www.lionsclubaurelium.org Num 7 Aprile 2015
Distretto 108 L
Visita Villa Farnesina
pere-daca ovvero l’etica lionistica di Francesco Lomonaco
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on riesco a comprendere quale perverso e contagioso virus si sia impossessato del nostro Distretto per giustificare la patologia che sembra abbia colpito la morale e l’applicazione pratica della nostra etica e degli scopi, che ogni socio ha il dovere di osservare. Tutti noi ben sappiamo che nell’Associazione si entra per cooptazione, per chiamata diretta, perché il presentatore ritiene che il suo figlioccio abbia le caratteristiche personali, per sposare in toto l’etica e gli scopi del Lionismo ed il desiderio e la volontà di applicarli nei comportamenti di vita quotidiani. Nell'acronimo da me coniato: PERE-DACA, sono racchiusi gli otto punti del Codice dell'Etica Lionistica, che noi Lions dovremmo conoscere a memoria e che all'inizio delle nostre conviviali leggiamo per rinverdirli mnemonicamente e per ricordarci che la loro applicazione è per noi un impegno. E' talmente importante l'osservanza dell'Etica e degli Scopi che al momento della investitura a socio, nella formula del giuramento è riportato: “dichiaro di adoperarmi al fine di attenermi al Codice dell'Etica ed agli Scopi del Lions Clubs International”. La lettera “P” dell'acronimo racchiude la massima etica: “Perseguire il successo, domandare le giuste retribuzioni e conseguire i giusti profitti senza pregiudicare la dignità e l'onore con atti sleali e con azioni meno che corrette”; la lettera “R”, aggiunge: “Ricordare che, nello svolgere la propria attività, non si deve danneggiare quella degli altri, essere leali con tutti, sinceri con se stessi”. Proprio queste due regole sembrano essere state maggiormente colpite dal virus che sembra stia disintegrando l'etica lionistica ed obnubila il comportamento dei volontari del lionismo che ne vengono contagiati. Immaginate che io sottoscritto copi da internet un articolo e lo riproduca su questa rivista appropriandomene, apponendo la mia firma, come se ne fossi l'autore; non pensereste che avrei fatto un'azione irrilevante o addirittura di routine giustificata dal fatto che: “lo fanno tutti !” . Certamente no. Avrei contravvenuto alle leggi dello Stato che tutelano il diritto d'autore, compresi gli elaborati pubblicati su internet, e che perseguono anche penalmente i trasgressori. Infatti secondo lo Studio Legale Online con studi a Roma e Milano: “Ogni forma di testo, anche breve, è tutelata dalla normativa sul diritto d'autore e non può essere copiata, riprodotta (anche in altri formati o su supporti diversi), né tanto meno è possibile appropriarsi della sua paternità. L'unica eccezione prevista dalla legge (art. 70 l. 633/41) è quella di consentire il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o parti di opere letterarie (ma non l'intera opera, o una parte compiuta di essa) a scopo di studio, discussione, documentazione o insegnamento, purché vengano citati l'autore e la fonte, e non si agisca a scopo di lucro, sempre che tali citazioni non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera stessa. Solo in questa particolare ipotesi si può agire senza il consenso dell'autore.” Ed ancora, citando sempre Lo Studio Legale Online: “ogni opera dell'ingegno presente su Internet appartiene al proprio autore e non è possibile copiarla o beneficiarne in alcun modo senza il consenso esplicito dello stesso autore, che ne autorizzi - magari regolamentandolo - l'utilizzo. L'indicazione del copyright che si trova in molti siti (completa di nome dell'autore o del titolare dei diritti economici, nonché della data) rafforza e rende esplicita la protezione dell'opera, ma anche in mancanza non ci si deve sentire autorizzati a copiare o Aurelium Magazine
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riprodurre parti delle opere che si trovano sulla rete, considerato pure che, per individuare chi copia, basta un semplice motore di ricerca.”. Oltre alle responsabilità civili e penali per l'inopportuno esercizio di copiato, avrei comunque contravvenuto al precetto Etico sopra richiamato perché avrei “pregiudicato la dignità e l'onore con atti sleali ed azioni meno che corrette” coinvolgendo negativamente in detto comportamento anche l'Associazione. Altro esempio. Immaginate che io sottoscritto, presidente di una onlus per attività in favore di giovani diversamente abili, utilizzi i fondi istituzionali a mia disposizione, compresi quelli rivenienti dal contributo statale, per sostenere spese non autorizzate e non pertinenti con l'attività statutaria della onlus; in questo caso pensereste che dovrei rifondere le somme male impiegate e che avrei violato l'Etica di cui alla suddetta lettera “R” dell'acronimo sopra richiamato, “Ricordare che, nello svolgere la propria attività, non si deve danneggiare quella degli altri,...”, per aver danneggiato i giovani assistiti dalla onlus sottraendo loro risorse finanziarie. In entrambi gli esempi, inoltre, sarebbe stata violata anche l'altra massima Etica ricompresa nell'acronimo sotto la lettera “A”: “Avere sempre presenti i doveri del cittadino verso la Patria, lo Stato, la comunità nella quale ciascuno vive; prestare loro con lealtà sentimenti, opere, lavoro, tempo e denaro.” Per concludere io credo che se si verificassero nel Distretto gli episodi sopra riportati, che per quanto mi riguarda sono solo a puro titolo esemplificativo, il Governatore in carica dovrebbe richiedere l'immediata esclusione del socio o dei soci irrispettosi dell'Etica e degli Scopi del Lionismo, ove non vi provvedano i Clubs di appartenenza. Evitiamo di far cadere i nostri principi etici come delle pere, vanificandone l'alto significato. Solo la rigida applicazione dell'art. 6/15 dello Statuto del Distretto costituirebbe la giusta terapia per estirpare il virus e fare prevenzione contro eventuali altri focolai nascosti.
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VISITA AL MUSEO TIPOLOGICO INTERNAZIONALE DEL PRESEPIO di Donato Manzaro
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osta nel calendario dell’annata dal nostro Presidente Francesco Lomonaco, suggeritrice nonché organizzatrice dell’evento la dr.ssa Donatella Liccardi Medici, figlia del nostro socio Ernesto, si è realizzata la visita al Museo Tipologico Internazionale del Presepio in Roma Via Tor de’ Conti, 31/a. Accolti dal Presidente dell’Associazione Italiana Amici del Presepio (A.I.A.P) Sig. Alberto Finizio, dal Vice Presidente Sig. Roberto Fabrizi e dalla gentilissima Sig.ra Antonella Salvatori, Consigliere Curatrice del Museo Tipologico Internazionale del Presepio, abbiamo avuto modo di conoscere l’Associazione, fondata a Roma nel 1953, che riunisce gli appassionati del Presepio di tutta Italia (conta alcune migliaia di iscritti) con lo scopo di mantenere viva la tradizione del Presepio promuovendo la conservazione e la salvaguardia di Presepi storici e moderni. L’Associazione è sede della Segreteria Internazionale dell’Universalis Foederatio Praesepistica che riunisce circa venti Associazioni presepistiche nazionali europee ed extra-europee; promuove e coltiva relazioni con Associazioni ed Enti similari, anche esteri, mediante scambi reciproci di notizie e pubblicazioni e la partecipazione a congressi e convegni internazionali; organizza un Convegno annuale a livello nazionale; allestisce mostre e Presepi scenografici ed artistici in Italia ed all’estero. Per il raggiungimento delle finalità statutarie, l’Associazione, tra l’altro, patrocina e promuove mostre, concorsi, pubblicazioni, conferenze ed altre iniziative inerenti il Presepio; pubblica la rivista trimestrale “Il Presepio” che, oltre alla re-
lazione sulle attività associative, riporta notizie di tecnica, storia, bibliografia, manifestazioni ecc.; gestisce il sito www.presepio.it con informazioni su storia, tecnica, bibliografia e attualità sul Presepio; tiene presso la propria sede e in quelle delle sezioni locali corsi gratuiti teorico-pratici di tecnica costruttiva presepistica. L’Associazione gestisce presso la propria sede nazionale in Roma Via Tor de’ Conti il Museo Tipologico Internazionale del Presepio “Angelo Stefanucci” che occupa circa trecento mq dei locali sottostanti la Chiesa dei Ss. Quirico e Giulitta, ai Fori Imperiali. Non è mancata l’occasione ai nostri anfitrioni per illustrarci la storia di questa bellissima chiesa, nota forse, più ai turisti che ai romani; ha origini antiche (VI secolo) e recenti scavi hanno posto in luce che inizialmente era dedicata ai Santi Martiri Stefano e Lorenzo ed aveva un orientamento inverso da quello attuale, l'abside era là dove ora è la facciata; i restauri apportati alla fine del XV secolo e nel 1584 invertirono il suo orientamento, il campaniletto medievale fu conservato ed oggi è inglobato all'interno dell'edificio adiacente (ex convento, oggi Hotel Forum). Nuovi restauri si ebbero all'inizio del XVII secolo quando papa Paolo V la fece rialzare di circa quattro metri per preservarla dall'umidità e dalle inondazioni del Tevere. La facciata del XVIII secolo, particolarmente slanciata, è suddivisa in due ordini da un alto cornicione sul quale si legge l’iscrizione “SS MM QUIRICO ET IULITTAE DICATUM” San Quirico e Santa Giulitta, martiri del IV secolo, vantano uno dei racconti
(o leggende?) divenuti più popolari nei primi secoli del Cristianesimo. Ha per protagonista un piccolo bambino, di tre anni (forse quattro) e sua madre, una matrona di stirpe regale di Iconio (Konya) in Licaonia, regione centrale dell'attuale Turchia. Allo scoppio violento della persecuzione di Diocleziano nei primi anni del IV secolo, infierendo in Licaonia la caccia ai cristiani, Giulitta, rimasta vedova e pensando verosimilmente alla salvezza del suo bambino più che a se stessa lasciò la sua città e i suoi averi per scendere con due ancelle verso Seleucia nell'Isauria e successivamente a Tarso nella Cilicia. La condotta e gli atteggiamenti di Giulitta furono notati e presto divenne palese a tutti la sua vera ispirazione. Giulitta venne così denunciata come cristiana. In quegli stessi giorni il governatore dell'Isauria, Alessandro, aveva ricevuto l'incarico speciale di recarsi a Tarso per fare eseguire anche colà gli editti imperiali. Giulitta, la cui reputazione era già nota ad Alessandro, venne per suo ordine raggiunta e tratta in arresto. Ella non volendo separarsi dal suo bambino si lasciò tradurre davanti all'implacabile governatore tenendosi in braccio il piccolo Quirico. Alessandro interroga a lungo la donna domandandole il nome, la condizione e la patria, ma ne ottiene una sola risposta: 'Io sono cristiana'. Le viene imposto di sacrificare agli dèi e Giulitta si rifiuta. Alessandro ne è talmente irritato che, fattole strappare dalle braccia il figliuolo, la fa mettere alla tortura. Narra la tradizione che il tenero Quirico Aurelium Magazine
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sentendo la madre che in mezzo ai tormenti gridava 'Io sono cristiana' ripeteva egli pure 'Io sono cristiano'. Il governatore Alessandro tolto il fanciullo alla madre lo teneva sulle sue ginocchia ma, per quanti sforzi facesse per distogliere gli occhi del fanciullo dal guardar la madre, il piccolo continuava a tenere gli occhi rivolti verso di lei ed a gridare 'Io sono cristiano'; non fu possibile fargli dire altra parola. Alessandro attratto anche dall'avvenenza del fanciullo gli faceva carezze e se lo accostò per baciarlo; ma il fanciullo gli respingeva il capo colle sue tenere mani e secondando i movimenti naturali e propri della sua età si sforzava di sottrarglisi graffiandogli il viso e puntandogli i piedi nel ventre. Finché Alessandro adirato e fuori di sé, per un impeto di brutalità, prese per un piede il piccolo Quirico e dall'alto della gradinata marmorea su cui stava il suo seggio lo scagliò furente al suolo dinanzi agli occhi della madre. Urtando sui gradini del tribunale la vittima innocente si sfracellò il capo e tutto il pavimento all'intorno fu bagnato del suo sangue. La madre, Giulitta, davanti a quello straziante e raccapricciante spettacolo non fece che ringraziare il Signore per aver preso l'anima del figlio nella gloria del Paradiso. Poi anch'essa, inutilmente appesa, scorticata, coperta di pece bollente, fu condannata alla decapitazione e il suo corpo fu gettato fuori città con quello del suo figliolo. L'indomani le due ancelle rilevarono i due corpi durante la notte e li seppellirono. Quando, con l'impero di Costantino, giunse anche per i Cristiani la pace e la sicurezza una delle ancelle, che era sopravissuta, poté indicare ai fedeli di Tarso il luogo dove erano state raccolte le spoglie del piccolo Quirico e di Giulitta ed ebbe così inizio, con l'affermarsi della popolarità della loro storia, la tenera devozione per i due Santi 6 Aurelium Magazine
Martiri. Il Museo Tipologico Internazionale del Presepio nacque nel 1967 grazie all’allora Presidente e fondatore dell’Associazione Angelo Stefanucci che donò gran parte della sua raccolta di presepi di tutto il mondo; intorno a quel primo nucleo di opere col tempo si sono raccolte centinaia di presepi, alcuni acquistati e altri donati dagli autori, da privati o da istituzioni pubbliche e private.
Insediatosi ad un livello sottostante alla chiesa, oggi all’ingresso del Museo è visibile la piccola abside affrescata della originaria Chiesa protocristiana (VIVII sec). Il Museo raccoglie presepi, anche scenografici, e figure di notevole pregio storico e artistico: più di 3.000 pezzi provenienti da tutte le regioni italiane e da decine di nazioni, offrono una panoramica ampia ed esaustiva sulle varie
interpretazioni ed ambientazioni della Natività oltre ad una esemplificazione dei materiali che possono essere utilizzati. Sono esposti presepi rappresentativi delle migliori firme del settore, in cartapesta leccese, terracotta siciliana, legno, ceramica, vetro, madreperla, pietra, carbone, panno, marzapane, uova, foglie di mais ecc., oltre ad alcune statue napoletane dei secoli XVIII e XIX. Tra i pezzi più antichi, un presepio costruito con piccole conchiglie (Sicilia – Sec. XVII), un Gesù Bambino in avorio (Sec. XVII), una serie di statue di scuola bolognese (Sec. XVIII). Tra i presepi scenografici da citare, oltre ad un grande presepio in stile settecentesco napoletano, diverse opere della scuola catalana del gesso, nonché dei più noti “Maestri” del presepio italiani e stranieri. Annesse al Museo sono consultabili a richiesta una ampia biblioteca a tema presepistico e una raccolta di videocassette e DVD su mostre, corsi di tecnica, storia del presepio. Nei locali del Museo vengono organizzate conferenze sul presepio e, ogni anno nel mese di ottobre, corsi di Tecnica Presepistica, tenuti da qualificati maestri. La domenica di febbraio, assolata ancorché fredda, ha favorito la presenza di un consistente numero di soci del club, con le loro signore, ed amici del L.C. Roma Capitolium e del Roma Amicitia, che hanno colto l’occasione per ammirare una delle tante perle che la Capitale nasconde nel suo grembo.
cercasi soci! di PDG Mario Paolini
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n questi ultimi anni ci siamo assunti un grosso impegno da tutti trattato nelle più svariate circostanze d’incontro: la crescita associativa. A partire dalla Sede Centrale fino ai vari Direttori Internazionali, dai Governatori all’ultimo socio, i Lions hanno dissertato e continuano a dissertare su un argomento diventato prioritario: fare soci! Molti Governatori sembrano avere una sola preoccupazione, un solo scopo: accrescere il numero dei soci! Chi ha qualche anno di appartenenza alla nostra Associazione ricorderà che questa problematica non è proprio nuova e che ritorna alla ribalta quasi in maniera ciclica. E’ vero, siamo in crisi numerica da alcuni anni e, nonostante la discesa in campo del GLT, del GMT e del CEP, presenti in verità già da qualche tempo, non sembra che la situazione sia cambiata. Tutti gli sforzi finora fatti per cambiare questo trend negativo non hanno sortito alcun effetto. E noi seguitiamo a parlarne, a discutere di possibili rimedi, a dissertare su soluzioni: siamo i professori della parola e dei rimedi fatti sulla carta. Mi piacerebbe che ci soffermassimo per un attimo a riflettere che il lionismo, a mio modo di vedere, non è fatto di sole parole ma, direi principalmente, di fatti: sono i fatti che ci dovrebbero contraddistinguere, sono gli esempi che diamo con i nostri interventi a favore di chi ha bisogno; in tal modo mostreremmo la nostra immagine che costituisce l’elemento essenziale per avere un riscontro di interesse nel mondo che ci circonda e rappresenta una forte spinta per attirare soci. La società cambia velocemente e il contesto in cui si muove non è certo un’esaltazione dei valori; tutto ciò ha
avuto, come conseguenza, una crisi dell’associazionismo; c’è bisogno di esempi in cui specchiarsi, in cui credere, e noi abbiamo capacità e forza per inserirci in questo contesto sociale come esempio di altruismo, di solidarietà, di preparazione, di moralità. Per fare ciò è indispensabile ritrovare quella strada virtuale che ci ha contraddistinto: occorre cioè recuperare l’elitarietà di un tempo, quella dei Taranto, dei de Tullio, dei Cesarotti, Lions che hanno fatto la storia del nostro Distretto e non solo. Abbiamo bisogno di un lionismo operativo che vada in mezzo alla gente, che sia attento ai suoi bisogni e che li faccia propri perché questo è l’essenza della nostra associazione. Basta parlarsi addosso! Diamo spazio ai fatti, perché è lì che si costruisce la nostra credibilità. La nostra voce sarà sempre più recepita quanto più incisivi saranno i nostri services e quanto meno polverizzate saranno le nostre iniziative a vantaggio della comunità. Basta con gli interventi a pioggia, dispersivi, deludenti, che non fanno presa sulla gente. Abbiamo bisogno di fare qualcosa di ben più vasta portata e importanza per accrescere la nostra immagine e contribuire ad attirare nuovi soci nei nostri club. Questo attivismo d’altra parte deve essere accompagnato da quei valori umani che ci dovrebbero contraddistinguere. Abbiamo le potenzialità per essere di esempio alla società; quando però i nostri soci dimostrano di non avere spirito di servizio e di lealtà, quando vivono di personalismi e di mancanza di dignità e di rispetto, quale immagine diamo di noi stessi? Nelle nostre fila, purtroppo, sono presenti questo tipo di
soci! Cosa dire, ad esempio, di quelli che non avendo raggiunto all’interno del proprio club determinate “soddisfazioni di carriera lionistica”, danno vita ad un club lions pur di ottenere quegli incarichi che potranno permetter loro di aspirare a successivi riconoscimenti all’interno del Distretto. Se questi sono i nostri soci, quale riscontro di immagine potremmo avere nella società nonostante il nostro attivismo operativo? Chi potrà darci credito? Chi potrà entrare nei nostri club? Come potremo accrescere il numero dei soci nonostante gli sforzi del GLT, GMT, CEP e quant’altro? Qualcuno riusciremo forse a cooptarlo, ma se i nostri soci non hanno quei valori che ci dovrebbero caratterizzare e a cui sopra facevo cenno, quale esempio possiamo dare ai possibili futuri soci? E questi ultimi, qualora entrassero, che tipo di soci sarebbero? Trattasi di un giro vizioso che non porta a nulla! Abbiamo un cammino virtuoso da seguire che è quello tracciato dalla nostra Etica e dai nostri Scopi: mettiamo in campo i nostri valori di serietà, onestà, solidarietà, dignità, amicizia, appartenenza, correttezza, lealtà, spirito di servizio, sussidiarietà, entusiasmo, impegno, professionalità, altruismo, intelligenza, valori che dovrebbero essere la nostra pecularità, indispensabili per evitare la deriva dei principi in atto nella società. Solo mostrando chi realmente siamo, ciò che siamo capaci di fare e come lo facciamo potremo attirare nuovi soci e superare finalmente questo momento di crisi numerica.
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BOLLE DI SAPONE di Enzo Maggi
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robabilmente, se Costantino, in quel lontano 28 ottobre (!!!) del 312 d.C., dopo aver dato una prima legnata alle truppe di Massenzio in quella località oggi nota come “Saxa Rubra”, non solo per le sue rocce di tufo rossastro ma, come asseriscono alcuni storici, anche per il sangue versato dai combattenti, nel dirigersi verso Roma per concludere definitivamente la controversia nei pressi di Ponte Milvio, percorrendo la Via Flaminia avesse attraversato un borgo dolcemente adagiato su di una piccola collinetta, immerso nel verde e allietato da un rustico ristorante caldo e accogliente dove ritemprare membra e stomaco, oggi potremmo leggere una storia diversa: Massenzio l’avrebbe scampata e forse sarebbe diventato lui l’imperatore; Costantino, sazio e leggermente brillo, si sarebbe chiesto: “Ma chi me lo fa’ fare?”, non avrebbe visto la Croce che lo tranquillizzava, e forse oggi noi romani avremmo praticato un’altra religione. Ma così non poteva accadere: il borgo, che oggi ci si presenta con tutte le sue meraviglie, pur essendo antico, a quei tempi ancora non esisteva, per sfortuna di Massenzio e per buona sorte di Costantino. E anche per fortuna nostra e di tutti quelli che prediligono la tranquillità, il silenzio irreale a poca distanza dal rumoroso infernale traffico della Via Flaminia, la calda accoglienza di un ambiente rustico e incontaminato, suggestivo nel suo rispetto delle strutture originarie. E per ultimo, ma non ultimo, la certezza di gustare una cucina tradizionale, lontana da quella “nouvelle cousine”, oggi tanto di moda! Questo è il luogo scelto dal nostro Pre8 Aurelium Magazine
sidente Lomonaco, il Casale di Tor di Quinto, per far trascorrere a noi soci dell’Aurelium, insieme agli amici del Club Roma Amicitia, una divertente serata di un carnevale ormai declinante - venerdì 13 febbraio -, al tenue languido chiarore di vecchi lampadari a candela e allietata da uno spettacolo leggero e intrigante: le bolle di sapone di Mago Paolo. Incantato, come tutti i presenti, da quel turbinio di bolle di sapone che scaturivano da un qualsiasi oggetto che avesse un foro da cui fuoriuscire e indifferenti a tutte le manipolazioni e le strattonate alle quali venivano sottoposte, nel corso della stupefacente esibizione di Mago Paolo più di una volta mi ero chiesto perché invece quelle che, sgocciolanti come la bocca di un cane affannato da una lunga corsa, scaturivano dalla legnosa cannuccia di sambuco, svuotata della pastosa anima e imboccata dallo scrivente, resistevano lo spazio di qualche secondo per poi scoppiare con un silenzioso “plop” e andare a raggiungere, con triste caduta, la goccia che le aveva nel frattempo abbandonate, contribuendo a rendere sempre più intriso di acqua il pavimento e sempre più inferocita la mamma, alla quale si prospettava un supplemento di passaggio di straccio da terra per l’asciugatura. Oltre questo non veniva fuori da quella brodaglia lattiginosa che fluttuava nella tazza più sbocconcellata che la casa offriva, ottenuta aspettando pazientemente che i pezzetti del sapone da bucato che avevi messo a mollo si sciogliessero, agevolandone la decomposizione soffiando dentro la tazza con la cannuccia, con il risultato che la schiuma
cominciava a debordare con una tale abbondanza che perdevi di vista il liquido sottostante. E iniziavi a provare e riprovare se il “brodo” era pronto, facendo soltanto sgocciolare la cannuccia e dando inizio all’inondazione. Oggi è cambiato tutto, grazie all’invenzione del detersivo liquido per piatti, affatto sconosciuto ai miei tempi e sostituito allora da abbondante acqua calda, con l’aggiunta di un po’ di bicarbonato di sodio. Ma per arrivare alla formula odierna ce n’è voluto di tempo: sicuramente la questione deve aver affascinato più di un valente ricercatore, motivato dal pressante desiderio di risolvere ardue problematiche, non tanto domestiche quanto invece ludiche, sia pure eteree e fugaci. E non soltanto tempo, ma anche prove su prove, ripetuti tentativi, studi importanti per arrivare a concludere che il “brodo” appropriato si poteva ottenere aggiungendo all’acqua non il sapone da bucato, ma il più maneggevole detersivo liquido per piatti assieme ad altri ingredienti e accorgimenti che, leggendo la ricetta, mi hanno stupito per la genialità con la quale sono stati individuati. Innanzi tutto l’acqua deve essere distillata: noi la si conosceva un po’ per sentito dire, un po’ perché concretamente veniva utilizzata per irrorare le stanche ed esauste batterie dell’automobile. Nel suddetto liquido si deve versare un calibrato quantitativo di zucchero o di miele, alimenti ai miei tempi talmente a portata di tasca e di mano da dover essere stati i primi ad essere razionati all’inizio del secondo conflitto mondiale! E infine un altrettanto calibrato quantitativo di glicerina, per il cui uso di allora e odierno no comment!
E non finisce qui: alla stregua di un panettone, la miscela deve essere lasciata riposare per almeno tre giorni, dopo i quali aggiungere un altro quantitativo di zucchero e, se si desidera ottenere bolle che per la loro resistenza assomiglino ad un pallone di basket o ad una pallina da tennis, occorre aggiungere altro detersivo e altro zucchero. Arrivati a questo punto, se mi fossi avventurato nella procedura canonica, a me sarebbe venuta voglia di dare una assaggiatina alla quasi melassa che stava fluttuando pigramente nel contenitore, magari con il rischio di soffocarmi per lo schifo.Et voilà! Tutto è pronto: non resta che soffiare oppure agitare in aria un cerchio più o meno ampio e iniziare a stupire il pubblico. Forse in casa, a parte la mamma sempre più perplessa, soltanto il cane ci presterebbe un po’ di attenzione, tentando di incocciare con l’umido naso la bolla che ondeggia pigramente in aria, riflettendo luci e cose; il gatto, con il suo superbo distacco, si limiterebbe ad uno sguardo tra l’indifferente e il compatimento. Invece l’abilissimo Mago Paolo, la sera di venerdì 13 febbraio davanti agli amici soci dell’Aurelium, piacevolmente seduti a tavola gomito a gomito con gli amici del Club Roma Amicitia, è riuscito a catturare l’attenzione e la stupore di tutti i presenti, maneggiando con perizia e inventiva il miscuglio che il vostro cronista ha voluto con tenue ironia ricordare nella sua evoluzione. Anche se per molti lo spettacolo non costituiva una novità, avendo trovato spazio anche in qualche trasmissione televisiva, ancora una volta ha stupito la disinvoltura con la quale Mago Paolo alternava canne, cannucce, cerchi più o meno ampi, per-
sino semplicemente le mani, per trasformare qualche goccia di saponoso liquido in bolle, minuscole o enormi, con le quali si divertiva facendole rimbalzare sulle dita a suo piacimento, schiaffeggiandole, violandone l’interno con una strana siringa che emetteva fumo o per farne nascere un’altra bolla; addirittura, con un finale in crescendo e con l’ammirazione dei presenti, costruendo attorno alla sua persona una specie di cabina trasparente e fluttuante Comunque tutte le bolle di sapone, ar-
tigianali o sofisticate, infantili o mature che siano, sono destinate a scoppiare: possono resistere più o meno, ma la loro fine è segnata. Si diversificano soltanto nei sogni e nei disegni che riescono ad evocare. Quelle che oscillanti si affacciavano all’estremità della cannuccia al trepidante soffio di noi adolescenti, con la loro luminosa evanescenza e il colorato riflesso del mondo circostante, ci facevano sognare future avventure e speravamo che ci avrebbero accompagnato con il loro etereo volo nella nostra esistenza,
rendendola lieve e spensierata: per questo ci si sforzava di crearle sempre più grandi, augurandosi che la loro vita durasse il più possibile. Ed è inutile negare che il loro rapido inevitabile “plop” ci rendeva tristi, quasi ci si rimproverava di aver fallito, di non essere stati bravi e concentrati sugli obiettivi da raggiungere, anche se vaticinati da una semplice bolla di sapone. Purtroppo il decorso degli anni avrebbe in molti casi smentito vaticinio e sogni! Però si deve essere sempre in grado di fare altre bolle di sapone. Comunque nella nostra vita spesse volte ci capita di incontrare persone, talvolta anche a noi molto vicine, le quali dalla pedana che precariamente occupano per mandato ricevuto, facendo ricorso alla pasticciata ricetta per le bolle da spettacolo, presumono di crearne sempre più resistenti e durature, maneggiandole a proprio piacimento, schiaffeggiandole con la sottintesa inespressa intenzione di schiaffeggiare coloro che, a suo giudizio fastidiosamente, condividono il suo impegno, riempiendole con il fumo delle sue idee o con riserve mentali, facendosene scudo e vetrina per menzognere promesse, specchietto luminescente per le ingenue allodole che gli hanno dato credito. Tutto ciò per maggiormente accreditarsi come “salvatori della patria”. E allora torna pressante il desiderio di recuperare quel perduto candore con il quale soffiavamo in una cannuccia di sambuco per crearci innocenti illusorie attese, anche se consci che il contenitore dei nostri sogni tra breve avrebbe fatto “plop”.
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sull’amore di Adriana Mascaro
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n questo anno lionistico 2014-2015 e' sorto un nuovo comitato di cui sono coordinatrice:"Solidarieta' e Sollievo".Lo scopo e' quello di offrire un supporto diretto ad enti,e diretto a persone,le cui condizioni di salute siano causa di solitudine,isolamento,dolore fisico e psichico.Come e' possibile attuare questo?Creando tra i soci Lions che condividono il motto " We serve" una sensibilizzazione ed una cultura del cosiddetto "SOLLIEVO". Ci sono tanti modi per dare sollievo in qualsiasi situazione,ma nel caso di una persona anziana,o malata,o fragile e sola il sollievo non va inteso come negazione definitiva del dolore fisico,ma come sostegno sollecito ed amorevole dal dolore fisico,psicologico,spirituale.Da due mesi,con la dott.ssa Marinella Cellai che ha 30 anni di esperienza,stiamo portando avanti un corso Lions(a cui hanno aderito soci di vari clubs) di formazione;sono stati in primis analizzati i limiti e le differenze tra fare volontariato ed essere volontari.Nel primo caso si rientra nel concetto di amore universale,senza emozione,che consiste nel fare il bene del prossimo in tutte le sue sfumature,dalla gentilezza verso i vicini all' impegno socio politico,alla solidarieta' per i piu' sfortunati.Nel secondo caso,c'e' il coinvolgimento,l'ascolto,la comunicazione,il sentire di dover donare con la prudenza,la costanza,il senso del limite,evitando di prendere possesso della persona fragile.Mi piace riportare questa frase dello scrittore Kundera: "nella trama che forma la tela sulla quale si sostiene una relazione d'aiuto, c'e' un filo essenziale per l'unita' del tessuto:il filo della comunicazione.Un filo che ci richiama 10 Aurelium Magazine
il cauto procedere dell'equilibrista che ci si avventura sopra."Ebbene ,e' proprio un percorso da equilibristi quello che affrontiamo ogni volta che ci apprestiamo a stabilire una comunicazione efficace con le persone fragili.Ogni persona infatti e' unica e per stabilire una comunicazione che consenta un proficuo scambio di emozioni e' necessario trovare il giusto canale.C'e' la comunicazione non verbale che ci aiuta a capire cio' che la persona malata o fragile vuole e non sa o non riesce a dirci.Anche la comunicazione attraverso il contatto e' preziosa,non solo quando le parole non sono piu' utilizzabili,ma anche quando la persona non riesce ad esprimere le sue emozioni.Toccare la persona nel modo giusto puo' farla sentire accompagnata" nell'attraversamento di un ponte".Poi c'e' la comunicazione attraverso il silenzio ,che puo' essere intenso e significativo ed implica la presenza vera dell'altro.Un essere umano affronta una malattia grave o la morte con piu' serenita' se e' supportato da affetto,vicinanza,e non viene lasciato solo.Dice il filosofo Sartre:prima di essere amati eravamo inquieti,per questa protuberanza ingiustificata che era la nostra esistenza.E' questo il senso della gioia d'amore:sentirci giustificati di esistere.Ma AMOREAMARE,solo5 lettere per questa parola, che ha un'immensita' di significati,che puo' essere intesa o malintesa con tanta elasticita' che puo' procurare una gioia infinita o un dolore da morirne.Amore(Eros)Filia(amicizia)Agape( benevolenza verso il prossimo,la famiglia,amore universale).Quanti tipi di amore vengono generati a seconda della dimensione del nostro essere che entra
in gioco!Ma con tutte queste definizioni e significati,spesso l'interpretazione non e' che il riflesso di pesanti condizionamenti ideologici ,che la cultura,la politica,la religione,la pubblicita' commerciale,la moda, creano per i propri scopi.Facendo un excursus nella storia del pensiero e nella letteratura,ricordiamo che Platone parla dell'Eros come unione dei corpi,indispensabile per raggiungere la contemplazione del "bello" e del "vero".Per S. Agostino amando troviamo Dio,per S.Tommaso ogni bellezza e' lo splendore divino che attraversa i corpi ed amando intravediamo la luce di Dio.I poeti provenzali del dodicesimo secolo si chiedevano: e' giusto servirsi dell'altro per raggiungere il sia pur nobile scopo di comprendere il bello,ovvero Dio?Poi c'e' stata l'irrisolta problematica petrarchesca divisa tra la terra ed il cielo,in antitesi quasi inconciliabile,e poi di tutte le convoluzioni tormentose della modernita' nelle quali ancora oggi ci troviamo.Nel 1968 ricordo che leggevo Reich e Marcuse(Eros e civilta') perche' hanno segnato uno spartiacque ,promuovendo la liberazione sessuale e semplificando il problema.Mi spaventa questa parola AMORE per la sua grandezza,ma mi riempie.Ricordo quanto spesso mi ha esaltata,svuotata,prosciugata,sfinita,negli anni.Mi viene voglia di fare un viaggio dentro questa parola che immagino senza confini.Quante volte l'amore e' solo sinonimo di possesso,mi viene in mente la sanguisuga.Mi ricordo dagli studi classici ai tempi del liceo,che la poesia lirica da Saffo a Catullo,ai provenzali,agli stilnovisti,Petrarca etc.,ha sempre messo in primo piano il soggetto e l'emotività individuale.Il soggetto e'
da sempre il problema attorno al quale gira tutto il pensiero dell'occidente. L'individualismo e' il perno dell'intera civilta'occidentale.In realta' esasperando l'individualismo non si puo' che essere condotti alla sofferenza.Freud riconosce che fonte di ogni problema dell'individuo e' la costruzione del super-Io; cioe' di un livello di coscienza che rappresenta solo un io costruito,destinato a reprimere sempre piu' nel profondo la vera essenza di un individuo: un livello cosi' profondo e segregato della coscienza,costituito da tutte quelle istanze vitali che senza rendercene conto,sono destinate a divenire l'origine maligna di tutti i tormenti e le inquietudini inspiegabili, di tutti i desideri frustrati, di tutta la sofferenza esistenziale dell'individuo ,fino alla nevrosi che si manifesta con ansia,depressione,isteria,oppure alla morte della coscienza.In oriente invece,questo aspetto e' meno accentuato,dal momento che l'io e' visto in termini negativi.Sia l'Induismo che il Buddismo ed il Taoismo vedono nel soggetto una devianza alla quale porre rimedio.Secondo questa visione,il soggetto e' inevitabilmente legato alla sofferenza esistenziale e quindi,finche' non si libera da se stesso,non puo' neanche liberarsi della sofferenza che gli e'inerente.Mi viene da pensare al mondo nella sua asprezza,durezza; quante cose orribili ho visto nella mia professione di medico!Porsi davanti ad un reparto di oncologia infantile e guardare i bambini senza capelli; porsi davanti ad un ospizio e guardare il disfacimento dei corpi e delle menti; pensare a chi nasce gravato dall'handicap per un'anomalia genetica; pensare agli incidenti,le fatalita',le disparita' sociali che producono miseria,ignoranza,cattiveria; pensare all'ignoranza,alla stupidita',alla violenza,all'orrore che tanta gente e'capace di attuare.C'e' un'immensa fatica diffusa in tutte le cose,un abisso di sofferenza che ci porterebbe a disprezzare il mondo,provare avversione,noncuranza,distacco.Ma da medico ho avuto anche modo di vivere varie esperienze d'amore diverso
dai normali amori che incontriamo nella nostra vita: l'amore che solo qualcuno e' capace di offrire ad una persona amata che sta percorrendo il suo ultimo tratto di vita.Un amore totale,caldo come il sole che scalda la terra,nutriente come il latte materno,avvolgente come un mantello.A volte ho visto in una stanza un marito vicino ad una moglie,una sorella vicino ad un fratello e questa per me e' stata un'esperienza totale,che mi e' entrata dentro e mi ha permesso di sbirciare in quel luogo dove l'anima umana raggiunge il massimo della sua altezza.Ma da dove viene l'amore dice Lucio Dalla in quella bellissima canzone " Le rondini" ed ancora nella canzone " balla,balla,ballerino" spiega il mistero della vita con queste parole significative: sotto un cielo di ferro, di gesso,la gente ama lo stesso,senza nessuna certezza.E ci crede davvero.Che commozione ,che tenerezza!Dice il cardinale Martini: malgrado le oscurita' della situazione presente,esiste al fondo di tutto un Evanghelion che ci assicura che c'e' una ragione luminosa e vivificante di tutte le cose.Il mondo e' pieno di orrori.C'e' un'immensa fatica diffusa in tutte le cose un abisso di sofferenza.E tuttavia questo mondo lo amiamo; amiamo questa terra,quest'aria,il calore del sole,l'energia vitale.L'uomo non perde mai la speranza che la vita abbia un senso e che questo senso sia l'amore,perche' noi siamo affamati di senso,di amore.Anche il poeta Montale esprime questo concetto dicendo in una sua poesia: sotto l'azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va,n'è sosta mai,perche' tutte le immagini portano scritto piu' in la'.Se io credo in un senso complessivo della vita,che in conformita' alla tradizione chiamo Dio e' a causa dell'amore nel mondo,perche' e' l'amore che conferisce senso alle mie giornate.Sappiamo dalla fisica che la natura e' attraversata da un'energia che forma ed attrae gli elementi spingendoli all'aggregazione e se fra gli atomi di cui e' fatto questo nostro globo non vi fosse
la forza di coesione,esso si sbriciolerebbe.Come c'e una forza di coesione nella materia cieca,cosi deve essercene anche fra le creature animate.Il nome della forza di coesione tra gli esseri animati e' AMORE.L'amore produce vita,noi siamo vita,il fine della vita non e' lo stesso vivere ma il contenuto che conferiamo alla vita e tra questi il piu' coinvolgente e' l'amore.Dice inoltre il cardinale Martini, che l'amore si differenzia dalla fede,dalla speranza,ma anche dalla carita'.Si puo' arrivare a distribuire tutte le proprie ricchezze,esteriormente si puo' agire nel modo piu' generoso attuando il rispetto, la solidarieta',senza per questo avere amore.Cos'e' allora questo amore che non e ' n'è fede,n'è speranza,n'e' carita',ne' utopia,ne' concreta solidarieta'?L'amore non e' qualcosa che si ha o che si fa,e' qualcosa che si e'.Io personalmente ritengo che gli esseri umani hanno bisogno di amare ed essere amati.Non ci si puo' limitare solo alla dimensione attiva dell'amore,cioe' ad amare senza ricevere amore,perche' inevitabilmente si diventa vuoti,insipidi; la personalita' finisce per non avere quasi sapore,come il sorriso stereotipato di alcune persone religiose che vogliono dimostrare di amare tutti,ma del cui amore nessuno si cura perche' non sa di nulla. E' necessaria quindi l'armonia, perche' solo se siamo nutriti, ovvero se siamo amati, riusciamo a donare con gioia agli altri, con apertura,accoglienza,ascolto, accompagnamento,in modo che l'amore sia il corollario di questi atteggiamenti dell'anima e del cuore.In questo modo non faremo volontariato,ma saremo volontari. Officer Distrettuale Lions Club Roma Sistina
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il “gentlemen agreement” riflessioni di PDG Mario Paolini
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redo sia ora di affrontare un dibattito su un argomento oramai, a mio avviso, non più differibile e di cui da più parti se ne sente la necessità: mi riferisco a quel “Gentlement Agreement” a quell’Accordo fra Gentiluomini relativo alla turnazione distrettuale per l’incarico di Governatore (in pratica di 2° Vice Governatore). In verità è da tempo che nel nostro Distretto si parla dell’argomento, anche se in maniera molto sommessa; ricordo le discussioni in merito avute con l’indimenticabile Enrico Cesarotti e successivamente con qualche altro PDG, discussioni che si concludevano sempre con la frase “ aspettiamo a discuterne a livello distrettuale, non è ancora il momento”. Ora il momento credo sia maturo per un dibattito serio, pacato, libero da preconcetti regionalistici. In alcuni Distretti si sta iniziando ad affrontare questa problematica e il nostro Distretto non può restare alla finestra a guardare. Anche il nostro Direttore Internazionale Fresia, in un suo recentissimo Articolo apparso sulla nostra Rivista nazionale Lion, si è espresso in maniera fortemente negativa su questa abitudine alla turnazione perché “in contrasto con il nostro Statuto Internazionale”. Il nostro Governatore Giampaolo Coppola, in un suo recente quesito rivolto alla Sede Centrale a seguito di una richiesta di un nostro socio che voleva vedere riconosciute le sue “aspirazioni” ad una suddivisione a suo dire “più giusta” alla turnazione per Governatore, si è visto rispondere che la turnazione è contraria ad ogni regola sancita e che 12 Aurelium Magazine
pertanto deve essere rigettata. Le ragioni che a mio avviso inducono ad un ripensamento serio sul problema della turnazione, oltre che naturalmente in quanto contrarie alle norme statuite, si basano essenzialmente sul principio che la selezione all’incarico di Governatore deve essere la più ampia possibile perché solo così avremo maggiori garanzie di scelta e di risultato. La turnazione indubbiamente limita questa possibilità di scelta e, a volte, conduce a risultati che non entusiasmano ma che, purtroppo, devono essere accettati. Quante volte non è stato possibile fare delle scelte adeguate in quanto il numero dei candidati alla carica di Governatore era
Azzeriamo la turnazione allargando di conseguenza la partecipazione degli aspiranti all’incarico di Governatore: in tal modo non avremo una elezione ristrettissima di candidati, a volte obbligata, che può rivelarsi fortemente dannosa se l’eletto non ha esperienza. Gli attuali requisiti per aspirare alla carica di Governatore sono purtroppo ridottissimi e sarebbe necessario, a mio avviso, allargarli. Questo limite ci fa correre indubbiamente dei rischi; credo sia necessario ripensarlo, ma non è questa la sede. Cosa fare allora? Attenersi semplicemente alla normativa che prevede la partecipazione di tutti all’incarico di Governatore senza la regola dell’appartenenza
ridottissimo? A volte i delegati sono stati messi di fonte alla scelta di un unico candidato! Credo che al contrario si debba arrivare all’elezione con una partecipazione sufficientemente ampia di candidati fra i quali i delegati possano avere una maggiore e più ponderata e approfondita capacità di scelta. Tutto ciò per il bene del Distretto e dell’Associazione in generale. Limitare il numero dei candidati non ha senso e serve solo a farsi del male.
regionale (turnazione). Questo permetterà ai delegati di esercitare al massimo e nel migliore dei modi la possibilità di scelta, senza limiti di numero, il che favorirà un ampio dibattito ad ogni livello distrettuale e di club, un interessamento certamente più sentito, una selezione più approfondita fra i candidati, un risultato finale di sicura soddisfazione per tutti.
VISITA ALLA FARNESINA di Donato Manzaro
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n una assolata domenica di marzo, preludio di primavera, un nutrito gruppo di nostri soci e amici e soci dei Club Amicizia e Nomentanum ha visitato la meravigliosa Villa Farnesina in Roma - via della Lungara, rione Trastevere. Sorta come dimora del banchiere senese Agostino Chigi, grande mecenate e personaggio di spicco nella Roma di inizio Cinquecento, la Villa è uno degli edifici più rappresentativi dell'architettura rinascimentale del primo Cinquecento a Roma. Agostino Chigi, che aveva accumulato una grande fortuna sia con la sua attività di banchiere che dalla vendita dell‘allume estratto dalle cave della Tolfa di sua proprietà, la volle maestosa e sontuosa vicino al Palazzo dei Riario, nobile famiglia romana, allo scopo di ostentare la sua opulenza alla nobiltà, che lo teneva in disparte considerandolo un parvenu. Il Palazzo Riario (15111518) fu acquistato nel 1736 dai Corsini e inglobato nel Palazzo Corsini, dove soggiornò Michelangelo giovanissimo e dove, nel 1659, si insediò la Regina Cristina di Svezia rimasta lì per circa trent’anni; sono ancor oggi visibili le volte della cosiddetta “Alcova della Regina Cristina”, appellativo dato ad una stanza che la regina destinò a sua camera da letto. Il progetto e la costruzione di Villa Farnesina, dedicata alla sua amata Francesca Ordeaschi, fu affidata da Agostino Chigi al giovane Baldassarre Peruzzi; i lavori ebbero inizio nel 1506 e, sebbene conclusi nel 1512, si protrassero fino al 1520. A partire dal 1511, completate le murature, il Chigi, che godeva della protezione di papa Giulio II prima, e Leone X poi, chiamò
Fonti storiche: Wikipedia -Guida del Museo per le decorazioni, i migliori artisti del tempo per eseguire, negli spazi interni, cicli di affreschi con caratteri innovativi secondo un programma iconografico interamente improntato alla classicità; artisti come lo stesso Peruzzi, Sebastiano del Piombo, Raffaello Sanzio e la sua scuola (compreso Giulio Romano) e Il Sodoma. Fu il prototipo della villa nobiliare suburbana romana, all'epoca era detta semplicemente Villa Chigi e la sua realizzazione ebbe notevole risonanza. Con la morte del Chigi, nel 1520, la villa decadde e venne depauperata degli arredi e delle opere d'arte. Nel 1580 fu acquistata dal cardinale Alessandro Farnese e prese il nome di Villa Farnesina, perché di fronte al Palazzo Farnese, situato sull’altra sponda del Tevere. A tale periodo risale un progetto, non realizzato, per collegare, con un ponte sul Tevere, Palazzo Farnese con la Villa. Nel 1714 la Villa passò di proprietà ai Borbone di Napoli che nel 1864 vi insediarono il loro ambasciatore e promossero una serie di pesanti restauri. L’apertura del Lungotevere nel 1884 comportò la distruzione di una parte dei giardini e della loggia sul fiume, forse disegnata da Raffaello. L'edificio, su due piani, ha una innovativa, per allora, pianta a ferro di cavallo, che si apre verso il giardino con due ali tra cui è posta una loggia situata al piano terreno composta da cinque archi, attualmente chiusi da vetrate protettive; la soluzione, pur necessaria per la salvaguardia degli affreschi, ha alterato la percezione dello stretto legame tra la villa e il giardino all'italiana, che nel tempo ha subito diverse modifiche.
L'aspetto originario dell'edificio presentava anche all'esterno ampie superfici con affreschi dei quali oggi rimangono solo piccole tracce non leggibili. La loggia serviva da palcoscenico per le feste e le rappresentazioni teatrali organizzate dal proprietario. Il grande sfarzo dei banchetti di Agostino Chigi è rimasto proverbiale: nel 1518, dopo un banchetto, giunse a far gettare tutte le stoviglie e le posate d’oro nel Tevere, ma astutamente le fece recuperare dai suoi servitori grazie a delle reti appositamente posizionate nel fiume. Al pian terreno, un atrio porta alla Loggia di Psiche, dove è dipinto il ciclo con le Storie di Amore e Psiche, gli affreschi vennero sicuramente disegnati da Raffaello, ma la stesura spetta alla sua scuola; le scene sono inserite in un intreccio di festoni vegetali, opera di Giovanni da Udine, nei quali sono riconoscibili circa duecento specie botaniche, soprattutto domestiche, tra cui anche numerose piante importate dalle Americhe, scoperte solo pochi anni prima. Segue a destra la Sala del Fregio, le cui pareti, alle quali erano forse appesi arazzi, vennero affrescate nella fascia superiore da Baldassarre Peruzzi con piccole scene mitologiche raffiguranti le Imprese di Ercole. Contigua a sinistra della loggia è la Sala di Galatea, un tempo con archi aperti sul giardino, con l'affresco di Raffaello “il Trionfo di Galatea”, la ninfa è rappresentata su un cocchio tirato da delfini tra un festoso seguito di creature marine. Nelle lunette e nella volta sono riprodotti personaggi e scene mitologiche; al centro della volta, in un ottagono regolare, compare lo stemma del committente, sei sacchi d’oro, gloria terrena del banchiere. Aurelium Magazine
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Al piano superiore si trova la Sala delle Prospettive, dipinta dal Peruzzi e i suoi aiuti come fosse una loggia; qui Agostino Chigi tenne il suo banchetto nuziale nel 1519. Ai lati della sala il Peruzzi dipinse due finte logge con colonne e archi affacciate su vedute di Roma, tra cui una vista di Trastevere e una agreste; sopra il camino la Fucina di Vulcano. Nella Sala delle Prospettive è facile individuare sulle pareti incisioni e graffiti vandalici risalenti al sacco di Roma del 1527 compiuti da lanzichenecchi che bivaccarono nella villa. L'attigua Camera da Letto, usata dal Chigi e dalla sua consorte, venne decorata da affreschi del Sodoma (1517), con scene della vita di Alessandro Magno e l’affresco particolarmente noto delle Nozze di Alessandro e Rossane. Villa Farnesina dal 1927 appartiene allo Stato italiano, che l'ha fatta restaurare (1929-1942) per destinarla a più riprese dal 1969 al 1983 all'Accademia d'Italia. Oggi è utilizzata dall'Accademia dei Lincei come sede di rappresentanza e ospita, al primo piano, il Gabinetto nazionale delle stampe. Di fronte, dall’altra parte di via della Lungara, il Palazzo Corsini è sede dell’Accademia dei Lincei. Al termine della visita, condotta da una guida competente, in un ambiante della villa opportunamente attrezzato come sala conferenze, un trio di validissimi elementi, una soprano, un musicista alle corde e un altro a fiati e percussioni, ha eseguito ballate, musica d’ascolto ed esercizi musicali del Cinquecento con strumenti dell’epoca efficacemente presentati e descritti: flauti (dritto e traverso), percussioni, liuto e chitarra spagnola. La giornata primaverile che ha accompagnato la visita ha fatto da cornice al clima di amicizia, distensione e soddisfazione stabilitosi tra i partecipanti che, ancora una volta, hanno apprezzato e ringraziato il Presidente Francesco Lomonaco e l’amico Giuseppe Pastena, Cerimoniere del Club, per l’oggetto dell’iniziativa e per la sua efficiente organizzazione.
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ENRICO CESAROTTI, GRANDE LIONS , GRANDE FILATELICO. di Domenico Giglio
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he Enrico Cesarotti , fosse un grande lions credo che tutti lo riconoscessero, ma scendendo nel locale della sua abitazione adibito a studio lionistico, vedere decine di raccoglitori dedicati alla raccolta della documentazione relativa al nostro Distretto,di cui era stato Governatore, al Multidistretto ed al Lions International, lascia stupefatti perché credo non esista altra raccolta simile, che dimostra con quanta metodicità, serietà e competenza Enrico avesse affrontato tutte le problematiche lions e quale contributo avrebbe potuto dare nella sua ultima, meritata carica di Direttore Internazionale e quale prestigio al lionismo italiano , di cui era rappresentante e anche rappresentativo. Se questo è il lions nella sua globalità,non possiamo dimenticare che Enrico Cesarotti, era anche socio del Lions Club Filatelico Italiano, e poi suo Presidente , club che a sua volta faceva e fa parte del Lions International Stamp Club, che riunisce i lions filatelisti di tutto il mondo, di cui Enrico era stato Direttore Internazionale ed infine Presidente mondiale. E qui si apre l’altro aspetto,quello del grande filatelico. Ai raccoglitori dell’attività lionistica, si aggiungono , infatti altrettanti raccoglitori , album, scatoloni contenenti i francobolli celebrativi dei Lions , emessi dalle amministrazioni postali di quasi tutti gli Stati del mondo, conferma della diffusione e del prestigio della nostra associazione, dal primo, lontano ormai nel tempo, francobollo di Cuba, risalente al 1944,
alle centinaia di francobolli emessi da allora ad oggi. E di questi, Enrico,credo unico in Italia, e tra i pochi nel mondo,raccoglieva e catalogava, con meticolosità e precisione ingegneristica esemplare un mareriale filatelico enorme, composto da francobolli singoli , quartine , fogli , foglietti, prove di stampa, insieme con centinaia di buste e cartoline stampate per le più varie manifestazioni lionistiche italiane e mondiali, relative a congressi, convegni, anniversari, con affrancature e timbri specifici, materiale tutto di estremo interesse per i lions,non solo filatelici, e per la storia del movimento e della sua diffusione, ed anche e soprattutto prova di una passione di cui non conosco l’eguale.
LA GUERRA MONDIALE 1915-1918 di Enzo Maggi
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entre stavo leggendo la lettera del Presidente Lomonaco con la quale si invitavano i Soci dell’Aurelium a partecipare alla conviviale del 23 gennaio u.s., che avrebbe visto la presenza, in qualità di conferenziere, del Gen. Franco Angioni, il tema trattato - “La Grande Guerra - Avvenimenti e considerazioni” - mi fece ricordare che da qualche parte dovevo aver conservato la prima pagina originale de “Il Giornale d’Italia”, datata 24 maggio 1915. La ricerca non fu breve, anche perché era tra le cose della mia casa di campagna, ora dismessa, che avevo recuperato e conservato. Cosicché potei rileggere il documento soltanto qualche ora dopo aver ascoltato la prolusione del Gen. Angioni, molto interessante e coinvolgente, densa di dati, circostanze e considerazioni che hanno contribuito a rievocare negli ascoltatori tragici avvenimenti, certamente non vissuti, ma ugualmente pieni di ricordi, tramandatici da chi ne era stato attore o testimone. Ma la lettura, all’indomani della conferenza, è stata motivo di ulteriori riflessioni e considerazioni che, sollecitate dalle parole del conferenziere, mi hanno spinto ad approfondire, anche su altri aspetti, un parte di storia patria, e mondiale, della quale oggi ricorre il primo centenario. Tutti ricordano che negli anni che videro gli avvenimenti dei quali si parla, in Europa si fronteggiavano due triplici raggruppamenti di stati, la “Triplice Alleanza”, nata a Vienna nel 1882 e comprendente l’Italia, l’Austria e la Germania, e la “Triplice Intesa”, sorta tra il 1904 e il 1907 e che vedeva alleate l’Inghilterra, la Francia e la Russia. Entrambi patti militari difensivi - almeno a parole ! -
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erano stati stipulati per garantire lo statu quo ai paesi aderenti, ognuno nella propria ottica di convenienza. Riguardo all’Italia, essa aveva aderito all’alleanza più che altro perché desiderosa di non sentirsi più chiusa nel mare che la circonda dopo che la Francia aveva occupato la Tunisia, terra verso la quale ambiva di espandersi per acquisire la cosiddetta “quarta sponda”. Quanto avvenne nel 1911 con la guerra per la conquista della Libia appare come diretta conseguenza dell’accordo del 1882. Su questo argomento mi permetto di consigliare la lettura del libro di Sergio Romano “La quarta sponda”. Dopo l’attentato di Sarajevo, l’Italia, in virtù di un articolo del trattato di Vienna, proclamò la sua neutralità: questo atteggiamento suscitò il consenso del Paese, l’ira degli alleati e, di conseguenza, l’interesse degli appartenenti all’Intesa i quali iniziarono un pressante lavorìo nei nostri confronti, facendo sostanziose offerte per attrarci nel loro campo, denunciando l’alleanza in atto e scendendo in guerra contro l’Austria e la Germania. Per la verità in qualche influente uomo politico italiano già albergava un certo interesse verso gli atteggiamenti dell’Intesa e non mancavano, sia pure segretamente, spinte affinché l’Italia compisse una giravolta di 180 gradi, uscendo dalla Triplice; peraltro le offerte che venivano poste sul piatto non potevano non ingolosire i nostri governanti: si trattava, tra l’altro, di acquisire Trento, Trieste, l’Albania e una posizione di dominio nell’Adriatico, terre che avevano visto in passato impegnato il nostro paese in varie “guerre d’indipendenza” e questa, la quarta, forse poteva essere l’ultima e definitiva.
Tutto ebbe inizio il 28 giugno 1914 con l’attentato di Sarajevo. Da quel mese in avanti e fino al 26 aprile 1915 si aprì una specie di mercato delle vacche! L’Austria aveva capito che l’Italia rischiava di restare accalappiata dalla sirena dell’Intesa e, quindi, cercò in qualche modo di stopparne le iniziative, offrendo a sua volta più o meno le stesse concessioni. L’Italia promise di pensarci, lesinando le risposte e guadagnando tempo per vedere come si mettevano le vicende militari; quando queste cominciarono a volgere per il meglio per la Russia e, conseguentemente, in peggio per l’Austria, avanzò, in cambio dell’intervento, controproposte piuttosto pesanti, comprendenti quasi tutta la Dalmazia, tutta l’Istria, il Dodecaneso e un posto al tavolo delle successive spartizioni in Africa e nel Medio Oriente. E tutto questo, come suol dirsi, “sul tamburo”, ovverossia: per ciò che atteneva ai territori fuori del dominio dell’Austria alla fine del conflitto, ma immediatamente per quelli che in quel momento facevano parte dell’impero austro-ungarico. Ovviamente l’Austria rispose negativamente “…rilevando l’impossibilità materiale di una immediata consegna dei territori ceduti…”, mostrandosi tuttavia “disposta ad assicurare fino ad ora tale consegna entro un termine poco lontano.” La conseguenza fu l’adesione dell’Italia al Patto di Londra del 26 aprile 1915, con l’impegno di scendere in guerra entro la fine di maggio. E arrivò il 24 maggio! Tutte queste vicende sono riassunte nella recuperata pagina del giornale di cui sopra, di difficile lettura sia per la patina del tempo che l’ha ingiallita, sia per i minuscoli caratteri tipografici usati che la inondano, timidamente interrotti
da una titolazione geometricamente inserita e sovrastati da un titolone che occupa tutte e sei le colonne e che testualmente recita: “L’Italia spiega ai Governi esteri le cause della guerra”. Comunque, nel tracciare una breve cronistoria degli avvenimenti che hanno preceduto la discesa in campo sell’Italia, non si può fare a meno di accennare alla circostanza che tale soluzione era stata auspicata e fortemente voluta dagli interventisti delle popolazioni del Trentino, della Venezia Giulia e della Dalmazia, dai futuristi di Marinetti e da D’Annunzio, il quale si mostrò molto sensibile agli inviti che gli venivano rivolti dalla Francia affinché appoggiasse la causa dell’intervento dell’Italia a fianco dell’Intesa con la sua attività di poeta e politico. Purtroppo anche in quella avventura bellica il nostro paese dovette fare i conti con forti deficienze: superiori come numero di uomini schierati al fronte, altrettanto non si poteva dire degli armamenti e gli equipaggiamenti delle truppe: basti pensare che i nostri soldati non conoscevano l’esistenza, e quindi l’uso, delle bombe a mano, scarseggiavano le mitragliatrici, i fucili erano pochi e di vecchia data. Mancavano addirittura gli elmetti, distribuiti successivamente e di provenienza francese. Ma la carenza maggiore si doveva registrare nei rapporti tra governo e stato maggiore: la segretezza con la quale si era giunti al Trattato di Londra il 26 aprile 1915, meno di un mese dal nostro intervento, aveva colto di sorpresa gli alti comandi dell’esercito, i quali non avrebbero avuto così a disposizione il tempo necessario per prendere le opportune iniziative. Dei lavori della Conferenza di Pace di Parigi ha parlato con dovizia di particolari l’illustre conferenziere, ricordando la sciagurata iniziativa del Presidente degli Stati Uniti con la sua dirompente proposta di “autodeterminazione dei popoli” la quale, se da un lato poneva fine alla segretezza della diplomazia, alimentava spinte demagogiche e populiste nelle popolazioni che si vedevano trattate
come merce di scambio. Forse non si sbaglia del tutto se si attribuisce anche a questa iniziativa un contributo alla successiva nascita, nel nome “della vittoria mutilata”, di movimenti nazionalisti estremi. La portata dell’intervento militare degli Stati Uniti risultò sicuramente decisivo per le operazioni sul fronte francese; un po’ meno per quello italiano. Su questo secondo scacchiere possiamo acquisire qualche interessante notizia leggendo “Addio alle armi”, il cui autore, Ernest Hemingway, vi prestò servizio in qualità di autista di ambulanze. Nel chiudere il presente resoconto della riuscitissima serata, mi sia consentito
accennare a due curiosità. La canzone “La leggenda del Piave”, composta da E.A.Mario, verso la metà del 1918, probabilmente fu ispirata dagli avvenimenti legati alla ritirata di Caporetto e alla resistenza italiana sulle sponde del fiume Piave; però mi viene di ipotizzare che il 24 maggio 1915 le truppe italiane si accingevano ad attraversare il Tagliamento, fiume più vicino del Piave al confine orientale con l’Austria. E ancora più a est scorre l’Isonzo, fiume tragicamente famoso per le dodici battaglie
che lo videro spettatore. Ancora: le truppe austriache che il 24 ottobre del 1917 per prime sfondarono lo schieramento italiano erano comandate da un tenente tedesco, il cui nome era Erwin Rommel, la famosa “volpe del deserto” della seconda guerra mondiale. La rapidità con la quale si mosse, gli consentì in ventiquattr’ore di penetrare per trenta chilometri dietro il fronte italiano, facendo trentamila prigionieri. Prove generali di quanto sarebbe successo in Africa agli inizi degli anni quaranta! Ma anche nel 1917 si anticipò il 1942: una infiltrazione così facile e profonda prese di sorpresa gli stessi comandi austro-tedeschi, i quali non riuscirono a supportare convenientemente, con altre truppe, l’azione di Rommel il quale fu costretto a fermarsi prima di poter tagliare la strada alle truppe italiane in ritirata. Infine deve essere ricordato che nel corso di alcune domande rivolte al conferenziere, un socio ha evocato un argomento di grande attualità: l’immigrazione. Non è mancato un intervento del vostro cronista, ad adiuvandum della diffusa ed esauriente risposta fornita dal Gen. Angioni. Comunque nel nostro club non sono, a suo tempo, mancate iniziative tendenti ad approfondire l’argomento: il sito dell’Aurelium, nella voce “Dai nostri soci”, ospita una relazione del sottoscritto del giugno 1990. La riuscitissima serata ha registrato l’ammissione di un socio onorario nel Lions Club Roma Capitolium, con il quale la conviviale era stata programmata, nella persona del reverendo Don Carmine Brienza, accolto con simpatia nella grande famiglia lionistica. L’incontro si è chiuso con la premiazione da parte del Presidente Lomonaco dei tre vincitori della “Caccia all’errore tipografico”, volutamente inserito nella stampa dei calendari dell’Aurelium: i soci Ricciardi, Giglio e il sottoscritto si sono visti consegnare un ponderoso pacco la cui apertura, procrastinata al ritorno a casa, ha rivelato una “grattificante” (proprio così con due “t”) sorpresa. Aurelium Magazine
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Luglio 1914 : il suicidio dell’Europa di Domenico Giglio
è
abbastanza ovvio che in questi giorni si ricordi l’assassinio dell’ Arciduca d’ Austria Francesco Ferdinando, unitamente alla consorte morganatica Sofia , avvenuto a Sarajevo ad opera di Gavrilo Princip,”due colpi di pistola : dieci milioni di morti” ,come è stato sintetizzato, ma non vedo per l’ Europa questi grandi motivi di rammentare un evento che ha significato la fine, o l’inizio della fine , concretatasi nel 1945, della sua supremazia mondiale, se non per un atto di pentimento per gli errori commessi e per la riaffermazione , che è poi il maggiore e migliore motivo della attuale Unione, del mai più guerre tra gli stati europei. In questi ricordi e rievocazioni del “ Luglio ’14 “, vi è una tendenza quasi a sottovalutare l’assassinio dell’ erede al trono dell’ AustriaUngheria , quale causa scatenante il conflitto , in quanto , dicono illustri storici , la guerra sarebbe scoppiata egualmente perché la politica mondiale dell’ Impero Germanico, lo sviluppo della sua flotta da battaglia, non sarebbe stata tollerata a lungo dalla Gran Bretagna, potenza mondiale , particolarmente egemona sui mari. Le guerre però non sorgono per “autocombustione” , ma necessitano di un “casus belli”,per cui non è facile individuare il “quando” sarebbe scoppiata la guerra europea , se non ci fosse stato Serajevo e l’arroganza della diplomazia austroungarica , arroganza già mostrata nel 1859 nei confronti 18 Aurelium Magazine
del Piemonte, ed in epoche successive ,per cui la Serbia , che sapeva di godere della protezione “ortodossa” dell’Impero Russo, non potè accettare, come Stato Sovrano, l’incredibile ultimatum inviatogli da Vienna . “ Verum ipsum factum” , dice Giambattista Vico, ed il fatto e la verità coincidono. Senza Serajevo il 1914 sarebbe trascorso tranquillamente, e l’estate avrebbe ancora
una volta visto il gran mondo incontrarsi nei saloni del grandi alberghi e nelle stazioni termali. Ed il 1915 ? Se vogliamo continuare le ipotesi quale fatto poteva accadere per accendere la “miccia” della guerra ?Se la storia non si fa “ con i se e con i ma” vorrei capire se in un anno la Germania avrebbe compiuto un ulteriore balzo in avanti, tale da costringere la Gran Bretagna , ad agire . Andiamo al 1916 e qui è un fatto certo e cioè la scomparsa dopo 68 anni di Regno di Francesco Giuseppe , e l’ascesa al
trono di Francesco Ferdinando,se non fosse stato assassinato due anni prima, come fu in realtà. Presi in questo giuoco si poteva pensare che il nuovo Imperatore, che aveva idee interessanti di una ristrutturazione dell’ impero che riteneva urgente, date le spinte centrifughe esistenti , si sarebbe imbarcato in imprese belliche, almeno per qualche anno e si poteva pensare che la Germania , senza avere la certezza di una collaborazione austroungarica, si sarebbe , a sua volta, spinta oltre nella sua politica espansiva?Questo per rimanere su dati e date certe perché altrimenti si potrebbero ipotizzare gli eventi più svariati , da morti improvvise di capi di stato ,con problemi successori od a rivolgimenti interni dagli esiti imprevedibili. Per questo il gesto criminale di Gavrilo Princip rimane l’unica e sola causa certa ed indiscussa della cosiddetta prima Guerra Mondiale , che portò in Europa una potenza fino ad allora estranea , gli Stati Uniti d’America, e portò anche negli eserciti franco-inglesi soldati dei loro imperi coloniali che videro, e lo rividero nella seconda guerra mondiale , i “padroni” bianchi combattere tra loro, con tutti i mezzi,anche i meno leciti , come i gas asfissianti, e capirono che erano maturi per una propria indipendenza nazionale, magari, e questa è storia recente, rivelatasi di molto inferiore alle loro aspettative.
IL REGNO D’ ITALIA E L’IRREDENTISMO di Domenico Giglio
Q
uando il 17 marzo 1861 viene proclamato il Regno d’ Italia , l’ unità è ancora incompleta perché mancano il Veneto ed il Lazio , con Roma ,(designata come futura Capitale fin da Cavour), che verranno acquisite al Regno rispettivamente nel 1866 e nel 1870. E’ così del tutto completa l’ Unità d’ Italia ? In effetti manca il Trentino, perché Garibaldi che vi era penetrato durante la terza guerra d’indipendenza, ed aveva vinto gli austriaci a Bezzecca, dovette fermarsi ,vedi il famoso telegramma “ Obbedisco”, per poi retrocedere e mancava la Venezia Giulia , con Trieste, il più importante porto commerciale dell’ Impero Austro-Ungarico, e con Pola, la baia dove aveva rifugio sicuro e quasi impenetrabile con i mezzi dell’epoca l’ Imperial Regia Marina. Queste mete non raggiunte nel 1866 erano un miraggio lontano perché il periodo di pace seguito in tutta l’ Europa , all’ epoca signora del mondo, alla guerra Franco-Prussiana del 1870 , non lasciava ipotizzare alcuna maniera per acquisirle sia pacificamente sia, tanto meno , militarmente. Il giovane Regno d’ Italia aveva davanti a sè colossali problemi delle più varia natura , specie le infrastrutture mancanti in quasi tutta l’ Italia Centrale e Meridionale, che assorbivano gran parte delle sue modeste risorse economiche .Alle spese militari quindi non poteva essere dedicata che una parte modesta del bilancio statale, e di queste molto era concesso al potenziamento della Regia Marina, per ovvi motivi geopolitici .Inoltre in
Europa, erano cambiate diverse cose e la Francia, che con Napoleone III, nel 1859 era stata nostra amica ed alleata ed ancora tale si era dimostrata e comportata nel 1866 ,ora divenuta repubblica , sembrava quasi pentita di aver favorito l’ Unità d’Italia , malgrado il regalo di Nizza e della Savoia , e l’Austria non considerava definitiva la perdita del Lombardo-Veneto. Per questi motivi si era quasi dovuto procedere , governando Depretis e la “Sinistra Storica”, alla stipula di un trattato, nel 1882 , con gli Imperi Germanico ed Austro-Ungarico : la “Triplice Alleanza”. Questa ci metteva al riparo da rivincite austriache o da velleità francesi , essendo una alleanza esclusivamente difensiva, che sarebbe scattata solo se uno dei tre contraenti fosse stato attaccato , da altre Potenze, mai se avesse invece attaccato. Perciò come si poteva onestamente parlare di Trento e di Trieste? Il problema , che chiameremo “irredentismo” esisteva , era latente e ne seguiremo gli sviluppi , ma non poteva essere recepito e fatto proprio dallo Stato italiano, retto dalla monarchia dei Savoia . I Re sapevano ? Certamente , ma erano ormai monarchi costituzionali ed esisteva il Parlamento, con le sue maggioranze. Quanto a Casa Savoia ,era ingeneroso , se non peggio , accusarla di scarsa passione nazionale , quando dando origine al Risorgimento , con Carlo Alberto, si era giuocata per l’unità il tutto per tutto . Tipica la frase di Vittorio Emanuele II che aveva detto che altrimenti sarebbe diventato “Monsù Savoia”, e anni ed anni dopo Vittorio
Emanuele III, avrebbe osservato che solo il nonno era morto nel suo letto : Carlo Alberto era morto solo in esilio ad Oporto ,ed il padre Umberto I , era morto assassinato, e quando diceva questo non sapeva che anche Lui ed il figlio Umberto, sarebbero morti in esilio e che in esilio sarebbero state anche le loro tombe ! Irredentismo è un termine che indica l’aspirazione di un popolo a completare la propria unità territoriale,acquisendo terre soggette al dominio straniero sulla base di una identità etnica, linguistica e culturale. Esso trovava terreno più fertile nella opposizione repubblicana , che ne faceva motivo di polemica politica antigovernativa e non voleva comprendere la necessità che la politica estera del Regno , non ponesse in risalto queste rivendicazioni. “Terre irredente”,ed “irredentismo” ,sono parole pronunciate per la prima volta nel 1877 , dinanzi alla bara del padre Paolo Emilio , da Matteo Renato Imbriani, divenuto repubblicano dopo il 1866, e deputato dal 1889 ,le cui convinzioni irredentistiche divennero la ragione stessa della sua vita, finchè non lo colse la morte nel 1901 . “Pensarci sempre , non parlarne mai “ era in realtà il pensiero di molti in Italia , come lo era in Francia per l’ Alsazia e Lorena, che le erano state strappate dalla Germania dopo la guerra del 1870. • Periodicamente vi erano eventi che davano rinnovato slancio a sentimenti patriottici, come fu l’impiccagione di Oberdan(k) il 20 dicembre 1882, lo scoprimento a Trento ,della grande Aurelium Magazine
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statua in bronzo , di Dante , opera dello scultore italiano Zocchi, o la partecipazione di una squadra di giovani atleti trentini , ad alcune gare atletiche , la sera del 29 luglio 1900 a Monza . Il Re Umberto, non dimentichiamo che come giovane Principe aveva combattuto a Custoza, nel 1866 contro gli austriaci,resistendo alle cariche degli ulani nel famoso “quadrato di Villafranca, l’ avava voluto onorare con la sua presenza e ,prima di cadere sotto il piombo assassino dell’anarchico Bresci, aveva donato a questi giovani una statua della libertà.Tale presenza Giovanni Pascoli , sottolinea nell’ ode “ Al Re Umberto”,: “…Tu, Re salutavi l ‘ Italia del Liberi e Forti..” ,( nome della società sportiva trentina), e prosegue precisando che tra le bandiere presenti quella sera : “…ed al vento , tra gli altri cognati vessilli , batteva il vessillo di Trento…”. Ed a questo proposito proprio la morte del Re dette luogo a commosse manifestazioni di lutto nelle “terre irredente” , rafforzandone i sentimenti di italianità. Posizione difficile per il Governo quella di mantenere l’alleanza con l’ Austria e non dimenticare gli irredenti, per cui l’Italia aveva dato ospitalità e riconoscimenti a tanti italiani provenienti dalle “terre irredente” ,ed a titolo indicativo, ma non esaustivo , ricordiamo Oreste Baratieri ,nativo di Trento, divenuto generale del Regio Esercito ,Salvatore Barzilai , di Trieste ,eletto deputato in un Collegio di Roma , Vittorio Italo Zupelli ,di Capodistria, divenuto addirittura Ministro della Guerra, e professori universitari come Graziano Ascoli , di Gorizia, docente di linguistica a Milano , e Giacomo Venezian,di Trieste ,docente di diritto a 20 Aurelium Magazine
Bologna,che ultracinquantenne sarrebbe caduto combattendo sul Carso, il 20 novembre 1915, ed un giornalista e scrittore di Zara, Arturo Colautti, particolarmente esperto di problemi navali.Tipico del problema governativo è l’atteggiamento di un Francesco Crispi, che non può essere accusato di scarsa passione unitaria,il quale ufficialmente aveva condannato l’ irredentismo, mentre poi finanziava la “Dante Alighieri”,associazione nata nel 1889 ,fra i cui fondatori era stato anche il Venezian,da noi ricordato , con il chiaro scopo di rivendicare la nostra cultura, anche fuori dei confi-
ni.Ma ii legami e l’attaccamento all’ Italia di trentini,triestini, avevano radici profonde, e se ne era avuta già manifestazione al risvegliarsi della passione e della volontà di unità e di indipendenza nazionale nel Risorgimento, con le vicende della difesa della libertà di Venezia nel 18481849, dove numerosi erano stati i combattenti ed i caduti provenienti da queste terre, e così pure nel 1859, dove nell’ Esercito Sardo, militavano trentini ed istriani, e due di essi ,gli ufficiali Alfredo Cadolino e Leopoldo Martino , morirono da valorosi nella
battaglia di San Martino, e più ancora dal 1860 al 1866, quando era stato un continuo accorrere di irredenti nelle file di Garibaldi e dell’ Esercito Regio, mentre nello stesso tempo aumentava nelle “tere irredente” , la repressione violenta e sanguinosa della polizia austriaca, in gran parte composta da croati , con processi seguiti da condanne a morte ed al carcere. Come poi non ricordare un Niccolò Tommaseo , ( 1802 -1874) -dalmata di Sebenico, cattolico fervente,uomo di vasta cultura e liberalità di pensiero ,autore di opere letterarie all’epoca famose, difensore di Venezia con Daniele Manin , dalla forte passione nazionale ,sia pure in una visione federalista, un Giovanni Prati ,(1814- 1884)- trentino di Campomaggiore,poeta non dei minori del nostro “ottocento”,che coi suoi versi accompagnò le speranze e le imprese patriottiche, fedelissimo alla causa Sabauda ed infine un Antonio Rosmini, ( 1797- 1855) – trentino di Rovereto, sacerdote e filosofo,fautore di un liberalismo cattolico e di una soluzione monarchico sabauda al processo unitario ,che, per queste idee e sentimenti favorevoli all’Italia , ebbe persecuzioni da parte del governo austriaco. E tutti studiarono o si recarono , o vissero a Venezia, a Padova, a Milano, a Firenze ed a Torino , ma mai ad Innsbruck o Vienna o Berlino ! Questo vicende dell’irredentismo , sommariamente descritte, corrispondono alla prima fase risorgimentale e postrisorgimentale che si chiude con la triste vicenda di Oberdan ed alla seconda fase legalitaria con il programma minimo difensivo del patrimonio storico e culturale di
queste terre, con Società come quella Dalmata di Storia Patria, e come quella degli Alpinisti Tridentini , nonché con associazioni operanti sia nel Regno che nei territori soggetti all’Austria , con relativi giornali ,per impedire che il problema finisse nel dimenticatoio. Prima di passare alla terza fase che logicamente termina con l’entrata in guerra dell’Italia , soffermiamoci su due figure che emergono nell’irredentismo trentino ed altoatesino per la loro personalità .Il primo come data di nascita , Ettore Tolomei ,nato a Rovereto nel 1865, che da geografo si dedicò particolarmente ai problemi dell’Alto Adige ,raccogliendo testimonianze storiche e linguistiche in un fondamentale “ Archivio dell’Alto Adige”,relativamente alla presenza italiana , preparando il rinnovamento della toponomastica, con la versione italiana dei nomi delle località e combattendo il pangermanesimo che si era sviluppato nell’ Ottocento in concomitanza e contrapposizione al nostro Risorgimento,ed infine “volontario di guerra” a 50 anni e per i suoi meriti nominato dal Re , nel 1923 , Senatore del Regno. L’ altro , più famoso per la sua tragica e pur gloriosa fine che ne fece il Martire degli Irredenti, senza con questo dimenticare Fabio Filzi, Damiano Chiesa ,Nazario Sauro, è Cesare Battisti, nato a Trento nel 1875, da una agiata famiglia di commercianti, studente a Firenze e poi anche lui geografo di valore, studioso appassionato del suo Trentino, ma anche uomo poltico , socialista, deputato nel 1911 nella Dieta dell’ Impero AustroUngarico, la cui importanza è fondamentale per la causa degli interventisti,avendo tenuto decine di discorsi in Italia , per spiegare le ragioni che ci dovevano portare alla guerra .Guerra alla quale partecipò fin dall’inizio negli alpini data la sua competenza e conoscenza delle montagne trentine, e dove , durante un’azione
sul Monte Corno, il 10 luglio 1916, viene preso prigioniero dagli austriaci, portato a Trento, processato ed impiccato nel cortile del Castello del Buon Consiglio.Le sue ultime parole furono :” Viva Trento Italiana, Viva l’Italia”. L ‘ irredentismo entrava così nel secolo XX, dovendo combattere contro l’invadenza tedesca nel Trentino-Alto Adige, che costrinse addirittura nel 1912 , il Vescovo di Trento, monsignore Endrici, a prendere una dura posizione contraria, e contro quella slava nell’ Istria,entrambe favorite dal governo,e che rispondeva ad un preciso programma di conquista, neppure nascosta, basti pensare che in un giornale sloveno ,un articolo , ripreso e riportato dal nostro grande giornalista Luigi Barzini,sul “Corriere della sera”, il 21 settembre 1913, era scritto :”…non desisteremo fino a che non avremo ridotto in polvere l’ italianità di Trieste e fino a che a Trieste non comanderemo noi slavi…”, e sempre a Trieste , il Governatore , Principe di Hohenloe, nel 1913 , aveva pubblicato un’ordinanza che vietava a cittadini italiani di ricoprire posti di lavoro. Perciò ad esempio il problema di una Università per gli studenti di lingua italiana acquistava una straordinaria importanza , anche perché nel 1903 vi erano stati scontri sanguinosi ad Innsbruck contro gli studenti italiani, ed il problema di una maggiore autonomia amministrativa del Trentino divenivano i punti fondamentali delle richieste degli irredenti , che avevano capito,perdurando la Triplice, essere esclusa ogni altra soluzione. Nondimeno non perdevano occasione di farsi riconoscere, e notare come quando Vittorio Emanuele III , si recò in visita ad Udine nel 1903,dando vita ad ardenti manifestazioni irredentistiche, che non potevano sfuggire all’attenzione del Sovrano, né lasciarlo indifferente. Anche l’inaugurazione di un monumento a Verdi a Trieste costituiva momento
di italianità e così pure il dono nel 1907 di una lampada votiva alla tomba di Dante a Ravenna, e poi le celebrazioni nel 1911 del cinquantenario del Regno d’Italia facevano rivivere le passioni del Risorgimento, ed ad esempio in quello stesso anno , il primo ottobre, si teneva a Capodistria il congresso di tutte le organizzazioni giovanili per stabilire una linea d’azione unitaria. Giungiamo così al luglio 1914 : l’Austria dichiara guerra alla Serbia, ritenendola mandante dell’assassinio dell’ Arciduca Francesco Ferdinando,violando il trattato non consultando l’Italia. L’Italia che giustamente si proclama neutrale ,tenta inizialmente la strada per arrivare ad un accordo pacifico per il riconoscimento dei propri diritti storici , ma le risposte negative e tardive , spingono gli irredentisti , che capiscono essere questa l’occasione da quasi cinquant’anni auspicata, ad intervenire nel contrasto tra interventisti e neutralisti a favore dell’intervento, e così quelle due parallele , irredentismo e politica governativa che sembravano non potersi incontrare, se non all’infinito, con la decisione del Re si incontrano ed il 24 maggio 1915, ha inizio la Quarta Guerra d’ Indipendenza, che portò al completamento dell’ Unità per anni vagheggiata. Il prezzo pagato in termini di vite umane, tra le quali molti irredenti che avevano varcato il confine per combattere nelle file del Regio Esercito e della Regia Marina , fu molto più elevato di quanto immaginato,ma l’Italia e gli Italiani avevano mostrato al Mondo che erano una vera Nazione,e non una espressione geografica, ed un Popolo ,fiero di sé e del suo passato,composto non più di “macaronì” e servi di altrui governi. Gli irredenti avevano trovato finalmente la Patria.
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un colpo di pistola ha sconvolto il mondo! di Paolo Testi
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ra ‘800 e ‘900 l’uccisione di regnanti in Europa in seguito ad atti di terrorismo non era un evento raro; nel 1881 era stato ucciso lo zar Alessandro II di tutte le Russie e nel 1900, a Monza, Sua Maestà il Re d’Italia Umberto I. In entrambi i casi si era trattato di fatti circoscritti per cause e conseguenze interne degli Stati, ma così non avvenne per l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando (1863-1914) erede al trono dell’impero austro-ungarico e di sua moglie la contessa Sofia. L’omicida Gavrilo Princip, l’unico dei sette attentatori che venne arrestato insieme al compagno Nicolae Cabrinovic, faceva parte di un’organizzazione segreta, la "Mano Nera", che si batteva per l’unificazione degli slavi della Serbia con quelli che abitavano nel sud dell’impero austro-ungarico; e nella mattina del 28 giugno 1914 in occasione della visita del Principe Ereditario della Corona Imperiale, l’Arciduca Francesco Ferdinando con la di Lui Sposa Sofia, Gavrilo Princip colpì a morte l’Arciduca e sua moglie, con una pistola Browning calibro 7,65. L’esistenza dell’Impero e la sua validità giuridica, politica ed esistenziale, traeva le sue origini ben prima del Medioevo; e precisamente da Sua Santità il Papa Gelasio I (492-496), che in una lettera all’Imperatore Anastasio I (494), così si esprime: «Duo quippe sunt, Imperator Auguste, quibus principaliter mundus hic regitur: Auctoritas Sacrata Pontificum, et Regalis Potestas. In quibus tanto gravius est pondus Sacerdotum, quanto etiam pro ipsis regibus hominum in divino reddituri sunt examine rationem.» 22 Aurelium Magazine
(«Due sono, Augusto Imperatore, quelle che reggono principalmente questo mondo: la Sacra Autorità dei Pontefici e la Potestà Regale. Delle quali tanto più grave è la responsabilità dei Sacerdoti in quanto devono rendere conto a Dio di tutti gli uomini, re compresi»). Tre secoli dopo sorgeva il Sacro Romano Impero che è giunto in buona sostanza fino agli albori del XIX, quando cominciò a svilupparsi e a rafforzarsi l’Idea Nazionale. Cominciarono, così, a sorgere di Stati Nazionali, fondati sull’Idea di Nazione. Intesa questa come «un organismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori a quelli degli individui divisi o raggruppati che la compongono». Ancor meglio, la Nazione doveva essere considerata una "unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello Stato". Un concetto completamente inaccettabile, per un Impero che al suo interno teneva sotto il suo dominio moltissime diverse e discordanti nazionalità. L’Imperatore d’Austria non comprese - o non volle comprendere che questa visione così antica, inattuale perché superata dalla Storia era apportatrice di tensioni formidabili e di forze centrifughe. Prova ne sia che crollato l’Impero per fatto e colpa dei Suoi Regnanti, i vari Popoli, ormai liberi, diedero luogo a diversi stati tutti amalgamati al loro interno dalla comune istanza nazionale. Tali movimenti rivendicavano, infatti, l’indipendenza per tutti quei popoli – cechi, slovacchi, ungheresi, italiani, serbi, croati – che, a vario titolo, facevano parte del vasto impero di Francesco Giuseppe d’Austria. Due momenti di crisi nella penisola
balcanica si ebbero nel 1908 e soprattutto nel 1912-13 (le cosiddette "guerre balcaniche"), periodo di scontri e annessioni che ridisegnò gli equilibri geopolitici della regione con queste conseguenze: = 1). ridimensionamento della presenza turca alle porte dell’Europa dalle quali è praticamente espulsa; = 2). sconfitta delle ambizioni austriache di dominio nella penisola e controllo dell’Adriatico; = 3). ulteriore rafforzamento in chiave antiaustriaca dell’alleanza fra Serbia e Russia e dell’espansione di interessi finanziari francesi in Serbia; = 4). aumento delle preoccupazioni austriache nei confronti delle pulsioni nazionali interne all’Impero; = 5). rafforzamento dell’asse Austria-Germania in funzione antirussa. In questo contesto la dinastia che dal 1903 regnava in Serbia puntava a inglobare tutti i serbi che vivevano sotto il dominio straniero nel sud dell’impero d’Austria. Oltre alle rivendicazioni nazionali, un’altra variabile di contesto era quella religiosa: i serbi, come i russi, appartengono alla Chiesa Ortodossa di ascendenza bizantina, mentre l’Austria era in Europa, l’erede del Sacro Romano Impero. Al di là dell’atto di per sé gravissimo dell’uccisione dell’erede al trono, questo assassinio fornì un eccellente pretesto all’Austria per avviare una definitiva iniziativa contro la Serbia ed eliminare alla radice questa minaccia separatista. Così, appena venticinque giorni dopo, il 23 luglio 1914, fu presentato l’ultimatum alla Serbia con una serie di dure richieste tali da limitare sostanzialmente la sovranità serba, fra queste: l’arresto di un certo numero di ufficiali dell’esercito serbo accusati di cospirazione, e il voler
partecipare alle indagini su Princip e sul suo gruppo terroristico. La risposta era attesa entro 48 ore. Non ottenuta risposta il 28 luglio 1914, l’Austria entra in guerra con la Serbia. Il 30 luglio 1914 la Russia ordina la mobilitazione del proprio esercito, convinta che questo atto di forza avrebbe
frenato l’Austria e, soprattutto, la Germania, ma due giorni dopo fu il Reich Germanico a dichiarar guerra alla Russia, cogliendo l’occasione per dispiegare la politica di potenza mondiale voluta dal Kaiser Guglielmo II. Poi, il 3 agosto 1914 la Germania dichiara guerra alla Francia, convinta di
potere avere la meglio, rapidamente, in una guerra su due fronti. Questa previsione verrà meno con il passaggio, durante le operazioni militari del 1915, dalla guerra di movimento alla guerra di trincea.
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