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Comune di Castelnuovo Bocca d'Adda ASSESSORATO SERVIZI SOCIALI, POLITICHE GIOVANILI E VOLONTARIATO
CASTELNUOVO RACCONTA CASTELNUOVO ... libro scritto con i nostri ricordi ...
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IL SALUTO DEL SINDACO Quasi cinque anni sono trascorsi dall’insediamento di questa Amministrazione Comunale, ed il percorso del nostro mandato si è quasi concluso. A me ed ai miei collaboratori è sembrata adeguata l’idea di lasciare come ricordo un libro, ma un libro particolare che raccontasse del nostro territorio, della nostra gente e delle tradizioni passate. Il contenuto è articolato secondo diversi percorsi, quello puramente storico segnato dagli avvenimenti della seconda guerra mondiale, in particolare, l’assetto urbanistico, la toponomastica del paese e la vita di un tempo raccontata tramite proverbi e modi di dire nel nostro dialetto. La vita oggi è molto diversa rispetto ad un tempo, tante cose sono cambiate in questi ultimi anni, sia nel modo di vivere che nel modo di lavorare, e nel rapportarsi con gli altri e non pochi faranno fatica a ritrovare nell’esperienza di oggi le tracce di un passato che sembra lontanissimo. Invece ci sono ancora dei testimoni, come le persone che hanno voluto affidare alle pagine che seguono quella che è stata parte integrante della loro esistenza. La mente di questa gente è ancora intrisa di quei momenti che hanno lasciato segni indelebili, per loro parlarne non è evocare ricordi che si perdono nella nebbia dei tempi, ma è dare un percorso che documenti, con immediatezza, i luoghi, le consuetudini, le fatiche, i dolori e le soddisfazioni che incidono ancora nella loro e sulla nostra vita. Io mi sento molto vicino a queste persone perché ho familiarità con quanto ci hanno raccontato, ma soprattutto perché le mie radici appartengono pienamente alla realtà castelnovese. In occasione della celebrazione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, è stato fatto un patto, quello di gestire la nostra “valigia dei ricordi”, dove introdurre fotografie, documenti da conservare, racconti, episodi di vita quotidiana da trasmettere ai più giovani per non buttare al vento il nostro passato. La storia infatti è testimone degli eventi, luce di verità, vita della memoria, maestra della vita, messaggera del passato. Mi sento ora in dovere di ringraziare tutti quelli che hanno collaborato per la stesura di questo volume, in particolare un grazie sentito e sincero all’assessore ai servizi sociali Cristiano Casali, per l’enorme lavoro di indagine e ricerca presso l’archivio comunale, a tutti gli Amministratori Comunali per la loro collaborazione e solidarietà. Un grazie allargato a tutte quelle persone che ci hanno fornito materiale di ogni genere ed anche testimonianze dirette. L’augurio che non si può non formulare è che questo libro trovi lettori attenti e disposti a continuare nell’indagine e nella ricerca storica. Ringrazio inoltre tutta la comunità castelnovese per l’entusiasmo che sta dimostrando per questa iniziativa e confido nell’interesse e nell’impegno per tenere sempre vivo il sacrificio e l’impegno svolto. Fabrizio Lucchini Sindaco di Castelnuovo Bocca d’Adda
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RINGRAZIAMENTI Il progetto “Castelnuovo Racconta Castelnuovo” ha preso il via all’inizio del 2013 e, con questa pubblicazione, oggi si conclude. Tanto è stato scritto e altro, più in dettaglio, si potrà ancora scrivere… altri, se lo desidereranno, percorreranno questa strada. Quanto vi consegniamo è il risultato di una ricerca appassionante, di incontri piacevoli e di testimonianze preziose; è la nostra memoria, che talvolta perdiamo e che ha bisogno di essere recuperata! Il libro non è opera di una sola persona. È quindi giusto, come già anticipato dal Sindaco, fare doverosi ringraziamenti. In particolare mi sento di ringraziare … − il Sindaco Fabrizio Lucchini e i colleghi Assessori della Giunta Comunale per avere creduto in questo progetto e averlo sostenuto; − il parroco Don Antonio Boffelli che ha consentito l’accesso all’Archivio Parrocchiale; − il consigliere Alberto Merli perché volontariamente e minuziosamente ha riordinato, in questo quadriennio, l’Archivio Comunale consentendo un facile e agevole a questo; − il direttore de “Il Cittadino”, Ferruccio Pallavera, che curato la seconda parte del libro ricercando per essa gli articoli su Castelnuovo pubblicati negli ultimi sessant’anni; − il dottor Duccio Castellotti, presidente della Fondazione Banca Popolare di Lodi, per avere contribuito nel sostenere le spese per la pubblicazione del libro; − il presidente dell’Associazione Nazionale Combattenti, Reduci e Simpatizzanti, Bricchi Francesco, per avere messo a disposizione i documenti dell’associazione stessa; − la maestra Giacomina Tinelli e ai suoi alunni che, lo scorso anno scolastico, hanno intervistato le loro nonne e hanno raccolto le testimonianze pubblicate; − Carla Ardigò per le preziose consulenze, per la raccolta delle tradizioni dei proverbi e dei modi di dire dialettali; − il dottor Gianantonio Pisati perché parte del lavoro pubblicato lo si deve anche alle sue ricerche storiche e ai suoi studi di questi ultimi anni; − le signore Margherita Casati, Pierina Merli, Stefania Merli e Angela Gandaglia per la disponibilità data e perché hanno raccontato fatti e messo a disposizone documenti di grande importanza; − il signor Bruno Butrichi che ha mandato la sua testimonianza scritta direttamente dall’Inghilterra e ha voluto inscrivere il suo contributo nella storia castelnovese; − il signor Gianlugi Gaboardi per lo scambio di email dalla Francia e il ricordo dei tanti castelnovesi costretti a lasciare la propria terra in cerca di fortuna; − chi ha consegnato in Comune o direttamente allo scrivente fotografie o documenti; − chi ha letto e corretto le bozze del libro, chi mi ha aiutato nella trascrizione dei documenti, chi ha creduto al progetto e chi, dagli Uffici Comunali, non ha fatto mancare la consueta e consolidata collaborazione; − Ivan e Paolo per avermi aiutato nella distribuzione, porta a porta, delle informative del Comune riguardanti il progetto “Castelnuovo racconta Castelnuovo”. Un mio particolare ringraziamento al Sindaco di Piacenza, Paolo, Dosi perché ha accolto, con cordialità e interesse, la mia richiesta di redigere la presentazione del libro. Il grazie più importante va, infine, a tutti voi, concittadini di Castelnuovo Bocca d’Adda, che prenotando questo libro, avete creduto nel progetto riponendo in esso fiducia. Cristiano Casali Assessore Servizi Sociali, Politiche Giovanili e Volontariato 7
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A chi ha scritto, giorno dopo giorno la nostra storia. A chi continua a scriverla ancora vivendo l’oggi. Ai ragazzi, gli adolescenti e ai giovani che la scriveranno. Alle famiglie perché la custodiscano e la raccontino.
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PRESENTAZIONE Una delle caratteristiche che hanno reso grande e unico il nostro paese é la straordinaria "biodiversità" degli italiani. Una diversità che si é manifestata attraverso la costruzione di identità locali che hanno saputo rielaborare in modo originale i diversi aspetti della vita quotidiana: dall'artigianato all'alimentazione, dal la cultura alle scienze. Da tempo assistiamo a processi culturali e sociali che hanno indebolito il senso di identità, personale e collettiva. La crescente e rapida omologazione di stili di vita, abitudini, costumi, pensiero politico personale e sociale ha progressivamente indebolito il senso di identità che le comunità locali (le municipalità) hanno costruito nel corso della loro storia, incrementando, in certi casi, un senso di incertezza sempre più diffuso causato dalla perdita di riferimento nelle proprie radici. Costituisce quindi un motivo di grande interesse l'uscita di un libro nato all'interno di una (apparentemente) piccola comunità locale con l'intento di ripercorrere la propria, bimillenaria, storia collettiva, nella quale trovano posto sia la genesi delle proprie radici, sia l'appartenenza ad una comunità allargata. La storia di Castelnuovo infatti, non può essere considerata autonomamente rispetto al territorio più ampio in cui é inserita (oggi parleremmo di area vasta). L'insediamento originario, alla confluenza tra Adda e Po, venne scelto perché risultava strategico sotto il profilo logistico e produttivo per la ricchezza del terreno e la cospicua presenza di acqua. E non poteva che avere rapporti importanti con le vicine Piacenza e Cremona, con cui ha condiviso, nel corso dei secoli, destini e influenze. Nello scorrere le pagine di questo libro ho ripercorso, con sfumature diverse e con tante analogie, la storia della "mia" Piacenza, di una comunità padana che ha sedimentato tradizioni, costumi, culture, ricette, lingue-dialetti, modi di dire, frutto di stratificazioni che nel corso del tempo si sono succedute e hanno plasmato l'identità di una comunità territoriale. Pertanto il testo risulta di grande interesse anche per i piacentini, che ritrovano non solo tratti comuni ma anche personaggi che, a diverso titolo, hanno condiviso le sorti di entrambe le comunità. Da più parti abbiamo letto in questi anni che una delle tante cause che hanno generato questa situazione generalizzata di fragilità e difficoltà (che, semplificando, usiamo definire "crisi") é riconducibile alla perdita di memoria. Viviamo sempre più appiattiti sul presente, avendo dimenticato il nostro passato e non coltivando la passione necessaria per costruire il nostro futuro. Ecco quindi che ogni operazione seria di recupero della propria Storia (personale e collettiva) non va nella direzione di coltivare inutili nostalgie, ma di alimentare le ragioni su cui costruire un futuro che rappresenti un miglioramento, un passo avanti rispetto al presente. Per queste ragioni sono grato a Cristiano Casali e ai suoi collaboratori per lo sforzo con il quale hanno inteso misurarsi in questa bella avventura, che rimanendo impressa nelle pagine scritte servirà a tanti per recuperare il senso della propria identità. Paolo Dosi Sindaco di Piacenza
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- PRIMA PARTE –
LA STORIA RACCONTA - DALLE ORIGINI AL SECONDO DOPOGUERRA -
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- UNO I PRIMI INSEDIAMENTI ALLA CONFLUENZA DI ADDA E PO “I consoli eletti dopo questi ultimi, Publio Furio e Gaio Flaminio1 penetrarono a loro volta nel territorio dei Celti attraverso la regione degli Anari, che sono stanziati a non grande distanza da Marsiglia. Dopo aver stabilito relazioni di amicizia con questi, passarono nella terra degli Insubri all’altezza della confluenza dell’Adda con il Po. Ma avendo subito delle perdite sia durante l’attraversamento del fiume sia quando erano nel loro accampamento, arrestarono subito la loro marcia e dopo aver concluso un accordo, si ritirarono da questa zona. Dopo una marcia di alcuni giorni, attraversarono il fiume Chiese2 e giunsero nel territorio dei Gonomani…”. È questa la prima testimonianza scritta che narra di un primo insediamento in corrispondenza del luogo dove i due fiumi, Adda e Po, si incontrano. A lasciare questa nota storica è Polibio3 nelle sue “Storie”, un'opera storiografica composta in prosa per narrare la storia di Roma verso l'egemonia sul mar Mediterraneo nel periodo fra il 220 e il 146 a.C. Il luogo della confluenza tra Adda e Po veniva considerato dai Galli che lo abitavano uno dei più bei punti militari e suscettibili di difesa. I Romani, dopo aver cacciato i Galli dalle rive del Po fondarono le colonie di Piacenza e Cremona, non tralasciando di munire anche questo luogo come punto intermedio e di comoda comunicazione tra quelle città, la via Postumia. Qui probabilmente sorse un accampamento o un punto di difesa o di avvistamento. Di quel triangolo di terra stretto tra i due fiumi la storia torna a parlarne dopo circa sette secoli di silenzio, verso la fine del 500. Secondo il Goldaniga4 sarebbe stato Childeberto5 re dei Franchi che, invadendo per la terza volta l’Italia per toglierla ai Longobardi l’anno 590 d.C. aprì il corso all'Adda per salvare tanto terreno dalla inondazione e costruendo allo sbocco di questo fiume nel Po un robusto castello per difendervi il passaggio e la navigazione in quel luogo6.Le prime vicende del nostro territorio, per le quali esiste qualcosa di scritto che ne possa dare testimonianza a noi oggi, sono legate proprio alla confluenza di Adda e Po e al traffico commerciale nel medioevo. Fin dall’epoca romana, di fatto, il Po fu una importante via commerciale; nel medioevo il suo ruolo crebbe a causa del decadimento e dell’abbandono delle strade tracciate dai Romani; numerosi ponti crollarono e furono sostituiti da strutture galleggianti manovrate attraverso corde o pertiche di legno. Il Po mantenne la sua importanza nella vita economica dell’Italia settentrionale anche durante il regno Longobardo. Ne è un esempio quanto indicato nell’editto di Rotari (643) nel quale si fa riferimento all’attività di barche per il passaggio da una riva all’altra del fiume. Si ha nota nel VII secolo, quando l’impero romano d’Oriente riconosce il regno longobardo, dell’esistenza di scambi commerciali tra la gente di Comacchio e i centri che si affacciano al Po. Si tratta del commercio di sale in cambio di grano e vino. Il sale è, infatti, il fulcro del commercio fluviale; oggetto di commercio furono anche pepe, pesce secco e legname. Il sale viene impiegato nell’alimentazione, nella conservazione delle carni, soprattutto suine, ma anche nella lavorazione delle pelli. 1
Publio Furio Filo e Gaio Flaminio consoli nel 223 a.C. Affluente del fiume Oglio 3 Polibio: (Megalopoli, circa 206 a.C. – Grecia, 124 a.C.) fu lo storico greco antico del mondo mediterraneo. Studiò in modo particolare il sorgere della potenza della Repubblica Romana che attribuì all'onestà dei romani ed all'eccellenza delle loro istituzioni civiche e militari. Storie, la sua opera di ricerca storica, è estremamente importante per il suo resoconto della Seconda guerra punica e della Terza guerra punica fra Roma e Cartagine. 4 Frate Pier Francesco Goldaniga, sacerdote dei Minori Riformati di San Francesco, 1761 5 Childeberto II (570 – marzo 595) fu un re franco della dinastia dei merovingi che, dal 575 alla morte, regnò sull'Austrasia e, dal 592, anche sulla Borgogna e sull'Aquitania. 6 ARCHIVIO STORICO per la Città e Comuni del Circondario dl LODI 2
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Tra la fine del VI ed il VII secolo il commercio di questo verrà autorizzato e regolamentato da una disposizione del re Liutprando7 attraverso una concessione atta a regolare la navigazione dei mercanti sul Po.Nel documento si torna a citare la confluenza di Adda e Po; si legge: “Item porto qui dicitur ad Addua riparios confirma|re previdimus duos, decima vero dare debeant sale modios XII et tremisse palo | solvendum (e) simulque porto qui dicitur Lambro et Placentia qualiter Adda habuerit | hoc et ipsi consequere debeant seu in ripariis quamque in decimis tantummodo8”. Il re dei Longobardi, in questo testo, stabilisce le tasse che i Comacchiesi devono pagare sul trasporto delle merci presso i porti di Mantova, in capo Mincio, di Brescia, di Cremona, di Parma, nel porto qui dicitur ad Addua, nel porto sul Lambro e presso quello di Piacenza. Il porto “qui dicitur ad Addua” è quello posto nel punto della confluenza. Il commercio dall’Adriatico verso la pianura Padana diventò per quei secoli la più importante attività per quei centri insediativi esistenti. A Cremona venne fondata la prima stazione doganale; i naviganti e i mercanti cremonesi rappresentavano una classe di tecnici che non poteva essere trascurata da nessun straniero9. Anche Piacenza potè godere di questi traffici commerciali. Lodi, infine, seppure a più di quaranta chilometri di distanza, ebbe garantiti gli approvvigionamenti da ben due porti posti sul suo territorio.
Figura 1: ALCUNE IMMAGINI DEL FIUME PO E DELLA BOCCA D’ADDA TRA PASSATO E PRESENTE
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Liutprando (690 circa – Pavia, gennaio 744) fu re dei Longobardi e re d'Italia dal 712 al 744. Definito da Paolo Diacono nella sua HistoriaLangobardorum come “uomo di molta saggezza, accorto nel consiglio, di grande pietà e amante della pace, fortissimo in guerra, clemente verso i colpevoli, casto, virtuoso, instancabile nel pregare, largo nelle elemosine, ignaro sì di lettere ma degno di essere paragonato ai filosofi, padre della nazione, accrescitore delle leggi”. 8 Constitutio Liuthprandi regis 715 o 730, Pavia 9 Fiorino Soldi, La capitale del Po (pag. 21 – Fondazione Arvedi Buschini)
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- DUE CASTRO NOVO DE BUCA ADUE10 Nei documenti citati fino a questo punto non si fa alcun riferimento all’insediamento abitativo progenitore dell’attuale. Per potere cercare la più antica attestazione dell’esistenza di un insediamento abitativo si deve fare riferimento ad una donazione adoperata da Carlomanno, re dei Franchi. Infatti le terre vicine tra esse e comprese nei territori a destra dell’Adda e a sinistra del Po il 4 agosto dell’anno 879 passarono dalla corona in potere all’abbazia benedettina intitolata alla santa Resurrezione ed ai santi martiri Bartolomeo, Sisto e Fabiano di Piacenza, fondata due anni prima dall’imperatrice Angilberga, vedova di Ludovico II, sorella di Carlomanno. Nella donazione si fa riferimento alle due corti presso il fiume Adda di Fagedum (“bosco di faggi”) e Mutiana (“terreno di mezzo” non lontana dal fiume Po) insieme alla propaggine di Wualdo Meletum (“bosco dei faggi infruttiferi” oggi Meleti). Le prime due formeranno in seguito il territorio di Castelnuovo. Queste corti, poste nell’episcopato di Lodi, erano complessi fondiari costituiti da edifici, boschi, terreni coltivati e incolti. Gli abitanti lavoravano nei campi loro concessi in cambio dei pagamenti di tasse in moneta e in compensi in natura. Dei due, probabilmente, Fagedo (o Faedo) era un villaggio e il principale luogo abitato. A prova di questo l’indicazione del villaggio nei possedimenti che l’imperatrice Angilberga possedeva nel regno italico e donati al monastero di San Sisto di Piacenza. L’atto porta la data del 12 giugno 889. Tale indicazione permette di collocare in una area precisa il villaggio di Fagedo e appurarne l’esistenza. Precedentemente veniva localizzato in modo generico. Negli anni successivi scompare ogni riferimento ai due borghi sopra indicati a favore dell’Insula Runcarioli, ovvero tutta la zona della confluenza dei due fiumi. La scomparsa del riferimento ai due villaggi potrebbe essere legata ad un incremento insediativo ma anche al passaggio da una realtà prettamente boschiva ad una più agricola grazie agli interventi di bonifica. L’indicazione di Runcarioli in comitato Laudensi compare per la prima volta nell’anno 999. Il placito, datato 4 febbraio, fu redatto dopo che un inviato dell’imperatore Ottone III11 fu inviato in località Roncarolo per redimere una contesa di territori situati tra il fiume Po e il fiume Oglio in territorio cremonese. A contendersele furono la badessa di San Sisto di Piacenza e l’allora vescovo di Cremona, Ulderico. Il giudice confermò a quest’ultimo le terre di sua pertinenza mentre all’abbazia piacentina un’area di circa undici chilometri quadrati delimitata a sud ovest dai fiumi Adda e Po: l’odierna Castelnuovo Bocca d’Adda. Roncarolo è quindi, con buona probabilità, il villaggio che darà origine al nostro paese. Un’ulteriore conferma dell’appartenenza di Roncarolo ai beni dell’abbazia di San Sisto è data da una riconferma alla badessa dei beni e delle terre che si estendevano dal Corno a Lardera12 tra Adda e Po e l’isola di Roncarolo. Tale riconoscimento porta la firma dell’imperatore Enrico IV13 del Sacro Romano Impero; l’anno è il 1061. Nel documento è 10
Per la redazione di questo breve capitolo (e anche del successivo) abbiamo fatto riferimento a due importanti e precisi studi effettuati tra loro a distanza di parecchi anni. Il primo è “Lodi ed il suo territorio” di Giovanni Agnelli mentre il secondo è “Dalla villa Roncaroli al borgo fortificato di Castelnuovo Bocca d’Adda” del castelnovese dottor Pisati Gianantonio presente in "Bollettino Storico Cremonese" numero doppio 2008-2009, Cremona, Camera di Commercio, 2010, pp. 19-56 11 Ottone III di Sassonia (Kessel, 980 – Faleria, 23 gennaio 1002) fu re d'Italia e di Germania dal 983 al 1002 e imperatore del Sacro romano impero dal 996 al 1002. 12 L’odierna Cornovecchio 13 Enrico IV del Sacro Romano Impero (Goslar, 11 novembre 1050 – Liegi, 7 agosto 1106). Le vicende di questo imperatore si intersecano con quelle di altri due importanti personaggi papa Gregorio VII e la Grancontessa Matilde di Canossa
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chiaro il riferimento ad una isola. Secondo gli studi compiuti dal dottor Pisati14 “l’attributo ‘isola’ accostato a Roncarolo può ben adattarsi alla conformazione del terrazzamento alluvionale che occupa la parte meridionale del territorio lodigiano e che, proprio nella sua estremità, viene ad assumere la conformazione di un rilievo staccato dal corpo principale del ripiano. In un’area soggetta ai capricci dei fiumi Adda e Po che ne modificano in continuazione la geografia, Roncarolo emergeva dai campi circostanti – costellati di paludi ed acquitrini – proprio come un’isola in mezzo alle acque”. Il “(…) medesimo documento – si legge nello studio – poi, permette di constatare come vi fosse nella zona anche un porto che permetteva il collegamento con i territori vicini, anche se non sappiamo su quale dei due fiumi si trovasse”. La presenza di un porto e, legato ad esso la possibilità di amministrare diritti sulla pesca e riscuotere tributi, ma anche la costruzione di un castello ad opera dell’abbazia stessa, fecero di Roncarolo un centro in pieno sviluppo e di importanza strategica e commerciale. Il castello, infatti fungeva da presidio e difesa del territorio, avamposto dei piacentini a confine tra il territorio milanese e quello cremonese.
Figura 2: CASTELNUOVO BOCCA D’ADDA, IERI, RITRATTA DALL’ARGINE MAESTRO
Perché da Roncarolo si passi a Castelnuovo, per essere più precisi Castronovo qui dicitur de abbatissa ossia Castelnuovo della badessa [dell’abbazia di San Sisto a Piacenza], si deve attendere il 1133. Di questa dicitura ne abbiamo conferma – sempre grazie al lavoro del dottor Pisati – tramite la donazione di sei terreni tra alcuni residenti in questo nostro territorio. L’atto riporta l’indicazione di de loco Castronovo qui dicitur de abbatissa. Questa è la più antica attestazione – afferma la ricerca – del toponimo Castelnuovo. Per la prima volta compare il nome di Castelnuovo: dai villaggi altomedioevali di Fagedum e Mutiana si passò a Roncarioli per approdare finalmente a Castelnuovo; un passaggio legato alle evoluzioni dell’assetto 14
“Dalla villa Roncaroli al borgo fortificato di Castelnuovo Bocca d’Adda” - Bollettino Storico Cremonese - numero doppio 2008-2009, Cremona, Camera di Commercio, 2010, p. 23
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urbano e alle modifiche delle attività, soprattutto agricole, e dai commerci che avevano preso il via nel nostro paese. Il nome Castrum Novum, poi, rimanda a quella fortezza nuova che venne edificata e rafforzata proprio nella prima metà del 1100 d.C.. Questa fungeva proprio da baluardo di difesa contro le mire espansionistiche dei cremonesi. Nello stesso periodo anche i legami tra il comune di Piacenza e l’abbazia di San Sisto diventavano molto stretti. Il 14 novembre del 1150, nella camera dell’abate15 di San Sisto si fece concordia tra Berardo e i consoli piacentini i quali per cinquecento lire piacentine acquistarono Castelnuovo dallo stesso abate. Neanche un mese dopo, il 9 dicembre, i consoli di Piacenza investirono i consoli di Cremona di Castelnuovo a titolo di livello perpetuo col patto che i cremonesi versassero annualmente un contributo all’abbazia di San Sisto di Piacenza e giurassero concordia, compreso tra quindici e sette anni, tra Piacenza e Cremona. La donazione di Castelnuovo sanciva ulteriormente fine ad un periodo di conflittualità tra le due città, periodo tra l’altro già conclusosi il 5 luglio del 1150 a seguito di una battaglia combattuta sotto le mura di Castelnuovo16. In questa i cremonesi sconfissero i milanesi; la battaglia fu sanguinosa e morirono soldati e cavalli. I piacentini, per evitare la totale disfatta degli alleati milanesi, aprirono le porte del castello che, dopo pochi mesi, verrà donato ai cremonesi. L’atto di vendita porta data domenica 11 dicembre 1155. Quella domenica Castelnuovo passò di proprietà dai piacentini ai cremonesi. Dal contratto restavano escluse le chiese con i loro beni e diritti ed i vassalli della città di Piacenza il cui servizio San Sisto trattenne per sé. Questo atto ha una duplice importanza. In primo luogo si indica il passaggio di proprietà di Castelnuovo conteso tra le due grandi città e, in secondo luogo, compare una indicazione geografica che colloca con precisione Castelnuovo. In esso si dice Castellum novum iacet inter flumen Padi ed flumen Addue, Castelnuovo che si trova tra il fiume Po e il fiume Adda. Castelnuovo era un centro di grande importanza strategica all’interno dei precari equilibri tra Cremona, Parma, Piacenza e Milano. Questa donazione andava a stabilire equilibri ed alleanze nuove. Negli anni successivi Castelnuovo fu nuovamente conteso. Nel 1162 il Barbarossa17, desiderando favorire i cremonesi, confermò loro il possesso di Castellum Novum quod est in episcopatu Laudensi. Ventitré anni dopo l’abate di San Sisto si presentò a Fidenza davanti allo stesso sovrano per manifestare il proprio disappunto per le alienazioni fatte dal predecessore – reclamando con Castelnuovo anche Guastalla - e per l’occupazione delle proprietà dell’abbazia da parte dei cremonesi. L’imperatore accogliendo le richieste dell’abate dichiarò nulle le alienazioni del 1150 e ritenne per sé Guastalla abbandonando Castelnuovo all’abate. La vendita venne poi dichiarata anche nulla dalla Santa Sede. L’abate Gandolfo, deluso nelle sue speranze, credette bene venire ad una transazione col comune di Cremona riguardo a Castelnuovo. Egli cedette tutti i suoi diritti sul castello e sulla corte, sui vassalli e i loro feudi e ricevette in cambio centosessanta lire di inforziati18 bresciani e milanesi nuovi. È in questa serie di atti che per la prima volta associato al nome di Castelnuovo compare anche la precisazione Boca Adue. Siamo così arrivati alla definizione ufficiale di Castro Novo de Buca Adue. Dopo avere ceduto i diritti sulla corte l’abbazia di San Sisto rimase comunque proprietaria degli edifici di culto e dei terreni ad essi legati. Solo nel 1194 le chiese di San Michele e di San Bartolomeo vennero vendute alla chiesa di Sant’Agata di Cremona. In cambio di questa cessione il rettore di Sant’Agata si impegnò a cedere all’abate piacentino la chiesa di San Leonardo in Piacenza; questa era di proprietà della chiesa cremonese. Nel 1188 i piacentini e i milanesi, memori della sconfitta del 1150, sconfissero i cremonesi a Castelnuovo Bocca d’Adda; diedero fuoco alla rocca e distrussero il paese. I cremonesi, alleati 15
Nel 1115 il monastero passò sotto la custodia dei monaci sottraendolo alle monache accusate da Matilde di Canossa di condurre una vita scandalosa. Nel 1129 Enrico V, scendendo in Italia, collocò nuovamente le monache scacciando l’abate di nomina papale. Nel 1150 le attestazioni fanno riferimento ad un abate di nome Berardo. 16 Le antiche mura di Castelnuovo sono probabilmente ancora quelle che costeggiano via Silvio Pellico 17 Federico I Hohenstaufen anche Federico I del Sacro Romano Impero , detto Barbarossa (Waiblingen, 1122 – Saleph, 10 giugno 1190) fu imperatore del Sacro Romano Impero. Salì al trono di Germania il 4 marzo 1152 succedendo allo zio Corrado III, e fu incoronato Imperatore il 18 giugno 1155. 18 Moneta medioevale
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con i parmigiani recuperarono il territorio e ricostruirono il castello più a sud ovest rispetto al luogo dove era stato precedentemente edificato dai piacentini il primitivo castello, in prossimità della foce dell’Adda, lontano dall’insediamento abitato. Nel 1189 il nuovo castello sorse in prossimità del villaggio proprio allo scopo di proteggerlo. Infatti, undici anni dopo i milanesi tornarono nuovamente a Castelnuovo. I cremonesi residenti a Castelnuovo fortificarono il paese e vi posizionarono armi da guerra nuove per quell’epoca: i trabucchi19. Lo scontro durò tutta la giornata e nessuna delle parti, nonostante numerosi morti e prigionieri, riuscì ad avere la meglio. Negli anni venti del XIII secolo i cremonesi, a questo punto legittimamente proprietari di Castelnuovo Bocca d’Adda, decisero di abbattere la vecchia fortezza e di edificarne una nuova più ampia della precedente; venne abbattuto ed ampliato, dotato di nuove torri e porte, terrapieni e fossati. Castelnuovo acquisì sempre più la funzione di vero e proprio baluardo ad occidente per contrastare Piacentini e Milanesi. La costruzione della nuova rocca finì nell’anno 1226. Solo alla fine del secolo XII Castelnuovo Bocca d’Adda cominciò a caratterizzarsi come un borgo fortificato nel quale il villaggio era unito in modo stretto al suo castello. All’interno del castello, oltre al villaggio, si trovava anche la chiesa di San Michele attestata fin dal 1145 e associata al nome di Roncarolo. La costruzione di questo nuovo castello determinò la scomparsa del vecchio borgo di Castelnuovo sorto intorno alla chiesa di San Michele. La nuova fortificazione – ricostruisce Pisati nel suo lavoro – incorporò l’edificio sacro e sorse sulle rovine delle case distrutte per trovare spazio all’ampliamento e alla costruzione delle nuove torri. Gli abitanti di Castelnuovo riedificarono il nuovo borgo poco più a sud-sud-ovest attorno alla chiesa dedicata a Santa Maria20 e posta nel borgo di Castelnuovo Bocca d’Adda che acquisì sempre più importanza a sfavore della vecchia pieve dedicata a San Michele. La chiesa di Santa Maria fina dall’inizio del XIII secolo andava assumendo sempre più importanza fino a diventare sede parrocchiale.
Figura 3: IL CASTELLO DI CASTELNUOVO SECONDO UNA MAPPA CATASTALE 21 19
Il trabucco (o trabocco) è una macchina d'assedio di grandissime dimensioni. Può essere considerato una sorta di catapulta, limitata però dalle sue dimensioni e dalla posizione fissa. Inoltre rinuncia alla propulsione elastica del proietto per utilizzare invece il principio della leva; si tratta infatti di un'applicazione pratica del principio della leva svantaggiosa di primo genere. Utilizzato esclusivamente negli assedi, era la più grande arma a tiro indiretto a disposizione degli eserciti medioevali. 20 La chiesa di Santa Maria è l’attuale chiesa parrocchiale consacrata nel 1471 alla Natività di Maria. Ovviamente la chiesa del 1200 aveva una conformazione diversa dell’attuale, ampliata nel ‘700. 21 Fotocopia ritrovata in Archivio Parrocchiale
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- TRE DAI VISCONTI AGLI STANGA La postazione di Castelnuovo, insieme a quella di Pizzighettone, fu per la città e la signoria di Cremona una punta di diamante per il suo sistema difensivo. Grazie alla sua posizione geografica strategica, tra due fiumi e due città, si trovò al centro di contese civili ed ecclesiastiche. La competizione fra le parti costrinsero il piccolo borgo a ricorrere a continue fortificazioni e trasformazioni. Nel 1311, infatti, il castello non poté resistere ad un nuovo attacco e fu espugnato. A guidare questo nuovo attacco fu Guglielmo Cavalcabò22, capo dei guelfi cremonesi. La città di Cremona si era ribellata all’imperatore Enrico VII di Lussemburgo. L’imperatore stesso ordinò ai piacentini di muovere guerra contro i ribelli cremonesi. Si iniziò con espugnare il borgo fortificato di Castelnuovo difeso dai guelfi partigiani del Cavalcabò. In questo stesso anno l’imperatore stesso prese Cremona e rinchiuse nei castelli di Maleo, Codogno e Castelnuovo circa milleduecento prigionieri cremonesi a lui ribellatosi. Nel 1312 il Cavalcabò divenne ancora padrone di Cremona, scacciò Galeazzo Visconti nel frattempo nominato vicario imperiale in Cremona, e i guelfi tornarono a presidiare Castelnuovo. Tale presenza durò poco: i ghibellini fedeli all’imperatore ben presto rientrarono in Castelnuovo. Due anni dopo e nel 1320 il borgo venne assediato da Galeazzo Visconti23, nominato nel 1313 vicario imperiale di Piacenza. Per riprendersi quelle terre, si servì anche di una potente flotta navale di stanza sul fiume Po.
Figura 4: QUANTO RESTA DELLA ROCCA STANGA OGGI
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Guglielmo Cavalcabò (Cremona, 1390 circa – 28 febbraio 1441) è stato un condottiero italiano. Galeazzo I Visconti (21 gennaio 1277 – 6 agosto 1328) fu signore di Milano dal 1322 al 1327. Figlio di Matteo Visconti e di Bonacosa Borri, nel 1300 sposò Beatrice d'Este. 23
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Il primo ottobre del 1370 Bernabò Visconti24, dopo averla riedificata, donò la rocca di Castelnuovo alla moglie la veronese Beatrice Regina della Scala. Bernabò intraprese un’opera di maggiore fortificazione del castello tenendovi un deposito della sua armata navale nel Po. Sul principio del 1400 il castello passò a Cabrino Fondulo; la storia di Castelnuovo, per le prime due decade del XV secolo si intreccia con quella di Maccastorna. Dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti25, avvenuta nel 1402, Cabrino Fondulo, già Capitano Generale di Ugolino Cavalcabò, si alleò con questi, guelfo cremonese, e nipote di Guglielmo e nell'estate del 1403, lo aiutò a far sollevare Cremona contro il nuovo Duca di Milano Giovanni Maria Visconti. Da Ugolino ebbe in premio del suo valore il castello ed il luogo di Maccastorna. Scacciati i Visconti dalla città Ugolino fu proclamato signore di Cremona insieme a Giovanni Ponzoni. Nella medesima estate Cabrino condusse nel Cremonese una serie di operazioni militari contro le fazioni ghibelline e viscontee. Uno degli scontri più sanguinosi si svolse nei dintorni di Pizzighettone, dove furono massacrati più di 400 miliziani ghibellini. Per i suoi servigi Cabrino ottenne da Ugolino il feudo di Maccastorna. Morto Giovanni Ponzoni nel dicembre 1403, Ugolino rimase unico signore di Cremona. Tuttavia, nel dicembre del 1404 il signore cremonese fu catturato presso Brescia da Estorre Visconti. Rimasta vacante per la prigionia di Ugolino, la reggenza della signoria cremonese fu occupata dal cugino Carlo, che, come il precedente signore, continuò a giovarsi dei servigi di Cabrino. Nel mese di marzo Ugolino Cavalcabò riuscì a fuggire dalle prigioni viscontee e tentò di ritornare in patria. Non volendo lasciare il potere, Carlo affidò a Cabrino il compito di arrestare Ugolino e di richiuderlo nel Castello di Santa Croce in Cremona. Carlo riuscì a conservare il potere per poco tempo, poiché Cabrino nel luglio 1406 lo attirò a tradimento nel Castello di Maccastorna e lo fece uccidere insieme al fratello Andreasio. Così viene raccontata dagli storici quella notte: “Il giorno 11 dicembre dello stesso anno arrivarono lettere da Carlo Cavalcabò alla Maccastorna, le quali annunciavano che egli stesso colla comitiva composta da Andreaso26, Lodovico e Giacomo27Cavalcabò suoi cugini e Bombeccari, Segretario di Stato, sarebbero partiti da Milano la mattina del 14 [luglio] e contavano di arrivare la sera a Maccastorna a passarvi la notte, per restituirsi poi la mattina seguente a Cremona. Cabrino pensò essere arrivata l’occasione propizia (…) Venne la sera del 14 – il tradimento fu ordito in castello all’insaputa della moglie di Cabrino, Pomina Cavazzi della Somaglia, delle dame e degli ospiti – Cabrino, la moglie, le dame, Giovanni Stanga (si veda oltre), Tolentino e Binacarello, sicari di Cabrino sotto la fulgida veste di scudieri, uscirono tutti verso Castelnuovo allo splendore di una fulgida luna. Pochi passi avevano fatti, quando videro giungere verso di loro, di gran galoppo, un cavaliero, che non senza difficoltà trattenuto alla loro vista il cavallo, domandò se già era chiusa la Rocca di Maccastorna: Biancarello rispose che no e, se aveva messaggi, glieli consegnasse pure, che Cabrino era presente. Allora il messo si tolse da una ripostissima tasca un plico, che consegnò a Cabrino. Erano lettere di Malombra, giurista cremonese, che coprì la carica di Fiscale Generale presso il Duca di Milano, cortigiano segreto di Cabrino. Costui l’avvertiva di tenersi ben in guardia che tra i Cavalcabò s’era giurata e combinata la sua morte per quella notte stessa. Cabrino colla comitiva ritornò al Castello, modificò e rinforzò gli ordini e attese sereno l’arrivo dei malaugurati ospiti. I quali giunsero poco dopo: Pomina, le sue dame, Tolentino e lo Stanga, alla testa dei più scelti uomini del luogo, rispettosamente li ricevettero. La cena fu succolentissima; i vini non senza ragione 24
Bernabò Visconti (Milano, 1323 – Trezzo sull'Adda, 19 dicembre 1385) fu Signore di Bergamo, Brescia, Cremona, Soncino, Lonato e Valcamonica e co-Signore di Milano insieme ai fratelli Matteo II e Galeazzo II. 25 Gian Galeazzo Visconti, detto Conte di Virtù dal nome di Vertus in Champagne, titolo portato in dote dalla prima moglie Isabella di Valois (Pavia, 15 ottobre 1347 – Melegnano, 3 settembre 1402), è stato un politico italiano, Signore di Milano, Verona, Crema, Cremona, Bergamo, Brescia, Belluno, Pieve di Cadore, Feltre, Pavia, Novara, Como, Lodi, Vercelli, Alba, Asti, Pontremoli, Tortona, Alessandria, Valenza, Piacenza, Bobbio, Parma, Reggio Emilia, Vicenza, Perugia, Vigevano, Borgo San Donnino e le valli del Boite, nonché primo Duca di Milano. 26 Governatore di Siena 27 Ludovico e Giacomo capitani nell’esercito Ducale Milanese
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furono agli ospiti variati, cangianti e profusi in modo, che la stanchezza ben presto s’impadronì di loro. Il Tolentino assegnò a ciascuno una camera e più che poté, senza farsi accorgere, l’una dall’altra distante. Pomina stava per ritirarsi con le sue dame, quando Cabrino la persuase fare una sorpresa a Carlo [Cavalcabò] col farsi trovare la mattina dopo a Cremona, mentre egli, al suo arrivo colà, l’avrebbe creduta ancora immersa nel sonno alla Maccastorna: il motivo vero era di allontanarla dal covile, che stava per insanguinarsi brutalmente. Ella approfittò volentieri della notte serena e salita nel suo gianetto, accompagnata dal Tolentino, dallo Stanga e dalle dame passò l’Adda e per la via di Crotta s’incamminò verso Cremona. (…) Biancarello si unì ai sgherri; Cabrino salì sull’alto di un torrione, a godere dello spettacolo sanguinoso, che l’ira e la sua ambizione aveva brutalmente apparecchiato. In breve tempo tutto fu fatto. Cabrino vide illuminarsi da un lume infausto successivamente ad una ad una le tradite camere, senza udire gemito. Tutti erano finiti: mancava il Bombeccari, che troppo poso immerso nel vino e nel sonno, s’accorse, urlò, si difese: fu un momento di truce agitazione … poi più nulla. Il giorno dopo Cabrino era signore di Cremona… ” La stessa notte dell'eccidio Cabrino s'impadronì del Castello di Santa Croce a Cremona, facendovi uccidere anche Ugolino. Conquistata la roccaforte cremonese, Cabrino riuscì ad ottenere il controllo della città, sfruttando abilmente l'appoggio delle truppe fornite da Ottobono Terzi, signore di Parma, e si fece proclamare nuovo signore di Cremona. Si alleò con i Fiorentini, armò duemila cavalli ed obbligò ogni cittadino cremonese dai 17 ai 60 anni ad armarsi. Durante i tredici anni di dominio sulla città, Cremona vide le più tragiche scene che si possano narrare: Cabrino non risparmiò nessuno dei tredici componenti della famiglia Cavalcabò; furono tutti uccisi ad eccezione di un ragazzetto, Guglielmo, che sfuggì miracolosamente alla morte. Volle annientare anche tutti i principali cittadini sospetti di connivenza cogli avversari, cacciò dai castelli le genti ducali, fece perire le persone su patiboli fra i più atroci con ributtanti e prolungati tormenti: alcuni furono gettati dal Torrazzo, altri strangolati, qualcuno sepolto vivo e bruciato a fuoco lento. Stando alla testimonianza storica il Fondulo nominò Bartolino Ariberti, nobile cremonese, viceconte di Castelnuovo Bocca d'Adda. Nel 1419 il conte Carmagnola28 condusse a nome del Duca di Milano, Filippo Maria Visconti, una campagna militare per combattere contro il Fondulo alleato del Malatesta. A seguito di questa campagna vittoriosa prese Cremona, Castelnuovo Bocca d'Adda, Castelleone, Bergamo, Orzinuovi, Palazzolo e Pontoglio. Cabrino Fondulo nel 1424 cadde in un'imboscata; tradotto a Milano, nel 1425 fu decapitato. L’assedio subito nel 1419 da parte dell’esercito visconteo al comando del Conte di Carmagnola fu l’ultimo evento bellico di una certa importanza che coinvolse da vicino la nostra rocca. Nel corso del XV secolo, al mutare degli equilibri tra le potenze ed in seguito allo spostamento dei confini, il sito un tempo strategico di Castelnuovo cominciò a perdere rilevanza in modo progressivo all’interno della geografia militare del territorio cremonese. Di fatto ci si dedicò alla difesa dei confini orientali contro la terribile Repubblica Serenissima: la flotta veneta giunse perfino ad occupare i porti di Maccastorna e di Castelnuovo nel 142629. Nel 1427 l’ammiraglio della Repubblica Veneta, Francesco Bembo, giunse sul Po davanti a Cremona, incendiò il ponte della città ed entrato per la foce dell’Adda si impadronì senza resistenza di Castelnuovo, Pizzighettone e Castiglione. Alla pace si giunse solo il 31 dicembre del 1427: le terre occupate dall’ammiraglio Bembo tornarono sotto il controllo visconteo. Dopo questo la rocca castello di Castelnuovo Bocca d’Adda iniziò il processo di decastellamento tanto comune anche ad altri borghi cremonesi perdendo il loro ruolo strategico. Ciò che rimaneva, dopo i danni inferti dal Carmagnola, perse la sua funzione militare a favore di quella civile. Da presidio militare il castello diventava sempre più una 28
Francesco da Bussone detto Il Carmagnola (ma anche Conte di Carmagnola, in realtà conte di Castelnuovo Scrivia e successivamente di Chiari). 29 Nota riportata nello studio “Dalla villa Roncaroli al borgo fortificato di Castelnuovo Bocca d’Adda” del castelnovese dottor PisatiGianantonio presente in "Bollettino Storico Cremonese" numero doppio 2008-2009, Cremona, Camera di Commercio, 2010, pp. 44
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residenza rurale di prestigio. Questo nuovo ruolo del castello fu fortemente determinato a seguito dell’infeudazione di Castelnuovo a Carlo Fieschi30 (o Fiesco) nel 1477 (o 1478). Il duca Galeazzo Maria Sforza31 assegnò le nostre terre al conte di Lavagna il quale cambiò feudo due anni dopo con quello di Castiglione d’Adda. A Filippo degli Eustacchi, pavese, toccò allora il feudo di Castelnuovo. Era il 1480.
Figura 5: LA ROCCA DI MACCASTORNA (Fotografia storica e xilografia del 1894)
Figura 6: STEMMA DEGLI STANGA, RAMO DI CASTELNUOVO BOCCA D’ADDA
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Carlo Fieschi conte di Lavagna, membro della potente famiglia genovese, alla quale appartennero i due papi Innocenzo IV e Adriano V. 31 Galeazzo Maria Sforza (Fermo, 24 gennaio 1444 – Milano, 26 dicembre 1476) fu duca di Milano. Figlio primogenito di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti
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- QUATTRO LA FAMIGLIA STANGA “La famiglia Stanga32 vanta già nel 1080, nel senatore Emanuele, un importante membro del decurionato di Cremona. Nei primi anni del sec. XII, alla morte di Mantricardo, la famiglia si divise in due rami con a capo i due figli di Mantricardo, Oliviero e Ubertino. Da Oliviero discende il ramo dei conti di Castelnuovo Bocca d'Adda (riconosciuti con diploma del 6 ottobre 1496 dell'imperatore Massimiliano poi confermato nel 1816 dall'imperatore Francesco I). Da Ubertino discende invece il ramo dei marchesi d'Annicco, il cui titolo fu conferito da Ranuccio Farnese, duca di Parma, con diploma del 13 gennaio 1686, a Carlo Stanga, il quale, per eredità materna, aveva assunto il cognome Trecco33”. GIOVANNI (O GIOVANNI GIACOMO) STANGA. Figlio di Giovanni e fratello di Marchesino (si veda oltre) fu destinato alla cattedra di jus civile presso l’Università di Cremona34 costituita a seguito di un privilegio concesso alla città dall’imperatore Sigismondo35, i consulti Giovanni Stanga erano molto ricercati e, secondo alcuni studiosi, egli era tanto abile come avvocato “civilmente che criminalmente”. La vita di Giovanni Stanga si intreccia con quella di Cabrino Fondulo sul principio del 1400 (come anticipato nelle pagine precedenti). Prima di diventare signore di Cremona, Cabrino, nella rocca di Maccastorna, organizzò e sposò Giustina, figlia di Giovanni Vignati signore di Lodi. Ella veniva da Parma. Tra la corte troviamo il cavaliere Giovanni Stanga che accompagna la propria moglie destinata a dama d’onore della sposa. Lo ritroviamo a pochi mesi di distanza nuovamente nel castello di Maccastorna per il secondo matrimonio di Cabrino con Pomina Cavazzi della Somaglia: la prima moglie, dopo alcuni mesi, assalita da forte febbre, morì. Giovanni Stanga fu, poi, incaricato da Cabrino, una volta divenuto signore di Cremona, di fortificare la rocca di Maccastorna, le vicine torri di Meleti e il castello di Castelnuovo. Cabrino Fondulo ordinò a Giovanni Stanga di stabilirsi a Castelnuovo e da lì comandare e controllare il territorio. Giovanni fu dunque il primo della famiglia che ebbe il governo di Castelnuovo. Nel 1409 il comando su Castelnuovo passò a Bartolino dei Masini (detto Roma) poiché Giovanni Stanga venne eletto tra i sette consiglieri di Stato per Cremona, nomina ottenuta dal Fondulo. Nel 1412 ebbe il comando di Castelnuovo Bartolomeo Summo e due anni dopo Cristoforo Stanga. CRISTOFORO STANGA E L’ANTIPAPA GIOVANNI XXIII. Cristoforo Stanga fu ambasciatore presso vari principi per conto del Duca di Milano, Giovanni Galeazzo Visconti e cooperò, l’anno 1387, alla riforma degli Statuti di Cremona. Nel 1414 e più precisamente il 3 gennaio, Cristoforo ospitò l’antipapa Giovanni XXIII36. In quegli anni una crisi dell'autorità papale (dal 1378 al 1417), lo Scisma d'Occidente noto anche come Grande Scisma, lacerò la Chiesa 32
Quanto è giunto fino a noi che delinea il ramo genealogico della famiglia Stanga di Castelnuovo lo dobbiamo a Idelfonso Stanga che, nel 1895, pubblicò “La famiglia Stanga”. In esso si possono consultare le tavole che ripercorrono le vicissitudini della famiglia: è quanto si può leggere nelle pagine che seguono. 33 Trascrizione da: Ildefonso Stanga, La Famiglia Stanga di Cremona: cenni storici, Milano 1895 34 L’università a Cremona fiorì solo dal 1413 al 1430 anno in cui Filippo Maria Visconti, divenuto signore di Pavia, la soppresse in favore della sua città. 35 Sigismondo del Lussemburgo (Norimberga, 15 febbraio 1368 – Znojmo, 9 dicembre 1437) fu Principe elettore di Brandenburgo (1378-1388, 1411-1415), Re d'Ungheria dal 1387, Re di Croazia, Rex Romanorum dal 1410, Re di Boemia dal 1419 e Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1433 alla sua morte. 36 L'Antipapa Giovanni XXIII, nato Baldassarre Cossa (Procida o Ischia, ca. 1370 – Firenze, 21 dicembre 1418), è stato un cardinale e vescovo cattolico italiano eletto papa dal Concilio di Pisa nel 1410 a seguito della morte di Alessandro V, con il nome di Giovanni XXIII, è considerato antipapa.
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Cattolica. Papa Gregorio XI nel 1377 trasferì la sede apostolica da Avignone a Roma. Morto il papa, l’anno successivo, i Romani si sollevarono contro il collegio cardinalizio con l'obiettivo di scongiurare la prevedibile elezione dell'ennesimo papa francese. Il popolo reclamò a gran voce la scelta di un papa gradito, gridando nelle piazze “Romano lo volemo, o almanco italiano37” (Romano lo vogliamo o, almeno, italiano). Si venne a creare una situazione anomala: l'8 aprile 1378 i cardinali si riunirono in conclave ed elessero Bartolomeo Prignano, arcivescovo di Bari, che assunse il nome di Urbano VI mentre il 20 settembre di quello stesso anno i cardinali "scismatici" elessero papa il cardinale Roberto di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII. Nel 1378 la Chiesa Cattolica aveva due papi. Alla morte di Urbano VI, i cardinali romani elevarono al soglio pontificio Pietro Tomacelli, che assunse il nome di Bonifacio IX, mentre ad Avignone, scomparso Clemente, nel 1394 fu eletto papa il cardinale Pedro Martìnez de Luna che prese il nome di Benedetto XIII. Uno spiraglio sembrò aprirsi nel 1404, quando alla morte di Bonifacio IX i cardinali del conclave si dissero disposti ad astenersi dall'eleggere un successore qualora Benedetto avesse accettato di dimettersi. Di fronte al rifiuto del papa avignonese, i cardinali romani procedettero all'elezione e la scelta cadde su Cosimo de' Migliorati, papa col nome di Innocenzo VII. Due anni dopo, nel 1406, gli successe il cardinale Angelo Correr, divenuto papa col nome di Gregorio XII. Nel 1409 la maggior parte dei cardinali di entrambe le parti si riunì a Pisa per tentare la via del compromesso. Il concilio stabilì le deposizioni di Benedetto XIII e di Gregorio XII, dichiarati eretici e scismatici, e l'elezione di un nuovo pontefice, che salì al trono papale col nome di Alessandro V. Gregorio XII e Benedetto XIII, supportati da larghi strati del mondo ecclesiastico, dichiararono illegittimo il concilio e si rifiutarono di deporre la carica, cosicché da due i papi contendenti divennero tre. La soluzione della crisi fu possibile soltanto qualche anno dopo, grazie all'iniziativa di Sigismondo di Lussemburgo e del nuovo pontefice pisano Giovanni XXIII, succeduto nel frattempo ad Alessandro V.
Figura 7: LA LAPIDE A RICORDO DELLA VISITA DELL’ANTIPAPA
Nel 1414 l’imperatore Sigismondo I e l’antipapa Giovanni XXIII “avevano iniziato un Congresso a Lodi [per l’indizione del concilio di Costanza] che decisero di terminare a Cremona, luogo più ampio e libero da timori e dai sospetti che l’ambizioso Filippo Maria visconti incuteva loro. Il giorno 3 gennaio l’imperatore e il papa partirono per Cremona da Lodi con i loro interminabili corteggi, il primo seguendo la via di Pizzighettone ed Acquanegra, il secondo 37
John N.D. Kelly, Gran Dizionario Illustrato dei Papi, p. 563
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seguendo la via di Codogno, Castelnuovo e Spinadesco. Sul fare della sera il papa prese ristoro e riparo per la notte tra le mura della Rocca di Castelnuovo, ospite di Giovanni Stanga. Il pontefice si riposò in una camera appositamente addobbatagli, allo stesso modo i cardinali e i valletti. Si ritirò – racconta Idelfonso Stanga – poi nella chiesa privata annessa alla Rocca, recitò i salmi e vi ascoltò la Messa celebrata da uno dei suoi. Fatta gran cortesia allo Stanga, preceduto dal parroco di Castelnuovo, a croce alzata e dai preti dei luoghi vicini, si aprì la strada in mezzo ad una fila di popolo genuflesso, gli uomini da una parte e le donne dall’altra che umilmente lo adorarono.” Giovanni partecipò al solenne congresso a Cremona, figurando come guardia di Cabrino Fondulo, signore di Cremona. L’anno 1417 il comando di Castelnuovo passò ad Antonio Ala, mandato da Cabrino Fondulo dopo aver cacciato Giorgio Valperga, Capitano al servizio del conte di Carmagnola che occupò il paese durante l’occupazione di Piacenza per combattere i guelfi. Nel 1419 Castelnuovo passò a Bartolomeo Malombra, presente all’eccidio nella Rocca di Maccastorna e fedele a Cabrino Fondulo. Il Carmagnola s’impadronì nuovamente del castello, fece prigioniero il Malombra e lo fece impiccare.
Figura 8: MARCHESINO STANGA E DONNA ANNA RAIMONDI, MOGLIE DI GIULIO STANGA
MARCHESINO STANGA. Si deve attendere il primo gennaio 1492 perché il primo Stanga possa fare il suo ingresso a Castelnuovo Bocca d’Adda. Marchesino era figlio di Giovanni e fratello di Giovanni Giacomo, decurione38 di Cremona, era membro del Consiglio Segreto, il Senato, di Cabrino Fondulo. Marchesino, “appena finita la sua nobile educazione”, mosse i suoi primi passi nella corte di Gian Galeazzo Maria Sforza in qualità di segretario del Duca di Milano. Prima di ricoprire questo incarico fu cancelliere di Ludovico, duca di Bari, meglio noto
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Dal tardo medioevo sino all'età napoleonica il decurionato costituiva l'insieme delle persone che si occupavano di ciò che attualmente chiameremmo amministrazione comunale.
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come Ludovico il Moro39, quarto figlio maschio di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti che divenne duca di Milano nel 1480 succedendo alla famiglia materna. L’ascesa al potere di Ludovico fece di Marchesino il segretario dello stesso Duca. Alcuni anni dopo Marchesino ottenne dal Ducato di Milano il feudo di Bellagio con speciale giurisdizione e potere sulla pesca nel lago. Il feudo di Castelnuovo Bocca d’Adda fu concesso a Marchesino Stanga all’inizio del 1492, come già anticipato. Marchesino fu vero mecenate delle arti e vero artista: egli visse all’ombra della corte di Ludovico il Moro a Milano per il quale lavorarono artisti del calibro di Bramante da Urbino e Leonardo da Vinci ma anche artisti minori che si formarono in questo tempo d’oro e discepoli dello stesso Leonardo. GIULIO STANGA. Alla morte di Marchesino il feudo non passò al figlio ma alla Camera Ducale forse perché i figli (otto in tutto) erano ancora in minore età alla morte del padre o forse perché alla morte del Moro tutti i beni legati allo stesso furono confiscati ed incamerati. Carlo V40, poi, nel 1543 lo affidò a Paolo Lurasco (o Luzasco). Costui impegnato nelle campagne militari conseguì dall’imperatore il diritto di essere rappresentato in Castelnuovo da un suo delegato, Giulio Stanga figlio naturale di Marchesino, il quale assunse con cerimonia solenne il possesso di Castelnuovo Bocca d’Adda a nome e per conto del proprio mandante e per esso ricevette il giuramento di fedeltà dagli abitanti l’8 aprile di quell’anno. Così viene descritta la cerimonia: “Radunati di mattina nella chiesa della Beata Vergine Maria di Castelnuovo, il Cesareo Segretario presso l’eccellentissimo Senato di Milano, un Commissario Regio, nonché accorsi al festante suono della campana i Consoli Deputati del Luogo ed il popolo, avanti l’altar maggiore gremito di clero comparve Giulio Stanga. Quivi riposti i privilegi del Lurasco nonché l’ampissima procura da esso conferitagli il Segretario del Senato lesse e pubblicò i documenti e si mostrò disposto a chiederne l’esecuzione perciò uscì di chiesa preceduto dal Clero che issava la Croce e il vessillo della chiesa e cantava diversi inni, canti e salmi divini e litanie a lode del potente Dio, seguito dal popolo devotamente e mentre la campana suonava allegramente pose in luogo ed investì detto Giulio a titolo di procuratore della tenuta attuale e corporale e della possessione di Castelnuovo e proprio territorio con tutti i diritti inerenti e spettanti a detto feudo; procedendo per diverse strade e contrade la processione passò per la piazza ed andò a fermarsi alla casa dove si solevano trattare gli affari pubblici e dove il popolo per le sue incombenze si soleva radunare ed ivi saliti ad una camera superiore prospicente verso la piazza il Segretario fece sedere il candidato in una cattedra quivi esistente e gli pose in mano un piccolo bastone insegna della giurisdizione e dell’autorità civile e criminale. Discendendo dalla detta camera la comitiva passò per una loggia che mette sulla piazza, dove esiste il pilastro su cui si affiggevano le gride, e di qui il Segretario e il Capitano Cesareo proclamarono signore del feudo il capitano Lurasco e per esso Giulio Stanga; raccomandarono ai sudditi di ubbidire al nuovo signore, di prestargli fede ed osservanza prescrivendo subito la multa di scudi 200 d’oro per ciascun contravventore (…). Ritornarono quindi alla chiesa di Santa Maria dove all’altare maggiore fu celebrata una Messa Solenne, finita la quale, vicino al detto altare, Giulio, in ginocchio, giurò sul Vangelo nelle mani del Segretario e del Commissario di accettare il feudo a nome del Lurasco e di essere sempre fedele e ubbidiente vassallo del Sacro Romano Impero e delle Autorità Milanesi. Dopo di ché i Consoli Deputati di Castelnuovo giurarono sullo stesso 39
Ludovico Maria Sforza detto il Moro (Vigevano, 27 luglio 1452 – Loches, 27 maggio 1508) fu duca di Bari dal 1479, poi duca di Milano dal 1480 al 1499. Ludovico Maria Sforza era il quarto figlio maschio di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti. Divenne duca di Milano nel 1480 succedendo alla famiglia materna. 40 Carlo V d'Asburgo (Gand, 24 febbraio 1500 – Cuacos de Yuste, 21 settembre 1558) fu re di Spagna e sovrano del Sacro Romano Impero. Una delle più importanti figure della storia d'Europa, incoronato come re di Spagna con il nome di Carlo I, re d'Italia, Arciduca d'Austria e Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico (S.R.I.), padrone di un impero talmente vasto ed esteso, su tre continenti, che gli viene tradizionalmente attribuita l'affermazione secondo cui sul suo regno non tramontava mai il sole.
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Vangelo alla loro volta che avrebbero riconosciuto per loro unico signore il Lurasco e per esso lo Stanga, a lui solo avrebbero prestate fedeltà e obbedienza. La cerimonia ebbe fine cogli evviva di Lurasco! Lurasco! graditi dal popolo.” Morto il Lurasco il feudo fu acquistato da Giulio Stanga, grazie anche alla ricchissima eredità dello zio Gaspare Stanga e della zia Beatrice Stanga Gambara, per il figlio Camillo il giorno 11 ottobre del 1555. Il feudo, poi, fu elevato in contea due anni dopo il 20 aprile 1557 e rimase di proprietà della famiglia Stanga fino ai tempi della soppressione. Il castello diventò quindi una villa di campagna turrita ma senza pretese difensive, il simbolo della supremazia territoriale per gli abitanti del feudo. Il castello, poi negli anni successivi si arricchirà di piccoli artigiani e attività al suo interno o in prossimità a questo (un fabbro, una bottega, l’osteria, un orto). Giulio sposò donna Anna dei Ramondi ed ebbe dieci figli tra cui Camillo, suo successore. CAMILLO STANGA. Beatrice Stanga Gambara, moglie del Conte Federico Gambara di Mantova e zia di Camillo Stanga, rimasta vedova, erede del marito e morta senza figli lasciò erede Camillo. Ugualmente il generale Paolo Lurasco morì senza lasciare erede e senza legittimo discendente. In questo modo il feudo di Castelnuovo Bocca d’Adda di cui era investito fu devoluto alla Regia Ducal Camera di Milano. Il feudo fu messo in vendita; il 28 agosto del 1555 si presentò Giulio Stanga offrendosi per compiere l’acquisto. L’atto d’acquisto fu celebrato il giorno 11 ottobre dello stesso anno. Tra i diritti inerenti al feudo vi erano anche i dazi e i pedaggi, i transiti come il porto dell’Adda e il porto tra Castelnuovo e Cremona, il diritto di pesca nella acque morte e nel fiume Adda. Camillo fece testamento il 16 luglio 1558 e designò come suo successore il figlio Conte Giovanni Battista avuto dal matrimonio con donna Clara Brivio, dama milanese. Camillo morì nel 1561 e fu sepolto nella cappella di proprietà e aggiunta alla chiesa parrocchiale. La moglie morì l’8 gennaio 1584 e venne sepolta col marito. GIOVANNI BATTISTA STANGA. Giovanni Battista ereditò il feudo di Castelnuovo in tenera età; ne fu tutrice la madre la contessa Clara Brivio. Si sposò con donna Dejanna Ugolani, cremonese. Morì nel 1606 lasciando come suo erede e discendente il figlio Camillo Antonio Baldassarre. CAMILLO ANTONIO BALDASSARRE STANGA. Si sposò con donna Agnese Mariani ed ebbe cinque figli: Marchesino, religioso agostiniano a Cremona, Antonio Maria, Ludovico religioso agostiniano come il fratello, Francesco e Giovanni Battista. GIOVANNI BATTISTA STANGA. Sposò donna Anna Ariberti dei liberi Baroni e Marchesi di Malgrate, l’8 giugno 1638. Divise solo col fratello Antonio Maria l’eredità paterna, stabili e mobili, fece testamento il 7 aprile 1646 e morì 4 giorni dopo a soli 32 anni. Sua moglie rimasta vedova si fidanzò col marchese Alfonso Pallavicino di Roma; seguì il matrimonio e ne nacque un figlio Alessandro. La famiglia Ariberti era ricca ed insigne. BARTOLOMEO ARIBERTI. Cremonese, visconte di Castelnuovo Bocca d'Adda e primo barone di Malgrate Lunigiana (Cremona 1589 - Malgrate 1649) che con le sue avventurose vicende ispirò l'episodio di fra' Cristoforo dei "Promessi Sposi" di Alessandro Manzoni. Visse per breve tempo anche a Castelnuovo Bocca d'Adda (nella zona attualmente occupata dal cinquecentesco palazzo del Torchio Ariberti Stanga, all'angolo di via Verdi con via XX settembre, e dall'edificio coevo detto "il Palazzo" all'angolo di via Verdi verso via S. Fermo) in quanto un suo antenato, Bartolino figlio di Cristoforo Ariberti aveva ottenuto da Cabrino Fondulo il titolo di visconte (viceconte) di quel paese. Rimasto senza discendenti legittimi, il marchese Bartolomeo Ariberti nominò suo erede Camillo Antonio Stanga, figlio di sua figlia Anna maritata con il conte di Castelnuovo Bocca d'Adda Giovanni Battista Stanga. Nacque tuttavia una contesa destinata a durare quasi mezzo secolo in quanto uno dei fratelli del marchese Bartolomeo riconobbe come propri dei figli illegittimi. Alla fine la spuntarono questi 29
ultimi, anche se per tutta la vita Camillo Antonio Stanga si fece chiamare "Camillo Antonio Stanga Ariberti, conte di Castelnuovo Bocca d'Adda e barone di Malgrate Lunigiana". CAMILLO ANTONIO STANGA (ARIBERTI). Nacque il 26 settembre 1639 e rimase orfano del padre. Il conte Antonio Maria Stanga, fratello di Giovanni Battista, e lo zio il marchese Bartolomeo Ariberti e Giovanni Battista Ariberti, alla morte del precedente furono nominati tutori di Camillo Antonio. Si narra nella biografia di famiglia Stanga che un giorno non si conosce per qual odio ed in seguito a quali questioni Camillo Antonio incaricò Marchino Nervi, Alessandro Faber, Giuliano Levada, Carlo Durante e Alessandro detto Alessandrino di uccidere i signori Alessandro e Giovanni Battista Carminati, fratelli abitanti a Castelnuovo Bocca d’Adda. Costoro si prestarono alla richiesta e l’omicidio ebbe luogo il 13 maggio e l’8 settembre 1664. Scopertisi i responsabili e i colpevoli, Camillo Antonio il 28 marzo 1667 venne condannato alla decapitazione, furono confiscati i beni di sua proprietà, e i suoi mandatari furono mandati alla forca. La pena di Camillo Antonio fu commutata e, multato e confiscato del feudo di Castelnuovo, fu relegato nel Castello di Lodi. Qui vi restò poco: nel 1671 risulta a piede libero e nel 1707 gli venne tolto il peso del bando capitale. Camillo Antonio ci viene presentata come una persona di un carattere forte e iroso: nella contesa con la famiglia Ariberti per il feudo di Malgrate in Lunigiana promise di raggiungere il riconoscimento dei suoi diritti sullo stesso con “terrore con la forza”. La disputa continuò fino ai primi anni del 1700 quando il Tribunale competente del Re di Spagna ufficializzò l’appartenenza del feudo di Malgrate agli Ariberti. Le due parti stipularono un compromesso che stabilì la restituzione del feudo di Castelnuovo al figlio di Camillo Antonio e anche accordi economici e risarcimenti. Le contese continuarono anche con i suoi figli e soprattutto con il Gaspare avuto dalle nozze con Maria Maddalena Garimberti. GASPARE STANGA. Nacque il 12 maggio 1681 e fu educato nobilmente, continuò la causa iniziata dal padre con la famiglia Ariberti. Sposò Giulia dei marchesi Olivazzi, milanese figlia del Gran Cancelliere, sorella del Senatore e di Monsignor Olivazzi decano della Sacra Rota Romana e arcivescovo e vescovo di Pavia. La disputa con la famiglia Ariberti costò parecchio alla famiglia Stanga; nel 1722 in una Supplica al Senato di Milano, Gaspare fu a chiedere la possibilità di vendere beni e ragioni per un valore di ventimila lire di Milano. Gaspare morì il 18 giugno del 1756 a 75 anni mentre la moglie cagionevole di salute si ritirò a Castiglione delle Stiviere. CAMILLO ANTONIO STANGA (OLIVAZZI). “… ha saputo virtuosamente e cristianamente rassegnarsi agli immensi danni cagionati dall’inondazione e corrosione del Po e dell’Adda ai suoi latifondi, situati totalmente tra questi due fiumi per cui in tempo di sua Amministrazione dall’opulenza è stato gettato quasi d’improvviso senza sua colpa in una mediocrità, di fortuna agli Stanga insolita e perciò più affliggente ed incomoda”. Camillo Antonio nasce il 24 giugno 1726 e viene descritto come uomo d’onor vero, gentile e di ben ordinata evangelica morale, esempio ad imitazione dei suoi pari. Fu uno dei sei Prefetti della Veneranda Fabbrica della Cattedrale di Cremona. Sposò donna Beatrice Ponzoni figlia del conte Pietro Martire Marchese Ala cremonese. Volle per sé anche il cognome della madre GIOVANNI BATTISTA STANGA. Nasce il 9 aprile del 1755 e muore il 16 ottobre del 1819 all’età di sessantatre anni e sposò Luigia Offredi, sorella dello zelantissimo vescovo di Cremona Omobono Offredi. I due si sposarono dopo la morte del padre di lei il 3 maggio del 1780. Le loro figlie furono istruite prima alla monache Salesiane in Mantova e poi, poichè queste suore si trasferirono a Venezia, le fece avvicinare a Cremona presso il collegio detto della “Beata Vergine”. I figli studiano presso i padri Somaschi a Merate per poi, una volta adulti, fare ritorno a Castelnuovo per provvedere alle “cose di casa”. Ebbe cinque figli: Omobono, Gaspare che fu dottore e assessore al Tribunale di Prima Istanza, Elena e Giulia 30
entrambe attente alla gestione del casato e impegnate nella vita politica dell’epoca, e Morandino Camillo. Il conte Giovanni Battista Stanga, vicepriore della confraternita del SS.Sacramento della parrocchia di Sant’Agostino di Cremona, è sepolto nella cappella della Madonna di Campagna. MORANDINO CAMILLO STANGA OFFREDI. Nato il 5 giugno 1789 di salute cagionevole non poté applicarsi seriamente allo studio come il fratello Gaspare. Il 28 maggio 1823, a seguito della morte del padre, ottenne il titolo di conte. Sposò la contessa Elena Brivio del marchese Cesare e di Apollonia dei marchesi Erba Odescalchi, principi di Monteleone, nata il 5 maggio del 1801. Morandino morì il 15 ottobre 1836, Elena il 6 giugno 1862. I loro nomi sono ricordati nella cappella della Madonna di Campagna, luogo che accoglie anche la loro sepoltura. Ebbero tre figli Gaetano, Omobono e Cesare. OMOBONO, GIULIO CESARE GIOVANNI BATTISTA, GASPARE STANGA OFFREDI. Nato l’11 ottobre 1827 viene ricordato così: “Pianto e benedetto da mille voci dei terrazzani beneficati col lavoro non opprimente col governo comunale da padre col soccorso da amico in Castelnuovo Bocca d’Adda di cui era conte riposa nella pace del redentore (…) dei cattolici documenti in tempi ad empietà sollecitanti non a parole mentite osservatore incorrotto il lustro del patriziato non oscurando con accidioso fumo e accigliato cipiglio ma per semplicità dignitosa e opera pagata rispettato ed amato dal piccolo e dal grande giovanetto delizia ai parenti.” Questa è l’iscrizione sulla sua lapide nella cappella della Madonna di Campagna. Nel 1874 fu Sindaco del paese e morì a cinquantatre anni senza discendenza il 13 febbraio del 1884 lasciando la moglie Antonia Maria Carolina Luigia Giuseppa Lucilla Albertoni nata a Cremona dal conte Francesco il 3 novembre 1829. GAETANO E CESARE STANGA OFFREDI. Il presidente del Consiglio dei Ministri il 14 marzo 1883 concesse a Gaetano Stanga Offredi il titolo di conte di Castelnuovo Bocca d’Adda a motivo della malattia e della morte del fratello. Sposò la patrizia cremonese Luigia Vernazzi ed ebbe otto figli. Cesare Stanga nacque nel 1832 e morì a soli 28 anni. Sposò la contessa Bianca Liberati e fu sepolto, come il fratello Omobono, nella cappella della Madonna di Campagna a Castelnuovo Bocca d’Adda. I figli di Gaetano e Cesare furono impiegati nell’Esercito Regio oppure studiarono giurisprudenza per trovare occupazione presso la Reale Prefettura di Cremona. Il ramo di Castelnuovo Bocca d'Adda, come indicato, diventò Stanga-Offredi alla fine del '700 quando il conte di Castelnuovo sposò l'unica sorella del vescovo di Cremona Omobono Offredi. La famiglia si estinse nel 1945.
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Figura 9: IL PALAZZO STANGA CON I SUOI GIARDINI E IL BELVEDERE
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- CINQUE LA PESTE DEL 1630 “La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c'era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d'Italia. Condotti dal filo della nostra storia, noi passiamo a raccontar gli avvenimenti principali di quella calamità; nel milanese, s'intende, anzi in Milano quasi esclusivamente: ché della città quasi esclusivamente trattano le memorie del tempo, come a un di presso accade sempre e per tutto, per buone e per cattive ragioni. E in questo racconto, il nostro fine non è, per dir la verità, soltanto di rappresentar lo stato delle cose nel quale verranno a trovarsi i nostri personaggi; ma di far conoscere insieme, per quanto si può in ristretto, e per quanto si può da noi, un tratto di storia patria piú famoso che conosciuto41”. Inizia così il XXXI capitolo de “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni; con queste parole viene presentato il manifestarsi della peste che colpì le principali città d’Italia e d’Europa. Venne soprannominata calamitas calamitatum per la sua particolare virulenza. Gli anni 1628 e 1629 vedono una terribile carestia imperversare per il nord Italia. Le città vengono prese d'assalto da vagabondi e mendicanti, in cerca di condizioni di vita migliori rispetto alle campagne, scoppiano tumulti ed agitazioni. Per ultimo arriva la peste, portata dalla discesa dei Lanzichenecchi in Italia. L'esercito si era ammassato a Chiavenna e nelle sue valli; da qui, cominciò il contagio in direzione di Milano. Per evitare che il contagio dilaghi, le autorità sanitarie impongono l'isolamento dei paesi dove si hanno i primi casi di peste, mediante la chiusura della strada. Fra alti e bassi la peste imperversa per tutto il Nord Italia. A fine maggio 1630 sembra che l'epidemia si sia dissipata, ma a giugno il morbo si ripresenta, mietendo innumerevoli vittime. La peste fece la sua comparsa a Castelnuovo nel maggio del 1630. La prima vittima, riportata nel “Libro dei morti”, fu Clara Malagamba morta di “contagione” il 14 maggio. In tutto le vittime per peste furono 239. Morì un chirurgo, due monatti dei quali uno faceva anche lo “sbirro”, il podestà fratello del Rettore e il notaio Giuseppe Fagiani.
Figura 10: LA PAGINA DELL’ARCHIVIO PARROCCHIALE CHE RIPORTA LA PRIMA VITTIMA DI PESTE
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Inizio del XXXI capitolo de “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni
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- SEI L’UNITA’ D’ITALIA Nella seconda metà del 1800 il movimento di unificazione d’Italia prese sempre più forza e tre furono le guerre di indipendenza in quasi un trentennio. Ancor prima dello scoppio della prima guerra di indipendenza, il 18 marzo 1848 Milano era insorta contro l'Impero Austriaco durante le “Cinque Giornate” e il 22 marzo anche Venezia aveva cacciato gli austriaci proclamando la Repubblica di San Marco. Allora il re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia, il 23 marzo 1848, si pose a capo di una coalizione di Stati italiani e dichiarò guerra all'Austria, nell'intento di conquistare il Regno Lombardo-Veneto. Proprio in questa prima guerra possiamo trovare un contributo castelnovese. Quattro furono infatti i concittadini che ne presero parte nel 1848 e nel 1849. Così ce li presenta l’Archivio Comunale: SOTTOTENENTE FERRARI LORENZO: Figlio di Giuseppe Ferrari. “Nel 1848 sergente furiere nel corpo dei bersaglieri sotto il comando del maggiore Conte Trotti al Caffaro, Rocca d’Anfo, Gravellone e Cava, nel 1849 come sottotenente a Roma decorato della Medaglia dei benemeriti per la liberazione di Roma” SERGENTE FURIERE DONGHI GIOVANNI: Figlio di Michele Donghi. “Campagna del 1848 nella colonna capitanata da Saverio Griffini42. Nel 1849 fu applicato al comitato insurrezionale e destinato alle barricate in Brescia”. Dichiaratamente ateo, rifutò i sacramenti ma fu benefattore e presidente della Congregazione di Carità. SOLDATO DOSSENA GIULIO: Figlio di Antonio Dossena. “Campagna del 1848; medaglia commemorativa per la campagna dello stesso anno” consegnata dalla compagnia di Torino. SOLDATO ROSSI STEFANO: Figlio di Gerolamo Rossi. “Campagna del 1849 nel Reggimento Cavalleria Piemontese Reale autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa per campagna del 1849 … ”
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Saverio Griffini (San Martino Pizzolano, 28 settembre 1802 – Bosnasco, 17 dicembre 1884) è stato un patriota italiano. Nasce da una agiata famiglia di agricoltori. Mentre è studente universitario di filosofia a Pavia e non ancora diciannovenne cospira contro l'impero Austro-ungarico, trovandosi ricercato dalla polizia austriaca riesce a passare in Piemonte dove partecipa ai moti del 1821. Fugge prima in Spagna e poi in Francia combatte per i moti costituzionali. Il 14 settembre 1823, ferito, cade prigioniero. Rimesso in libertà viene consegnato a Milano alla polizia austriaca. Viene processato, dopo 3 mesi di carcere esiliato a Orio Litta. Dedicatosi all’agricoltura si sposa ed è padre di sei figli che non bastano a trattenerlo tra le mura domestiche quando nel 1848 la battaglia per la libertà lo richiama. Nel marzo si unisce ai rivoltosi ed assume il comando di un gruppo con cui il 5 di aprile si attesta al ponte sul fiume Oglio dove, raggiunto dall'esercito Sardo, viene nominato capitano nella sua compagnia di Bersaglieri, con la quale partecipa allo scontro al ponte di Goito (8 aprile). Il 12 aprile 1848 Carlo Alberto, conferì sul campo la medaglia d’oro al valore a Saverio Griffini che, durante la battaglia, aveva fatto prigionieri cinquantatre "Cacciatori Tirolesi". Fu il culmine della costante audacia della "Legione Volontari Lombardi Griffini" nata in origine a Casalpusterlengo e ufficializzatasi a Calvenzano come appoggio agli insorti delle Cinque Giornate di Milano. Si distinse poi il 6 maggio a S. Lucia e a Sommacampagna. Promosso successivamente fino al grado di generale, viene inviato a Brescia nel luglio dello stesso anno. Dopo l'armistizio di Salasco patteggiò con gli svizzeri per raggiungere il Piemonte attraverso il loro territorio per assumere il comando della 2ª Brigata della divisione Lombarda. Collocato in aspettativa nel 1849, non rientrò più nell'esercito e dopo la proclamazione del Regno d’Italia fu nominato segretario della Commissione per la medaglia commemorativa delle guerre d’indipendenza. Saverio Griffini morì il 17 dicembre 1884 a Bosnasco. Le sue spoglie furono traslate nel 1964 nel famedio del cimitero maggiore di Lodi
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Presero parte alla presa di Roma il 20 settembre del 1870 il COLONNELLO MEDICO MEZZADRI GIUSEPPE e il soldato SUDATI LUIGI, originario di Cornovecchio, ma stabilitosi poi a Castelnuovo Bocca d’Adda. Un documento43, presentato nel corso dei festeggiamenti per il 150° anniversario per l’unità d’Italia il 17 marzo 2011, certifica la sua presenza per la liberazione e la presa della città di Roma:
Figura 11: PARTECIPAZIONE ALLA CAMPAGNA DI LIBERAZIONE DI ROMA DI SUDATI LUIGI
Furono garibaldini nelle battaglie del 1866 i nostri compaesani CURTARELLI LUIGI, DOGLIA GIACOMO E SUBITONI ANSELMO. Parteciparono alla guerra d’Abissinia44 ed alla disfatta di Adua nel 1896 il parroco DON CARLO BONO, GONSALVI SIGISMONDO e ZILLI GIUSEPPE, entrambi soldati.
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Il documento ci è stato dato gentilmente dalla signora Margherita Casati Con il termine di Guerra di Abissinia si indica il conflitto dal dicembre 1895 all'ottobre del 1896 tra il Regno d'Italia e l'Impero d'Etiopia. La guerra si concluse con una dura sconfitta per le forze armate del Regno d'Italia e con la firma della pace di Addis Abeba, con cui veniva riconosciuta la piena indipendenza dell'Etiopia. 44
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Figura 12: IL SOLDATO BRICCHI GIOVANNI (10 OTTOBRE DEL 1897) 36
- SETTE UNA SANTA A CASTELNUOVO45 “… riguardo alla Casa di Castelnuovo l’abbiamo pagato lire 5.011, ed il primo ottobre facemmo l’apertura, accompagnate dai nostri buoni Angeli Custodi; fummo accolte, contro ogni nostra aspettazione, con grande festa e gran cuore, e mi giova sperare che coll’aiuto di Dio potremo fare del bene. Siamo poi state oltremodo obbligare al M R Don Rocco; mi sarebbe caro che alla prima occasione le dicesse una parola di ringraziamento …” così scrisse il 17 ottobre dell’anno 1894 Suor Geltrude Comensoli46 al vescovo di Lodi, Mons. Giovanni Battista Rota, suo amico nonché consigliere spirituale. In realtà dell’acquisto di una casa a Castelnuovo dove inviare un primo gruppo di cinque suore47 si fa riferimento in una lettera del 25 settembre dello stesso anno, pochi giorni prima che le suore vi iniziassero la loro attività. La parrocchia, scarsa di risorse, non era in grado di provvedere i locali necessari all’alloggio delle suore e dall’esercizio dello loro attività, per cui si rendeva necessario l’acquisto di una casa. Uno stabile sufficientemente capace, vicino alla chiesa parrocchiale e dotato di ampia ortaglia e frutteto, veniva offerto alla cifra di lire 5.000; don Giuseppe Melocchi, incaricato dalla Madre di effettuare una stima, giudicava conveniente l’acquisto. Così la casa diventò di proprietà dell’Istituto e la Madre vi mandò le suore il primo ottobre. Era in condizione tali che la fondatrice la chiamò “Siberia”. Il prevosto Don Savarè per dimostrare che egli, poverissimo, non avrebbe potuto aiutare le suore, al primo incontro aveva presentato alla Madre un piatto con un solo osso spolpato. Fu proprio, però, il vescovo di Lodi Mons. Rota a chiedere questo grosso sacrificio alla Comensoli perché vedeva nell’invio delle suore Sacramentine un modo efficace per venire incontro ai numerosi bisogni di quella parrocchia: “… la vedrei ben volentieri in quel paese che immenso bisogno di chi abbia cura della gioventù femminile”48. Il parroco Don Giovanni Savarè non vide l’insediarsi delle suore in paese. Si spense il 10 agosto del 1894 all’età di 67 anni, dopo avere retto la parrocchia per vent’anni; uomo di cultura e oratore eloquente ed efficace fu amato e stimato dalla sua e dalle parrocchie confinanti. In sua memoria il nipote Don Giovanni Savarè, erede, interpretando il desiderio dello zio cedette la “Panca posta nella Chiesa Parrocchiale, di proprietà del suddetto Prevosto di f.m., alle Reverende Suore Sacramentine, stabilite in Castelnuovo Bocca d’Adda il primo ottobre 1894, pregando dette Reverende Suore di ricordarsi delle loro fervorose preci del compianto Reverendissimo Prevosto Don Giovanni Savarè”. LA PRIMA CASA: “SIBERIA” La comunità si stabilì nella casa, vicino alla chiesa, di via Rusteghini49 al civico uno. La prima Superiora fu suor Faustina Manenti, nata nel 1848 aprì la casa di Castelnuovo e vi rimase fino al 1901 quando venne trasferita sempre con la mansione di superiora alla Filanda Colleoni di Rho. Morì colta da sincope nel pieno dell’attività apostolica il 23 gennaio 1914. La comunità visse del proprio lavoro di ricamo e confezioni di arredi sacri. “Quelle di Castelnuovo lavorano tanto, ma l’entrata è di lire 50 al mese, s’immagini a vivere in quattro, poverette. È proprio la Casa di Nazareth”. Secondo una relazione del tempo nella casa le suore “vi tengono scuole private (le classi quarta e quinta elementare sono state avviate in paese proprio dalle Suore, in via san Mamerte) di studio e di lavoro. Nei giorni festivi hanno il Ricreatorio, e preparano la 45
Capitolo scritto con l’ausilio di queste fonti: “Geltrude Comensoli” di Goffredo Zanchi ed. Glossa (pagg. 450 e ss.); “Gli scritti” ed. Morcelliana; Archivio Storico Suore Sacramentine di Bergamo 46 Santa Geltrude Comensoli: si legga la biografia sua e delle altre suore castelnovesi nella seconda parte del libro. 47 Suore Sacramentine di Bergamo che resteranno in paese fino al 1981 48 Lettera di Mons. Rota a Madre Geltrude del 15 febbraio 1894. “Gli scritti” 49 Oggi via san Mamerte
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gioventù a ricevere i Santi Sacramenti ed insegnano la Dottrina Cristiana in Parrocchia. L’Ora di Adorazione la fanno in Parrocchia essendo la Chiesa attigua alla Casa”. Il provento delle scuole, però, non bastava al mantenimento delle suore e la casa madre ha dovuto sempre soccorrerle. Nel 1912 la Superiora Generale venne alla determinazione di vendere la casa a fronte della minaccia dell’incameramento dei beni religiosi ed in quella occasione si volevano spostare le suore presenti in altre case. In seguito alle proteste, alle preghiere e alle promesse fatte dal parroco e dalla popolazione le suore restarono in paese e pagarono l’affitto di quella piccola parte di casa che a loro venne riservata. Nessun aiuto finanziario fu più dato alla piccola comunità religiosa. A Castelnuovo la Madre Comensoli si adoperò per la soluzione del grave problema dell’emigrazione cui erano costrette molte ragazze per la mancanza di lavoro in paese. Secondo la testimonianza di una suora (Sr. Teodolinda) la Madre si rivolse ai signori Gavazzi, proprietari dell’opificio di Melzo, perché si adoperassero per l’installazione di un laboratorio che, per difficoltà tecniche, non fu possibile realizzare: “Finora non mi fu dato di trovar chi si risolva d’aprire un laboratorio in codesta parrocchia; una difficoltà che trovano si è quella d’esser troppo lontana dall’acqua; l’altra incomodità del viaggio, però la cosa mi sta molto a cuore, non cesserò da far domanda e pregare anche per questo il Signore, perché è proprio necessario il lavoro. In sì grande paese la mancanza di uno stabilimento!”50. LA SECONDA CASA: “VILLA SACRO CUORE” Come si potrà leggere più avanti dal giorno 11 maggio 1923 a motivo della cessazione della locazione dei locali in cui risiedevano le suore furono costrette a trasferirsi presso la Villa Donghi, acquistata dal parroco Don Carlo Bono. La spesa sostenuta dalla parrocchia fu di poco più di 30.000 lire per gli adeguamenti dei locali nel 1924 e di circa 17.900 lire l’anno successivo per le tasse, le spese di trapasso di proprietà, assicurazione antincendio … contro un’entrata di quasi 8.500 lire . Annota Don Bono: “Nelle suddette spese non è compresa la fabbricazione del nuovo salone … vedete che le gobbe dei cammelli crescono invece di diminuire ed è quasi un miracolo che i miei tavoli, letti e sedie non abbiano ancora le ruote … non mi scoraggio però: ho tutta la fiducia nel S.Cuore a cui onore ho dedicato la villa; son certo che mi aiuterà in un opera a Lui cara. A voi dico solo: ricordatevi di questa opera santa, ricordate ciò che ha detto Gesù: ciò che farete a uno di questi piccoli … ricordate che questi piccoli innocenti ogni domenica pregano pei benefattori vivi e defunti e la loro preghiera …” Nella residenza di Villa Donghi le suore avevano aperto un asilo parrocchiale e svolgevano alcune attività lavorative indispensabili per il mantenimento della struttura e per saldare le 5.000 lire di canone annuale che le suore dovevano versare fino alla sua morte alla signora Antonietta Tirinanzi, proprietaria della casa51. Tra le attività si legge in una lettera del 1937 che “il laboratorio dei bottoni prosegue abbastanza benino, certo siamo ancora all’inizio, abbiamo 53 operaie, man mano queste avranno appreso bene il lavoro si aumenterà il numero fino a 80 e più. L’idea dei padroni del bottonificio sarebbe di portare qui da noi tutta la cucitura e la scelta e loro tenere solo il reparto delle macchine … in questa quindicina hanno dato in 11 giorni di lavoro 94,30 lire … Aumentando il numero delle operaie e diventando più svelte nel lavoro tanto maggiore sarà il nostro guadagno”. Una relazione del 1955, oltre all’attività principale dell’Asilo parrocchiale, elenca anche gli altri lavori che le suore svolgevano: “Le suore fanno un mese di Colonia estiva con circa 40 bambine e un altro mese per i ragazzi, circa 60. Si prestano anche per la refezione invernale per tutti i frequentanti la scuola comunale; provvedono ai due pasti principali del Curato senza ricevere compenso alcuno in denaro. Ricevono, però i generi alimentari in tanta abbondanza da non aver bisogno di fare spese per la refezione dei bambini dell’asilo. Anche al carbone, legna, luce provvede il Curato. Su 100 bambini dell’asilo frequentanti solo metà paga la retta di lire 300 mensili. Ad ogni modo sono state consegnate alla Casa Madre lire 400.000 nell’anno 50 51
Lettera di Madre Geltrude al prevosto di Castelnuovo del 13 giugno 1902. “Gli scritti”. Alla fine il costo legato all’acquisto di Villa Donghi sarà di 105.000 lire
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1954. Non c’è la bidella. Non si fa la vacanza dell’Asilo neppure nei mesi estivi durante la Colonia dei ragazzi. In questi mesi poi, onde aiutare le famiglie, i bambini si tengono dalle ore 7 del mattino fino alle 5 di sera. È veramente eccessivo il lavoro delle Suore nei mesi più caldi. Unica vacanza l’ultimo giovedì del mese per giorno di ritiro. La casa è bella, è dedicata al S.Cuore di Gesù di cui campeggia una bella statua, illuminata di sera e molto in vista dal paese. Manca però della necessaria clausura avendo da una l’oratorio maschile e dall’altra il campo sportivo al quale accedono dal portone stesso dell’Asilo ed è separato dal cortile dell’Asilo da una semplice rete metallica. Il sign. Parroco intende fare cambiamenti … chiede se potrà avere le Suore per la cucina e guardaroba del Ricovero dei vecchi che intende mettere nella casa attigua a quella delle Suore. È soddisfatto del lavoro della Suore, dice che non potrebbe fare di più …” La casa fu oggetto di modifiche e lavori continui: nel 1955 il parroco Don Giuseppe Carenzi dava l’annuncio “di costruire a levante della Villa … di tre vani da metri 70 ciascuno. Il vano centrale, situato in perfetta corrispondenza con il corridoio della Villa, servirà da soggiorno. A nord ed a sud di questa, cioè sui fianchi, si apriranno due aule luminosissime, ognuna di uguale capienza”. Questa opera, dopo l’oratorio maschile e femminile, l’asilo, la casa del coadiutore e il ricovero andava ad ampliare una struttura che stava sempre più diventando il centro delle Opere Educative Parrocchiali. La spesa nel 1957 venne quantificata in 11 milioni di lire. Le suore rimasero a Castelnuovo fino al 1981 quando, oramai anziane furono costrette a ritirarsi dalla loro attività. A poco valsero le fatiche e le ricerche del parroco Don Rinaldi che scrisse al Vescovo, al Cardinal Opilio Rossi52 e alle Madri Generali di ordini e congregazioni per cercare nuove realtà che potessero subentrare nella gestione dell’asilo e scongiurare la chiusura della casa. Le cinque suore Sacramentine abbandonarono Castelnuovo nella giornata di domenica 26 luglio 1981. ELENCO DI TUTTE LE SUORE SACRAMENTINE DI BERGAMO SUPERIORE A CASTELNUOVO: Suor Faustina Manenti: Suor Angelica Agostinelli: Suor Teodolinda Colombo: Suor Elena Panna: Suor Teodolinda Colombo: Suor Elena Panna: Suor Delfina Scotti: Suor Elena Panna: Suor Anna Maria Locatelli: Suor Giuseppa Zimbelli: Suor Valeriana Arnoldi: Suor Maria Irene Dell’Era: Suor Maria Irene Dell’Era: Suor Luigina Gomirato: Suor Leonilla Caio: Suor Carmen Torri: Suor Maria Grazia Manieri:
dal 1 ottobre 1894 al 1 gennaio 1901 da settembre 1901 a settembre 1907 primo incarico da settembre 1907 a dicembre 1914 primo incarico da dicembre 1914 a settembre 1924 secondo incarico da settembre 1924 a settembre 1925 secondo incarico da settembre 1925 a settembre 1931 da settembre 1931 al 28 settembre dello stesso anno terzo incarico dal 28 settembre 1931. Muore il 26 gennaio 1933 dal 4 marzo 1933 al 20 agosto 1941 dall’8 settembre 1941 al 9 settembre 1945 dal 9 settembre 1945 al 14 agosto 1951 primo incarico dal 15 agosto 1951 al 25 settembre 1957 secondo incarico dal 25 settembre 1957 al 11 novembre 1960 dal 21 novembre 1960 al 1 luglio 1961 dal 30 giugno 1961 al 20 settembre 1972 dal 12 agosto 1972 al 20 agosto 1978 dal 20 agosto 1978 al 1 luglio 1981 giorno di chiusura dalla casa
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Opilio Rossi (New York, 14 maggio 1910 – Roma, 9 febbraio 2004) è stato un cardinale e arcivescovo cattolico italiano. Nacque a New York da genitori di origine piacentine. Rimasto orfano in tenera età rientrò, con il fratello maggiore (che in seguito diverrà anch'egli sacerdote a Muradolo di Caorso) in Italia dove frequentò il Seminario Alberoni di Piacenza. Fu presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, poi del Pontificio Consiglio per la Famiglia e infine del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali. Morì il 9 febbraio 2004 all'età di 93 anni.
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Figura 13: LE SUORE, DON CARENZI E ALCUNI CASTELNOVESI
Figura 14: LA COMUNITA’ RELIGIOSA DELLE SUORE NEGLI ANNI ‘70 40
Figura 15: UNA IMMAGINE DELL’ATTIVITA’ QUOTIDIANA DELLE SUORE NELL’ASILO PRESSO LA VILLA SACRO CUORE
Figura 16: I BAMBINI E LE BAMBINE DELLE CLASSI 1942/46 ALL’ASILO CON LE SUORE 41
- OTTO LA GRANDE GUERRA La prima Guerra Mondiale coinvolse quasi tutte le grandi potenze mondiali, e molte di quelle minori, tra l'estate del 1914 e la fine del 1918; cominciò il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell'Austria alla Serbia in seguito all'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando il 28 giugno 1914 per concludersi oltre quattro anni dopo. Il conflitto coinvolse le maggiori potenze mondiali di allora, divise in due blocchi contrapposti; gli Imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria, Impero ottomano e Bulgaria) contro le potenze Alleate rappresentate principalmente da Francia, Gran Bretagna, Impero russo e Italia. Oltre 70 milioni di uomini furono mobilitati in tutto il mondo (60 milioni solo in Europa), in quello che divenne in breve tempo il più vasto conflitto della storia, che causò oltre 9 milioni di vittime tra i soldati e circa 7 milioni di vittime civili dovute non solo agli effetti diretti delle operazioni di guerra, ma anche alla carestia e alle malattie concomitanti. Il racconto di questo primo conflitto europeo lo troviamo in alcune pagine di diario53 redatto dal soldato CASATI GIOVANNI destinato, il 15 giugno del 1917 a un anno e mezzo dalla fine delle ostilità, al secondo reggimento artiglieria pesante campale di Modena. Così egli scrive: Partiti per il fronte i giovani della classe 1898 furono scelti 8 allievi appuntati, fra i quali vi ero anch’io e si incominciava ad allontanarsi da tutte quelle istruzioni. La fame ed il governo cavalli. La fame era la più terribile, perché in quei momenti vi fu la famosa ritirata di Caporetto54, ed attorno a quella città prima detta non si poteva immaginare i militari sbandati che vi erano. Ecco che cosa facevano i soldati di 18 anni e non compiuti, cioè i giovani della classe 1898; attendevano la libera uscita che suonasse momento per momento, per potersi inviare di corsa fuori da quel serraglio per potersi sfamare. Non appena il trombettiere prendeva la tromba in mano per segnalare l’uscita era uno spinto unico che sembrava volessimo buttar giù la porta del quartiere. Appena fuori era una processione di corsa, dalla caserma alla porta s.Agostino, e beati i primi che si avvicinarono ai fornai. Tante sere non si poteva trovar pane senza tessere e allora bisognava attendere le signore e signorine che si avvicinavano a dette botteghe e far la faccia di … e chiedergli qualche tessera. E quelle caritatevoli persone si levavano il pane dalla sporta e lo distribuivano a quanti ce n’erano. Quella brutta vita durò per altri sei mesi: e poi fu la prima spedizione per il fronte e in quella vi ero anch’io. Il fronte era brutto, come dicevano, perché in quei momenti non l’avevo ancora provato; ma anche la fame era bruttissima. E partiti quasi volentieri per non sentir più quella maledetta. Partì per il fronte il giorno 2 maggio del 1918 alle ore 18 per il destino ignoto viaggiando così tutta la notte si arrivava a Bassano Veneto alle ore sei del giorno 3 maggio, e caricati su carri bagagli ci trasportarono a un paese chiamato Crespano55 ove esisteva il reparto cavalli, del sotto notato: il cannone già si sentiva tuonare sul monte Grappa. Siam arrivati 53
Diario gentilmente messo a disposizione dalla signora Casati Margherita di Castelnuovo Bocca d’Adda e nipote del signor Casati Giovanni, classe 1898, soldato durante la Prima Guerra Mondiale. 54 La battaglia di Caporetto, o dodicesima battaglia dell'Isonzo, venne combattuta durante la prima guerra mondiale tra il Regio Esercito italiano e le forze austro-ungariche e tedesche. Lo scontro, che iniziò alle ore 2:00 del 24 ottobre 1917, rappresenta la più grave disfatta nella storia dell'esercito italiano, tanto che, non solo nella lingua italiana, ancora oggi il termine Caporetto viene utilizzato come sinonimo di sconfitta disastrosa. 55 Crespano del Grappa è un comune in provincia di Treviso di 4729 abitanti; è da ricordare per la presenza del Sacrario Militare del Monte Grappa, uno dei principali ossari militari della Prima guerra mondiale, situato più precisamente in Cima Grappa e che ospita, oltre a 12.615 salme di soldati italiani e a 10.295 austroungarici, le tombe del Maresciallo d'Italia gen. Gaetano Giardino e dell'Ardito del Grappa gen. Ettore Viola.
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a quel paese su detto monte alle ore 8 e lì si incominciava a salire su quel monte così alto, alla destra del Grappa, chiamato ARCHINSON56, e siamo giunti a quel destinato reparto che si trovava sul detto monte alle ore 17. Ecco l’ignoto destino: 24° gruppo obici pesanti campali e alla 72^ batteria che quel reparto dipendeva dall’11° reggimento artiglieria di campagna – Alessandria – E a quella batteria fui indicato al secondo pezzo che prestai servizio per 10 giorni e poi mi consegnarono un mulo per viveri acqua ecc. dalle teleferiche. Su quel monte ci stettimo dal 3 maggio al 28 maggio dello stesso anno, cioè 25 giorni e poi siamo scesi per andare in retrovia, cioè a riposo perché il reparto era dal 20 dicembre 1917. Per quella notte si dormì all’albergo della luna e il mattino dopo si fece il caricamento e si partì per un paese chiamato Rosà e là si stette 4 giorni e poi il comandante del Gruppo, maggiore Parlatti, tanto volontario com’era, fece domandare di andare in posizione nuovamente e subito gli fu concessa. E infatti il giorno 2 giugno siam partiti per far le piazzole dei pezzi sul famoso MONTELLO dietro alla chiesa di Giavera e lì fino il giorno 14 giugno si stette bene !! Il giorno 15 giugno alle ore 2.30 si udì il primo colpo di cannone nemico il quale era per loro l’inizio della terribile offensiva. Alle ore 3 risposero le nostre artiglierie e tutto quel territorio era un solo fuoco e fiamme. Le nostre batterie cioè il 24° Gruppo O.P.C. alle ore 13 aveva già fuori uso 7 obici57. Alle ore 13.30 v’era l’ordine di far saltare i pezzi, un immediato arrivava dal comando di Gruppo di spostare le batterie sulla strada; e infatti si attaccarono immediatamente i cavalli e giù da quella collina in mezzo a tutto quel fuoco e a una velocità che di più non si poteva. Giunti sulla strada il comandante la Batteria fece distribuire i moschetti tanti ve n’erano e su di nuovo per quella collina in compagnia agli Arditi58. Ma il sottoscritto però in quel momento aveva due cavalli in consegna e non prese parte a quella gioia!Infatti alle ore 15 si prese i rispettivi cavalli e pezzi fuori uso e ci inviammo per il reparto cavalli che esisteva a un paese chiamato MUSANO a 15 km di distanza da quel posto. Giunti a quel paese ben stanchi si andò a dormire e ci svegliammo a mezzogiorno del dì seguente; mangiavamo il rancio e poi il Comandante del reparto cavalli ci ordinò di far governo ma per me quel mestiere era tanto odiato che feci domanda assieme ad altri due amici di ritornare in posizione e così fu concesso. Si montò su di una carretta la quale portava i viveri alla batteria e, giunti, si credeva che tutto fosse cessato: quanto mai abbiamo fatto quella domanda! Infatti mezz’ora dopo prese servizio il pezzo in cui mi trovavo io servente, cioè il secondo. Che quel servizio durò dalle ore 19 alle 23 sotto la tempesta di fucileria, mitragliatrici, granate schrapnel59 d’ogni qualità nemiche. Ecco i reggimenti e reparti che vidi in quella posizione: Batterie da Fortezza che si trovavano a 100 metri davanti a noi furono prigioniere: il 14° reggimento artiglieria da campagna lo stesso il 43° reggimento artiglieria da campagna lo stesso il 215° & 216° reggimento fanteria e il 24° gruppo O.P.C. che quello non in tempo a prenderlo. Reparti venuti in rinforzo: il 27° reparto d’assalto che quello fu decimato il 2° reggimento bersaglieri il 5° & 6° reggimento fanteria 56
Bocchetta dell'Archeson (nota come Salto della Capra ed anche come Bocca di Forca) è una zona del monte Grappa L'obice è un'arma da fuoco di grosso calibro, impiegata prevalentemente per il "tiro indiretto" sui bersagli. 58 Quella degli Arditi fu una specialità della fanteria del Regio Esercito durante la prima guerra mondiale. La specialità fu brevemente ricostituita durante la seconda guerra mondiale con l'attivazione del 10º Reggimento Arditi (15 settembre 1942 - settembre 1943) e le sue tradizioni furono ereditate a partire dal 1975 dal 9º Battaglione d'Assalto Paracadutisti Col Moschin (poi Reggimento, dal 1995) 59 Lo shrapnel è un tipo di proiettile per artiglieria.Il proiettile è cavo e riempito di sfere di piombo o, in economia di guerra, di acciaio, e munito di una carica di scoppio collegata ad una spoletta a tempo.Il suo primo uso in guerra risale al 1808 quando fu usato dall'Inghilterra durante la battaglia di Vimeiro, ma fu usato moltissimo anche nel corso della Prima guerra mondiale, durante la Seconda e durante la guerra in Vietnam. 57
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il 39° & 40° reggimento fanteria il 67° & 68° reggimento fanteria il 57° reggimento artiglieria da campagna e il 9° reggimento lancieri ed altri non mi ricordo. Il giorno 17 che l’offensiva fu calma, ci siamo inviati per il distaccamento cavalli: e lì ci stettimo otto giorni in attesa di nuovi obici per poter riprendere la posizione nuovamente. Dopo quei otto giorni un contrordine e fu sospeso. Così ci siamo ritirati a 50 km dalla linea e si prese il riposo. Il paese dove abbiamo preso il riposo in quel tempo si chiamava BRUSAPORCO. Lì ci stettimo dal giorno 25 giugno fino al giorno 27 luglio e poi inviati di nuovo su quel monte sopra nominato chiamato Archinson. Ma io in quel tempo di riposo fui messo in cucina che fu per me un po’ di fortuna e quel monte non lo salii più. Rimasi cuciniere al distaccamento di CRESPANO. A detto paese ci stetti dal giorno 28 luglio fino ai primi di settembre finché la batteria tornava a riposo. Inviati a riposo a un paese chiamato MONASTIERO nei dintorni di san Martino di Lupari e ci stettimo otto giorni e poi cambiato il paese siamo andati a finire vicino a Padova ad un paese chiamato Camposanpiero che ci stetttimo fino al 6 ottobre. Il giorno 6 ottobre siam partiti da quel paese e inviati sul Piave in posizione a un paese tutto distrutto chiamato MASERADA60 in attesa dell’ultima e desiderata offensiva. E lì fui levato di cucina per mancanza di uomini e mi destinarono al 3° pezzo servente e numero 7; e lì si passava i giorni sempre sotto ai ricoveri; infine giunse il giorno 26 ottobre di prendere il fuoco rapido che il nemico fu costretto a ritirarsi e per loro fu la gran sconfitta. In quei momenti lo seguivano i Reggimenti di Fanteria ed Artiglieria da campagna e noi per nostra fortuna avevamo i pezzi troppo pesanti e non li abbiamo seguiti perché i nuovi ponti del fiume Piave erano deboli e non resistevano alla loro portata. Siam partiti da quella vittoriosa posizione il giorno 2 novembre alle ore 21 per recarsi dove il nemico ancora resisteva; cioè il Trentino. Si passò dalle città venete cioè Padova, Vicenza, Verona tutte imbandierate e tutti gridavano la desiderata PACE. Passato il Veneto incominciava la bella Lombardia, passando così da Peschiera si inviava per Desenzano dove si doveva consumare il primo rancio del giorno 4 novembre 1918. Il bel tratto di linea ferroviaria che costeggia il Lago di Garda da Peschiera a Desenzano camminava una macchina con una gigantesca bandiera nazionale; e quella macchina portava la bella notizia dei giornali, di stampe più vicine i quali a parole larghe si leggeva:
“LA FIRMA DELL’ARMISTIZIO CON L’AUSTRIA IL GIORNO 4 NOVEMBRE 1918” Ma ancora l’impero Germanico non cedeva e così si seguiva la valle Giudiziaria61 per raggiungere Trento indi far fronte alla Germania. Giunti a Storo si fece tappa 24 ore e lì arrivò un contrordine e si seguì quella valle al contrario. Quindi si era destinati a un paese fuori Brescia chiamato Ospedaletto che lì si stette solo 4 giorni e poi si partì di nuovo per andare a Ala che si stette altri otto giorni. Poi si cambiò nuovamente per recarsi a Pescantina in provincia di Verona. A quel paese ci siamo fermati 15 giorni e di nuovo si partiva: giunti siamo a Thiene in provincia di Vicenza, che si stette 2 mesi. Partiti da Thiene il giorno 28 gennaio 1919 e poi si cambiò di nuovo il paese per raggiungere a Schio sempre nella medesima provincia. E lì si passò l’inverno; e un mese di primavera: partiti da Schio il giorno 26 aprile del medesimo anno per raggiungere la linea d’Armistizio destinati a Nôva Sûzîssâ. Giunti in mezzo a quei sassi il giorno 29 che si stette la bellezza di 6 mesi e in quel tempo vidi le città e borghi ex austriaci Trieste, Fiume, Abbazia ed altri. Ad Abbazia siam fermati dal giorno 20 agosto cioè nelle stagioni balnearie. Da quella posizione siam partiti il 1° di settembre per ritirarsi al reparto cioè a Nôva Sûzîssâ. Da quella posizione siam 60
Fu questo una delle zone maggiormente colpiti dalla Grande Guerra, tanto che, nel novembre 1917, la popolazione fu evacuata. Nel giugno del 1918 la località fu resa celebre dalla battaglia del solstizio, che vide la conquista delle Grave di Papadopoli, nei pressi di Salettuol, da parte delle truppe italiane 61 Valli Giudicarie (Judikarien in tedesco) è utilizzato per definire una zona del Trentino occidentale che comprende l'alto corso del Sarca immissario del lago di Garda.
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partiti il giorno 5 ottobre 1919 per recarsi a Flambro nella provincia di Udine. In quel paese passai 4 mesi di vita beata; cioè feci il trombettiere. Dopo 21 mesi fui cambiato di reparto dalla 72° batteria del 24° Gruppo fui trasferito al 49 ° Gruppo O.P.C. della 146° batteria a un paese chiamato Varmo nella medesima provincia. A quel paese stetti otto giorni e poi tornai di nuovo a Flambro che si stette altri tre mesi che mi assegnarono un impiego e me la passai bene tutto il tempo della mia permanenza: fui messo in fureria62. Il giorno 5 aprile [1920] siam partiti da quel paese per trasferimento di gruppo e siam arrivati a Rivolto ma sempre nella medesima provincia. Siam partiti da Rivolto il giorno 28 dello stesso mese per recarsi a Codroipo. Dopo 19 mesi di armistizio venne l’ordine di raggiungere il deposito e si partì da Codroipo il giorno 11 giugno 1920 alle ore 16. Il deposito ove si doveva arrivare era un po’ distante da Codroipo: si trovava a Palermo. Si fece la linea adriatica, arrivati ad Ancona il giorno 12 sull’imbrunire della sera e in quei giorni i giornali portavano i ribelli Albanesi e i ferrovieri di quella città per nessuna ragione non ci fecero proseguire la linea, temendo che ci imbarcassero per l’Albania. In quella stazione ci siam fermati 4 giorni; arrivati il giorno 12 e partiti il giorno 16. Giunti al posto destinato al 22 alle ore 23; e il mattino del giorno 23 si fece lo scaricamento ed entrati in caserma. Al giorno 30 giugno fu sciolto il gruppo ove io ero assegnato cioè il 49° Gruppo Obici Pesanti Campali (O.P.C.) e fui trasferito alla 7° batteria del 45° reggimento artiglieria pesante campale. Il giorno 7 luglio passai effettivo alla Compagnia Deposito in qualità di scritturale all’Ufficio Amministrativo. Il signor Casati Giovanni rimase a Palermo fino al 4 marzo dell’anno 1921 quando … Alle ore 9.15 di detto giorno arrivai al porto di Palermo e imbarcatomi arrivai a Napoli alle 7.50 del seguente giorno, e arrivai a Codogno il mattino del giorno 7 marzo 1921 contando così 41 mesi di servizio militare compreso l’anno di guerra dai 17 ai 21 anni. FINE In queste pagine viene descritto un itinerario di 2040 chilometri cui vanno aggiungersi i quasi 2800 chilometri compiuti via terra prima e via mare poi per raggiungere Palermo e dal capoluogo siculo Napoli e Castelnuovo Bocca d’Adda. Un viaggio di 4 anni (dai 17 ai 21 anni) lungo quasi 5000 chilometri! Il signor Casati non fu l’unico a dover fare i conti con il primo Grande Conflitto Mondiale. Già nel 1915 parecchi furono i castelnovesi arruolati. L’archivio comunale, in un registro che fa riferimento al quarto semestre di quell’anno, ne conta ben 384 richiamati. Chi veniva richiamato alle armi partiva per il fronte; chi rimaneva a casa doveva provvedere a sostenere le spese per gli armamenti e il mantenimento dei militi in guerra. Nel giugno del 1915 si costituì un “Comitato di Soccorso” composto dal parroco, dal sindaco e da altri sette illustri castelnovesi. Quarantasei furono i castelnovesi caduti alla fine della Grande Guerra. Tanti morirono al fronte, sulle alture venete o friulane, diversi si spensero negli ospedali militari di grandi città come Bari, Torino e Brescia o in quelli allestiti sui campi di battaglia. Di questi quarantasei dodici fecero ritorno a casa e morirono a Castelnuovo o nell’ospedale di Codogno a causa delle ferite o per malattia. Sei furono i dispersi che non fecero mai ritorno a casa.
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Fureria: Nelle forze armate, nome dato in passato all’ufficio (detto anche ufficio di compagnia) incaricato di tenere l’amministrazione e la contabilità di una compagnia o di un reparto equivalente.
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Figura 17: IL VOLANTINO DEL COMITATO DI SOCCORSO RIVOLTO A TUTTI I CITTADINI 46
- NOVE TRA DUE GUERRE: IL FASCISMO A CASTELNUOVO BOCCA D’ADDA “Un osservatore anche il meno esperto, per poco che avesse scrutato le condizioni morali di Castelnuovo Bocca d’Adda, avrebbe tosto constatato quanta indifferenza, se pur non avversione, regnava in paese in fatto di religione. La gioventù, in modo particolare, priva di qualche Oratorio o Circolo dove potesse trovare onesti divertimenti, si era completamente allontanata dal sacerdote; pochissimi erano quei fanciulli che frequentavano alla domenica la scuola di catechismo: si sarebbero potuti contare sulle dita quei giovani ed uomini che assistevano alla spiegazione della dottrina cristiana nella chiesa parrocchiale. I sacramenti, in generale, erano poco frequentati. Qui, insomma, si vedevano i funesti effetti di tutta una campagna di odio e di avversione condotta dal socialismo contro il prete e la religione. Le elezioni di allora mostravano quanto fosse radicato in Castelnuovo il socialismo. Anche qui si constatavano i tristi effetti della guerra mondiale che aveva portato dovunque, col lutto e col dolore, un’indifferenza, un’apatia nelle cose della religione; apatia che per Castelnuovo era anche frutto ed eredità di un antico liberismo che ivi aveva. Sorgevan le balere in parecchi luoghi del paese, e mietuto larga messe già prima del socialismo, già più d’una volta la settimana, la gioventù incauta trovava nei divertimenti del ballo facile esca alla corruzione ed al vizio. Sull’angolo della piazza non di rado si sentiva risuonare la voce di qualche empio oratore che mentre incitava i contadini alla riscossa, lanciava bestemmie ed imprecazioni contro Dio ed il prete: bestemmie troppo raramente represse dalle grida di indignazione di qualche donna coraggiosa. Il prete passante per le vie del paese, non è meraviglia se non fosse salutato, od anche se fosse stato oggetto di scherno; spesso dalla pubblica strada si gettavan sassi nella casa parrocchiale63. I divertimenti illeciti, le dottrine immorali diffuse dai socialismi avevano anche dissacrata la famiglia ed il vincolo coniugale; ne fan fede i ben dieci illegittimi che vi furon nel 1920. In questa condizione di cose duro era e tenace il lavoro che s’imponeva al sacerdote per dare un nuovo indirizzo al paese: risvegliando la fede nelle coscienze e incitando alla pratica dei doveri cristiani; ed è proprio per questo intento che il clero locale di impegnò in un lavoro che richiedeva fatiche e sacrifici64.” Così si apre il resoconto che Don Carlo Bono ebbe a scrivere nel 1920, anno del suo ingresso a Castelnuovo Bocca d’Adda, dopo essere stato parroco di Caselle Lurani in sostituzione del prevosto Don Antonio Andronio promosso canonico della Cattedrale di Lodi. Era il 16 aprile del 1920; da poco era terminato il primo grande conflitto mondiale e di lì a poco grandi cambiamenti politici avrebbero interessato anche la nostra piccola comunità. Da subito – a partire dall’anno successivo – il clero castelnovese iniziò a promuovere la costruzione di spazi per i più giovani e l’abbellimento della chiesa di Santo Stefano65, oggi sconsacrata, “allo scopo di attirare maggiormente la gioventù alla dottrina cristiana”. Sempre quell’anno si iniziò la costruzione di un nuovo edificio accanto alla chiesa e casa parrocchiale 63
In quel tempo la casa parrocchiale era in via Rocca Stanga; il suo giardino e cortile interno oggi sono la piccola piazza antistante la chiesa parrocchiale 64 Cronaca della parrocchia dal 1920 al 1944. Archivio Parrocchiale. Nelle pagine che seguono quanto scritto dal parroco Don Carlo Bono in questa sua cronaca verrà racchiuso tra le virgolette. 65 Nel 1923 nella chiesa di Santo Stefano, “secondo un progetto concepito da Don Pietro Rossi, scrive Don Carlo Bono, nella cappella, già del Crocefisso, trasportato dal prevosto Don Giuseppe Vaccari nella chiesa parrocchiale, si sarebbe costruita una grotta alla Madonna di Lourdes ed accanto, da parte, si sarebbe aggiunto un quadro a ricordo dei caduti nella guerra mondiale (il monumento verrà eretto due anni dopo). Il lavoro come fu concepito così fu anche eseguito da Don Pierino Rossi coll’aiuto di un solo muratore”. Nel frattempo altri lavori coinvolgevano la chiesa parrocchiale, abbellita e arricchita. In questo anno il parroco Don Bono, a proprie spese, acquistò la statua del Cristo morto per completare la cappella del Crocifisso.
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che “avrebbe servito come un nuovo oratorio per i fanciulli e che in seguito sarebbe stato adibito come salone teatro66”. Poiché egli sosteneva che “il clero locale rivolse le principali e più assidue cure all’educazione dei fanciulli e dei giovani. Del resto è l’unica via che rimane da percorrere per togliere quell’indifferenza che sembra innata a questa popolazione e per suscitare un po’ d’entusiasmo per il prete, per le funzioni Sacre, per i SS.Sacramenti. Gli uomini difficilmente si possono plasmare così da ottenere ciò che si desidera; occorre formare le generazioni novelle nei fanciulli e nei giovani che, ancora tenere pianticelle, sono suscettibili di una educazione cristiana”.
Figura 18: RISPETTIVAMENTE DON CARLO BONO E DON PIETRO ROSSI
“Nella seconda metà di quest’anno – il 1924 – dal signor prevosto fu acquistata la Villa Donghi. Il prevosto fu determinato a sobbarcarsi questa gravosa spesa da parecchi motivi primo dei quali la necessità di trovare un nuovo locale per le suore Sacramentine [di Bergamo] che, avendo ricevuto la diffida dal signor Gaboardi di cui tenevano in affitto l’edificio contiguo alla chiesa in via San Mamerte67 si trovavano nell’alternativa o di cercare subito un altro luogo o di partirsene dal paese. Inoltre i ragazzi dal 1921 si radunavano nel cortile del prevosto e le ragazze in quello delle suore ma ambedue i posti non erano sufficienti perché la gioventù si potesse divertire a suo piacimento. Volendo, quindi, trovare un luogo dove fondare un vero e proprio oratorio maschile e femminile, la Villa Donghi, si sarebbe prestata molto bene. Questa infatti possedeva un rustico che convenientemente ridotto, si sarebbe potuto adattare per l’abitazione di un coadiutore liberandosi in tal modo da qualunque impiccio e dipendenza derivante dall’avere la casa in affitto da estranei. A tali scopi subito al termine di quest’anno – il 1924 – si cercò di adattare la Villa68. Si estirparono dapprima tutte le piante e i filari che occupavano il terreno dalla parte del rustico e davanti all’edificio, lasciando però in un canto un bel gruppo di piante sempre verdi sotto la cui ombra potrebbero rifugiarsi le ragazze nei mesi di caldo. Nel rustico oltre all’abitazione di un coadiutore si adattò una parte per sala destinata al Circolo Maschile. Fu alzato un muro di separazione tra l’oratorio maschile e 66
La sua costruzione iniziò nel gennaio del 1921 per terminare alla fine dello stesso anno. Il costo fu di 26.318 lire, completo di decorazioni, palco, sedie, macchina cinema per la proiezione e tutti gli impianti necessari. Grazie ad una pesca di beneficenza si ricavarono circa 5.336 lire. A sostenere queste attività oltre al parroco troviamo anche due coadiutori Don Epifanio Cavredi, sostituito da Don Luigi Ganelli e Don Pierino Rossi. Quest’ultimo ebbe un ruolo importante per l’eduzione cattolica dei giovani castelnovesi e fu forte oppositore al fascismo. 67 Le prime case sul lato destro di via San Mamerte da non confondersi con la casa parrocchiale e precedenti la stessa. 68 “Alla fine del 1924 la villa S.Cuore – scrive Don Bono – per il solo adattamento dei locali importava la spesa di 24.364 lire”. Nella sua cronaca fa anche riferimento alle spese di arredamento, alla realizzazione del campo di bocce per l’oratorio maschile, l’installazione di un nuovo cancello su via Cairoli, secchia e corda per il pozzo dell’oratorio, un impianto di luce nella sala del circolo e costruzione di una latrina con tetto e vasca per un totale di ulteriori 7.000 lire.
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femminile e quindi tra l’abitazione delle suore cui è annesso l’oratorio femminile e l’abitazione del coadiutore cui è annesso l’oratorio maschile. Il muro di cinta dell’oratorio maschile fu rialzato. (…) è infine da ricordare che Don Pietro Rossi, non appena fondò il circolo maschile volle insieme istituire un corpo bandistico coi giovani del Circolo e oratorio maschile. Dapprima lo stesso coadiutore ammaestrò i giovani, ma in seguito fu chiamato il maestro Lusardi che due o tre volte la settimana si recava a Castelnuovo per dar lezioni di musica. Alcuni istrumenti furono messi a disposizione dal Don Pietro Rossi che li possedeva da tempo; altri furono comperati già usati; pochi furono comperati nuovi. Alla fine di quest’anno il corpo bandistico già si trovava in grado di partecipare alle processioni suonando parecchie marcie”. Nel 1925 la comunità di Castelnuovo ebbe a vivere due importanti momenti: il venticinquesimo anniversario di ordinazione del parroco e di professione religiosa della superiora Suor Elena Maria Panna e l’inaugurazione del monumento ai caduti in piazza Garibaldi. A ricordo degli anniversari, celebrati il 4 ottobre, “i due coadiutori vollero erigere una cappellina per le suore dove si conservasse perpetuamente il SS. Sacramento ed accanto in continuazione, un salone laboratorio che offrendo lavoro a tante persone del paese, specialmente ragazze, impegnandole sotto la direzione delle suore a fissare i bottoni sulle cartelle, costituisce una fonte non trascurabile di ricchezza per Castelnuovo”. Dopo circa cinque anni Castelnuovo poteva vantare un Circolo Maschile, l’oratorio Maschile e Femminile e un Corpo Bandistico. Queste “opere” avevano in qualche modo messo un freno “alla turpe propaganda socialista … estirpando quell’indifferenza” che Don Carlo Bono aveva denunciato e trovato all’inizio della sua presenza in paese. Tutta questa sua fatica “era riuscita a suscitare un po’ di entusiasmo nella popolazione”. Nella “Cronaca della parrocchia” da lui redatta, l’autore non manca nel riportare tutte le difficoltà che ebbe a riscontrare e le opposizioni al suo operato. Due furono i fronti dello scontro: quello anticlericale e quello fascista. Il confronto si accese anche tra le pagine di due giornali “Il Popolo di Lombardia69” e “Il Cittadino70”. Sul primo si potevano leggere gli attacchi alle attività del clero e, in particolare modo, rivolti a Don Pierino Rossi71 mentre sul secondo le smentite e le prese di posizione a difesa dell’operato a favore del paese. Questa campagna di odio portò alla fine del 1925 alla chiusura del Circolo Maschile. Ecco il racconto del parroco: “il quattro novembre di quest’anno 1925, con l’intervento di tutte le autorità, associazioni scuole, fu compiuta una commemorazione della Vittoria72: Ufficio Solenne nella chiesa parrocchiale esequie nell’oratorio di santo Stefano, sfilata al monumento dei Caduti con intervento della Banda, tanto il mattino quanto la sera per la deposizione di due corone arrivate in ritardo, una da collocarsi nella chiesa di santo Stefano, l’altra al monumento in piazza Garibaldi. Tutte queste cerimonie e manifestazioni si svolsero nelle migliori arie di serenità e di ordine, senza che nessun incidente venisse a turbarle. Ma ecco comparire su “Il Popolo di Lombardia” del 14 novembre un articolo dove l’autore faceva noto che durante la sfilata della sera si erano udite grida sediziose di «evviva Don Pierino Rossi» e «abbasso le camicie nere». Una commissione d’inchiesta inviata a Castelnuovo non molto tempo dopo, dalle autorità civili e fascista trovava nelle testimonianze di persone ragguardevoli del paese la più decisa smentita delle grida di «abbasso le camicie nere». Avevan bensì gridato alcuni giovani «evviva Don Pierino Rossi», ma erano le solite manifestazioni di affetto verso un gran benefattore della gioventù di Castelnuovo manifestazione con maggiore ragione tributategli in quella circostanza perché se la banda aveva suonato con discreto successo e soddisfazione di tutti, nonostante l’oscurità della sera, per cui i bandisti erano costretti a fidarsi della sola memoria, il merito ricadeva su di lui che in quella circostanza aveva dovuto sostituire il maestro Lusardi”.
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Il Popolo di Lombardia: giornale locale degli anni ‘20 Il Cittadino: quotidiano di ispirazione cattolica, il più diffuso nel Lodigiano e Sud Milano. Nasce nel 1890 come settimanale dei cattolici di Lodi e provincia per diventare, nel 1989, giornale quotidiano di sei numeri settimanali. 71 Venne definito su “Il Popolo di Lombardia” come “Prete ateo, ribelle e mentitore…” 72 4 novembre 1918: conclusione in Italia della Prima Guerra Mondiale 70
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“Disillusi dell’esito negativo di questo primo tentativo si valsero di un altro fatto conosciuto durante le indagini al fine di riuscire nei loro cattivi intenti. Un … socio del Circolo Cattolico secondo quanto egli depose nell’inchiesta vescovile, per liberarsi dalle seccature di un compagno che lo disturbava parlando dell’attentato a Mussolini73 pronunciò questa frase: «lascia che lo ammazzino! Ha fatto più male che bene». Il fatto rivestito di false aggravanti mutato in parte della stessa sostanza fu denunziato all’autorità giudiziaria come una prova irrefragabile della educazione antifascista impartita nel Circolo Cattolico di Castelnuovo Bocca d’Adda. Si disse infatti che il giovane aveva esclamato «Dovevano ucciderlo quel vigliacco! Ha fatto più male che bene» che la frase fu pronunziata pubblicamente nella sala del Circolo: che non fu repressa e neanche deplorata dai dirigenti del Circolo e che suscitò vivaci contrasti i quali potevano turbare l’ordine pubblico. Quale mera montatura sia nascosta nella relazione del Fascio di Castelnuovo apparirà quando nei confronti la versione del fatto come risulta dall’inchiesta vescovile. (…) il 25 novembre di quest’anno 1925 con decreto del Sottoprefetto di Lodi il Circolo veniva disciolto ed i suoi nemici ne potevano godere come di una loro vittoria. Ma la loro diabolica soddisfazione non poteva essere completa poiché esisteva ancora in Castelnuovo il Corpo Bandistico fondato nel Circolo Maschile di cui era una emanazione e nel salone teatro i nostri giovani si adunavano spesso per fare prove di musica (…)” Stesso accanimento si sarebbe poi manifestato nei confronti del Corpo Bandistico ad opera del Segretario del Fascio Locale. “Il sottoprefetto di Lodi aveva assicurato il signor sindaco di Castelnuovo che presto il Circolo [Maschile] sarebbe riaperto e la stessa promessa faceva al Vescovo Monsignor Antonelli il primo gennaio di quest’anno 1926 colle testuali parole «le dò la consolante notizia che a giorni sarà riaperto il Circolo di Castelnuovo». Ma la tanto desiderata riapertura si faceva ben attendere. Finalmente il 14 aprile di quest’anno il Procuratore Generale del Re, di Milano, notificava che sia stato chiesto alla Sezione di Accusa di dichiarare chiusa l’istruttoria e di pronunziare sentenza di non doversi procedere. La notizia apriva il cuore ad una più fiduciosa speranza che presto l’istituzione giovanile avrebbe ripreso il suo ritmo. Proprio in base alla sentenza (…) furono fatte istanze per ottenere la riapertura, ma apparentemente con esito nullo”. Tra un rinvio e l’altro nonostante colloqui e incontri il circolo rimase chiuso. “È il primo novembre festa di tutti i Santi. In paese è giunta la notizia dello scampato pericolo di Mussolini74 ed il Prevosto, di sua iniziativa, annuncia al popolo che per l’avvenimento si canterà un solenne “Te Deum75” dopo la Messa in terzo. Nella mattinata fu richiesto da alcuni fascisti che per lo stesso motivo si suonassero a festa le campane, in ossequio alle disposizioni circa il suono abusivo delle medesime, rispose che non poteva accondiscendere subito alla loro richiesta, ma che però avrebbe fatto suonare le campane durante il canto del “Te Deum” già preannunciato. La risposta mise un po’ di malcontento tra i fascisti. Nel pomeriggio, come il solito degli altri anni, sfilò la processione al cimitero preceduta dalla sola Croce. Mentre la precessione stava per comporsi un gruppo di balilla, senza nessun preavviso, tentava di entrare a metà del corteo. Intervenne il Prevosto dicendo che secondo disposizioni superiori dovevano mettersi in coda alla processione, ciò che a mala pena hanno fatto.
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Primo attentato a Mussolini: ideato il 4 novembre 1925 dal deputato social-unitario Tito Zaniboni e dal generale Luigi Capello. Zaniboni avrebbe dovuto far fuoco con un fucile di precisione austriaco da una finestra dell'albergo Dragoni, fronteggiante il balcone di Palazzo Chigi da cui si sarebbe dovuto affacciare il Duce per celebrare l'Anniversario della vittoria, ma le forze di polizia guidate dal questore Giuseppe Dosi sventarono tempestivamente la minaccia. 74 La sera del 31 ottobre 1926, durante la commemorazione della marcia su Roma a Bologna, il quindicenne Anteo Zamboni spara, senza successo, un colpo di pistola verso il capo del governo, sfiorandone il petto. Additato dai gerarchi fascisti, fu linciato sul posto dalle camicie nere di Leandro Arpinati con numerose coltellate 75 Il Te Deum (estesamente Te Deum laudamus, latino per "noi ti lodiamo, Dio") è un inno cristiano in prosa di origine antica. Nella Chiesa cattolica il Te Deum è legato alle cerimonie di ringraziamento; viene tradizionalmente cantato la sera del 31 dicembre, per ringraziare dell'anno appena trascorso, oppure nella Cappella Sistina ad avvenuta elezione del nuovo pontefice, prima che si sciolga il conclave oppure a conclusione di un Concilio.
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Figura 19: LA BANDA DEL PAESE NEL 1925 E NEL 1936
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Dopo la processione un milite si incontrò col Prevosto con atto minaccioso e gli chiese contro del suo operato. Introdotto in casa gli fu mostrato il decreto vescovile riguardante l’ordine da tenersi nelle processioni: decreto che il milite non capiva o meglio mostrava di non aver capito. Frattanto in casa parrocchiale erano entrati una ventina di fascisti (…) tutti in atto minaccioso i quali formulavano altre accuse; come di aver avuto sempre ostilità al Direttorio Fascista del paese. Rispose esaurientemente il Prevosto chiamando anche testimoni tra i quali il segretario politico del Fascio Locale: questi confessò di avere avuto, tanto col Prevosto che con Don Pierino Rossi, parecchi abboccamenti e di aver sempre trovato la massima accondiscendenza che, per il contrario, aveva trovato opposizioni e difficoltà d’intesa con il vecchio Direttorio Fascista col quale non condivideva la volontà di continuare nella lotta contro i preti, per evidente danno non solo dei perseguitati, ma dello stesso Fascio Locale. La discussione di due ore finì con discreta ed inaspettata calma ed il milite si scusò dicendo d’essere stato male informato”. “All’inizio di quest’anno 1927 un ordine di Mussolini (…) dichiarava riaperto il Circolo di Castelnuovo. Potevan ben vantarsi i soliti anticlericali di aver condotto una campagna energica (a base di calunnie e provocazioni), potevano ben lambiccarsi il cervello per escogitare, con arti maligne, i mezzi di riuscire nei loro disegni! Il tempo, che è galantuomo, aveva fatto giustizia ed il circolo di Castelnuovo poteva riprendere il suo ritmo con rinnovato ardore”. “Eran corse voci che in occasione della festa patronale[del 1929] si sarebbe danzato nei locali dell’Asilo Infantile. Il coadiutore Don Rossi spiegando in domenica il Vangelo al popolo, ebbe occasione di inveire contro i divertimenti illeciti, la profanazione dei luoghi sacri all’educazione dei fanciulli nei quali si tendono tali divertimenti, l’inosservanza dei decreti ecclesiastici e civili che specialmente in quegli ultimi anni furono promulgati per restringere l’erezione dei balli in occasione di sagre. Anzi, in un impeto di indignazione lanciò la sfida che tale ballo non si sarebbe tenuto. Il Prevosto scrisse al Prefetto di Milano mettendolo al corrente dei progetti concepiti dal Comitato del Dopolavoro per tenere il ballo nei locali dell’Asilo Infantile; progetti che sono direttamente contro le norme prese dalla stessa Questura in proposito. Quale fosse l’esito della lettera si poté constatare quando si seppe che dai locali dell’Asilo, avevano trasportato i preparativi nel Salone del Dopolavoro76 dove si ballò la sera della Vigilia della Sagra e ciò, come si disse, in ripicco alla parole dette da Don Pierino in chiesa”. “La persecuzione fascista ancora continua (…). È il 27 aprile [1930], festa del Patrocinio di San Giuseppe77, solennizzata al pomeriggio con la relativa processione alla quale interviene come al solito la banda locale. Poiché lo stesso giorno alle ore 16 i dirigenti del Fascio hanno fissato di tenere la leva fascista78, il parroco pregato dal Segretario Comunale a nome del Podestà 79, accondiscese a terminare le funzioni alle ore 16 anziché alle 16.30 affinché per quell’ora la popolazione fosse libera. E così fu fatto. Nessuno però dei preti intervenne alla cerimonia quantunque invitati alcuni giorni prima: Don Ganelli perché assente, 76
Oggi la sala polifunzionale (si vedano le immagini d’archivio riportate nelle pagine seguenti). Patrocinio di San Giuseppe. Pio IX nel 1847 invece estese a tutta la Chiesa la festa del Patrocinio di San Giuseppe, già celebrata a Roma dal 1478. Veniva celebrata la terza domenica dopo Pasqua, fu trasferita poi di seguito al terzo mercoledì dopo Pasqua e infine sostituita nel 1956 con la festa di San Giuseppe Artigiano, assegnata al 1º maggio. In alcuni luoghi era celebrata, il 17 febbraio, la Fuga in Egitto, conservata ancora oggi dai Copti al 1º giugno. 78 La Leva Fascista viene effettuata ogni anno. La Leva Fascista consiste nel passaggio dei figli della Lupa nelle file dei balilla e delle piccole italiane; dei balilla nelle file degli avanguardisti; degli avanguardisti nei Gruppi dei fascisti universitari o nelle file dei giovani fascisti; dei fascisti universitari e dei giovani fascisti nel P.N.F. e nella M.V.S.N.; delle piccole italiane nelle file delle giovani italiane; delle giovani italiane nelle file delle giovani fasciste; delle giovani fasciste nei Fasci Femminili. Il Fascista presta giuramento nelle mani del Segretario politico del Fascio di combattimento con la formula: Nel nome di Dio e dell'Italia, giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e, se necessario, col mio sangue, la causa della Rivoluzione Fascista. (Articolo 9 dello Statuto del PNF Testo del 1938 con le successive modifiche sino al 1943) 79 In Italia il regime fascista introdusse la figura del podestà con la legge 4 febbraio 1926, n. 237, una delle cosiddette leggi fascistissime. Dal 21 aprile 1927 al 1945 gli organi democratici dei comuni furono soppressi e tutte le funzioni in precedenza svolte dal sindaco, dalla giunta e dal consiglio comunale furono trasferite al podestà, nominato con Regio decreto per cinque anni e in ogni momento revocabile. 77
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Figura 20: LETTERA DI RINGRAZIAMENTO AL PODESTA’ INVIATA DAL SEGRETARIO DEL PARTITO FASCISTA NELLA QUALE SI RINGRAZIA PER UN CONTRIBUTO PER LA BANDA E LE SUE ATTIVITA’.
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Don Rossi perché impegnato nell’assistenza dei fanciulli in oratorio e il Prevosto perché occupato a tenere una conferenza mensile al Circolo Femminile. Dopo aver prestato servizio alle funzioni, la Banda s’avviava verso la sede dell’oratorio per una bicchierata ed a metà strada fu raggiunta da due militi che la fermarono imponendo di suonare l’inno “Giovinezza80”. Il maestro ricordò le prescrizioni che vietano l’’esecuzione degli Inni Nazionali fuori dei giorni stabiliti, all’assicurazione dei militi che si assumevano ogni responsabilità, ubbidì. Invitato d’intervenire [alla cerimonia fascista] rispose di rivolgersi al Prevosto e che d’altra parte egli doveva partir subito. Alla cerimonia fascista la banda non intervenne. Quando si pensa che in altre simili circostanze la Banda richiesta sempre si prestò a suonare l’inno fascista e intervenne alle loro manifestazioni spesso non ricompensata o colla solo ricompensa di una bicchierata, l’atto villano del 27 aprile non trova nessuna ragione se non nella superbia di alcuni anticlericali che non vorrebbero mai dipendere al prete nella rassegnazione di non poterne fare a meno per rendere un po’ solenni le loro manifestazioni. Il 30 aprile (…) il Fascio di Castelnuovo dava relazione della propria situazione alle superiori autorità, mostrando come il Clero Locale fosse il più grave ostacolo che si frapponeva allo sviluppo del Fascismo nel paese. (…) in data 3 maggio il Podestà rassegnava le dimissioni da Segretario Politico di Castelnuovo (…). Verso la metà di giugno Mons. Vescovo scrive al Prevosto invitandolo ad informar (…) su questi punti: vertenza e soluzione avvenuta circa la frase di un giovane del Circolo pronunciata in occasione di un attentato al Capo del Governo; un corteo del novembre 1925 con grida «Abbasso i fascisti! Evviva Don Pietro Rossi!»; rifiuto di ammettere alla processione i balilla e la loro cacciata e l’astensione alla leva fascista, ostacoli alla erezione del Dopolavoro frapposti da Don Pierino. (…) La risposta ai primi tre punti fu secondo quanto abbiamo già riferito. Fu smentita l’accusa d’aver frapposto ostacoli, all’erezione del Dopolavoro, riaffermata la disapprovazione, mossa da tutta la popolazione sul luogo dove si eresse il Dopolavoro (…). L’astensione, infine, della leva fascista era giustificata dalle disposizioni vescovili di non partecipare alle cerimonie riguardanti la vita intima del partito; e, in mancanza di ciò, era necessità del fatto che in quella ora si trovavano impegnati in opere di ministero”. Nonostante l’intervento del Capitano dei Carabinieri il clima di rivalità tra clero locale e dirigenza fascista non ebbe a smorzarsi. I dirigenti fascisti fecero domanda, come per l’anno precedente, per realizzare serate danzanti nei giorni della sagra (13, 14 e 15 settembre, ovvero sabato, domenica e lunedì di Sagra). Don Bono si appellò al Questore di Milano chiedendone la sospensione in “osservanza delle prescrizioni da lui emanate in una sua circolare”, sospensione che ottenne. La dirigenza del Fascio di Castelnuovo, indispettita, in risposta a questo divieto “sospesero qualunque gioco, forse pure lecito” in occasione della Sagra. “Il 24 gennaio ebbero luogo i funerali per la defunta … Mentre il clero ritirato nella cappella della Madonna di Campagna presso il cimitero, attendeva la salma che doveva attivare da Milano, il corteo composto dalla scolaresche, balilla e piccole italiane si era disposto per avviarsi verso la Parrocchiale. Allora il signor Prevosto si avvicinò al signor maestro [della banda] Salvaderi che dirigeva, facendogli osservare che secondo prescrizioni ecclesiali le associazioni civili dovevano prendere posto dietro il feretro: e questo con la massima gentilezza. Qualche giorno dopo si seppe che il Prevosto era stato denunciato presso le autorità superiori per avere minacciato che si sarebbe ritirato dal corteo qualora le associazioni civili non si fossero disposte dietro il feretro. Venne dal parroco il brigadiere a chiedere informazioni e per rispondere al rapporto fatto”. Dopo diversi tentativi, l’ennesimo caso di discredito del clero locale da parte del Fascio locale, si raggiunse un accordo e ripresero amichevoli le relazioni tra le due parti. 80
Giovinezza fu una delle canzoni più diffuse della prima metà del XX secolo in Italia ed ebbe vasta eco anche all'estero. Fu composta, inizialmente come inno goliardico degli studenti universitari, nel 1909 con il titolo “Commiato”. Fu poi inno degli Arditi (1917), inno degli Squadristi (1919) e, infine, inno trionfale del Partito Nazionale Fascista (1924).
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Figura 21: NELLA MAPPA SI PUO’ VEDERE INDICATA CON LA SIGNA O.N.D LA SEDE DELL’OPERA NAZIONALE DOPOLAVORO DEL FASCIO LOCALE E PLANIMETRIA DELLA SEDE
La Cronaca Parrocchiale di Don Carlo Bono non fa più alcun riferimento alla controversia che egli indica con “persecuzione” - col Fascio Locale fino al 1934. In questo anno, infatti, “il corpo musicale passò al Comune”. Scrive il parroco: “il giorno 28 ottobre, festa nazionale81, il Comune chiese al signor Prevosto, l’uso del Corpo Bandistico Musicale. Questi non solo accondiscese alla richiesta ma anzi ordinò il servizio gratuito. Qualche ficcanaso guastamestieri suggerì all’autorità civili di prescrivere l’uso del fez [fascista] a quegli appartenenti al corpo musicale inscritti pure al fascio … ed il suggerimento, perché fuor di posto, fu subito praticato. La Banda aveva il proprio berretto ed il diritto di portarlo … e non tutti i componenti il corpo bandistico appartenevano al Fascio. Il signor Prevosto protestò contro l’ingiusta prescrizione e la banda non partecipò. Il Fascio se ne adombrò e prescrisse sotto pena di licenziamento dal lavoro, agli iscritti al Fascio di abbandonare la banda parrocchiale. Si tentò di resistere … ma non trovando che debole appoggio presso i superiori e “pro bono pacis82” si dovette lasciar correre. Si venne ai fatti. Il corpo musicale passò al Comune, pur ribadendo l’obbligo di prendere servizio alle processioni83. Il Comune comprò gli strumenti per il prezzo irrisorio di 3000 lire e volle in più … la gran pietra d’inciampo: i berretti … e non già per metterli in museo
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La marcia su Roma fu una manifestazione armata organizzata dal Partito Nazionale Fascista (PNF), guidato da Benito Mussolini, il cui successo ebbe come conseguenza l'ascesa al potere del partito stesso in Italia ed il dissolvimento definitivo dello Stato liberale, già precedentemente in crisi. Il 28 ottobre 1922, alcune decine di migliaia di militanti fascisti si diressero sulla capitale rivendicando dal sovrano la guida politica del Regno d'Italia e minacciando, in caso contrario, la presa del potere con la violenza. La manifestazione eversiva si concluse con successo quando, il 30 ottobre, il re Vittorio Emanuele III cedette alle pressioni dei fascisti e decise di incaricare Mussolini di formare un nuovo governo. Vengono ricompresi nella medesima locuzione anche altri eventi collegati verificatisi, fra il 27 ed il 30 ottobre, in tutto il territorio nazionale. 82 “pro bono pacis” («per il bene della pace»), Espressione che significa ed equivale all’italiano“per amor di pace” [Fonte Treccani] 83 La cosa avvenne solo nel 1937-38 quando grazie all’intervento del Vescovo e del Capitano dei Regi Carabinieri si stipulò un accordo tra il parroco, il capo di zona, il segretario del Fascio Locale e il vice podestà, grazie al quale si convenne che la Banda – ora comunale – doveva partecipare gratuitamente ad una processione nel corso dell’anno.
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a ricordo del fatto storico ma per riporli in testa ai bandisti. Ed i fez? Ci si domanda … sono a riposo. Di qui si vede che il movente fu l’odio e la gioia di mandarla contro il prete”. IL MONUMENTO AI CADUTI Nel 1921 si aprì, su invito del Sindaco, la “Sottoscrizione per un monumento da erigersi in Castelnuovo Bocca d’Adda ai Caduti nella guerra mondiale 1915-18”. Lo scopo era quello di raccogliere quanto denaro era necessario per il monumento. Si dovettero aspettare 4 anni per l’inaugurazione che avvenne il 6 settembre del 1925. Alla raccolta partecipò tutto il paese e ogni famiglia contribuì con quel che poteva; partecipò il parroco Don Carlo Bono, il Circolo Femminile; partecipò anche la scuola ove le classi si tassarono e consegnarono al comitato un contributo di 255 lire. Preventivi di spesa e progetti preliminari presenti in Comune portano la spesa attorno a 19-20 mila lire. A ricordo dell’inaugurazione del monumento i presenti firmarono una pergamena che è possibile vedere ancora oggi in Municipio, nell’ufficio del Sindaco:
Figura 22: LA PERGAMENA DI CONSEGNA DEL MONUMENTO AL PATRIO COMUNE 56
Figura 23: VOLANTINO RACCOLTA FONDI PER LA COSTRUZIONE DEL MONUMENTO AI CADUTI 57
Figura 24: UN BOZZETTO DEL MONUMENTO IN FASE DI PROGETTAZIONE NEL 1921-1925
Figura 25: IL MONUMENTO NEGLI ANNI ’60 E DURANTE I RESTAURI DEL 1998 58
MUSSOLINI “CITTADINO ONORARIO” “Il signor Presidente comunica all’assemblea la deliberazione presa dalla Giunta Municipale in seduta del 17 maggio p.p. che è del tenore seguente: «Il signor Presidente, aperta la seduta riferisce d’aver ricevuto dalla Federazione Provinciale Fascista Milanese – Associazione dei Comuni Italiani la proposta che tutti i Comuni d’Italia offrano a S.E. Benito Mussolini la cittadinanza onoraria nell’anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia. La Giunta plaudendo all’iniziativa dell’Associazione dei Comuni Italiani, interprete sicura dei sentimenti di tutti i Rappresentanti del Comune acclama S.E. Benito Mussolini Cittadino Onorario di Castelnuovo Bocca d’Adda». Il consiglio con voti unanimi ratifica la deliberazione della Giunta”. Così riporta il verbale di deliberazione del Consiglio Comunale del 22 giugno del 1924. In molte città italiane le cittadinanze onorifiche vennero tributate a Mussolini tra il 1923 e il 1924 per celebrare un doppio anniversario: il primo anno della rivoluzione fascista e il decimo anno dall'inizio della Grande Guerra. Anche a Castelnuovo, la Giunta prima e il Consiglio Comunale poi inclusero nel numero dei castelnovesi il Capo del Governo di allora.
Figura 26: IL VERBALE DEL CONSIGLIO COMUNALE 59
- DIECI – IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE E LA RESISTENZA “194184: tristi le condizioni politiche di quest’anno. Fu conseguenza della guerra dichiarata il 10 giugno 1940, dall’Italia, amica ed alleata della Germania, alle nazioni alleate di Inghilterra e Francia, abbiam visto partire dalla Parrocchia circa trecento uomini per il servizio militare. Estesasi la guerra in Libia e in Africa Orientale, e poi in Grecia e in Jugoslavia, venne a mancare alla patria la materia prima per la costruzione del materiale da guerra. Onde varie Prefetture Provinciali indirizzarono all’autorità ecclesiastica l’ordine di denunciare le campane delle chiese. In seguito a questa intimazione” la diocesi di Lodi “diceva espressamente non essere l’autorità ecclesiastica obbligata né a denunciare né a consegnare le campane ordinando ad ogni singolo parroco: “Passive se habeat85” in tale contingenza”. Furono trascritte le iscrizioni e censite le incisioni di ciascuna campana perché i parroci furono invitati a comunicarne le caratteristiche alla Curia Vescovile. Le campane, cinque in tutto, erano state poste sulla torre campanaria nel 1854 e dedicate al Redentore, a Maria Bambina, a San Giuseppe, a quattro santi e a San Giovanni Battista. UN SEGNO NEL CIELO L’annuncio di un triste presagio venne dato dal cielo. “Ho visto l’aurora boreale, era il 21 gennaio 1939. Era inverno e non si era soliti uscire di casa la sera. Mio papà, invece andava in piazza e di ritorno vide un bagliore particolare, un biancore insolito perché era sera tardi, dopo cena. Ci chiamò a vedere perché quella sera era illuminata come se fosse pieno giorno. Quando poi abbiamo avuto modo di leggere la “Domenica del Corriere” ho trovato le stesse immagini che ho visto dal vivo io e si parlava proprio di questo strano fenomeno”. Queste le parole della signora Margherita Casati che testimoniano lo strano fatto avvistato nei cieli di tutta Europa e del Nord America. “Il fatto – prosegue la signora Casati – mi è tornato alla mente quando ho ascoltato un’omelia del parroco che raccontava delle apparizioni e dei fatti legati alla Madonna di Fatima, il parroco86 sosteneva che l’aurora boreale ebbe luogo il 25 gennaio ma dell’anno 1938 …” Il fatto di cui la signora fu testimone ha a che fare con le apparizioni di Fatima, infatti la Madonna rivelò a Suor Lucia il segno che avrebbe indicato l’inizio dell’imminente castigo: “Quando vedrai una notte illuminata da una luce sconosciuta, sappi che questo è il grande segno dato da Dio che Egli sta per punire il mondo per i suoi crimini, per mezzo di guerre, carestie, persecuzioni contro la Chiesa e il Santo Padre87”. La 84
Continua la lettura e la trascrizione della “Cronaca della Parrocchia” dal 1920 al 1944 del parroco Don Carlo Bono Nel senso di attuare una “collaborazione passiva”. 86 Don Gianpiero Marchesini, parroco di Castelnuovo Bocca d’Adda dal 1996 al 2004. Si veda oltre. 87 I segreti di Fatima furono rivelati ai tre pastorelli il 13 luglio 1917. La rivelazione di questa “luce” è contenuta nel secondo segreto che dice: «Avete visto l'inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato. Se faranno quel che vi dirò, molte anime si salveranno e avranno pace. La guerra sta per finire; ma se non smetteranno di offendere Dio, durante il Pontificato di Pio XI ne comincerà un'altra ancora peggiore. Quando vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta, sappiate che è il grande segno che Dio vi dà che sta per castigare il mondo per i suoi crimini, per mezzo della guerra, della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre. Per impedirla, verrò a chiedere la consacrazione della Russia al Mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati. Se accetteranno le Mie richieste, la Russia si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Finalmente, il Mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre Mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al mondo un periodo di pace » Suor Lucia disse di riconoscere il "gran segno" nella straordinaria aurora boreale che illuminò il cielo nella notte fra il 25 e il 26 gennaio del 1938 (dalle 20:45 all'1:15, con brevi intervalli). Suor Lucia identifica il secondo conflitto mondiale con quello previsto dalla visione, descrivendolo come «lo scoppio di una guerra atea, contro la 85
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notte del 25 gennaio 1938 Suor Lucia vide una luce rossa che la Madonna le aveva predetto sarebbe stato il grande segno che Dio stava “per punire il mondo per i suoi crimini, per mezzo di guerre, carestie, persecuzioni contro la Chiesa e il Santo Padre”. Il giorno seguente, lo strano fenomeno di quella "notte illuminata" fu riportato sui giornali di tutta l’Europa e del Nord America. Suor Lucia capì che il grande castigo stava per cominciare, e poche settimane dopo, nel marzo del 1938, Hitler invase l’Austria, annettendola alla Germania; questo atto fu l’inizio degli eventi che trasformarono le varie aggressioni di Germania, Italia e Giappone nella seconda Guerra Mondiale.
Figura 27: ARTICOLO DI GIORNALE CHE RIPORTA IL FENOMENO DELL’AURORA BOREALE
LA GUERRA, LA POVERTA’ E LA FAME88 “Quando scoppiò la guerra, nel giugno del 1940 ero al lavoro, lavoravamo nelle terre vicine alla cascina San Iorio dove andavamo a caricare i carri con i covoni: in quel periodo si batteva l’orzo o l’avena … Con la guerra, poi, abbiamo conosciuto la povertà e la fame. Dopo l'entrata in guerra scarsi erano i generi alimentari ed era in vigore la "carta annonaria"89. Noi, io e la mamma del compianto sindaco Laccarini, per raccimolare qualche soldo e per avere un po’ di cibo siamo andate a vendere il sale al mercato nero. Andavamo a prendere le cose con la tessera e il sale, spesso, non c’era. Andavamo quindi a piedi o in bicicletta alla Brevia, chiamavamo il traghettatore, Carlo “Picen”, andavamo a Spinadesco e con la bicicletta fino a Cremona da dove portavamo a casa 30-50 chili di sale che rivendevamo nelle diverse cascine del paese dove era sempre più scarso e necessario. Così avevamo i nostri soldi o qualcosa in baratto. Una volta, compiendo questo viaggio, è caduta la bicicletta nel fiume e il sale si era bagnato … Andavamo da sole, due ragazze, correndo rischi che all’epoca non valutavamo!”
fede, contro Dio, contro il popolo di Dio. Una guerra che voleva sterminare il giudaismo da dove provenivano Gesù Cristo, la Madonna e gli Apostoli che ci hanno trasmesso la parola di Dio ed il dono della fede, della speranza e della carità, popolo eletto da Dio, scelto fin dal principio: "la salvezza viene dai giudei"» 88 Ricordi della signora Margherita Casati 89 Questa tessera, nominativa, permetteva in date prestabilite di recarsi da un fornitore abituale per la prenotazione dapprima solo di generi alimentari, ma poi si diffuse, ad esempio, anche per il vestiario. Il negoziante staccava la cedola di prenotazione apponendo la propria firma e, in una o due date prestabilite, si poteva prelevare la merce prenotata. Visto che i prezzi variavano di mese in mese era uso comune prelevare tutto quanto fosse possibile in un'unica soluzione.
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Figura 28: IL TRAGHETTO DI CROTTA D’ADDA IN UNA FOTOGRAFIA DEGLI ANNI ‘70
“Chi non lavorava nei campi cercava altre fonti di reddito con l’allevamento dei “cavalet”, il baco da seta; lo allevavamo in casa. Il nostro era un piccolo contributo alle faccende di casa, noi ragazzi avevamo le stuoie in casa con i bruchi che poi si chiudevano in bozzolo. Li avevamo nella camera da letto e anche sparsi per la casa. Si portava la seta all’ammasso a Maleo. Lo scarto, la “Falopa”, la facevamo bollire, e poi la sfilavamo per tesserla in casa e avere anche noi una seta ma di minore pregio. Si andavano a prendere i bachi al consorzio e ricordo che venivano pesati in once90”. Altri ancora andavano alla monda del riso nelle zone di Vercelli o di Novara”
Figura 29: LA PARTENZA DI UN GRUPPO DI MONDINE E LAVORATORI 90
Un’ oncia equivale a 28,35 grammi
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“Ricordo anche che da ragazze lavoravamo anche nei campi dove si coltivavano le barbabietole: ci disponevamo nei campi tutti in scala, perché nel caso di bombardamenti o mitragliamenti da parte di Pippo, avevamo la via libera per buttarci nei fossi e trovare riparo.” LA BATTAGLIA DI TOBRUK91, 22 GIUGNO 1942 “Eravamo in sosta, in attese di ordini. Nel frangente, tutti i Sottoufficiali della compagnia, avevano compiti da assolvere: aggiornare i giornali di contabilità, redigere rapportini rimasti incompilati, durante i due giorni della battaglia che ci portò alla riconquista della piazza forte. Il compito assegnatomi non era dei più facili. Dovevo compilare, documentando, le innumerevoli voci che compongono il giornale di contabilità. Fui costretto a recarmi presso tutte le squadre; aspettare il rientro di quanti che, approfittando della sosta, si erano avventurati nei fortini in cerca della “mangeria” e ritornavano carichi di ogni specie di viveri: dalla marmellata ai biscotti, al “corned beef” ecc. Un po’ tutto quel “ben di Dio” che solo i signori di Albione davano in dotazione alle truppe operanti. Solo al calar del sole potei consegnare il mio lavoro al comandante di compagnia, Cap. Tresoldi Raffaele. Questi gli diede un rapido sguardo, mentre con una mano mi batteva sulla spalla dicendo: “bravo, Curtarelli, state svegli ed uniti, perché questa notte si parte”. Quel semplice “bravo” fu sufficiente a tirar su il mio morale e far allontanare da me lo scoramento che invade ogni combattente al tramonto. Trasmisi l’ordine ai miei bersaglieri e mi allontanai invaso dal bisogno di solitudine. Vidi poco lontano un carro M1492 fermo. Un carrista controllava le ferite della corazza ed alzando gli occhi al cielo sembrava invocare aiuto e consigli alle migliaia di stelle che vi brillavano. Lo avvicinai, egli mi squadrò e notai che il suo aspetto era giovanissimo ed aveva gli occhi chiari e luminosi. “Sono il pilota - disse - e sono rimasto solo. Questa mattina ho seppellito i miei tre compagni di carro. Sono soddisfatto e orgoglioso però di essere potuto entrare in Tobruk. Gli inglesi hanno buona artiglieria e si sono difesi strenuamente. Incurante della pioggia di schegge che si abbatteva su di noi, ho proseguito col mio carro ed all’improvviso ho sentito un urlo. Il capo carro aveva cessato di sparare. Una pallottola perforante gli aveva trapassato la testa e si era ficcata nel torace. È morto sul colpo, senza profferir parola. Il servente ha preso il suo posto ed ha continuato a sparare per più di mezz’ora. Io gli chiedevo se fosse ferito: “non vi preoccupate – rispondeva –non è nulla, posso sparare ancora”. Infatti ha sparato come un dannato, tutte le munizioni che aveva e poi è scivolato dal seggiolino, morto. Il radiotelegrafista è stato anch’egli ferito ad una gamba, ma non in modo grave. Ciò nonostante perdeva molto sangue. Ho stracciato la mia giubba e con le maniche l’ho fasciato stringendo forte per arrestare l’emorragia, ma dopo oltre due ore dopo aver detto “mamma baciami” è spirato. Che silenzio tra i morti! Li ho composti il meglio possibile, coprendoli con una coperta di casermaggio e messomi alle leve di comando, ho cercato di infilarmi tra gli altri carri che 91
Tobruch ma anche Tobruk è una città portuale libica situata nella parte orientale del paese. All'inizio della seconda guerra mondiale, la Libia era una colonia italiana e Tobruch fu teatro di importanti battaglie tra il 1940 e il 1942. Fu conquistata il 21 gennaio 1941 dalle truppe britanniche e australiane ma poi posta sotto assedio dalle truppe italiane e tedesche comandate dal generale Erwin Rommel (si veda Assedio di Tobruch). Dopo il ripiegamento invernale, le forze dell'Asse conquistarono Tobruch il 21 giugno del 1942, recuperando anche rifornimenti e scorte tenute dai precedenti occupanti all'interno della città. In seguito alla Seconda battaglia di El Alamein e alla ritirata delle truppe dell'Asse, Tobruch fu definitivamente riconquistata dagli Alleati l'11 novembre 1942. 92 Il carro armato M14/41, insieme al progenitore M13/40 ed al successivo M15/42, è stato il corazzato standard del Regio Esercito italiano durante la seconda guerra mondiale. Queste unità ed i loro carri combatterono fino alla fine tutte le battaglie della guerra in Africa Settentrionale, tranne il XII Battaglione della Littorio, che fu colato a picco con i suoi M14/41 durante la traversata del Canale di Sicilia, dalle due battaglie di El Alamein, alla difesa della Linea del Mareth, dalla vittoriosa battaglia di Gebel bou Kournine contro gli inglesi del 25 aprile 1943 con il Raggruppamento Piscitelli fino all'ultimo scontro tra blindati della guerra in Africa, l'8 maggio 1943
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sparavano per cercare scampo e nello stesso tempo arrivare insieme agli altri a tutti i costi a Tobruk”. Chiestogli il perché, mi rispose che era più di un anno che aspettava quel giorno, in quanto suo padre era sepolto là, tra i suoi bersaglieri, in un piccolo cimitero di guerra. Aggiunse ancora che si era portato sul carro per nove ore i suoi tre compagni morti e di averli seppelliti con le sue mani, non permettendo a nessuno di toccarli. Era poi andato in cerca della tomba di suo padre e di averla finalmente trovata. In quell’istante la luna usciva da un cirro, rischiarandogli il volto, mentre le lacrime gli solcavano il viso intriso di polvere. Tolsi dalla tasca una medaglia della Madonna e gliela appuntai sul petto, sapendo che da quel momento egli entrava a far parte degli “Eroi senza medaglia”. Aveva un’aria così giovanile ed i capelli biondi imprigionati nel casco, mentre i suoi occhi dicevano di aver guardato a lungo la morte, senza esserne offuscato. Udii la voce “motori”; era l’ordine di partenza. Scattai sull’attenti, e lo salutai militarmente. I suoi capelli biondi, i suoi occhi luminosi e chiari mi furono di guida mentre stavamo per avanzare oltre il confine Egiziano93”. LA CADUTA DI MUSSOLINI “Era il 26 luglio del 1943 quando arrivavamo, a bordo di carri ferroviari per il bestiame, a Vercelli. Avevamo trascorso la nostra estate come mondine in una cascina vicino a Biella. La sosta in stazione era dovuta ad una necessaria pausa per mettere qualcosa nello stomaco. La nostra attenzione è stata catturata da alcune scritte che abbiamo letto sui vagoni ferroviari fermi: “Abbasso Mussolini” o anche “Abbasso il Duce”. Ci prese la paura: sapevamo cosa i fascisti facevano a chi scriveva o diceva queste cose e sapevamo cosa i fascisti facevano a chi non obbediva ai loro comandi; eravamo spaventatissime. Abbiamo invece saputo che il Duce era caduto ed era stato arrestato e portato sul Gran Sasso in prigione. Avevo sedici anni e quel giorno per noi la guerra era finita. Al posto del Duce c’era ora Badoglio e aveva preso il via una tregua; sembrava che la guerra fosse finita. Invece dopo poco la guerra riprese con i partigiani…” Sono queste, ancora una volta, le parole di una sedicenne testimone, la signora Casati Margherita, che racconta di questi momenti particolari. DOPO L’8 SETTEMBRE 1943 Il proclama del maresciallo d'Italia Pietro Badoglio dell'8 settembre 1943, che fece seguito a quello del generale Dwight D. Eisenhower annunciava l'entrata in vigore dell'armistizio di Cassibile94 firmato con gli anglo-americani il giorno 3 dello stesso mese. A seguito di questo l’Italia concludeva la sua alleanza con la Germania. In conseguenza di questo proclama si ebbe la fuga dalla Capitale dei vertici militari, del Capo del Governo Badoglio, del Re Vittorio Emanuele III, e di suo figlio Umberto dapprima verso Pescara, poi verso Brindisi, e la ulteriore confusione presso tutte le forze armate italiane in tutti i vari fronti sui quali ancora combattevano, e che, lasciate senza precisi ordini, si sbandarono. Oltre 600.000 soldati italiani vennero catturati dall'esercito germanico, e destinati a diversi Lager con la qualifica di I.M.I. (internati militari italiani) nelle settimane immediatamente successive. Più della metà dei soldati in servizio abbandonarono le armi e tornarono alle loro case in abiti civili. La ritorsione da parte degli ormai ex-alleati nazisti, i cui alti comandi, come quelli italiani avevano appreso la notizia dalle intercettazioni del messaggio radio di Eisenhower, non si fece attendere tanto che fu immediatamente attuata "l'operazione Achse" (asse), ovvero l'occupazione militare di tutta la penisola italiana. Il 25 luglio 1943 Mussolini fu arrestato mentre il 12 settembre venne liberato da un commando di paracadutisti tedeschi. Dopo alcuni giorni nasce la Repubblica Sociale Italiana. A Castelnuovo, nel 1943/44 si insediò un Comando Distaccamento della
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Ricordo del Cav. Curtarelli Luigi L'armistizio di Cassibile (detto anche armistizio corto), fu un armistizio siglato segretamente, nella cittadina di Cassibile, il 3 settembre del 1943, e l'atto con il quale il Regno d'Italia cessò le ostilità contro le forze Anglo-Americane Alleate, nell'ambito della seconda guerra mondiale. 94
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Guardia Nazionale Repubblicana95 alleata con la Germania. Iniziò un periodo difficile e di limitazione: si vietava il traffico fluviale dalle ore 20 alle ore 6 ad eccezione dei traghetti militari tedeschi e ci fu il coprifuoco per tutta la notte. LETTERE DALLA PRIGIONIA Dopo l’8 settembre, da alleati, gli italiani diventarono nemici dei tedeschi. Tanti furono gli italiani caduti prigionieri nei campi di lavoro o di concentramento. Tra questi il nostro compaesano Aldo Ganassali. Nacque a Castelnuovo Bocca d’Adda il 24 aprile del 1920, chiamato alle armi come recluta degli alpini combattè in Albania nel 1941 e, come tanti altri castelnovesi, sul fronte russo del Don, scampò alla prigionia in Russia dopo la tragica ritirata del dicembre 1942. Rientrato in Italia dopo molte peripezie, ottenne una breve licenza prima di essere riaggregato al suo corpo dove l’8 settembre 1943, in un rastrellamento a Verona venne fatto prigioniero dai tedeschi ed internato in un campo di concentramento in Germania. Morì il 12 maggio del 1944 per tubercolosi polmonare e ulcera caseosa. Nelle lettere arrivate a Castelnuovo alla famiglia tramite la posta tedesca o temerari volontari che raccoglievano le lettere gettate dai treni di passaggio possiamo leggere: “15 settembre 1943. È transitato ieri dalla stazione di Verona Porta Nuova vostro figlio in un convoglio di prigionieri. Era munito di cibo e coperte ed era allegro. Mi ha incaricato di salutarvi caramento. Coraggio e rassegnazione. Moserle Maria di Caldiero (VE)” “28 settembre 1943. … ho ricevuto il vostro gentil scritto e con penna vengo a voi per il riscontro. Quello che posso dirvi in riguardo è solo questo. Trovandomi a Verona colà impiegata ho potuto visitare un convoglio dei nostri cari prigionieri. Con le mie semplici parole, ho avuto modo di dare a loro un po’ di conforto e di incitarli a sopportare con rassegnazione la via che stavano per intraprendere. Il loro morale era abbastanza elevato. Ho indagato per potere sapere qualche cosa della loro destinazione ma non ho potuto ottenere nulla. Mi dispiace molto non potervi dare un’esatta precisione, la destinazione era ignota … Moserle Maria di Caldiero (VE)” “29 febbraio 1944. Cari genitori, ancora vengo a voi con questa mia lettera facendovi sapere che mi trovo in ottima salute, come spero pure sia di voi tutti in famiglia. Vi ho già scritto parecchie volte, e spero che qualche lettera vi sia arrivata, invece a me fin ora non mi è arrivato ancora niente, ma spero sempre che presto mi arrivi qualche cosa, a giorni vi spedirò pure due moduli per i pacchi appena vi arriveranno mi spedirete i due pacchi però mettete altro che pane biscottato e qualche sigaretta, come dicono che danno due moduli al mese, che sarebbero due pacchi di 5 kg. Come vi ho già scritto mi trovo con Ardigò che abita alla Sigulina e fin ora siamo sempre stati insieme e ce la passiamo abbastanza bene, quel che vi raccomando di non stare in pensiero per me che la passo bene. Speriamo presto di poterci rivedere. E voi come ve la passate? Quando mi scrivete fatemi sapere qualche cosa. Ora termino col salutarvi tutti in famiglia. Saluti a tutti i zii e parenti. Di nuovo saluti e baci, vostro figlio Aldo. PS. Nel pacco mettete qualche fagiolo o riso” “14 aprile 1944. Carissimi genitori, finalmente oggi mi giunse la cartolina in data 16 febbraio 44 e non potete immaginare che gioia. Non pensate per me. Vi lascio i cari saluti e tanti baci, vostro figlio Aldo. I moduli dei pacchi ve li ho spediti.” I resti mortali dell’alpino Ganassali rientrarono in Italia nel 1992 e furono salutati da 31 delegazioni delle associazioni combattentistiche della Bassa. Dopo l’Inno di Mameli e la Santa Messa celebrata da Don Vallacchi ha trovato riposo nel cimitero locale. 95
La Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) fu una forza armata (poi arma) istituita in Italia dal governo fascista repubblicano l'8 dicembre 1943[3] «con compiti di polizia interna e militare»
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Figura 30: L’ALPINO GANASSALI ALDO E LA COMUNICAZIONE DI MORTE INVIATA AL PARROCO
LA PRESENZA DEI TEDESCHI A CASTELNUOVO BOCCA D’ADDA I tedeschi da alleati diventarono nemici; i militari a Castelnuovo avevano occupato la scuola. Tre compagnie e relativi sottoufficiali avevano requisito tutti i locali disponibili96. Diversi erano anche i militari tedeschi che, dal 16 agosto al 10 ottobre del 1944, risiedevano nelle case di diversi castelnovesi. Vennero ospitati circa una quindicina di sottoufficiali e due ufficiali; in queste case le truppe germaniche potevano disporre di un deposito per il vettovagliamento, scuderie e animali nonché veicoli e motoveicoli. Alcuni membri delle squadre d’istanza risiedevano nelle abitazioni o nell’edificio scolastico. Il 10 aprile del 1945 nel nostro comune prese accantonamento anche la Compagnia Slovena Proso 2. Una lettera arrivata dall’Inghilterra, scritta dal signor Bruno Butrichi, racconta del rapporto tra la popolazione e i tedeschi di stanza a Castelnuovo. Questa: “I ricordi del mio paese devono più che altro tornare agli anni 40-45 quando ero bambino97 ma che il “nostro” paese era invaso dalle camicie nere e dai Tedeschi. Ricordo molto bene un fatto perché coinvolgeva tutta la mia famiglia. Quella notte eravamo tutti a dormire, quando verso la una o le due siamo stati svegliati da un grande sbattere contro la nostra porta verso il cortile. Noi allora abitavamo alla “CITTA’” in via fratelli Cairoli 39. Quando mio padre è sceso ad aprire la porta si è visto un gruppo di fascisti che gli puntavano i loro fucili e le pistole in faccia; dopo averlo spinto da parte sono saliti nelle camere da letto dove eravamo noi, e sempre con le armi in mano hanno guardato sotto i letti e negli armadi, poi sempre con le pistole in pugno sono venuti al letto dove io 96
Nota al Provveditore agli Studi di Milano del 2 e del 7 settembre 1944. Fonte Archivio Comunale Lettera di Bruno Butrichi, “nato a Castelnuovo Bocca d’Adda il 13 luglio 1935 e mio padre si chiamava Carlo “Carlin”, mia mamma si chiamava Rancati Maria “Biancuna”. Da ben 54 anni vivo in Inghilterra (e perdonate i miei errori perché il mio italiano se ne sta andando) sono sposato da 50 anni con Anna Bucci (il nonno veniva da Conca di Casale in provincia di Isernia) abbiamo una figlia Loredana sposata con Steve e tre bei nipoti Louis, Gabriella e George che sono gemelli. Io sono venuto in Inghilterra il 10-10-1958 …” 97
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e mio fratello Franco, molto impauriti eravamo e ci hanno ordinato di scendere dal letto e hanno incominciato a cercare nel nostro letto. A un certo punto nostro padre ha osato chiedere loro che cosa cercavano in casa nostra. La loro riposta è stata che cercavano il “Bambino”. Questo “Bambino” era un giovanetto che suo padre l’aveva costretto a unirsi alle camicie nere contro la sua volontà. Però il “Bambino” in casa nostra c’era davvero stato la sera prima, ma verso le 23 mio cugino che era con i partigiani era venuto e prenderlo per il “Bambino” aveva sempre voluto essere con i partigiani. Cosa poi sia successo al “Bambino” non ricordo e non so neppure da dove era. Il dopo guerra è stato molto duro per tutti i poveri del paese, io mia mamma, mia sorella Gina e mio fratello Franco, come tante altre famiglie, andavamo nei campi a spigolare quel poco frumento per potere avere un po’ di pane bianco, se no si doveva mangiare pane giallo fatto con la farina di granoturco. (…) Durante la ritirata dei tedeschi da Castelnuovo mio zio che si chiamava Bruno Butrichi – si veda oltre – e che era fratello di mio padre venne ucciso dai Tedeschi, e ha lasciato mia zia vedova con un bambino di pochi mesi … Altro ricordo della guerra un fatto che riguarda il mio amico Giacomo Brandazzi “Manuelin” emigrato in Francia con la sua famiglia. Quel giorno stavamo prendendo della legna dagli scalini di un Bunker che i tedeschi avevano fatto costruire dagli uomini del paese nel campo vicino a casa nostra dove ora c’è la villa Toninelli. Quando salendo gli scalini abbiamo visto un ufficiale tedesco e vicino a lui un cane pastore che abbaiava. Questo ufficiale prese Giacomo per la testa e se la mise tra le sue gambe e incominciò a sculacciarlo per poi finire con un calcio nel sedere. Poi la stessa punizione è toccata a me; più tardi intanto che correvamo per andare a casa, ci siamo accorti che eravamo bagnati di urina dalla paura”. IL 4 GIUGNO 1944 Già dal 1943 Roma venne lasciata dai tedeschi come “città aperta” mentre il 4 giugno 1944 la capitale fu liberata dagli Alleati. I fascisti a Castelnuovo, in segno di lutto a motivo della perdita di Roma, obbligarono tutti i locali e gli esercizi alla chiusura!
Figura 31: LE DISPOSIZIONI SCRITTE DAL COMMISSARIO PREFETTIZIO PER LA “PRESA DI ROMA”
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I BOMBARDAMENTI DEL 1944 La Cronaca di Don Carlo Bonoprima riportata per raccontare quanto accaduto a Castelnuovo nel ventennio a cavallo delle due guerre mondiali si chiude con l’anno 1944. Questi i fatti narrati: “la guerra98 che si prospettava tanto lontana, giunse improvvisa e devastatrice anche al nostro paese. Dapprima i tedeschi disboscarono tutte le terre lungo il Po per la costruzione di ponti e strade; in conseguenza di questa permanenza tedesca subimmo due piccole incursioni: l’una il 28 novembre che colpì specialmente alcune case vicino via XX settembre e l’oratorio femminile. Le suore subirono questi danni: perforazione in più parti del tetto, caduta di plafone del salone che serve da asilo e istruzione catechistica”; anche la cappellina e l’abitazione delle suore e del coadiutore subirono danni. “L’altra il 28 dicembre la quale oltre la distruzione di alcune case in via Stanga e danni alla chiesa portò la morte a due fratelli e a una bambina”: persero la vita i fratelli Carlo e Rita Tavazzi, rispettivamente di ventuno e diciannove anni e Maria Pia Cremaschi. “Causa questi disordini si sviluppò tra la popolazione – conclude il parroco – quell’apatia generale che è proprio caratteristica dei nostri tempi”.
Figura 32: I FRATELLI CARLO E RITA TAVAZZI
I bombardamenti ricordati che provocarono maggiori danni e fecero tre vittime sono solo due. In realtà il nostro paese fu bombardato da “Pippo99” ben quattro volte. I più anziani, 98
La seconda guerra mondiale è il conflitto che tra il 1939 e il 1945 vide contrapporsi, da un lato le potenze dell'Asse e dall'altro i paesi alleati. Viene definito «mondiale» in quanto, così come già accaduto per la Grande Guerra, vi parteciparono nazioni di tutti i continenti e le operazioni belliche interessarono gran parte del pianeta. Iniziò il 1º settembre 1939 con l'invasione tedesca della Polonia e terminò, nel teatro europeo, l'8 maggio 1945 con la resa tedesca e, nel teatro asiatico, il successivo 2 settembre con la resa dell'Impero giapponese a seguito dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. È considerato il più grande conflitto armato della storia, costato all'umanità sei anni di sofferenze, distruzioni e massacri per un totale di 55 milioni di morti. Le popolazioni civili si trovarono direttamente coinvolte nel conflitto a causa dell'utilizzo di armi sempre più potenti e distruttive, spesso deliberatamente indirizzate contro obiettivi non militari. Nel corso della guerra si consumò anche la tragedia dell'Olocausto perpetrata dai nazisti nei confronti degli ebrei, delle etnie Rom e Sinti, degli omosessuali, dei Testimoni di Geova, dei Polacchi e di altre popolazioni slave. Al termine del conflitto si instaurò un nuovo ordine mondiale fondato sulla contrapposizione tra Stati Uniti ed Unione Sovietica nota come "guerra fredda", mentre l'Europa, in gran parte devastata, proseguendo l'involuzione iniziata con il primo conflitto mondiale, perse definitivamente la propria egemonia sul pianeta. 99 Pippo era il nome con cui venivano popolarmente chiamati, nelle fasi finali della seconda guerra mondiale, gli aerei da caccia notturna che compivano solitarie incursioni nel nord Italia. I "Pippo", a differenza dei grandi bombardieri che colpivano da alta quota, arrivavano in volo radente, per evitare la contraerea, sganciando bombe o mitragliando nel buio della notte. Le azioni dei "Pippo" erano state programmate dagli Alleati con la complessa operazione denominata "Night Intruder" (intruso notturno) e affidata ai piloti della RAF. Gli aerei decollavano dalle basi alleate di Falconara Marittima e Foggia, in formazioni da cinque velivoli per ogni missione che poi si dividevano per raggiungere le zone o gli obiettivi rispettivamente assegnati. Per questo servizio vennero impiegati inizialmente i cacciabombardieri bimotori
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testimoni di quelle sere, raccontano di come in paese si dovesse prestare la massima attenzione a non fare rumore, di come non si dovesse illuminare punti del cortile o di come dalle case non dovesse mai filtrare luce. Le finestre venivano dotate di pesanti e scure tende proprio per evitare che fossero facili bersagli per le incursioni degli alleati. Il primo bombardamento ebbe luogo il 24 agosto del 1944 che colpì, oltre Castelnuovo, anche altri paese della Bassa Lodigiana come Senna Lodigiana, Casalpusterlengo e Codogno. Il mese di novembre vide numerosissimi attacchi aventi come obiettivo località attigue a Milano con lo scopo prevalente di distruggere fabbriche, fermare convogli ferroviari o abbattere ponti. Oltre a quello già indicato sopra del 28 novembre che ferì il paese lungo via XX settembre e via Cavour e i vicoli Fratelli Bandiera, Manara, Orsini e Sarpi vi è nota anche di una incursione avvenuta dieci giorni prima, il giorno 18 novembre, che colpì anche Santo Stefano Lodigiano, San Fiorano e Codogno. Gli attacchi continui e sparpagliati degli ultimi mesi del 1944 avevano indotto nella popolazione grande timore ogni qual volta si dovesse organizzare uno spostamento con mezzi di trasporto (treni, tram extraurbani, ma anche corriere, auto private, carretti e perfino biciclette erano diventati gli obiettivi preferiti degli aeroplani). È alla fine del mese che il nostro paese, a causa delle bombe del 28 dicembre, dovette per la prima volta piangere le sue prime (ed uniche) tre vittime. Si ha anche nota di un mitragliamento aereo avvenuto il 3 settembre di quello stesso anno. Scrive l’allora Commissario Prefettizio: “Informo che ieri 3 Settembre 1944, alle ore undici e un quarto circa, sulla strada arginale Castelnuovo – S.Nazzaro un aereo nemico mitragliava una automobile tedesca. L’ufficiale e il soldato che erano a bordo decedevano e la macchina, incendiatasi, andava distrutta. Risulta che i corpi, a cura del Comando Tedesco Locale, sono stati trasportati a Verona100”.
Figura 33: IL PONTE SUL FIUME PO A CREMONA DOPO I BOMBARDAMENTI DEL 1944
LA GUERRA, LA LIBERAZIONE E I FATTI DOPO IL 25 APRILE 1945 “Si avverte la popolazione tutta che oggi e nei giorni successivi passerà dal paese molta truppa tedesca. Gli ufficiali di questa hanno comunicato che se un solo colpo di fucile "Beaufighter", in seguito affiancati dai più moderni "Mosquito". Le incursioni dei "Pippo" avvennero in tutto il NordItalia, a partire dagli ultimi mesi del 1943 e fino alla liberazione, con lo scopo di eseguire azioni continue di disturbo, volte a dimostrare l'impossibilità della neonata Repubblica Sociale Italiana a garantire la sicurezza del territorio. Colpendo principalmente nell'oscurità, i "Pippo" rappresentavano una presenza misteriosa e incombente. Senza dubbio furono un'efficace arma psicologica nei confronti della popolazioni rurali, surrogatoria delle azioni di bombardamento strategico utilizzate sui grandi agglomerati urbani. Questo tipo di minaccia, con apparizioni casuali, poteva colpire anche i piccoli abitati che si sentivano al sicuro dai bombardamenti massicci. 100 Fonte Archivio Comunale
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sarà sparato contro di essi da partigiano o da altri il responsabile del gesto sarà messo al muro. Pare poi che verranno fatte perquisizioni nelle case per scovare armi. Chi si trova in cascina o in campagna o chi resta in paese consegni le armi immediatamente nella sede del Comune. Invito pertanto la popolazione tutta ad attenersi attentamente a quanto sopra, pena di sanzioni101”. Così il 28 aprile 1945 veniva avvisata la popolazione del passaggio delle truppe tedesche in ritirata verso il nord dell’Europa. La guerra oramai finita e l’Italia stava vivendo il tempo della Resistenza e della Liberazione. La Guerra che doveva rendere gloriosa l’Italia in realtà si era manifestata nella sua crudezza e nella sua vera realtà: teatro di morte e di miseria! Iniziata in Europa il 1 settembre del 1939, in Italia il 10 giugno 1940, poteva contare quasi 72 milioni di vittime in tutto il mondo. Solo in Italia le vittime furono poco più di 443.000 ossia un decimo della popolazione censita. Come sarà possibile vedere sotto, vittime, feriti, rastrellamenti e incursioni non mancarono nemmeno a Castelnuovo. Anche il nostro paese subì la follia della guerra tra vicini: castelnovesi contro castelnovesi, fascisti contro partigiani. Gli archivi non hanno fornito documenti particolari che raccontassero di vicende inerenti il periodo della guerra. Sono stati trovati elenchi di leva o di contributi erogati a famiglie che a causa della situazione bellica si trovavano in difficoltà. Per ovvi motivi tutto ciò non è stato trascritto! I primi resoconti e le relazioni più interessanti – al fine di questo libro – sono state trascritte sotto e fanno riferimento a quel momento della storia nazionale posteriore all’8 settembre 1943, l’entrata in vigore dell’armistizio. LA RESISTENZA La Resistenza Italiana prese il via dopo l'armistizio di Cassibile ad opera di tutti quei movimenti che si opposero al nazifascismo. Secondo gli storici fin dalla sera dell'8 settembre, poche ore dopo la comunicazione radiofonica del maresciallo Badoglio, a Roma sei102 esponenti politici dei partiti antifascisti, usciti dalla clandestinità a seguito del crollo del regime dopo il 25 luglio, si riunirono e costituirono il primo "Comitato di Liberazione Nazionale" (CLN). Nel nostro territorio due erano le brigate d’istanza cui avevano dato adesione sessantuno castelnovesi. Si tratta della Prima Brigata oltre Po “T. Vaccari” divisione Val d’Arda “W. Bersani” Piacenza e dell’ottava Brigata del Popolo divisione III. Quanto segue sono i resoconti che le due Brigate hanno redatto alla fine del secondo conflitto mondiale. Riportiamo, nel primo caso, solo gli interventi che hanno a che fare con Castelnuovo e i suoi dintorni. “La prima Brigata Oltre Po “T. Vaccari” operava sul piacentino ed era dipendente della divisione Val d’Arda “Wladimiro Bersani”. Dal primo settembre del 1944 al 31 dicembre 1944 si chiamava 38^ brigata S.A.P. il comandante era Dario Bianchera. Dal primo gennaio 1945 si chiamò prima Brigata di manovra Oltre Po “T. Vaccari”. Il comandante Carlo Gaboardi, che in primo tempo comandava i S.A.P. in pianura. Era composta di 120 (centoventi) uomini circa. Dal 1/09/44 al 31 dic. 1944 operò con continui attacchi a colonne di passaggio sulla via Emilia nei pressi di Roveleto, Cadeo, Pontenure, ecc. con prelevamenti di armi, munizioni, viveri e presidi vari di G.N.R. o brigate nere come quello di Castelnuovo Bocca d’Adda, Caorso, Mortizza, ecc. 10/04/1945 – nelle notti dal 4 aprile al 10 aprile una nostra pattuglia di cinque uomini facevano saltare nove barconi traghetti sul Po tra Piacenza e San Nazzaro. 13/4/45 – una pattuglia di sei uomini ditruggeva per due chilometri la linea telefonica tedesca nei pressi di Caorso. 24/25/4/45 – avuto ordine di portarsi nei pressi di Roncarolo per controllare il Po e mitragliare i tedeschi in ritirata, un nostro nucleo di circa una sessantina veniva attaccato di 101
Nota scritta a mano dall’avvocato Tullio Million, segretario comunale. Fonte Archivio Comunale Ivanoe Bonomi, Alessandro Casati, Alcide De Gasperi, Mauro Scoccimarro, Pietro Nenni e Ugo La Malfa
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sorpresa da una colonna tedesca di retroguardia nei pressi di Fossatello. Impegnato combattimento che durava fino al giungere di tre carri armati americani di avanguardia. Il nemico si arrendeva lasciando sette morti e quattro feriti e un’ottantina di prigionieri. Da parte nostra un morto disperso [Bricchi Francesco come indicato più sotto] e tre feriti. Nel medesimo giorno un altro distaccamento si portava nei pressi di Caorso e di sorpresa accerchiavano una colonna di dieci automezzi tedeschi e con poche raffiche costringevano i conducenti e componenti dell’autocolonna alla resa. 26/4/1945 – parte della Brigata operò con una compagnia americana rastrellando nei boschi vicini al Po dalla parte piacentina, facendo ancora diversi prigionieri e materiale vario tra cui cinque carri armati tedeschi con relativo equipaggio. 27/4/1945 – il comando alleato ci autorizzò a traghettare il Po presidiando i cari comuni, tra questi Codogno, Maleo, Santo Stefano Lodigiano, Corno Giovani, Caselle Landi e Castelnuovo Bocca d’Adda. CADUTI N° 7, FUCILATI N°1; FERITI N°6;
DISPERSI N°1; PRIGIONIERI N°5; ELEMENTI STRANIERI N° 5 RUSSI
“103Terza Divisione del Popolo – Ottava Brigata “G. Masarati” L’Ottava Brigata del Popolo ebbe il suo riconoscimento solo verso la fine dell’anno 1944, precedentemente a Castelnuovo si era svolta attività partigiana, ma solo per episodi singoli e con squadre formate senza però che dipendessero da alcuno o che fossero in contatto con il C.V.L.104. Il 10 gennaio il geometra Mizzi ricevette la visita di alcuni emissari partigiani tra cui un certo Gianni Verzè di Caorso che serviva da garanzia in quanto conosciuto dal geom. Mizzi stesso. Fu concertata l’attività da svolgere nella zona, consistente soprattutto in sabotaggio contro le opere fortificate ed i traghetti e i mezzi di trasporto tedeschi. Ciò però doveva avvenire quando si fosse potuta armare modernamente una piccola squadra e rifornirla di armi automatiche ed esplosivo. Frattanto bisognava assumere il maggior numero di informazioni sulle forze nazi fasciste dislocate nella zona e cercare di tenerle sempre in allarme in modo da non permettere il loro impiego in altre zone. In seguito il geom. Mizzi stabilì rapporti con Marta di Lodi del Partito d’Azione105, con Maradini ed altri elementi del Piacentino. Mancavano però sempre le armi e nella popolazione non si incontrava che poco aiuto perché terrorizzata dall’idea di possibili rappresaglie. Nel mese di luglio fu possibile al geom. Mizzi assieme a Gaboardi Carlo stabilire contatti con la 38^ brigata SAP comandata da Gim che operava nei boschi dei dintorni di Piacenza. Però si era raccolta solo qualche arma e gli aderenti al movimento di resistenza non potevano agire, fu concretato allora di far agire nella zona la 38^ brigata la quale prelevò al completo il presidio della G.N.R. di Castelnuovo ed attaccò il presidio dell’Ammasso Grano di Caselle Landi. Data l’amicizia con il comandante Gim, il geom. Mizzi e Gaboardi Carlo poterono ottenere il massimo affiatamento con detta brigata che con le sue azioni teneva in continuo scacco le forze della zona, sebbene fosse ostacolata nel suo agire dal dover ogni volta attraversare il Po. Come reazione vennero inviati da parte degli oppressori notevoli rinforzi 103
Relazione scritta e firmata il 25 gennaio 1946 da: comandante di Brigata S.Ten. Pino Mizzi (Primula Rossa), comandante del Distaccamento di Castelnuovo Albertini Aldo (Aldo), comandante del distaccamento Maccastorna Asti Rosolino (Rosul), partigiano Masarati Erminio (Mimi). Fonte Archivio Comunale 104 Il Corpo Volontari della Libertà (CVL) è stato la prima struttura di coordinamento generale dei partigiani ufficialmente riconosciuto sia dagli Alleati che dal secondo governo Badoglio. 105 Il Partito d'Azione, conosciuto anche con la sigla PdA, è stato un partito politico italiano, che trasse il nome dall'omonimo partito fondato da Giuseppe Mazzini nel 1853 e sciolto nel 1867. Questo aveva avuto tra i suoi obiettivi le elezioni a suffragio universale, la libertà di stampa e di pensiero, la responsabilizzazione dei governi davanti al popolo. Il Partito d'Azione rinacque il 4 giugno del 1942 nell'abitazione romana di Federico Comandini. Di orientamento radicale, repubblicano, socialista liberale e socialdemocratico, ebbe vita breve e si sciolse nel 1947. I suoi membri furono chiamati "azionisti" e il suo organo ufficiale era L'Italia libera.
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nella zona e la vita divenne insostenibile per gli sbandati ed i renitenti alla leva. Tra l’altro si ricercavano coloro che avevano aiutato a rimaner nascosti nella zona per oltre sei mesi un gruppo di prigionieri britannici che più volte erano stati segnalati alle autorità per la cattura106. Da parte del geom. Mizzi e di Gaboardi Carlo furono allora presi accordi per l’invio in montagna, tramite il comandante Gim dei giovani. Con quelli della zona fu possibile costituire sull’Appennino Piacentino un distaccamento in seno ad una brigata partigiana. Il Gaboardi Carlo, designato come comandante di detto distaccamento rimase ancora qualche giorno in pianura per il recupero armi e per prendere accordi definitivi ed in seguito anch’egli si recò in montagna. Ciò accadeva nel mese di ottobre 1944.
Figura 34: L’ELENCO DEI 61 PARTIGIANI CUSTODITO IN ARCHIVIO COMUNALE
Per qualche tempo nella zona di Meleti – Castelnuovo – Maccastorna non rimase che una squadra di 16 uomini a Maccastorna, Monfredini Enrico a Meleti ed il geom. Mizzi a Castelnuovo. La sorveglianza dei nazi fascisti si faceva sempre più stretta, aiutata nell’orientare i suoi sospetti dalle frasi che incautamente si lasciavano scappare congiunti dei partigiani. Nei primi giorni del mese di novembre 1944 la casa del geom. Mizzi veniva perquisita completamente da alcuni ufficiali tedeschi con un ufficiale della Gestapo107. 106
Si veda il paragrafo “LA PRESENZA DEGLI ALLEATI A CASTELNUOVO BOCCA D’ADDA” poche pagine oltre. La Geheime Staatspolizei (ted. Polizia segreta di Stato), comunemente abbreviata in Gestapo, era la polizia politica del Terzo Reich 107
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Non venne trovato nulla ma si vedeva che oramai i sospetti erano ben delineati. Frattanto il geom. Mizzi aveva potuto trovare qualche collaboratore e tra le cose che si poté fare, vi fu quella di evitare che fossero prese rappresaglie verso congiunti dei partigiani nel seguente modo. Il fratello del geom. Mizzi era segretario del Comune di Castelnuovo, alla richiesta di fornire al comando tedesco di Caselle Landi gli elenchi degli uomini per il servizio del lavoro obbligatorio, si provvide a saltare alcuni nominativi di partigiani e per gli altri si provvide a convocare con una “scusa” qualsiasi i parenti dei partigiani ancora iscritti nelle liste perché alla commissione tedesca potessero fornire scuse probanti come quella che il congiunto era ammalato in ospedale oppure lavorava in città ecc. Anche ai repubblicani detto trucco non risultò e così i tedeschi vissero nella certezza che tutta la popolazione si fosse presentata o almeno credettero di sapere dove fossero i mancanti. Nel mese di dicembre non accadde nulla di particolare, tranne il contatto con i partigiani della montagna ed il collegamento con quelli che in seguito al rastrellamento di dicembre sull’Appennino avevano dovuto scendere in pianura. Nel mese di gennaio [1945] avendo avuta qualche arma si disarmarono, sulla strada di Castelnuovo – Maccastorna soldati del genio pontieri di stanza a Crotta d’Adda. La ottava brigata in quel periodo aveva una forza di 25 uomini. Nel mese di gennaio, in seguito al rastrellamento dei mongoli ed all’ordine di sbandamento molti partigiani furono costretti a ritornare alle proprie case, quelli che rimasero furono incorporati nella ottava brigata che ebbe così una forza di 37 uomini e comprendente come zona i paesi di Meleti, Castelnuovo Bocca d’Adda e Maccastorna. Da contatti avuti dal geom. Mizzi con “Raineri” del Partito d’Azione di Milano si rese evidente la necessità di avere un lancio in pianura di armi. Esso doveva avvenire a Cavenago ma proprio quando Radio Londra108 aveva dato il segnale di detto lancio tutto il personale dell’Ufficio Aviolanci venne arrestato e solo per un miracolo fu possibile farlo sospendere. Se ne richiese un altro in altra località ma oramai il tempo incalzava e non fu possibile ottenerlo. A questo punto l’ottava brigata perse ogni contatto e si vide costretta ad agire di iniziativa. Nel periodo in cui era stato in prigione a Piacenza il suo comandante, geom. Mizzi Pino, aveva potuto stabilire contatti mediante conoscenze fatte con un gruppo di partigiani operante nella zona Castiglione – Mairago e da essi il giorno 18 aprile 1945 che qualcosa era in vista e che sembrava imminente una rivoluzione, senza però ricevere notizie più precise in proposito. Visto il passaggio di truppa i partigiani uscirono dalla azione clandestina il giorno 23 aprile 1945 disarmando, in un esercizio pubblico di Castelnuovo, alcuni soldati italiani che erano di reparti in ritirata. Precedentemente si erano fatti disertare una trentina di soldati slovacchi, acquistando da altri di essi armi e munizioni. La sera del 23 aprile si intavolarono trattative con ufficiali slovacchi per la resa o per avere la collaborazione dei reparti interi. Data la sorveglianza dei tedeschi non fu possibile ottenere che il reparto completo passasse nelle file partigiane ma un buon numero di soldati disertò e provvide a nascondersi. Il 24 aprile alla notizia, non ancora confermata, che la brigata nera di Codogno si era sciolta, si provvide ad una imboscata per catturarne gli elementi e disarmarli. Il giorno 25 aprile si attaccarono i tedeschi, nei combattimenti durati tutta la giornata, e benché il paese fosse circondato si poterono catturare una novantina di prigionieri mentre altre colonne della forza complessiva di circa mille uomini furono costretti a rinunciare e ripiegare su Codogno e Milano e dovettero invece attraversare l’Adda e trasferirsi sulla provincia di Cremona. Il comandante di brigata fu costretto ad agire in tale modo e credette di agire bene in quanto il giorno 25 stesso con un motocarro si era recato, quantunque le strade fossero infestate da colonne tedesche in ritirata, si recò a Crotta d’Adda ove ebbe la assicurazione che la provincia completa di Cremona era in mano alle forze di liberazione e 108
Radio Londra era l'insieme dei programmi radiofonici trasmessi, a partire dal 27 settembre 1938, dalla radio inglese BBC e indirizzati alle popolazioni europee continentali. Le trasmissioni in lingua italiana della BBC iniziarono con la crisi di Monaco. Con lo scoppio delle ostilità, nel 1939, Radio Londra aumentò le trasmissioni in italiano.
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che i tedeschi non sarebbero riusciti a passare l’Adda, cosa completamente falsa e cervellotica in quanto i tedeschi percorsero decine e decine di chilometri nel territorio della provincia di Cremona senza trovare la minima resistenza. I partigiani della zona erano tutti raccogliticci e certamente non meritavano nemmeno questo nime perché all’approssimarsi di piccole colonne deponevano le proprie arme e le nascondevano e si trasformavano in pacifici cittadini. Anche questo però ha le sue doverose eccezioni. Ciò in parte accadeva anche a Codogno ove il comandante si recava, le solite assicurazioni anche qui, il solito tono di comando da parte di un certo “Tevere” che portava sul triangolino rosso del comando ben cinque stellette. Però qui poté farsi una idea che le cose non andavano come erano prospettate perché al suo arrivo a Codogno vide gli sbarramenti alle strade di accesso ma erano completamente abbandonati, tanto che poté entrare lasciando fuori il motocarro sino quasi in centro alla borgata senza incontrare anima viva. Nel frattempo egli poté rendersi conto che sulla circonvallazione che passava immediatamente davanti agli sbarramenti transitavano completamente autocarri tedeschi che era una pazzia non attaccare. La ex caserma della G.N.R. era invece piena di gente che mangiava e beveva. Questo il quadro apparso a Codogno. Fu ingiunto con aria di comando di portare a Codogno i prigionieri tedeschi come se non si sapesse che sulle strade vi erano ancora forti colonne in ritirata. Col motocarro, al ritorno si incontrarono a Maleo alcuni autocarri tedeschi carichi di truppe e fu gioco forza parlamentare per ottenere il passaggio? Al ritorno a Castelnuovo la situazione si presentò non certo brillante, i partigiani erano esposti alle intemperie, digiuni e con poche armi, il paese era quasi completamente circondato, pattuglie tedesche lo attaccavano costringendo gli uomini ad una veglia continua erano già due notti che non dormivano. Non si potevano concedere turni di riposo per la scarsità di forze. Alla mattina fu possibile catturare alcuni ufficiali con una cinquantina di uomini, nel pomeriggio altri settanta. Gli uomini erano allo stremo delle forze e pertanto fu deciso di non procedere alla occupazione della sponda settentrionale del fiume Po per impedire il passaggio dei tedeschi. La notte dal 26 al 27 continuarono le solite scaramucce, alla mattina del 27 combattimento con una colonna di duecento tedeschi che ad ogni costo volevano puntare su Codogno. Fu costretta a cambiare itinerario e ad attraversare l’Adda al suo sbocco in Po. Nel pomeriggio una colonna di circa 3000 SS attaccò il paese e ben presto si comprese che resistere sarebbe stata una follia, gli uomini vennero ritirati lasciando solo una squadra a disturbare il più possibile i movimenti delle truppe nemiche. Anche questa squadra venne poi ritirata. Il 27 sera il comandante con alcuni uomini si recava nel vicino paese di Cornovecchio per attaccare una squadra di tedeschi che si trovava in detto paese, essi si erano già allontanati e si fece ritorno. In detto paese era in stato di abbandono un autocarro che venne prelevato dai cosiddetti partigiani di Codogno che lo fecero loro preda bellica. La prima volta che andarono a Cornovecchio fu appunto per prendere l’autocarro. La notte dal 27 al 28 aprile fu trascorsa dei partigiani nelle cascine di Meleti e Maccastorna ed il giorno 28 mattina, dato che Castelnuovo e Maccastorna non correvano più alcun pericolo, tutti si concentrarono a Caselle Landi per proteggere il passaggio del Po della Prima Brigata di Manovra Oltre Po “T. Vaccari” formata con il distaccamento che era stato costituito in seno alla 38^ Brigata SAP. A contatto avvenuto la liberazione della zona poteva dirsi avvenuta e si provvide al disarmo degli uomini che versarono le loro armi a Piacenza assieme ai compagni della Prima Brigata Oltre Po con i quali per tutta la lotta partigiana avevano collaborato attivamente. I caduti per la lotta di liberazione della Brigata sono: 1) Masarati Giovanni di Luigi 2) Butrichi Angelo Bruno di Salvatore I feriti per la liberazione sono: 1) Rossi Fausto fu Valerio, ferito il 25 aprile 1945 mentre attaccava a bombe a mano alcuni tedeschi che tentavano di stabilire un collegamento con un altro gruppo che si trovava nei pressi di Caselle Landi 74
Imprigionati per la causa della liberazione: 1) Geometra Mizzi Giuseppe, comandante della Brigata Dispersi: nessuno Elementi stranieri: nessuno La presente relazione è incompleta in quanto stabilita in base ai ricordi degli appartenenti alla brigata. Il materiale comprovante, diari ecc., venne distrutto una prima volta durante la perquisizione della casa del comandante nel novembre del 1944, una seconda volta nel gennaio 1945 in quanto si trovavano sulla sua persona al momento del suo arresto ed infine durante le giornate insurrezionali quando il comando della brigata, il 27 aprile, dopo l’abbandono del paese venne saccheggiato dai tedeschi. Alcune azioni sono sfuggite, delle altre non è stato possibile fornire la data precisa in cui avvennero, molti nomi mancano. Tutto quanto esposto però corrisponde alla più scrupolosa realtà ed il comandante e coloro che firmano assumono la piena responsabilità”. “109Il Comitato di Liberazione Nazionale si è costituito in Castelnuovo Bocca d’Adda il giorno 27 aprile 1945. Anche prima dell’insurrezione erano state stabilite le basi per la formazione ed il funzionamento di detto Comitato. Il sig. Mizzi Giuseppe aveva preso accordi sino al mese di agosto del 1944 con il patriota “Dario” della Brigata “W.Bersani” per la formazione in Castelnuovo di detto Comitato, però ciò non fu possibile per la situazione in cui si veniva a trovare il paese. Elencheremo brevemente dette difficoltà. L’attiva di sorveglianza effettuata dalla Brigata Nera sulle persone del paese, esso veniva infatti considerato come rifugio e covo di patrioti dato che molti dei giovani in esso abitanti si erano arruolati nella formazione della montagna ed il comandante della brigata Oltre Po “T.Vaccari” Carlo Gaboardi, risiedeva in questo Comune e la brigata stessa era formata nella massima parte da elementi della zona. Pertanto si dovette tralasciare l’organizzazione politica per effettuare solo quella militare. La zona era considerata come zona di operazioni da parte dei partigiani della Prima Brigata Oltre Po e quindi si ravvisò la necessità di lasciare la massima libertà ad essi, riservandoci di costituire un C.L.N. a liberazione avvenuta o comunque quando essa si fosse dimostrata molto vicina, C.L.N. che però non avrebbe dovuto in ogni modo interessarsi delle azioni che in territorio del Comune potevano avvenire, lasciando la direttiva di esse ai comandi dell’Oltre Po. Pur tuttavia vennero effettuate alcune riunioni con il Mizzi, che prestava servizio nella Prima Brigata Oltre Po; per stabilire come avrebbe dovuto costituirsi il C.L.N. di Castelnuovo e quando esso avrebbe dovuto costituirsi. Queste riunioni fu giocoforza diradarle ed in un secondo tempo sospenderle del tutto quando al Mizzi venne effettuata una perquisizione domiciliare da parte di un ufficiale della Gestapo ed in seguito del suo arresto da parte dell’U.P.I. di Piacenza. Durante il periodo della insurrezione in paese si ebbe solo un comando militare data la critica situazione che in esso si era venuta a creare per il passaggio di numerose colonne tedesche che furono costrette a deviare. A liberazione avvenuta e precisamente con il giungere della Brigata Oltre Po al completo nella zona e mentre le colonne alleate giungevano a S.Nazzaro sulla riva opposta del Po (sulla strada provinciale da Cremona a Piacenza) il C.L.N. incominciò la propria attività. Di esso faceva parte anche il Sindaco, Sig. Gagliardi Francesco, che dovette assumere dietro richiesta della popolazione in massa, tale carica, ed era composto da Cavagna Pietro del Partito della Democrazia Cristiana, Brandazzi Emanuele del Partito Comunista, Pisaroni Giacomo del Partito Socialista e Rabaiotti Luigi del Partito Liberale. Dette persone costituivano pure la Giunta Comunale e quindi il giorno 30 giugno 1945, per avere una separazione tra i due organismi, i nominativi elencati vennero conservati per la costituzione della Giunta Comunale mentre per il C.L.N. vennero eletti: Mizzi Giuseppe per il 109
Relazione scritta il 7 luglio 1945 da Salvini Mario, Giuseppe Mizzi, Mazza Luigi, Salvini Francesco. Fonte Archivio Comunale
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partito della Democrazia Cristiana, Mazza Luigi per il partito Comunista, Salvini Mario del Partito Socialista, restando vacante il posto riservato al Partito Liberale. Venne inoltre chiamato a fare parte del Comitato Salvini Francesco, intendente della Prima Brigata Oltre Po come rappresentante del Corpo Volontari della Libertà. Tra le attività svolte: 1. si procedette alla rimozione di tutte le opere di fortificazione create dai tedeschi, riempiendo le buche da essi scavate, che costituivano un pericolo specialmente per quanto riguarda quelle scavate negli argini consorziali 2. con il ricavato dalla vendita del legname recuperato nei lavori sopraddetti si ebbe la possibilità di costituire un fondo di assistenza per gli ex internati e per militari che rientravano nelle proprie famiglie, fondo che non è ancora possibile stabilire con precisione ma che dovrebbe ammontare sulle 800.000 lire. 3. si stabilirono le quote dei premi da versare agli ex internati e militari. Essi sono le seguenti: lire 2.000 alla famiglia di ogni ex internato; lire 3.000 a lui personalmente al suo ritorno; lire 1.000 alle famiglie dei militari; lire 2.000 a loro personalmente ed al loro ritorno; lire 10.000 alle famiglie dei caduti, siano essi caduti in combattimento prima dell’8 settembre, deceduti in Germania, morti in combattimento o per incidente militando le file del nuovo esercito, morti per la causa partigiana. In paese attualmente vi sono quattro caduti per la causa partigiana, dodici caduti prima dell’8 settembre 1943. Gli internati in Germania quarantanove più due lavoratori. I dispersi in Russia circa una decina. Tra gli internati vi è già un caduto. 4. si è provveduto ad inviare un autocarro a Bolzano per il trasporto di internati, un altro autocarro è stato dato in prestito gratuitamente al C.L.N. di Maleo per lo stesso scopo. Le spese del primo viaggio sono state recuperate in parte con sottoscrizione della popolazione in parte con fondi messi a disposizione dalla Prima Brigata Oltre Po. 5. è imminente la costituzione della Camera del Lavoro e su questo punto i partiti hanno raggiunto la massima intesa. Anzi essa è già costituita e si sta perfezionando la sua organizzazione 6. il C.L.N. coadiuva poi giornalmente la Giunta Comunale ed il Sindaco nel loro lavoro. Si è poi addossato il funzionamento di un Ufficio Danni di Guerra 7. il C.L.N. di Castelnuovo ha contribuito in modo notevole ad appianare alcune controversie sorte per motivi eterogenei e si ripromette di continuare in questa opera in modo da ottenere la massima fusione tra gli animi; per quando riguarda i lavoratori, dare ad essi la possibilità di rivendicare i loro diritti senza che odi di parte possano venire ad inficiare questa opera”. Quanto fin qui riportato sono i resoconti redatti successivamente alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale. Vivi sono ancora i ricordi nei più anziani di quei giorni termendi e di quali fatti Castelnuovo fu costretto a vivere durante la presenza nazista e fascista, durante la guerra e nei giorni della resistenza e della liberazione. Queste pagine appartengono anche a tante famiglie di oggi che fanno memoria di un parente caduto o ex combattente. Con commozione il pensiero torna. Non è stato possibile raccontare altri fatti come assassini o rappresaglie nei confronti dei fascisti, o ritenuti tali: chi è a conoscenza di questi fatti preferisce non raccontarli o farne memoria. Nel rispetto di tutti, e per non aprire vecchie ferite, non abbiamo indagato. 76
Alla fine del conflitto si fece l’elenco dei caduti e dei dispersi. L’elenco 110 viene riportato di seguito.
Figura 35: ELENCO DEI CADUTI E DEI DISPERSI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE (1950)
Di questi 23 castelnovesi quattro sono quelli che caddero vittime di agguati o rappresaglie in paese nei giorni a ridosso della liberazione: Bricchi Francesco (nome di battaglia “Perla” della I Brigata oltre Po “T. Vaccari” divisione Val d’Arda “W. Bersani” Piacenza) Nasce a Castelnuovo Bocca d’Adda il 18 marzo 1918. Morì all’età di 27 anni a Caselle Landi; con altri due compagni mentre si accingevano alla traversata del Po, zona Roncarolo – Caselle Landi: vennero attaccati da una pattuglia Repubblicana (RSI) a trenta metri dalla sponda milanese. I due compagni riuscivano a raggiungere la riva. Lui si crede sia stato ferito ed annegava in detta località. Sebbene abbiamo fatto subito ricerche non si trovano alcune tracce del cadavere [trascrizione della nota sulla scheda A.N.P.I. provinciale]. Lodola Gino (nome di battaglia “Bigi” della I Brigata oltre Po “T. Vaccari” divisione Val d’Arda “W. Bersani” Piacenza) Nasce a Castelnuovo Bocca d’Adda il 27 febbraio 1922. Il partigiano Lodola Gino fatto prigioniero a Castelnuovo il 27 febbraio 1945 portato alle carceri di San Vittore dopo un lungo periodo di torture finì sua gloriosa giovinezza sotto il piombo delle Brigate Nere il 31 marzo 1945 a Cassano d’Adda a soli 23 anni. 110
Fonte Archivio Comunale 22 aprile 1945
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Butrichi Angelo Bruno (della VIII Brigata del Popolo divisione III) Nasce a Castelnuovo Bocca d’Adda il 7 febbraio 1911. Caduto il 27 aprile 1945 mentre attaccava a bombe a mano alcuni tedeschi che tentavano di stabilire un collegamento con un altro gruppo che si trovava nei pressi di Caselle Landi aveva 34 anni. Masarati Angelo Giovanni (della VIII Brigata del Popolo divisione III) Nasce a Castelnuovo Bocca d’Adda il 19 maggio 1927. Ucciso il 26 aprile 1945 in una imboscata mentre con una pattuglia stava accertando le forze tedesche dislocate nella zona. Dei quattro caduti è il più giovane: aveva solamente 18 anni.
Figura 36: IN ORDINE: BRICCHI FRANCESCO E LODOLA GINO
LA PRESENZA DEGLI ALLEATI A CASTELNUOVO BOCCA D’ADDA Nel giugno del 1945 la Prefettura di Milano scrisse: “Il governo militare alleato desidera ricompensare coloro che hanno dato assistenza agli ex prigionieri o militari alleati”. Quelli che seguono sono tre racconti degli aiuti dati. “Ho provveduto a far trovare sempre il latte nel periodo in cui dovettero vivere111 alla macchia ed a trasportare in un luogo convenuto, ove essi potevano ritrovarlo, il cibo che mandavo per loro e quello che mi era consegnato da altre persone per loro. Provvidi a farli spostare quando il pericolo era imminente nel luogo ove si trovavano ed a traghettarli innumerevoli volte sul Po. Sul territorio piacentino, in località Isola Serafini, scavai per loro una buca per nascondiglio e ricovero, ricoperta di lamiere e di terra, con una stufa per il riscaldamento. Due giorni prima della loro cattura li trasportai sulla sponda piacentina, avendo sentito che doveva esservi nella zona di Castelnuovo, ove si trovavano, un rastrellamento appunto per catturare dei militari inglesi. Dissi loro di 111
Tre gli alleati inglesi assistiti: il capitano Echerslej Robert del IV Pel Drive Little Holton Bolon Lane, il sergente d’artiglieria Greham Robert e il marinaio sommergibilista Darling Franco.
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muoversi e procurai cibi per qualche giorno, sarei andato poi io ad avvisarli quando ogni pericolo sarebbe scomparso. Invece, non seguendo il mio consiglio, ritornarono al di qua del Po il mattino stesso che avvenne la loro cattura. Mi scrissero poi una lettera di ringraziamento quando vennero liberati da forze partigiane che a quanto si disse qui assalirono il treno che li trasportava in Germania. Anche detta lettera venne distrutta assieme ad altri documenti [quando la G.N.R. del presidio di Castelnuovo Bocca d’Adda iniziò ad arrestare persone incolpate di aver dato alloggio a militari alleati]”112. “La richiedente oltre a fornire vitto e alloggio provvide a far costruire nel bosco dell’Isola Serafini e ad attrezzarlo convenientemente. A seguito dell’assistenza prestata ai predetti militari113 venne arrestata dalla G.N.R., subì persecuzioni continue e vessatorie, venne nuovamente arrestata l’8 settembre 1945 condotta alle carceri di Cremona e successivamente a quelle di Bergamo dalle quali venne liberata il 25 aprile114”. “L’aiuto prestato ai prigionieri inglesi i quali dal settembre 1943 al giugno 1944 ebbero da noi assistenza di varie specie poiché è dato che prima che fossero rastrellati dalle Brigate nere di Cremona hanno vissuto anche qualche periodo nei boschi e furono da noi saltuariamente alloggiati e aiutati a secondo il pericolo dei fascisti i quali a mezzo di spie continuavano nelle loro attività per farli nuovamente prigionieri. Gli indirizzi indicati dagli inglesi i due di nome Thomas fecero la sosta nei dintorni di Maccastorna e Castelnuovo per un paio di mesi solamente poiché con aiuto di altra gente furono accompagnati alla frontiera svizzera, essi furono aiutati da noi con vino, cibo e sigarette. I tre in fotografia sono stati i più aiutati da noi saltuariamente alloggiati per diverso tempo cioè per tutto il tempo della loro permanenza in Castelnuovo mesi dieci contribuendo per tutti e tre con cibo di varia specie, vino, sigarette, qualche capo di biancheria, un mantello, qualche maglia, calze ecc… non possiamo precisare esattamente, ma il contributo materiale e morale è notevole115”.
Figura 37: IN ORDINE IL CAPITANO ECHERSLEJ ROBERT, IL MARINAIO SOMMERGIBILISTA DARLING FRANCO E IL SERGENTE CARRISTA MARTIN ROBERT IN UNA FOTOGRAFIA DEL 12 GIUGNO 1944 112
Testimonianza di Anelli Francesco professione pescatore, residente in quell’anno in via Caperdoni 5, scritta e convalidata da Don Carlo Bono l’8 luglio 1945. Fonte Archivio Comunale 113 Cinque gli alleati inglesi assistiti dal 1943 al 1945: il capitano Echerslej Robert (vedi nota 80), il soldato di fanteria Loreham Robert, il marinaio sommergibilista Darling Franco (vedi nota 80), il sergente d’aviazione Howood Tomaso e il soldato d’aviazione Hendiry Tomaso. 114 Testimonianza di Formaggini Luigia, residente in quell’anno alla cascina Breda, scritta il 30 giugno 1945. Fonte Archivio Comunale 115 Testimonianza di Maffini Emma nata a Milano il 13 novembre del 1906 e di Dermini Mario nato a Villanova d’Arda (PC) il 7 maggio del 1904 domiciliati a Milano, quando scrivono il loro racconto. Fonte Archivio Comunale
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DUE GIORNI CHE HANNO EVITATO UNA STRAGE: IL 26 E 27 APRILE 1945 Scrisse il Sindaco Cesare Campana nel 1978: “Cadde tremendamente cupa l’angoscia la sera su quella primaverile giornata del 26 aprile 1945; infatti proprio quando l’orrenda guerra era giunta al termine, a Castelnuovo toccava ancora una dura prova. Provenienti dal traghetto di San Nazzaro, il mattino di quel giorno, giunsero qui alcuni soldati tedeschi che battevano in ritirata verso il nord, ma proprio qui, pur senza provocazione alcuna, avvenne in paese una spartoria durante la quale caddero atrocemente vittime innocenti: Butrichi Bruno di anni 34 e coniugato ad Anna Anelli e Gianni Masarati di anni 18. Nel trardo pomeriggio arrivò dalla stessa strada un gruppo di saldati tedeschi il quale fu, con brevità di tempo e non so con quale strategia, circondato dai nostri giovani che lo disarmarono e richiusero tutti i componenti nella Villa Cortesi, allora disabitata. Pur avendo così circoscritti quei soldati e ritenendoli impossibilitati ad agire, gravava comunque su tutti un peso che si aggiungeva all’angoscia dei fatti sanguinosi del mattino, tanto da portare ad una nottata insonne e piena d’attesa ed ansia per ognuno. Si capiva che la partita non era chiusa e neppure saprei descrivere la cappa opprimente di quelle ore che precedevano l’alba del giorno 27 aprile 1945. Con la rapidità di un lampo, verso le 14, un sibilo raggiunge tutti: i tedeschi. Sempre provenienti da San Nazzaro e percorrendo questa via obbligata per la ritirata, una forza enorme di soldati tedeschi era in Castelnuovo ed in men che non si dica, dopo aver liberato i loro colleghi a Villa Cortesi, carichi di furore, entrarono in case e cortili alla ricerca di uomini di qualunque età. Chi fece in tempo, logicamente cercò via di scampo e chi fu trovato, all’ordine di mani in alto e col fucile puntato alla schiena, venne condotto in piazza Garibaldi e messo in fila con le spalle rivolte al muro del vecchio edificio scolastico. Eravamo così circa 80 in attesa di essere decimati, se non venivano portati al loro comando i fucili che erano stati sequestrati il giorno prima; eravamo quindi il loro ostaggio in cambio di armi. Uno di loro ormai era steso in assetto di sparo dietro ad una mitragliatrice della quale aveva già infilato il nastro delle pallottole ed attendeva l’ordine di sparare. In quel momento terrificante in cui il dover morire dava un senso di sgomento e di accettazione insieme, uscì dal portoncino del comune Alessandro Spelta, allora commissario prefettizio, il quale, fattosi comprendere tramite un militare, volle parlare con il comandante e nell’assicurare questi, che stentava molto a credere, che fra di noi non vi erano traditori (questo era il termine usato in quel momento con noi) offrì in segno di assicurazione la sua vita purchè fosse risparmiata la nostra. A quella offerta di sicurezza accolta, fece seguito l’ordine al mitragliere di ritirarsi. Su questo nobile gesto che non richiede commenti, dovremmo soffermarci un momento e ricordare la persona generosa che, scrivendo un’altra pagina ad onore di Castelnuovo, valse a far continuare la vita di ciascuno. Il tempo comunque stringeva anche per i tedeschi i quali volevano guadagnar cammino nella ritirata, ma per sentirsi protetti, ci ordinarono di prendere con loro la strada dell’argine che, passando dalla Brevia, porta a Maccastorna, quindi al punto in cui si traghetta per Crotta. Durante quel tragitto imperversò un acquazzone che ci fece giungere fradici sotto quel bosco grondante dove con un nulla si doveva pur confortare qualche anziano preso da malore. Assistemmo così all’andirivieni lento del traghetto finché gli ultimi tedeschi furono giunti sulla sponda di Crotta, scortati da quattro di noi per sicurezza, ed il nostro compito di ostaggio ebbe fine verso le due di notte, quando prendemmo la strada di Castelnuovo illuminata dalla luna, col cuore che ci balzava in petto per tutte le emozioni passate per l’ansia ardente di tornare dai nostri cari.” Scriveva nel 1971 il parroco Don Pierino Rinaldi: “Il giorno 9 gennaio (del 1971) moriva improvvisamente Spelta Alessandro nella veneranda età di 89 anni. Al funerale erano presenti le bandiere dei Partigiani, invitata da Umberto Rivolta, dei Combattenti locale ed il Gonfalone del Comune con la corona. Alla Combattenti era iscritto a Milano fin dal 1914, avendo partecipato alla guerra d’Eritrea. Fu commissario prefettizio dal 29 marzo 1945 fino ai giorni della liberazione. Ed a suo merito va ascritto un gesto eroico, avvenuto il 27 aprile di quell’anno. Furibondi per la sconfitta, i tedeschi cercavano con ogni mezzo di coprirsi la ritirata. A Castelnuovo racimolarono circa 80 ostaggi. Li accumularono contro la parete delle scuole e dell’Asilo comunale e contro di essi piazzarono una mitraglia. Volevano la restituzione 80