di Dio che è la comunione fraterna tra Frati uguali e diversi. 3. Ambiti di uguaglianza e cammino percorso (CCGG art. 3) Il tema dell’eguaglianza si riferisce alle relazioni in seno alle nostre Fraternità. Uno dei suoi ambiti specifici è costituito dai vari uffici e ministeri esercitati dai Frati. Le nostre CCGG affermano chiaramente: «Tutti i membri dell’Ordine, nonostante la distinzione degli uffici, degli incarichi e dei ministeri esercitati nella Fraternità, sono tutti di nome e di fatto fratelli e minori» (art. 41). Questa asserzione ci aiuta a mettere a fuoco correttamente la nostra riflessione. Quando si parla di “distinti ministeri” tra di noi è evidente il riferimento al ministero sacerdotale che distingue i Frati sacerdoti dai Frati laici e che è un punto che tocca la relazione uguaglianza-diversità nel seno della Fraternità. Se gettiamo uno sguardo alla nostra storia vediamo che la distinzione tra Frati chierici e Frati laici ha segnato profondamente lo sviluppo dell’Ordine. Nei primi decenni cambiarono alcuni aspetti dell’immagine dell’Ordine amata da Francesco d’Assisi: una Fraternità aperta a
42 chierici e laici senza distinzioni. L’Ordine dei Frati minori si convertì presto in un Ordine clericale: assunse attività e incarichi nettamente clericali, come la predicazione nelle chiese, l’amministrazione del sacramento della penitenza o la cura pastorale e optò per affidare il servizio dell’autorità nell’organizzazione della vita interna solo ai Frati sacerdoti. Siamo eredi di questa storia e abbiamo assistito lungo i secoli a cambiamenti importanti. Negli anni posteriori al Concilio Vaticano II, obbedendo all’invito conciliare a rinnovarsi tornando al carisma delle origini ed essendo fedeli nello stesso tempo ai segni dei tempi, il nostro Ordine riscoprì il carattere “fraternamente egualitario” dei suoi primi tempi e la nostra identità originale, che sta al di sopra della distinzione tra chierici e laici, e che lo spinge a non riconoscersi come Ordine clericale, né come Ordine laicale. Come ben sappiamo si tratta della questione legata all’articolo terzo delle nostre Costituzioni Generali, che dice: §1: «L’ Ordine dei Frati minori è composto da Frati sia chierici sia laici. In forza della professione, tutti i Frati godono di piena uguaglianza nei diritti e nei doveri religiosi, salvo quanto è legato all’Ordine sacro». §2: «La Chiesa annovera l’Ordine dei Frati minori tra gli Istituti clericali». Il primo paragrafo esprime la coscienza che l’Ordine ha oggi di se stesso. L’Ordine ha chiesto ripetute volte alla Sede Apostolica di poter cambiare la redazione del paragrafo secondo perché non sembra riflettere la nostra identità. Dopo il Sinodo dei Vescovi del 1994, e la successiva esortazione Vita consecrata, è iniziato ufficialmente un nuovo modo di pensare giacché, oltre gli Istituti religiosi clericali e laicali, si riconosce l’esistenza degli Istituti chiamati misti, che corrispondono meglio alla nostra identità e nei quali l’Ordine spera di vedersi inquadrato quanto prima. Era utile ricordare tutta questa questione per affrontare vari aspetti che ci riguardano più da vicino. Effettivamente anche se il dibattito sull’art. 3 può sembrare una questione solamente giuridica, è importante per tutti affrontarne la questione sostanziale, che non è solo giuridica e che tocca profondamente la nostra vita, perché nasce dalla convinzione che la nostra vocazione ha la sua propria consistenza e identità, prescindendo dal ministero sacerdotale, che per se stesso non è costitutivo ed essenziale della vera figura del Frate minore. Senza negare con questo che tale ministero può integrarsi perfettamente nella vocazione dei Frati minori chiamati ad esso e che attualmente costituiscono una percentuale rilevante dell’Ordine. Non si tratta evidentemente di escludere la prospettiva del sacerdozio ministeriale, bensì di comprenderla correttamente d’accordo con la nostra vocazione di Frati minori. 4. La tentazione secolare e le nuove tentazioni di disuguaglianza Nel passato la distinzione tra chierici e laici costituiva un elemento oggettivo di possibile disuguaglianza e di fatto si giunse ad avere due “classi” di Frati, in parte dovuto all’antica legislazione canonica che imponeva noviziati distinti per i Frati chierici e per i laici (compreso l’obbligo di ripetere il noviziato se uno chiedeva di passare dall’uno all’altro gruppo). Ciò nonostante il nostro Ordine non fu di quelli che insistettero esplicitamente in tale distinzione. Inoltre in esso si mantennero alcuni segni caratteristici comuni (come lo stesso abito o la stessa formula di professione) che custodivano la memoria della prima intuizione di Francesco d’Assisi. Si deve anche dire che la differenza tra chierici e laici non impedì che molti Frati, chierici e laici, raggiunsero la santità! Noi che apparteniamo a una generazione posteriore al grande cambiamento provocato dal Concilio e che, almeno nelle intenzioni, abbiamo superato la disuguaglianza legata alla distinzione tra chierici e laici, dobbiamo domandarci se, nonostante questo, nelle nostre Fraternità ci sono nuove tentazioni di disuguaglianza, e se sì, quali sono. Effettivamente sarebbe da ipocriti parlare contro una situazione passata, che ci appare già superata, e ignorare i nuovi rischi di disuguaglianza che forse ci toccano più da vicino. Non ci possono essere forme di discriminazione legate alle attività svolte dai Frati di modo che alcuni si dedicano a lavori considerati più “nobili” e altri a lavori più “spregevoli”?
43 Non ci possono essere forme di disuguaglianza economica derivante dalle attività concrete che ognuno disimpegna e con l’opportunità di maneggiare denaro, o con il fatto di doverlo chiedere ogni volta, a differenza di altri fratelli? Non si può scoprire anche una divisione in “classi sociali” che crea ostacoli tra i Frati che hanno studiato (e che oggi possono essere sia sacerdoti che laici) e gli altri Frati? Con la curiosa riprova che a volte i Frati senza studi possono sentirsi discriminati, e a loro volta assumere un’attitudine discriminatoria considerandosi i veri figli ed eredi del Padre san Francesco, “ignorans et idiota”! Riassumendo, la tentazione della disuguaglianza è sempre attuale e dobbiamo esaminarci e confrontarci continuamente con essa. 5. Formare per l’eguaglianza nella diversità A conclusione di questa riflessione, che ci ha aiutato ad approfondire la nostra identità di Frati tanto uguali e tanto diversi, dobbiamo domandarci quali sono gli itinerari formativi che dobbiamo percorrere, sia nella formazione iniziale come in quella permanente. Perché le convinzioni sulla nostra identità debbono trovare forme concrete di espressione e impregnare tutto il cammino formativo. Non è vero che alcune tappe della formazione iniziale hanno un orientamento che è più indirizzato alla formazione di sacerdoti che a quella di francescani? Non è certo che le proposte e iniziative della formazione permanente spesso sono dirette di fatto solo ai Frati che possiedono una elevata formazione culturale dimenticando gli altri? Se si dovesse prendere un punto di riferimento che sintetizzi questo tema, questo sarebbe senz’altro l’immagine della santissima Trinità: in essa contempliamo le tre divine Persone, così uguali e così diverse, che vivono in un’unione così perfetta da essere un solo Dio. Effettivamente se è vero che nella Trinità il Padre non è il Figlio e una divina Persona non è l’altra, è anche certo che ognuna delle tre divine Persone vive questa diversità in una uguaglianza e comunione perfetta. Il modello che rispetta e perfino pone in risalto la diversità nell’uguaglianza e unità perfette sta nel cuore della nostra fede perché è la vita stessa della Trinità e chiaramente questo modello allontana da ogni tentazione di egualitarismo che pretenda livellare tutto, annullando le differenze preziose e amate da Dio stesso. Le nostre Fraternità e la Chiesa intera debbono essere immagine della Trinità, mistero dell’unità e della diversità che manifesta la vita stessa di Dio.
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere i seguenti testi: • CCGG 3.40.41. 2. Alla luce di questi testi: • Riflettere sul mio modo di comportarmi verso i Frati che considero inferiori. 3. Domandarsi: • Che sto facendo e che posso fare per progredire verso una maggiore uguaglianza nella diversità della Fraternità alla quale appartengo? • Come mi pongo di fronte alla diversità? • Vedo realmente che ogni Frate con i suoi doni particolari è un dono di Dio per me? • “In forza della professione, tutti i Frati godono di piena uguaglianza”. Come vivo e tratto questo argomento? Come si riflette nel mio progetto personale di vita? Per la riflessione di gruppo 1. Leggere i seguenti testi: • Mt 18,1-8; Gal 6,2 • Rnb 6,2 • Rnb 5,9-15 • 1Cel 31 • 2Cel 191.193; Legper 103 • LegM 3,5 • Lmin 7; 1Cel 102; Legper 85 2. Alla luce di questi testi: • Scambiare punti di vista sulle disuguaglianze tra i Frati che vivono nella Fraternità e sulle situazioni di disuguaglianza che ci sono nell’Ordine. • Discernere gli atteggiamenti fraterni partendo dal progetto di Mt 18. 3. Domandarsi: • Quali sono le differenze più evidenti che riscontro nella mia Fraternità? • Quali sono i vantaggi di essere diversi l’uno dall’altro? Quali sono gli ostacoli e le diversità? • Nella Fraternità alla quale apparteniamo che comportamenti vengono fuori se non si dà una vera uguaglianza nella diversità? Come viviamo il significato della lavanda dei piedi e della frazione del pane nella Fraternità? • Posso ricordare qualche episodio nel quale ho sperimentato la verità di quella affermazione? • Nelle nostre Fraternità si vive una vera uguaglianza fraterna tra chierici e laici? • Ci pare che si offrano opportunità reali di formazione francescana a tutti i Frati in formazione, tanto agli orientati al sacerdozio come agli altri? • Quali sono le forme più attuali di disuguaglianza nella nostra vita? E quali possono essere gli strumenti per educarci ad una uguaglianza fraterna ogni giorno più evangelica? • Quali proposte possiamo formulare rispetto alla formazione permanente per formarci nell’uguaglianza? • Come far passare queste proposte nel progetto di vita fraterna?
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IV LA FAMILIARITÀ TRA I FRATI (cf. Rb 6, 7) (Elementi concreti di vita francescana) Quando parliamo di vita fraterna abbiamo spesso l’impressione che ognuno possiede di essa una visione diversa e che, anche se vengono usate le stesse parole, queste non riflettono gli stessi concetti e punti di vista. Questa differenza di opinioni è impossibile evitarla, anzi è feconda e arricchente. Tuttavia è ugualmente importante che ci sia consenso in alcuni punti che siano condivisi da tutti e che servano da base per il dialogo e la riflessione comune. Per raggiungere una comprensione comune della vita fraterna possiamo basarci sull’articolo 42 delle nostre CCGG che affronta esplicitamente questo tema: §1: «Per far crescere maggiormente l’unione fraterna, i Frati si prevengano con mutua carità, si prestino servizio con animo generoso, appoggino le buone iniziative, e godano per il felice esito del lavoro altrui». §2: «La vita di comunione fraterna richiede da parte di tutti i Frati l’unanime osservanza della Regola e delle Costituzioni, un simile tenore di vita, la partecipazione agli atti della vita della Fraternità, particolarmente alla preghiera comune, all’evangelizzazione e ai lavori domestici e, infine, la devoluzione a favore della comunità degli emolumenti percepiti a qualsiasi titolo». Il primo paragrafo dà alcune indicazioni «per far crescere maggiormente l’unione fraterna»; il secondo esige da tutti i Frati una serie di elementi che sono imprescindibili per la vita di comunione fraterna. Si osservi prima di tutto che la sequenza proposta sembra abbastanza strana. Prima si parla di ciò che fa crescere l’unione fraterna, e poi di ciò che la costituisce. Qui si manifesta chiaramente che nella vita fraterna il “dinamico” è più importante dello “statico”. La vita fraterna non è qualcosa di già fissato o che si dà per scontato, ma è qualcosa che bisogna costruire e incrementare incessantemente. Difatti, solo cercando di far crescere l’unione fraterna che già esiste, almeno in parte, si praticano gli elementi essenziali che la configurano. Questo è lo schema che anche noi seguiremo, occupandoci per prima cosa di ciò che fa crescere l’unione fraterna, e poi di ciò che la costituisce. 1. Far crescere l’unione fraterna Per raggiungere l’obbiettivo di una maggiore comunione nella Fraternità abbozziamo un itinerario che possiamo percorrere in chiave temporale attraverso un prima, un durante, un poi. Per ciò che si riferisce al prima, si afferma: «I Frati si prevengano con mutua carità». “Prevenirsi” si riferisce proprio ad un atteggiamento previo; vuol dire andare incontro al fratello con l’amore del proprio cuore. Si tratta dunque di risvegliare la carità dentro di sé, prima ancora di esercitarla nell’incontro concreto con i fratelli, consapevoli che solo quando ci facciamo colmare dell’amore di Dio infuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato dato (cf. Rm 5,5), possiamo amare veramente coloro che incontriamo. È quello che afferma santa Chiara quando scrive nel suo testamento: «E amandovi a vicenda nell’amore di Cristo, quell’amore che avete nel cuore, dimostratelo al di fuori con le opere, affinché le sorelle, provocate da questo esempio, crescano sempre nell’amore di Dio e nella mutua carità» (TestsC 59-60). Si tratta dunque di avere l’amore nel cuore anche prima di manifestarlo con le opere, coscienti che la carità è un dono di Dio e non dipende solo dal nostro sforzo o dalla nostra virtù. In questo invito ad “anticiparsi nella carità” possiamo riconoscere pertanto la necessità di una dimensione personale, anteriore all’incontro con i fratelli, che bisogna attendere (magari con la preghiera personale!) per poter far crescere in noi l’amore che ci viene infuso solo dallo Spirito Santo. Immediatamente dopo questo riferimento al prima, si abbozzano le caratteristiche che bisogna coltivare durante l’incontro con i fratelli: «Si prestino servizio con animo generoso, appoggino le buone iniziative».
46 Si disegnano così due atteggiamenti che si sviluppano in direzioni diverse e complementari. Il prestare servizi nasce dalla mia iniziativa (potremmo schematizzarlo dicendo che va da me verso gli altri), mentre il favorire le buone iniziative parte dal riconoscimento di ciò che fanno gli altri (potremmo dire che è suscitato dall’accettazione e accoglienza delle azioni degli altri: il movimento è inverso al precedente e va dagli altri verso di me). Durante l’incontro con gli altri ci sono sempre questi due movimenti: da me verso di loro e da loro verso di me. Solo quando ci sono queste due flussi si può parlare di vero incontro, che nasce dal dare e dal ricevere, dall’accettare e dall’offrire, dai due atteggiamenti, non da uno solo. Troppe volte troviamo persone capaci di servire gli altri, ma incapaci di accettare il servizio degli altri, o persone attentissime a tutto ciò che fanno gli altri, ma pigre e senza nessuna capacità per porsi al servizio del prossimo. Il vero incontro fraterno richiede ambedue gli atteggiamenti. Solo così l’unione fraterna può crescere realmente. Il primo paragrafo termina con un riferimento al dopo: «godano per il felice esito del lavoro altrui». Si parla del “felice esito”, e pertanto di conclusione. Questo atteggiamento è possibile solo dopo la conclusione del lavoro degli altri, quasi come una considerazione riflessiva (una revisione di vita?) che mi fa riflettere sul lavoro degli altri e che mi dà gioia quando è terminato positivamente. È chiaro tuttavia che questo atteggiamento è conseguenza dell’esortazione precedente: “Appoggino le buone iniziative”. Appoggiare le iniziative altrui porta con sé come effetto spontaneo, il rallegrarsi del successo di quelle. Rimane escluso in modo particolare il rischio dell’invidia, che è l’atteggiamento contrario alla gioia fraterna. L’invidioso, invece di rallegrarsi, soffre per il successo del lavoro degli altri. Forse è bene ricordare al riguardo ciò che dice san Francesco a proposito dell’invidia nell’Ammonizione 8: «Chiunque invidia il suo fratello riguardo al bene che il Signore dice e fa in lui, commette peccato di bestemmia, poiché invidia lo stesso Altissimo, il quale dice e fa ogni bene». Le parole di Francesco ci portano al motivo profondo per cui non si può accettare l’invidia: chi realizza il bene nel fratello in ultima istanza è il Signore. Questa considerazione appoggia anche l’atteggiamento positivo di chi si rallegra del successo per il lavoro altrui: questo successo, questo felice risultato rimanda al Signore, fonte di ogni bene, e conferma che ogni fratello è un dono di Dio. Effettivamente è Dio stesso che sta all’origine del successo del lavoro altrui e del quale posso rallegrarmene pienamente perché questa gioia è ora e sempre una lode al Datore di ogni bene. 2. Cosa si richiede a una vita di comunione fraterna Il secondo paragrafo dell’articolo 42 enumera vari elementi necessari per la vita di comunione fraterna. Sono i seguenti: a. unanime osservanza della Regola e delle Costituzioni; b. un simile tenore di vita; c. partecipazione agli atti della vita della Fraternità, soprattutto alla preghiera comune, all’apostolato e ai lavori domestici; d. devoluzione a favore della comunità degli emolumenti percepiti a qualsiasi titolo. a. La Regola e le Costituzioni Possiamo subito osservare che si pone come fondamento la Regola interpretata dalle Costituzioni. Effettivamente essa è il codice fondamentale della nostra Fraternità e contiene i riferimenti essenziali per tutti noi. Ciò significa che la vita fraterna che si esige da noi non è una vita generica, bensì una vita caratterizzata da riferimenti specifici. In altre parole non ci si chiede semplicemente una “vita fraterna generica”, ma una vita fraterna che incarna il progetto della Regola e delle Costituzioni: questa è la vita fraterna francescana. Spesso corriamo il rischio di vivere una vita religiosa troppo generica, privata dei suoi connotati carismatici e che appiattisce tutti gl’Istituti religiosi su di uno “stile medio” che pretende di essere valido per tutti, ma che non esprime la specificità di ognuno. Il riferimento alla Regola e al nostro patrimonio carismatico specifico, posti come fondamento degli elementi necessari della vita fraterna, elimina questo rischio di generalizzazione. b. Un simile tenore di vita L’ esigenza di un “simile tenore di vita” traccia una caratteristica della vita fraterna: non ci possono essere nella stessa Fraternità stili di vita troppo diversi, soprattutto se questa diversità favorisce privilegi o
47 induce a sospettare che esistano. Ricordiamo ciò che abbiamo detto a proposito dell’uguaglianza e la diversità nella nostra vita: la diversità è buona e necessaria, ma non deve convertirsi in una facile scusa per godere di certe comodità, né può giustificare uno stile di vita in aperta dissonanza con quello dei fratelli. Non si tratta dunque di una anacronistica “uniformità” di vita come esisteva negl’Istituti di vita religiosa prima del Concilio Vaticano II, né di paura per le particolarità di ognuno. Si tratta invece di un aspetto importante della vita fraterna che impone ad ognuno il rispetto di certi criteri comuni a tutti. Se cerchiamo di concretizzare questo “simile tenore di vita” affioreranno probabilmente linee caratteristiche di ogni Fraternità in relazione con l’ambiente, l’attività, il numero e l’età dei suoi componenti. Tuttavia è importante capire qual è questo “simile tenore di vita” nella mia Fraternità. c. Partecipazione agli atti della vita della Fraternità, particolarmente alla preghiera comune, all’evangelizzazione e ai lavori domestici Queste affermazioni scendono al concreto: parlano di partecipazione a momenti precisi della vita della Fraternità, non solo nelle cose più “nobili”, come la preghiera o l’evangelizzazione, bensì anche in quelli più quotidiani e ordinari, come le faccende domestiche. Evidentemente pensano a una Fraternità protagonista della propria vita e che coordina e partecipa alla preghiera, all’evangelizzazione e perfino all’organizzazione degli aspetti correnti della vita di ogni giorno. Queste indicazioni offrono anche un criterio per la scelta dei lavori e delle attività dei componenti della Fraternità. Se la partecipazione a questi atti è fondamentale per la vita della Fraternità, ci si deve domandare se è lecito prendere impegni che impediscono di partecipare con regolarità ad essi. E ugualmente invitano a revisionare la realizzazione dei lavori domestici come indica l’art. 80 delle CCGG: «Nelle nostre Fraternità siano i Frati, e tutti i Frati, ad attendere, per quanto possibile, ai lavori domestici». d. Devoluzione a favore della comunità di tutte le offerte ricevute a qualsiasi titolo Abbiamo sottolineato la concretezza di queste indicazioni per la vita fraterna. Questa volontà di concretezza si manifesta ampiamente nell’ultima indicazione relativa alla dimensione economica della nostra vita. Il principio di fondo è che non ci può essere vera fraternità se non c’è piena compartecipazione. E la vera compartecipazione riguarda anche la sfera economica. Se ci limitiamo alle belle frasi, ma non siamo disposti a metter mano al portafoglio, non stiamo costruendo una vera fraternità! Si faccia attenzione che si parla di “emolumenti percepiti a qualsiasi titolo”: pertanto stiamo di fronte a un principio generale che include tutti i casi: emolumenti, pensioni, regali, elemosine… Bisogna ricordare che i nostri Statuti generali puniscono con singolare severità la trasgressione di queste norme (cf. SSGG 226), che è una dimostrazione dell’importanza che danno a questo argomento. Non si può essere Frati e avere peculio proprio! A complemento di questo tema sarebbe conveniente domandarsi come gestiscono i Frati alcune amministrazioni. Per esempio, come i parroci gestiscono l’amministrazione parrocchiale, o come altri Frati amministrano il denaro di e per le diverse attività che sono state loro affidate. Effettivamente, anche se tutte queste sono amministrazioni legittime e autorizzate, spesso c’è il rischio che si convertano in una “cassa privata” alla quale si può ricorrere quando si vuole, senza necessità di rendere conto a nessuno. Se così accadesse, andremmo per vie contrarie al nostro spirito e godremmo di privilegi inaccettabili in confronto con gli altri Frati. Infine, sarebbe conveniente che i Guardiani e gli amministratori facessero un esame di coscienza. Non può accadere che a volte usino il denaro senza chiedere a nessuno quel permesso che tutti gli altri Frati invece debbono chiedere?
SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE
48 Per la riflessione personale 1. Leggere i seguenti testi: • 1Cel 24; Legper 51: Francesco ringrazia e si rallegra per i fratelli che il Signore gli ha dati. • 1Cel 25-26: Francesco si rallegra nell’incontrare i Frati. • 1Cel 30: Francesco desidera vedere i suoi Frati. • Lf e 1Cel 49-50: Francesco si preoccupa dei problemi dei Frati. • Legper 51: Francesco venera i suoi Frati. • 2Cel: Francesco si pone al livello dei Frati. • 2Cel 174-176: La sollecitudine di Francesco per i suoi Frati. • 1Cel 49-50: Francesco mostra la sua compassione con i Frati peccatori. 2. Alla luce di questi testi: • Riflettere sulle esigenze a livello personale della comunione di vita in fraternità. 3. Domandarsi: • Qual è la mia attitudine riguardo al dono dei fratelli? Li vedo come un dono che il Signore mi ha posto a fianco, o come un ostacolo per la mia propria realizzazione? Quante volte ringrazio il Signore per loro? • Di fronte a un Frate che se la passa male mi preoccupo della sua situazione? Desidero stare/condividere con lui? Mi rallegro di stare/compartire con lui? • Qual è il mio atteggiamento di fronte a un Frate che spicca più di me per la sua vita esemplare o per le sue doti? Riconosco nel bene che fanno i fratelli un’opera di Dio “al quale appartiene ogni bene”? • Qual è il mio atteggiamento di fronte al peccato di un Frate? • Vedo un nesso tra la mia vita spirituale e la mia relazione con i fratelli? • Quali sono i mezzi che uso per “anticiparsi nella mutua carità”? • Cosa prevale nelle mie relazioni con gli altri: il dare o il ricevere? Sono capace di accettare i servizi dell’altro e incoraggiare le buone iniziative degli altri? • Seguendo il consiglio “non far mostra della tua abilità”, mi tiro indietro nella Fraternità? Mi ci dedico? In quale circostanza, situazioni e momenti mi do e in quali mi nego? • La mia disponibilità al servizio si manifesta principalmente al di fuori della Fraternità o anche al suo interno? • Conosco veramente i Frati della Fraternità con i quali convivo? Credo che loro conoscano me? • Mi sento libero di esporre le mie opinioni e desideroso di conoscere l’opinione degli altri? • Come sviluppare questo tema della famigliarità nel progetto personale di vita? Per la riflessione di gruppo 1. Leggere i seguenti testi: • Am 8: Peccato d’invidia. • 2Cel 178: Francesco si rallegra della vita santa dei suoi Frati. • 2Cel 180: Francesco divide con i Frati ciò che ha. • 2Cel 160: I Frati pregano l’uno per l’altro. • 3Comp 42; Legper 11: Obbedienza reciproca. • 2Cel 75: Ciò che si riceve per il lavoro è di tutti. • Rnb 9,10; Rb 6,8; 3Comp 57-59: Comunicare con gli altre e dialogare. • Lmin 15; 3Comp 58: Non giudicare né disprezzare nessun fratello. • Rb 6,7-9: Reciprocità e altruismo tra i Frati, distintivo della Fraternità francescana.
49 • • • •
Am 9,2-3; 3Comp 41; Legper 21; Spec 51-52: Perdono reciproco. 1Cel 39.42.102; 3Comp 40; Am 18,1: Pazienza reciproca. Anper 25.37; Legper 97; Rnb 7,15: Servirsi reciprocamente. Rnb 7,16; 2Cel 128; Legper 120; Spec 96: Gioia tra i Frati.
2. Alla luce di questi testi: • Riflettere e scambiarsi i diversi punti di vista sulle esigenze a livello comunitario della comunione di vita nella Fraternità. • Dialogare sulle distinte forme di concepire la nostra vita: come vita in comune, come appartenenza, come coesistenza, come équipe di lavoro, come comunione di vita in Fraternità… 3. Domandarsi: • Con quali di queste forme ti identifichi? Sei riuscito a sentirti come in una casa nella tua Fraternità? Cioè la consideri veramente come un luogo d’incontro, di accoglienza, di appoggio, di stimolo, di comprensione, di perdono? Ti senti in essa come un membro amato, accolto e valorizzato? Perché? • C’è invidia nelle nostre relazioni reciproche? • L’osservanza unanime della Regola e delle Costituzioni presuppone che le conosciamo. Le conosciamo realmente? E fino a che punto? • Quali sono le linee caratteristiche del “simile tenore di vita” richiesto ai membri della mia Fraternità? • Le attività che realizzano i membri della Fraternità gli permette di partecipare agli “atti della vita della Fraternità, soprattutto alla preghiera comune, all’apostolato e ai lavori domestici”? • I lavori domestici li compiono i Frati o sono affidati a personale esterno? Vi partecipano tutti i Frati, dal guardiano fino all’ultimo venuto? Oppure si pensa che i lavori domestici tocchino solo ai Frati laici e non ai sacerdoti? • Che suggerimenti posso dare sulla gestione economica della mia Fraternità? Ci sono conti privati? Creano disuguaglianze nella Fraternità? • Il Guardiano e l’economo rendono conto della loro gestione del denaro? • Come si elabora il progetto di vita fraterna? Con quali criteri?
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V LA CORREZIONE FRATERNA 1. La nostra vocazione di Fraternità tra grazia e peccato In queste ultime decadi andiamo capendo che la nostra vocazione di Fraternità è una “grazia del Signore”, un dono che Egli ci concede per vivere la comunione con Gesù Cristo, che seguiamo. Ciò nonostante non possiamo dimenticare mai che la nostra vocazione è anche avvolta nei “peccati” perché “portiamo questo tesoro in vasi di creta”, in vasi fragili. Perciò la nostra identità di Frati minori appare avvolta di grazia e di peccato, come luce e come croce, come dono e come peso. Così si esprime la Regola: mentre il capitolo primo parla di osservare il Vangelo del Signore, il decimo parla di “ammonizione e correzione dei Frati” (cf. Rb 1 e 10). Le CCGG, che sono l’attualizzazione della nostra forma di vita, nell’art. 43 presuppongono che possano esserci Frati che camminano «secondo la carne e non secondo lo spirito». E il capitolo 8 ha per titolo: «I Ministri ammoniscano e con umiltà e carità correggano i Frati». Così è necessario che, nella costruzione della comunione e nel comportamento adulto della nostra vita fraterna, teniamo conto e ricordiamo quale deve essere il nostro atteggiamento, adulto e cristiano, di fronte alla debolezza e al peccato dei fratelli e della Fraternità. È necessario non cadere in falsi spiritualismi dualisti, che “occultino” la nostra realtà costituita anche da debolezze, né in facili mancanze di speranze, che allontanino dal cammino della crescita fraterna. 2. Frati e Fraternità in crescita La correzione fraterna deve comprendersi in un dinamismo di crescita e di fedeltà vocazionale di tutti i Frati al Signore Gesù, del quale siamo discepoli. Il dinamismo di crescita suppone, da parte dei Frati e delle Fraternità, la volontà di camminare, di crescere, di maturare nella comunione. Ed è da lì che si deve comprendere il fratello che “pecca, o la Fraternità che decade dal suo proposito di fedeltà vocazionale. La correzione fraterna è una delle mediazioni della crescita vocazionale, anche se non l’unica, e come mediazione deve intendersi ed usare. Perché non è un mezzo di “castigo”, né di vendetta, né un metodo per imporre i diritti degli uni sugli altri, né cose del genere, anche se nel passato talvolta ciò è accaduto. Noi Frati dobbiamo imparare a familiarizzarci con questa mediazione, che non sempre usiamo adeguatamente. Effettivamente si è passati dalla correzione fatta solo “da sopra”, verticalmente, dal superiore al suddito (con il conseguente rischio di autoritarismo), a un’altra fase nella quale i ministri e guardiani si sentono inibiti e di conseguenza non prestano questo servizio, o nella quale ci sono anche Frati che si sono “appropriati” di questa mediazione (con il logico rischio, tra gli altri, dell’individualismo). È necessario superare ambedue le fasi alla luce delle Costituzioni generali e raggiungerne un’altra di integrazione nella quale, impostando il tema in modo adeguato, noi Frati assumiamo il servizio della “correzione mutua e caritatevole”. Questa espressione fa intendere chiaramente che tutti i Frati possono correggere e tutti possono essere corretti, perché la Fraternità si regge con la legge della reciprocità, del perdonare e dall’essere perdonato, dell’offrire e dell’accettare, del dare e del ricevere. È necessario percorrere questo cammino di maturità durante il quale ci aiutiamo con la “correzione mutua e caritatevole” a crescere e a maturare. Effettivamente la fedeltà del Frate è garanzia della fedeltà alla nostra stessa vocazione, e d’altra parte anche noi dobbiamo saper accettare la correzione, come d’altronde leggiamo nel Vangelo che «colui che è senza peccato, scagli la prima pietra». 3. Fedeltà vocazionale e correzione fraterna La mediazione della correzione fraterna deve essere posta in questo contesto della fedeltà vocazionale personale e comunitaria. La correzione ha come obbiettivo di aiutare i Frati e le Fraternità a crescere nella propria fedeltà vocazionale al Signore; si realizza mediante l’incontro, il
51 dialogo ed il confronto fraterno; le sue armi sono la carità e la misericordia profonde, scaturite dall’autenticità vocazionale. Ecco perciò alcuni criteri per la correzione in Fraternità: a. La correzione deve avvenire nel contesto “del progetto comunitario” Noi Frati pensiamo la nostra esistenza come un cammino di Vangelo in Fraternità; ciò che v’è in gioco è la nostra autenticità e felicità. Perciò tutto ciò che rende difficile questa vita di Vangelo, impresso nel nostro “progetto comunitario”, non solo “può” essere oggetto di correzione, bensì “deve essere” oggetto di attenzione perché da ciò dipende la nostra fedeltà verso noi stessi, al progetto di Fraternità e al Signore. b. La correzione perciò si deve fare nella Fraternità Deve rispondere a questa preoccupazione: Che ci chiede il Signore in questo momento? Come possiamo rispondere meglio alla sua volontà? Facendo discernimento da questa preoccupazione, i Frati tornano a porsi in cammino di Vangelo e cercano di percorrere un’altra strada con nuove mediazioni. I “Frati riuniti nel nome del Signore” sono il luogo abituale e normale della correzione. Qualsiasi altro luogo fuori della comunità corre il rischio di essere sfogo invece di correzione fraterna, mormorazione e giudizio, invece di misericordia che accoglie e salva. Fuori della Fraternità la correzione, invece di costruire, distrugge. “In fraternità” significa anche una correzione come quella che fanno i “fratelli”, fraterna, “come quella di una madre a suo figlio”. c. Fatta dalla Fraternità Anche se molte volte sono il ministro e il guardiano che fanno questo servizio per aiutare i Frati e la Fraternità a crescere, e senza togliere niente di quanto spetta a loro, la correzione fraterna deve farsi abitualmente nell’incontro di tutti i Frati. Questa correzione fraterna deve essere “reciproca” e “caritatevole”, come l’obbedienza con la quale è unita in quanto volontà di autenticità al comune progetto evangelico. Non esiste dunque il privilegio da parte di alcuni di correggere, bensì che i Frati si correggano e si animino l’un l’altro nella fedeltà vocazionale. Perciò è fondamentale educarci nella “legge della reciprocità” dalla quale tutti andiamo imparando a correggere e ad essere corretti, a perdonare e a essere perdonati… d. Guardando al progetto evangelico Perciò la correzione abitualmente non parte dalle “piccole imperfezioni e incapacità” di ognuno, ma da qualcosa più sostanziale, com’è il progetto evangelico di vita. Francesco d’Assisi indicò alcuni criteri con il suo atteggiamento verso quelli che vagavano fuori dell’Ordine, verso quelli che non recitavano l’ufficio secondo la Regola, verso quelli che commettevano il peccato di fornicazione, ecc. (cf. Rnb 8,7;13;19; 2Test 27-33; LOrd 44-46). E questo deve essere il criterio della correzione fraterna: quelle questioni che riguardano seriamente il progetto evangelico che tutti abbiamo promesso e che sono attualizzate nelle disposizioni scritte nelle CCGG. 4. “Arte” e modi della correzione fraterna È vero che molto del successo o del fallimento della correzione fraterna solitamente dipende da chi la fa. Se la fa qualcuno che ha “autorità morale” o ascendenza sul gruppo o la persona, tutto suole risultare bene, talvolta si accetta anche quando il tema non è stato oggettivamente ben trattato. Ma se la fa qualcuno che manca di ascendenza sul gruppo o le persone, può risultare male anche quando il tema è stato oggettivamente ben trattato… Ciò nonostante nell’abbordare la correzione fraterna bisogna tener conto di alcune modalità: a. Cercare il vero partendo dalla verità
52 A volte l’inconscio ci gioca brutti scherzi. Spesso ciò che chiamiamo “verità” è solo “la mia verità”. A volte neppure questo, perché s’incrociano sentimenti di rivalità, o di desiderio di dominio, o sete di piccole vendette, o necessità di sentirsi qualcuno nella Fraternità. Bisogna cercare, come atteggiamento base, quest’essere vero, camminare nella verità e cercando sempre la verità. Quando ci si comporta così uno può sentirsi solo nella comunità, ma mai gli mancherà il piacere, che produce sempre il vero cercato con impegno. b. Con intima misericordia È l’attitudine del buon pastore, del buon ministro e del buon Frate. Misericordia (= miseria-cor), che significa “aver cuore nella miseria”, è l’atteggiamento di chi accompagna il fratello con cuore e affetto nella sua crescita vocazionale, perché l’ama e perché ama la Fraternità, e non per altri motivi. c. Dall’amore al fratello e con amore Nella costruzione della Fraternità, e di ciò si tratta nella correzione del Frate, non c’è nulla di così essenziale come l’amore. È talmente così che nessuno che non ami il suo fratello può osare di correggerlo. E quando si corregge con questo amore, esso è “paziente” ed è umile e perciò non è azzardato. Per esempio non bisogna mai correggere un Frate del quale non si ha nulla di positivo da dire. Detto altrimenti: se nel fare la correzione al fratello mi rendo conto che non sono capace di riconoscere il lui qualcosa di buono, questo significa che non lo amo molto. E in questo caso è meglio rimandare la correzione, perché non è una correzione “dall’amore e con l’amore”. d. In coerenza e autenticità di vita “Chi è senza peccato scagli la prima pietra” è una frase lapidaria che gli evangelisti pongono in bocca a Gesù. Naturalmente non è che non si può correggere mai nessuno perché nessuno è perfetto. Dobbiamo avanzare nel cammino della crescita reciproca anche se abbiamo difficoltà e incoerenze e tenendo conto di esse. L’autenticità e la coerenza personale sono un’altra cosa. Se uno sente di essere “invischiato”, avvolto in mezze verità, vivendo ambiguamente, gli resta il coraggio per poter correggere il fratello? Invece, anche se ha delle imperfezioni, chi cerca di condurre una vita autentica e coerente, possiede forza morale per poter chiedere ai fratelli di cambiare. e. “Come vorrei che lo si trattasse se mi trovassi in un caso simile” Questa norma è una regola d’oro che Francesco d’Assisi fece sua nel suo comportamento abituale, specialmente con i Frati che peccavano. Nel tentare la correzione fraterna è importante sapersi porre nella situazione del fratello e prima di correggerlo, formularsi e sapersi rispondere a questa domanda: Come mi piacerebbe essere trattato se mi trovassi nella stessa situazione? La correzione fatta da questa prospettiva ha garanzie di essere stata fatta dalla verità e nella verità. f. In un clima di fiducia costruttivo Il “punto zero” di ogni costruzione della vita fraterna è il clima, che deve essere di accoglienza, positivo, affermativo, comunicativo…Trattandosi di fedeltà vocazionale e di una fedeltà di fratelli, è importante creare un clima che favorisca la buona accoglienza della correzione. Se quando facciamo la mutua correzione non siamo capaci di dire il buono e positivo che vediamo nel fratello, è meglio interromperla perché non è fraterna. La correzione ha senso perché c’è apprezzamento reciproco, perché si ama il fratello, perché ciò che importa è la sua fedeltà vocazionale, perché si cerca la sua crescita. Dunque bisogna creare abitualmente – non artificialmente e occasionalmente per il momento della correzione – un clima nel quale si possano dire le cose con semplicità e fraternità. g. “…i Frati non lo umilino” La sapienza di Frate Francesco tiene conto anche di questo particolare: se la Fraternità vuole costruire correggendo, lo deve fare in modo tale che i Frati non si sentano umiliati. Ciò richiede una correzione fatta con eleganza sapendo scegliere il momento opportuno nel quale il Frate può accettare
53 la correzione, con tono amabile, con cortesia e avendo presente che soprattutto si tratta di aiutare a crescere. h. Poche volte La correzione si deve fare, come è logico, quelle volte che lo richiede la situazione della Fraternità. Tuttavia è consigliabile non farlo più di un paio di volte all’anno, in occasione della revisione del progetto comunitario, a metà e alla fine del corso, durante un ritiro della Fraternità… Una Fraternità con tendenza eccessivamente valutativa corre il rischio di perdere stimoli positivi e di “colpevolizzarsi”.
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere i seguenti testi: • Rb 7,1-3: Atteggiamento del Frate peccatore e di fronte al peccato del fratello. • 2Cel 44.49.177: Francesco mostra la sua compassione con i Frati peccatori. • Am 11: Non alterarsi per il peccato altrui. • Am 18,1: La compassione per il prossimo. • Am 25: Sul vero amore. • Am 22: Atteggiamento di fronte alla correzione ricevuta. Alla luce di questi testi: • Riflettere sul modo come vivo i conflitti personali e sul modo come affronto i conflitti interpersonali. 2. Domandarsi: • Saresti disposto ad ascoltare il giudizio – aspetti positivi e negativi – che gli altri Frati hanno di te? Come accetto le correzioni che mi sono fatte? • Qual è il mio atteggiamento di fronte a un Frate che pecca? • Quale atteggiamento ho di fronte al peccato mio? • Come il mio progetto personale di vita considera il confronto periodico con un’altra persona? Ho un padre spirituale e vocazionale? Per la riflessione comunitaria 1. Leggere i seguenti testi: • Rnb 4,2; 5,5; Rb 10,1: Il fatto. • Rnb 5,7-10; Rb 10,1: Ufficio del superiore. • 2Cel 43: Correzione tra i Frati. Alla luce di questi testi: • Riferire esperienze positive e negative di correzione fraterna. 2. Domandarsi: • Come si affrontano i conflitti nella Fraternità? Aiutano i Frati a crescere o li bloccano? • Funziona nella Fraternità la correzione fraterna? • Chi esercita il “ministero” della correzione fraterna nella mia Fraternità? • Come viene esercitato il “ministero” della correzione fraterna nella mia Fraternità? • Quante volte all’anno è prevista la “revisione di vita” nel progetto comunitario?
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VI I “PREFERITI” DELLA FRATERNITÀ Nei Vangeli Gesù appare con frequenza circondato da persone abbandonate, malate, “ferite”… Sono i poveri, i nuovi anawim…, ai quali Gesù dedica un’attenzione speciale: «Beati i poveri, perché di essi è il Regno…». Altrettanto succede nella vita e attività di Francesco, che presta particolare attenzione ai fratelli in difficoltà, a quelli che non ce la fanno con la vita o con la Regola (i malati, quelli che peccano…). Tanto Gesù nei Vangeli quanto Francesco nei suoi scritti fanno una “selezione”, mostrano un interesse speciale per queste persone: sono i loro “preferiti”, e pertanto hanno un protagonismo speciale. Quali sono oggi i “preferiti della nostra Fraternità”? Come amarli e assisterli? Spiegare e promuovere è l’oggetto delle seguenti note. 1. “…Frati deboli, anziani, infermi ed altri…” L’esperienza quotidiana e gioiosa della nostra vita fraterna parla della “grazia e dono dei fratelli”. Perché non è certo che la cosa migliore che abbiamo nelle nostre Fraternità sono proprio i nostri fratelli? Più o meno santi, più o meno “integrati”, più o meno dotati…, i fratelli sono il regalo che il Signore ci fa ogni giorno per vivere la comunione con Gesù, nostro fratello, al suo seguito. Sono una grazia del Signore, e quanto per questo dobbiamo ringraziarlo! Ma questo non è tutto. Guardando con realismo qualcuna delle nostre Fraternità e lanciando uno sguardo a ciò che accade nelle nostre Province, dobbiamo riconoscere che ci sono anche Frati e situazioni che costituiscono un “difficoltà” per la convivenza. Per questo si deve affermare che a volte la vita fraterna risulta una croce; i Frati sono, a volte, il nostro tormento. In qualche occasione la storia della Fraternità è intrisa di dolore, di sofferenza, di reciproche incomprensioni, di energie sprecate, di lotte e rivalità interne, di difficoltà… Perché negarlo? Il capitolo III delle nostre CCGG sulla comunione fraterna, ricorda con realismo questa esperienza di minorità e svilimento, e chiede di prestare speciale attenzione e assistenza amorosa alle persone che possono causare qualche difficoltà alla convivenza fraterna. Dicono così: «Tutti i Frati debbono servire i fratelli deboli, infermi e anziani “come vorrebbero essere serviti essi stessi”» (CCGG 44). I Frati anziani e infermi in alcune Fraternità sono sempre più numerosi, specialmente nella vecchia Europa e in alcuni paesi d’America. Basta un’occhiata sommaria alle statistiche dell’età media dei Frati dell’Ordine per convincersene. In generale le Fraternità hanno preso coscienza di questa realtà e prestano un’attenzione speciale e un’accurata assistenza ai Frati anziani e ai Frati infermi. Così dimostriamo anche autenticamente la nostra vocazione di Fraternità. D’altra parte possiamo imparare tante cose dai “Frati anziani”! Nella maggioranza dei casi, attraverso la loro testimonianza gioiosa nell’imbrunire della loro vita, sono fonte di stabilità e d’incoraggiamento e stimolo vocazionale. Ci sono “Frati infermi” che sono un ricordo vivente di Gesù Servo, consegnato fiduciosamente nelle mani del Padre. Ci sono ugualmente “Frati deboli” che, con la loro umiltà, sono uno stimolo e un esempio di fortezza. Per questo bisogna distinguere tra anziani e anziani, tra infermi e infermi, tra deboli e deboli. Ma nelle nostre Fraternità, proprio perché sono profondamente “umane”, ci sono anche Frati che, in una maniera o nell’altra, sono un “peso”, una difficoltà aggiunta. Sono i Frati che qualifichiamo come “strani”, “singolari”; e che talvolta, poco fraternamente, chiamiamo “indesiderabili”. Si tratta di quei Frati che, per ragioni misteriose e molto diverse: • soffrono in se stessi la “ferita di essere uomini”, la difficoltà di accettarsi e coltivare una relazione normale con l’ambiente che li circonda e con gli altri; • sentono il “peso della vita”, che ruminano in solitudine e durante dure notti di insonnia;
56 • traducono queste difficoltà personali in incapacità di comunicare in maniera normale o in una forte e incontrollata aggressività oppure in un isolamento che li uccide; talvolta ciò si manifesta in incapacità a collaborare in progetti fraterni di evangelizzazione… E non è necessario guardare gli altri. Più di una volta ognuno di noi sente il morso della ferita e si rende conto di avere materiale per convertirsi in un Frate “strano”. Basterebbe che a qualcuno gli mancassero certi appoggi o si vedesse prossimo a una “situazione limite”. Che posto occupano questi Frati nella nostra vita fraterna? Quale atteggiamento può creare comunione in queste circostanze? Quali sono gli atteggiamenti più correttamente fraterni? 2. I “preferiti” della Fraternità Non è un caso che la nostra Regola parli della Fraternità principalmente in occasione dei “preferiti”: quelli che sono in necessità (cf. Rb 6,7), gli infermi (Rb 6,9), i colpevoli (Rb 7), quelli che non possono osservare la Regola (cf. Rb 10,4-6)… Potremmo dire che sono i “piccoli” del Vangelo, ai quali per grazia è dato il Regno di Dio. Perciò occupano anche un posto centrale nella nostra Fraternità evangelica: sono i poveri della Fraternità, immagine del Servo di Yahvè e luogo della misericordia di Dio: «(Francesco) si chinava, con meravigliosa tenerezza e compassione, verso chiunque fosse afflitto da qualche sofferenza fisica e quando notava in qualcuno indigenza o necessità, nella dolce pietà del cuore, la considerava come una sofferenza di Cristo stesso… Sentiva sciogliersi il cuore alla presenza dei poveri e dei malati, e quando non poteva offrire l’aiuto, offriva il suo affetto». È conosciuto a iosa l’atteggiamento di Francesco verso questi “piccoli” della Fraternità, e chiede agli altri Frati che prestino un’attenzione particolare, squisita, fraterna a quanti trovano difficoltà a osservare la Regola. Particolarmente impressionante è il testo di Rnb 22,1-4, dove Francesco disegna l’atteggiamento che i Frati debbono tenere verso coloro che rendono la vita difficile, diremmo verso gli “strani”: «O Frati tutti, riflettiamo attentamente che il Signore dice: “Amate i vostri nemici e fate del bene a quelli che vi odiano”, poiché il Signore nostro Gesù Cristo, di cui dobbiamo seguire le orme, chiamò amico il suo traditore e si offrì spontaneamente ai suoi crocifissori. Sono, dunque, nostri amici tutti coloro che ingiustamente ci infliggono tribolazioni e angustie, ignominie e ingiurie, dolori e sofferenze, martirio e morte, e li dobbiamo amare molto poiché, a motivo di ciò che essi ci infliggono, abbiamo la vita eterna» (Rnb 22, 1-4). Per Francesco, come per il Nuovo Testamento, la legge che regola le relazioni Fraterne porta il sigillo della croce: «Portate i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2). Francesco ricorda a sé e ai suoi la parola di Matteo 7,12: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti». Inoltre Francesco ricorda due beatitudini che contrassegnano il limite di comportamento in queste situazioni: «Beato l’uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua fragilità, in quelle cose in cui vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in un caso simile» (Am 18,1). E anche: «Beato il servo che tanto è disposto ad amare il suo fratello quando è infermo, e perciò non può ricambiare il servizio, quanto l’ama quando è sano, e può ricambiarglielo» (Am 24). I Frati infermi furono una delle maggiori preoccupazioni di san Francesco. L’eccezionale insistenza con la quale si riferisce ad essi nella Regola (cf. Rb 2,15;3,12;4,2;6,9;10,8) fa capire la profondità con la quale volle che la Fraternità vivesse la carità, e insieme il realismo del binomio povertà-fraternità che porta a volte a “situazioni limite”. Queste situazioni richiederanno attenzioni estreme. 3. La verità della Fraternità: i “piccoli”
57 La presenza di Frati deboli, anziani, infermi, “strani e singolari” nelle nostre Fraternità è un dato innegabile. Specialmente le Province dove, per mancanza di nuove giovani vocazioni, è cresciuta molto l’età media dei Frati (è il caso di gran parte delle province d’Europa e degli Stati Uniti), hanno Frati anziani e infermi quasi dovunque e si sforzano di assisterli con somma cura. Inoltre in tutte le Province ci sono Frati giovani o anziani che risultano di peso alle Fraternità, Frati in particolare con problemi per sé e per gli altri. Qual è l’atteggiamento più fraternamente francescano nel prendersi cura di loro? La risposta, che deve essere sempre ben pensata e appropriata, dipende dalla situazione e dalle circostanze di ogni Frate. In ogni caso bisognerà cercare sempre una soluzione fraterna perché “la missione francescana è quella di dare la vita per i fratelli”. La carità è il prezzo e il frutto della nostra vita evangelica. In essa sta il culmine della rivelazione, perché l’amore reciproco è la principale testimonianza che i discepoli debbono dare al mondo, la missione che rivela agli uomini l’amore di Dio. Perciò la verità della nostra vita fraterna si misura con la capacità di dare la vita per i Frati con il martirio. Il culmine della missione francescana è “il martirio”, l’amore fraterno fino alla morte. E non solo questo. Secondo Francesco “sono nostri amici” e “dobbiamo amare molto” quelli che ci perseguitano o ci sono di peso (cf. Rnb 22,1-4). La grazia e il dono della vita fraterna sono tanto più grazia e dono quanto più i Frati optano per una vita secondo le beatitudini, il cui criterio ultimo è la fecondità dell’amore. Il criterio, quindi, per sapere se una Fraternità è veramente francescana non consiste solo nel fatto che si preghi molto e bene, o che ci sia un buon ambiente, o nel quale i Frati vadano d’accordo, o dove si lavora come si deve… Il criterio ultimo è la capacità e la volontà di dare la vita per gli “ultimi”, per quelli difficili, per quelli che “non danno niente in cambio”, per quelli che esigono continuamente senza dare mai niente in cambio, per quelli che non ricordano che siamo poveri e miseri… Non è vero forse che la statura e la qualità di una persona si misura soprattutto nelle difficoltà? Nello stesso modo la statura e il livello spirituale di una Fraternità si misurano nelle situazioni limite, nella contrarietà e nell’avversità, nel comportamento fraterno con chi non soddisfa i nostri “desideri” e aspettative. Più ancora tutto ciò si deve considerare una “grazia”. Così si deduce dalla risposta di Francesco al ministro tormentato dai suoi Frati: «Quelle cose che ti sono di impedimento nell’amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano Frati o altri, anche se ti coprissero di battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia» (Lmin 2). 4. Comportamenti fraterni Basta una rapida occhiata al Vangelo e alla nostra “forma di vita” per dedurne una serie di comportamenti necessari per una vita fraterna matura. La vita di «Francesco povero ed umile, infermo e piccolino», è uno stimolo per la nostra propria vita. Ricordiamo solo alcuni dei comportamenti fraterni necessari: a. Sollecita attenzione L’art. 44 delle CCGG afferma: «Ognuno… abbia sollecita cura di loro, vada a visitarli, provveda nel miglior modo possibile alle loro particolari necessità spirituali e materiali e dimostri loro sentimenti di riconoscenza». b.“Amarli e non esigere altro” La citata Lettera a un ministro ci da di nuovo il criterio per questa attitudine. Dice Francesco al ministro: «E ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te. E in questo amali e non pretendere che diventino cristiani migliori» (Lmin 5-6).
58 Talvolta abbiamo l’illusoria pretesa di non accettare la realtà e di cercare di cambiarla impulsivamente. Ci piacerebbe avere Frati infermi, ma “sani”; Frati anziani, ma “giovani”; Frati strani e difficili, ma “normali”; Frati solitari, ma “collaboratori”; Frati imbroglioni, ma “autentici”… Il realismo della vita fraterna ci chiede di accettare la realtà così com’è. Forse Francesco chiese ai lebbrosi che cambiassero? Non fu piuttosto Francesco a cambiare atteggiamento di fronte a loro? E quando uno cambia atteggiamento, allora l’infermo sembra perfino sano e s’istaura con lui la comunione fraterna, e quello strano non lo è più così tanto e l’anziano non è più noioso, bensì un pozzo di sapienza… c. Amore concreto e realista Nei periodi di studio si è soliti chiedere di fare “esperienze” per progredire nella disciplina che si sta studiando. La Fraternità francescana è un’ottima scuola di Vangelo e d’amore reciproco perché in essa si sperimenta la verità di se stessi e la verità di ogni Frate. Pertanto i Frati, che per qualunque motivo ci causano difficoltà, debbono essere oggetto di attenzione accurata, d’amore, di dedizione disinteressata, concreta e realistica. Ciò richiede pazienza e comprensione, sapersi mettere nei panni del Frate in difficoltà per poterlo servire “come vorrei che facessero con me in una circostanza simile. d. “Come una madre” Per descrivere la vita fraterna Francesco non sottolinea l’atteggiamento della figura paterna, bensì di quella materna. Il Frate deve amare suo fratello come una madre ama suo figlio…(Cf. Rnb 9, 10-11 e Rb 6, 8). L’atteggiamento più fraterno è dunque quello “materno”, cioè quello disposto ad “amare e nutrire il Frate bisognoso”. e. “Come vorrei che si facesse con me in un caso simile” È la parola con la quale Francesco ci ha uniti per sempre ai Frati. Prendersi cura del fratello non per fredde considerazioni teoriche fatte a distanza, dalla lontananza affettiva…, bensì come vorremmo che si facesse con noi se ci trovassimo in un caso simile”. La realtà appare molto diversa, a seconda che si guarda da dentro o da fuori! 4. Ma restano i “casi difficili” Non sarebbe realistico non abbordare in Fraternità il trattamento da riservare ai Frati delle nostre Fraternità che consideriamo “casi difficili”. Ci sono tanti modi di essere tali… In particolare: come trattare i Frati che rendono difficile il cammino della Fraternità, che creano un ambiente difficile, che rompono l’armonia, che sono anche un pericolo per la sicurezza fisica…? Non basta dire che non dovrebbero stare nella Fraternità! Quanto danno si fa quando una Fraternità chiude le sue porte a un Frate, quando non si accetta la sua presenza, quando si chiede ai superiori che non mandino un Frate in una tale Fraternità, o che lo tolgano da una Fraternità perché è strano…! Deve vigere sempre, anche in queste circostanze, la legge della fraternità, che non è altra che quella dell’amore vicendevole. Però un amore reciproco che sappia discernere i casi e aiutare a prendere decisioni che possono giungere anche all’internamento in un centro specializzato, terapie e consulte con specialisti della psichiatria… Sarebbe ingiusto dettare una legge generale per tutti, perché ogni Frate è un caso speciale e merita un’attenzione accurata. In ogni modo si deve fare sempre con la maturità e il taglio umano e spirituale che richiediamo a questi Frati “difficili”.
SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale
59 1.
2.
Leggere i seguenti testi: • Lc 10,33-35. • Rnb 9; Rb 2; 6,8;7,1; Am 9.11; Lmin. • 2Cel 22;69.175-177; Legper 53.89. Alla luce di questi testi: • Riflettere sulla parabola del buon samaritano e vedere le conseguenze concrete per la mia vita. • Riflettere sul tempo che dedico ai bisognosi della Fraternità e a quelli di fuori e dei mezzi che pongo a loro disposizione. Domandarsi: • Chi sono i miei preferiti? Con chi mi metto in relazione? Chi è bisognoso della mia vicinanza e delle mie attenzioni fraterne? • Quali sono i miei atteggiamenti verso i Frati bisognosi della Fraternità e verso quelli di fuori? • Quali necessità altrui interpellano il mio modo di vivere, le mie attività solidali? La solidarietà vicina ai poveri apporta particolare stimolo ai consigli evangelici nel mia vocazione religiosa? • Che posto occupano i “bisognosi” nel mio progetto personale di vita?
Per la riflessione di gruppo 1 Leggere i seguenti testi: • Mt 11,4-6; 26,35ss: Ricuperare la profezia a partire dalla solidarietà. • Is 58,5-13; Mt 19,21;5,23-24: Scommettere tutto per i poveri. • Lc 10,33-37: Fare nostre le strade da samaritani. • Lc 6,6-12;7,36-50;15,25-32: Vivere la misericordia come giustizia del Regno. • Rnb 9,2;10,1-2; Rb 4,2; Lf; Aud 5: Il principio. • Am 9.11.18.24-25; Lmin 5-6.9-13; Rnb 9,10-11 e Rb 6,8: La cura che Francesco e la primitiva Fraternità avevano dei poveri e piccoli della Fraternità. • 3Comp: Francesco padre e medico dei suoi Frati. • GS 29.31.32.93: Solidarietà e giustizia sociale. • VFC 63.64.67: Inserimento negli ambienti popolari. Alla luce di questi testi: • Riflettere sul modo concreto nel quale si manifesta la nostra opzione preferenziale per i poveri. 2. Domandarsi: • Chi sono di fatto i “preferiti” della Fraternità? I nostri criteri coincidono con i criteri neo-testamentari e con i criteri di Francesco? • Con quali relazioni, strutture e organizzazioni lavorano e lottano i Frati per una società più giusta? Esiste tra di noi la sensibilità per nuove forme di presenza e inserimento tra i poveri, come espressione del nostro carisma? • Cercare di chiarire in Fraternità gli atteggiamenti e i percorsi che si debbono seguire quando ci sono “casi difficili”, tenendo presente la legge del “come vorrei che si facesse con me se mi trovassi in un caso simile”. • Degli atteggiamenti che Francesco e la primitiva Fraternità avevano con i poveri ed i piccoli, quali pratica la nostra Fraternità? Quali mancano? • Che posto occupano i “piccoli” nel progetto comunitario? • Chiudere l’incontro recitando una preghiera con i “preferiti” e per i “preferiti”.
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VII FRATI MINORI 1. L’identità espressa dal nome Il nome di “Frati minori”, che Francesco scelse per sé e per i suoi Frati, non è qualcosa di casuale o senza significato. Questa denominazione richiamò l’attenzione del suo primo biografo, che spiega: «Proprio lui infatti fondò l’Ordine dei Frati minori; ed ecco in quale occasione gli diede tale nome. Mentre si scrivevano nella Regola: “Siamo minori”, appena l’ebbe udito esclamò: “Voglio che questa Fraternità sia chiamata Ordine dei Frati minori”. E realmente erano “minori”; “sottomessi a tutti” e ricercavano l’ultimo posto e gli uffici cui fosse legata qualche umiliazione, per gettare così le solide fondamenta della vera umiltà, sulla quale si potesse svolgere l’edificio spirituale di tutte le virtù» (1Cel 38). Questo testo è stato sottoposto a profonde e acute analisi storiche (tra le quali ricordiamo soprattutto quelle di T. Desbonnets). Questi studi avvertono che non dobbiamo accettare con troppa ingenuità la sua terminologia “Fraternità-Ordine”, ma lodano l’insistenza del Celano nella connotazione legata al nome scelto: non solo Frati, ma “Frati minori”. Bisogna tener presente che le parole scritte nella Regola (Rnb 7,2) contengono citazioni implicite di varie frasi evangeliche delle quali Francesco prese in modo originale il termine “minore” (cf. Mt 11,11;25,45; Lc 9,48; 22, 26). L’aggettivo “minore” qualifica profondamente il sostantivo “Frate”, dando al vincolo della fraternità una qualità propria e caratteristica. Non è la stessa cosa dire “fratello” che dire “Frate minore”. Per questo, parlando di Fraternità, bisogna aver ben presente questa caratteristica tipica francescana della relazione fraterna, che esige di essere una relazione propria di fratelli “minori”. D’altra parte nella minorità possiamo riconoscere un elemento che impressionò profondamente Francesco nella sua relazione con Dio: il Gesù di Francesco è il Dio che si fa minore nell’incarnazione. Per questo il riferimento alla minorità non si basa su motivi ascetici, ma è la sostanza stessa dell’esperienza che di Cristo ebbe Francesco. Nella sequela di Gesù, Francesco si rivolge come minore a Dio Padre, cercando sempre la sua santa volontà, in obbedienza e disponibilità totale. Una delle immagini evangeliche che esprimono con maggiore profondità questa intuizione e che impressionò particolarmente Francesco è quella di Cristo che lava i piedi dei discepoli nell’ultima cena (cf. Rnb 6,4; Am 4,2). La sequela di Cristo-minore consisterà necessariamente nel farsi minore come lui, disposti a lavare i piedi dei fratelli. Anche le CCGG fanno risalire questa “vocazione di minorità” all’immagine di Gesù: Art. 64: «I Frati, seguendo Gesù Cristo “che umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte”, e mantenendosi fedeli alla propria vocazione minoritica, vadano per il mondo “in gioia e letizia”, come servi soggetti a tutti, pacifici e umili di cuore». Art. 66 §1: «Per seguire più da vicino l’annientamento del Salvatore e configurarsi più chiaramente ad esso, i Frati abbraccino la vita e la condizione di coloro che nella società sono i più piccoli e tra questi vivano come minori; da questa posizione sociale debbono contribuire all’avvento del Regno di Dio». Infine sarà necessario ricordare che l’aggettivo “minore” è “grammaticalmente” un comparativo (= più piccolo) e che perciò suppone paragone con altra o altre persone. Non si è semplicemente minori, ma si è minore di un altro o di altri. In questo senso la parola “minore” è un termine di relazione, contiene strutturalmente la relazione con altri. La conseguenza più immediata di questa osservazione “grammaticale” è che quando cambiano i termini della comparazione cambia anche il tipo di minorità. Se siamo minori in confronto con altri, sarà diverso essere minori in un contesto di persone socialmente sfavorite che esserlo in un contesto accademico, esserlo in un ambito parrocchiale che esserlo in una posizione “di frontiera”. In altre parole, non c’è un modo assoluto di essere minori, ma si è minore in relazione con quelli che ci stanno intorno.
61 2. Minori tra di noi Il primo ambiente nel quale dobbiamo vivere la nostra minorità è la nostra stessa Fraternità. Anche prima d’impegnarci ad essere minori tra i lontani o con le persone che incontriamo per caso durante la giornata, dobbiamo essere fratelli minori di quelli che condividono la nostra vita, dei nostri fratelli di vocazione. Ma cosa vuol dire essere minori dei nostri con-fratelli e rispetto ad essi? Non c’è dubbio che ciò può significare cose diverse in contesti diversi e in Fraternità diverse. Ma significa certamente assenza di ogni comportamento che indichi “superiorità” rispetto agli altri. Sono diversi gli atteggiamenti che rivelano un senso di superiorità: i giudizi troppo facili sugli altri, accompagnati forse da motteggi sarcastici; le aspettative o le richieste esplicite verso i Frati, pretendendo come un diritto l’aiuto che gli altri ci danno o il servizio che ci prestano, invece di accettare tutto con spirito di gratitudine e riconoscenza… Vivere da minori significa non aver pretese rispetto agli altri, ma saper accettare tutte le persone e i diversi comportamenti con grande libertà interiore. Secondo Francesco d’Assisi l’ira e il turbamento sono i segni che rivelano un comportamento negativo verso gli altri e in particolare un atteggiamento di superiorità. Chi si adira e si turba con il fratello dimostra che non è minore, che non vive interiormente “senza nulla di proprio”, ma che vive una relazione di “appropriazione “ dell’altro, e questo è una relazione di superiorità. In diversi testi Francesco mette in guardia contro l’ira e il turbamento per il peccato del fratello e considera questi atteggiamenti come una proprietà pericolosa. «Al servo di Dio nessuna cosa deve dispiacere eccetto il peccato. E in qualunque modo una persona peccasse e, a motivo di tale peccato, il servo di Dio, non più guidato dalla carità, ne prendesse turbamento e ira, accumula per sé come un tesoro quella colpa. Quel servo di Dio che non si adira né si turba per alcunché, davvero vive senza nulla di proprio. Ed egli è beato perché, rendendo a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, non gli rimane nulla per sé” (Am 11). Si avverta come l’immagine usata è quella di colui che “tesoreggia colpe”, cioè di chi si appropria di qualcosa. Invece chi non si adira né si turba “vive senza nulla di proprio”. Scopriamo così che per Francesco essere minore significa coltivare uno spirito di non appropriazione in rapporto agli altri. E questo spirito si manifesta nella capacità di non adirarsi né turbarsi per il peccato del fratello. Cerchiamo di esaminare le nostre ire e i nostri turbamenti. Forse sono un segno evidente della nostra incapacità di essere Frati minori. Questo atteggiamento di minorità è particolarmente importante nei Frati incaricati di prestare un servizio di autorità. Il modello ideale di questo atteggiamento ce lo propone la Lettera a un ministro, che disegna la vera disposizione di chi esercita l’autorità come minore: «A Frate N… ministro. Il Signore ti benedica! Io ti dico, come posso, per quello che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti sono di impedimento nell’amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano Frati o altri, anche se ti coprissero di battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia. E così tu devi volere e non diversamente. E questo tieni in conto di vera obbedienza da parte del Signore Iddio e mia per te, perché io fermamente riconosco che questa è vera obbedienza. E ama coloro che agiscono con te in questo modo e non esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te. E in questo amali e non pretendere che diventino cristiani migliori. E questo sia per te più che stare appartato in un eremo. E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore e ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in questa maniera e cioè: che non ci sia alcun Frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di
62 me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli. E avvisa i guardiani, quando potrai, che tu sei deciso a fare così» (Lmin 1-12). Il comportamento qui descritto è la migliore spiegazione di ciò che significa essere minore rispetto ai propri fratelli. E non si riferisce solo ai Ministri, bensì a tutti i Frati, perché ognuno di noi è invitato a un’accoglienza che supera ogni limite semplicemente umano e che non conosce altra misura che quella evangelica. 3. Minori rispetto agli altri Il comportamento di minori non deve essere vissuto solo nelle nostre Fraternità, bensì anche rispetto al mondo e a tutti gli uomini. Cosa vuol dire che dobbiamo essere Frati minori in relazione con l’uomo di oggi? Anche se non è possibile dare una risposta univoca a questa domanda, però senza dubbio anche qui dobbiamo dire che si tratterà di evitare con attenzione ogni atteggiamento di superiorità che può allontanare gli altri. Francesco esprime chiaramente questa istanza in due capitoli della Regola non bollata nei quali mette in relazione l’opzione di non appropriarsi di niente con l’accoglienza benevola di ogni persona e perfino con la vita di compartecipazione con i più disprezzati, con quelli che sono considerati veramente i minori della società. «Si guardino i Frati, ovunque saranno, negli eremi o in altri luoghi, di non appropriarsi di alcun luogo e di non contenderlo ad alcuno. E chiunque verrà ad essi, amico o nemico, ladro o brigante, sia ricevuto con bontà» (Rnb 7,13-14). «Tutti i Frati si impegnino a seguire l’umiltà e la povertà del Signore nostro Gesù Cristo, e si ricordino che nient’altro ci è consentito di avere, di tutto il mondo, come dice l’apostolo, se non il cibo e le vesti, e di questi ci dobbiamo accontentare. E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada» (Rnb 9,12). Le parole di Francesco ci spingono ad esaminare se le nostre Fraternità oggi si rallegrano di vivere tra persone disprezzate e di poco conto, tra poveri e deboli, o se invece cerchiamo di stare tra i ricchi e chi conta. È certo che dobbiamo accogliere tutti senza escludere nessuno, ma generalmente il rischio che corriamo non è quello di escludere quelli che godono di una posizione agiata, bensì quello di allontanare le “persone disprezzate e di poco conto”. Domandiamoci per esempio chi invitiamo normalmente alla nostra mensa. Invitiamo anche i poveri? Sono sempre persone di un certo ceto sociale? Forse non sarebbe fuori luogo fare anche un breve esame di coscienza sul nostro stile di vita e la nostra coerenza individuale: le mie spese, i miei vestiti, le cose che considero necessarie… Il tema della minorità effettivamente non fa riferimento solo alla Fraternità nel suo insieme, bensì riguarda personalmente tutti e ognuno dei suoi componenti. D’altra parte con frequenza nelle nostre attività caritative in favore dei più poveri si nasconde il rischio di collocarci su un piedistallo di superiorità rispetto a quelli che serviamo, dimenticando che ogni aiuto che prestiamo al nostro prossimo è una restituzione di ciò che abbiamo ricevuto e che non possiamo comportarci come se fossimo noi i donatori. È molto triste vedere un Frate maltrattare un povero. Questo maltrattamento significa aver perduto la coscienza che siamo i minori. È necessario fare un esame di coscienza per vedere se alle porte delle nostre case trattiamo in maniera diversa i poveri che vengono a chiedere un aiuto o coloro che, ben vestiti, vengono per una conversazione. Il rispetto e la buona educazione, oltre che la carità, ci chiedono di comportarci con uguale correttezza con tutti, poveri e ricchi, “ladroni e briganti”. Ma facciamo realmente così? 4. Le opzioni di una Fraternità di minori Dalla nostra identità, che non è solo di fratelli (che è già molto impegnativo!), ma quella di Frati minori, debbono nascere scelte conseguenti. Questo è il senso delle opzioni preferenziali.
63 Non si tratta di limitare l’ambito delle nostre attività e della nostra missione evangelizzatrice, ma piuttosto di fare in modo che alla nostra identità siano legate opzioni preferenziali, cioè scelte che, senza escluderne altre, dovrebbero essere le prime. Cos’è che crediamo si debba preferire? Quali sono le nostre opzioni? Dalla risposta a queste domande dipendono le opzioni pastorali, i “piani di vita” e i programmi che ogni Provincia deve darsi nel capitolo o in altri momenti nei quali si prendono decisioni. Tali opzioni, piani e programmi debbono rispondere sempre alla nostra identità di Frati minori. Un aiuto per concretizzare queste opzioni possiamo trovarlo nelle CCGG, che affermano: Art. 53: «Per dare testimonianza di povertà e di carità, i Frati sono tenuti a sovvenire alle necessità della Chiesa con i beni destinati all’uso della Fraternità, a soccorrere coloro che si trovano in stato di reale necessità, a condividere i propri mezzi con i poveri. In tutto questo si attengano alle disposizioni degli Statuti particolari». Questo articolo indica gli obbiettivi delle opzioni preferenziali dei Frati: l’aiuto alla Chiesa, l’aiuto a chi si trova in vera necessità, il condividere i beni con i poveri. In queste indicazioni si scorge una specie di progressione: dall’aiuto alla Chiesa locale, che è la forma più immediata e quasi scontata della testimonianza cristiana, si passa all’aiuto ai bisognosi e si giunge poi come se fosse un obbiettivo finale, non solo all’aiuto, bensì alla condivisione con i poveri. Condividere in effetti è l’aiuto che più impegna: per prestare un aiuto può bastare il dare parte dei propri beni, mentre nel condividere è posto in gioco tutto quanto si possiede. In queste norme troviamo indicazioni realistiche per un cammino di maggiore minorità e povertà. Anche se nelle condizioni concrete della nostra vita frequentemente ci pare impossibile privarci di ogni proprietà, forse è realistico e possibile seguire i diversi gradi indicati in questi articolo delle CCGG: primo, con la Chiesa locale; poi aiutando i poveri; infine condividendo con essi i nostri beni. Si tratta di un itinerario più umile e concreto di alcuni grandi programmi,ma forse anche più fattibile. Il cammino verso una maggiore povertà passa per noi attraverso la condivisione. Una forma concreta di condivisione, esplicitamente indicata nelle nostre CCGG immediatamente dopo l’art. 53 sopra citato, è quella che deve realizzarsi con i genitori, parenti e benefattori (art. 54). Per quanto riguarda i genitori in difficoltà è prevista espressamente la possibilità di un aiuto economico come forma concreta di compartecipazione. Non è necessario sottolineare l’opportunità di queste norme. Infine la nostra minorità non si riferisce solo a Dio e ai fratelli. Siamo chiamati anche a coltivare la minorità verso le creature inanimate. Ci sentiamo minori e servi anche rispetto alla creazione nel suo complesso: «La santa obbedienza confonde tutte le volontà corporali e carnali e ogni volontà propria, e tiene il suo corpo mortificato per l’obbedienza allo spirito e per l’obbedienza al proprio fratello; e allora l’uomo è suddito e sottomesso a tutti gli uomini che sono nel mondo, e non soltanto ai soli uomini, ma anche a tutte le bestie e alle fiere, così che possano fare di lui quello che vogliono, per quanto sarà loro concesso dall’alto del Signore» (Salv 14-18). Non affonda le radici in questo atteggiamento da fratello minore il segreto della simpatia che Francesco suscita dovunque?
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere i seguenti testi: • Legper 102; Anper 44: Francesco scelse sempre l’ultimo posto. • Legper 115: L’unico privilegio che Francesco volle avere fu quello di essere sottomesso a tutti. • CCGG 64: Come dobbiamo andare per il mondo. 2. Domandarsi: • Che sto facendo e cosa posso fare per avanzare nella condizione di minore e di ultimo non solo dentro la Fraternità, ma anche fuori della stessa? • Come mi pongo di fronte a situazioni nelle quali mi “viene imposta” una condizione di minorità? • Mi pare giusto mettere in relazione “l’ira e il turbamento” con l’incapacità di essere minori? Quali sono secondo me le cause dell’ira e del turbamento? • Quali delle caratteristiche descritte nell’art. 64 delle CCGG ci sono in me? Quali debbo cercare di far crescere? • Come è considerata la dimensione di minorità nel mio progetto personale di vita? Per la riflessione di gruppo 1. Leggere i seguenti testi: • Rnb 6,2;5,9-15;17,9-16: Il fatto. • 2Cel 106.109.145; LegM 6,5; Legper 109: Parabola del capitolo. • 1Cel 38; 2Cel 71.148; Legper 86.101: Spiegazione del significato del nome dei Frati minori. • 2Cel 146: Perché minori siamo soggetti ai chierici. • Legper 9: L’umiltà fondamento dell’Ordine. • 2Cel 145: Francesco dipinge su se stesso chi è un Frate minore. • 3Comp 42: Riverenza che i Frati avevano tra di loro. 2. Domandarsi: • Quali potrebbero essere le caratteristiche concrete che distinguano la nostra condizione di minori come una vocazione specifica nella Chiesa? • Quali sono i comportamenti che rivelano un atteggiamento di superiorità nei nostri rapporti? • Mi pare che sia possibile esercitare l’autorità ed essere minore? Quali sono le caratteristiche di un’autorità svolta da minore? • Che ambiente sociale sono soliti frequentare i miei con-fratelli? • Le nostre attività a favore dei poveri li fanno sentire a loro agio? Trattiamo i poveri con durezza o con disprezzo? • Siamo convinti che è necessario fare opzioni preferenziali per i poveri (tenendo ben presente che se si opta per una cosa è necessario rinunciare ad un’altra), o piuttosto pensiamo che la nostra vocazione non lo esige, perché dobbiamo essere fratelli di tutti? • Attraverso quali fatti concreti possiamo dire che stiamo dando, a livello di Provincia o di Fraternità locale, una vera testimonianza di minorità? Quali forme di minorità potremmo recuperare o inventare perché la nostra vocazione di minori eserciti la sua funzione di testimonianza nella città o paese nei quali viviamo?
65 • • •
Cosa può significare che dobbiamo essere “minori” nella Chiesa locale? Quali sono gli impegni “come minori” nella mia situazione ecclesiale? Quali possono essere le forme concrete di una maggiore condivisione con i poveri nella situazione un cui si trova la mia Fraternità? Come viene espressa nel progetto di vita fraterna l’opzione della Fraternità per la minorità e la povertà?
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VIII FRATERNITÀ EVANGELIZZATRICE Ogni capitolo delle nostre Costituzioni generali ha per titolo una frase della Regola o degli scritti di san Francesco. Il titolo del capitolo V, dedicato all’evangelizzazione («Per questo Dio vi mandò nel mondo»), è preso dalla Lettera a tutto l’Ordine ed evoca un testo sommamente significativo nel quale Francesco ci spiega perché siamo mandati nel mondo: «Lodatelo (il Figlio di Dio), poiché è buono ed esaltatelo nelle opere vostre, poiché per questo vi mandò per il mondo intero, affinché rendiate testimonianza alla voce di lui con la parola e con le opere e facciate conoscere a tutti che non c’è nessuno Onnipotente eccetto Lui. Perseverate nella disciplina e nella santa obbedienza, e adempite con proposito buono e fermo quelle cose che gli avete promesso. Il Signore Iddio si offre a noi come a figli» (LOrd 8-11). In una breve frase si condensa il significato del nostro compito di evangelizzazione: “dare testimonianza” della voce del Figlio di Dio con la parola e con le opere, e far conoscere a tutti che non c’è un altro onnipotente se non lui. Se ci riflettiamo bene, queste parole contengono gli elementi fondamentali della nostra vita. All’inizio essi ci parlano della “voce di lui” perché tutto il nostro impegno deve essere preceduto dalla sua Parola e dalla sua grazia (o, usando un’altra espressione di Francesco, all’inizio di ogni vita spirituale c’è l’azione dello Spirito del Signore). Da questa “voce di lui” dobbiamo dare testimonianza “con la parola e con le opere”. Ossia bisogna dare una testimonianza che nasce dall’aver visto e udito, dall’ascolto della sua voce e dalla fedele accettazione del suo Spirito. Questa testimonianza si manifesta con le parole e con le opere, non solo con parole né solo con opere. E questa testimonianza di parola e di azione farà conoscere a tutti che “non c’è nessuno Onnipotente eccetto Lui”. Questa espressione riflette il senso della nostra vita e della nostra scelta di vivere come Frati minori: siamo Frati perché abbiamo intuito che Cristo è l’unico al quale vale la pena dedicare tutta la vita. In confronto con lui impallidisce qualunque altro valore, qualunque altra realtà, qualsiasi altro amore, perché “non c’è nessuno Onnipotente eccetto Lui”. 1. Una dimensione della nostra vita Le parole di san Francesco c’invitano a capire che la nostra riflessione sull’evangelizzazione non è in primo luogo un problema di organizzazione, di iniziative efficaci, di opere o di mezzi e strumenti più efficienti (senza escludere la necessità di occuparci di tutto ciò). L’evangelizzazione è semplicemente una dimensione della nostra vita, che se è vera vita di Frati minori, è anche evangelizzazione. In questo senso l’evangelizzazione non è un compito che ci proponiamo, ma piuttosto la conseguenza naturale della vita evangelica che ci siamo proposto di seguire alla maniera di Francesco d’Assisi. Effettivamente lo stesso Francesco all’inizio della sua avventura si dette alla predicazione non perché si fosse proposto come meta di predicare, bensì di seguire il Signore in pienezza. Ma questa sequela di Gesù lo portò anche alla predicazione per seguire totalmente il Signore, che annunziò agli uomini il Vangelo della salvezza. 2. Lasciarsi evangelizzare Se, come dice Francesco, dobbiamo “dare testimonianza alla voce del Figlio di Dio”, è necessario che cominciamo ad ascoltare questa “voce del Figlio di Dio”. È ciò che siamo soliti indicare con l’espressione lasciarci evangelizzare. In primo luogo questo vuol dire che ognuno di noi deve sentire l’obbligo di ascoltare la parola di Dio e cercare di scoprire ciò che questa parola indica alla propria vita personale e per quella della Fraternità. Forse non saremo sempre coscienti che nella Fraternità ognuno è responsabile della crescita evangelica del fratello e che la Parola del Signore è rivolta non solo a
67 ognuno dei Frati individualmente, ma anche a tutti come Fraternità. È necessario dunque far crescere la capacità di condividere le riflessioni, le meditazioni e, perché no, le difficoltà che nascono dall’ascolto della Parola. In molte Fraternità sta affermandosi l’abitudine di leggere insieme, magari ogni settimana, la Parola di Dio e con essa si sta spingendo all’ascolto della Parola in Fraternità. Ma lasciarsi evangelizzare non si riferisce solamente all’ascolto del teso biblico, ma anche alla disponibilità ad imparare dalla vita e dalle persone con le quali c’incontriamo. Dio ci parla anche per mezzo di loro. Così lo fa suo l’articolo 93 delle Costituzioni generali: §1. «I Frati si rendano disponibili all’ascolto degli altri con carità, non solo esteriore, ma con rispetto sincero. Riconoscano volentieri che da ogni persona hanno qualche cosa da imparare e specialmente dai poveri, che sono nostri maestri. Siano disposti ad intraprendere un dialogo con chiunque». §2. «Sappiano scorgere i semi della Parola di Dio e l’arcana Sua presenza nel mondo d’oggi ed anche in molti aspetti di altre religioni e di altre culture, allo studio delle quali si devono dedicare con profondo rispetto». L’impegno di lasciarsi evangelizzare significa dunque riconoscere che abbiamo cose da imparare tanto dalla scuola del Vangelo, quanto dalla semplice esperienza della vita e particolarmente dai poveri, “che sono nostri maestri”. 3. Una presenza che irradia La presenza di una Fraternità francescana ha per se stessa valore evangelizzante. Il fatto stesso di essere presenti in un determinato luogo e di vivere in una certa maniera è la prima forma di evangelizzazione, anche prima di svolgere una determinata attività. Questa intuizione viene espressa chiaramente nel capitolo 16 della Regola non bollata, dove si parla dei “due modi di comportarsi spiritualmente in mezzo ai saraceni e gli altri infedeli”. Il primo è la stessa presenza e vita come minori, senza provocare dispute o controversie e confessando che sono cristiani; il secondo prevede l’annuncio esplicito della fede cristiana, pronti a dare una testimonianza che può condurre al martirio. Tutte le Fraternità sono chiamate anzitutto a vivere la prima forma di evangelizzazione, cioè sono chiamate a vivere “senza provocare liti o dispute”, “siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio” e “confessino di essere cristiani”. La scarsa efficacia che talvolta ha il nostro compito di evangelizzazione dipenderà forse dal fatto che il nostro stile di vita è mediocre e poco convincente perché non siamo “soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio”? Vediamo alcune caratteristiche di una Fraternità francescana che vuole evangelizzare con la testimonianza della propria vita. 4. Una Fraternità che non cerca se stessa Il chiudersi in se stessi è un rischio insito nella vita di qualunque gruppo. Quanto più interessanti sono le persone che lo compongono, tanto maggiore è il rischio. Questo rischio può esserci anche nelle nostre Fraternità, soprattutto in quelle dove si vive una relazione fraterna abbastanza riuscita e nelle quali pertanto può esserci la tentazione di sopravvalutare il piacere di stare insieme. Nessuno nega che la vita fraterna può – e deve – essere piacevole, ma la nostra fedeltà non punta a piacerci reciprocamente, bensì a vivere secondo il Vangelo. Ciò significa che dobbiamo avere il coraggio, se ce n’è bisogno, di rompere il clima tranquillo e felpato per dirci le verità evangeliche, che alle volte possono sembrare sgradevoli o scomode. Questo significa, come è evidente, che non stiamo insieme per sentirci soddisfatti, ma per seguire il Signore come Francesco d’Assisi. E significa anche che la nostra Fraternità, invece di essere un club di scapoli, deve essere aperta ai nostri contemporanei che cercano Dio. L’apertura verso le persone che ci circondano deriva da una convinzione interiore che nasce dall’aver capito bene la propria identità. Se la Fraternità pone al primo posto il Signore, è ben accolto ogni uomo che cerca Dio, perché ci aiuta a porre Dio al primo posto, ci aiuta a perseguire
68 con forza la nostra vocazione. Si sviluppa così un importante aspetto della forza evangelizzatrice della Fraternità, che si apre e accoglie ogni uomo che cerca Dio. Soprattutto è importante che nelle nostre relazioni Fraterne non ci facciamo trascinare dalla ricerca di una falsa tranquillità. Tale tranquillità sarebbe una falsità o ipocrisia, perché significherebbe dare la priorità alle nostre proprie comodità invece di porla nella ricerca di Dio. 5. Una Fraternità creativa La Fraternità è un organismo vivo che cresce e si sviluppa con la vita dei suoi componenti. Per questo una Fraternità che si limita a ripetere sempre gli stessi modelli di vita, le stesse attività, gli stessi modi di pregare o d’incontrarsi, sarebbe una Fraternità morta perché non rispetterebbe la crescita e lo sviluppo, legge fondamentale di ogni vita. Questa creatività si esprime anche nelle forme di evangelizzazione. Non a caso si parla spesso, con una espressione forse un po’ vaga, ma certamente suggestiva, di “nuova evangelizzazione”, accentuando così la dimensione di novità creativa che dobbiamo sviluppare. Uno degli itinerari che forse si possono percorrere per far crescere la creatività nell’evangelizzazione consiste nel fare attenzione alle necessità vecchie e nuove di coloro che ci circondano. Se riusciamo a renderci conto di come sta cambiando il mondo, quali sono le aspettative e le richieste dell’uomo d’oggi, potremo fare proposte più significative e più comprensibili. Otterremo così di superare quell’atteggiamento sterile, ma molto diffuso, di coloro che si dedicano a criticare il mondo attuale badando solo agli aspetti negativi e rimpiangendo un passato idealizzato (e che forse non è mai esistito). Potremo così parlare dell’uomo completo, non di un uomo ideale che abbiamo in testa, ma che non esiste nella realtà. Sapremo vedere nelle caratteristiche della società attuale, comprese in quelle che sembrano equivoche, sfide e possibilità positive perché saremo capaci di guardare con ottimismo il mondo che abbiamo davanti. 6. Una Fraternità responsabile e collaboratrice La Fraternità dovrebbe essere una caratteristica tipica dell’evangelizzazione francescana. L’evangelizzazione non è compito di una sola persona, per quanto brillante e santa che sia, ma di tutta la Fraternità, che collabora nell’unione e nella varietà delle forme all’unica evangelizzazione. Ciò è una conseguenza necessaria di quanto abbiamo detto sulla evangelizzazione come irradiazione della vita fraterna. Se il nostro modo di vivere è la prima e fondamentale maniera di evangelizzare, tutti i Frati sono impegnati nell’evangelizzazione perché tutti contribuiscono a creare lo stile di vita della Fraternità. E questa caratteristica arriva perfino a incidere sui modi concreti di realizzazione delle proposte della Fraternità e che rivelano una mentalità di corresponsabilità e di collaborazione. Corresponsabilità comporta che nella Fraternità tutti sono e si sentono responsabili dell’evangelizzazione, senza considerarla un compito affidato esclusivamente ad alcuni “specialisti”. E vuol dire anche che nessun Frate può pensare che le attività degli altri Frati sono estranee all’evangelizzazione. Se sono corresponsabile dell’evangelizzazione della Fraternità, non posso pensare che gli altri non hanno niente a che fare col mio impegno di apostolato. Dire che tutti “sono e si sentono” corresponsabili significa che non basta dirlo, ma che è necessario trovare i modi che permettano e facilitino a tutti di poter esprimere la propria corresponsabilità non solo teoricamente (“mi sento” responsabile), ma anche di fatto (“sono responsabile”). Questo senso di responsabilità significa anche che ognuno si sente appoggiato dai Frati in quello che fa e che ognuno da conto del suo lavoro alla Fraternità. Collaborazione vuol dire sentirsi ed essere capaci di lavorare insieme per portare a termine le iniziative che si è deciso di realizzare. Questo è uno dei punti più difficili per noi che spesso siamo capaci solo di distribuire i lavori, ma non di farli insieme. La collaborazione non vuol dire sempre e solo divisione di ruoli. Deve significare anche capacità di fare qualcosa insieme. Senza dubbio spesso, soprattutto negl’impegni pastorali, sembra più efficace che ognuno svolga il
69 proprio compito, senza intromettersi nel campo del compagno, in modo che ognuno si occupi del proprio settore, senza disturbarsi a vicenda. Ma è questa la testimonianza francescana, che ci viene richiesta? Non ci si chiede invece la testimonianza di una Fraternità, che lavora unita, a servizio dell’evangelizzazione? La collaborazione esige anche di saper progettare iniziative in unione con gli altri rami della Famiglia francescana: OFS, Clarisse, Suore francescane, Cappuccini, Conventuali… Anche questo è una sfida della collaborazione. 7. Una Fraternità nella Chiesa e nell’Ordine Quando si parla di Fraternità spontaneamente si pensa solo al gruppetto di Frati che la compongono, dimenticando che questo gruppo fa parte di una Fraternità più grande, l’Ordine, e che è inserito nella Chiesa. Di fatto talvolta si corre il rischio di opporre la Fraternità locale a un’altra più grande creando un problema che non dovrebbe esistere, e dimenticando che il gruppo piccolo raggiunge il suo pieno valore e il suo peso specifico nel seno della Comunità più grande di cui fa parte. Ciò significa, in relazione all’Ordine, che la Fraternità locale deve avere coscienza che è stata la Fraternità maggiore, la Provincia, quella che l’ha “inviata” in missione nel contesto concreto in cui si trova. Tutti noi facciamo parte della Fraternità concreta nella quale stiamo perché così ha deciso il capitolo o il governo della provincia. È importante essere consapevoli di questa appartenenza più ampia che ci allontana dal pericolo di chiuderci o ripiegarci su noi stessi e ci fa più aperti. Questo naturalmente si applica non solo alla Fraternità locale in rapporto alla provincia, ma anche alle province in relazione al complesso dell’Ordine. Si tratta di uscire da una visione troppo “provinciale” e di avere una prospettiva più aperta e universale. E per centrare correttamente l’impegno evangelizzante della Fraternità è egualmente importante tener conto della relazione esistente con la Chiesa locale. Non possiamo restare separati dalla realtà ecclesiale della nostra diocesi o dalle parrocchie nelle quali ci troviamo. L’evangelizzazione, perché sia tale, è sempre un fatto di tutta la Chiesa. Non possiamo accettare che ci si veda come un’ “altra Chiesa”, diversa dalla diocesi.
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere i seguenti testi: • Legper 103: La predicazione non dispensa dall’orazione, dal lavoro manuale, né dalla mendicità. • 3Comp 54: Efficacia della predicazione di Francesco. 2. Domandarsi: • La prima evangelizzazione comincia col trasmettere l’esperienza gioiosa della mia vocazione. La faccio così come segno del mio amore al Signore e come segno dell’amore ai Frati? • In tutte le mie attività cerco di vivere l’intenzione evangelizzatrice come ragione della mia vocazione francescana? • Che vuol dire per me che “i poveri sono i nostri maestri”? Nella mia vita che influsso ha il lasciarmi evangelizzare? • Quali aspetti positivi vedo nel mondo di oggi? • Mi sento membro di una Fraternità in missione in un mondo che cambia? Partecipo agli impegni di evangelizzazione della mia Fraternità? • Che posto occupa la dimensione evangelizzatrice nel mio progetto personale di vita? Per la riflessione di gruppo 1. Leggere i seguenti testi: • 1Cel 36; 3Comp 46: La Chiesa manda Francesco e i suoi Frati alla missione. • 2Cel 10: Il Crocifisso di S. Damiano manda Francesco alla missione. • 1Cel 24.29; 2Cel 59; 3Comp 37.58; Anper 19: La pace, una delle missioni dell'Ordine. • 1Cel 36.65; LegM 4,5: Il Regno, tema da predicare • 1Cel 22-23.29.33; 2Cel 37; Legper 18: La penitenza, tema da predicare. • 1Cel 52.97; 2Cel 207; Legper 80: Predicazione con gesta. • 2Cel 155; Legper 58.112: Predicazione con l’esempio. • Legper 103: La predicazione con mezzi poveri. • RTV III, 1-3; Rnb 14-17: Carta magna della missione francescana. Alla luce di questi testi: • Riflettere su come coltivare e ringiovanire la dimensione evangelizzatrice del carisma francescano che Francesco donò al nostro Ordine e a tutti i Frati. • Comunicare esperienze reali di Fraternità evangelizzatrice. 2. Domandarsi: • Qual è la nostra situazione riguardo all’ascolto personale e in Fraternità della Parola di Dio? Ci riuniamo per leggere il Vangelo? Riusciamo a comunicarci le nostre riflessioni e le nostre difficoltà? Con chi l’otteniamo più facilmente, con i Frati o con i membri di altri gruppi? • Il preferire e amare forme testimoniali di vita evangelica che riconversione di strutture e impegni può far supporre alla Fraternità provinciale e locale? • L’urgenza e il pluralismo di attività pastorali rendono difficile la nostra coerenza di vita evangelica? Perché talvolta i Frati hanno difficoltà nell’integrare la loro vita di Fraternità con l’impegno parrocchiale? Da dove sorgono tali difficoltà? • Ti senti francescanamente identificato con quello che fai? Perché? • Siamo accoglienti con le persone che cercano Dio, o invece sembriamo un club riservato? • La mia Fraternità ha un progetto per l’evangelizzazione? E la tua provincia? Ogni quanto tempo si aggiorna tale progetto?
71 • La mia Fraternità riesce a rinnovarsi nei suoi progetti di evangelizzazione? • Quali sono le maggiori urgenze per una “nuova evangelizzazione”? • Nella mia Fraternità siamo capaci di collaborare o riusciamo solo a distribuirci gl’impegni, evitando interferenze reciproche? • Qual è il rapporto della mia Fraternità con la Provincia? Qual è il rapporto della mia provincia con l’Ordine? Com’è il nostro inserimento nella Chiesa locale?
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TERZA PARTE
ANIMAZIONE DELLA FRATERNITÀ FRANCESCANA
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I VITA FRATERNA E ANIMAZIONE DELLA FRATERNITÀ Oggi più che mai è necessario che tutti i Frati prendano coscienza della necessità e urgenza dell’animazione della vita fraterna. Per questo è necessario non solo che i Ministri e i Guardiani si assumano con gioia il proprio “ministero” di animazione, ma anche che tutti i membri della Fraternità assumano l’impegno della corresponsabilità, sviluppino il senso dell’appartenenza e potenzino la comunione e il dialogo. Solo così i Frati e le Fraternità entreranno nel ritmo della crescita. 1. L’animazione è una necessità? L’animazione da sempre fa parte dell’esercizio della vita fraterna. Oggi tuttavia si presenta con nuove esigenze e si rivela più importante che mai nello sviluppo di una comunità di vita o di lavoro. Il concetto di animazione, preso dal mondo delle relazioni interpersonali e dal ritmo di vita dei gruppi, evoca sia l’impegno di crescita degl’individui e dei gruppi, sia il modo di procedere nelle decisioni e nelle azioni di questi ultimi. La nostra vita francescana s’inserisce in questa linea e sottolinea la necessità dell’animazione interna di tutte le Fraternità, qualunque sia la sua grandezza. Lo stesso accade con l’animazione del gran corpo sociale che è l’Ordine nella Chiesa e nel mondo. Siamo passati da un regime centrato sull’applicazione dell’obbedienza in senso univoco, del riferimento a orari e costumi fissi, dell’esercizio stretto del capitolo locale e provinciale come luoghi di riferimento per la Fraternità locale e provinciale ecc., a un regime di vita diverso. I luoghi tradizionali, basati sulla fedeltà al passato, avevano il senso che oggi attribuiamo all’animazione. Di fronte alla molteplicità di modelli nei quali s’incarna il carisma francescano, la questione attualmente si pone in altri termini. L’animazione fraterna costituisce per noi una necessità o è un duplicato di ciò che è prescritto? È un’utopia irrealizzabile, una corrente passeggera o una priorità per la vita fraterna? L’etimologia della parola (secolo XV, animatio, da anima) ci aiuta a identificare ciò che contiene: un modo di dar vita, di creare movimento. Si aggiunga l’idea di nutrire e alimentare. È un modo di procedere che si rifà in primo luogo all’anima, l’identità interiore della persona o del gruppo. Le nostre tecniche di animazione debbono rispondere a questa priorità. Parlare di animazione nella vita fraterna significa evocare l’importanza della crescita di un fratello e del suo ambiente di vita. L’animazione si fa arte di vita e di azione in modo che i Frati vogliano incontrarsi, riconoscersi intorno alla forma di vita evangelica e partecipare ciò che la costituisce. L’animazione suppone che la Fraternità – locale, provinciale, universale – non si considera già fatta e completa per sempre, e che perciò sente la necessità di crescere e perfezionarsi. Suppone una domanda ripetuta continuamente: Cosa fare perché cresca il nostro progetto fraterno e si approfondisca il nostro impegno evangelico? Questa domanda si basa sulla premessa che ogni Frate ama la sua vita e desidera animarla e coltivarla. L’animazione favorisce la ricerca del Regno e della sua giustizia in noi e tra le persone che Dio ci affida. Si fonda sull’idea pietrina, tanto amata da Francesco, di essere pellegrini e stranieri nella ricerca e nella pratica evangelica, nel modo di creare legami tra di noi e nel modo d’inserirci nel mondo. 2. L’animazione, un disagio! Nonostante il propagarsi di nuove forme di vita francescana, c’è un malinteso: per molti l’animazione si riduce alla funzione dei ministri e dei responsabili della comunità, come se fosse un compito riservato a quelli che esercitano il servizio dell’autorità, qualcosa di proprio ed esclusivo del Guardiano, del Discretorio o del Definitorio. Questa tentazione è un residuo del modo come una volta veniva esercitato il servizio dell’autorità.
74 C’è anche la tentazione settaria di considerare l’animazione come una caratteristica propria di piccole Fraternità che hanno fatto una scelta di vita o inserimento, come se l’animazione fosse qualcosa di esclusivo per gruppi poco numerosi. Si rinuncia alle grandi Fraternità, alle case solidamente stabili a favore di riferimenti meno tradizionali. Tale atteggiamento suppone l’opposizione a certi gruppi di età e di attività, e fa capire che ci sono Frati dai quali non si può sperare più niente. Al contrario tutte le Fraternità hanno bisogno di animazione. Ne ha bisogno tanto l’infermeria provinciale come il noviziato, il Definitorio o la Fraternità incaricata di una parrocchia. Ne hanno bisogno tanto i Frati che vivono isolati a motivo della loro attività, come quelli che abitano in un gran convento. Un’altra difficoltà deriva dal modo di animare. Qualche Frate riduce l’animazione agli atti ufficiali: la riunione settimanale, un tempo liturgico forte, la diffusione di un notiziario… Si finisce col prendere il mezzo per il fine. L’animazione è qualcosa di più di un fatto di cronaca o di una delle attività dell’agenda giornaliera. Contiene una responsabilità, una condizione essenziale alla base del nostro itinerario comunitario. E ci sono molti mezzi per realizzarlo. La mancanza di animazione porta con sé la dispersione dei Frati. L’eccesso di attività ci separa. Basta dare un’occhiata a certe agende strapiene. La mancanza di animazione provoca anche l’assoluto, forse per rispondere a urgenze sociali, pastorali o spirituali. Inoltre corre il pericolo di limitare una Fraternità allo strettamente necessario, al minimo di cose da fare. Crea un clima di non speranza: non sperare niente di nuovo dalla propria Fraternità. La stanchezza comunitaria si fa sentire qua e là. Proviene da un eccesso di riunioni, giornate di studio, testi che bisogna leggere. Questa stanchezza provoca l’indifferenza verso ogni sforzo d’insieme in tutti i campi. Una Fraternità senza animazione non è una Fraternità come l’intende la nostra vocazione. Non siamo un’associazione di celibi riuniti per un impegno comune, né meno ancora un gruppo di amici riuniti per una sicurezza materiale o affettiva. Siamo fratelli e abbiamo necessità di relazioni autentiche, proporzionate alla nostra professione di vita. Ogni volta che l’animazione si riduce all’organizzazione di orari o alla regolamentazione delle relazioni, la si sente e si considera come un lusso, come un disagio o come un motivo di cattiva coscienza. 3. L’animazione, un dovere! Dobbiamo animarci reciprocamente come se si trattasse di una responsabilità pastorale nel senso forte della parola. Ciò vuol dire: guidarci, farci avanzare, aiutarci ad entrare nell’esperienza pasquale al modo di Francesco d’Assisi. In poche parole farci carico gli uni degli altri. Questo tipo di animazione richiede la piena realizzazione della nostra vita in comune. Vogliamo essere testimoni migliori di vita evangelica nella molteplicità dei carismi e delle diversità. L’animazione non è una distrazione, ma una condizione basilare per perfezionare la nostra vita di Frati minori. Con essa i Frati si sforzano di migliorare la qualità della propria vita, la verità della propria preghiera, l’autenticità della propria testimonianza, l’utilità della missione, preparano l’espressione e la pratica della vita comune. I Frati non s’improvvisano, né si può contare con le sicurezze del passato. C’è bisogno di tempo per cambiare le nostre mentalità, audacia per rischiare con mezzi nuovi ed entrare nella radicalità della vocazione. In questo senso animarci significa prendere una certa distanza nei confronti di noi stessi, rispetto al nostro modo di vivere, rispetto alla nostra azione e missione, rispetto alle responsabilità che abbiamo, le funzioni che svolgiamo e le situazioni concrete in cui ci troviamo. Animare una Fraternità presuppone creare questa distanza vitale per ritrovare la fonte, una revisione costante, fedeltà nella valutazione e revisione della nostra vita. E tutto questo tenendo conto dell’età, delle condizioni di salute, delle diverse mentalità, delle diverse generazioni di formazione e di esperienza di vita presenti sotto uno stesso tetto, in una stessa entità provinciale. L’animazione è sempre in fieri, cioè deve essere inventata continuamente. Bernardo di Chiaravalle avvertiva su ciò i suoi monaci: «Colui che dà da bere, beva anche lui dallo stesso pozzo». Questo vale tanto per i Frati impegnati sulle strade del Vangelo quanto per quelli che vivono insieme… Dobbiamo trovare il tempo per fermarci, riprendere fiato, bere nello stesso
75 nostro pozzo, prima di dare l’acqua a quelli che stanno al nostro fianco. Questo fa l’animazione nella Fraternità. 4. Scegliere di animare insieme la forma di vita Nella nostra forma di vita l’animazione passa attraverso le coscienze e le responsabilità reciproche. Evita di cadere in un autoritarismo di direzione unica o in un’anarchia selvaggia. Comporta inoltre che non ne porti tutto il peso solo l’autorità, e che ogni gruppo stabilisca un minimo di strutture. Esercita la funzione di memoria. Reclama le linee principali della forma di vita e fa un appello all’osservanza delle decisioni prese in comune. Dobbiamo imparare continuamente a vivere insieme, a condividere gioie e dispiaceri, a discernere la volontà di Dio nel progetto comunitario. Per poter progredire abbiamo bisogno non solo di vivere di certezze acquisite nel corso della formazione iniziale, ma anche di confrontarci con i riferimenti sicuri della nostra tradizione. Questa scelta, assunta coscientemente da ogni Frate e da ogni Fraternità, si fonda su un assiduo confronto con le fonti. Riguarda la totalità della vita: aspetto umano, psicologico, spirituale, sociale, comunitario… Il modello di animazione del tipo “vedere, giudicare, agire” è sempre valido, come sapienza che sta alla base di una esperienza. La Regola e il Testamento di san Francesco possono offrire esempi di questo modello in vista dell’animazione fraterna. Abbiamo bisogno di leggere, interpretare e realizzare insieme ciò che Dio ci chiede attraverso i nostri fratelli e attraverso ciò che il mondo spera da noi.
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere i seguenti testi: • CCGG 9,3; 79,1. Alla luce di questi testi: • Riflettere sulla responsabilità di ognuno nell’animazione della Fraternità. 2. Domandarsi: • Come uso la responsabilità che ho nell’animazione della Fraternità? • Come collaboro con quelli che hanno una responsabilità particolare nell’animazione della Fraternità locale e provinciale? • Il progetto personale di vita costituisce una mediazione che mi spinge ad assumere le mie responsabilità nell’animazione della mia Fraternità? Per la riflessione di gruppo 1. Leggere i seguenti testi: • 1Cel 35: Un primo discernimento comunitario. • 1Cel 42: L’esperienza di Rivotorto. • 1Cel 103: Mentalità di ricominciare continuamente. • Spec 85: Ritratto del vero Frate minore valido per tutti i Frati. • CCGG 45,1: Spetta a tutti i Frati edificare la Fraternità. Alla luce di questi testi: • Dialogare sulla responsabilità di tutti i Frati nella edificazione della Fraternità, da tutti gli aspetti che costituiscono il progetto fraterno. 2. Domandarsi: • Da dove cominciare per condividere le nostre esperienze personali e i nostri valori, stile di vita, storia, gioie e drammi? • Che mezzi adottare oltre quelli prescritti nella nostra legislazione per crescere nel progetto evangelico? • La mia Fraternità ha proprie caratteristiche nelle opzioni fatte alla luce del suo progetto di vita evangelica? • È possibile revisionare davvero il nostro modo di vivere come Fraternità locale o provinciale? E farlo come una “disciplina necessaria”? • Come discernere insieme la volontà di Dio sulla mia vita e sulla mia Fraternità? • Come possiamo ottenere che ognuno abbia il suo posto nell’elaborazione del progetto di vita locale e nel processo di assunzione delle decisioni? • Come integrare le differenze di visione e i carismi personali? • Che tipo di animazione dobbiamo sviluppare per rispettare la varietà dell’insieme e di ogni Fraternità di una Provincia? Gruppi per età, centri d’interesse, visite spontanee, capitoli delle stuoie, incontri tematici? • Che importanza dà la tua Fraternità agli anniversari e alle feste? Si riservano degli spazi di libertà per viverle? La Fraternità si riserva dei tempi solo per esse? • Il progetto di vita fraterna costituisce una mediazione di animazione della Fraternità? Perché?
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II VITA FRATERNA E CORRESPONSABILITÀ La corresponsabilità nasce dal valore che ogni Frate ha nella Fraternità e dal significato che il progetto fraterno ha nel piano della salvezza. In base a questo, ogni membro della Fraternità non solo deve rispondere alla chiamata che ha ricevuto, ma collaborare anche perché ognuno dei Frati si senta in dovere di farsi carico degli altri, che ogni Frate si senta responsabile dell’edificazione della vita fraterna e che tra tutti loro ci sia reciprocità e collaborazione nell’elaborazione del progetto comunitario. 1. Dove comincia la corresponsabilità? È difficile pretendere di raggiungere la corresponsabilità fraterna se si manca di senso della responsabilità personale. Il periodo della formazione iniziale pone le basi della pratica di relazione. Un Frate può sostenere e costruire la Fraternità solo quando ha cominciato già ad impegnarsi nella crescita umana sua propria, nell’appropriazione della sua vocazione e della vita spirituale, nel suo sviluppo fisico e intellettuale; insomma nel suo itinerario di formazione continua. Quanto più sarà impegnato in questo itinerario, tanti più riflessi comunitari avrà, e tanto più si farà carico dei suoi fratelli, e tanto più forgerà il suo senso di appartenenza. Non si dà l’uno senza l’altro; una cosa influisce sull’altra e viceversa. Ognuno risponde con la sua vita della vocazione della Fraternità locale e di quella della grande Fraternità provinciale. 2. Fin dove sono responsabile dell’altro? Una delle questioni cruciali che propone il libro della Genesi è quella della responsabilità verso gli altri. Dopo aver ucciso Abele, Caino deve confrontarsi con Dio. Per difendersi dal suo senso di colpa e di menzogna, risponde a Dio con una domanda: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). Scolpandosi vuole liberarsi della sua responsabilità verso suo fratello. La vita fraterna prima o poi ci affronta con la stessa domanda: «Sono forse io il custode di mio fratello?». I luoghi dove si verifica il suo impatto sono vasti quanto le attività quotidiane, i momenti decisivi, le feste e i drammi, le entrate e le uscite, ecc. ogni avvenimento può aiutare un Frate a farsi Frate minore, responsabile del suo o dei suoi fratelli. Benché i fratelli ci siano stati dati come una grazia o come una prova o perfino come luogo di evangelizzazione, palpita sempre in noi il riflesso di Caino. A nostra disposizione abbiamo tutto il necessario per nutrire o per superare l’individualismo, per chiuderci in noi stessi o per farci solidali con gli altri. Entrare in comunione con l’altro comporta una conversione dal nostro egoismo di fondo. Francesco d’Assisi aveva viva coscienza dei rischi inerenti nel ripiegarsi sulla propria volontà. Così l’attestano molte delle sue Ammonizioni (cf. Am 2.3.4.8.18). L’esperienza fraterna è il luogo più immediato per contraddire l’orgoglio originale e il vagare fuori dell’obbedienza. Le Fonti ci insegnano che la carità precede l’obbedienza e il vincolo con la comunità. Fin dove si deve essere responsabile del proprio fratello? Fino alla carità verso l’altro e l’esproprio di se stesso! Ma nella carità c’è anche la reciprocità e il farsi carico gli uni degli altri. Questa è l’altra faccia della mia responsabilità. A loro volta gli altri si fanno carico di me. I miei fratelli sono responsabili di me. Lo indica chiaramente alla fine la nuova formula della professione: «… sostenuto dal vostro fraterno aiuto possa tendere costantemente alla perfetta carità nel servizio di Dio, della Chiesa e degli uomini». Con il “vostro fraterno aiuto” significa: con l’apporto dei Frati, con la loro parte, necessaria per il raggiungimento della mia identità francescana. 3. La corresponsabilità, uno stile di vita
78 La Fraternità di vita è il nostro primo terreno di evangelizzazione. Anche la corresponsabilità deve incarnarsi in progetti concreti. Ciò che ci unisce non sono le attività o un ministero e neppure un mandato pastorale o un impegno sociale. Ciò che ci riunisce supera qualunque vincolo di amicizia o di efficacia. Nel centro della nostra vita fraterna c’è l’opzione di farci discepoli uniti nella sequela di Cristo alla maniera di Francesco e dei suoi fratelli. Ciò che giustifica le nostre relazioni di reciprocità e di compartecipazione è la fede e l’adesione al Vangelo. La sfida della vita fraterna comporta un lungo tirocinio. Ognuno deve cercare di superare ciò che sarebbe una mera coesistenza nel seno di un gruppo di estranei, per convivere in un insieme di tipo famigliare o domestico, nella Fraternità, nella quale solamente si può raggiungere l’unione accettando le differenze. Essere corresponsabili esige un modo di vivere non ripiegato su se stessi, ma aperto agli altri nostri contemporanei. È sempre possibile vivere con loro, anche se non si può vivere in Fraternità con tutti. Uno studio sulle relazioni di complementarietà e di reciproco appoggio tra i Frati, le clarisse e i cristiani della penitenza durante i primi tempi della nostra Famiglia francescana potrebbe illuminare bene questo argomento. Alla base della vita fraterna e delle responsabilità degli uni verso gli altri, cerchiamo di mettere l’obbedienza reciproca come l’intende Francesco e le cui caratteristiche sono: vera, caritatevole, e perfetta (Ammonizione 3). Francesco ci segnala sempre la necessità di scoprire la volontà di Dio con gli altri e di conservare la comunione. Come arrivare ad essere custode, non solo del mio fratello più immediatamente vicino e della propria Fraternità, ma anche delle sorelle Clarisse e della «gente di poco conto e disprezzata, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada» (cf: Rnb 9,2). La corresponsabilità si vive tra noi e con le sorelle e i laici che si ispirano a Francesco d’Assisi. Bisogna tradursi in gesti e comportamenti, in opzioni e atteggiamenti. Già Fr. Costantino Koser sottolineava nel lontano 1976 l’urgenza di stare attenti alla reciproca responsabilità e di rimanere aperti a nuove esperienze. Il modello delle piccole Fraternità è senza dubbio più sensibile alla imperiosa necessità di relazioni di corresponsabilità. Alcune difficoltà di relazione si fanno rapidamente evidenti: parassitismo, rinuncia, leaderismo invadente, isolamento, assenze croniche dovute all’attivismo, crisi, ecc. Ma in ogni tipo di Fraternità il buon funzionamento del gruppo e l’armonia delle relazioni dipendono dall’apporto di ognuno. Come agire in modo che ognuno sia rispettato nei suoi talenti, carismi e possibilità di comprensione e anche nei suoi aspetti di fragilità? Questa è una sfida per l’animazione. Alla domanda di un ipotetico visitatore: «chi è il responsabile del vostro gruppo?», l’ideale sarebbe poter rispondere: «ognuno è responsabile degli altri», senza cader per questo nell’anarchia. Qualcosa che presuppone uno sforzo incessante per non ritenere mai i fratelli dei catalogati, rinchiudendoli in un comportamento, in un’immagine, in un tipo… 4. Quali comportamenti responsabilizzano? • Basta guardare la nostra forma di vita così come la fissa la Regola, che ci propone molti casi emblematici. Ne citiamo qualcuno: • Cura degli altri e della loro anima (Rnb 5,1.7). • Attenzione materna (Rnb 9,13-14; Rer 10). • Assenza di potere e di dominio (Rnb 5,12). • Rispetto e protezione dell’altro nella fragilità e nell’infermità (Am 24; Rnb 10,1; Rb 6,11). • Cortesia nelle relazioni (Rnb 7,16). • Accogliersi reciprocamente con affetto (Rnb 7,15-16;11,4). • Servizio e obbedienza reciproca (Rnb 5,14). • Responsabilità comune per il lavoro, il denaro e l’elemosina (Rnb 7,8-9). • Discernimento di ogni situazione (è frequente l’espressione «in caso di necessità» o «quando vedono che piace al Signore». • Ricorso all’ammonizione, alla correzione e al sostegno dell’altro (Rnb 5,5-6; Amm 18.22.23).
79 • Senso ecclesiale e comportamento cattolico (Rnb 19). • Condividere la condizione dei poveri (Rnb 9,3)… La nostra tradizione indica piste e atteggiamenti che conducono a comportamenti responsabili. Possiamo costatare che la corresponsabilità supera ogni questione di luoghi, orario, compiti da svolgere, attività comuni. Si tratta di avere un riflesso fraterno e comunitario tanto nelle cose semplici come nei momenti decisivi della vita. Questo modo di vivere richiede un costante discernimento per valutare la sua qualità e convenienza. È necessario inserire questi comportamenti nei mezzi che abbiamo a nostra disposizione (preparazione dei capitoli e della liturgia, condividere i compiti nel campo dell’accoglienza, iniziazione agl’impegni e nuovi lavori, attenzione ai Frati infermi, ecc.). Ma la questione di fondo rimane: Quali comportamenti responsabilizzano? O detto altrimenti: che passi bisogna fare in una Fraternità per raggiungere la maturità di impegno rispetto agli altri? Come la formazione iniziale può preparare a questo modo di essere?
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere i seguenti testi: • Rnb 5; Rb 10 e Ammonizioni: Verificare dove si manifesta la corresponsabilità. • Anper 25-30: Genere di vita dei primi Frati. 2. Domandarsi: • Come assumo la corresponsabilità nell’animazione della Fraternità? • Come assumo la corresponsabilità nei lavori domestici e negl’impegni apostolici? • Come fomento la corresponsabilità dei fratelli negl’impegni che mi sono stati affidati? Per la riflessione di gruppo 1. Leggere i seguenti testi: 1. Rnb 9,10-11; Rb 6,7-8: I Frati responsabili dei loro fratelli. 2. Legper 76: Francesco responsabile dell’Ordine. 3. CCGG 82,1;181,4: Sulla corresponsabilità. 2. Domandarsi: • Quali sono le espressioni concrete attraverso le quali si manifesta il senso di corresponsabilità nella Fraternità? • Come si favorisce la corresponsabilità nella nostra Fraternità? • Che proposte concrete faresti per crescere in corresponsabilità? Come formularle nel progetto di vita fraterna?
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III I MINISTRI E I GUARDIANI AL SERVIZIO DELL’ANIMAZIONE FRATERNA 1. Il servizio di lavare i piedi Quelli ai quali è stato conferito il servizio dell’autorità dispongono di un esempio vivente di come disimpegnarlo: il Cristo umile della lavanda dei piedi proposto dal Vangelo di Giovanni. Accettando il mandato di prestare il ministero dell’autorità, trovano in Cristo un riferimento immediato. Si tratta di un punto d’appoggio che è importante tener presente perché la funzione non spenga lo Spirito. Nel nostro Ordine gli incarichi s’appoggiano su una spiritualità e sopra una pratica evangelica. Le Fonti francescane utilizzano vari termini per parlare del compito del superiore: Ministro (minister), Custode (custos), Superiore (praelatus), Guardiano (guardianus). Il termine più usato è “ministro dei Frati”, minister fratrum. Francesco lo associa al modello biblico e monastico del servo, servus Dei. I Frati ministri servono i loro fratelli a livello locale, provinciale o di tutto l’Ordine. Come se un titolo richiamasse necessariamente l’altro, si dice ministro e servo. L’ufficio di superiore e la responsabilità del governo fanno riferimento al modello del servo, umile ed esemplare. L’immagine della lavanda dei piedi rivela un cambiamento di livello e di valore, un movimento di discesa verso l’altro, una pratica di espropriazione e di carità da parte di chi presiede a servizio della comunione fraterna. Man mano che i Frati passarono da una vita itinerante a una vita sedentaria s’impose la necessità di nominare superiori locali. Il termine custos, cioè custode locale, aggiunge una nota supplementare all’ufficio di ministro, evocando l’ampiezza della funzione: custodire, proteggere, difendere i fratelli. Il termine guardianus, guardiano, appare più tardi negli scritti di Francesco (1224-1225); deriva dal vocabolario latino monastico ed ha la finalità di specificare la responsabilità del custode. Questo termine l’incontreremo dopo il 1221 in Germania e in Inghilterra. Invece nella conca mediterranea incontriamo prima il termine minister loci, cioè ministro locale. Dall’inizio della Fraternità tutte le funzioni d’autorità, a qualunque livello (regionale, provinciale, di tutto l’Ordine), girano intorno all’idea di un ministero inteso come cura di anime e servizio disinteressato. La Regola non fissa i termini per ordine d’importanza, ma si adatta a una realtà fraterna cangiante. Progressivamente nella Regola e nelle Ammonizioni la funzione del Ministro si configura come una forma di presidenza dell’obbedienza fraterna. 2. Modo francescano di esercitare l’autorità Per questo tipo di ufficio non esiste altra scuola di formazione che quella di metterci dentro ed esercitarlo. E non c’è altro tirocinio che quello della convivenza fraterna nel quotidiano. Ciò che si è detto nel tema precedente sulla reciprocità fraterna e la corresponsabilità, vale anche per i ministri, i Guardiani ed i Formatori dai quali si richiedono disposizioni precise riguardo ai Frati che sono stati loro affidati: • Amore gratuito (Rnb 11,5; Am 9). • Sollecitudine materna (Rnb 9,14). • Attenta cura delle anime (Rnb 4,6) e vigilanza sulla vita (Rnb 5). • Aiuto spirituale (Rnb 5). • Difesa e protezione del progetto di vita (Rer); • Un comportamento di reciproco rispetto (Rnb 17,16) e non di dominio (Rnb 5); • Capacità di esortare e correggere con carità (Rnb 5). La Regola spiega come deve comportarsi il ministro riguardo a se stesso e in che modo deve gestirsi nell’incarico: • Non disattendere la cura della propria anima (Rnb 5);
82 • Non avere uno stile di vita mondano (Rnb 5); • Amministrare e servire “lavando i piedi” (Am 4); • Non appropriarsi dell’incarico e poter privarsi di esso (Am 4;19); • Ricorrere alla legge della necessità (Rnb 9,20). Dobbiamo riconoscere tuttavia che la Regola non parla di alcuni aspetti inerenti al servizio dell’ autorità. Per esempio non parla della solitudine che accompagna questa funzione, della critica che inevitabilmente riceve, di come deve consultare, del discernimento spirituale, degl’interventi in casi urgenti, ecc. Ma, come si sa, la Regola propone uno spirito, non pretende di stabilire una casistica. 3. Difficoltà e sfide I Ministri incarnano una certa memoria della nostra vita evangelica, hanno la missione di ricordarci la portata del nostro impegno di seguire Cristo. Senza il nostro contributo non possono afferrarsi agli assi portanti del progetto di vita. Come aiutare i Ministri a portare questa memoria non solo a parole, ma anche nel modo di agire? La responsabilità dell’autorità può cambiare una persona nel bene o nel male. I superiori hanno bisogno di interlocutori che li facciano vigilanti dell’animazione di loro stessi e dell’esercizio del mandato che hanno ricevuto. E questo per evitare gl’inganni dell’adulazione e della “vanagloria”, la ricerca d’interessi personali, la durezza del potere, ecc. Come convivere con lo svolgimento del loro ruolo in modo che sia un cammino permanente di conversione? Come non perdere mai di vista che sono fratelli, e che questo è più importante della funzione, del titolo, del mandato che hanno ricevuto? È necessario evitare che li si confini isolati nel loro compito di autorità. Hanno bisogno di appoggio, incoraggiamento, consiglio. La legge della carità che presiede la vita fraterna raggiunge tutta la sua importanza nelle relazioni tra i Frati e il ministro. Che fare per non imporre loro una solitudine ancora maggiore di quella inerente all’esercizio del governo? I Frati sono responsabili verso i Ministri e i Guardiani? I Ministri e i Guardiani svolgono un ruolo attivo nell’esercizio del discernimento, in particolare rispetto ai fatti comunitari decisivi (opzioni sullo stile di vita, vita di orazione, crisi di crescita personale e comunitaria, accoglienza e separazione…). In questa ottica il loro compito ha una portata pastorale molto forte: l’arte di rivelare la presenza di Gesù Cristo a persone in cammino. Che formazione dare loro perché siano uomini di discernimento e di accompagnamento spirituale? Come parte del loro mandato realizzano l’animazione quotidiana e con la loro presenza sono segno di fedeltà alla nostra forma di vita. Frequentemente le nostre attese nell’ambito dell’animazione quotidiana sono immense. Talvolta arriviamo perfino ad una certa inibizione e rinuncia, sperando che intervengano i Ministri. Il ministero dell’autorità deve contribuire al senso della gratuità e della festa (tempi forti di liturgia, compleanni e anniversari, professioni, ecc.). Che prezzo debbono pagare i Frati per non perdere di vista questa gratuità, senza rendere responsabili di essa i soli ministri? In quanto gestori di unità, i Ministri presiedono la comunione fraterna. Ciò richiede audacia e coraggio perché si faccia verità e si mettano in atto gesti di riconciliazione. Come aiutarli a renderli responsabili del perdono e del dialogo che riconcilia? I Ministri e i Guardiani non sono solo amministratori, ma anche animatori delle relazioni fraterne interne ed esterne. Se pongono con troppa forza l’accento sulla vita interna, c’è il rischio che i Frati si ripieghino su se stessi; se promuovono un’apertura illimitata, sacrificano l’identità comunitaria; se ciò che conta è solamente la risposta alle urgenze spirituali, sociali ed ecclesiali, si corrono rischi di attivismo o di corto respiro. Come favorire una guida equilibrata e critica? Che mezzi privilegiare per poter valutare in modo regolare il nostro livello di accoglienza degli estranei, di apertura sociale, di presenza accanto ai poveri, di inserimento ecclesiale, d’impegno in favore della giustizia e della salvaguardia del creato? I responsabili di Comunità, preoccupati frequentemente per problemi di animazione, possono disattendere di nutrire la propria vita umana e spirituale. Come aiutare i Frati i nuovi Ministri ad iniziare il loro ministero? Come prendere in considerazione quelli che sono confermati in un mandato? Che tipo di accompagnamento e di mezzi offrire ai Frati che lasciano un incarico? Come
83 ottenere che ci sia compartecipazione di esperienze? Che mezzi propone la formazione permanente a disposizione dei ministri, dei guardiani e dei vicari? 4. Importanza dei testimoni Tutti gli elementi per valutare l’incarico dei ministri e servi convergono sull’importanza di una testimonianza viva e veritiera. L’unica autorità alla quale possono appellarsi è quella di aver percorso le tappe della formazione, aver fatto il loro apprendistato di vita fraterna e aver cercato di rispondere alla loro vocazione scrutando la volontà del Signore su se stessi e obbedendogli. Ciò che vale non sono le conoscenze e l’accumulo di incarichi, ma l’esperienza personale e la volontà di servire con amore. Ogni testimonianza esige la verità della persona con le sue possibilità e limiti, talenti e fragilità, ferite e doni. Il criterio di base nell’animazione propria e in quella dei fratelli è la qualità della presenza e della parola. Il dire e il fare, secondo Francesco, diventano un tutt’uno.
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere i seguenti testi: • 2Cel 151.186: Il superiore rappresenta Cristo. • Am 3: Sulla vera obbedienza. • Am 4: Nessuno si appropri della prelatura. • Am 19: Il prelato umile. 2. Domandarsi: • Qual è il mio atteggiamento di fronte ai fratelli che hanno il “ministero” dell’autorità? Di collaborazione fraterna? Di opposizione sistematica? Perché? • Che conseguenze concrete ha nella mia vita l’ “obbedienza caritatevole”? • Se ora esercito il ministero dell’“autorità”, come lo esercito in relazione con i Frati che il Signore mi ha affidati? Come mi preparo a livello di formazione per questo “ministero”? Per la riflessione di gruppo 1. Leggere i seguenti testi: • Rnb 16: Discernimento del Ministro per mandare in missione. • Rnb 4 e 18: Responsabilità dei Ministri. • Lmin: Attuazione del discernimento e pratica della misericordia. • 1Lcus: Esigenze in materia di Eucaristia, lode di Dio e predicazione. • 1Cel 104; 2Cel 188: Timori, certezze e disillusioni di Francesco sul tema. • 2Cel 151;214-215; Legper 106; Spec 46: Francesco sottomesso al Ministro e al Guardiano. • LegM 14,4; 3Comp 46; Anper 37: Obbedienza che Francesco vuole da se stesso. • LegM 11,11: Un Frate ricusa l’autorità del vicario. 2. Domandarsi: • Come la Fraternità provinciale prepara i Frati perché assumano responsabilità di animazione a livello locale e provinciale? • Che criteri si seguono per eleggerli? • Come i Frati aiutano, sia nella Fraternità sia nella Provincia, nell’esercizio del ministero dell’autorità coloro che hanno una responsabilità diretta di animazione?
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IV VITA FRATERNA E CAPITOLO LOCALE «Tutti i Frati devono coltivare intensamente tra di loro uno spirito di familiarità e di reciproca amicizia» (CCGG 39). Questo spirito di familiarità e di reciproca amicizia, che deve viversi nell’esistenza quotidiana della vita in Fraternità, trova la sua espressione privilegiata nel Capitolo locale. Il Capitolo locale viene riconosciuto sempre più come uno strumento valido per esprimere la vita fraterna e per crescere in essa: i Frati si vedono necessari l’un l’altro e si aprono responsabilmente all’aiuto reciproco, coscienti che la vita francescana ha la sua radice nella fraterna attenzione. 1. Il Capitolo locale, espressione della vita fraterna Le Fonti francescane c’insegnano che i primi Frati sentirono presto la necessità di formare Fraternità di vita riunendosi intorno a san Francesco e conservando tra di loro un contatto permanente. Si comunicavano le loro esperienze quando tornavano dai loro viaggi apostolici e si riunivano annualmente in capitolo per trattare su come potevano osservare meglio la Regola e organizzare le loro attività apostoliche (cf. 3Comp 57-59). Il Capitolo locale è il luogo dove i Frati possono far crescere la comunione fraterna perché è uno strumento che aiuta la Fraternità e ognuno dei suoi membri a capire e a vivere meglio la propria vocazione. Nel capitolo locale i Frati possono sperimentare fino a che punto la propria vita con Dio e con la Fraternità è impregnata della vocazione cristiana e francescana e fino a che punto lo Spirito Santo agisce in ognuno di loro per la costruzione della Fraternità. Il Capitolo locale è il luogo dove ogni Frate è invitato a far fruttificare i propri carismi specifici a beneficio di tutta la Fraternità, a rivelare i suoi sentimenti, paure, preoccupazioni e difficoltà, come voleva san Francesco dai suoi Frati (cf. Rb 6). È perciò importante rendersi conto della responsabilità che ogni Frate ha di creare un ambiente di fiducia, promovendo la capacità di comunicazione, di soluzione dei conflitti e di edificazione della Fraternità (RFF 64). La realizzazione del carisma francescano ha bisogno di strutture. Il Capitolo locale, anche se non è l’unico modo di espressione del carisma, offre una possibilità privilegiata perché i Frati si radunino con lo scopo di nutrire la solidarietà fraterna in Cristo, l’apertura alle ispirazioni dello Spirito e la ricerca in comune della volontà di Dio. Effettivamente uno dei molti e principali compiti che le nostre Costituzioni Generali attribuiscono al Capitolo locale è proprio la formazione permanente (cf. CCGG 137 §3). Anche se ogni Frate ha la responsabilità ultima e decisiva di occuparsi della propria formazione permanente, la Fraternità è il centro primario di questa formazione e tocca ai Capitoli, di qualunque tipo siano, stimolare e pianificare la formazione permanente e dotarla dei mezzi necessari. Il documento La formazione permanente nell’Ordine dei Frati Minori ricorda a questo proposito al numero 64, che la Fraternità deve procurare di elaborare, esaminare e rivedere nel capitolo locale un progetto di vita comunitaria e di formazione permanente con obiettivi e mezzi concreti che vale la pena di tenere sempre presenti. 2. Celebrazione del Capitolo locale Data l’importanza del Capitolo locale nella vita di ogni Fraternità, è importante una buona preparazione per poterne raggiungere i fini. A. Alcune premesse Il successo del Capitolo locale esige alcune condizioni preliminari.
86 a. Apertura spirituale Il Capitolo locale è un fatto soprattutto “spirituale”, dato che i Frati si riuniscono nella fede della presenza di Dio e si dispongono ad ascoltare ciò che lo Spirito gli voglia comunicare attraverso loro stessi. Per Francesco Dio dà il suo Spirito a tutti i Frati, compresi i più semplici. Per questo motivo li convoca spesso per consigliarsi con loro (cf. 1Cel 30; 39). Francesco riconosceva la parola di Dio nella parola di ogni fratello. Però era solito chiedere loro consiglio nei momenti difficili o cruciali per la Fraternità e per la sua vita personale. Questo atteggiamento c’invita ad essere anche noi aperti all’azione dello Spirito. b. Reciproco rispetto e accettazione Il Capitolo locale presuppone il rispetto del fratello, coscienti che nelle nostre Fraternità possono convivere non solo Frati di età diversa ma anche di razze diverse, di diversa formazione culturale e teologica o provenienti da varie esperienze di vita. Pertanto è necessario «coltivare il rispetto reciproco con il quale si accetta il cammino lento dei più deboli e nello stesso tempo non si soffoca lo sbocciare di personalità più ricche» (VFC 40b). Perciò si deve tener conto della realtà di ognuna delle Fraternità. Ogni Frate che partecipa al Capitolo locale, compreso il più giovane o il meno preparato, è una persona umana con propria dignità e deve essere valorizzato come tale. Effettivamente ogni Frate è una persona umana unica, originale e irrepetibile, con la sua ricchezza di doni e di capacità che deve sviluppare durante tutta la vita. c. Disponibilità alla donazione e accoglienza reciproche Ogni persona umana ha bisogno della complementarietà degli altri per svilupparsi e realizzarsi. Nessuno è autosufficiente. La nostra Fraternità è una comunità di donazione e di accoglienza. Ognuno può imparare dall’altro, crescere con l’altro. La disponibilità verso l’altro trasforma i fratelli in dono e grazia gli uni per gli altri. «Per tutti è necessario avere a cuore il bene del fratello coltivando la capacità evangelica di ricevere dagli altri tutto quello che essi desiderano dare e comunicare, e di fatto comunicano con la loro stessa esistenza» (VFC 33). d. Dialogo fraterno «Per diventare fratelli e sorelle è necessario conoscersi. Per conoscersi appare assai importante comunicare in forma più ampia e profonda» (VFC 29). «La comunione nasce proprio dalla condivisione dei beni dello Spirito, una condivisione della fede e nella fede, ove il vincolo di fraternità è tanto più forte quanto più centrale e vitale è ciò che si mette in comune» (VFC 32). Il Capitolo locale riunisce persone che, in risposta ad una vocazione divina, hanno scelto uno stesso stile di vita. Il motivo più profondo per la loro comunione di vita non sta nelle simpatie personali o nelle idee comuni che difendono. Ciò che è fondamentale nel Capitolo locale non è la discussione di programmi ideologici o personali, bensì la ricerca personale e comunitaria della volontà di Dio riguardo alla realizzazione del progetto comune di vita di seguire Cristo sull’esempio di san Francesco . Pertanto il dialogo deve favorire una migliore identificazione dei problemi, conoscersi di più e cercare insieme le vie più adeguate per la soluzione dei problemi o difficoltà che possono sorgere nel processo di crescita della Fraternità. B. Elementi strutturali del Capitolo locale Preparazione immediata del Capitolo. Una buona preparazione del capitolo esige che si tenga conto di alcuni elementi. • La data del Capitolo deve essere nota con sufficiente anticipo. • È importante consultare prima i Frati sui punti che saranno trattati e i temi che si studieranno. • Comunicare gli argomenti in scritto e con alcuni giorni di anticipo.
87 • • •
Mettere a disposizione di tutti i documenti e sussidi necessari. Prevedere un luogo adatto che aiuti a creare un clima fraterno e condizioni adeguate per un dialogo fecondo. Disporre in anticipo gli atti del Capitolo precedente e delle decisioni che siano state prese.
a. Inizio del Capitolo Dato che il capitolo è un fatto eminentemente “spirituale”, conviene che i Frati siano consapevoli di riunirsi attorno alla Parola di Dio e di domandarsi in modo personale e comunitario cosa vuole dire Dio nella situazione concreta nella quale vive la Fraternità in quel momento. Pertanto, dopo una preghiera iniziale per chiedere l’aiuto divino per una collaborazione fruttifera, attiva e costruttiva da parte di tutti i Frati, è conveniente fare una breve lettura della Parola di Dio o delle Fonti francescane per ascoltare insieme ciò che Dio vuole. b. Revisione dei Capitoli precedenti Dopo la lettura del resoconto del capitolo precedente si dovrebbe rispondere alla domanda: come sono stati messi in pratica le decisioni e i suggerimenti dei Capitoli precedenti? Chi avesse un incarico specifico dovrebbe informare i fratelli sulla realizzazione o meno delle decisioni e impegni presi. Per una convivenza pacifica e senza tensioni è molto importante che s’informi con regolarità tutti i Frati sugli avvenimenti e impegni che riguardano tutta la Fraternità. In questo modo il vincolo con la Fraternità e della Fraternità in se stessa diventa più forte e si stimola in ogni Frate lo spirito di Fraternità e il senso di appartenenza a una stessa famiglia. In quanto alle informazioni, il Guardiano dovrebbe informare la Fraternità sulle questioni e attività più importanti; l’economo della casa dovrebbe informare sulle entrate e uscite e sui progetti realizzati o da realizzare; così anche i Frati che hanno incarichi specifici dovrebbero informare su di essi. Dialogo sulle nuove questioni e progetti. I temi del Capitolo dipendono prima di tutto dalla Fraternità locale, dalle sue necessità concrete e attuali. Alle volte accadrà che l’Ordine o la Provincia propongano lo studio di un tema. In ogni modo è consigliabile che si stabilisca un ordine del giorno per trattare i diversi argomenti secondo la loro importanza. In generale non dovrebbero essere accettati altri argomenti, a meno che siano molto urgenti, e per trattarli si dovrebbe chiedere il consenso dei capitolari. Ma non si deve dimenticare che la vita fraterna non consiste principalmente nella costruzione e mantenimento di edifici, né in problemi finanziari, né è fatta solamente di attività pastorali o apostoliche. È necessario che nel capitolo abbiano priorità i temi spirituali che riguardano la fedeltà al progetto personale e comunitario di vita, anche se non sempre ciò è facile. c. Conclusioni del Capitolo Al termine del Capitolo sarebbe conveniente fare una breve sintesi dei temi trattati e delle decisioni prese e menzionare le questioni che forse non sono state trattate. Il Capitolo dovrebbe terminare con ringraziamento ai Frati per la loro partecipazione e collaborazione, una preghiera conclusiva e un momento di festa, che potrebbe essere un pranzo, una rinfresco, ecc. 3. Diversi ruoli nel Capitolo locale a. Il Guardiano Il ruolo pastorale del Guardiano nel Capitolo locale è molto importante.
88 1. Il Guardiano è il presidente del Capitolo in quanto animatore della Fraternità locale e responsabile della Fraternità davanti alla Provincia. Ciò però non impedisce che possa delegare la funzione di coordinatore del capitolo, soprattutto nelle Fraternità numerose. Quando c’è un moderatore, il Guardiano può prestare più attenzione al clima fraterno e alla dimensione spirituale del Capitolo, mentre il moderatore sarà più attento al procedimento dinamico e oggettivo del Capitolo. 2. In quanto animatore “pastorale” della sua Fraternità, il Guardiano cercherà di essere il mediatore tra le diverse opinioni o gruppi agendo come “catalizzatore” nel processo di ricerca dei fratelli, senza voler imporre le sue opinioni personali o gl’interessi suoi propri. 3. Nel momento di decidere o votare, il Guardiano deve stare attento a che il Capitolo si mantenga nei limiti della propria competenza. Da una parte nel Capitolo si dovrebbero manifestare apertamente tutti gli interessi e pure la critica oggettiva e costruttiva, e dall’altra il Capitolo non deve costringere la Fraternità all’unanimità. b. Il moderatore Il compito del moderatore del Capitolo locale è di vitale importanza per la crescita e l’approfondimento di un ambiente di fiducia reciproca tra tutti i Frati. Il moderatore deve essere convinto che ogni Frate presente ha qualcosa da dare e da dire alla Fraternità. Deve agire in modo che i Frati si aprano al dialogo sincero e siano in condizione di trovare il proprio cammino come Fraternità. Perciò sarà attento alle diversità dei Frati e saprà dare la parola a tutti senza eccezioni, procurando che tutti esprimano il proprio punto di vista e le proprie osservazioni. c. Il segretario del capitolo Il compito del segretario è quello di prendere nota dei temi trattati, delle opinioni sulle quali c’è consenso nella Fraternità e delle decisioni capitolari. Redigerà opportunamente il verbale corrispondente e lo farà conoscere a tutti i Frati.
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere Am 25. Alla luce di questo testo: • Riflettere sul grado di comunicazione che ho con i fratelli della mia Comunità. 2. Domandarsi: • Cosa comunico della mia vita - essere ed agire – ai fratelli della Fraternità? • Com’è la mia partecipazione al Capitolo locale? • Come mi preparo a partecipare al Capitolo locale? • Quello che dico in assenza dei fratelli sono capace di dirlo “con carità” davanti a loro? • Come è contemplato l’aspetto della comunicazione nel progetto personale di vita? Per la riflessione di gruppo 1. Leggere i seguenti testi: • 1Cel 30.39. • VFC 29.32.40. 2 Domandarsi: • Ogni quanto tempo si celebra il Capitolo nella Fraternità? Come si celebra? Che dinamica si segue nella sua preparazione e nella sua celebrazione? • La comunicazione non solo di idee, ma soprattutto di sentimenti, anima e cuore è espressione normale della “comunità di vita”. Abbiamo la mentalità formata a questo nuovo sforzo richiesto dalla società, dalla psicologia e dalla teologia della vita religiosa? Crediamo che ne vale la pena? • Quali sono state le principali difficoltà incontrate nel campo della comunicazione? • Ti pare che il Capitolo locale sia una buona occasione per la formazione permanente? Perché?
•
Quali iniziative concrete potresti suggerire per migliorare la qualità del capitolo locale? Come inserirle nel progetto di vita fraterna?
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V VITA FRATERNA E FORMAZIONE PERMANENTE Forse mai come oggi ci rendiamo conto dei rapidi cambiamenti della vita che ci sono in tutti gli ambienti. I cambiamenti nella cultura e nella vita sociale, i cambiamenti del mondo sempre più intercomunicato e “globalizzato” e i mutamenti nella Chiesa (per esempio nella liturgia e nella teologia) ci aprono nuovi orizzonti e idee, ma allo stesso tempo sono anche un peso perché l’uomo si deve adattare continuamente per seguire i mutamenti e il passare inarrestabile del tempo. Anche la nostra vita di Frati minori ha sperimentato grandi cambiamenti negli ultimi anni, tanto nel modo di impostarla, come nel modo di attualizzarne i valori. Il nostro tempo sta cambiando rapidamente le condizioni di vita e, se non vogliamo restare indietro, dobbiamo inserirci in questa corrente. Ma l’avanzare così richiede un grande sforzo personale e comunitario per adeguarsi costantemente alle circostanze della vita. Questo adattamento compromette tutti gli aspetti della vita di ogni Frate e dell’intera Fraternità locale, provinciale e persino mondiale. Portare il Vangelo al mondo di oggi richiede di rinnovarci e maturare psicologicamente, professionalmente, religiosamente, teologicamente e spiritualmente. Questo sforzo di adattamento e maturazione trova la sua cornice specifica nella formazione permanente. La nostra stessa vocazione come seguaci di Gesù Cristo secondo san Francesco ci chiede di maturare come persone e come Fraternità per comprenderla sempre meglio nel contesto attuale nel quale siamo inseriti. Le CCGG ci parlano della formazione permanente come di un cammino di sviluppo ininterrotto della testimonianza evangelica e della opzione vocazionale nella scuola di Francesco (CCGG 135). Questa formazione abbraccia tutta la nostra vita come individui e come membri della Comunità locale e provinciale (cf. CCGG 137). Le CCGG indicano anche che la nostra formazione permanente «si fondi sulla spiritualità francescana» e, tenendo conto della dimensione integrale del Frate minore, promuova il suo sviluppo «sotto ogni aspetto: personale, spirituale, dottrinale, professionale e ministeriale» (CCGG 136). Oltre alle nostre Costituzioni generali, che sono un testo giuridico-spirituale, il documento La formazione permanente nell’Ordine dei Frati Minori, pubblicato nel 1955 dal Segretariato generale per la Formazione e gli Studi dopo il Congresso dei Moderatori per la formazione permanente di tutto l’Ordine, celebrato ad Assisi nell’ottobre del 1993, regola, stimola e inculca la formazione permanente a tutti i livelli del nostro Ordine. La scheda che segue questo documento, espone il contenuto della formazione permanente, invitando a riflettere sulle possibilità concrete di realizzarla nella situazione di ognuno. 1. La formazione permanente, un cammino di conversione a. La formazione permanente è un cammino (FP 8) Partendo dalle scienze naturali, oggi si concepisce la vita umana, compresa quella dell’adulto, come un’esistenza in continua crescita, cioè in uno sviluppo costante durante le sue diverse tappe. Perciò il modo di vivere e di agire si deve adattare continuamente al ritmo della propria vita. Questo ritmo della persona deve tener conto della dipendenza esistente tra i cambiamenti umani e quelli della vita cristiana e francescana, come anche della situazione professionale e ministeriale di ogni Frate. Tenendo conto di questa situazione personale dei Frati, la Fraternità offre ad ognuno di essi i mezzi adeguati per aiutarli a vivere questo dinamismo della vita e a superare le eventuali difficoltà ed ostacoli che può generare ogni sviluppo o nuovo passo. Affrontare il fatto di essere sempre in cammino nasconde un confronto continuo. E questa situazione non sempre facile si deve affrontare con maturità ed eventualmente con meno danni possibili.
91 Per questo è necessaria una formazione permanente che ci aiuti a recepire i mutamenti della vita e ad essere capaci di aiutare gli altri a camminare maturando in senso umano, cristiano e francescano. Questo itinerario di maturità non è una necessità solamente personale del singolo Frate, ma di tutta la Fraternità. La Fraternità è formata da tutti e ognuno dei suoi membri e la convivenza ha le sue proprie leggi psicologiche, umane e cristiane. Perciò la Fraternità, luogo dove si condivide la vita, deve essere un luogo di formazione permanente tendente a una convivenza e comunione di vita sempre più perfette. La finalità della formazione permanente è la maturità della persona in tutte le sue dimensioni (corporale, psicologica, affettiva, spirituale, intellettuale) e la maturità della Fraternità in tutte le sue espressioni di convivenza, di vocazione francescana e di servizio missionario. In questo senso la formazione permanente non è un corso di aggiornamento, ma un atteggiamento. b. Una conversione continua (FP 39). Il punto di partenza della vocazione di Francesco fu la sua conversione, che lo portò a vivere il Vangelo con i fratelli tra gli emarginati (cf. Testamento). Nel modo in cui la conversione fu determinante nella vita di Francesco, così anche la metanoia biblica disimpegna una parte importante nella realizzazione di ogni vocazione francescana. La vita francescana chiede a ogni Frate e a ogni Fraternità una continua conversione del cuore e della vita, per avvicinarsi sempre più al messaggio di Dio in Gesù Cristo. Per capire che possibilità ci sono per mettere in pratica il Vangelo nel contesto nel quale viviamo c’è bisogno dello Spirito del Signore. In questo senso la vita francescana ci chiede un processo di conversione, una crescita nella nostra relazione con Cristo che si trasforma in metanoia (cf. RFF 57). Attraverso questo processo di conversione si rinnova in ogni tappa della propria vita il sì alla volontà di Dio e la donazione totale al Signore. La conversione del cuore al messaggio della misericordia di Dio fa parte della penitenza francescana e riapre il cammino verso la riconciliazione con le parole e con le opere. La meta e il fine della conversione, alla quale deve puntare la formazione permanente, è farsi realmente minore, vivere la vocazione personale e rinnovare l’entusiasmo per la vita evangelica. c. Esigenza di fedeltà (FP 40 e 41) La formazione permanente nasce dalla necessità di fedeltà. La fedeltà verso se stesso, ai propri valori e ricchezze ha bisogno di una continua preoccupazione perché questi, invece di diminuire o scomparire, si sviluppino e adattino ai mutamenti della vita. D’altra parte la fedeltà a Dio esige un impegno per non stancarsi davanti ai problemi, alle disillusioni e agli sbagli della vita quotidiana. Infine la nostra vocazione e missione esigono la fedeltà di rinnovarci costantemente. Ciò che ci si chiede non è una fedeltà stabile nel mantenere gli aspetti esterni della vita religiosa, imparate una volta per sempre: in questo caso ci convertiremmo in stalattiti immobili. Si esige da noi una fedeltà creatrice che sappia affrontare le nuove sfide dei tempi nuovi, che sappia cambiare i nostri comportamenti e le nostre tradizioni d’accordo con la verità del Vangelo, letto nel contesto concreto delle situazioni che ci circondano. In questo senso la fedeltà richiede flessibilità. Ciò che deve sopravvivere è la verità della nostra vocazione, dei nostri valori umani, cristiani e francescani. Perciò la nostra fedeltà deve essere sempre aperta all’influsso dello Spirito Santo. La formazione permanente deve aiutare a scoprire sempre meglio la base della nostra vita francescana e a sviluppare la nostra flessibilità e capacità di vivere questi valori nelle diverse tappe e circostanze della nostra vita. La formazione permanente ci aiuta così a trovare una vita fruttuosa e ricca di speranza. La formazione permanente è un processo vitale e necessario per alimentare e qualificare la vita francescana e per evitare l’indifferenza e la stanchezza spirituali. Si tratta dello sforzo di ogni Frate per svolgere il proprio compito nella Fraternità, nella Chiesa e nel mondo, sapendo comprendere e affrontare i problemi che gli si possono presentare. E per questo la formazione permanente favorirà anche l’acquisizione delle conoscenze e delle competenze che saranno necessarie.
92 Lo scopo di questa fedeltà, conquistata attraverso la formazione permanente, è quello di seguire Gesù Cristo come vero Frate minore, sull’esempio di Francesco, e condurre una vita radicalmente evangelica. 2. La formazione permanente, una necessità vitale nella Fraternità a. La formazione permanente e la Fraternità (FP 48.49.51) La vocazione, concretamente, si vive nella Fraternità dove esiste l’ambito delle esperienze. Sotto l’aspetto della vita fraterna, la formazione permanente non è una tecnica, bensì il modo col quale i Frati si preoccupano l’uno dell’altro. Come un dono affidato alla responsabilità comune, la Fraternità nel suo insieme è, in se stessa luogo di formazione permanente, in quanto in essa s’impegnano tutti a vivere insieme la vocazione comune. L’educazione mutua, lo stimolo reciproco, l’attenzione alle situazioni individuali sono in se stesse espressione della formazione permanente. Ma oltre questa preoccupazione umana, cristiana e francescana per la vita in comune, c’è bisogno nella Fraternità di una sincera ricerca per approfondire le conoscenze e la competenza che le nostra vocazione e missione esigono. La vocazione richiede una preparazione comunitaria per poter dare testimonianza di Fraternità con la stessa convivenza e con lo stesso modo di lavorare. Perciò tanto la vita interna della Fraternità come le relazioni con l’esterno, hanno bisogno di una preparazione per mezzo della formazione permanente. b. Una Fraternità aperta (FP 51-53) La vita fraterna dei Frati minori è aperta al dialogo con la Chiesa e con la creazione, e spinge verso un’apertura speciale nei riguardi dei diversi componenti e rami della Famiglia francescana: Clarisse, OFS e gli altri gruppi francescani. Però per vocazione la Fraternità si apre particolarmente ai poveri e agli emarginati di ogni classe nel mondo e nella Chiesa. Questa apertura richiede uno spirito di ospitalità, di solidarietà e di carità per vivere con e per il popolo di Dio. E ci spinge al dialogo fraterno, che esige anche una certa preparazione: l’ascolto, la sensibilità davanti alle diverse situazioni di dolore e di sofferenza che ci sono nel mondo, il rispetto per le altre culture, la stima dell’altro come persona e come dono di Dio, la disponibilità ad aiutare… Tutto ciò richiede preparazione. In questo campo immenso la formazione permanente vuole essere uno stimolo e dare la preparazione necessaria. Da questo punto di vista la formazione permanente può arrivare ad essere un grande stimolo per interessarsi sempre più alla vita della Chiesa locale e mondiale, per inserirsi sempre più nel mondo e nella cultura stessa, per proclamare con più fedeltà, opportunità ed efficacia la gioiosa notizia della Parola di Dio.
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere i seguenti testi: • CCGG 137,1; RFF 40.57-70; FP 8-46.60.61. Alla luce di questi testi: • Rifletti sulla tua comprensione della formazione permanente e sul tuo atteggiamento di fronte a questa esigenza. 2. Domandarsi: • Come prendo nella mia vita concreta di tutti i giorni l’impegno di “cominciare sempre nuovamente a servire il Signore Iddio”? • Può dirsi che il ritmo di vita che porto ogni giorno sia realmente formativo? • Quando ho letto l’ultimo libro di teologia? Con quale frequenza partecipo a corsi di aggiornamento teologico e professionale? • Che mezzi contempla il progetto personale di vita per rispondere alle esigenze della formazione permanente? Cosa dovrebbe contenere? Come li metto in pratica? Per la riflessione comunitaria 1. Leggere i seguenti testi: • CCGG 135-137; RFF 64; FP 62-71; RTV III, 127-132; VC 67-71. Alla luce di questi testi: • Partecipare alla Fraternità quello che ognuno pensa sulla necessità, le esigenze e i mezzi della formazione permanente. 2. Domandarsi: • La Fraternità vive con una mentalità di continua formazione? Come si dovrebbe focalizzare questa mentalità nella Provincia, in modo che la formazione iniziale si congiunga alla formazione permanente, creando nel soggetto la disposizione per farsi formare durante tutta la vita? • È la Fraternità il luogo privilegiato e la vita quotidiana il mezzo principale di formazione permanente dei Frati? Quali cambiamenti bisognerebbe fare nella vita della Fraternità perché realmente questa fosse veramente formativa? • La Fraternità ha un progetto di formazione permanente? Come è vista la formazione permanente nel progetto di vita fraterna?
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VI LA VITA FRATERNA, LUOGO DI COMUNICAZIONE E DIALOGO 1. Il dialogo La nostra vita fraterna, nutrita di reciprocità e benevolenza, presuppone una triplice apertura: verso se stesso, verso il mondo, verso Dio. Il dono più grande che possiamo fare ai nostri contemporanei senza dubbio è quello della Fraternità. Cerchiamo di costruirla come un ambiente familiare, libera da competizione e di violenza e nel quale ognuno porta all’altro la sua azione, le sue attività, le sue preoccupazioni. In certo senso gli uomini, religiosi e laici, cercheranno in noi, ciò che è loro: essere trattati come fratelli, amati da Dio in Gesù Cristo. Tra le esperienze più importanti per entrare in comunione con loro, emergono la necessità di giustizia e pace, la necessità di preghiera e di dimensione spirituale, la difesa radicale dei propri diritti e la solidarietà nella difficoltà. La nostra sfida di evangelizzazione consiste nel lasciarci evangelizzare costantemente nel luogo e ambiente dove viviamo. Ogni Frate e ogni Fraternità devono aprirsi agli altri per testimoniare il Regno. Ma tutto comincia nella prima forma di apertura: l’apertura a se stesso e di se stesso. Ciò significa partire dalla propria povertà fondamentale, compresa un’apparente “inutilità”, per rendersi disponibile alle cose di Dio e degli altri. La vita fraterna si converte nel primo sacramento dell’incontro con Cristo. È inseparabile dal mondo dei piccoli e dei poveri. Si può affermare, parafrasando la mistica Angela da Foligno, che cerchiamo di «essere gravidi del mondo e delle realtà di Dio». Prima di parlare di tecniche e strumenti adattati al comportamento e alla solidarietà, dobbiamo partire dall’urgenza di un dialogo di fondo. Che ognuno parta dalla sua interiorità, della dimora segreta del Vangelo dove si trovano Dio e il mondo. Il grande comandamento biblico unisce l’amore a Dio, l’amore al prossimo e l’amore a se stesso. Tra i tre scorre un dialogo, un’interrelazione vitale. Come convertire le nostre Fraternità in luoghi di apertura a se stessi, agli altri e a Dio? Come fare dell’interiorità e delle relazioni Fraterne uno spazio di autentico dialogo? 2. Inventare una parola! È necessario trovare insieme parole che siano espressione vera del nostro vissuto. Non importa che siano chiare o nebulose. Ogni tentativo di chiarificazione fa crescere le relazioni. La cosa più importante è avere un punto di riferimento dal quale cominciare. Che espressione possiamo lanciare insieme che non sia solo un’informazione su fatti e avvenimenti? Che ci dobbiamo dire per poter davvero condividere la vita? 3. Imparare a comunicare L’espressione fraterna va più in là delle strutture nelle quali i Frati hanno stabilito di comunicare. Abbraccia tutti gli aspetti della comunicazione. Presuppone un apprendimento di ascolto e di espressioni reciproche, costituito dal detto e dal non detto. Parlare ed ascoltare. Ci sono vari modi di parlare e di tacere (o di non parlare). Da ciò deriva un’attenzione costante nelle relazioni verbali – e non verbali – al silenzio, al gesto, al comportamento… La comunicazione fraterna supera di molto la comunicazione verbale. Come educarci reciprocamente al dialogo? Come distinguere tra uno scontro e una fuga, un consenso e un disaccordo, una conversazione colta e una confidenza, una lentezza ed un entusiasmo, un luogo di conversione e un luogo di rifiuto? In definitiva come captare il fondo e l’ampiezza di ciò che viene comunicato? Come fare della comunicazione un’evangelizzazione reciproca?
95 Non esiste altra via che quella di incontrarci in situazioni concrete di compartecipazione, con tutte le sue valenze e intensità. Dobbiamo imparare a comunicarci parole e silenzi per costruire il modo di esprimersi della Fraternità. 4. La Fraternità si dà la parola Il compito dell’animazione fraterna è far sì che affiorino l’anima ed il cammino di un gruppo. Ogni comunità di vita ha la sua teoria sui valori e sulla propria realizzazione. Per noi Frati minori ciò significa cercare di stabilire insieme i riferimenti alla tradizione, alla forma di vita e al nostro modo di attualizzarle oggi. Il nostro linguaggio rivela la visione di Dio e degli altri, le scelte evangeliche, la solidarietà sociale ed ecclesiale. Per esempio, in un gruppo non c’è nulla di più significativo che estendere la “piantina delle relazioni” per verificare la comunicazione e i legami che uno ha con le persone, la Chiesa, il tipo di ministero o di presenza. La Fraternità ha una propria memoria: coordinate storiche, momenti di crisi e di crescita, riferimenti al passato. Questa memoria, che con frequenza si precisa durante il triennio o il sessennio, s’iscrive in una memoria maggiore su scala provinciale. Nella nostra Fraternità si può tornare sul passato per capire il presente ed essere più attivi per il futuro? Com’è la nostra capacità di rifarci ai punti essenziali della vita francescana e religiosa? La Fraternità costruisce giorno per giorno il suo progetto attraverso la ricchezza e la fragilità delle persone che la formano. Questo progetto ha i suoi specifici colori, accenti, priorità ed esclusioni. Ogni Fraternità ha qualcosa di vitale da dire nell’interpretazione e nell’applicazione del progetto evangelico francescano. Un gruppo, che si contenta della legislazione e delle prescrizioni, corre il rischio di cadere nella tiepidezza della quale parla la Scrittura. L’espressione fraterna, che la vita c’induce a tentare, s’iscrive in un linguaggio francescano secolare e in una Parola di Dio ancora più vasta. Solo da qui si può tentare di estrarre qualcosa di nuovo per dare una risposta comune al progetto di vita, che abbiamo professato. 5. La pratica: unire testa e cuore Tutte le relazioni mancano di equilibrio se non c’è armonia tra l’intelligenza e l’affettività. Nelle nostre relazioni ci deve essere complementarietà tra ragione e passione. Anche tenendo conto dei diversi tipi psicologici di una stessa entità fraterna, tutti abbiamo la responsabilità di conservare l’equilibrio tra la testa e il cuore. Le idee e i valori non debbono escludere i sentimenti, anzi! La revisione di vita permette una valutazione periodica della nostra comunicazione all’interno della Fraternità e con il mondo. Tutti noi Frati dobbiamo essere vigilanti su questo punto. La vita pratica ci propone una serie di domande sorte dagl’incontri e dallo scambio di idee: • Come si misura il bene che ci desideriamo reciprocamente? E il nostro senso sociale? • Che capacità di adattamento e di cambiamento abbiamo? • Che capacità per affrontare l’imprevisto? Fino a che punto sappiamo aspettare e aver pazienza gli uni con gli altri e attraversare insieme un momento difficile? • Il nostro dialogo dà priorità alle cose che bisogna fare, ritardando altri temi? • Come si può misurare il nostro senso della gratuità, della festa e della misericordia? • Come si può render partecipi della dimensione verbale i Frati che hanno difficoltà a parlare? • Come si chiamano i Frati tra di loro? Che nome si danno? Come si correggono? Come scherzano? Come si manifestano il loro affetto? Hanno il senso dell’umorismo? • Come parlano degli altri: delle donne, degli stranieri, delle persone con le quali lavorano o che servono? • Ci sono tra di noi reazioni antifemministe, sessiste, razziste, anticlericali? • Ci sono tra noi o nei nostri ambienti forme di violenza o di potere? • Come affrontare la questione delle amicizie (interne, miste)?
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6. La forza delle relazioni Dunque tutto può contribuire a stabilire tra di noi legami significativi. Il dialogo fraterno, unito a una pratica autentica, possiede il dono di rinforzare le relazioni, curando alcuni e correggendo altri. I fratelli non si scelgono come gli amici, ma si ricevono come un dono. È importante che le parole sgorgate dalle relazioni fraterne significhino l’essenziale di ciò che cerchiamo. In questo senso i Frati possono farsi sacramento dell’incontro con Cristo.
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere Gv 4,4-43; 1Cor 12,7. Alla luce di questi testi: • Riflettere sul modo come condivido con gli altri i doni dello Spirito perché giungano ad essere veramente di tutti e servano per l’edificazione di tutti. • Prendi coscienza di quelle circostanze della tua vita che ti sono di ostacolo per comunicare profondamente con gli altri. 2. Domandarsi: • Cosa della mia vita comunico agli altri? Come lo comunico? Perché lo comunico? Fino a che punto mi comprometto con la mia comunicazione? In quali luoghi e con quali persone mi si rende più facile e dove e con chi più difficile? Perché? • Cosa mi prefiggo con la mia comunicazione? Compiacere un altro, animare, essere creduto, che prendano in considerazione ciò che dico…? • Quali difficoltà incontro nel momento di comunicare la mia esperienza vocazionale con i fratelli? Se ce l’ho, perché? • Ti senti chiamato a rafforzare qualche aspetto concreto, o a prendere qualche iniziativa concreta per comunicare più e meglio? Quali? • Come far sviluppare tali aspetti e iniziative? Come inserirli nel progetto personale di vita? Per la riflessione comunitaria 1. Leggere i seguenti testi: • Rnb 5-17: Modo di comportarci tra di noi e con gli altri. • 2Cel 155: Come i Frati si riconciliavano. • VFC 29-34: Comunicare per crescere insieme. Alla luce di questi testi: • Riflettere su ciò che la comunicazione è e significa. • Ricordare alcuni momenti particolarmente significativi di comunicazione profonda e positiva nella Fraternità. 2. Domandarsi: • Qual è il clima dominante della Fraternità? Ciò che si aspetta in una Fraternità francescana è che si giunga a delle relazioni esistenziali profonde. Siamo coscienti di ciò che esse suppongono? Ci sono realmente nella Fraternità? • Come valutiamo la comunione nella Fraternità? È qualcosa che preoccupa i membri della Fraternità? Come va la comunicazione secondo la percezione di ogni Frate della Fraternità? • La comunicazione di fede è uno dei punti di coesione comunitaria. Com’è la nostra comunicazione di fede? Che mediazioni utilizziamo per essa? Quali ci aiutano? Quali sono diventate abitudinarie e bisogna vivacizzare? • Sarebbe possibile crescere comunitariamente nella comunicazione e discernimento vocazionale dei Frati tra di loro? Che fare?… • Quali sono i problemi principali che rendono difficile la comunicazione nella Fraternità? • Come potenziare la comunicazione fraterna partendo dal progetto di vita fraterna?
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VII DISCERNIMENTO COMUNITARIO 1. Uno stile francescano A differenza di altri procedimenti di discernimento tendenti al compimento della volontà di Dio attraverso decisioni prese a tale scopo – per esempio lo stile ignaziano –, la tradizione francescana propone di radicalizzare la vita cristiana nel suo complesso. L’Ammonizione 12 parla di uno spirito, di una mentalità più che di una scelta concreta o di un passo avanti: «A questo segno si può riconoscere il servo di Dio, se ha lo spirito del Signore: se, quando il Signore compie, per mezzo di lui, qualcosa di buono, la sua “carne” non se ne inorgoglisce – poiché la “carne” è sempre contraria ad ogni bene –, ma piuttosto si ritiene ancora più vile ai propri occhi e si stima più piccolo di tutti gli altri uomini». In questo testo si vuole convertire la propria mentalità e comportamento, più che indicare una decisione precisa. Senza indicare metodi, le fonti abbozzano una spiritualità e un metodo di discernimento. È lo stesso progetto evangelico proposto nella sua radicalità nella vita di ognuno. La Lettera a Frate Leone e la Lettera a un ministro illustrano un discernimento nel quale si ritrovano la libertà di coscienza e il predominio delle relazioni Fraterne. Parlare di discernimento francescano nel senso dell’Ammonizione 12 significa parlare di un riconoscimento dell’azione del Signore e pertanto di presa di coscienza e di riflessione. Questo riconoscimento presuppone la disponibilità alla sua azione. Significa sottolineare l’importanza che ha la pratica del bene, per fare l’esperienza dell’espropriazione di se stesso. Significa verificare la qualità della presenza umile vicino agli altri, per evitare l’esaltazione e qualsiasi sentimento di orgoglio che possa accompagnarla. Appaiono subito due paradossi: impossibile richiamare la volontà di Dio nella nostra vita senza fare spazio agli altri. Nell’esperienza, ragione e cuore debbono coincidere. L’esercizio del discernimento si può compiere attraverso un atto preciso, ma che abbraccia molto di più: l’autenticità della vita e la nostra capacità di conversione continua. 2. Sfida personale e comunitaria La radice del termine discernere rivela la sua funzione: si tratta di tracciare un circolo intorno alla propria realtà per poterla captare bene, accettarla e, di conseguenza, agire partendo da essa. In quest’ottica l’ingresso nel discernimento è un atto di obbedienza, nel senso forte di ascolto interiore. Ci mettiamo a disposizione di Dio prima di compiere la sua volontà (“aguzzate l’udito del cuore”). Quando parliamo di discernimento, innanzitutto ci viene in mente l’investigazione personale, la ricerca della volontà di Dio sulla nostra vita. Nessun cristiano è dispensato da questo esercizio, sia nelle cose abituali di tutti i giorni, come nelle grandi occasioni. La stessa cosa vale per il Frate minore. Si tratti dell’intenzione di migliorare la preghiera, di cambiare lavoro, di aprirsi alla volontà di un superiore o di attraversare una prova dura, sempre c’è un unico desiderio di identificare, di capire e di amare la situazione che Dio ci propone. Ognuno si misura sul suo sforzo di essere sincero con se stesso e con Dio. Abbiamo fatto già l’esperienza di un discernimento personale decisivo nella nostra vita? Cosa abbiamo imparato? Quali elementi ci hanno aiutato? Il tempo dedicatoci? La trasformazione nella preghiera? Il necessario distacco dal nostro proprio modo di essere? La necessità di consultare e condividere? La sintesi dei segnali? Il ricorso a una forma di accompagnamento? La volontà di decidere, di compiere gesti coerenti? Molte riunioni fraterne sono riunioni di discernimento, anche se gli si dà un altro nome. Nell’incontro e nel confronto delle differenze esistenti tra di noi spesso possiamo scoprire una luce del Signore sulla nostra vita. Tutti possono garantire questa esperienza. Ognuno di noi, dal novizio di un giorno al Frate anziano e saggio, è chiamato a verificare se lo Spirito del Signore agisce in lui e nella Fraternità.
99 Si tratta ancora una volta non solo di un procedimento per prendere una decisione, ma anche di uno sguardo globale, che vuole condurre la Fraternità a realizzare il disegno di Dio. Ogni tentativo di revisione di vita, ogni esercizio fedele di riferimento alle fonti, ogni confronto con la parola di Dio, ogni dialogo fiducioso con l’autorità sono occasioni per identificare la volontà di Dio e cercare di capire se siamo inabitati dal suo Spirito. Discernere insieme è un’esperienza che esige un prezzo in incontri, tempo, costanza, ascolto reciproco e, necessariamente, messa in pratica. Abbiamo fatto un discernimento in Fraternità? Abbiamo trovato in esso gli stessi elementi che sorgono nel discernimento personale? Fino a che punto rendiamo conto della nostra reciproca responsabilità nella ricerca della volontà di Dio? Come avere un riflesso comunitario nei nostri incontri? Possiamo trovare un metodo, un progetto, un modo di fare riferimento alle fonti che siano capaci di favorire la scoperta progressiva del nostro senso comunitario? In altri termini, crediamo nell’importanza di discernere insieme, o preferiamo limitare l’esperienza a un atto privato? Le nostre Comunità hanno bisogno di un sostegno in questo settore? 3. Discernimento nella Fraternità primitiva Celano e Bonaventura presentano due esperienze chiave di discernimento, che vale la pena rileggere, tanto da un punto di vista spirituale, come da quello della vita pratica. In entrambe le relazioni c’è una seria preoccupazione per il futuro e si pone il dilemma: Vivere tra gli uomini o ritirarsi in solitudine? In 1Cel (35) i Frati tornano da Roma per la strada di Spoleto. Hanno ricevuto dal Papa l’approvazione verbale del loro progetto di vita. Il testo li presenta con tutto il fervore degli inizi: «Trovavano piacere solo nelle cose celesti». È una specie di noviziato di vita povera e spoglia. Il loro dilemma si pone in un contesto preciso. Vogliono «impegnarsi a vivere sinceramente in santità». Francesco, capo indiscutibile del gruppo, risolve l’interrogativo della Fraternità in un contesto di orazione. Anche se Celano pone al centro la santità di Francesco, è chiaro che il discernimento dei Frati nasce dalla loro messa in pratica della non appropriazione e del loro desiderio di radicalizzare la perfezione cristiana alla quale si erano impegnati. Il fatto riferito dalla LegM (12,1-2) accade circa venti anni dopo. Francesco, questa volta personalmente, si pone lo stesso dilemma. Bonaventura precisa che l’angoscioso dubbio tormentava Francesco assai e per molti giorni (cf. LegM 12,1b). Sappiamo che il contesto storico del dilemma era la crisi degli spirituali. La preghiera spinge Francesco a confidare il proprio dubbio ai Frati. Il racconto di Bonaventura è implicitamente un elogio della preghiera e dei suoi benefici. D’altra parte il dialogo fraterno non scioglie il dubbio. La questione la risolvono due persone spirituali scelte da Francesco: Silvestro e Chiara. L’uno e l’altra, che sono persone dedite alla preghiera, si schierano chiaramente a favore dell’uscire a predicare. In questo caso si dà anche un itinerario di consultazione progressiva e un contesto di preghiera. E anche qui i sentimenti accompagnano la ragione. Nei due casi, nonostante la diversità dei racconti, la domanda è vitale, viene presentata in un contesto di preghiera ed è esaminata in comune. Una volta ottenuta la risposta, Francesco e i suoi la mettono immediatamente in pratica. La conclusione è identica: la preghiera solitaria cede il passo all’evangelizzazione degli uomini. Il momento della decisione, per quanto sia istantaneo, è preceduto da una pratica stabile e da una lunga prova. I due episodi rivelano l’importanza di sottomettere la vita interiore e comunitaria alla prova dell’autenticità. Questo tanto nel fervore degl’inizi, quanto dopo anni di cammino e d’esperienza. La vita fraterna è sempre in movimento, mai si può dare per scontata. La sapienza di questi resoconti ci mostra, inoltre, come le domande di Francesco e dei Frati siano strettamente legate a quanto vivono. Il discernimento ha luogo nella vita e attraverso di essa. Lo Spirito sta operando in essa, attua attraverso inquietudini concrete, una nuova preoccupazione, un desiderio di andare oltre. Ogni Comunità fraterna ha bisogno di tempi fissi per vedersi e valutarsi alla luce dello Spirito del Signore. Senza dubbio la sfida principale per una comunità in discernimento consiste nel raggiungere la trasparenza necessaria non solo per leggere la situazione, ma anche per rettificarla e per crescere. D’altra parte l’ascolto reciproco
100 nella ricerca della verità deve seguire la capacità di mettere in pratica la verità scoperta. E la verità ci fa liberi. È possibile per noi imparare qualcosa dalle scelte del passato? Si possono celebrare le scelte fatte? 4. Segni positivi e negativi Quanto enumerano gli scritti di san Francesco sul piano personale, può essere trasferito molto bene al livello comunitario. I segni dell’azione dello Spirito si misurano con il primato del senso di Dio, al quale dobbiamo attribuire tutto. Un altro segno è l’aumento della carità anche in un clima di contrarietà, di persecuzione o di assenza di reciprocità. Francesco parlerebbe di non abbandonare gli altri per andare vagando fuori dell’obbedienza. Altro segno è la perseveranza senza perdere la pace, cioè sopportare, affrontare ciò che accade conservando la pace interiore. Segue l’atteggiamento di umiltà e spogliazione, che si manifesta nel servirsi reciprocamente e nel riconoscere l’altro. Ciò che sembra una perdita di sé o espropriazione della propria volontà, nei fatti si trasforma in una maggiore disponibilità verso Dio e gli altri. E il segno è quello di staccarsi dalle pretese egoistiche, liberarsi dall’io in quanto ostacolo alla vita divina. Infine l’adesione a Dio e agli altri si prolunga nell’adesione alla Chiesa, all’autorità, al clero, nonostante il loro peccato. In vari brani delle Ammonizioni affiorano i segni negativi, opposti a quelli positivi: appropriarsi del bene, il prestigio, la propria volontà o azione. È la tentazione di distanziarsi dalla Fraternità. Il ricorso a parole negative, Francesco le chiamerebbe “oziose e vane”, senza azioni, senza esempi di vita. La mancanza di perseveranza e la perdita della pace interiore. I sentimenti di preoccupazione, d’invidia, di collera, lo scandalizzarsi facilmente sono altrettanti segni negativi. L’ostinarsi nel proprio io a danno degli altri. La disaffezione verso la Chiesa e i suoi rappresentanti. Questi segni negativi sono un barometro per misurare l’assenza dello Spirito del Signore nello spirito fraterno. Siamo chiamati a vigilare sul nostro modo di vivere, di dialogare, di farci carico gli uni degli altri e di trovare il nostro posto nel mondo. Il famoso dilemma di Celano e di Bonaventura si pone oggi a noi, tanto nel segreto del cuore, come nella Fraternità. E ci pone di fronte all’essenziale. Cos’è che ci fa vivere insieme? Siamo capaci di dialogare sulle scelte fondamentali? Abbiamo un’attitudine comune di conversione? Com’è la nostra memoria fraterna del Vangelo? Fin dove siamo disposti a giungere per mantenere lo spirito profetico, per ottenere che la vita evangelica sia contagiosa per gli uomini e le donne con i quali c’incontriamo? Il discernimento comunitario ha senso solo se c’è la nostra intenzione di avanzare fedelmente nella scelta di vita. I modi, i metodi, lo sviluppo pratico derivano da questa intenzione primordiale. Torniamo alla confessione di Francesco nel Testamento: il Signore gli dette dei fratelli. Il Signore ci dà fratelli per attualizzare il Vangelo e, tra le altre cose, per imparare a discernere il Vangelo stesso nelle nostre vite.
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SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE Per la riflessione personale 1. Leggere i seguenti testi: • At 2,15ss. • PCr; Am 3.12. Alla luce di questi testi: • Rifletti sui tuoi atteggiamenti di fronte alla vocazione che hai ricevuto e la risposta che sei chiamato a rinnovare ogni giorno. 2. Domandarsi: • Credo nella capacità di crescita della mia Fraternità e di ognuno dei suoi membri? • L’elaborazione e revisione del progetto di vita personale sono momenti di discernimento personale? Per la riflessione comunitaria 1. Leggere i seguenti testi: • Mt 16,4; At 15; 1Tes 5,21. • GS 4.11; VC 37; OrOg III,1-3; RTV III,3. 2. Domandarsi: • Mi aggrappo a certe strutture perché si è fatto sempre così? • “Se osassimo”. Che ci dice questa espressione? Che passi concreti richiederebbe questo atteggiamento? Siamo disposti? Perché? • L’elaborazione del progetto di vita fraterna è occasione di un vero discernimento comunitario di ciò che siamo, di ciò che facciamo e di come lo facciamo?
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APPENDICI
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IL CAPITOLO LOCALE NELLA NOSTRA LEGISLAZIONE Le CCGG affermano che il Capitolo locale, composto da tutti i Fati professi solenni di ogni Casa, costituisce il governo fraterno della casa (cf. artt. 240 §1; 242). E bisogna sottolineare l’espressione “governo fraterno”, perché mette in evidenza il ruolo partecipativo e consultivo dei Frati nell’organizzazione della vita della Fraternità, in unione con il Guardiano. Il compito del capitolo locale in sinteticamente è esplicitato nel seguente modo: • Valutare, specialmente mediante il dialogo, e scegliere con criterio comune le iniziative che si debbono programmare; favorire la concordia e la cooperazione attiva e responsabile di tutti; esaminare e valutare gl’impegni assunti dalla Fraternità o da ogni Frate e trattare gli argomenti d’importanza maggiore (cf. CCGG 241). • Organizzare in modo congruo la vita domestica per far crescere una vera fraternità, reale e intima (cf. CCGG 46). • Preoccuparsi dello svolgimento del lavoro, dell’evangelizzazione e della cura pastorale, e richiedere con sollecitudine informazioni sui singoli lavori, per consolidare e favorire la comunione fraterna (cf. SSGG 30 §2). Da questo compito del Capitolo locale sorgono una serie di competenze. In concreto il Capitolo locale interviene: a) In quanto autorità della Fraternità • nella determinazione del tempo e altre circostanze della celebrazione eucaristica e della preghiera comunitaria (SSGG 8); • nella determinazione delle forme di penitenza in rapporto alle circostanze di tempi e luoghi (SSGG 16); • in tutti i casi previsti negli Statuti particolari o nei Regolamenti (SSGG 209 §2). b. In quanto organismo che aiuta il Guardiano nel compimento del suo ufficio • nell’organizzazione delle vita domestica (CCGG 46); • nella definizione dei limiti della clausura (SSGG 23 §1); • nella determinazione della somma da spendere in alcuni casi (SSGG 219 §2). • in alcuni casi di alienazione di beni o di debiti da contrarre (SSGG 221); • nella individuazione delle attività che i Frati debbono assumere tenendo conto delle necessità reali della società, della Chiesa, dell’Ordine e di ogni Frate (CCGG 112 §2); • nell’animazione e organizzazione della formazione permanente (CCGG 137 §3).
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II LA FIGURA E LE COMPETENZE DEL GUARDIANO E DEL CAPITOLO LOCALE NELLA LEGISLAZIONE DELL’ORDINE 1. Introduzione La trattazione di questo tema nasce dall’esigenza di approfondire la comprensione e l’attualizzazione del compito dei Guardiani. Si tratta, anzitutto, di fare maggiore chiarezza per dissipare incertezze, confusioni e ambiguità. La presenza di un certo malessere su questo tema si deve ad alcuni fattori che hanno la loro origine in una comprensione unilaterale di certi valori primari nella vita consacrata. a. L’importanza della persona, intesa come soggetto primario e principale responsabile della propria crescita, del proprio futuro, delle proprie scelte. Questo primato della persona, erroneamente inteso, ha provocato: • da una parte, la difficoltà di accogliere la presenza e l’azione del Guardiano come “mediazione” insostituibile nella propria esperienza di vita religiosa; • dall’altra, la considerazione del suo intervento come un’ingerenza indebita nella sfera privata. b. L’importanza della corresponsabilità e della compartecipazione nella vita comunitaria che, falsamente intese, hanno prodotto: • da una parte, la difficoltà di accettare decisioni prese singolarmente dal Guardiano; • dall’altra, lo svuotamento del compito del Guardiano ridotto prevalentemente a semplice custode del buon ordine esterno. c. L’importanza di una obbedienza religiosa che: • da una parte, è considerata spesso come una diminuzione della dignità personale, come ostacolo all’autodeterminazione; • dall’altra, è subordinata all’obiezione della coscienza individuale dove molte volte annida l’egoismo, il ricatto, il vittimismo. In tal modo si va contrapponendo all’autorità del Guardiano la libera iniziativa di ognuno, il “fatto compiuto”, l’autonomia quasi totale, la rivendicazione di una “democrazia ugualitaria” che annulla la diversità delle funzioni e delle competenze. Tutto ciò porta: • ad una coscienza distorta dell’autorità del Guardiano con le conseguenze annesse; • ο ad una “rinuncia di autorità” da parte del Guardiano dannosa per la vita fraterna. In questa situazione si fa sentire sempre più la necessità di approfondire la teologia e la spiritualità nell’esperienza francescana della relazione “autorità e senso religioso della dipendenza”, “autorità e corresponsabilità”, “autorità e obbedienza”. Alla luce di questa problematica si dovrà capire il senso profondo della normativa relativa al tema in questione, secondo le Costituzioni generali e gli Statuti generali. La trattazione del tema è stato diviso in due parti: il ruolo e le competenze del Guardiano e la funzione e le prerogative del capitolo locale, seguendo semplicemente la normativa in modo alquanto sistematico. 2. Ruolo e competenze del guardiano
105 Il compito del Guardiano è chiaramente determinato nell’art. 175 §3 delle CCGG: «Il Guardiano regge la Casa con potestà ordinaria». Il significato di queste parole è evidente: reggere vuol dire orientare, guidare, ordinare, correggere, decidere; la Casa è una Fraternità posta sotto la sua autorità (cf. CCGG 232); l’autorità ordinaria è il potere giurisdizionale annesso all’ufficio. A questo compito del Guardiano è legato un diritto-dovere: il diritto=esigenza di reggere; il dovere=incarico di reggere. Questo diritto-dovere non può essere eluso, sotto pena d’infedeltà da parte del Guardiano verso il suo ufficio, e sotto pena di violazione di un corrispondente diritto-dovere della Fraternità di essere retta dal Guardiano. L’esplicitazione di questo compito l’abbiamo nell’art. 237 delle CCGG: «Il principale dovere del Guardiano, nell’osservanza delle norme del diritto universale e proprio, è quello di favorire il bene della Fraternità e dei Frati, di esercitare una premurosa vigilanza sulla vita e sulla disciplina religiosa, di guidare le attività e di promuovere l’obbedienza attiva e responsabile dei Frati in un clima di vera Fraternità». Ovviamente il legislatore si preoccupa anche di segnalare lo stile col quale il guardiano è chiamato ad adempiere il suo ruolo, e lo troviamo nell’art. 185 §1 delle CCGG: «… i Guardiani esercitino umilmente e in spirito di servizio l’autorità che hanno ricevuto. Docili perciò alla volontà di Dio nell’adempimento del loro incarico, abbiano cura dei Frati quali figli di Dio, suscitando la loro volontaria obbedienza nel rispetto della persona umana». Dall’incarico derivano le competenze che debbono esercitarsi, secondo il legislatore, in una doppia forma: «da solo o col Capitolo locale» (CCGG 175 §3). A. Da solo Le competenze del Guardiano, esercitate “da solo”, possono essere riassunte in tre punti: a) verso ogni Frate; b) verso la Fraternità; c) verso soggetti esterni alla Fraternità.
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Competenze verso ogni Frate Favorire il bene di ogni Frate (CCGG 237). Procurare diligentemente che ogni Frate sia provvisto delle cose necessarie secondo le condizioni dei luoghi, tempi e persone in modo da non permettere il superfluo e da non negare il necessario (SSGG 19). Promuovere un’obbedienza che educhi alla responsabilità e stimoli l’iniziativa ascoltando l’opinione di ogni Frate, anzi incoraggiandola e stimolandola, restando sempre salva la sua autorità di decidere e di ordinare ciò che si debba fare (CCGG 45 §2; 185 §1). Avere attenzione sollecita verso i Frati deboli, infermi e anziani, visitandoli e provvedendo convenientemente alle loro necessità personali, sia spirituali che materiali, procurando loro una fraterna assistenza (CCGG 44; SSGG 20 §3). Vigilare sui Frati che, a motivo di una convenzione, sono legati a certi incarichi fuori della Fraternità ( SSGG 44 §2). Concedere o no l’uso del denaro e sollecitare il rendiconto del denaro che ognuno riceve o spende (CCGG 8 §1; 82 §2). Autorizzare o no il ricorso ai benefattori nella forma migliore (SSGG 32 §1). Concedere o no il permesso di assentarsi dalla Casa (SSGG 196 §1). Concedere o no in scritto il permesso di viaggiare, d’accordo con quanto stabilito dagli SSPP, indicando nelle lettere obbedienziali il tempo e i luoghi del viaggio (SSGG 34; 37). Organizzare le vacanze che debbono concedersi ai Frati in modo che si provveda agli uffici della Fraternità e si rispettino le finalità e lo spirito della nostra povertà (SSGG 34). Sforzarsi di prevenire il male mediante una prudente vigilanza e ammonimenti Fraterni, e confermare nel bene quelli che si trovano in difficoltà (CCGG 252 §1).
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Fare in modo che ogni Frate abbia una copia della Regola e Testamento di san Francesco, insieme alle Costituzioni generali e agli Statuti (SSGG 1 §1). Competenze verso la Fraternità Favorire il bene della Fraternità (CCGG 237). Sforzarsi di costruire la Fraternità «come famiglia unita in Cristo», nella quale soprattutto si cerchi e si ami Dio (CCGG 45 §1). Fomentare l’amore reciproco nella Fraternità, come un mezzo per conservare con maggiore sicurezza la castità (CCGG 9 §3). Procurare che la vita ordinaria della Fraternità favorisca la formazione permanente (CCGG 137 §2). Far sì che ci sia un luogo adatto per la lettura spirituale, anche in comune, principalmente della Sacra Scrittura (SSGG 11 §1). Disporre che in tempi opportuni si leggano nella Fraternità le Costituzioni generali e si approfondisca il loro significato mediante incontri comunitari. Far sì che si leggano i documenti del Capitolo generale o del Capitolo provinciale per una migliore interpretazione e aggiornamento della Regola (SSGG 2§2). Curare diligentemente che gli avvenimenti di maggior importanza nell’Ordine siano conosciuti tanto dalla Fraternità quanto fuori di essa (CCGG 49). Regolare il lavoro che si fa nella Casa tenendo presente che il suo dovere principale è quello di unire e mantenere uniti in Fraternità i Frati destinati ai vari servizi (SSGG 30 §1). Mutare i limiti della clausura e anche sospenderne l’obbligo in singole circostanze e per giusta causa (SSGG 23 §2). Visitare frequentemente le Case filiali e in quanto possibile riunire i Frati per favorire la carità reciproca (SSGG 199 § 2). Far sì che in occasione del ritiro o in altro tempo opportuno si tenga un Capitolo di rinnovamento di vita nel quale i Frati trattino delle cose ritenute necessarie e utili per coltivare la vita religiosa della Casa e far crescere la carità fraterna (SSGG 10). Proporre gli argomenti che si debbono trattare nel capitolo locale e comunicarli in anticipo alla Fraternità (SSGG 210 §1). Convocare e presiedere il capitolo locale (CCGG 240 §1; SSGG 211). Presentare e sottoporre ad esame nel Capitolo locale i libri dell’amministrazione economica (SSGG 222). Vigilare diligentemente sull’amministrazione di tutti i beni che appartengono alla casa e curare l’ordinato funzionamento dell’amministrazione dei beni temporali (CCGG 250). Fare attenzione che l’economo amministri i beni sotto la sua direzione e dipendenza (CCGG 246 §1). Attenersi alle disposizioni del Capitolo provinciale per quanto si riferisce alle alienazioni e ai debiti (SSGG 221) e a quanto disposto dal Definitorio provinciale riguardo alle spese straordinarie (SSGG 219 §2). Attenersi a quanto dispongono gli SSPP circa l’esecuzione dei lavori nella casa (SSGG 219 §3). Cercare di non gravare, né permettere che si carichi la Casa con debiti onerosi o obbligazioni economiche (SSGG 217). Evitare attentamente ogni sorta di accumulazione di denaro (CCGG 82 §3). Competenze rispetto a soggetti esterni alla Fraternità Inviare annualmente al Ministro provinciale la relazione sullo stato della Fraternità (SSGG 173 §2).
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Presentare al Capitolo provinciale e al nuovo Guardiano l’inventario dei mobili della Casa e quello dei mobili della sacrestia e della chiesa, così come il registro delle entrate e delle uscite, firmati dal Capitolo locale o dal Discretorio (SSGG 222 §1). Aiutare spiritualmente i fratelli e le sorelle del Terz’Ordine Regolare nonché gli Istituti secolari e le Associazioni di vita apostolica di ispirazione francescana, e favorire la collaborazione con essi nelle opere di evangelizzazione (CCGG 59). Prestare aiuto fraterno e caritativo ai Frati e alle Province che per circostanze avverse si trovano in grave necessità (SSGG 21 §2). Non perdere di vista le necessità dei poveri (CCGG 82 §3).
B. Con il capitolo locale Le competenze del guardiano, esercitate con il Capitolo locale, si svolgono in due modi diversi: con il consenso o con il consiglio (CCGG 176; SSGG 210 §1, 211; CIC 119). Competenze con il consenso del Capitolo locale • Organizzare debitamente la vita domestica in modo da creare una vera fraternità, reale e intima (CCGG 46). • Stabilire i limiti della clausura secondo gli SSPP e con l’approvazione del Ministro provinciale (SSGG 23 §1). • Fare spese per le quali – secondo la decisione del Definitorio provinciale – si deve richiedere il consenso del Capitolo locale (SSGG 219§2). • Alienare beni o contrarre debiti secondo le disposizioni del Capitolo provinciale (SSGG 221). Competenze con il consiglio del Capitolo locale • Stabilire le attività dei Frati tenendo conto delle necessità reali della società, della Chiesa, dell’Ordine e di ogni Frate, salva però la facoltà dei Ministri e dei Guardiani di decidere e comandare quali attività debbano essere scelte e a quali Frati debbano essere affidate (CCGG 112 §2). • Stimolare e pianificare la formazione permanente, così come provvedere ai sussidi necessari secondo gli Statuti (CCGG 137 §3). • Permettere o no l’accettazione di un ufficio o incarico a un Frate da esercitarsi fuori dell’Ordine (CCGG 180). NB. Oltre al consenso o consiglio che deve dare il Capitolo, si deve sempre tener presente quanto stabilito nell’art. 177 delle CCGG: «Anche quando il diritto non prescrive di richiedere il consenso né il consiglio, i Ministri e i Guardiani, per le cose che riguardano la Fraternità, ascoltino volentieri i Frati e, sebbene la decisione in questi casi spetti soltanto a loro, non siano facili a disattendere l’opinione concorde dei Frati». Per assicurare un fedele esercizio del compito del Guardiano e una rigorosa esecuzione delle sue competenze, la nostra legislazione formula alcune richieste e prevede anche alcune pene in caso di inadempienza del suo incarico. C. Altre questioni Richieste Le richieste sono rivolte tanto al Guardiano come a ogni Frate. Richieste al Guardiano • Non assumere incarichi che gli impediscano il dovuto compimento dell’ufficio, né i Ministri glieli impongano (SSGG 203).
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Provvedere in modo che eventuali assenze prolungate, approvate dal Ministro provinciale, non arrechino pregiudizio o disagi ai Frati (SSGG 25 §1). Nel caso che debba allontanarsi dai confini del territorio della sua Fraternità, anche per breve tempo, avvisi colui che di diritto ne deve fare le veci (SSGG 25 §2).
Principali richieste ai Frati • In stretta unione con il guardiano, si sforzino di edificare la Fraternità «come una famiglia unita in Cristo», nella quale prima di ogni altra cosa si cerchi e si ami Dio (CCGG 45 §1). • Dare volentieri il proprio aiuto al Guardiano a cui è stato dato un impegno maggiore. Manifestargli le proprie opinioni e mettere in pratica le sue decisioni con spirito di fede e generosità di cuore (CCGG 45 §3). • Sottomettere la propria volontà a quella del proprio Guardiano «in tutte le cose che promisero al Signore di osservare» (CCGG 7 §1). Pene In quanto alle pene previste per i Guardiani negligenti, si vedano gli artt. 225-227 degli SSGG. D’altra parte è anche previsto che il Frate che insultasse gravemente il suo guardiano o ne disprezzasse pubblicamente i comandi o cospirasse contro la sua autorità, sia punito con pene proporzionate alla gravità della colpa, non esclusa, se sarà il caso, la privazione temporanea di tutti gli uffici e incarichi nell’Ordine; e sia obbligato a dare adeguata soddisfazione (SSGG 224 §2). 3. Ruolo e competenze del Capitolo locale Il diritto comune affida l’istituzione del Capitolo locale al potere discrezionale del diritto proprio (CIC 632). Da parte loro le Costituzioni generali affermano che il Capitolo locale – formato esclusivamente dai Frati professi solenni (CCGG 242) – costituisce il governo “fraterno” della Casa (CCGG 240 §1). E si sottolinea l’espressione “governo fraterno” perché mette in evidenza un compito del capitolo locale che non è strettamente “giuridico”, ma partecipativo e consultivo della potestà ordinaria del Guardiano (CIC 633). Pertanto nel determinare l’ambito della sua “autorità” il diritto proprio non potrà mai dargli un compito che soppianti la potestà ordinaria del Guardiano. E in questa ottica si deve intendere la normativa delle CCGG e degli SSGG. Il compito del Capitolo locale è genericamente chiarito nel modo seguente: • Valutare, soprattutto attraverso il dialogo, e scegliere, con criterio comune, le iniziative da programmare; stimolare la concordia e l’attiva responsabile cooperazione di tutti, esaminare e valutare gli impegni assunti dalla Fraternità e dai Frati, e trattare gli affari di maggior importanza (CCGG 241). • Organizzare nel modo più adatto la vita domestica per far crescere una Fraternità vera, concreta e intima (CCGG 46). • Trattare le questioni che si riferiscono all’andamento del lavoro, dell’evangelizzazione e della cura pastorale; soprattutto richiedere con sollecitudine relazioni sui singoli lavori per consolidare e accrescere la comunione fraterna (SSGG 30 §2). A partire dal ruolo del Capitolo locale, si deducono una serie di competenze alla cui esecuzione esso agisce, come autorità suprema della casa (raramente) o come organismo di partecipazione con voto deliberativo o consultivo, secondo la potestà ordinaria del Guardiano (nella quasi totalità dei casi ). Come autorità suprema, il capitolo locale interviene
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nella determinazione del tempo e delle altre circostanze della celebrazione eucaristica e della preghiera comunitaria, sia che si tratti della Liturgia delle ore, sia della Parola di Dio e di altre celebrazioni conformi all’indole dell’Ordine (SSGG 8). nella determinazione delle forme di penitenza adattate alle circostanze dei tempi e dei luoghi (SSGG 16). in tutti i casi stabiliti dagli Statuti particolari (SSGG 209 §2).
Come organismo di partecipazione nella potestà ordinaria del Guardiano, e pertanto di sostegno nel compimento delle sue competenze, il Capitolo locale interviene in tutte quelle situazioni già segnalate anteriormente nell’Appendice I, lettera b. (p. ). NB. : Gli SSGG conferiscono al Capitolo locale altri due incombenze a livello provinciale • esprimere il proprio parere sull’ammissione agli Ordini (100 §2); • proporre in modo appropriato al Definitorio provinciale tematiche che ritiene degne di essere studiate nel Capitolo provinciale (148 §1). 4. Conclusione Come conclusione sembra opportuno mettere in evidenza alcune annotazioni conclusive per un corretto e costruttivo esercizio dei ruoli e competenze del Guardiano e del Capitolo locale nella vita di ogni Fraternità. a. In primo luogo non bisogna dimenticare la profonda relazione – insieme di distinzione e di complementarietà – che c’è tra il compito del guardiano e quello del Capitolo locale. • Il Guardiano è il soggetto individuale della “potestas regiminis” ordinaria propria (CIC 131 §§1-2) della Casa (CCGG 175 §3; CIC 608). Invece il Capitolo locale è normalmente un organismo di partecipazione e collaborazione nell’esercizio della “potestas regiminis” del Guardiano (CIC 633; 129 §2). Effettivamente l’art. 175 §3 delle CCGG afferma: «Il Guardiano regge la Casa con potestà ordinaria, da solo o, nei casi determinati dal diritto, con il Capitolo locale o, rispettivamente, con il Discretorio, dove esiste, a norma di queste Costituzioni e degli Statuti». • Se il guardiano «regge la Casa con potestà ordinaria» (CCGG 175 §3), il Capitolo locale «costituisce il “governo fraterno” della casa» (CCGG 240 §1). Qui troviamo la complementarietà tra il compito del Guardiano e il compito del Capitolo locale (come organo di governo, di collaborazione o di consultazione e aiuto). b. D’altra parte al Guardiano viene chiesto “il coraggio di decidere” nell’ambito delle sue competenze prendendosi la responsabilità – anche se gravosa – delle sue decisioni. L’indecisione, i dubbi sono dannosi per la vita della Fraternità. c. Al Guardiano è richiesto anche il superamento della tendenza a rimandare al Ministro provinciale quello che spetta a lui di diritto. e. Infine il Guardiano non deve mai dimenticare la dimensione francescana del carisma dell’autorità, inteso come un servizio fraterno. In questo modo la fedeltà evangelica, francescana e giuridica del Guardiano al suo ruolo garantisce la crescita spirituale e umana della Fraternità che gli è stata affidata dal Signore.
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INDICE PRESENTAZIONE “VOI SIETE TUTTI FRATELLI” SIGLE E ABBREVIAZIONI PRIMA PARTE INTRODUZIONE I. VOCABOLARIO FRANCESCANO DELLA COMUNIONE FRATERNA 1. “Voi siete tutti fratelli” (Rnb 22, 33) 2. Il Signore mi donò dei Frati (Test 14) 3. La forma di vita (Rnb 8, 9) 4. Vivere nell’obbedienza (LOrd 2) 5. Servendo il Signore (cf. Rnb 9,11) 6. Comportarsi spiritualmente (Rnb 16,5) 7. Si chiamino tutti minori (Rnb 6,3) 8. Siano cattolici (Rnb 19,1) SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE II. DALLA VITA COMUNITARIA ALLA VITA FRATERNA IN COMUNITÀ 1. La vita in comunità prima del Concilio Vaticano II 2. La vita fraterna dopo il Concilio Vaticano II SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE III. ORIGINE DELLA FRATERNITÀ 1. Senso e significato degli articoli 38 e 40 delle CCGG 2. Origine teologica della Fraternità 3. Origine umana della Fraternità 4. Conseguenze e difficoltà di questa visione SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE SECONDA PARTE LA FRATERNITÀ FRANCESCANA, DONO E IMPEGNO I. COSTRUIRE LA FRATERNITÀ 1. “Chiamati a costruire la Fraternità” 2. Alla luce delle CCGG 3. Un grande compito 4. Un impegno di tutti 5. Edificare, non distruggere 6. Mediazioni per costruire la Fraternità SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE II. REALTÀ UMANA NELLA FRATERNITÀ 1. Chiamati alla maturità trinitaria 2. Alcuni segni di maturità umana 3. Alcune difficoltà 4. Alcune mediazioni per crescere
111 SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE III. UGUAGLIANZA E DIVERSITÀ 1. La grazia e il dono della diversità 2. La grazia e il compito della uguaglianza 3. Ambiti di uguaglianza e cammino percorso 4. La tentazione secolare e le nuove tentazioni di disuguaglianza 5. Formare per l’uguaglianza nella diversità SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE IV. LA FAMILIARITÀ TRA I FRATI (cf. Rb 6,7). 1. Far crescere l’unione fraterna 2. Cosa si richiede a una vita di comunione fraterna SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE V. LA CORREZIONE FRATERNA 1. La nostra vocazione di Fraternità tra grazia e peccato 2. Frati e Fraternità in crescita 3. Fedeltà vocazionale e correzione fraterna 4. L’ “arte” e modi della correzione fraterna SUGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE VI. I “PREFERITI” DELLA FRATERNITÀ 1. “… Fratelli deboli, anziani, infermi ed altri…” 2. I “preferiti” della Fraternità 3. La verità della Fraternità: i “piccoli” 4. Comportamenti fraterni 5. Ma restano i “casi difficili” SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE VII. FRATI MINORI 1. L’identità espressa dal nome 2. Minori tra di noi 3. Minori rispetto agli altri 4. Le scelte di una Fraternità di minori SUGGERIMENTI PER LA FIFLESSIONE VIII. FRATERNITÀ EVANGELIZZATRICE 1. Una dimensione della nostra vita 2. Lasciarsi evangelizzare 3. Una presenza che irradia 4. Una Fraternità che non cerca se stessa 5. Una Fraternità creativa 6. Una Fraternità responsabile e collaboratrice. 7. Una Fraternità nella Chiesa e nell’Ordine SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE TERZA PARTE ANIMAZIONE DELLA FRATERNITÀ FRANCESCANA I. VITA FRATERNA E ANIMAZIONE DELLA FRATERNITÀ 1. L’animazione è una necessità?
112 2. L’animazione, un disagio ? 3. L’animazione, un dovere! 4. Scegliere di animare insieme la forma di vita. SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE II. VITA FRATERNA E CORRESPONSABILITÀ 1. Dove comincia la corresponsabilità? 2. Fin dove sono responsabile dell’altro? 3. La corresponsabilità, uno stile di vita. 4. Quali comportamenti responsabilizzano? SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE III. I MINISTRI E I GUARDIANI AL SERVIZIO DELL’ANIMAZIONE FRATERNA 1. Il servizio di lavare i piedi 2. Modo francescano di esercitare l’autorità 3. Difficoltà e sfide 4. Importanza dei testimoni SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE IV. VITA FRATERNA E CAPITOLO LOCALE 1. Il Capitolo locale, espressione della vita fraterna 2. Celebrazione del Capitolo locale 3. Diversi ruoli nel Capitolo locale SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE V. VITA FRATERNA E FORMAZIONE PERMANENTE 1. La formazione permanente, un cammino di conversione 2. La formazione permanente, una necessità vitale nella Fraternità SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE VI. LA VITA FRATERNA, LUOGO DI COMUNICAZIONE E DIALOGO 1. Il dialogo 2. Inventare una parola! 3. Imparare a comunicare 4. La Fraternità si dà la parola 5. La pratica: unire testa e cuore 6. La forza delle relazioni SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE VII. DISCERNIMENTO COMUNITARIO 1. Uno stile francescano 2. Sfida personale e comunitaria 3. Discernimento nella Fraternità primitiva 4. Segni positivi e negativi SUGGERIMENTI PER LA RIFLESSIONE APPENDICI I.
IL CAPITOLO LOCALE SECONDO LA NOSTRA LEGISLAZIONE
II. L’IMPEGNO E LE COMPETENZE DEL GUARDIANO E DEL CAPITOLO LOCALE NELLA LEGISLAZIONE DELL’ORDINE
113 1. 2. 3. 4.
Introduzione Ruolo e competenze del Guardiano Ruolo e competenze del Capitolo locale Conclusione
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[Controcopertina-aletta] Sussidi per la formazione permanente pubblicati dal Segretariato generale per la Formazione e gli Studi – La nostra identità francescana. Per una lettura delle Costituzioni generali OFM, Roma 1991. – Lo spirito di orazione e devozione. Temi per approfondire e riflettere, Roma 1996. – “Voi siete tutti fratelli”. Sussidio per la formazione permanente sul capitolo 3° delle Costituzioni generali, Roma 2002. Altri documenti del Segretariato generale per la Formazione e gli Studi – Ratio Formationis Franciscanae, Roma 1992. – La formazione permanente nell’Ordine dei Frati Minori, Roma 1995. – Ratio Studiorum OFM, Roma 2001. – Il Signore mi dona dei fratelli, la Cura Pastorale delle Vocazioni dei Frati Minori verso il futuro, Roma 2000. – Orientamenti per la Cura Pastorale delle Vocazioni. “Venite e vedrete”, Roma, 2002.