Filomeno Mo o
Filomeno Moscati
Culto di S. Michele e vie della devozione micaelica
Foto impaginazione e grafica di Giulio Renzulli
Edizione fuori commercio Patrocinata dal Comune di San Michele di Serino e dalla parrocchia di San Michele Arcangelo
Filomeno Mo oscati
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Culto di S. Michele
Prefazione Questa pubblicazione prende origine da una richiesta di Giulio Renzulli perché fungesse da commento a una mostra fotografica, illustrante il percorso, seguito dai devoti dei territori di Salerno e dell’agro nocerino, per recarsi in pellegrinaggio al Santuario di S. Michele sul promontorio del Gargano. Nel corso della realizzazione lo scopo originario si è andato, man mano, allargando, fino a comprendere le origini e la diffusione del culto di S. Michele nelle sue varie manifestazioni e nei loro significati, e, poiché le vie, attraverso le quali il culto si diffondeva, erano, spesso, delle deviazioni dalle grandi vie dei pellegrinaggi europei del Medioevo, anche la descrizione di queste vie. Il libro tratta, perciò, del culto di S. Michele, dei luoghi in cui esso si è impiantato e radicato con maggiore intensità, e dove tuttora si perpetua, e dei percorsi seguiti dai pellegrini per raggiungere questi luoghi, percorsi che, in realtà, costituivano le grandi vie di comunicazione del passato e, in particolare, dell’epoca medievale. Spero che coloro, i quali vorranno leggere questo libro, possano trovarvi, su questi argomenti, notizie da essi non conosciute e interessanti per la loro cultura, oltre che per la loro devozione se devoti dell’arcangelo Michele. Illustrazioni, impaginazione e grafica sono opera dell’arte di Giulio Renzulli.
San Michele di Serino, 16-12-2009. Filomeno Moscati
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Culto di S. Michele
I Il culto di S. Michele Origine e diffusione La prima menzione dell’angelo Michele (Chi come Dio?) si ha nella Bibbia e, più precisamente, nel Vecchio Testamento, dove, nel libro del profeta Daniele, Egli viene definito «uno dei primi principi» del cielo,1 «Michele capo» degli angeli2 e «Michele, il grande principe che sta a guardia del popolo»3 d’Israele, o, secondo altra interpretazione, del popolo di Dio. Nel Nuovo Testamento è ancora nominato nella Lettera di S. Giuda Taddeo, dove viene indicato come «l’Arcangelo Michele,» quando, a Satana che gli disputava il corpo di Mosé, l’Arcangelo «disse: “Ti punisca il Signore”,»4 e, infine, nell’Apocalisse dell’apostolo Giovanni, il quale, descrivendo la guerra che avvenne nel cielo, afferma che: «Michele e i suoi Angeli combattevano contro il dragone,»5 visto come personificazione del male. In tutte queste menzioni sia Michele che gli Angeli vengono presentati come partecipi delle vicende umane, in una visione apocalittica dei travagli e dei conflitti degli uomini,6 ma, malgrado tutte queste menzioni, la fonte primaria del culto a S. Michele Arcangelo va posta nella descrizione del combattimento celeste, che Giovanni fece, nell’Apocalisse, con queste parole: «Allora avvenne una guerra nel cielo. Michele e i suoi Angeli combattevano contro il dragone. Il dragone e i suoi 1
La sacra Bibbia, Daniele, 10,13, Edizioni Paoline, Roma 1964, p. 978; La sacra Bibbia, Daniele, 10, 21, Edizioni Paoline, Roma 1964, p.978; 3 La sacra Bibbia, Daniele, 12, 1, Edizioni Paoline, Roma 1964, p.980; 4 La sacra Bibbia, Lettera di San Giuda, 1, 9, Edizioni Paoline, Roma 1964, p.1301; 5 La sacra Bibbia, Apocalisse, 12, 7, Edizioni Paoline, Roma 1964, p.1311; 6 Le Grandi Religioni Del Mondo, Vol. 10 Cristianesimo, La Bibbia, Antico Testamento II, Mondadori Editore, Milano 2007, p.564; 2
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Filomeno Moscati angeli ingaggiarono battaglia, ma non poterono prevalere e nel cielo non vi fu più posto per loro. E il gran dragone fu precipitato, l’antico serpente, che si chiamava diavolo e Satana. Il seduttore del mondo intero fu precipitato sulla terra e i suoi angeli furono precipitati con lui.»7 Da questa descrizione ha preso inizio presso i cristiani la devozione a S. Michele Arcangelo, nella sua accezione di capo delle milizie celesti e di capitano del cielo, e la sua rappresentazione iconografica di guerriero indossante corazza e cimiero, che impugna con la destra, alta sulla testa, la spada sguainata e schiaccia sotto il piede il malvagio dragone, simbolo della perversità e del male. L’arcangelo Michele è, inoltre, menzionato in molti antichi scritti, e, in modo particolarmente significativo, in scritti cristiani apocrifi quali la “Storia di Giuseppe il falegname”,8 il “Vangelo degli ebrei”9, il “Vangelo di Nicodemo”,10 il “ Vangelo di Bartolomeo”.11 Nelle menzioni contenute negli scritti cristiani apocrifi viene riaffermata la visione di Michele “alta potenza del cielo”12 e capo delle milizie celesti, anzi di “Michele, comandante in capo delle milizie celesti,”13 ma, accanto a questa figura primaria del guerriero difensore e annunciatore della potenza di Dio col suono della sua tromba14, emerge una seconda accezione dell’Arcangelo, visto questa volta nelle vesti di giudice, guida e custode delle anime dei morti nel loro viaggio verso il Paradiso. Ciò si arguisce da alcuni passi della “Storia di Giuseppe il falegname,” il quale, aspettando la morte ormai prossima, rivolge a Dio questa implorazione: “Poiché si sono 7
La sacra Bibbia, Apocalisse, 12,7. 8,9, Edizioni Paoline, Roma 1964, p. 1311; Le Grandi Religioni Del Mondo, Vol. XII, I Vangeli Apocrufi, Storia di Giuseppe il falegname, XIII, 2; XXII,1; XXIII, 4. Mondadori Editore, Milano 2007; 9 Idem, Vangelo degli Ebrei, 4; 10 Idem, Vangelo di Nicodemo, IX, 1; X, 1; XI, 1; XII, 1; 11 Idem, Vangelo di Bartolomeo, 1, 9; IV, 12; IV, 29; IV, 53; 12 Idem, Vangelo degli Ebrei, 4; 13 Idem, Vangelo di Bartolomeo, IV, 29; 14 Idem, Vangelo di Bartolomeo, IV, 12; 8 8
Culto di S. Michele compiuti i giorni della mia vita, che tu mi hai assegnato in questo mondo, ecco, ti prego, Signore Iddio, di mandarmi l’arcangelo Michele, perché rimanga presso di me finché la mia povera anima sia uscita dal corpo senza dolore e senza afflizione.”15 In seguito è Gesù stesso, che, accortosi che Giuseppe era spirato, dice: “Affidai la sua anima a Michele e Gabriele, a causa delle Potenze che stavano in agguato lungo il cammino, e gli angeli lungo il cammino cantavano, finché l’ebbero consegnata al mio buon Padre.”16 Ancora più significativo è quanto si evince dal Vangelo di Nicodemo, un vangelo apocrifo che narra, nella sua prima parte, il giudizio, la passione e la morte di Cristo, e, nella seconda parte, la resurrezione di Cristo e gli avvenimenti ad essa seguenti. Fra questi avvenimenti assume un particolare risalto la narrazione della discesa di Cristo nell’Inferno, per sottrarre a Satana Adamo, progenitore degli uomini, e, assieme a lui, le anime dei giusti ivi trattenute senza loro colpa; anime che Cristo condusse con sé in Paradiso, dove “Egli entrò, tenendo per mano il progenitore Adamo, che affidò con tutti i giusti all’arcangelo Michele.17” Lo stesso episodio è riportato nel Vangelo di Bartolomeo. In questo vangelo apocrifo è Gesù stesso, che, rispondendo a una domanda di Bartolomeo, dice: “mio caro Bartolomeo... quando sono scomparso dalla croce sono andato nell’Ade per trarne fuori Adamo e tutti gli altri giusti che erano con lui, secondo la richiesta dell’arcangelo Michele.”18 Una menzione dell’angelo Michele viene fatta anche nel Corano, il libro sacro dell’Islam, là dove dice: “Chiunque è
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Idem, Storia di Giuseppe il falegname, XIII, 2.; Idem, Storia di Giuseppe il falegname, XXIII, 4; 17 Idem, Vangelo di Nicodemo, II – IX, 1; 18 Idem, Vangelo di Bartolomeo, 1, 8,9; 16
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Filomeno Moscati nemico di Dio, degli angeli e dei messaggeri di Dio, è nemico di Gabriele e di Michele”19. Da queste citazioni, contenute nella Bibbia e in scritti apocrifi, è derivata la concezione dell’angelo Michele guida, custode e giudice delle anime dei morti e l’immagine iconografica, che, pur continuando a rappresentarlo nella primiera figura di guerriero, pone nella sua mano sinistra la bilancia, strumento ritenuto necessario per poter pesare i meriti delle anime dei defunti prima di ammetterle nel regno dei cieli. È, quindi, dai passi biblici del Vecchio e del Nuovo Testamento, oltre che dagli scritti apocrifi e da copiosi altri scritti dell’antico cristianesimo, che ha preso origine la devozione a S. Michele Arcangelo, difensore della fede, capo delle milizie celesti, vincitore di Satana e degli angeli ribelli, giudice delle anime dei defunti e custode delle porte del cielo. Il culto di S. Michele risulta, perciò, antichissimo e praticato fin dall’epoca del primo cristianesimo, soprattutto nell’Oriente cristiano. All’epoca di Costantino esso era così diffuso che questo imperatore (312-337 d, C.) fece costruire a Costantinopoli, cioè nella capitale del suo impero, un grande santuario a Lui dedicato e che da Lui prese nome (Micheleion). Il culto attecchì anche in Occidente, dove si diffuse rapidamente, soprattutto fra la popolazione sotto il dominio bizantino, a cominciare dal momento in cui si propagò la notizia delle apparizioni dell’Arcangelo al Vescovo di Siponto, Lorenzo Maiorano, poi dichiarato santo. La notizia di queste apparizioni ci è stata tramandata da un libro risalente allo VIII secolo dopo Cristo, il Liber de apparitione sancti Michaelis in Monte Gargano, in una narrazione soffusa di leggenda. Nel libro si narra che un ricco signore, proprietario e allevatore di greggi, nell’anno 490 d. C., mentre faceva pascolare le sue mandrie sul monte Gargano si accorse che da esse mancava il toro più bello. Preoccupato si mise alla sua ricerca e, dopo un lungo e faticoso girovagare, 19
Idem, Vol. V, Corano, Sura II, 98; 10
Culto di S. Michele quando ormai disperava di trovarlo, lo rinvenne quasi sulla vetta del promontorio, inginocchiato davanti all’apertura di una spelonca. Lo chiamò perché lo seguisse, ma, poiché il toro rimaneva inginocchiato malgrado i richiami, stanco per la fatica e adirato contro l’animale che non gli ubbidiva, il ricco signore, imbracciato l’arco, scagliò una freccia contro quel toro che riteneva ribelle. A questo punto il racconto, che fino a questo momento si era mantenuto sospeso fra cronaca e leggenda, si tinge di soprannaturale riferendo il percorso della freccia, che, scoccata dall’arco, anziché dirigersi verso il toro si diresse contro l’arciere, ferendolo ad un piede. Impressionato da questo evento, che riteneva miracoloso, il ricco allevatore si recò dal suo vescovo per riferirglielo. Il vescovo, dopo avere a lungo riflettuto su quel racconto, che gli sembrava inverosimile, ordinò che si facessero tre giorni di penitenza e di digiuno propiziatorio, e, allo spirare del terzo giorno, l’otto di maggio del 490 d. C., al vescovo apparve l’Arcangelo Michele che lo apostrofò con queste parole: “Io sono l’Arcangelo Michele e sto sempre alla destra di Dio. La caverna è a me sacra, io stesso l’ho scelta e ne sono il vigile custode. Là dove la roccia si spalanca possono essere perdonati i peccati degli uomini e tutto quello che gli uomini chiederanno in preghiera in questo luogo verrà loro concesso. Recati, perciò, sulla montagna e dedica la mia grotta al culto cristiano”. Il vescovo, ancora incredulo malgrado l’imperioso ordine ricevuto, si mostrò restio ad eseguirlo perché riteneva la spelonca sede di riti pagani, ma, dopo due anni, nel 492 d. C., al tempo dell’invasione d’Italia da parte dei Goti di Teodorico, Siponto (l’odierna Manfredonia) fu cinta d’assedio e ridotta in condizioni di tale indigenza che i suoi abitanti chiesero una tregua, e, assieme al loro vescovo, si riunirono in preghiera prima di decidere la resa al nemico. Il racconto, che fino a questo punto si era mantenuto fra la cronaca e la storia, si 11
Filomeno Moscati tinge, ancora una volta, di leggenda oltre che di soprannaturale narrando che proprio allora l’arcangelo Michele apparve, per la seconda volta, al vescovo Lorenzo Maiorano promettendo una sicura vittoria sul nemico. Rincuorato da questa promessa, il popolo decise di combattere fidando nell’aiuto dell’Arcangelo; aiuto che non mancò perché durante la battaglia si levò una tale tempesta di grandine e di sabbia, che, percuotendo il nemico da ogni parte, lo spaventò a tal punto da indurlo a ritirarsi togliendo l’assedio. Dopo questa vittoria, che il popolo attribuiva più all’aiuto divino che al valore degli uomini, fu deciso di recarsi in processione alla grotta sul monte, per ringraziare l’Arcangelo, ma, ancora una volta, giunto davanti al suo ingresso il vescovo non volle entrarvi. Fu lo stesso vescovo, Lorenzo Maiorano, allo scopo di superare la sua prevenzione e i suoi scrupoli, a decidere di recarsi a Roma per interpellare il Papa Gelasio I (490-496 d. C.) e questi gli ordinò di procedere a un digiuno di penitenza assieme agli altri due vescovi della Puglia, e, subito dopo, di recarsi alla grotta e di entrarvi insieme ad essi per dedicarla all’ Arcangelo. Il racconto, tingendosi ancora una volta di leggenda e di soprannaturale, prosegue dicendo che i tre eseguirono l’ordine e, dopo aver digiunato, si recarono alla grotta; ma, giunti davanti ad essa, apparve per la terza volta l’Arcangelo per annunziare che la cerimonia della dedicazione non era più necessaria, perché la grotta era stata già consacrata dalla sua presenza; e i tre, una volta entrati nella grotta, dovettero constatare che in essa esisteva già un altare ricoperto da un panno prezioso e da una croce,20 e, a causa di questa consacrazione divina, da quel momento la grotta è stata sempre individuata dal popolo col nome di Basilica celeste. Il vescovo Lorenzo, dopo questa constatazione, fece costruire sul suo ingresso una chiesa dedicata a S. Michele, che fu inaugurata il 29 settembre del 493 d. C.. 20
Liber de apparitione sancti Michaelis in Monte Gargano; 12
Culto di S. Michele Il racconto del Liber de apparitione sancti Michaelis in Monte Gargano risale allo VIII secolo dopo Cristo ed è posteriore di almeno duecento anni ai fatti narrati. A questi fatti il racconto del Liber aggiunge elementi derivanti dalla tradizione, dalla fede e anche dalla credulità popolare, particolarmente sensibile ad accettare l’inverosimile inspiegabile; ma, ciò malgrado, si avverte in tutto il racconto l’immanente presenza del divino, sempre concretamente avvertibile nelle manifestazioni della fede popolare; una fede che fu ancor più rafforzata dalle prove certe della reale esistenza, già nel quinto secolo dopo Cristo, di un santuario di S. Michele sul Monte Gargano. L’esistenza di questo santuario, alla fine del quinto secolo, è accertata dalle lettere di Papa Gelasio I al vescovo di Larino, Giusto, risalenti agli anni 493, 494 d. C., e al vescovo di Potenza, Herculentius, risalenti agli anni 492-496 d. C., lettere che comprovano anche l’inizio dei pellegrinaggi, al santuario del Gargano, delle popolazioni che abitavano le terre d’Italia ancora sotto il dominio dell’impero bizantino. Questi pellegrinaggi continuarono anche quando i Longobardi, soppiantando i Bizantini, occuparono l’Italia, fondando, nel VI secolo dopo Cristo, il Ducato di Benevento, che abbracciava tutta l’Italia meridionale fino a Reggio Calabria. Una prova della grande diffusione cui era giunta la devozione all’Arcangelo Michele, nei primi decenni di vita del ducato longobardo di Benevento, ci viene data da un episodio collegato alla vita di un grande Papa, che fu anche attivo promotore della conversione dei Longobardi al cattolicesimo, Gregorio I Magno. Durante il primo anno del suo pontificato (590-604) Roma fu funestata dalla peste, che ne stava decimando la popolazione, e, allo scopo di implorare il perdono di Dio e ottenerne la fine, il Papa indisse una grande processione attraverso la città. La tradizione, anche qui leggendaria, vuole che, giunta la processione nei pressi del mausoleo di Adriano, sia al Papa 13
Filomeno Moscati che al popolo che lo seguiva apparisse, sulla sommità del mausoleo, l’Arcangelo Michele nell’atto di riporre la spada nel fodero in segno di pace e che, da quel momento, la peste cessasse. Per ricordare il miracoloso avvenimento una statua di pietra dell’angelo guerriero, scolpita da Raffaello da Montelupo, fu situata sulla sommità del monumento, che, da allora, è conosciuto col nome di Castel S. Angelo.21 La manifestazione più eclatante dell’avvenuta conversione dei Longobardi al cattolicesimo è costituita proprio dal culto dell’angelo Michele, che fu assunto a protettore della stirpe longobarda. La presenza di questo culto, in forma diffusa fra i Longobardi già nel VII secolo, è provata dal fatto che l’ angelo guerriero venne rappresentato sul rovescio delle monete del re longobardo Cuniperto (682-696) in una figura armata, con le ali spiegate e nell’atto di impugnare, alta sulla testa,la spada.22 Di questo culto sono testimonianza evidente, oltre alla celeste basilica del Gargano, le tante chiese dedicate all’Arcangelo Michele, chiese che, partendo dagli estremi confini d’Italia e anche da tantissime località al di fuori di essi, contrassegnano luoghi e percorsi della devozione micaelica. In Italia fra i luoghi di culto dedicati a S. Michele Arcangelo vanno ricordati la Chiusa di San Michele, sulle Alpi; la Chiesa di San Michele Arcangelo in Sant’Angelo di Romagna; San Michele a corte di Capua; il santuario rupestre di Olevano sul Tusciano; e, più vicino a noi il santuario al Pizzo di S. Michele di Fisciano; la grotta di S. Michele a Montoro; la chiesa collegiata di San Michele Arcangelo a Solofra; l’antica Chiesa di S. Michele Arcangelo in San Michele di Serino (VII sec. d. C.), distrutta dal terremoto del 1980; e tante altre chiese e santuari situati in zone montuose e ricche di cavità naturali.
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Paola Brengola, Guida di Roma, Laterza, Bari 1984, p. 199; P. Delogu, A. Guillou, G. Ortalli, Longobardi e Bizantini, in Storia d’Italia, Edizioni UTET, Torino 1980, Vol. I, p.11; 14 22
Culto di S. Michele Fuori d’Italia, tra i luoghi di culto e meta di devozionali pellegrinaggi, va ricordato un santuario, sorto nei primi decenni dello VIII secolo dopo Cristo su un isolotto roccioso situato al confine tra la Normandia e la Bretagna, nel Nord della Francia, isolotto chiamato Mont Tomb, ma che, da quell’epoca, viene identificato e conosciuto col nome di Le Mont Saint Michel. La storia di questo santuario ha fortissime somiglianze con quella del Santuario di S. Michele sul Monte Gargano, e, fatto ancora più singolare, esso è stato edificato proprio nell’epoca a cui risale il Liber de apparitione Sancti Michaelis in Monte Gargano, al cui racconto, perciò, quella storia si ricollega in modo assai verosimile. La tradizione della costruzione del Santuario a Mont Saint Michel vuole infatti che, nell’anno 708, l’arcangelo sia apparso due volte al vescovo di Avranches, S. Uberto, chiedendogli entrambe le volte di costruire sulla roccia una chiesa a Lui dedicata; richieste che il vescovo soddisfece costruendo sulla sommità del monte un umile oratorio dedicato a S. Michele, ma solo dopo che l’Arcangelo, per punirlo della sia incredulità, lo ebbe toccato con un dito perforandogli il cranio ma lasciandolo in vita. Il culto di S. Michele, esteso ormai a tutto l’Occidente cristiano, non si affievolì nell’Oriente ortodosso. Lo provano le chiese a Lui dedicate dalla Chiesa Ortodossa e le tantissime icone che lo raffigurano; ma la prova più evidente della persistenza, anzi dell’importanza del culto nell’Oriente cristiano, è data dalla Città di Arcangelo, un porto sul mare Baltico, nel Nord della Russia, che ha preso il nome da un monastero ivi costruito, nel XII secolo, e dedicato a S. Michele dalla Chiesa ortodossa russa.
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Culto di S. Michele Una ulteriore prova della diffusione e dell’importanza raggiunte dal culto dell’Angelo Michele nel Medioevo ci viene dalle descrizioni che di Lui fanno, nelle loro opere, poeti e artisti sommi, come Dante Alighieri (1265-1321), che, attenendosi alla tradizione ormai consolidata, lo descrisse, nell’Inferno, come l’angelo vendicatore che punisce la superbia degli angeli ribelli, quando Virgilio si rivolse a Pluto «e disse: Taci, maledetto lupo, consuma dentro te con la tua rabbia. Non è sanza cagion l’andare al cupo: vuolsi ne l’alto, là dove Michele fe’ la vendetta del superbo strupo;»23 nel Purgatorio, come intercessore delle anime purganti presso Dio, quando Dante, procedendo nel suo cammino, le «udia gridar: «“Maria ora per noi”: gridar “Michele” e “Pietro”, e Tutti Santi;»24 e, infine, nel Paradiso, con l’aspetto umano tramandato dalle statue e dalle icone, quando Beatrice, che gli fa da guida, spiega a Dante che: «Santa Chiesa con aspetto umano Gabriel e Michel vi rappresenta»25 perché gli angeli essendo puri spiriti, e cioè entità divine invisibili, possono essere percepiti dagli uomini solo per mezzo di icone e simulacri, che, attraverso i sensi, li rendono visibili e concreti. 23
Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, VII, vv.8-12; Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, XIII, vv.50-51; 25 Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, IV, vv. 46-47;. 24
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Filomeno Moscati È questa rappresentazione umana e visibile di un'entità invisibile, voluta dalla Chiesa, che spiega le innumerevoli opere d’arte lasciateci da tanti “pittori scultori e architettori,” per dirla col Vasari,26 che rappresentano l’Arcangelo guerriero indossante la corazza, mentre con una mano impugna la spada e con l’altra la bilancia e la catena con cui ha avvinto il domato dragone, come nel mosaico bizantineggiante che adorna la cupola del battistero della basilica di S. Marco a Venezia e il suo simulacro nella chiesa di San Michele di Serino; O indossante tunica e lorica e nella mano destra la spada fiammeggiante, nell’atto di cacciare il demonio nel profondo degli abissi infernali, come nel quadro del Tiepolo (1696-1770) che illeggiadrisce la volta dello scalone dell’Arcivescovado di Udine;27 O l’angelo di bronzo scolpito da Pietro van Verschaffelt, che, dal 1753, sovrasta il mausoleo dell’imperatore Adriano in sostituzione di quello originario in pietra scolpito da Raffaello da Montelupo, mausoleo che, proprio per questo, viene oggi conosciuto come Castel S. Angelo;28 O le tante chiese, sparse per il mondo e a lui dedicate, come ad esempio la chiesa di Orsanmichele, a Firenze, che, nel nome, ricorda l’antico oratorio di San Michele in Orto ivi esistente nel secolo VIII; oratorio sul quale venne eretta la loggia del grano da Arnolfo di Cambio, nel XIII secolo (1290). Dopo la distruzione della loggia, causata da un incendio nel XIV secolo, fu finanziata dalla confraternita omonima e edificata, da Andrea di Cione detto l’Orcagna, la cappella della Madonna di Orsanmichele con un tabernacolo per il quadro della Madonna «di tanta grazia e proporzione ch’ella tiene il primo luogo fra le cose di quel tempo; essendo massimamente il suo componimento di figure grandi e piccole. E di Angeli e Profeti 26
Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori scultori e architettori; Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana, Vol.3, p.385, Sansoni Editore, Firenze 1999; 28 Paola Brengola, Guida di Roma, Laterza Editore, Bari 1984, p. 203; 18 27
Culto di S. Michele di mezzo rilievo intorno alla Madonna»;29 mentre sulla sommità della cupola fu posta una statua dell’Arcangelo San Michele, che, nonostante sia stato ivi situato come difensore dei mercanti dei quali è patrono, regge in mano la spada e non la bilancia; O la Sacra di S. Michele, a Torino, con le sue artistiche porte di bronzo; E, sopra ogni altra, la chiesa del santuario di Mont Saint Mchel, che fu iniziata come oratorio da S. Oberto, nell’anno 809, e innalzata, a partire dal 1017, come chiesa dell’abbazia benedettina ivi fondata nel 966 dal duca Riccardo I. Entrambe, distrutte e bruciate dai bretoni nel 1204, furono ricostruite nel corso del XIII secolo come un’abbazia-fortezza svettante sulla rupe, simbolo orgoglioso della riconquistata indipendenza della Francia e avamposto sulla Manica contro la potenza degli inglesi, e, oggi, splendido esempio di architettura gotico normanna.30 Il monaco borgognone Rodolfo il Glabro (965-1047) così descrisse il Mont Saint Michel e l'incendio del santuario (avvenuto nell'anno 1014 dopo il passaggio di una cometa): "Accadde che finisse bruciata da un incendio la chiesa del beato Michele arcangelo, situata sulla costa dell'oceano e venerata dal mondo intero. Proprio qui si può osservare il fenomeno della marea, con lo straordinario andare avanti e indietro dell'oceano secondo il crescere o il mancare della luna… ed è per questo che il luogo è visitato spesso da gente di ogni paese."31 29 Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori scultori e architettori. Andrea di Cione Orgagna, in Le opere di Giorgio Vasari, Sansoni Editore, Firenze 1973, Tomo I. p. 606; 30 Stefania Coppetti, La Normandia e la Bretagna. Il Gotico di confine, in La storia dell’Arte, Vol. 5, cap. 5, Il Gotico, p. 156, 157, Mondadori Electa S. p.A., Milano 2006; 31 Rodolfo il Glabro, Historiae;
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Filomeno Moscati San Michele Arcangelo è stato scelto come protettore della propria categoria da molte corporazioni. I maestri d’arme e gli schermidori lo hanno eletto loro patrono per la sua immagine di guerriero con la spada sguainata; i farmacisti, i droghieri, i pasticcieri, i mercanti, e tutte le categorie che per esercitare la propria arte fanno uso della bilancia, lo hanno scelto come loro protettore per la sua immagine di psicopompo, (accompagnatore delle anime in paradiso dopo averne valutato i meriti pesandoli con la bilancia); i poliziotti per la sua figura di difensore della giustizia oltre che della fede. Duplice è la ragione per cui San Michele viene reputato protettore degli stabilimenti termali e patrono delle acque terapeutiche. La prima di esse ha origine antichissima ed è in stretta relazione con un passo del vangelo di Giovanni il quale riporta che “Vi è in Gerusalemme, presso la porta delle pecore, una vasca, in ebraico detta Betesdà, la quale ha cinque portici. Sotto questi portici giaceva una grande quantità d’infermi, ciechi, zoppi e paralitici, che aspettavano il moto dell’acqua. Un Angelo del Signore, infatti, di tempo in tempo, scendeva nella vasca e agitava l’acqua. E chi per primo vi si tuffava, dopo il moto dell’acqua, guariva da qualunque malattia fosse stato preso,”32 L’angelo di cui parla il Vangelo di Giovanni era identificato, nella tradizione rabbinica ebraica, con l’Arcangelo Michele, che, anche secondo alcuni studiosi moderni come l’americana Elena Freeman, autrice di diverse pubblicazioni sull’argomento, è l’angelo deputato da Dio a vegliare sulle acque termali calde e su quelle con proprietà terapeutiche. Questo, al di là delle sudorazioni miracolose attribuite nel passato alla statua di pietra dell’Arcangelo,
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Giovanni, Vangelo, 5, 2,3,4; 20
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Filomeno Moscati Spiega perché sul Monte Faito, dalle cui viscere scaturiscono le acque terapeutiche che alimentano le Terme di Castellammare di Stabia, sia situato un piccolo tempio dedicato a San Michele Arcangelo, meta per secoli di pellegrinaggi popolari nel mese di agosto, e perché la più alta delle cime del Faito sia identificata col nome di Sant’Angelo dei tre pizzi. La seconda ragione è legata a una tradizione popolare, che tramanda il racconto di guarigioni miracolose di infermi che purificano il corpo ammalato con il lavacro della “Stilla”, l’acqua, che, formatasi per stillicidio naturale dalla volta rocciosa della grotta dell’Angelo del Gargano, viene per questo scopo raccolta dai fedeli. San Michele, patrono di Monte Sant’Angelo sul Gargano è, inoltre, patrono di molte città dell’Europa. In Italia Egli è patrono di città che vanno da Cuneo, nel Nord, a Caltanisetta, nel Sud. In Campania è patrono della Città di Solofra, di San Michele di Serino, di Sant’Angelo all’Esca, di Sant’Angelo dei Lombardi, di Sant’Angelo a Scala, di Sant’Angelo a Cupolo, di Sant’Angelo in Formis e di molti altri paesi e città. La Chiesa cattolica festeggia San Michele il giorno 29 settembre assieme agli arcangeli Gabriele e Raffaele, e da solo il giorno 8 di maggio, in ricordo sia dell’apparizione dell’Arcangelo al vescovo di Siponto il giorno 8 di maggio del 490, sia della vittoria che i Longobardi riportarono, il giorno 8 di maggio dell’anno 653, sui bizantini che volevano saccheggiare il santuario dell’Angelo del Gargano.
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oevo in costume tipico Pelllegrini del medio
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Gruppo di pelllegrini
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II Luoghi e percorsi della devozione micaelica Dante Alighieri, per descrivere le sensazioni suscitate in Lui dalla vista della candida rosa, formata dalla milizia celeste degli angeli, rappresenta se stesso: “quasi peregrin che si ricrea nel tempio del suo voto riguardando, e spera già ridir com’ello stea”33 cioè come un pellegrino, che, giunto al termine del suo viaggio, entra nel santuario in cui aveva fatto voto di recarsi, e, mentre lo rimira e lo contempla, già pregusta la gioia che lo pervaderà quando, al suo ritorno, potrà descrivere a congiunti e conoscenti le bellezze del luogo santo e l’appagamento che suscita, nell’anima e nel corpo, la constatazione di aver adempiuto il voto. Dante tratta l’argomento anche nella Vita Nuova, dove, per rendere più esplicito e senza equivoci il senso del termine “peregrini” con cui inizia il sonetto XXIV (Deh! Peregrini che pensosi andate), così ne chiarisce il significato: “E dissi «peregrini» secondo la larga significazione del vocabolo; ché peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto; in largo in quanto è peregrino chiunque è fuori de la sua patria; in modo stretto, non s’intende peregrino se non chi va verso la casa di sa’ Jacopo o riede. E però è da sapere che in tre modi si chiamano propriamente le genti che vanno al 33
Dante Alighieri, La divina commedia, Paradiso, XXXI, vv. 43-45. 25
Filomeno Moscati servizio de l’Altissimo; chiamansi palmieri, in quanto vanno oltremare, là onde molte volte recano la palma; chiamansi peregrini, in quanto vanno alla casa di Galizia, però che la sepoltura di sa’ Jacopo fue più lontana de la sua patria che d’alcuno altro apostolo; chiamansi romei, in quanto vanno a Roma, là ove questi ch’io chiamo peregrini andavano”34. Risulta chiaro, da quanto espresso nella Vita nuova, che Dante considera veri pellegrini (peregrini in senso stretto) soltanto quelli che si allontanano dalla propria casa e dalla propria terra per compiere, “al servizio de l’Altissimo”, un cammino verso un luogo di tanta santità che la sua contemplazione arricchendoli nel corpo, ma soprattutto nello spirito, li avvicina a Dio, distinguendoli dai peregrini in senso largo, che, in conformità con il significato del termine dell’antica lingua latina, venivano considerati soltanto come stranieri di passaggio. Dante ci dice inoltre che tre erano, ai suoi tempi, questi luoghi; Gerusalemme (oltremare), luogo della passione e morte di Cristo, redentore dell’umanità; Compostella (la casa di Galizia), che custodiva le reliquie dell’apostolo Giacomo; Roma, sede del vicario di Cristo in terra e luogo del martirio di Pietro, principe degli apostoli, e di Paolo, apostolo delle genti. Solo chi si recava a visitare questi luoghi santi poteva fregiarsi del titolo di pellegrino, perché, nel recarsi in questi luoghi, egli non compiva soltanto un cammino terreno, ma un percorso di redenzione e di purificazione dello spirito. Dante nel precisare chi fossero, secondo Lui, i veri pellegrini, si riferisce ai pellegrini del suo tempo e al costume, ormai diffuso nel secolo XIII, di pellegrinaggi che potremmo definire di massa, almeno per quel tempo, derivati dalla cosiddetta rivoluzione dell’anno 1000. Fu nel corso del secolo XI, infatti, che la società europea venne pervasa da uno slancio espansivo dovuto sia al miglioramento della tecnica agraria (generata dalla diffusione dell’aratro pesante munito di vomere con coltro e versoio e reso stabile da 34
Dante Alighieri, La Vita nuova, § XL; 26
Culto di S. Michele due ruote) sia all’introduzione della bardatura rigida, che migliorava il lavoro dei buoi e, consentendo l’impiego del cavallo, aveva permesso la messa a coltura di nuove terre con conseguente aumento di ricchezza e di popolazione.35 Il risultato più appariscente, di questo miglioramento economico e demografico, fu la grande diffusione degli ordini monastici, che ricoprirono l’Europa di “un candido manto di chiese” Essi con i loro conventi e le loro abbazie divennero centri di cultura, e, con monaci e predicatori itineranti, fonte di un nuovo slancio religioso che alimentò, oltre le crociate, pellegrinaggi penitenziali alle loro abbazie e alle loro cattedrali. Il più famoso di questi pellegrinaggi divenne, per opera dei monaci cluniacensi, quello a Sant’Jago di Compostella, in Galizia. Una testimonianza fedele del fervore religioso successivo alla rivoluzione dell’anno Mille, ci è stata lasciata proprio da un monaco cluniacense, Rodolfo il Glabro, che, nelle sue Historiae, oggi meglio conosciute col nome di Cronache dell’anno Mille,36 così lo descrive: “Dunque nel sopradetto millennio, mentre stava quasi per iniziare il terzo anno, accadde in quasi l'universo mondo, ma soprattutto in Italia e in Gallia, che le chiese delle comunità religiose fossero rimesse a nuovo, benché la maggior parte di esse, essendo decentemente costruite, ne avesse pochissimo bisogno; tuttavia il popolo dei cristiani sembrava rivaleggiare, una parte contro l'altra, per poterne fruire una migliore. Era proprio come se il mondo, liberando sé stesso, respinta la vetustà, dappertutto indossasse una candida veste di chiese. Allora, insomma, quasi tutte le chiese delle sedi episcopali, e perfino gli oratori dei piccoli villaggi, almeno di cinque volte i
35 Giovanni Vitolo , Medioevo, in Corso di Storia diretto da Giuseppe Galasso, Ed. Bompiani, Milano 1996, Vol. I, p.269; 36 Giovanni Vitolo, idem, p. 367;
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Filomeno Moscati fedeli le resero migliori; ”37 e a queste chiese e cattedrali essi si recavano in pellegrinaggi penitenziali e purificatori, o per impetrare grazie. I pellegrinaggi ai luoghi santi della cristianità, come Gerusalemme e Roma, in realtà preesistevano alla rivoluzione dell’anno Mille ed erano praticati, fin dai tempi del primo cristianesimo, quasi soltanto da ecclesiastici e aristocratici, i soli che se lo potevano permettere; mentre erano prerogativa del popolo minuto i pellegrinaggi a luoghi di culto che attiravano folle soltanto locali o provenienti da regioni vicine. Famosi erano, ad esempio, i pellegrinaggi che le popolazioni dell’Irpinia e del Sannio compivano alla tomba del vescovo S. Felice, a Nola, di cui il suo successore S. Paolino (353-431 d. C.) ci ha lasciato una poetica testimonianza nei suoi carmi.38 A cominciare dalla fine del V e dall’inizio del VI secolo ai pellegrinaggi verso i luoghi che custodivano le spoglie dei martiri, diffusi fin dall’epoca del primo cristianesimo, si aggiunsero i pellegrinaggi verso i luoghi dove si erano verificate le apparizioni di santi venerati in quell’epoca, come il Santuario di S. Michele sul monte Gargano. San Michele era, difatti, un santo particolarmente venerato perché assurto, dopo la conversione dei Longobardi al cattolicesimo, a santo protettore della stirpe e del regno longobardi. A partire dallo VIII secolo, ai pellegrinaggi alla basilica celeste del Gargano si aggiunsero quelli al santuario-fortezza di Saint Michel sul Monte Tomb, nell’estremo Nord della Francia, ed è significativo che durante la costruzione del 37
Rodolfo il Clabro, Historae, III, 13, 19: "Igitur infra supradictum millennium tercio iam fere imminente anno contigit in universo pene terrarum orbe, precipue tamen in Italia et in Gallia, innovari ecclesiarum basilicas, licet pleraeque decenter locatae minime indiguissent, emulabatur tamen quaeque gens Christicolarum adversus alteram decentiore frui. Erat enim instar ac si mundus ipse, exentiendo semet, reiecta vetustate, passim candidam ecclesiarum vestem indueret. Tunc denique episcopalium sedium ecclesias pene universas seu minores villarum oratoria in meliora quinque peruntavere fideles" 38 Filomeno Moscati, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg, Penta di Fisciano (SA) 2005, p. 67; 28
Culto di S. Michele santuario, che diventerà poi l’abbazia di San Michele al pericolo del Mare (Saint Michel au peril de la mer), dei messaggeri, che attraversarono tutta la Gallia e poi l’Italia, furono inviati in Puglia per portare, dal santuario del monte Gargano, le reliquie destinate alla nuova costruzione.39 Ciò spiega anche perché tra il santuario di San Michele d’Aiguilhe (innalzato sulla sommità di uno dei tre rilievi vulcanici del Puy, che sorgono ai margini della pianura del Velay) e il promontorio del Gargano è scaglionata una catena di cappelle e di oratori dedicati all’Arcangelo San Michele. Il santuario del Puy dedicato a San Michele è situato proprio sul vertice del rilievo vulcanico, in posizione “quasi inespugnabile”, ed è costituito da una curiosa cappella di forma ovoidale, “posta lì fin dai tempi romanici o preromanici, cui si accede da una scala di 268 scalini tagliati nella roccia... Le origini del pellegrinaggio di Puy risalgono ai tempi dei tempi”40 Fra le chiese, scaglionate tra il santuario di San Michele del Puy e quello dell’Angelo del Gargano, notissima è quella dell’abbazia di San Michele alle Chiuse, costruita sulla cima di un picco roccioso che sbarra la Val di Chiusa, in Piemonte.41 A questi santuari micaelici facevano capo, deviando con qualche giorno di marcia dal loro cammino, anche i romei, che, all’epoca di Dante, compivano il loro viaggio di redenzione verso Roma; i palmieri verso Gerusalemme e la Terra Santa; e i peregrini che si recavano al Santuario di San Giacomo di Compostella, in Galizia. Il pellegrino, quale che fosse la meta e lo scopo del suo viaggio, (per espletare un voto, per implorare una grazia, per espiare un peccato, per la redenzione dell’anima) iniziava il
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Raymond Oursel, Pellegrini del Medioevo, Mondadori Printing S.p.A. Cles (TN) 1982, p. 50;. 40 Raymond Oursel, idem, p.52; 41 Raymond Oursel, idem, p. 50; 29
Filomeno Moscati suo cammino indossando degli indumenti che lo qualificavano immediatamente, agli occhi di tutti, come “peregrinus”. Gli indumenti che caratterizzavano i pellegrini, immortalati in tutte le immagini medievali, ma soprattutto nelle rappresentazioni iconografiche dei santi pellegrini Giacomo e Rocco, erano costituiti da un lungo mantello che copriva tutto il corpo dalla testa ai piedi, e che, proprio perché da essi indossato, veniva designato col termine emblematico di “pellegrina”. Su questo caratteristico mantello il pellegrino indossava un cappello rotondo, a tese larghe, tenuto ben fermo da un sottogola, per proteggere il capo dal sole, dal freddo e dal gelo, e una bisaccia, per il trasporto del minimo indispensabile per la sopravvivenza durante la lunga marcia verso la meta. Altro oggetto che non mancava mai nell’abbigliamento del pellegrino era il “bordone”, il bastone di marcia che lo accompagnava, come il più prezioso e fedele compagno, per tutto il viaggio.42. L’inizio del pellegrinaggio avveniva con un rituale che prevedeva che il cammino del pellegrino dovesse cominciare partendo da un luogo sacro, in genere dalla chiesa parrocchiale del pellegrino o dal santuario di un santo molto venerato nella regione. Le strade percorse da questi pellegrini, quasi a lasciare un segno tangibile del loro passaggio e della loro devozione, si costellarono di chiese e cattedrali dedicate ai santi; e di santuari dedicati all’Arcangelo difensore di Dio e degli uomini e capo delle milizie celesti; chiese e santuari, che, spesso, estesero il proprio nome a interi paesi e città. E’ questa la ragione, oltre quella scaturente dallo scopo del viaggio, per cui le strade dei pellegrini furono definite e presero il nome di Vie Sacre. Fra queste Vie Sacre veniva identificata col nome di Via Francigena o Franchigena la strada, che, partendo da Canterbury, in Inghilterra, e proseguendo attraverso la Francia, 42
Raymond Oursel, idem, pp.55,56; 30
Culto di S. Michele la congiungeva a Roma e a San Giacomo di Compostella, mentre, nell’Italia meridionale longobarda, la strada per Gerusalemme, che giungeva fino a Brindisi seguendo il percorso dell’antica Via Appia, prese il nome e viene ancora oggi ricordata come la Via Sacra Langobardorum. Nella Via Francigena confluivano i pellegrini provenienti da tutti i paesi dell’ Europa del Nord, sia che si recassero in Galizia al Santuario di San Giacomo di Compostella, dopo aver superato il Passo di Roncisvalle o altri passi pirenaici, sia che si recassero a Gerusalemme passando per Roma dopo aver superato la Chiusa di San Michele, o altri valichi alpini. La Francigena, dopo aver superato i valichi alpini, proseguiva sino a Roma seguendo il percorso delle antiche strade consolari romane, e, in particolare, quello dell’antica via Aurelia; ed era perciò designata, nel tratto al di qua delle Alpi, col nome di Via Romea. La sacralità della Via Francigena era accresciuta dal fatto che essa attraversava luoghi che erano stati, in un passato ormai lontano, sede di scontri in difesa della cristianità così sentiti ed esaltati da essere divenuti oggetto di poemi epici, che raccontavano gesta ed eroi che avevano assunto, nella coscienza e nella fantasia popolare, oltre che il sapore della fede quello della leggenda. In soccorso di questi eroi volava l’Arcangelo guerriero nel momento del loro trapasso, come dimostra la chiusa della Chanson de Roland. Essa, scritta circa tre secoli dopo l’avvenimento, così racconta la morte di Orlando, il grande paladino comandante della Marca Bretone,43 che, con la sua morte a Roncisvalle (778 d. C.), salvò l’esercito di Carlo Magno, vincitore dei mori:
43
Vittorino Joannes, Carlo Magno, Editoriale Del Drago, Milano 1994, p. 72; 31
Filomeno Moscati “Sotto un pino il conte Orlando era steso verso la Spagna il suo viso ha rivolto ............................................................ sopra il suo braccio il capo chino teneva: giunte le mani , è arrivato alla sua fine. Dio gli inviò il suo angelo Cherubino E San Michele che protegge nell’estremo periglio; e assieme a loro San Gabriele qui venne; per portare l’anima del conte in Paradiso”.44 Le soste dei pellegrini nei luoghi in cui erano stati eretti chiese e santuari famosi dovevano, in realtà, essere considerate obbligatorie, perché la sosta per la preghiera, in questi luoghi santi, veniva valutata come una tappa del cammino di redenzione che avvicinava l’uomo a Dio. L’importanza di queste soste era inoltre accresciuta dal fatto che esse consentivano, con la vendita di oggetti ricordo e di ex voto, il fiorire degli scambi commerciali e culturali, e, con gli ospizi, il riposo del corpo, provato dalle lunghe marce attraverso strade e sentieri disagevoli e, a volte, quasi impraticabili. Fu proprio per offrire protezione e ospitalità ai pellegrini, e rendere più agevole e meno pericoloso il loro cammino, che, a partire dall’anno Mille, sorsero gli Ordini Ospitalieri, il più famoso dei quali può essere considerato l’Ordine dei Gerosolomitani. Esso, nato in Terra Santa con lo scopo di aiutare e proteggere i “palmieri” diretti a Gerusalemme per pregare sul sepolcro di Cristo, diffuse i suoi ospizi e i suoi servizi in tutta l’Europa, dove venne conosciuto e apprezzato col nome di Ordine dei Cavalieri di Malta. Famosi divennero anche l’Ordine dei Cavalieri di Altopascio, in provincia di Lucca, che costituiva uno snodo di importanza vitale della via Francigena-Romea; e l’Ordine di Sant’Antonio di Vienne, ai piedi delle Alpi e del Passo del Moncenisio. Questi Ordini 44
Chanson de Rolnd, CLXXVI, vv.2375,2376;vv.2391-2396; 32
Culto di S. Michele Ospitalieri, allo scopo di offrire protezione e servizi non solo ai pellegrini ma anche ai comuni viandanti, costruirono e curarono la gestione di Hospitales, costruzioni dotate di grande capacità ricettizia, nelle città con chiese e cattedrali famose e sui passi montani, che costituivano i punti più aspri e pericolosi del cammino dei pellegrini.45 La Via Sacra Langobardorum, partendo da Roma, attraversava tutta la Longobardia Minor, costituita dal Ducato Longobardo di Benevento e dal Principato di Salerno, che sopravvissero per circa tre secoli alla fine della Longobardia Maior, costituita dal Regno Longobardo con capitale a Pavia. La Via Sacra Lamngobardorum, nel suo percorso fondamentale, seguiva l’itinerario dell’antica Via Appia, esistente fin dai tempi di Appio Claudio Cieco da cui aveva preso il nome (312. a.C.), e delle sue due varianti, la Traianea Benevento-Bari, che Orazio descrisse nella Satira V del Libro I, e la Herculea, che da Benevento portava a Venosa e poi a Potenza. Essa terminava a Brindisi, dove i pellegrini si imbarcavano per proseguire per mare verso la Terra Santa. L’Irpinia, come al tempo degli antichi romani, non era direttamente attraversata da quest’antica via consolare, ma era ad essa congiunta con strade non del tutto secondarie. La strada che congiungeva Salerno con Benevento e con l’Appia antica era la Via Antiqua Maior, che, seguendo il corso del fiume Irno, univa Salerno e Nocera con Montoro - Solofra e, attraverso i passi di Turci e della Castelluccia, con Serino e Avellino, da dove, seguendo la riva sinistra del fiume Sabato, giungeva fino a Benevento. Essa, più specificamente, congiungeva Salerno e Nocera con la località denominata S.Angelo ad Peregrinos, o, più semplicemente, Ad Peregrinos; l’attuale casale di San Michele di Serino, che costituì il limite estremo del Principato Longobardo di Salerno all’epoca della 45
Antonio Milone, Il secolo dell’anno Mille. Da Santiago a Gerusalemme, in La storia dell’Arte, Mondadori Electa S. p. A, Milano 2006, vol. III, pp. 702, 703; 33
Filomeno Moscati spartizione dell’originario Ducato Longobardo di Benevento in due Principati, nello 848 d. C.; come si evince chiaramente dal trattato di spartizione, stipulato fra i principi Radelchi e Siconolfo, giunto fino a noi nel Codice vaticano latino 5001. Era questo tratto della Via Antiqua Maior che i pellegrini, provenienti da Salerno e Nocera, seguivano per compiere il loro pellegrinaggio al Santuario di Sant’Angelo sul Monte Gargano. Lo conferma proprio il trattato di spartizione, che, mediante una clausola speciale, stabiliva l’obbligo per i Beneventani di non nuocere ai Salernitani che attraversavano il loro territorio e, in particolare, l’obbligo di autorizzare il passaggio sul territorio beneventano ai pellegrini di Salerno che si dirigevano al Santuario di San Michele sul Monte Gargano (c. 8). La presenza di una clausola così specifica, a garanzia e protezione dei pellegrini del Gargano, fa pensare che essi fossero sottoposti a maltrattamenti e contrasti per ovviare ai quali si concentravano, allo scopo di poter procedere in gruppo per diminuire i pericoli, in una località determinata posta sul confine del Principato di Salerno, località che da ciò prese il nome di Ad Peregrinos, e, in seguito, per il sorgere di un’edicola o di una piccola cappella con l’effigie dell’Arcangelo, di S. Angelo ad peregrinos, tramutatosi col tempo in S. Michele di Serino.46 In questa località, per permettere il raduno e offrire un riparo ai pellegrini in attesa, sorse un Hospitale, un piccolo ospizio da cui i pellegrini proseguivano in gruppo e, superato il fiume Sabato attraversando un ponte di legno all’altezza dell’antica Via Corticelle, imboccavano l’antichissima via Sabbe Maioris, che, attraversando a mezza costa da Est ad Ovest la montagna che sovrasta l’abitato di Santa Lucia di Serino, conduce prima alla Piana di Volturara e poi a Ponteromito e alla Puglia. Questa strada era antichissima essendo costruita sul tracciato di 46
Filomeno Moscati, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg, Penta di Fisciano (SA) 2005, p. 97 e seg.; 34
Culto di S. Michele un preesistente tratturo sannitico, che, in epoca romana, fu denominato Sabbe Maioris e con questo nome viene indicato in documenti di epoca angioina, i quali così ne descrivono il percorso: “Sabbe Maioris [va] da Serino fino al ponte di Nusco e dal ponte di Nusco fino a Ofido e Melfi.”47 Questo percorso viene ancora meglio e più dettagliatamente precisato dal De Cunzo, che, dopo essersi soffermato sulle diverse vie che in antico arrivavano e partivano da Avellino, cita anche “quella che passava da Serino, Piana del Dragone, Cassano, Ponteromito, Guardia e Bisaccia,” collegando la città alla Valle dell’Ofanto. È esattamente il tracciato dell’antico tratturo sannitico, esistente e percorribile ancora oggi dai “Serinesi”, che, per la sua tipica posizione fisica, lo individuano col nome di “Via della Mezza Costa”48. La "Via antiqua maior” e l'antico tratturo, poi denominato Sabbe maioris, erano i percorsi che seguivano i pellegrini, provenienti da Salerno e Nocera, per recarsi a Monte Sant’Angelo sul Gargano. Lo prova il fatto che lungo questa via, o in luoghi con essa collegati, abbondano le chiese e i santuari dedicati al culto dell’Arcangelo Michele e ciò anche perché “intorno alla pastorizia si organizzava la vita economica di intere comunità” e, perciò, “lungo tratturi, tratturelli e bracci passavano non soltanto uomini e greggi, ma si affermavano costumi di vita e si celebravano riti religiosi”49. I pastori, infatti, compivano due pellegrinaggi al santuario del Monte Gargano, uno il 29 settembre e l’altro nel giorno 8 di maggio (date in cui veniva aperta e chiusa la Dogana pecudum di Foggia per contrassegnare il periodo della transumanza) nei quali erano soliti invocare la protezione di S. Michele perché li 47
1272, Registri Angioini, vol. XIII, fol. 182; Filomeno Moscati, Santa Lucia di Serino. Antica origine, antico nome, antica fede. I Pixel, S. Lucia di Serino 2008, p. 6; 49 Diomede Ivone,Introduzione a Attività economiche, vita civile e riti religiosi sui percorsi della transumanza in età moderna, G.Giappichelli Editore , Torino 1998; 48
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Filomeno Moscati salvaguardasse da ladri, lupi, cani arrabbiati e serpenti, che erano i peggiori nemici delle greggi transumanti.50 L’invocazione della protezione dell’Arcangelo Michele era ritenuta indispensabile perché, nella civiltà pastorale, i lupi e i serpenti costituivano il male, cioè elementi negativi che era necessario rimuovere e allontanare e ciò poteva essere fatto soltanto mediante l’aiuto di un santo protettore; o esorcizzandoli riproducendone l’immagine, seguendo l’antico sistema della medicina apotropaica basato sul principio similia similibus curantur51. Lungo le strade della transumanza sorgevano, perciò, chiese e santuari dedicati ai santi invocati dai pastori, S. Michele difensore dai lupi, S. Matteo, difensore dai cani arrabbiati, S. Domenico, protettore dai serpenti, S. Lucia, considerata il simbolo della grazia illuminante e, perciò, capace di rischiarare il cammino sia dell’anima che del corpo, come la vide Dante nel Purgatorio, là dove dice: venne una donna, e disse: “I’ son Lucia. lasciatemi pigliar costui che dorme sì l’agevolerò per la sua via”.52 Il primo, e forse anche il più importante dei luoghi di culto che sorsero lungo la via Antiqua maior e lungo l’antico tratturo sannita poi denominato Sabbe maioris, era situato nella stessa città di Salerno. Era un monastero di suore benedettine, il Monastero di S. Michele Arcangelo, sito “al di sotto della strada che conduce alla porta che viene chiamata Elina” (a suptus platea que pergit ad porta que dicitur elini), come afferma un documento del Codice Diplomatico Cavense (C. D. C.).53 La prima notizia certa della sua esistenza si trova proprio 50
Paone N., La transumanza, Immagini di una civiltà, Isernia 1987, pp.125,126; Pazzini Adalberto, Storia tradizione e leggenda nella medicina popolare, Recordati, Istituto Italiano d’arti grafiche di Bergamo, 1940, p. 83; 52 Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio IX, vv.55, 56, 57; 53 C. D. C. II, 316; 36 51
Culto di S. Michele in questo documento poiché in esso due coniugi, Guido e Aloaria (qui sunt vir et uxor), affermano di aver costruito dalle fondamenta (a fundamina) la chiesa col nome di San Michele Arcangelo (ecclesia vocabulum mighaelis arcangeli). Non altrettanto certa è, invece, la data del documento. Crisci e Campagna dicono, infatti, che il monastero fu costruito dai due coniugi “nel 991 o 981”54 (sec. X) ma la sua origine doveva essere sicuramente anteriore a questa data e legata alla grande fioritura del monachesimo benedettino dei secoli precedenti, poiché esso era filiazione di un monastero assai più antico, quello di S. Vincenzo al Volturno (sec. VIII), che, a sua volta, era una filiazione del più antico e celeberrimo monastero benedettino di Farfa (sec. VI - VII). Il Monastero di S. Vincenzo al Volturno fu distrutto dai “Saraceni” nell’anno 881, e proprio da questa distruzione scaturisce la prima menzione dell’esistenza del Monastero femminile di S. Michele di Salerno in una data anteriore più di cento anni a quella citata da Crisci e Campagna. È il Chronicon Vulturnense a darcene notizia affermando che “l’abate Godelperto (902920), seguendo un preciso programma di ricostruzione amministrativa oltre che materiale, istituì un preposito ai monasteri, alle chiese, ai servi e alle ancelle che dipendevano da lui, per tutto il Principato di Salerno e anche ai monasteri di fanciulle di S. Michele e di S.Giorgio.”55. Questa frase documenta anche che i monasteri femminili erano sottomessi alla tutela dei monasteri maschili, poiché tale era il monastero di S.Vincenzo al Volturno. La sottomissione dei monasteri femminili a quelli maschili era infatti consuetudinaria all’epoca dei Longobardi in quanto si adeguava ad una delle norme dell’Editto di Rotari (636-652), che prevedeva per le donne la soggezione alla potestà o 54 Generoso Crisci, Angelo Campagna, Salerno Sacra, Ed. della Curia Arcivescovile di Salerno 1962, p.369; 55 Chronicon Volturnense, II, 39;
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Filomeno Moscati patronato degli uomini, patronato che veniva denominato “mundio”.56 All’epoca dei Longobardi le monache indossavano l’abito bianco delle benedettine virginiane e continuarono ad indossarlo fino all’anno 1589, anno in cui, a seguito della riforma dei monasteri voluta ed attuata da Papa Sisto V (1585-1590), i quattro monasteri femminili di Salerno (S. Michele, S.Sofia, S.Maria delle Donne, S.Giorgio) furono riuniti in un unico monastero, quello benedettino di S.Giorgio le cui monache indossavano l’abito nero. Il sito di questo monastero è contrassegnato dall’esistenza di una chiesa, la chiesa di S.Michele Arcangelo, facente parte della ricostruzione, avvenuta agli inizi del Seicento, dell’antico monastero di S.Michele e confusa, per errore, con quella fondata dai coniugi Guido e Aloaria, di cui parla il Codice Diplomatico Cavense, che porta il nome di S.Michele, o S.Angelo de Puteo, come è stato provato da Vincenzo de Simone57. La presenza e la diffusione del culto di S. Michele nella città di Salerno, fin dall’alto Medioevo, è inoltre provata dall’esistenza della Chiesa di S. Angelo de Plaio Montis, fatta costruire da Adelaita, in “curte sua intus hanc nobam salernitana civitatem” in data anteriore al 930,58 in località Giovi.59 La devozione a San Michele nella diocesi di Salerno, fin da tempi antichissimi, è inoltre documentata non solo dalle chiese e dai conventi a Lui dedicati, ma anche dalla particolare e diffusissima forma che questa vi aveva assunto, la forma ingrottata, presente fin dai primordi in epoca e in terra bizantina. La forma del culto in cavità naturali situate a notevole altezza in luoghi poco accessibili, o sulle sommità dei monti, risulta, com'è noto, già diffusa nell’Asia minore nel 56
Rotari, c. 204; Vincenzo de Simone, L’identificazione della via che conduceva alla porta di Elino, in Rassegna Storica Salernitana, 17, 1992, pp- 257-266; 58 C. D. C., 1, 193-194; 59 Crisci Generoso, Salerno Sacra, Edizioni Gutenberg, Lancusi (SA) 2001, p.195; 38 57
Culto di S. Michele corso del III secolo dopo Cristo60 con la presenza di molti santuari siti in caverne posizionate, a grande altezza fra i monti, in luoghi scoscesi e impervi. Questa forma particolare del culto era stata originata dal fatto che, con l’affermarsi del cristianesimo, la figura e il culto dell’Arcangelo Michele si erano sovrapposti, fino a sostituirli del tutto, alle figure e ai culti di due divinità dell’Olimpo pagano, Asclepio ed Ermes (Esculapio e Mercurio della mitologia greco-romana) di cui l’Arcangelo aveva assommato in sé tutte le prerogative. Mercurio era, in realtà, messaggero alato degli Dei (aveva le ali ai piedi), accompagnatore delle anime dei defunti (psicopompo), protettore dei commercianti, dei viaggiatori, suscitatore di sogni, dio delle acque miracolose e guaritore delle malattie (aveva in mano il caducéo simbolo dei medici e della medicina);61 Esculapio, a sua volta, era considerato il grande guaritore di ogni malattia.62 La forma di culto in grotte e caverne, riguardante queste due divinità pagane, era molto diffusa in Oriente perché essa permetteva la pratica religiosa dell’incubazione (“Incubatio” da incubo, as = giacere, dormire) molto diffusa nel mondo greco- romano, che consisteva nel “dormire in un tempio sulla nuda terra, per avere da una divinità dei sogni divinatori o una guarigione,” in quanto “si riteneva che il dio guarisse durante il sonno rituale o almeno ispirasse con qualche sogno il mezzo per guarire”.63 La pratica religiosa dei santuari micaelici situati in grotte e spelonche, divenuta tradizione in Oriente, a partire dalla fine del V secolo d. C., con il diffondersi del culto micaelico dopo la costruzione del santuario di Monte Sant’Angelo sul 60
Petrucci A., Origine e diffusione del culto di San Michele nell’Italia meridionale, in Millenaire monastique du Mont S. Michel, III, Paris 1967, p.340; 61 Decio Cinti, Dizionario mitologico, Sonzogno Etas S. p. A., Milano 1998, Vol. I, p112-113; 62 Decio Cinti, idem, p. 41; 63 Decio Cinti, idem, p.152; 39
Filomeno Moscati Gargano, divenne comune pure nell’Occidente cristiano, favorita anche dalla pratica devozionale della Stilla, la raccolta a scopo curativo delle acque derivanti dallo stillicidio delle volte delle caverne-santuario, che la fede popolare vuole dotate di qualità terapeutiche. Ciò spiega la grande diffusione dei santuari micaelici in grotte, nell’ambito della diocesi di Salerno e lungo la via che i Salernitani seguivano per compiere i loro pellegrinaggi all’Angelo del Gargano. La più importante di queste grotte-santuario è la Grotta di San Michele di Olevano sul Tusciano, un Comune della provincia di Salerno confinante da un lato con Battipaglia e dall’altro con Acerno. La grotta era situata all’inizio di un’antica via, che, unendo la Popilia all’Appia seguendo il corso del fiume Tusciano, stabiliva una comunicazione materiale, oltre che ideale, con la grotta dell’Angelo del Gargano, che si trova all’altra estremità di questa via. La grotta di Olevano è posta a circa 600 metri d’altezza, lungo le balze del Montedoro (Mons Aureus) in antico raggiungibile soltanto con due ore di cammino e attraversando un ponte denominato Ponte dell’Angelo. La storia religiosa della grotta di Olevano non è dissimile da quella di tante altre grotte del genere, le quali, tutte, narrano delle apparizioni in esse dell’Arcangelo Michele, vittorioso nella sua eterna contrapposizione e lotta con il diavolo, tanto che, quasi a voler contrassegnare anche fisicamente e visivamente questo evento, nelle loro vicinanze ve n’è spesso una, più piccola e inospitale, nella quale la tradizione confina il diavolo vinto dall’Arcangelo. La seconda grotta, che si rinviene nelle vicinanze della grotta di San Michele di Olevano, ha la particolarità di comunicare con la prima attraverso uno stretto budello e, dagli inizi del secolo XX, viene indicata come la grotta di Nardantuono, un brigante della zona che aveva fatto di essa il suo rifugio. Ciò che rende importante la grotta di Olevano anche dal punto di vista storico ed artistico, oltre che religioso e devozionale, è 40
Culto di S. Michele la presenza, in essa, di costruzioni e affreschi unici nel loro genere, valutati dal World Monuments Fund degni di essere inclusi nella lista dei “cento più importanti monumenti al mondo a rischio e da salvare.” L’ingresso della grotta è chiuso da una parete in muratura, munita di un portone che si apre su di una scala di pietra che conduce ad un largo spiazzo. In questo spiazzo, sotto la volta della grotta, sono state costruite sei cappelle, indipendenti l’una dall’altra e coperte o da un tetto o da una cupola. La grotta doveva essere meta di pellegrinaggio fin dall’alto Medioevo e costituire una tappa di quel cammino di redenzione affrontato dai pellegrini che si recavano in Terra Santa o all’Angelo del Gargano. Lo si arguisce dal fatto che la grotta, con le sue sei cappelle (martiria) edificate nel ventre della montagna, era strutturata in modo da costituire essa stessa “un percorso penitenziale che, partendo dalla chiesa di San Michele, arriva alla cappella alta, vero gioiello architettonico dallo straordinario sapore d’Oriente”64. Le cappelle in origine dovevano essere sette. Lo provano i ruderi esistenti fuori della grotta e il brano di un diario, l’Itinerarium Bernardi monachi, in cui il monaco Bernardo, reduce dal pellegrinaggio in Terra Santa, che aveva compiuto nella seconda metà del secolo IX, afferma che: “usciti dal mare giungemmo al Montedoro, dove c’e una grotta che ha sette altari, che ha anche sopra di sé una grande selva. In questa grotta, a causa dell’oscurità, nessuno può entrare se non con le lucerne accese.”65 La presenza di un notevole numero di affreschi, che coprono le pareti delle cappelle e in particolare quella di San Michele per 64 Geremia Paraggio, Antichi luoghi di Culto, Editoriale AGIRE, Salerno 1993, p. 88; 65 Itinerarium Bernardi Monachi:«Exeuntes de mari venimus ad montem Aureum, ubi est cripta habens VII altaria, habens etiam supra se silvam magnam, in quam criptam nemo potest intrare, nisi accensis luminibus.»;
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Filomeno Moscati una lunghezza di oltre 120 metri, conferisce alla grotta importanza artistica, oltre che storica e archeologica. La chiesa di San Michele è completamente decorata con affreschi bizantini che propongono scene del Nuovo Testamento che vanno dal vangelo dell’infanzia alla crocifissione. La datazione di questi affreschi è stata situata fra il IX e il XIV secolo, un periodo troppo vasto per poter essere ritenuto veritiero e scientificamente valido. Ciò vale, in particolare, per due degli affreschi della chiesa di San Michele, l’Annunciazione e la Presentazione, che risultano sorprendentemente simili a quelli raffigurati, in mosaico, nella basilica eufrasiana di Parenzo, in Istria, che furono realizzati fra il 543 e il 554 dopo Cristo. Geremia Paraggio sostiene che: “i mosaici di Parenzo celebrativi e magnificanti come quelli di Olevano sono di chiara derivazione costantinopolitana,.................. L’Annunciazione di Olevano è quasi illeggibile” tuttavia “si «indovina» la posizione dell’Angelo e quella della Madonna e si riesce a cogliere l’ombra di un insieme annullato dal tempo. Quella di Parenzo ha la stessa impostazione compositiva........ L’imponente Angelo e la Madonna che si ritrae nella grande, monumentale sedia, intenta a filare la lana che raccoglie in un cesto ai suoi piedi, sono gli elementi che danno vita ad entrambe le scene, con assonanze davvero inattese. Per quanto riguarda” la Visitazione”, quella olevanese è... perfettamente aderente al testo evangelico. I saluti risuonano all’interno della casa, tanto da richiamare all’uscio, incuriosita, una ancella che scosta la morbida tenda per poter guardare fuori. L’immagine della Basilica Eufrasiana è identica in ogni particolare…... La scena dell’ancella all’uscio, l’espressione incuriosita, la costruzione su cui si apre l’uscio, tutto concorda con precisione. È poche volte riscontrabile in pittura una simile connessione, perciò viene spontaneo pensare che chi ha 42
Culto di S. Michele dipinto le immagini di Olevano conosceva alla perfezione quelle di Parenzo. Ma il nesso non si ferma qui: lo stile è identico; la linea, pur nella diversificazione tecnica, è la stessa; «l’ambiente» pittorico è il medesimo.”66 Ciò costituisce, secondo Geremia Paraggio, un preciso riferimento per la datazione dei dipinti di Olevano che, perciò, dovevano essere se non contemporanei assai più vicini nel tempo a quelli della basilica eufrasiana di Parenzo. Lungo il percorso della Via Antiqua Maior, o in prossimità di essa, si incontrano diverse chiese e luoghi di culto dedicati all’Arcangelo. A San Michele è dedicata la chiesa parrocchiale di Castiglione del Genovesi, di cui il Santo è protettore. La prima notizia certa di questa chiesa si rinviene in un documento del 1309. Il documento è costituito dalla ratifica di una decisione della curia arcivescovile di Salerno, in cui si afferma che “la ecclesia S. Angeli de Castellione” ha come rettore l’arcidiacono della cattedrale,67 ma la chiesa doveva essere assai più antica. L’anno 1309 sembra, infatti, decisivo per determinare, con una prova documentale, la nascita di quasi tutte le chiese della diocesi salernitana perché a quest’anno risalgono i documenti certi riguardanti le sue chiese. In realtà ciò dimostra soltanto che la documentazione, costituita dall’annotazione in un registro delle decisioni della curia arcivescovile di Salerno, è la più antica a noi pervenuta, mentre per i villaggi, in cui le chiese hanno la loro sede, si hanno prove documentali assai più antiche. Ciò è accaduto anche per Castiglione, la cui esistenza appare documentata già in un atto di donazione di terre dell’anno 877.68 66
Geremia Paraggio, idem, pp. 90, 91; Rat. Dec. 393, n.5708, in Generoso Crisci, Salerno Sacra, a cura di V. De Simone, G. Rescigno, F. Stanzione, D. De Mattia,Edizioni Gutenberg, Lancusi (SA) 2001, pp.54,55; 68 C. D. C. 104; 67
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Filomeno Mo oscati
Olev vano sul Tuscia ano: Vergine con quatttro Santi
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bambino cirrcondato dai
Culto di S. Miichele
Parenzo: Mosaico con Maria M e il Bambinno
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Filomeno Moscati A Calvanico esiste una chiesetta dedicata a San Michele, patrono del paese, ubicata a 1567 metri d’altezza, sulla sommità di un monte che proprio da essa ha preso nome.69 Il più antico documento ecclesiastico che la riguarda risale al 1677 e concerne una visita pastorale, forse la prima in essa compiuta, come si intuisce da un verbale di visita pastorale in cui si afferma che, al visitatore, è stato possibile accedervi solo dopo un lungo ed estenuante cammino. In questo documento la chiesetta viene mentovata col significativo nome di S. Michele Arcangelo in vertice montis.70 Il verbale evidenzia l’estrema povertà e semplicità di questo luogo di culto, dotato di “un unico altare bene ornato con la statua di San Michele Arcangelo in marmo..... e vi si celebra solo per devozione.” Anche questa chiesa deve ritenersi di gran lunga più antica, giacché la tradizione, avvalorata dagli storici locali, l’associa alla sopravvivenza stessa del paese, la cui popolazione proprio su quella cima trovava rifugio in occasione di guerre e calamità. Accanto ad essa sono stati costruiti, nel corso degli anni cinquanta del secolo XX, un rifugio per escursionisti e pellegrini e una chiesa più grande. Ogni anno il giorno sette di maggio la statua d’argento di San Michele, patrono di Calvanico, viene portata in processione alla chiesa-santuario sulla vetta del monte, con vasto concorso di popolo e di pellegrini, e riportata in paese il giorno successivo, otto di maggio, con grandi solennità religiose e civili e il perpetuarsi di antichi e caratteristici riti (coro delle verginelle) in cui la fede, mescolandosi al folclore, suscita
69 Vincenzo D'Alessio, Culto di S.Michele. Santuari tra Salerno e Avellino, Edizioni G.C." F. Guarini", Solofra 1993; 70 Generoso Crisci, Salerno Sacra, Edizioni Gutenberg, Lancusi (SA) 2001, Vol. II p. 28; 46
Culto di S. Michele negli spettatori suggestioni ed emozioni fortemente coinvolgenti.71 Lungo il primo tratto del percorso della Via Antiqua Maior, quasi a sottolineare la sua funzione di via di pellegrinaggio al Gargano, oltre che di comunicazione, non v’è paese con essa collegato che non abbia, o non abbia avuto, almeno un luogo di culto dedicato a San Michele. A Baronissi, nella frazione Sava, si trova la Chiesa di S. Michele Arcangelo, edificata “in pede Saba” nell’anno 1434,72 mentre nel Comune di Castel S. Giorgio si rinviene la Chiesa di S. Angelo a Crapullo, in passato oggetto di contesa tra la Badia di Cava e la Diocesi di Salerno.73 Mercato S. Severino ha addirittura due chiese intitolate a S. Michele Arcangelo, una in frazione Acquarola, di cui si ha notizia certa attraverso il solito registro istituito, nel 1309, dalla Curia Arcivescovile di Salerno per la ratifica delle sue decisioni, ma che doveva essere certamente più antica; l’altra nella frazione S. Angelo, che da questa chiesa ha, evidentemente, preso nome, visto che la sua esistenza è provata da un contratto di permuta di terreni, risalente all’anno 980, nel quale si afferma che sorgeva detta“ecclesia sancti angeli in locum macerata rotensi finibus”74 Il Comune di Montoro Inferiore è particolarmente ricco di testimonianze riguardanti il culto dell’Angelo Michele, testimonianze che, con la loro presenza, ci permettono di individuare l’epoca in cui ha avuto origine questo culto nella valle dell’Irno e lungo il corso del Riosiccu, attuale torrente Solofrana. Una chiesa “sancti michaelis”, ubicata “in locum 71
Raffaella Bergamo, Vincenzo D’Alessio, IL CULTO DI SAN MICHELE ARCANGELO. La chiesa sul pizzo di San Michele,Edizioni Gruppo Culturale “F, Guarini” Solofra (AV) 2004; 72 Generoso Crrisci, idem, p. 2; 73 Generoso Crisci, idem, p. 34; 74 C. D. C. II, 139, 140, in Generoso Crisci, Salerno Sacra, Edizioni Gutenberg, Lancusi (SA) 2001, Vol. II, p.171; 47
Filomeno Moscati montoru finibus rotense” nella zona “que prato dicitur”, viene menzionata, già nell’anno 841, nel Chronicon Cavense, che permette di individuare chiesa e luogo senza possibilità di equivoci. “Nel 1623 il luogo è noto come romitaggio di S. Michele Arcangelo, detto Gripta”. Nella visita pastorale del 1625 la chiesetta di S. Angelo «ab habiso» è descritta nei pressi della sorgente «Labso»... Il visitatore prescrive di celebrarvi solamente nella Pasqua di Resurrezione e nelle festività di S. Michele Arcangelo per il gran concorso di popolo. Ancora oggi al di sopra di Preturo, lungo la via Laura, così denominata dal nome della montagna sovrastante, e precisamente nei pressi della sorgente Labso, esiste una grotta con altare detta di S. Michele o dell’Angelo, presso la quale la domenica di Pasqua e il lunedì in albis si svolge una festa che richiama numerosi fedeli da Montoro, Forino, Contrada e Mercato S. Severino”.75 La Grotta di San Michele, o dell’Angelo, costituisce la più appariscente, e anche la più significativa, delle testimonianze riguardanti il culto dell'Angelo Michele. Essa è significativa già per il luogo in cui è situata, lungo le balze di un monte e nelle vicinanze di una strada, che, ancora oggi, viene identificata col nome di salita o strada della Laura. È questo termine che ci consente di individuare per opera di chi, e in quale epoca, il culto dell’Arcangelo, già preesistente, sia stato incrementato e diffuso nelle nostre contrade. Laura, infatti, è il termine col quale i greco-bizantini designavano, nella loro lingua, sia forme particolari di organizzazione monastica orientale, che si basavano su regole miste fra le cenobitiche e le eremitiche, sia i monasteri nei quali i religiosi vivevano per obbedire a queste regole.76 Ecco come le descrive Geremia Paraggio: “Le laure per secoli sono state il punto di riferimento spirituale delle nostre genti. 75
Generoso Crisci, opera citata, pp. 221, 222; Nicola Zingarelli, Il Nuovo Zingarelli. Vocabolario della Lingua Italiana, Nicola Zingarelli, S. p. A., Bologna 1986, voce laura, p. 1025; 48 76
Culto di S. Michele La laura rappresenta un momento importante per il monachesimo; è quasi un punto di passaggio tra l’anacoretismo e la vita conventuale. I monaci che si riunivano in laure – quasi tutti greci, italogreci o italioti – e che noi chiamiamo «Basiliani», cioè seguaci della regola di S. Basilio, avevano un doppio obbligo; ciascuno doveva provvedere al proprio sostentamento, alle necessità quotidiane e all’alloggio, però durante il giorno dovevano incontrarsi per la preghiera comune, per i discorsi teologici, per le letture dei testi sacri e per le celebrazioni liturgiche alle quali interveniva la folla dei fedeli. Da tutto ciò derivava la necessità di avere un locale grande e accogliente nelle prossimità del quale ci fossero ricoveri per i monaci. Molto spesso le costruzioni erano fatte alla buona, in legno e materiale leggero, altre volte si sfruttavano grotte e altri ripari naturali. E’ chiaro quindi che le laure han lasciato poche e difficilmente leggibili testimonianze ma il loro ricordo perdura nei toponimi che rimangono numerosi specialmente nella parte meridionale della provincia di Salerno. Abbiamo così Laurino, Laureana, Laura di Paestum, la Laura, Laurito, Lauria, Celle di Bulgaria ecc...”77 La grotta di S. Michele, o dell’Angelo, situata al di sopra di Preturo, nei pressi della sorgente Labso lungo la Via della Laura, acquista importanza ancora maggiore se si pensa che in essa “si possono notare raffigurazioni molto antiche dell’arcangelo Michele, di S. Biagio (molto venerato nella frazione Preturo), di S. Gregorio”.78
77 Geremia Paraggio, Antichi luoghi di culto, Editoriale AGIRE, Salerno 1993, pp. 15, 16; 78 Generoso Crisci, opera citata, p. 222;
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Culto di S. Michele San Biagio, un santo taumaturgo di origine orientale, è molto venerato nei paesi situati lungo la Via Antiqua Maior, a prova e conferma dell’origine greco bizantina di questo culto e della sua diffusione, posteriore a quella di San Michele di almeno due secoli. La diffusione avvenne per opera dei monaci basiliani, che, costretti a lasciare la loro patria al tempo delle persecuzioni da essi subite da parte degli iconoclasti e dell’imperatore bizantino Leone III l’Isaurico (717-741), approdarono sulle coste dell’Italia meridionale durante il corso del secolo VIII, introducendovi, oltre il sistema di vita monacale delle laure, il culto e le raffigurazioni pittoriche di santi assai venerati nei loro paesi d’origine. Questo dipinto acquista un valore ancora maggiore se si considera che in esso è raffigurato, accanto a San Michele e San Biagio, il Papa S. Gregorio (590-604) quasi a richiamare alla mente un altro Papa dallo stesso nome, Papa Gregorio III (731-741), che, per difendere i monaci basiliani, comminò la scomunica agli iconoclasti e all’Isaurico, loro persecutori. La grotta dell’Angelo di Preturo di Montoro si addentra nella viva roccia attraverso due aperture, e, all’imbocco della prima, vi è una conca che raccoglie le acque limpidissime e fresche che provengono dallo stillicidio della volta. La conca, spesso munita di un canale di troppo pieno scavato nella roccia, è una caratteristica di quasi tutte le grotte dedicate al culto dell’arcangelo Michele e l’acqua, che in essa confluisce continuamente rinnovandosi, era destinata sia all’uso dell’eremita, che ad essa attingeva quotidianamente per i suoi bisogni domestici, sia a quello dei pellegrini che ne facevano incetta fidando nelle sue virtù miracolose per guarire dalle malattie. Questa fede nelle virtù terapeutiche delle acque dell’Angelo non era, in realtà, soltanto il frutto di una fede cieca e ottusa, ma anche il risultato di una sperimentazione empirica, che, spesso, dava risultati vistosamente positivi. È notorio, infatti, 51
Filomeno Moscati che la scienza medica riconosce le capacità terapeutiche di alcune acque particolarmente ricche di sali minerali, quali sono quelle che si formano per stillicidio attraverso le fenditure delle rocce. Fra queste acque vanno annoverate le “acque bicarbonate calciche, che tanto spesso sono acque da tavola”. Nel trattare l’argomento della terapia termale ed idropinica il professore Lanfranco Zancan afferma, però, che queste acque non sono dotate di virtù terapeutiche proprie e che il medico, nel prescrivere cure termali ed idropiniche, “deve soprattutto tenere presente che la cura d’ acque volge ad esaltare le forze dell’organismo, suscitando quello sforzo difensivo che l’organismo non sarebbe capace di realizzare da solo.”79 Questa affermazione, fatta da un luminare della scienza medica, spiega perché l’uso delle acque di queste grotte, già di per sé capaci di esaltare i poteri difensivi dell’organismo malato, può assumere aspetti miracolosi, o miracolistici, se la loro azione, soltanto stimolatrice delle difese organiche, viene potenziata dalla Fede che da sola, nell’accezione popolare, è capace di smuovere le montagne. Significativa, in merito, è l'iscrizione posta sul muro esterno dell'abside della cattedrale di Notre Dame de Puy (XI sec.) in Francia, dove esisteva una fontana le cui acque erano ritenute miracolose. Essa dice: "Fons ope divina languentibus est medicina Subveniens gratis ubi fallit ars Yppocratis" (La fonte per potere divino agli ammalati è medicina soccorrendoli gratis là dove fallisce l'arte d'Ippocrate). La seconda testimonianza del fatto che la Via Antiqua Maior costituiva la via sacra dei pellegrinaggi salernitano-nocerini verso la grotta dell’Angelo del Gargano, almeno nel suo primo 79
Lanfranco Zancan , Terapia Termale, in Carlo Gamna +, Cesare Giordano, Terapia medica attuale, Unione Tipografica Editrice Torinese, Torino 1962, Vol. IV parte seconda, p.271. 52
Culto di S. Michele tratto, è data da una struttura denominata S. Giovanni Gerosolomitano, esistente nel territorio del Comune di Montoro Inferiore nell’anno 1398,80 che viene indicata nel verbale di una visita pastorale del 1309 come “ecclesia S. Thome que est hospitalis ierosolomitanus”,81 cioè un ospizio per pellegrini e viandanti gestito dall’Ordine gerosolomitano. Nel 1557 l’hospitale, che era di patronato del Comune, venne ceduto, assieme alla Chiesa del Corpo di Cristo alla quale era annesso, ai monaci di Montevergine.82 Proseguendo nel suo percorso la Via Antiqua Maior si addentrava nella conca di Solofra seguendo il corso del rivus siccus. La presenza del culto di San Michele lungo questo tratto della Via è attualmente dimostrata da una chiesa a Lui intestata, la Collegiata di San Michele Arcangelo, patrono della città di Solofra, la cui costruzione risale al 1522.83 Il culto dell’Arcangelo, in questo territorio, era in realtà di gran lunga più antico,84 e, anzi, si può con sicurezza affermare che l’evoluzione storica ed economica della città segue l’evoluzione dei templi dedicati al culto dell’Arcangelo, o viceversa, come ha documentato e illustrato Mimma De Maio in alcune sue pubblicazioni. In epoca posteriore alla guerra greco – gotica (535-553) e alle distruzioni effettuate da Totila, re dei Goti, che costrinsero le popolazioni rurali ad abbandonare le pianure per rifugiarsi sui monti, va collocata l’esistenza della “pieve di S. Maria e S.Angelo del locum Solofre, una chiesa rurale dell’alto 80
Generoso Crisci, Salerno Sacra, Edizioni Gutenberg, Lancusi (SA) 2001, Vol. II, p.215; 81 A. D. S. , Rat. Dec., 441; 82 Generoso Crisci, idem, p. 215; 83 Generoso Crisci, idem, p. 335; 84 Guacci Francesco, Preistoria e storia della valle solofrana, Reggiani Editore, Salerno 1979, Vol. II, p.189; D'Alessio Vincenzo, "L'energia del socialismo" Vincenzo Napoli, Edizioni G. C. "F. Guarini" , Solofra 1993, p.22; 53
Filomeno Moscati medioevo, sorta negli anni bui per sostenere i bisogni religiosi delle popolazioni sparse”85 delle campagne. E’ l’intestazione stessa della pieve, ubicata “in posizione alta lungo la riva destra del flubio [rivus siccus] non lontano dall’arroccamento di Cortina del Cerro,”86 che ne determina l’esistenza nel tempo, situandola nel periodo della dominazione bizantina e, dunque, in epoca anteriore alla conquista longobarda. Essa è infatti dedicata a S. Maria, “una intestazione della pieve” che la “collega alle tante chiese che i bizantini dedicarono alla vergine de mense augusti” e ad un culto evidenziato “da una vera festa bizantina, documentata nella pieve con particolare solennità.”87 I Longobardi, succeduti ai Bizantini, divenuti fedeli dell’Angelo guerriero che avevano eletto loro protettore, “aggiunsero il nuovo culto... a quello precedente, dando però anche inizio ad un graduale processo di sostituzione del culto antico,” processo che ha dato luogo “alla doppia intestazione della pieve di S. Angelo e S. Maria nella quale è chiara l’origine longobarda di quel S. Angelo che si aggiunge alla precedente titolazione Santa Maria.”88 Dopo la rivoluzione dell’anno Mille e l’avvento dei Normanni, la pieve, il cui distretto abbracciava un territorio vasto e spopolato, fu ritenuta inadeguata alle migliorate condizioni economiche e demografiche e le autorità religiose la sostituirono, nel corso del secolo XI, con una entità di più piccole dimensioni, ma certamente più legata al territorio e più consona ai bisogni della popolazione, la parrocchia.89 La trasformazione della pieve di Solofra in parrocchia portò alla caduta della intestazione a S. Maria e, da quell’epoca, sia la
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Mimma De Maio, Alle radici di Solofra, Grafic Way Edizioni, Avellino 1997, pp.27, 28; 86 Mimma De Maio, idem, p. 34;. 87 Mimma De Maio, Alle radici di Solofra, Grafic Way Edizioni, Avellino 1997, p. 36.; 88 Mimma de Maio, idem, p.39; 89 Mimma De Maio, ibidem, pp.50-60; 54
Culto di S. Michele chiesa che la parrocchia furono intestate unicamente a S. Angelo.90 Col sorgere in Solofra di un artigianato industriale legato alla concia delle pelli, che comportò, oltre la sua crescita economica e demografica, l’incremento di tutte le attività commerciali e l’ampliamento del tessuto urbano e viario, anche la Chiesa parrocchiale di S. Angelo fu ritenuta insufficiente ai bisogni sia dei residenti che dei forestieri, che in essa convergevano per causa di commercio. La trasformazione più vistosa, dal punto di vista liturgico e dei servizi divini, fu la modifica del Capitolo ecclesiale, che fu ampliato in Collegio canonicale, e, perciò,“il titolo di chiesa parrocchiale fu trasformato in quello di Collegiata e il Rettore con otto cappellani fu sostituito da un Primicerio con un collegio di undici canonici.”. Dal punto di vista strutturale e architettonico la Collegiata di San Michele Arcangelo non fu, in realtà, una modifica o un semplice “ampliamento del preesistente edificio, improntato a una logica medievale”, ormai superata, di sicurezza e di difesa del territorio e dei suoi abitanti,91 “ma una riedificazione a fundamenti con una diversa ubicazione e una diversa prospettiva”, sia fisica che politica, rispetto al palazzo del signore feudale e allo sbocco delle strade.92 La costruzione della nuova chiesa, iniziata nel 1522, trasformata in collegiata con primicerio e canonici il 26 maggio 1529 da Papa Clemente VII (1523-1534), terminò soltanto nel 1614 e costò oltre centomila ducati. La collegiata misura metri 43 per 24, ha forma di croce latina e stile architettonico della facciata di tipo barocco berniniano.93 90
Mimma De Maio, ibidem, p. 60, nota 22.; Mimma De Maio, ibidem, p. 38; 92 Mimma De Maio, Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese, Il Campanile – Notiziario di Solofra – Editore ,2000, pp. 159, 160; 93 Generoso Crisci , Salerno sacra, Gutenberg Edizioni, Lancusi (SA) 2001, Vol. II, p.335; 91
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Filomeno Mo oscati
Solofrra: Collegiata- Essterno e Interno
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Culto di S. Michele Al suo interno sono conservate opere pittoriche fra cui, nel transetto, la grande tela dell’ Immacolata, capolavoro del pittore solofrano Francesco Guarini, e sculture e intarsi in legno di notevole pregio, opera di valenti artigiani locali che sarebbe meglio definire artisti, fra cui deve essere annoverato il grande portale d’ingresso con storie di San Michele. La Via Antqua Maior, superato il passo di Turci, scende alla piana di Serino, nell’Alta Valle del Sabato, da dove, seguendo la riva sinistra del fiume, prosegue fino a Benevento. A Serino la presenza ab antiquo del culto dell’Arcangelo Michele, nella sua forma ingrottata, trova conferma nella Grotta del SS. Salvatore, situata in posizione elevata e rupestre, lungo le balze del monte Terminio, nell’ambito territoriale della parrocchia del casale S. Biagio. Ecco come la descrive Filippo Masucci: “Un santuario ben conosciuto nelle contrade dell’Irpinia [è] quello del SS. Salvatore di Serino. Esso è costituito da un’ampia grotta formatasi naturalmente fra le rupi del Terminio, con numerose stalattiti. Nell’interno si osserva un altare in marmo, sostituito per voto ad uno in legno dopo la prima guerra mondiale, due statuette di legno cinquecentesche, rappresentanti una il Salvatore e l’altra l’Angelo con la spada sfoderata, una lapide del 1656, che ricorda il laico carmelitano De Francesco, il quale per diciassette anni dimorò in quelle celle,... a terra una piccola campana, che, come si rileva dalle iscrizioni che presenta, fu restaurata la prima volta nel1565 e la seconda nel 1768. Ivi si celebra, il 6 agosto di ogni anno, con molta affluenza di serinesi e degli abitanti dei Comuni viciniori, la festa della Trasfigurazione............... istituita... nel 1456. Però il culto in questa grotta risale indubbiamente a tempi molto più remoti. La tradizione popolare è nel senso che detta grotta fosse la dimora del diavolo, che poi l’Angelo scacciò da quel luogo, precipitandolo da una rupe vicina nella venatura 57
Filomeno Moscati rossa nella quale si crede ravvisare il sangue del demonio, e vi si istituì poi il culto del Salvatore. In breve in quella grotta si praticarono prima culti pagani, poscia quello dell’Angelo, ed in ultimo quello del Salvatore e tutto induce a ritenere che tale tradizione popolare corrisponda a verità.... Inoltre l’Angelo fu il protettore dei Longobardi del ducato di Benevento sin dal tempo della loro conversione, per opera dei benedettini, al cristianesimo, donde il nome nei paesi dell’Irpinia e del Beneventano, che si intitola da tale protettore, come S. Angelo dei Lombardi, S. Angelo a Cupolo, S. Michele di Serino. Si aggiunga che poco al di sotto della grotta del Salvatore ve n’è un’altra molto più piccola dedicata all’Angelo, e che, a non seguire l’opinione sopra esposta, non potrebbe spiegarsi la ragione per cui ai piedi di questo Santuario, in luogo alpestre e lontano dai paesi, sorse un’Abbazia benedettina....di cui rimangono ancora i ruderi (mura di S. Benedetto in località Cerreto di Serino)...S’ignora la data di fondazione della stessa; vuolsi però che essa sorgesse poco dopo la fondazione di Montevergine(1124 d. C.).94 Sta di fatto che Papa Lucio III (1181-1185) nella Bolla Licet nobis, emanata a Velletri il 25 settembre 1182, nel confermare all’arcivescovo Nicola d’Aiello (1182-1222) e alla chiesa salernitana tutti i suoi possedimenti, fra cui Olevano e Montecorvino, vi aggiunge anche le badie di S. Maria de Vetro presso Ogliara, S.Prisco de Nuceria e S.Salvatore de Cellaria,95 quest’ultima identificata da L.Mattei Cerasoli come S.Salvatore de Cellaria o di Serino.96 A conferma dell’antichità del culto dell’Angelo Michele nella grotta, cui si è poi aggiunto e sovrapposto quello del Salvatore, sta il fatto che in due 94 Filippo Masucci, Serino nell’ Età Antica, Tipografia Pergola, Avellino 1959, pp.147,148; 95 A. D.. S: Pergamene e registri,Arca seconda, redatta da Ugone , notaio di S. R. C.; 96 L. Mattei Cerasoli, L’Abbazia di S. Maria de Vetro nella Foria di Salerno, in Rassegna Storica Salernitana, 1944, a. V. gennaio giugno pp. 88-91.; 58
Culto di S. Michele nicchie a fianco dell’altare sono situate le due statuine, in quella a destra per chi entra c’è la statua del Salvatore, in quella a sinistra l’Angelo Michele con la spada sguainata, che, sempre insieme, vengono portate nelle processioni. Una ulteriore conferma ci viene dall’ antichissima tradizione della stilla, riscontrabile anche in questa grotta così come in tutte le altre legate alla presenza in esse dell’Angelo Michele. Anche in questa grotta, infatti, le acque, che stillano dalle stalattiti della volta, sono convogliate, attraverso una rete di piccoli canali, in un pozzo invece che in una conca come nella Grotta dell’Angelo di Montoro. Il pozzo, della profondità di cinque metri, è situato a destra dell’altare 97 perché le acque possano essere attinte dai fedeli. Il legame con le acque dell’Angelo permane anche nell’aspetto devozionale, pur se in modo diverso, giacché le statuine dei due santi, il Salvatore e San Michele, venivano tolte dalle loro nicchie e portate in processione, per tutta Serino, in occasione di grandi siccità o di gravi calamità, come risulta dalle relazioni di diversi parroci. Alfonso Masucci, nel descrivere le processioni generali, afferma che nella terra di Serino: “di tanto in tanto si fa la processione del Santissimo Salvatore e del suo compagno di eremitaggio,l’Angelo. È sempre una processione di penitenza che si celebra per implorare la pioggia o scongiurare una pubblica calamità. Le sante immagini sono talvolta portate in giro per tutto Serino, anche a Canale, anche a San Michele; d’ordinario sono esposte nella chiesa dell’Annunziata, ove i fedeli si recano a venerare. Il clero e le confraternite vestono con abiti dimessi; non sparo di mortaretti o suono di musiche ma solo il salmodiare dei preti e il canto delle donne. Il Rev. Vincenzo Pelosi, che fu parroco di San Sossio dal giugno 1776 all’ottobre del 1792 97
Gennaro Romei, Serino. Storia e tradizioni, fiabe e canti, Poligrafica Ruggiero S. r. l., (AV) 1992, p.40; 59
Filomeno Mo oscati
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Culto di S. Michele ci tramandò il racconto di queste processioni, che a me piace riferire testualmente. «Nell’anno 1779 fu una lunga siccità d’inverno ed incominciò così. Nella mattina del dì 8 gennaio incominciò a fioccare... di modo tale che in questi nostri paesi di Serino vi fece circa quattro palmi di neve..... Caduta e spenta questa neve, il tempo si rasserenò in modo tale che passò l’inverno senza una stilla d’acqua, e la terra nel mese di Febbraio era già incominciata a far polvere, e così seguitando il mese di marzo e di aprile per tutto il regno di Napoli... s’incominciarono a fare processioni di penitenza... per ogni parte. Ma acqua affatto non ne cadeva. Fui mosso anch’io a fare una processione di penitenza.............. del Glorioso San Giuseppe il quale da trent’anni e più non era uscito................................... Ma il mercoledì che doveva fare detta processione...nell’albar del giorno cadde una mediocre acqua; ............................... sicché la Domenica poi fecimo l’ordinata processione, ma di ringraziamento... Ma fatta di nuovo la terra cenere; la semina del grano d’India si faceva nella polvere, il grano seminato minacciava rovina... Non sapendo più che fare Don Liberato Greco, novello parroco di pochi mesi di S. Biasi, stabili di andare a pigliare la statua del SS. Salvatore, il quale non s’aveva memoria d’essersi calato da quel monte a basso. Come infatti nel giorno dell’Ascensione, e fu il 13 di maggio, processionalmente andò a pigliare detta statua, con San Michele ancora.... calaro qui. E fattavi due giorni d’esposizione nella sua Chiesa nella Domenica si portò processionalmente per Serino con più congregazioni e gran concorso di popolo, girò per Santa Lucia, indi passò per Rivottoli...... Da Rivottoli lo passarono nei Ferrari;... finalmente addì 30 maggio, nella Domenica della SS. Trinità, si salì processionalmente al suo monte. E ad ore 23 si turbò il tempo, che piovè fino a ore 24.... Il mese di
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Filomeno Moscati giugno fu tutto acquoso, lode a Dio.... L’annata fu fertilissima.»98 E’ evidente, dal racconto di questa ormai storica processione così come dalle altre tramandateci dal parroco di San Sossio, che, nel santuario della grotta lungo le balze del monte Terminio, il culto del Salvatore aveva preso il sopravvento su quello dell’Angelo, il cui ricordo rimaneva nell’eremitaggio, nelle processioni e nel legame con l’acqua, che permaneva nell’invocazione di piogge abbondanti. C’è un nesso fra la grotta dell’Angelo di Montoro e la grotta del Salvatore di Serino, il quale conferma che il culto dell’Angelo, già introdotto alcuni secoli prima dai bizantini, è stato conservato e diffuso, assieme a quello di San Biagio, ad opera dei monaci seguaci di San Basilio all’epoca della persecuzione da parte degli iconoclasti. Il casale, nel cui ambito territoriale è situata la Grotta del Salvatore, prende nome proprio dal santo taumaturgo San Biagio e la sua antica chiesa parrocchiale, oggi non più esistente, era intitolata proprio a questo santo assai venerato nell’Oriente. Questa chiesa, che la tradizione vuole sia stata, in tempo antico, la chiesa madre di tutta Serino,99 risultava già esistente in epoca anteriore al Mille, secondo un documento (Archivio della Diocesi di Salerno, scaffale 14, n° 728) citato da M. De Bartolomeis nella sua Storia di Salerno, che ne comprova l’esistenza nell’anno 974.100 L’antichissima chiesa era piccolissima ed era comunemente indicata col nome di S. Biasiello piccolo, sia in relazione alle sue dimensioni, sia per distinguerla da quella successiva che l’ampliò alquanto, come con chiarezza si evince da una relazione lasciataci da Don Ambrogio Cemino, che fu suo parroco dal 1700 al 1733. Questa relazione, nella sua prima parte, dice: 98
Alfonso Masucci, Serino, ricerche storiche, Tipografia Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, Vol. II pp. 129, 130; 99 Filippo Masucci, Serino nell’Età Antica, Tipografia Pergola, Avellino 1959, p.44; Alfonso Masucci, opera citata, Vol. II p. 133; 100 Alfonso Masucci, idem, Vol. II, p.75 62
Culto di S. Michele “In nomune Domini Jesu Christi et B. Blasii Tutelaris meae ecclesiae (In nome di nostro Signore Gesù Cristo e del Beato Biagio, Santo protettore della mia chiesa). Dichiaro con giuramento, et sub poena falsi (e sotto minaccia di condanna per falso giuramento), che la suddetta mia chiesa olim (una volta) parrocchiale si ritrova situata guarnita ed addobbata nel modo che segue. La chiesa di San Biase sta situata totalmente in campagna intorno a duecento passi distante dall’abitato, e sta più vicino all’abitato di S. Sossio che a quello di S. Biagio. Anticamente era una piccola chiesa di grandezza intorno a quindici piedi come se ne vedono, o meglio ho veduto, i fondamenti sotto il pavimento dell’unico altare dalla parte dell’Evangelio. E questa credo che sia la causa che ancora vi è chiamato San Biasiello piccolo, se non è per distinguerlo dal casale nominato San Biase. Fu dopo ampliata alla larghezza di venticinque palmi e lunghezza di cinquanta con l’altezza di venti più o meno, con la medesima forma di tribuna da dietro. La suddetta tribuna fu mutata ed ampliata in lamia a volta nel 1657.... nel resto tutta la chiesa è coverta di tegole senza soffitto. Vi sono due finestre, una dietro l’altare e l’altra sopra la porta.... Sull’altare è la statua di S. Biagio dentro un nicchio, dipinto di porfido rosso.....in essa si amministrarono i sacramenti fino all’anno milleseicento trentatre quando per decreto di visita, perché la chiesa stava in campagna, furono trasferiti il SS. Sacramento, sacramentali, battistero ed altro, nella chiesa della SS.ma Annunziata come stanno hoggi......... Immediatamente prima di questa dichiarazione, fatta sotto giuramento dal parroco Don Ambrogio Cemino, Alfonso Masucci, dopo avere, con molta esattezza, descritto la posizione topografica e la conformazione della “Cupa del pigno”, afferma che in essa, “in un podere, posto alla sinistra di chi sale e che conserva il nome di San Biasiello, sorgeva la
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Filomeno Moscati chiesa dedicata a questo santo, l’antica chiesa del villaggio omonimo”. I resti dell’antichissima chiesa di San Biasiello erano ancora visibili all’epoca di Alfonso Masucci, il quale, avendoli personalmente visitati, continuando nella sua descrizione afferma che: “vangando la terra, a pochi centimetri di profondità si scoprono le vestigia delle mura e del pavimento e il selciato di una stradicciola che mena dal viottolo alla chiesa. Parte del muro di settentrione è ancora fuori terra sul margine di un limite."101 La testimonianza di Alfonso Masucci, fatta, inoltre, con una descrizione minuziosa e precisa dei luoghi, della loro denominazione, e dell’ubicazione dell’antica chiesa di S. Biasiello, spazza via ogni dubbio, o illazione, in merito incautamente formulati. Il Masucci, però, probabilmente animato da una pregiudiziale diffidenza contro le notizie su Serino fornite dal De Bartolomeis, mette in dubbio che l’antichità di detta chiesa sia anteriore all’anno Mille, senza rendersi conto che la diffusione del Culto di S. Biagio, nelle nostre contrade, è avvenuta in concomitanza con l’arrivo dei monaci basiliani, arrivo che risale all’epoca dell’imperatore bizantino Leone III l’Isaurico (717-741), loro persecutore. Egli, inoltre, non riesce a spiegarsi perché la chiesa parrocchiale di San Biagio debba trovarsi più vicino all’abitato di San Sossio (altra parrocchia) che non a quello dello stesso S. Biagio.102 La risposta alle sue prevenzioni, e la soluzione alle sue perplessità, viene fornita dal suo stesso fratello, Filippo Masucci, anch’egli appassionato cultore della storia del suo paese, il quale, attribuendo la notizia del documento comprovante l’antichità della chiesa di San Biasiello piccolo 101
Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, p. 75; 102 Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, p. 75; 64
Culto di S. Michele non al De Bartolomeis ma al De Rinaldis, autore di una Storia dell’Archidiocesi e della Provincia di Salerno, la ritiene fondata e ne giustifica la posizione fuori dell’abitato sostenendo che “ le antiche chiese cristiane sorsero, in genere, fuori degli abitati” e che “essa fu costruita nelle immediate vicinanze della via ....che da Avellino porta a Picenzia”.103 Era questa l’antica via, che, partendo dall’ Abellinum romana (Civita di Atripalda) e seguendo la riva destra del fiume Sabato, raggiungeva Serino, dove attraversava i casali di S.Biagio e Strada, che appunto da quella “strata”104 romana ha derivato il proprio nome, e, passando per il “Boschetto” e il “Cerreto”, perveniva al vallone “Matrunnolo”, superato il quale raggiungeva prima le mura della Civita di Ogliara e, poi, attraverso i Monti Picentini, Picenzia.105 A questo bisogna aggiungere che c’e una circostanza, di particolare importanza, che avvalora l’asserzione di Filippo Masucci e che si ricollega alla tradizione delle laure, importata dall’Oriente dai monaci di San Basilio, che propagarono dalle nostre parti il Culto di S.Biagio. La circostanza è costituita dal fatto che essi costruivano il loro luogo di culto e di riunione fuori degli abitati, nei pressi di luoghi solitari in cui erano costretti a vivere e lavorare a causa della loro regola, mista fra l’eremitica e la conventuale, come abbiamo evidenziato nell’illustrare la Grotta dell’Angelo di Montoro Inferiore. La chiesa di S. Biasiello piccolo era, per questa ragione, situata fuori mano, nel podere denominato S. Biasiello, lungo la Cupa del pigno, chiamata così per l’esistenza in essa di un pino secolare, una strada di campagna breve e tortuosa che unisce il casale San Sossio con la strada Sala - San Biagio. Il 103
Masucci Filippo, Serino nell’Età Antica, Tipografia Pergola, Avellino 1959. p. 146; 104 N. d. A ., “strata” = strada maestra lastricata , Vedi Campanini, Carboni, Vocabolario della Lingua latina, p.642; 105 Filippo Masucci, opera citata, p.39; 65
Filomeno Moscati nome di questa “cupa”, che costituiva l’unica memoria visibile di un periodo così importante della storia di Serino, è stato mutato, con insipienza unica, prima in Cupa del pegno, che le attribuiva un significato completamente diverso dall’originario, e, poi, in Via Gennaro Rutoli, cittadino peraltro meritevole. 106
È auspicabile, perché la memoria dei fatti passati non vada completamente perduta, che, all’intestazione della strada a Gennaro Rutoli, amministratori illuminati facciano sempre aggiungere la precisazione già Cupa del pigno. La chiesa di S. Biasiello era priva del Santissimo fin dall’anno 1511, come risulta da una visita pastorale del 24 agosto di quell’anno, e in essa si celebrava soltanto il Battesimo.107 Distante dal casale e mal curata, essa cadde per vetustà nell’anno 1702, com’è consacrato in un atto notarile, redatto dal notaio Angelo Cirino in quello stesso anno, che così ne racconta la fine: “Per vetustà cadde l’intero armaggio di Santo Biasiello. Era giorno festivo. Il clero e il popolo tutto presero la statua antichissima di S. Biase e processionalmente la portarono fino alla chiesa di S. Carlo. cantando il clero i salmi del profeta Davide e le dame il Rosario; indi fu trasportata nella chiesa del Carmine ove al presente si trova. Don Giovanni Ravallese prese la campana di S. Biasiello e il metallo lo fece fondere per la campana grande che si faceva allora.” Alla fine anche la statua del Santo, vecchia, stinta e rosa dai tarli, fu distrutta con l’accetta per farne legna per il fuoco.”108 L’alta valle del Sabato poteva essere raggiunta, dai pellegrini provenienti da Salerno e Nocera, anche attraverso il valico di Taverna dei pioppi ed era verosimilmente questa, perché più 106
Filomeno Moscati, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni, Penta di Fisciano (SA) 2005, p.410; 107 Generoso Crisci, Salerno Sacra, Edizioni Gutenberg, Lancusi (SA) 2001, Vol. II p. 291; 108 Alfonso Masucci, Serino, ricerche storiche, Tipografia Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, Vol II, p. 80; 66
Culto di S. Michele breve e facile, la via seguita dai pellegrini che si concentravano nella località che da essi prese il nome, Ad Pereginos. Il luogo così denominato si è potuto identificare con facilità, perché il trattato di spartizione del Ducato di Benevento, dell’anno 848, lo colloca a mezza strada fra Benevento e Salerno. Esso corrisponde esattamente all’attuale abitato del Comune di San Michele di Serino, una volta anch’esso casale di Serino. L’antica denominazione Ad peregrinos è chiaramente indicativa di un luogo in cui i pellegrini convergevano per sostare e riunirsi in gruppi, che, con la forza del numero, rendessero meno pericoloso il cammino verso la meta del loro voto, che era la grotta dell’Angelo del Gargano. Nella località denominata Ad Peregrinos col passare degli anni sorse un’edicola, o una piccola cappella con l’immagine dell’Angelo del Gargano, e il luogo acquistò la nuova denominazione di S. Angelo ad peregrinos, che, a sua volta, per l’edificazione di una chiesa intestata a S. Michele Arcangelo e il sorgere, intorno ad essa, di un vero e proprio casale, si tramutò in quella di San Michele di Serino. Generoso Crisci e Angelo Campagna affermano che la chiesa di “S. Angelo ad peregrinos in San Michele di Serino” esisteva già nel 700 assieme alle chiese di S. Angelo di Montoro e S. Angelo di Lanzara, e, in nota, aggiungono che esse sono chiese di cui si hanno documenti sicuri.109 Su quest’antica cappella sorse la chiesa di San Michele Arcangelo, distrutta dal terremoto del 23 novembre 1980. Come questa cappella sia sorta ce lo descrive il parroco Don Vincenzo Perrottelli in uno scritto in volgare, cui egli ha dato il titolo di: “Libro dello Stato spirituale e temporale della Chiesa Parrocchiale di San Michele Arcangelo di Serino, fatta da D. Vincenzo Perrottelli parroco di essa in quest’anno 1692.” 109
Generoso Crisci, Angelo Campagna, Salerno Sacra, Ed. della curia Arcivescovile di Salerno, 1962, p. 142; 67
Filomeno Moscati La parte più importante di questo libro è quella che il parroco definisce "Stato spirituale", una espressione con la quale viene denominata una breve storia della chiesa parrocchiale, così come essa era stata tramandata attraverso la tradizione orale, ancora presente e viva all’epoca del parroco Vincenzo Perrottelli. Questa tradizione, pur con i limiti e le precauzioni che si debbono sempre usare in presenza di tradizioni tramandate oralmente e, perciò, soggette a variazioni e distorsioni, riesce a gettare uno sprazzo di luce su un periodo molto controverso della storia della Chiesa di S. Michele Arcangelo e su quella del Casale di San Michele di Serino, che alla storia della chiesa appare indissolubilmente legata almeno fino all’abolizione del feudalesimo, nel 1806. Un documento, del 4 novembre 1275, afferma che “il feudo detto di S. Michele” è “sito nel territorio di Serpico” e, perciò, sotto il dominio e nel possesso del feudatario di Serpico. Un contratto di fitto, del 6 giugno 1419, afferma, invece, che esso è nel possesso assoluto (pieno iure) delle suore benedettine del Monastero di S. Michele di Salerno. Secondo Francesco Scandone il passaggio sarebbe avvenuto, in maniera legale, attraverso una donazione. Il documento di donazione non è stato rinvenuto e, pertanto, l’epoca e il modo in cui avvenne il passaggio di possesso del feudo, dal feudatario di Serpico alle monache di S. Michele di Salerno, rimane oscuro e controverso, anche se Crisci e Campagna affermano che ciò avvenne “sembra nel secolo XIV”. 110 Il parroco, Don Vincenzo Perrottelli, rifacendosi alla tradizione descrive il passaggio in questo modo: “Del tempo della fondazione di detta chiesa non si ha certezza. Vogliono le tradizioni che fusse stata Cappella delle Rev. Monache che stanziavano al Convento di detta Università, gli forno trasferite al Convento di S. Miele di Salerno, da quelle passato il ius alle Rev. Monache di S. Giorgio dell’ istessa Città, come 110
Filomeno Moscati, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni, Penta di Fisciano (SA) 2005 pp. 169-176: 68
Culto di S. Michele successivamente si nota nella collazione della Parrocchia totiès, quotiès vacare contigerit (tutte le volte, ogni qualvolta era accaduto che fosse vacante), havendone le medesime il ius conferendi di Parroco; si che si tiene che le fundatrici di detta Cappella fossero state le suddette Rev. Monache, benché poi allungata detta Chiesa nella forma che si vede da cittadini in due altre ustie111 in due vecchie scene di Palustrata, quale viene scoverta dall’Altare maggiore, a mano destra nci sta la Cappella del Smo Rosario, nella di cui Icona nci sta la suddetta Sma Vergine, et altre varie immagini, fondata da circa 240 anni, Le di cui entrate l’amministrano i Mastri seu economi, che s’eligono dal Rev. Parroco pro tempore; benché ci stia il Cappellano Bullato, che tiene peso di lette Messe quattro la settimana, della quale Cappellania ne tiene il Jus conferendi la confraternita da circa 50 anni fundata. Sta ornata di tutte le suppellettili necessarie, come sonaglie candelieri etc.. Nci sta medesimamente una statua di legno della suddetta Beatissima Vergine con veste di Damasco rosso dentro uno stipo di legno. Di sotto alla parte destra di detta Chiesa nci sta la cappella sotto il titolo di S. Maria delle Grazie, come dalla sua emagine si vede fatta di pietra molle, con panno d’armosino bianco con vesta fuori dell’ urna posita, e d’altre due colonne di stucco. Per tradizione s’ha che sia Cappella di detta chiesa, mentre il Mastro, seu Economo si dice; et ultimo da me suddetto Parroco della Chiesa di Dio benedetto, come dei Cittadini, prolungata con la Sacristia.
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N. d. A. ustie = dipinti colorati ad encausto (cioè con colori incorporati nella cera) su rotoli di stoffa, che venivano srotolati dalla balaustra dell’altare, o dal pulpito, perché il popolo potesse vederli. Era un’usanza medievale legata al fatto che i fedeli erano, nella stragrande maggioranza, degli idioti, ossia analfabeti; 69
Filomeno Mo oscati
Anticca chiesa di San Michele di Serin no distrutta dal ssisma del 23 noveembre 1980
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Culto di S. Michele Il sito attuale di tutto l’edificio di detta Chiesa stà nel mezzo di detta Università, commoda à tutti bensì à due case, ch’abitano uomini e tiene due Porte; una la grande della parte anteriore, per dov’entra tutt’ il Popolo e l’altra picciola che dà l’ingresso et egresso alla suddetta Sacristia.“112 Il Libro, dopo aver descritto gli altri otto altari esistenti in detta chiesa, con le loro suppellettili, la sacrestia, il campanile e il fonte battesimale, termina dicendo: “Nel mezzo della destra parte di detta Chiesa nci sta una porta per la quale s’entra nell’Oratorio, seu Congrega dè fratelli, quali ogni festa di precetto, non in piedi vi recitano il Ssmo Rosario. Nci sta libro d’essigenza perché gli homini pagano grana due , e le donne sorelle uno il mese dè quali nella loro morte se nci fa il funerale rispettivamente et altre migliorazioni; come pure scofettini, suppellettili della Cappella fundata dalla medesima circa 25 anni son’ora”113 La descrizione, fatta dal parroco Perrottelli, identifica con esattezza la chiesa, ancora esistente nel 1980, che fu interamente distrutta dal terremoto. In questa descrizione i punti più importanti sono due, il primo è quello in cui si afferma che, secondo la tradizione, la chiesa è stata fondata dalle monache, che, da tempo antichissimo, stanziavano nel casale. Ciò fa supporre che ove mai donazione vi sia stata, come sostiene lo Scandone, questa non poté essere che in favore di queste monache e che, con esse, si trasferì il diritto feudale alle monache di S. Michele di Salerno. Il secondo punto è la certificazione dell’esistenza di una confraternita, la Congrega di S. Gregorio, esistente fin dal 1667, cioè da più di 350 anni, Questa congrega ancora esiste, e, perciò, è una delle più antiche dell’Irpinia. 112
Filomeno Moscati, San Michele di Serino e la Chiesa di S. Michele Arcangelo dalle origini ai giorni nostri, Edizione a cura del Comune di San Michele di Serino, Tipografia LUBIGRAF, Montoro Inferiore (AV) 2007, pp. 132-133: 113 Filomeno Moscati. idem, pp. 134. 135; 71
Filomeno Moscati La dimora delle monache che stanziavano nell’Università di S. Michele di Serino era posta subito dietro la chiesa, e, attaccata ad essa, c’era il forno, che costituiva uno dei principali cespiti delle loro entrate feudali. Nel 1848, dopo la fine del feudalesimo, dimora, forno, vinacciaio, mulino e territori loro annessi furono venduti a D. Francesco Moscati, per il censo annuo di 234 ducati, ma le monache, fin dall’epoca del loro trasferimento al Monastero di S. Michele di Salerno, non vi abitavano più. In sostituzione dell’antica, modesta dimora, era stata costruita una casa palaziale in un’altra zona del paese, lungo la Via Antiqua Maior, in cui esse dimoravano quando si recavano nel loro feudo, e in cui i loro vassalli recavano, al tempo del raccolto, le derrate che costituivano il censo da essi dovuto al convento di S. Michele di Salerno.114 Ciò che rende importante la casa palaziale è il fatto che ad essa era annesso un Hospitale, un ospizio in cui i pellegrini potessero ricoverarsi e sostare. La tradizione vuole che i pellegrini del Gargano si fermassero in quest’ospizio almeno per un giorno, all’andata come al ritorno; sia per avere la possibilità di formare un gruppo numeroso in grado di resistere agli assalti di ladri e briganti, che li attendevano per depredarli nei luoghi obbligati di passo; sia per adempiere un rituale, che costituiva parte integrante del cammino di redenzione che essi intraprendevano al momento di lasciare il territorio del Principato di Salerno. Il rito consisteva in ripetuti lavacri del proprio corpo, cosa facilmente eseguibile in un luogo così ricco d’acque, quasi che il lavacro del corpo simboleggiasse anche quello dell’anima. La tradizione è conforme a quanto riportato in un antico documento, scritto nel XII secolo dal monaco Aymeric Picaud, la Guida del pellegrino di Santiago, che costituisce la narrazione più veritiera, fatta da un contemporaneo, del modo
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Filomeno Moscati, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni, Penta di Fisciano (SA) 2005, p 198; 72
Culto di S. Michele in cui si svolgevano i pellegrinaggi nel Medioevo e dei pericoli cui i pellegrini andavano incontro. La Guida riporta che la sosta in un santuario costituiva la prima tappa del viaggio solitario del pellegrino, prima tappa che costituiva anche il punto d’incontro per la formazione di carovane collettive di pellegrini.115 I pellegrini, in realtà, temevano gli agguati e gli assalti che briganti e predatori ordivano nei confronti dei viaggiatori solitari, agguati e assalti che avvenivano in luoghi, che, proprio da questi eventi, hanno derivato nomi molto significativi, quali Malepasso, Malataverna, Malavalle, Malpertuso,116 con cui ancora oggi vengono designati. Anche i lavacri del corpo facevano parte del rituale e il pellegrino, proprio per obbedire a questo rituale, si immergeva, ovunque ciò fosse stato possibile, in stagni e ruscelli, per un bagno, che, per verità, non costituiva soltanto un rituale simbolico per la salvezza dell’anima, ma un vero e proprio lavacro del corpo, per liberarlo dal sudiciume e dal sudore che si erano appiccicati alla sua pelle durante il viaggio. La Guida del pellegrino di Santiago è, anzi, molto chiara in proposito, specificando, crudamente e in modo quasi blasfemo, che a circa due miglia dal santuario dell’apostolo Giacomo c’è un posto, in un bosco attraversato da un corso d’acqua, chiamato Lavamentula (o Lavacula), in cui i pellegrini usavano immergersi per lavarsi non soltanto il culo ma tutto il corpo prima di presentarsi davanti all’apostolo.117
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Aymeric Picaud, Guida del pellegrino di Santiago di Compostela; Raymond Oursel, Pellegrini del Medioevo, Mondadori Printing S. p.A. Cles (TN) 1982, p. 58; 117 Aymeric Picaud, Guida del pellegrino di Santiago di Compostela ; 116
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Filomeno Mo oscati
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Culto di S. Miichele
Chieesa di San Michelle Arcangelo, disttrutta dal terremooto del 1980, con la statua del Santo miracolosamen nte in piedi nella sua nicchia scard dinata 75
Filomeno Moscati Dopo il terremoto del 1980 dell’antica casa palaziale, e dell’annesso ospizio, è rimasto il ricordo solo nel nome di una strada e di una piazza, che, rispettivamente, s’intitolano Via Palazzo e Piazza Palazzo. Una nuova chiesa ha sostituito quella distrutta dal terremoto del 1980, di cui, fatto singolare, si salvò soltanto la statua del Santo, rimasta, sull’altare maggiore, ritta sul suo piedistallo e svettante in mezzo ad un mare di macerie. Questa chiesa, quasi a segnare la fine di un ciclo storico più che millenario, dal 1998 non appartiene più alla Diocesi di Salerno ma a quella di Avellino. A contrassegnare la fine di un’epoca e l’inizio di un nuovo millennio, perché la memoria del passato non andasse perduta e fosse di monito e di sprone alle generazioni future, sull’area di sedime della chiesa millenaria distrutta dal terremoto, esattamente nel posto in cui la statua dell’Angelo era rimasta ritta in mezzo alle macerie, è stato eretto, nel 2002, un monumento al protettore del paese, S. Michele Arcangelo.118 Compiuta la sosta e il lavacro purificatorio, in S. Angelo ad Peregrinos, i pellegrini abbandonavano il territorio del Principato di Salerno, e, dopo aver superato il fiume Sabato attraversando un ponte di legno al termine di Via Corticelle, ponte in legno ancora esistente e funzionante negli anni trenta del secolo XX, entravano nel territorio del Ducato di Benevento, e, seguendo l’antico tratturo sannita, denominato Sabbe Maioris in epoca romana, giungevano nella piana di Volturara. Testimonianze del culto di S. Michele lungo il tratturo, oggi denominato Via della Mezza Costa, sono presenti anche in Santo Stefano del Sole, nel cui ambito territoriale, in posizione elevata e sovrastante l’abitato, esiste una località tuttora designata come “l’Angelo”; e a Volturara, ove c’è un vetusto santuario, situato accanto all’antico castello feudale su di un monte a 873 metri sul livello del mare, che costituisce il segno tangibile della devozione dei suoi abitanti all’Arcangelo 118
Filomeno Moscati, San Michele di Serino e la Chiesa di S. Michele Arcangelo dalle origini ai giorni nostri , LUBIGRAF , Montoro Inferiore (AV) 2007, p.229; 76
Culto di S. Michele Michele. Dopo avere attraversato la Piana del Dragone di Volturara i pellegrini del Gargano, seguendo il tracciato dell’antico tratturo, così come è stato delineato da Mario De Cunzo e Vega De Martini,119 raggiungevano Cassano, e, superato il fiume Calore a Ponteromito (il ponte di Nusco), imboccavano la variante romulea dell’Appia antica, per giungere a Torella dei Lombardi, S. Angelo dei Lombardi, Guardia dei Lombardi e, infine, a Bisaccia, (non lontana da Aquilonia, l’antica Romulea, da cui la variante prendeva nome) e da qui, dopo avere attraversato il Tavoliere, raggiungevano Monte S. Angelo e il Santuario che era la meta del loro pellegrinaggio. Lungo questo percorso il culto di S. Michele si appalesa , in modo particolarmente evidente, nel nome stesso del comune più importante dell’Alta Irpinia, Sant’Angelo dei Lombardi. Secondo un’antica tradizione, che ha sapore di mito più che di leggenda, il paese sarebbe stato fondato da una schiera di guerrieri Longobardi, ai quali, mentre attraversavano i monti dell’Irpinia, sarebbe apparso l’Angelo guerriero, patrono della loro stirpe. Essi, colpiti da questa visione, fondarono, sul posto dove era loro apparso il Santo, un paese che, da questa circostanza, derivò la denominazione che tuttora lo contraddistingue, Sant’Angelo dei Lombardi. I “Santangiolesi” a ricordo della devozione antica all’Angelo guerriero lo festeggiano, ogni anno, il giorno del 29 settembre. I pellegrini di Salerno e dell’agro nocerino, dopo avere attraversato il Tavoliere, terminavano il loro cammino di redenzione nella Grotta dell’Angelo del Gargano, dove, fra riti e canti religiosi, per la salute dell' anima, e lavacri con l’acqua della stilla per la salute del corpo, il pellegrinaggio si concludeva; ma, prima di iniziare la via del ritorno, i pellegrini avevano cura di lasciare, sulle pareti e sulle colonne del 119
Mario De Cunzo, Vega De Martini, La città nella storia d’Italia. Avellino, Ed. Laterza, Bari 1985, p. 5; 77
Filomeno Moscati tempio, un segno della loro presenza nel luogo santo con le forme più svariate, che andavano dai nomi e dalle date agli stemmi araldici e nobiliari, alle croci, di molteplici tipi, legate alle tradizioni del territorio di provenienza, alle impronte di mani e piedi, a cuori sormontati da una croce, a preghiere, suppliche e invocazioni all'Angelo miracoloso.120
120 Michele D'Arienzo, Iscrizioni e segni devozionali lungo i percorsi al santuario garganico (sec. XVII- XX) in Culto e santuari di San Michele nell'Europa Medievale, a cura di Pierre Bonet, G. Otranto, Andrè Sanchez, Edipuglia S.r,l., Bari 2007, pp. 304-315; 78
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Mon numento a San Michele Arcang gelo eretto sull’’area su cui insissteva la nicchia del de Santo prima deel sisma del 1980
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Indice 84
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Indice Prefazione .................................................................
p. 5
I- Il culto di S. Michele. Origine e diffusione .........
p. 7
II - Luoghi e percorsi della devozione micaelica ...... p.25 Bibliografia .....................................................…….
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Vedi pag. 30
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Vedi pag. 33
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Vedi pag. 13 - 14
Vedi pag.14 e 31
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Vedi pag. 46
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Vedi pag. 76
Vedi pag. 77
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Vedi pag. 12 - 13
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Vedi pag. 17 93
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