DAL SABATO EBRAICO ALLA DOMENICA CRISTIANA Celebrare il Dio che porta a pienezza Introduzione «Senza vivere la domenica non si può vivere la realtà comunitaria della chiesa; in quel caso la chiesa è destinata a diventare un movimento e la fede si riduce a riferimento personale di uomini e donne a Gesù di Nazaret».1
É opportuno partire da questa constatazione “forte” di Enzo Bianchi per interrogarci sulle radici bibliche del Giorno del Signore: tutto questo per restituire non solo senso ma anche novità al “primo giorno” della settimana cristiana. Per fare questo il nostro cammino sarà scandito da due tappe: -
Il Sabato ebraico alla luce del Primo Testamento, dove cercheremo di individuare le linee teologiche fondanti il “settimo giorno”;
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La Domenica cristiana alla luce del Secondo testamento: verrà mostrata la novità nella continuità della domenica rispetto al sabato ebraico alla luce della persona di Gesù di Nazaret.
1. Il sabato ebraico 1.1. Alcune considerazioni di fondo Il confronto con l’ebraismo del Primo Testamento pare utile non solo per una “ricostruzione storica” del Giorno del Signore, ma anche per comprendere appieno le motivazioni teologiche che stanno alla base di questo tempo. Tre gli elementi che vanno evidenziati:
La necessità della dimensione comunitaria dell’esperienza di fede. Si tratta di una logica ricaduta della percezione che il Dio dell’Esodo è un Dio “in relazione con”, un Dio, quindi, che “crea legami” e che si incontra nel contesto di una rete comunitaria di relazioni, in effetti «la chiesa o è davvero comunità o non è chiesa: la salvezza che il cristianesimo vuole non è solo dentro la storia, ma anche all’interno di una dimensione comunitaria»2.
Esiste una forte connessione tra la situazione attuale segnata dall’essere oramai minoranza inserita in un contesto culturale non cristiano con la dispersione tra i pagani vissuta dal popolo ebraico. In questo senso la grande attenzione che Israele ha posto sul sabato ci insegna che l’osservanza del Giorno del Signore è un fattore fondamentale per evitare la mondanizzazione, conservare e trasmettere la fede nonché ricucire quello “sfilacciamento comunitario” che pare contrassegnare questa nostra epoca per molti versi individualista e “privatista”.
Il confronto con l’Israele di Dio, che l’attenta lettura delle pagine bibliche ci restituisce, rimanda incessantemente ad un recupero armonico del rapporto con lo spazio ma anche (se non soprattutto) col tempo. In effetti la Scrittura pare essere interessata molto più al tempo che allo spazio, più alla storia che alla geografia: la Bibbia si apre proprio con la vertiginosa immagine di Dio che ordina il tempo (Gen 1,1- 2,4a) ponendo l’uomo di fronte ad una forte provocazione esistenziale: sono io che ordino il tempo o è il tempo che schiavizza me?
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E. BIANCHI, Giorno del Signore giorno dell’uomo. Per un rinnovamento della domenica, Piemme, Casale Monferrato (AL), 1994, p. 9. 2 E. BIANCHI, Giorno del Signore, p. 9.
1.2. Il significato teologico del sabato ebraico Secondo lo studioso ebreo A. J. Herschel, la grande costruzione operata da Israele riguarda il tempo non il tempio per cui è il sabato la grandiosa “cattedrale” di Israele. In effetti la sottolineatura storico-temporale della rivelazione del Dio d’Israele (cf. Dt 26,5-9) ha interpretato la vita dell’uomo come spazio della comunione con Dio. Questo lo si può riscontrare anche ad un livello storico: di fronte ai due momenti in cui Israele ha avuto un tempio3 si dipana una lunga storia in cui Israele ha saputo (e sa) vivere senza avere un tempio infatti la Bibbia evidenzia che la santità primordiale del mondo era la santità del tempo: Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto (Gen 2,3), la santità dello spazio fu successiva tanto che solo dopo il peccato del vitello d’oro fu ordinata la costruzione del Tabernacolo. Molti studi hanno dimostrato l’irriducibilità del sabato ebraico a modelli extrabiblici (palestinesi o assiro-babilonesi), infatti la sua celebrazione non trova fondamento né in fattori astrologici, né in fattori naturali (astronomici o meteorologici): la sua ragion d’essere va esclusivamente legata alla fede con JHWH, il Dio dell’Esodo e dell’Alleanza. Quali solo, allora, le caratteristiche che fondano il “settimo giorno” ebraico? Sono almeno due: -
il ritmo settimanale significa essenzialmente “dominio di Dio sul tempo dell’uomo”: il sabato (vertice di questo ritmo) diviene allora una confessione di fede in JHWH quale unico Signore del tempo e della storia, per cui possiamo affermare che osservare il sabato significa riconoscere la sovranità di Dio;
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in questa ottica “previa” il “simbolo” sabato si è andato progressivamente caricando di sensi e significati sempre più ricchi e densi che vanno ad affondare le loro radici nei due eventi fondanti la Rivelazione del Dio biblica: la creazione e la redenzione.
La creazione La connessione sabato-creazione avviene nella Scrittura attraverso due tipologie testuali: la narrazione della creazione (Gen. 2,1-3) e i testi di tipo “giudirico” (Es 20,8-11; Es 31,13-17). Per questione di brevità ci limiteremo a prendere in considerazione il famosissimo testo tratto dal libro di Genesi: 1
Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. 2Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. 3Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto.
Nel contesto del ritmo ebdomadario della creazione4 possiamo individuare due vertici: -
la creazione dell’uomo e della donna (Gen 1,26-31) contrassegnata dall’annotazione: Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona (Gen 1,31);
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Nel settimo giorno, in cui Dio cessa di operare, la creazione è portata a pienezza.5
Nel v. 2 ci imbattiamo in due verbi assai significativi dal punto di vista teologico: si dice innanzitutto che Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto6. L’utilizzo del verbo kalah (=finire, terminare, portare a compimento) ci suggerisce l’idea che è iscritta nel sabato la finitezza del creato. Il passaggio è importante perché ci suggerisce che celebrare il sabato significa accettare la propria finitezza e, in ultima analisi, la propria morte, nella pace e 3
Quattro secoli con il primo tempio e cinque con il secondo. Teniamo conto che il numero sette nella cultura semitica indica simbolicamente “il ciclo completo”. 5 Ritmo feriale e ritmo festivo sono essenziali l’uno all’altro: c’è un tempo per operare e un tempo per contemplare! 6 Significa forse che Dio ha lavorato anche il settimo giorno? Il problema, avvertito fin dall’antichità, viene affrontato in questo modo dalla tradizione rabbinica che arriva ad affermare che è il sabato che ancora mancava perché l’intera creazione fosse completata. 4
nell’obbedienza. Perciò Dio creando il sabato ha creato il tempo ma, anche, la fine del tempo. E cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro: l’utilizzo del verbo shabat ci pone sulla giusta strada per cogliere il significato del testo qui inteso non tanto nell’accezione di “riposare” quanto di “arrestarsi/astenersi”. Creare, quindi, significa anche cessare di creare: la creazione implica la fine della creazione. Questa annotazione ci porta a due tipi di conseguenze: 1) il riposo del Creatore nel settimo giorno fonda teologicamente il riposo della creatura umana, che è ad immagine e somiglianza di Dio, in quello stesso giorno; 2) il fatto che Dio limitò la creazione significa che lascia all’uomo la propria libertà: la liberà di accettare o rifiutare la creazione stessa e la propria creaturalità. *** 2,3
Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto.
Significativo che il vv. 3 ci introduca ad un terzo, decisivo verbo: il “benedire” (=barak) di Dio. É verbo della fecondità e della pienezza ed significativo che sia questa la terza benedizione7. Come è noto, il “tre” nella Scrittura, è il numero della positività e della completezza per cui “benedicendo il sabato Dio promette che la benedizione accompagnerà l’uomo in tutta la storia così che l’uomo, osservando il sabato, potrà conoscere JHWH come la fonte di ogni benedizione, riceverla, trarne vita, pace, pienezza di gioia e di sicurezza”8. Non solo ma il verbo barak presenta anche una accezione liturgica9 come azione che manifesta la presenza di Dio in mezzo al popolo e tende ad instaurare stabilmente la comunione tra il popolo e Dio. Quindi, collocato subito dopo la creazione dell’uomo, il sabato indica ciò cui l’uomo è destinato: la comunione con Dio! Un’ultima riflessione (ma non per questo secondaria) va fatta: il settimo giorno non presenta lo stereotipo narrativo: e fu sera e fu mattina tipico dei sei giorni precedenti. Qual è il motivo? Tutto ciò è connesso alla sua santificazione ed al suo essere strettamente legato alla rivelazione di Dio; in questo senso celebrare il sabato significa celebrare il giorno escatologico (cf. Zc 14,7), il tempo del pieno incontro con il Signore. La redenzione La fede di Israele di natura eminentemente “storica” ha strettamente connesso il sabato non solo alla dimensione della creazione ma anche (se non primariamente) all’evento della liberazione dall’Egitto. In questo senso possiamo dire che il sabato si trova ad essere il crocevia tra la sensibilità profetica (fede in un Dio che opera nella storia) e la sensibilità sapienziale (fede in un Dio che dà un senso alla vita). Interessante notare come la versione deuteronomista del decalogo (Dt. 5,12-15) leghi in modo preciso il sabato con la liberazione dalla schiavitù egiziana: 12
Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha comandato. 13Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, 14ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. 15Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato.
È evidente che il sabato, in questo contesto, acquista un valore pasquale: con un gesto di vera e nuova creazione JHWH ha strappato Israele dalla schiavitù egiziana! Si tratta, dunque, di contemplare, attraverso la celebrazione del sabato, la “reciprocità insita nell’infanzia sabbatica tra il Redentore ed Israele: il sabato è la testimonianza per Dio ed è il riconoscimento di Dio”. In altre parole “la reciprocità tra sabato ed Israele fa sì che nella storia saranno i due grandi testimoni di 7
Cf. Gen 1,22: la benedizione degli animali; Gen 1,28: benedizione dell’uomo (Gen 1,28). E. BIANCHI, Giorno del Signore, p. 42-43 9 Rafforzata anche dall’utilizzo del verbo “consacrò” (=qdsh) 8
Dio: Israele, osservando il sabato, mostrerà che Dio è vivente, e il sabato, custodendo Israele, mostrerà che Dio è operante ed efficace”10. 1.3. Gesù e il sabato É partendo da un’analisi dell’atteggiamento di Gesù nei confronti del sabato ebraico che possiamo tracciare una linea di continuità tra il sabato e quella che sarà poi la domenica cristiana. Alcune sottolineature:
Da una lettura diffusiva dei vangeli notiamo, innanzitutto, che l’atteggiamento prediletto da Gesù nel giorno di sabato è quello di guarire i malati11. Ci si potrebbe chiedere a questo punto: Gesù allora violava il sabato? La risposta degli esegeti è unanime: Gesù non lo violava ma criticava alcuni atteggiamenti verso il sabato: egli, guarendo di sabato, intende confermare questo giorno ponendo l’accento sulla polarità “Giorno di Dio per il recupero pieno dell’uomo”!
Gesù raccoglie la linea teologica veterotestamentaria del sabato escatologico applicandola alla sua persona: le guarigioni operate di sabato vogliono proprio evidenziare questa novità nella continuità!
Gesù ha sempre santificato il sabato partecipando alle riunioni nelle sinagoghe dove ha predicato e pregato (cf. Lc 4,16). Riprova e conseguenza di questo atteggiamento è il fatto che i primi discepoli di Gesù e la stessa chiesa primitiva santificavano il sabato recandosi al tempio e alla sinagoga come i fedeli israeliti12.
1.4. Conclusioni
Gesù non ha mai attaccato il principio della legge di Dio riguardante il sabato: non c’è 13 violazione da parte sue anzi c’è una convalida. Nel contesto del racconto delle spighe strappate da parte dei discepoli di sabato, Marco riporta una frase assai significativa di Gesù: Il sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato (Mc 2,27). Si tratta di una figura retorica tipicamente semitica che rinvia, come scrive Gourgues: «all’intenzione fondamentale della prescrizione del sabato che doveva permettere agli uomini di riposarsi imitando il Creatore». In Cristo c’è la preoccupazione di liberare il sabato dalle prescrizioni letteraliste farisaiche per riandare alla volontà stessa del Legislatore tesa a proteggere, rendere piena, benedire la vita dell’uomo in tutte le sue espressioni, a partire dalla vita fisica. Possiamo dire che con il suo atteggiamento verso il settimo giorno Gesù ha inteso superare il profondo dualismo che segnava (sovrapponendolo) il Tempo di Dio e il tempo dell’uomo.
Gesù rimanda ad una osservanza autentica e radicale in contrapposizione ad una osservanza solo esteriore. Il suo non è un invito all’abrogazione ma un appello ad una osservanza radicale. Significativa la risposta che il Cristo di Matteo dà ai farisei, sempre nel contesto dell’episodio delle spighe strappate, citando il profeta Osea: Misericordia io voglio e non sacrificio (Mt 12,7). Il messaggio è chiaro: la vera violazione del sabato è l’offesa alla carità, il rifiuto di fare
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E. BIANCHI, Giorno del Signore, p.50. Cf. ad esempio la guarigione dell’uomo con la mano inaridita (Mc. 3,1-6; Mt. 12,9-14; Lc. 6,6-11), la guarigione della donna curva (Lc. 13,10-17) e di un idropico (Lc 14,1-6), il paralitico (Gv. 5,1-18); il cieco nato (Gv. 9, 1-41). 12 Nel NT non ci sono segni che gli apostoli dopo la risurrezione abbiano tralasciato l’osservanza del sabato, anzi tutto fa dire che il sabato sia stato osservato dalle donne e dai discepoli anche in occasione della sepoltura di Gesù (cf. Mc 15,42-16,2 e par.). 13 Come in molti notano, Gesù non ha abrogato il sabato ma ne ha arricchito il significato compiendone la tipologia messianica. Scrive E. Bianchi: «Chi pensa che Gesù fosse un contestatore del sabato e delle regole cultuali e che propugnasse una posizione di libertà rispetto alla legge, sbaglia e sbaglia gravemente. E sbaglia anche chi vede nell’operare il bene da parte di Gesù nel settimo giorno un primato della carità e della sequela sull’osservanza della legge: Gesù invece mostrava l’imminente venuta del regno di Dio e i segni del tempo messianico» E. BIANCHI, Giorno del Signore, p. 95. 11
misericordia. In questo senso si deve leggere lo stile di Gesù in relazione alle persone che egli incontra nei suoi tre anni di ministero pubblico: egli ridà il sabato a quelli che ne erano privi 14.
Il rapporto di Gesù col sabato ci svela la sua dimensione messianica (sinottici). É molto significativo che le tre redazioni del già citato racconto delle spighe strappate si concludano con la medesima affermazione: Il figlio dell’uomo è signore del sabato. La proclamazione appare qui come un suggestivo sommario di quello che Gesù ha rivelato di sé: egli guarisce di sabato mentre i presenti commentano: Che è mai questo? Un insegnamento nuovo con autorità (Mc 1,27). Gesù, proprio di sabato, rivela il “volto umano di Dio” quel Dio che libera l’uomo non solo per alleviare il proprio male ma per reintegrarlo in quella pienezza di vita cui l’ha chiamato e destinato. In questo senso le tre linee teologiche caratterizzanti il sabato ebraico (creazione, rivelazione e liberazione) vengono da Gesù riprese ed applicate alla propria persona.
Nel sabato Gesù svela la sua intimità col Padre. Il quarto vangelo in questo è simile ai sinottici, mostrando più volte Gesù che guarisce di sabato (cf. ad esempio la guarigione del paralitico in Gv 5,1-15). Importante notare come all’accusa di violare di sabato Gesù replichi: Il Padre mio opera sempre ed anch’io opero. Tuttavia è nella successiva accusa dei presenti che possiamo intuire come il quarto evangelista si premuri di sottolineare l’unità tra il Figlio e il Padre, infatti cercano di ucciderlo non solo perché violava il sabato ma perché diceva Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio (Gv. 5,18).
2. Il giorno dopo il sabato. Il delinearsi della domenica cristiana Il Secondo Testamento, pur concentrando la propria attenzione per chiarire l’atteggiamento di Gesù nei confronti del sabato ebraico, non manca di fare altri riferimenti allo shabbat. Si tratta di testi che intendono sottolineare l’osservanza del sabato da parte dei discepoli di Gesù. I racconti delle apparizioni del Risorto nei sinottici cominciano quasi sempre con il riferimento alle donne che si recano al sepolcro dopo il sabato (che era appena trascorso: Mt 28,1; Mc 16,1) o più precisamente dopo aver osservato il riposo sabbatico (Lc 23,56). Così anche negli Atti degli apostoli si sottolinea più volte che Paolo e suoi compagni di missione nel giorno di sabato prendono parte alle liturgie sinagogali, tenendo in esse discorsi edificanti e annunciando l’opera di Dio compiutasi in Gesù (At 13,14-43, 44-52; 16,13; 17,2-3; 18,4). L’autore dunque del terzo vangelo e degli Atti sembra essere il più attento a sottolineare l’osservanza del sabato, lo si vede anche da altre due citazioni che ricordano il cammino di un sabato (At 1,12) e che in ogni città ...Mosè ha coloro che lo annunciano, leggendo nelle sinagoghe ogni sabato (At 15,21). Occorre, tuttavia, tener presente un altro dato importantissimo: proprio negli Atti degli apostoli (15,23-29), nelle istruzioni date dagli apostoli di Gerusalemme ai pagani divenuti cristiani, non si parla dell’osservanza del sabato! Tale osservanza appartiene alla cultura e alla sensibilità ebraica, ma non è elemento essenziale per aderire alla salvezza donataci in Gesù. In alcuni casi (Gal 4,8-10; Col 2,16-17), Paolo dovrà ribadire con forza che l’osservanza del sabato comporta anche l’adesione alla Legge mosaica e alla sua logica: una salvezza basata sui meriti dell’uomo e sulla capacità dell’uomo di "dare" a Dio, attraverso le opere. La logica rivelata da Gesù è invece diversa: la salvezza è donata da Dio all’uomo, che è chiamato anzitutto ad "accogliere" mediante la fede. Questo è uno dei tratti fondamentali che contraddistingue il sabato ebraico dalla domenica dei cristiani: la logica che le accompagna. Ad insistere su questo è anche la lettera agli Ebrei al cap.4, che pone in parallelo l’Alleanza stretta da Dio con Mosé e quella stretta in Gesù, evidenziando la superiorità di quest’ultima. All’interno di questo confronto, trova il suo spazio anche la riflessione sul riposo promesso ai padri d’Israele nel deserto (di cui il sabato doveva essere memoria ed esperienza), e quello promesso ancora a chi crede in Dio. Attraverso una riflessione di tipo midrashico sul Sal 95,8-11 l’autore mostra che la promessa del riposo fatta da Dio al suo popolo non trova compimento pieno con il dono del rientro 14
Cf. la sua vicinanza ai “piccoli” (Mt 11,25ss).
in patria e della terra (altro tema di cui Israele fa memoria nel giorno di sabato), perché Dio va oltre, promettendo ancora a tutti coloro che "oggi" ascoltano la sua voce un rinnovato e più vero riposo, richiamo di quello primordiale del Creatore. Unica condizione per poterlo sperimentare è la fede in Cristo.
2.1. La domenica e il Secondo Testamento Nel Secondo Testamento non troviamo la parola "domenica", perché essa è usata solo in epoca successiva al Secondo Testamento. Più propriamente esso parla di primo giorno della settimana (Mt 28,1) o primo giorno dopo il sabato (Mc 16,2.9; Lc 24,1; Gv 20,1.9) per indicare il giorno in cui avvengono gli episodi svoltisi al sepolcro di Gesù e le apparizioni del Risorto. Questo ci fa capire che all’inizio i credenti si trovano "spiazzati" dagli eventi pasquali e, non avendo ancora maturato una terminologia propria per indicare il giorno della resurrezione, fanno riferimento alla settimana ebraica (che all’infuori del sabato e del venerdì, distingue i giorni solo in base al loro ordine: il primo, il secondo...). Anche la prassi risente, come abbiamo visto prima, di quest’incertezza: i primi credenti, infatti, continuano ad osservare il sabato ebraico e a riunirsi nel primo giorno per la fractio panis. Pian piano però, così come matura la riflessione sugli avvenimenti e le loro conseguenze teologiche, soteriologiche e antropologiche, si privilegia il primo giorno della settimana e si trovano anche gli strumenti linguistici più appropriati per esprimere la novità cristiana; prova ne è l’Apocalisse (Ap 1,10) che per la prima volta parla del "giorno signoriale" o "giorno del Signore". C’è tuttavia anche un’altra ragione per cui il giorno della resurrezione è indicato come "primo giorno": esso richiama il giorno della creazione. Resurrezione e creazione sono in questo modo intimamente legate e il Cristo è, nello stesso tempo, il primogenito di ogni creatura e il fine verso cui tende tutta la creazione. Che cosa avveniva nelle prime comunità cristiane nel giorno del Signore? Da alcuni testi possiamo ricavare gli elementi fondamentali. 1. Esso è il giorno non solo della resurrezione, ma dell’incontro con il Risorto, come attestano i racconti degli evangelisti (Mt 28,1-10; Mc 16,9-13; Lc 24,13-49; Gv 20,11-29). I cristiani però non si accontentano di custodire il legame con l’evento pasquale facendone memoria nello stesso giorno in cui esso si è verificato, ma sentono il bisogno di rivivere quell’incontro con il Signore Risorto. In questo senso At 20,7-12 risulta un testo particolarmente significativo, perché ci mostra in che modo i primi cristiani sperimentano la presenza del Signore risorto in mezzo a loro: attraverso lo stare insieme15, l’ascolto delle Scritture e della parola degli apostoli, la fractio panis, cioè lo spezzare il pane in memoria del gesto del Signore nell’ultima cena (anche nel brano di At 20,7-12 per Paolo questa è l’ultima cena con la comunità di Troade). In questo contesto viene restituito alla vita il giovane Eutico, dopo la sua caduta dal terzo piano: segno eloquente della potenza del Signore in mezzo a loro. Il primo giorno della settimana diviene dunque giorno della memoria (anamnesi) della Resurrezione del Signore ed insieme giorno in cui si incontra il Signore Risorto. 2. Anche il brano dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-33) fornisce alcuni elementi interessanti: nello stesso giorno (cioè il primo dopo il sabato), i discepoli vivono: l’ascolto della Scrittura e del suo inaspettato compimento nella storia degli uomini16, il bisogno di prolungare la presenza sperimentata attraverso il pane spezzato insieme, il riconoscimento del Signore, la condivisione 15
Si tratta in questo caso di una riunione avvenuta lungo la notte tra il sabato e la domenica. Si noti come tale ascolto provochi nei discepoli una sensazione profonda di vita, al punto da diventare quasi sensazione fisica: Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le scritture? (Lc 24,32). 16
di quanto sperimentato, il superamento della paura e dello sconforto iniziale, la gioia e il coraggio della testimonianza, il bisogno di tornare nella comunità di coloro che conoscono Gesù. 3. La 1Cor 16,1-2 attesta che i cristiani nel primo giorno della settimana sono invitati a mettere da parte ciò che riescono a risparmiare, per raccoglierlo a favore della Chiesa di Gerusalemme. Questa indicazione che Paolo dà alla comunità di Corinto forse riprende l’usanza ebraica di raccogliere cibo per i poveri durante la veglia del sabato. Non sappiamo ancora con certezza se questa raccolta avvenga durante un’assemblea liturgica domenicale, ma di una cosa questo testo ci dà conferma: l’importanza assunta presso le comunità primitive del primo giorno della settimana. Inoltre, la raccolta a favore della Chiesa di Gerusalemme, non è solo un gesto di carità, di condivisione, ma esprime concretamente la comunione tra le chiese evangelizzate da Paolo e la comunità dalla quale esse hanno ricevuto la fede. Il primo giorno dunque come giorno privilegiato per vivere la carità e la comunione con tutta la chiesa. 4. Dall’Apocalisse traiamo un altro elemento importante che caratterizza il giorno del Signore17: esso non solo ricorda la signoria di Dio e di Cristo sulla storia e sul mondo, non solo permette il prolungamento dell’incontro con il Vivente (attraverso il radunarsi per l’ascolto della sua parola e la cena con lui che "sta alla porta e bussa"), ma ha anche uno sfondo escatologico perché inaugura e fa desiderare il compimento di questa presenza e di questa Signoria. Continuamente l’Apocalisse richiama il tema della venuta del Signore (Ap 1,7; 2,5.16; 3,11; 16,15; 22,7.12.17.20) e si conclude con l’invocazione: "Marana thà", "vieni Signore Gesù". Tutta l’Apocalisse si presenta come uno scritto inviato alle chiese perché sia letto, ascoltato e interpretato durante le celebrazioni liturgiche (si vedano infatti i continui riferimenti ad un’assemblea che ascolta e risponde: 1,3; 13,9-10.18; 22,7; 22,21).Così facendo, la comunità si lascia: purificare dalla Parola di Cristo (Ap 2-3) e interpellare dalla voce dello Spirito; prende coscienza della Signoria di Dio sulla storia; dallo Spirito è guidata a discernere le possibilità che ha di immettere nella storia i valori di Cristo (cf. 22,21); collabora con le sue sofferenze, le sue preghiere, le sue azioni, alla vittoria di Cristo in vista del trionfo escatologico. 5. Infine il primo giorno dopo il sabato rimanda nel Secondo Testamento al dono dello Spirito ai discepoli. Il testo biblico più esplicito al riguardo è Giovanni 20,19-23 in quanto situa il dono dello Spirito ai discepoli durante una delle apparizioni del Risorto: La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!" Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi" Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi.
Il testo lucano di At 2,1 invece parla del giorno di Pentecoste che cade cinquanta giorni dopo la Pasqua, per cui da un calcolo (7 7 1) si evince che tale giorno cade di domenica. La consegna dello Spirito ci richiama così allo sfondo Trinitario della domenica cristiana: il giorno in cui si ricordano e si rivivono il dono che Dio Padre fa all’umanità attraverso il Figlio, che il Figlio fa di se stesso al Padre e all’uomo, il dono dello Spirito del Padre e del Figlio all’uomo. 2.2. Sabato e domenica: quale legame? Da quanto abbiamo finora detto possiamo trarre alcune conclusioni. 17
Che tale giorno coincida con la domenica lo si può dedurre da altri testi contemporanei all’apocalisse, nati nello stesso ambiente dell’Asia Minore: la Didaché e la Lettera di Ignazio Ai Magnesii.
Per comprendere più approfonditamente il senso della Domenica cristiana ci siamo rifatti prima al significato del sabato ebraico e alle sue caratteristiche, perché la domenica ne ha custodito alcuni elementi. Nel sabato abbiamo riscontrato la presenza di tre filoni teologici: il richiamo cioè alla creazione, alla rivelazione e alla liberazione che Dio ha operato per il suo popolo. Nella domenica questi tre richiami sono ugualmente presenti, anche se arricchiti di nuovi contenuti. Il Cristo Risorto è, infatti, il compimento della creazione, della rivelazione e della redenzione. La domenica nasce con la Resurrezione.
Anche la domenica porta con sé il richiamo alla contemplazione della Creazione18 e delle opere mirabili compiute da Dio in tutta la storia della salvezza; inoltre essa porta con sé l’affermazione forte della sovranità di Dio (vissuta attraverso il riposo, attraverso il tempo dedicato all’assemblea liturgica e alla preghiera personale e familiare). Quest’ultima valenza (propria della teologia del sabato), è diventata tipica della domenica lungo i secoli19 e non immediatamente, perché, come abbiamo visto, agli inizi dell’era cristiana il giorno dell’astensione dal lavoro è sempre il sabato, soprattutto presso quei cristiani che provengono dall’ebraismo. Dalla tradizione ebraica il cristianesimo ha ereditato anche il ritmo settimanale, all’interno del quale si situa la domenica.
Tuttavia, la domenica non è il tentativo cristiano di sostituire il sabato, o un modo inventato dai cristiani per distinguersi dagli ebrei, perché essa nasce da esigenze ben diverse, come abbiamo visto. Anzitutto, è il bisogno di custodire il legame con gli eventi accaduti al sepolcro di Cristo che spinge i cristiani a celebrare il primo giorno della settimana: dunque la domenica nasce non per iniziativa dei cristiani, ma come giorno scelto da Dio per la rivelazione della sua potenza e della sua azione redentrice in Cristo20. Inoltre a differenza del sabato ebraico, la domenica viene vissuta nella consapevolezza di poter ancora sperimentare l’incontro con il Signore risorto, Vivente in eterno21 in mezzo alla comunità e non solo nella memoria delle opere compiute dal Dio di Israele o nell’attesa del loro compimento finale.
Infine la domenica è memoria, celebrazione ed incontro con il Dio Trinitario: il Dio della comunione che invita alla comunione. La comunione Trinitaria è la fonte della comunione ecclesiale che i cristiani sono chiamati a vivere e che si rende ancora più visibile durante le celebrazioni eucaristiche. Tale comunione ecclesiale trova poi anche gesti concreti per potersi esprimere, come si è visto a proposito delle chiese primitive con la Chiesa di Gerusalemme 22. La domenica è celebrazione della gratuità della redenzione offerta da Dio all’uomo23. Tale gratuità fa appello non al timore dell’uomo, ma alla sua libertà. Per cui la domenica occorre riscoprirla come dono fatto all’uomo per contemplare ed accogliere Dio, il Creato, se stesso e gli altri.
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Di questa sosta contemplativa l’uomo del terzo millennio ha particolarmente bisogno, perché,costretto nei suoi forsennati ritmi, non è quasi più capace di fermarsi per assaporare ciò che ha intorno e ciò che produce con il suo lavoro; Egli è incapace di scoprire e di stupirsi di fronte al mistero che egli stesso è. Quando la sua corsa non è rinfrancata da questa sosta, l’uomo compromette il suo benessere, pagando talvolta prezzi molto alti a livello personale (pensiamo solo a quanto stress e a quante nevrosi)e a livello sociale (basta considerare tutti disagi vissuti dalle famiglie, troppo spesso incapaci di riunire insieme tutti i propri membri; così pure il problema ambientale: l’uomo, dimentico del profondo legame che lo stringe alla terra, antepone i suoi interessi economici alla salvaguardia della natura) 19 Precisamente con l’imperatore Costantino la domenica diventa giorno non lavorativo. 20 Ecco perché uno dei primi nomi attribuiti alla domenica è “giorno del Signore”, in ricordo della signoria di Cristo risorto. 21 Cf. Ap 1,18 22 Cf.1Cor 16,1-2. 23 Qui sta la novità rispetto alla logica ebraica dell’osservanza del sabato: non si è giusti perché si osserva il precetto del giorno di festa, ma perché Cristo si è offerto per giustificarci tutti, gratuitamente.
Vincenzo Giorgio e Anna Grisanti Bibliografia E. BIANCHI, Giorno del Signore giorno dell’uomo. Per un rinnovamento della domenica, Piemme, casale Monferrato (AL), 1994. P. AURAY, - X. LEON-DUFOUR, “Giorno del Signore”, in «Dizionario di Teologia Biblica», Casale Monferrato, 1984. Appunti ……………………………………………………………………………….. ……………………………………………………………………………….. ……………………………………………………………………………….. ……………………………………………………………………………….. ……………………………………………………………………………….. ………………………………………………………………………………..