Appunti di Archeologia
Sardegna nuragica 1
Collana Appunti di Archeologia
Giovanni Lilliu
Giovanni Lilliu SARDEGNA NURAGICA
Cura editoriale Paola Sotgiu
Sardegna nuragica
Guida ai siti a cura di Giulio Concu Glossario a cura della redazione Il Maestrale
Progetto grafico e impaginazione Nino Mele Imago multimedia
© 2006, Edizioni Il Maestrale Redazione: via Monsignor Melas 15 - 08100 Nuoro Telefono e Fax 0784.31830 E-mail:
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ISBN 88 - 89801 - 11 - 5
La casa editrice esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi al corredo iconografico della presente opera, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito.
Il Maestrale
SARDEGNA NURAGICA
Nuraghe Lo sa, Abbasanta
STORIA DELLE SCOPERTE E DEGLI STUDI
lla metà del secolo XVI Sigismondo Arquer, in Sardiniae brevis historia et descriptio, tabula chorographica insulae ac metropolis illustrata (Cosmographia Universalis di S. Münster), tra le curiosità della Sardegna, descrive, per primi, i nuraghi. Antichissime rovine – egli dice – costruite a somiglianza di torri rotonde, ristrette in alto, fatte di grossissimi sassi, presentano porte strettissime e, dentro lo spessore del muro, scale che portano alla sommità. Le rovine che gli abitanti dell’isola chiamano nuraghos, a forma di fortezza sono forse resti delle opere di Norax, il dux venuto in Sardegna con gli Iberi-Hispani, fondatori della città di Nora. Dopo questo scritto e sino alle soglie dell’800, gli autori che si sono occupati delle antichità sarde hanno avuto interesse soltanto per il nuraghe. Nella concezione metastorica che avevano del più remoto passato (del periodo “congetturale”, si diceva allora), essi si incuriosivano per il monumento a se stante, vistoso nella sua architettura. Nessuna idea del contorno
A
Tomba di Giganti S e d d a ’ e S a C a u d e b a, Villanovaforru
ambientale e culturale in cui la forma fisica era nata e si era specchiata, costituendo l’elemento di maggiore attrazione e significato. Le domande alle quali si tenta di dare risposta sono quelle sul popolo (o popoli) che avrebbe fatto erigere tanti e così singolari edifici e sul tempo della loro costruzione, nonché sulla loro destinazione. Secondo le inclinazioni delle varie epoche, gli autori ne hanno dette delle belle. Nel secolo XVII, come artefici di nuraghi sono chiamati in causa i grandi demiurghi “nazionali” sardi (oltre Norax, Iolaos e il suo architetto Dedalo); ma anche i TitaniEtiopi (entra in ballo l’elemento favoloso dei popoli-giganti). Nel secolo XVIII, la influenza della letteratura biblica porta a fantasticare di genti antidiluviane; taluno, però, scende terra terra vedendo l’intervento di GrecoSardi o di vari popoli “locali” foederati ac socii. Da ultimo spunta la “feniceria”, di gran moda nel dibattito ottocentesco sui nuraghi e altre cose della cosiddetta “antistoria”. Sardegna nuragica _ 7
Quanto all’età delle torri, si brancola nel buio. Per i più, tempi antichissimi e mitici, quelli degli eroi, dei giganti, dei paladini, degli orchi, e anche del diluvio. Il gesuita Matteo Madao (secolo XVIII) azzarda una data: il 1227 a.C.; ci azzecca per un periodo dello sviluppo dei nuraghi. Ribassista Stanislao Stefanini (stesso secolo), che scende al tempo delle guerre tra i Sardi e gli eserciti punico e romano. Opinioni tra le più disparate sulla destinazione del monumento: fortezza, sepolcro (mausoleo, trofeo, casa d’abitazione, silos. A formare questa girandola di pareri, per lo più di gusto retorico e letterario (non passa la minima idea sul contenuto della costruzione in cultura materiale), contribuisce anche la pretesa di dare soluzione etimologica al nome di nuraghe. E qui si assiste alla più accesa e fantasiosa, quanto inutile, gara di proposte: nuraghe dall’eroe Norax e da Nora, o dal greco noeros (memorialis) e necraces-necros (defunctum), o dal fenicio nura=fuoco. Un gioco etimologico da eruditi di provincia, che nulla sanno e capiscono di archeologia “professa” e “militante”. Il tentativo che si fa di trovare le ragioni esplicative del monumento anche nel confronto con forme architetto8 _ Sardegna nuragica
niche esterne alla Sardegna finisce nel generico, perché è assolutamente superficiale la conoscenza che se ne ha. Obelischi, tholoi, l’etrusca Grotta (o Tanella) di Pitagora, sono portati a riscontro, senza un qualche giusto nesso formale e storico. Su questo sfondo conoscitivo, di tono classicheggiante, barocco, ma soprattutto mitico creatosi intorno ai nuraghi dal secolo XVI al XVIII, l’800 introduce un modo “positivo” di guardare al fenomeno nuragico. Si avverte cioè la presenza dell’occhio archeologico, anche se restano non poche incrostazioni, alimentate dal clima romantico dell’epoca, del passato favoleggiare. Al movimento contribuisce l’ingresso della cultura laica, sebbene continui l’apporto, una volta esclusivo, di uomini di chiesa di spiccata intelligenza (Vittorio Angius e Giovanni Spano). L’interesse è altresì ravvivato dal contributo dei viaggiatori stranieri che giungono alla ricerca delle meraviglie dell’“isola dimenticata”. Essi svelano ai locali il megalitismo atlantico e mediterraneo, recano il messaggio “pelasgico” presunto nel “ciclopismo” di Micene e italo-etrusco, né si fanno scrupolo di stabilire approcci tra il “colossale” nuragico e la monumentalità di piramidi, ziqqurath,
Su Nuraxi, Barumini
Tomba dei Giganti di Madau, Fonni
teocalli, tumuli anatolici, topes dell’Afghanistan, “torri del fuoco” dell’India e chi più ne ha più ne metta. Accostamenti epidermici è vero, pure impressioni talvolta nello stile del viaggiatore, ma tali da spingere l’interesse ad allargare positivamente la comprensione del sino ad allora isolato patrimonio monumentale sardo più remoto. Già all’inizio del secolo ci si 10 _ Sardegna nuragica
accorge che quest’ultimo non è fatto soltanto di nuraghi. Il padre agostiniano Gelasio Floris, per primo, additò la presenza di pietre fitte (menhirs in lingua bretone). Più tardi, a comporre la complessa tematica nuragica, vennero la scoperta di tombe di Giganti, di pozzi (per i quali si favoleggiò di carceri e altre amenità), e l’individuazione della piccola plastica in bronzo
(nella materia venne purtroppo anche l’inganno di centinaia di falsi orripilanti, che fecero mostra privilegiata di sé nel Museo Archeologico e Scienze naturali di Cagliari, sorto nel 1802 e vi restarono sino a quando non li cacciò via Ettore Pais alla fine del secolo). Fu Alberto della Marmora, che alla passione ornitologica e di geologo e all’attenzione per la storia e le tradizioni dell’isola
associava l’interesse per le sue antichità a svestire i monumenti nuragici e il nuraghe più di tutti dei veli (o per meglio dire degli spessi e impenetrabili panni) del mito. Visitandone una quantità, disegnandoli, descrivendoli, mettendoli sulla carta topografica, egli dimostrò che le antichissime torri sarde non erano castelli in aria, sperduti in una sorta di deserto dei Sardegna nuragica _ 11
N u r a g h e S . A n t i n e, Torralba
Tartari, ma fabbriche legate a precisi territori e a forme di vita con cui facevano tutt’uno. Dimostrò anche (ma già l’aveva scritto V. Angius, proponendone una classificazione) che la costruzione non era rimasta eternamente un isolato volume a secchio di sabbia rovesciato, ma aveva maturato col tempo, aggregando torri minori alla maggiore delle origini, una complessa storia architettonica e civile. A “entrare” nella trama di questa storia, compatta e arruffata, provò G. Spano, con l’aiuto dello scavo (anche di quello stratigrafico, che mira a leggere le sequenze delle culture e dei tempi) e dei materiali restituiti all’interno e all’esterno dei nuraghi e di altri edifici megalitici. Sull’onda del Congresso internazionale di paleontologia celebratosi nel 1871 a Bologna, un congresso festoso, dove tirava l’aria nuova dell’unità nazionale (accolse i congressisti la banda cittadina), egli propose tre età o strati della presenza dell’uomo in Sardegna nel periodo preistorico, pur restando ancora alla idea biblica delle prime stirpi nel quadro d’una storia umana monogenetica e all’apporto caldeo-cananeo. Il che sta-
va bene con tutta la cornice orientale, e fenicia particolarmente, nella quale il secolo XIX collocò il dipinto, per la verità assai monotono, dell’antistoria della Sardegna. Così forte era, allora, l’ideologia “fenicia”, che Alberto della Marmora, pur essendo uomo di stampo positivista, si lasciò andare al sogno d’un impero “cananeo” esteso dall’Asia alla Scozia (al che altri rispondeva col disegno fantastico di una comunità “pelasgica” diffusa dalla Bitinia alla Celtiberia). Con la tripartizione in Età della Pietra, del Bronzo e del Ferro, caratterizzata da diversi elementi di cultura materiale, G. Spano saldava la preistoria sarda a quella europea, sprovincializzava lo studio delle testimonianze dell’epoca cosiddetta “congetturale” la quale ora non lo era più a causa delle nuove acquisizioni metodologiche e scientifiche, per quanto limitate esse fossero. In particolare, riguardo ai nuraghi, che il canonico di Ploaghe riteneva abitazioni (altri suggerivano ipotesi alternative di tempio, sepolcro e fortezza), l’immagine mitologica cade definitivamente. Inserite e legate al territorio che si tenta di delimitare, Sardegna nuragica _ 13
espresse dalla struttura economica di un paesaggio fortemente antropizzato, le grandi torri, con i prossimi villaggi, sono opera – dice Spano – di “uomini non barbari o selvatici, ma inciviliti e agricoli”. Col tramonto del secolo cede anche il mito più resistente, l’ideologia fenicia, l’etnico “cananeo”. Lo rimuove Ettore Pais, che cerca di comporre archeologia nuragica e storia, fondandosi sulla tradizione letteraria che la schiarisce, sebbene a intermittenza. Egli dà il merito dell’origine e dello sviluppo della protostoria isolana ai veri protagonisti, ossia ai sardi indigeni, ritenuti di estrazione occidentale, di matrice etnica e linguistica libioibero-ligure (ciò che è giusto, ma solo in parte). Nella perenne dialettica della storia antica mediterranea di Oriente e Occidente, l’Occidente viene recuperato ed enfatizzato, rovesciando l’ideologia. Ma il risultato più importante dello studio del grande storico romano resta l’identificazione di una civiltà locale, con un marchio specifico, molto singolare. Di questa civiltà egli non legge ancora le singole vicende, per quanto tenti di individuare due fasi inseguendo un certo progresso nella metallurgia. La fase più antica, originale, la suggerirebbero i bronzi non figurati; della più 14 _ Sardegna nuragica
recente, tributaria del mercato fenicio-punico, sarebbero segno statuette e navicelle in bronzo, oggetti di ferro, paste vitree e ambra. L’ombra dei Fenici, che il Pais aveva rimosso dai nuraghi, si fa nuovamente corpo come decisa ed esclusiva influenza sulla produzione materiale dei Protosardi. Come si vede, il terreno è preparato, sotto il duplice segno dell’archeologia e della storia, per il grande sviluppo che la nuragologia (intesa nella globalità dei suoi contenuti) ha avuto e ha in questo secolo. Esso comincia felicemente con un volume di sintesi di Giovanni Pinza (Monumenti primitivi della Sardegna). Anche per il Pinza la civiltà nuragica si produce lungo le Età del Bronzo e del Ferro. Egli studia le classi dei monumenti, i materiali, affronta i problemi cronologici, che rimangono però fondamentalmente irrisolti. Insomma, una visione d’insieme della protostoria della Sardegna che, per quel momento, non poteva essere migliore. Il capitolo sui nuraghi è abbastanza elaborato; più in profondità va l’esame sui prodotti metallurgici, nei quali è riconosciuta una corrispondenza di tipologia manifatturiera e di formule stilistiche con la produzione etrusca cosiddetta di “arte orientale”.
Interno del Po zzo sacro di S. Crist ina, Paulilatino
Il Pinza individua nella Sardegna dei nuraghi una certa indipendenza culturale, una identità regionale, e anche un luogo di conservazione nella mobilità mediterranea, una sorta di scrigno di fenomeni “prototipici” duri ad aprirsi alle novità e al progresso. Immagine monolitica, chiusa a riccio, della civiltà nuragica. Alla concezione di un processo nuragico senza scosse, basato sulla forza della tradizione di un continuum, resta fedele anche Antonio Tara-
Betili da Tamuli, Macomer
melli, il maggiore archeologo sardo della prima metà di questo secolo. “L’antropologia, come la fisionomia etnica e monumentale, è figlia della terra e dell’ambiente”, egli scrive con accento deterministico. La civiltà sarda antica gli appare un qualcosa senza precedenti, conclusa in se stessa e nei suoi principi, radicata sulla propria identità quasi immutabile. Una sorta di misticismo etnico ed etico del popolo nuragico, un senso di indivisione
di tempo-spazio dello stesso. Isolamento, autoctonia, per cui – scrive ancora Taramelli – “fu assai minore la somma di realtà e di affetti utili che la gente sarda poté gettare nel mondo”. A parte questa ottica limitante, la stagione taramelliana (trent’anni dal 1903 al 1933) fu fervidissima di opere. Scavi di villaggi, dei più grandi nuraghi, di tombe megalitiche, di santuari e di pozzi sacri. E poi nutrite ricerche da campo, la carta archeologica e poi ancora una quantità di pubblicazioni scientifiche e di divulgazione. Infine, la realizzazione dei nuovi musei archeologici nazionali di Cagliari e Sassari. Dall’insieme appare un disegno di attività articolata e diffusa nel territorio, mirata a risolvere problemi dell’archeologia nuragica. Non solo: indirizzata anche, nel possibile, a esplicare le opere e i giorni di un piccolo mondo antico che per i più era ancora una sfinge. Premeva altresì di svelare i risvolti intricati d’una civiltà straordinaria che sembrava non avere avuto proiezioni all’esterno, mentre dopo la ricerca risulterà che ce n’erano state, e non poche. Le esplorazioni topografiche mettevano in evidenza un
assetto d’urbanismo per distretti, con villaggi diffusi nel territorio il cui centro direzionale di vita e di lavoro era il nuraghe nelle forme più complesse, ritenuto un vero e proprio fortilizio-reggia (Palmavera-Alghero, Santu Antine-Torralba, Losa-Abbasanta, Lugherras-Paulilàtino: nuraghi scavati, tutti, dal Taramelli). Apporto nuovissimo ed eccezionale fu quello della ricerca nei santuari (Abini-Teti, Santa Vittoria-Serri) e nei templi a pozzo, sicché si poterono chiarire vari aspetti dell’architettura sacra e della religione nuragica, fondata prevalentemente sul culto delle acque. Il rinvenimento di ricchi ripostigli di bronzi d’uso (Monti IddaDecimoputzu) e figurati (Santa Vittoria) consentì di studiare tecniche fusorie, classificare forme e individuare stili di una produzione di grande rilievo per affermare la presenza di un florido artigianato locale e, nello stesso tempo, il collegamento con centri metallurgici di altre regioni mediterranee (Etruria, Cipro, Creta, ecc.) e atlantiche. Dunque strutture nuragiche aperte, comunicanti. Una visione in contrasto con quella che il Taramelli offre in generale della civiltà protosarda. Sardegna nuragica _ 17
Ricostruzione di capanna circolare
L’interesse puntuale sulle antichità nuragiche, proposte a studiosi di tutta Europa, cadde in occasione del Convegno archeologico internazionale, tenutosi a Cagliari nel 1926. Il Convegno, voluto dal Taramelli, aprì e accreditò l’archeologia sarda a un vasto pubblico e fece conoscere, nello stesso tempo, un’immagine distinta e gratificante della Sardegna in un periodo oscuro della sua storia recente. Le speranze e il fervore di rinnovamento dell’ultimo dopoguerra hanno destato un forte slancio di iniziative nel dominio della nuragologia. Da una parte la mostra dei bronzetti, esposti nell’agosto del 1949 a Venezia a un pub18 _ Sardegna nuragica
blico internazionale che li accolse con favore (seguirono altre mostre in diverse città europee), confermò il valore dell’antica arte sarda, e stimolò ad approfondirne il segreto, tenendo conto della fortuna del “segno” col quale le figurine erano state presentate nel catalogo: il “segno”, appunto, dell’anticlassico o del “barbarico”. Dall’altra parte, nel ’51, durando i lavori sino al ’55, veniva dissepolto il grande nuraghe Su Nuraxi, a Barùmini. Uno scavo fondamentale, perché dentro il fortilizio e nel contiguo villaggio di capanne si presentò una stratigrafia architettonica e culturale esemplare. Spiccava la sequenza di livelli, nei
quali si potevano leggere e ricostruire le vicende di vita e di lavoro d’una comunità nuragica dalla metà del II millennio alla fine del VI secolo a.C. Così si dissolveva l’idea del monolitismo, della compattezza e del continuum unilineare della civiltà dei nuraghi, cara agli studiosi del passato. Gli altri grandi scavi di fortilizi-regge, che oggi si stanno praticando a Genna Maria-Villanovaforru e a Piscu-Suelli, confermano e precisano la storia nuragica di Barùmini. Non minore è l’attenzione per gli abitati. In quelli di Palmavera-Alghero, S’Urbale-Teti, Bruncu Màdugui-Gésturi, Seruci-Gonnesa, le divisioni del terreno archeologico mostrano l’aspetto materiale e non soltanto materiale del vissuto nel declinare del II millennio a.C.; ma si colgono anche esiti successivi. Situazione analoga nell’arce di Antigori-Sàrroch, dove uno scavo ha messo in luce apporti di ceramiche micenee insieme a prodotti locali. Anche il tema delle architetture sepolcrali, precipuamente nella forma della tomba di Giganti, è stato approfondito, chiarendone l’evoluzione: dal tipo più antico, con la stele arcuata, a quello di struttura “nuragi-
ca”, alla varietà più recente con fregio a dentelli (in tutto circa 800 anni di svolgimento). Ampliato il quadro e analizzati più nell’intimo sono gli aspetti della religione, con l’aggiunta di scoperte di altri santuari (S. Cristina-Paulilàtino) e di templi a pozzo tra i quali eccellono, per architettura e suppellettile, quelli di S. Cristina e di Su TempiesuOrune. Ma presentano elementi di interesse struttivo pure i semplici pozzi di Sa Testa-Olbia, Cuccuru Arrìus-Cabras e Tatinu-Nuxis. Il progresso negli studi è segnato dalla pubblicazione di singoli monumenti o di generi monumentali (nuraghi, templi, tombe), artistici (statuette) e usuali (prodotti metallurgici). Ma sono i lavori di sintesi sulla civiltà nuragica che oggi ne consentono una conoscenza nel complesso, dilatata all’esterno. Ora non si può dire più, come una volta, che la preistoria sarda è un mondo bello, straordinario, il quale però non esce dal proprio guscio per confrontarsi. Diverse mostre l’hanno portata nella penisola e all’esterno ed è quasi d’obbligo affrontarne i problemi in congressi, seminari e altre manifestazioni scientifiche che si rivolgono ad aspetti protostoSardegna nuragica _ 19
rici e storici di culture mediterranee ed europee. La nuragologia si avvicina pian piano ai fasti dell’etruscologia. Insomma la civiltà nuragica non è più fuori del mondo, circola (e di più dovrebbe circolare) per largo spazio nella conoscenza degli studiosi e nel dominio del pubblico colto. A ciò è valso e vale un insieme di fattori favorevoli: c’è la puntuale attenzione sugli studi nuragici delle università sarde nelle quali esiste l’insegnamento delle antichità sarde, perfezionato nella Scuola di specializzazione in studi sardi; c’è pure una migliore organizzazione culturale (oltre che di tutela) nelle soprintendenze; sono cresciuti numericamente e in qualità gli archeologi. La presenza di riviste specializzate che trattano anche la nuragologia («Studi sardi», «Nuovo bullettino archeologico sardo», «Quaderni» della Soprintendenza di Sassari), la divulgazione a livello di associazioni e di scuola, l’esistenza di musei pure in piccoli centri hanno accresciuto l’interesse e la sensibilità del pubblico. Oggi la conoscenza della civiltà nuragica interviene altresì come fatto di “memorie”, di storia “sarda”, utile per figurare e rafforzare l’identità politica e morale dell’isola. 20 _ Sardegna nuragica
Su Nuraxi, Barumini
SEQUENZA E CRONOLOGIA DELLA CIVILTÀ NURAGICA
Fronte Mola - Thiesi
Friarosu - Mogorella
Corongiu ’e Maria - Nurri
S. Sabina - Silanus
Molineddu - Oristano
Palmavera - Alghero
22 Sardegna Nuragica
C
aduta l’idea del “blocco” e la mitologia cronologica, il mondo dei nuraghi, secondo gli studi attuali, si presenta come un insieme diversificato, dinamico, articolato nello spazio e nel tempo, con una vicenda storica lunga e peculiare, peraltro non astratta dalle cose esterne. Vi si riconoscono, per singoli periodi, caratteri e modi di pensare e di vivere differenti, dovuti a contributi personali delle comunità, a inclinazioni e a comportamenti d’epoca, anche a contatti o apporti etnici di fuori. Mille e trecento anni di storia nuragica (dal 1800 al 500 a.C., senza contare gli strascichi) recano in se stessi dimensioni tali da moltiplicare eventi e rivolgimenti, rispecchiati, d’altra parte, dalle forme visibili giunte sino a noi (monumenti e avanzi di cultura materiale). Appunto individuando lo stile diverso dei monumenti e il variare dei materiali (“spie” di cangianti modi di produzione degli uomini di allora), sono state identificate e proposte cinque fasi attraverso le quali è passato lo svolgimento, sempre progressivo, della civiltà dei Protosardi. Gli stessi dati archeologici e quelli provenienti dalla misurazione di radioattività di
sostanze organiche rinvenute negli scavi (prova del carbonio 14) offrono il supporto per definire, con una certa approssimazione al vero, i limiti cronologici di ciascuna fase. Ecco le cinque tappe nuragiche, con il riferimento alle tradizionali età della preistoria, e i termini di tempo: – fase I: 1800-1500 a.C. (Bronzo antico); – fase II: 1500-1200 a.C. (Bronzo medio); – fase III: 1200-900 a.C. (Bronzo recente e finale); – fase IV: 900-500 a.C. (Ferro antico); – fase V: 500-238 a.C. (Ferro recente). I 600 anni delle fasi I-II vedono lo sviluppo della cultura cosiddetta di Bonnànaro e il suo passaggio alla facies Subbonnànaro. Nei 300 della fase III fiorisce la “bella età dei nuraghi”. La stagione delle aristocrazie occupa i quattro secoli della fase IV. Infine, la fase V corrisponde a tempi nuragici di pura sopravvivenza e di resistenza conservativa nelle zone interne e libere, mentre in quelle conquistate dall’imperialismo cartaginese la civiltà nuragica appare completamente deculturata. Sardegna nuragica _ 23
URBANISMO ED EDILIZIA
Quello che si vede, qui, discende direttamente dalla preistoria”, ha scritto Manlio Brigaglia riferendosi al paesaggio agrario sardo, un paesaggio archeologico. Un blocco nel quale orizzontalmente si sono integrati tutti i successivi assetti storici e che dimostra di essersi saputo adattare alle varie realtà ambientali ed economiche del tempo nuragico e prenuragico. Circa settemila nuraghi e centinaia di villaggi e di tombe megalitiche di età nuragica rappresentano da un lato memorie importanti e significative di epoche che furono, dall’altro segnano “all’antica”, nel contemporaneo, i vasti e silenti spazi sui quali insistono da millenni. Compongono un paesaggio alla grande, sia perché è grande, nei volumi e nelle pietre che li formano, la misura delle costruzioni (megalitismo), sia perché la maglia urbanistica si diffonde in grandi campi, disegnando un insieme coerente tra artificio e natura: grandi monumenti di pietra in un’isola di pietra. La irregolare costellazione che trapunta, soprattutto di
“
Nuraghe Palm av era, Alghero
torri, l’intero territorio dell’isola si cominciò a formare nel Bronzo antico. Ma fu nel Bronzo medio, con l’intensificarsi dei nuraghi monotorri, e nel Bronzo recente, quando dai castelli-regge partirono impulsi organizzativi, che essa si andò dilatando sino a definirsi in un assetto e arredo urbanistico appagante i bisogni essenziali della vita. Fondamento economico-sociale ne era il ruralismo e quella del villaggio la cultura. Gli studi non sono giunti al punto da riconoscere precisi disegni del territorio, nella partizione economica dei suoli e nei suoi limiti. Né è possibile, al momento, indicare uno o più sistemi agrari, i quali, comunque, dovettero essere di livello non superiore a quello voluto da una società essenzialmente di pastori e contadini, a seconda della vocazione naturale dei luoghi di residenza. È però certo (e ciò si desume dalla disseminazione dei nuraghi ai quali tanto spesso sono associati nuclei di abitazione) che l’uomo era legato alla terra, in modo da farla fruttare al meglio. Sardegna nuragica _ 25
Purtroppo la ricerca non è così avanzata da suggerire dove il lavoro fosse libero (quando indirizzato al sostentamento di piccole comunità?) o servile (quando imposto dal profitto di classe dei principi dimoranti nelle regge-castelli, risultato della fatica di folta manodopera dipendente?). È stato fatto un calcolo teorico dello spazio di terreno coltivabile e di pascolo costituente il patrimonio rurale di un villaggio plurinucleare nuragico della zona pastorale. Sette nuraghi, con relativo nucleo abitativo, del comune di Mamoiada (Nuoro), occupano insieme un’area di circa 270 ettari. Ciascun nucleo aveva a disposizione 38 ettari di terra per circa 35 abitanti. Ciascun gruppo familiare (di 10 persone) fruiva di poco più di tre ettari per gli usi regolati dalla comunità. Nello stesso territorio di Mamoiada, un vasto tratto di campagna privo di abitazione umana sarebbe stato il salto di godimento collettivo dei pascoli. Nient’altro che una supposizione stimolante per una ricerca di economia agraria e di demografia nuragica. Sempre in via di ipotesi, calcolando 30/35 unità presso ogni nuraghe e moltiplicando la cifra per settemila nuraghi che si conoscono tra conservati e distrutti in tutta la Sardegna, questa avrebbe 26 _ Sardegna nuragica
avuto, nel periodo di maggior fiore della civiltà nuragica, 210/245 000 abitanti, più o meno quanti l’isola ne contava alla fine del secolo XV d.C., in seguito al grave depauperamento demografico dovuto alla guerra sardo-catalana. I tasselli dell’assetto urbanistico-economico del territorio si componevano all’interno dell’ordine politico e, per così dire, di governo che è stato riconosciuto dai più nel sistema cantonale. Tanti piccoli reamistato, con a capo sovrani nel Bronzo recente e finale e signori d’estrazione gentilizia (àristoi) nella prima età del Ferro. Ciò escluse il formarsi di un’unità regionale e tanto meno “nazionale” e, per contro, accentuò la divisione, cui contribuì pure la geografia dell’isola dalla natura frantumata. Questa segmentazione territoriale e politica, realizzata in organismi plurimi tanto spesso in conflitto tra di loro, sarà costante in Sardegna in tutti i periodi, tranne quelli in cui potenze imperialistiche (punica, romana, iberica) la ricomposero in forzata unità. La presenza nel territorio, di tanto in tanto e in punti di valore strategico ed economico, di nuraghi-castelli sorta di capitali dove risiedevano i majores (un termine medievale sardo che calza), conferma specularmente la struttura descritta.
Nuraghe Losa, Abbasanta
Tempio a megaron a Serra Orrios, Dorgali
Il nuraghe-castello si ergeva, più da vicino, ma separato da muraglia per tutelare la privacy del principe e della famiglia e, nello stesso tempo, segnare il potere ai sudditi, in prossimità quando non in contiguità del borgo. I palazzi-fortilizi di Palmavera-Alghero, Losa-Abbasanta, Su Nuraxi-Barùmini, Genna Maria-Villanovaforru, Seruci-Gonnesa e altri sono esemplari al riguardo. Spirano un’aria di Medioevo in anticipo di duemila anni. Preparato nel Bronzo medio, il tipo del borgo nuragico 28 _ Sardegna nuragica
si perfeziona nella fase III (1200-900 a.C.), quando trova, oltre quello del nuraghe, il complemento del tempio (uno e anche due) e/o dei sepolcri megalitici nella forma della tomba di Giganti. Un assetto complesso, tendente all’ordine, quasi urbano se non lo precludesse la funzione dell’insieme mirato e stretto al rurale, e di ruralità improntato anche nella rozzezza e nella grossolanità delle strutture compositive. L’ordito è piuttosto arruffato e affastellato, senza vie né spiazzi, a
elementi domestici staccati tra di loro che danno l’idea di minuscoli vicinati. Un’aggregazione fisica fuori dell’ordine “classico”, differente anche dall’immagine dei centri abitati mediterranei, tortuosi, con scale e vicoli, con case fatte a scatola addossate le une alle altre e con distacco fra quartieri di abitazione e sedi principesche. Intrico d’insieme abitativo, ma limpidezza nella singola casa di abitazione. La dimora, dal perimetro circolare, ha per fulcro l’ampio cortile sco-
perto, e talvolta tramezzato (Bruncu Màdugui), al quale convergono a raggiera i vani protetti da tetto di legno e frasche, al modo delle attuali capanne dei pastori, le pinnettas (o pinnettus), costituenti prezioso patrimonio etnografico. Nel cortile talvolta c’è il pozzo (Serra Órrios) e nel vano della cucina si disegna il focolare di forma rettangolare, come sa forredda dell’antica casa sarda rimasta sino a tempi recenti (Bruncu Màdugui) o rotondo, col pavimento di argilla che si è cotta per l’azione del fuoco (S’UrbaleTeti). Altri vani, aventi sedili in pietra alla base della parete, si possono individuare come soggiorno e quelli provvisti di uno o più nicchioni a muro (Su Nuraxi-Barùmini, Bruncu Màdugui, Seruci-Gonnesa) saranno stati stanze da letto, dove il letto era costituito da semplice giaciglio di pelli o strame. Il cortile poi era lo spazio in comune, di aggregazione così degli elementi architettonici come delle espressioni materiali dei componenti la famiglia (anche il luogo delle “parole perdute”). Dunque una casa che nasce con la propria famiglia, secondo la lunga tradizione sociale sarda, che accoglieva un gruppo familiare patriarcale di due generazioni (dal nonno Sardegna nuragica _ 29
al nipote) costituito di una decina di persone. Una casa per la sua forma centripeta racchiusa in se stessa, dove l’intimità è sottolineata dal comporsi “rotondo” del perimetro e dei singoli vani (che sono tante capanne riunite a tangenza), rotondità che dà l’idea di qualcosa di avvolgente, di guscio protettivo, quasi di grembo materno come è stato detto in linguaggio psicanalitico. È il modo di costruire a linea curva, applicato in tutte le forme dell’architettura nuragica (nuraghi semplici e complessi, templi a pozzo e in antis; esedre e absidi di tombe di Giganti). Prodotto di un vedere e sentire collettivo per “circolarità”; secondo un continuum, un non compiuto, l’infinito; geometria rotonda, conservatasi sino a noi nell’edilizia rurale. Questa forma di casa, definita nel Bronzo recente, si evolve già, agli inizi dell’Età del Ferro (IX secolo a.C.), sempre conservando lo schema introverso e centripeto, e raggiunge la perfezione nell’impianto e nella struttura verso la metà del VII secolo a.C. (Su Nuraxi-Barùmini). L’impianto regola meglio la generale disposizione e composizione dei vani, ora per lo più quadrangolari coordinati al centro non più dal vasto cortile ma da un piccolo 30 _ Sardegna nuragica
Il complesso di G en na Maria, Villanovaforru
atrio lastricato di precisa linea rotonda, provvisto alle pareti di stipi, talvolta col pozzo. All’atrio converge pure dal perimetro circolare l’andito dietro l’ingresso, avente ai lati sedili internati nel muro (forse anche armadietti) e, non sempre, lo stanzino riservato all’ospite indipendente dagli spazi di residenza della famiglia, che non sembra essere, come invece era prima, di tipo patriarcale. La specifica funzione degli ambienti è più determinata
ed evidente, cioè non esiste più lo spazio con duplice uso di soggiorno e di riposo: infatti mancano i sedili di pietra e i nicchioni a muro. Nel maggiore vano della cucina, nel quale erano riposti, oltre gli oggetti culinari e da mensa, gli attrezzi per la panificazione (macine, contenitori di terracotta, ecc.), appare un piccolo forno (la bassa capacità calorica consentiva la cottura soltanto d’un pane a sfoglia, come quello sardo detto oggi pane carasau o car-
ta da musica), che fungeva anche da focolare. Altro elemento di novità, in più del forno, è uno stanzino distinto per la raffinata costruzione, rotondo, con cupoletta in pietra (l’intera casa era invece protetta da un vasto tetto a scudo di legno e frasche, aperto in alto in corrispondenza dell’atrio, per dare aria e luce). Lo stanzino sta dietro la cucina e il forno. Le pareti a filaretti di quadrelli litici; il pavimento ben lastricato; un sedile di conci, limitato Sardegna nuragica _ 31
da braccioli all’estremità del giro interrotto all’ingresso, sufficiente al nucleo familiare; una conca di pietra sostenuta da base a poggiapiede, perfettamente lavorata a scalpello: ecco l’aspetto e gli ingredienti del minuscolo e riposto vano. L’accuratezza costruttiva (il resto degli ambienti è di fattura per lo più grezza) e la composizione raccolta, quasi da “penetrale”, offrono l’immagine di luogo destinato a un rito domestico: lustrazione collettiva con preghiere del nucleo familiare, o battesimo di bambini con acqua tiepida
o in ambiente tiepido perché sta dietro il forno, o consumo sacro in comune d’un cibo o d’una bevanda contenuta nel bacile al centro del sedile? L’aspetto evoluto, civile, comodo riguardo i tempi, della casa si riproduce nell’ordito del villaggio della prima Età del Ferro. Sebbene il tessuto edilizio giochi ancora sull’aggregazione non proprio ordinata delle case unifamiliari separate, queste ora sono collegate tra di loro da vie strette e tortuose, come comandava la circolarità del perimetro delle singole dimore. Vi sono inol-
tre spiazzi e pozzi comuni, embrionali fognature, collettori di spurgo dell’acqua piovana per non invadere viuzze e case. Insomma il privato fa delle concessioni al pubblico, cosa apprezzabile anche nella presenza di servizi artigianali: laboratori di pietre, di ceramiche. La tessitura del muro, curata in genere, raggiunge talvolta assetto di sapore estetico e funzionale nello stesso tempo. È il caso della fattura elegante degli stanzini per lustrazione e degli inserti nel grezzo murario di fasce con pietre composte a spina di pe-
sce in alcuni tratti di case del villaggio di Barùmini dove, meglio che altrove (Genna Maria, Mandra de sa jua-Ossi), si può apprezzare nella sua interezza ed evidenza il nuovo ordine edilizio. Insomma il vecchio megalitismo nuragico del II millennio a.C. se ne va, anche se resistono gli schemi essenziali di quella robusta architettura. Al suo posto sorgono forme di arredo urbanistico e finezze tecniche adeguate e pretese da esigenze di comunità, da bisogni collettivi di una società articolata. È possibile che a ciò abbiano contribuito stimoli e veri e propri contatti con esperienze e culture esterne assai progredite e a livello di città. Né ci stupisce che il tempo del rinnovamento edilizio corrisponda a quello in cui in Sardegna comandavano gli àristoi (capi gentilizi).
Il villaggio di Barumini Sardegna nuragica _ 33
I NURAGHI
ell’ottica protosarda che si fonda sul costruire “in rotondo” (ottica “barbarica” nel senso che non è “classica”, il “classico” va sull’ortogonale), il nuraghe è la forma esemplare, la più vistosa, la veramente architettata. Il paesaggio sardo colpisce a prima vista per la pleiade di volumi fisici rotondi che si succedono in continuità insistenti, martellanti tanto da fissarsi nell’occhio e nella mente dei visitatori come elemento assolutamente caratteristico di una terra e d’una civiltà straordinarie, dall’apparenza mitica, come una sorta di simbolo e di bandiera d’un popolo. Questi volumi rotondi sono i volumi dei nuraghi. E i nura-
D
Il Nuraghe Is Paras, Isili
ghi significano fascino di Sardegna, oltre la natura vergine e sconfinata, oltre il mare. Già il fatto che se ne abbiano circa settemila (senza contare quelli distrutti) desta la maggiore sorpresa. È un qualcosa per parecchi versi ancora misterioso o difficilmente esplicabile, questo pullulare di torri in ogni parte dell’isola, dalle coste alla montagna, in climi, morfologie, suoli ed economie diversi; questo adattarsi di una forma costruttiva rimasta nel nucleo simile a se stessa, a tanta varietà di contorno naturale e di uomini, e per lungo tempo. Evidentemente, una volta maturato, lo standard resse alla prova risultando perfettamente funzionale
ai luoghi e ai bisogni differenziati dei territori e alle stesse vicende storiche. Il fattore economico e le realtà fisiche più o meno produttive hanno determinato la diffusione qua più fitta (o fittissima), qua meno dei nuraghi. Hanno influito anche la disponibilità e la qualità del materiale da costruzione (più numerosi gli edifici dove la roccia offre blocchi a spigolo facili a collocarsi a secco, in numero minore dove il masso si stacca in elementi arrotondati meno idonei a fare muro). Rari i nuraghi nelle zone alluvionali di pianura, prive di materiale litico. Uno studio sui fattori geografici della distribuzione di 768 torri in circa 3963 kmq della Sardegna nord-occidentale porta la densità di un nuraghe ogni 4,81 kmq. Ma vi sono densità che superano un nuraghe per kmq, come nei territori dei comuni di Siddi e Sini, nella ferace regione della Marmilla. Il popolo chiama nuraghe ogni grosso accumulo di ruderi in grandi pietre, riferendosi perciò non tanto a una forma costruttiva determinata quanto invece a un aspetto vistoso di rovina megalitica. Di fatto il radicale nur di nuraghe si collega con la denominazione nurra che vuol dire “mucchio”, “accumulo” e anche il suo rovescio “cavità”, “calanca”. Il 36 _ Sardegna nuragica
doppio senso di nurra ha spinto taluno ad applicarlo pure alla forma originaria del nuraghe che, in verità, nelle strutture più grezze altro non sembra che una costruzione venuta su per “accumulo” di grosse pietre, mentre nell’interno a camera cupolata offre l’immagine come di grotta, appunto di “cavità”. Perciò oggi ci si è abituati, in sede scientifica, a chiamare propriamente nuraghe (che è poi una parola della lingua sarda di sostrato appartenente al ceppo mediterraneo preindeuropeo) la forma della torre troncoconica con lo spazio interiore voltato. L’estensione del termine ad altre forme megalitiche per certi elementi somiglianti (ad esempio gli pseudonuraghi, o nuraghi a corridoio o a galleria) non è corretta. Il nuraghe, al suo nascere, è un edificio di volume a cono tronco (ossia ristretto alla sommità piana), robusto perché di muratura molto spessa composta a secco con grosso materiale litico, decrescente in dimensioni e viceversa aumentante in qualità di taglio (questo si dice per le torri di migliore fattura tecnica, quella a filari) dal basso verso l’alto. Tale è la figura esterna. Le stesse caratteristiche murarie, fatte salve la misura inferiore delle pietre e spesso la maggiore grossolanità di lavo-
Interno del nuraghe Santu Antine, Torralba
ro e di messa in opera delle stesse, si ripetono nella parte interna. Qui il vano terreno e quelli superiori (da uno a due quando esistono) sono rotondi, conformati a sezione ogivale, ossia con le pareti progressivamente inclinate e diminuenti nel diametro dei cerchi litici che le compongono sino al culmine, dove il giro del soffitto non si chiude, ma lascia un foro coperto da leggere lastre orizzontali. È la classica forma di vano a falsa volta (tholos degli antichi Greci). Alla stanza a piano terra, illuminata debolmente dalla luce che filtra dall’esterno, introduce un andito, di solito provvisto sul lato destro d’una nicchia (cosidetta “garetta”) e di una scala contrapposta in muratura, che sale a chiocciola continuamente, a tratti schiarita da finestrini, alle camere
superiori e infine al terrazzo. Nelle torri nuragiche più antiche, la scala invece si apre, a notevole altezza dal pavimento, nella camera bassa, spezzando la spirale del percorso intermurario, per entrare in ogni vano superiore cui dà luce un finestrone. La stanza d’ingresso nei primi tempi si contiene nel semplice contorno circolare, poi si arricchisce, via via, di minori spazi: di uno o più nicchioni (sino a quattro) internati nella parete e, nell’ultimo sviluppo, di un deambulatorio concentrico al vano principale, ricavato nello spessore del muro (Santu Antine-Torralba). Mentre la sezione dei vani principali (anche di quelli superiori) è costantemente ogivale, i profili dei nicchioni e delle scale passano dall’ogiva al taglio trapezoidale, e l’andi-
to dalla sezione d’uovo volge a quella a trapezio e a rettangolo, quest’ultima con solaio piano. La porta d’ingresso, esposta ai quadranti da est a sudovest per avere più luce e sole, mostra l’architrave con spiraglio di scarico, così come i finestroni delle stanze in elevato, nei quali talvolta lo spiraglio rettangolare varia al profilo a triangolo come nei monumenti micenei (nuraghe OesGiave). Questa modulazione, come il cambiamento di indici (rapporto tra diametro base-altezza dei vani, rapporto massaspazio della struttura, ecc.), se si deve riferire al modo di costruire di maestranze diverse, si spiega anche col fattore cronologico, perché lo svolgimento articolare della forma originaria della torre ha avuto luogo in un lunghissimo periodo (600 anni). A questo punto il lettore vorrà sapere in che modo e con quali attrezzature si costruivano i nuraghi, portando a notevole altezza massi così grossi. La risposta è stata sempre quella generica suggerita per le piramidi egizie e per altre moli megalitiche, l’uso cioè d’un piano inclinato di terra e pietre, facendo scorrere i materiali su rulli. Ma osservazioni fatte nelle torri dei nuraghi Corbos-Silanus e SuccoronisMacomèr, dove il muro ester-
no fa vedere profondi e larghi incavi disposti obliquamente per l’elevato, hanno indotto a supporre l’impiego d’una sorta di robusto scalandrone di legno, lungo il quale saliva il carico di pietre e l’altro occorrente per comporre la struttura. Questa, infatti, oltre che di materia lapidea, aveva bisogno a protezione del terrazzo, nelle porte e finestre, nelle stesse camere, di manufatti di carpenteria (resti ne sono stati rinvenuti nella stanza a piano terra e nella scala della torre principale di Su Nuraxi-Barùmini). Per dare un’idea della dimensione monumentale, è il caso di fare conoscere qualche misura metrica di torri e camere libere da macerie. Sono le misure della torre centrale di tre nuraghi costruiti in periodi successivi. La torre di Barùmini si elevava, quando era integra, per m 18,60 su una base di circa m 10 di diametro (volume stretto e slanciato). Il vano inferiore, ampliato da due nicchioni e con scala sopraelevata, misura m 4,80 x 7,76 d’altezza (indice diametro-altezza Sardegna nuragica _ 39
di 0,61); il vano superiore è di m 2,40 x 5,90 (indice 0,40). Il tronco di cono del nuraghe Losa raggiungeva l’elevato di circa una ventina di metri sulla base di m 12,50. La stanza terrena, provvista di tre nicchioni (la scala sta nell’andito), misura m 5,20 x 7,60 (indice diametro-altezza di 0,68), quella alta m 2,60 x 3,80 (indice diametro-altezza 0,68). Nel torrione di Santu Antine, si misurano alla sommità m 23 sulla base di m 15,47. Il vano a fior di suolo contornato da deambulatorio (la scala sale dall’andito) è di m 5,46 x 7,93 (indice 0,68), quello rialzato di m 4,81 x 5,33 (indice 0,90). I passaggi di tempo sono ovvi dal primo nuraghe sino al terzo. Il primo (Su Nuraxi) si data al Carbonio 14 al 1460 ± 200 a.C.; è una torre co40 _ Sardegna nuragica
struita agli inizi del Bronzo medio. Gli altri (Losa e Santu Antine) sono da supporre eretti nel periodo medio e finale rispettivamente dell’età medio-bronzea. Si è fatta la ipotesi di includere e concludere in questa età tutti o quasi tutti i nuraghi monotorri. Quanto alla loro origine, si sale al Bronzo antico. Il Trobas di Lunamatrona (un bel volume di m 13 di diametro esterno con vano provvisto di due nicchioni di m 6,10 x 10,77, indice 0,56, e scala d’andito) sarebbe un esempio della prima fase costruttiva. Quale fu (ci si chiederà) la destinazione di queste torri e torrioni? La posizione, l’ambiente, la vicinanza all’acqua, la convenienza di suoli, la robusta struttura e l’elevazione sono elementi che portano a
suggerire la funzione civile e quotidiana degli edifici. Vi si viveva (soprattutto nei piani alti arieggiati e illuminati) e vi si vigilava, all’occasione, sulle risorse del territorio (biade, bestiame e altro). Quando i nuraghi si infittiscono e si compendiano in una certa delimitazione, si tratta di nuclei abitativi (non mancano le capanne intorno alle torri) di uno stesso clan. In periodo di emergenza, se il clan veniva alle mani con altri clan limitrofi, la gente inerme, mentre i validi lottavano, trovava provvisorio rifugio nelle torri. Sino a tempi non lontani, in Sardegna, i conflitti tra gruppi (di pastori e di contadini) per ragioni di possesso (fossero pa-
scoli o terreni seminati) erano all’ordine del giorno. Un’interpretazione di tal genere per le migliaia di nuraghi monotorri sparsi a grappoli nelle campagne di tutta l’isola, se non del tutto certa, è molto ragionevole. Qualche piega dell’enigma si risolve. Nel Bronzo recente e finale, i nuraghi presentano un singolare e straordinario nuovo fenomeno, nel quale si deve leggere una storia complessa, come complessa diviene la figura dei monumenti. A un buon 30% delle antiche torri isolate (i nuraghi monotorri) si addossano, fasciandole e rinforzandole, altre torri minori in vario numero, producendo schemi architettonici differenti, sempre vistosi e non di rado colossali.
Sardegna Nuragica 41
Gli elementi aggiunti al nucleo di massima si contengono in un sol piano, talvolta se ne presentano due (Su NuraxiBarùmini); le camere mantengono la forma ogivale, raramente hanno nicchioni, spesso, invece, feritoie che fungono anche da finestrini per la luce. Dall’insieme risulta un nuraghe che si può chiamare plurimo o aggregato o polilobato, nel quale le strutture di addossamento, unite tra di loro da cortine rette o curvilinee, formano una massa domi-
nata al centro dalla torre maggiore (la torre antica) assomigliabile a un mastio. L’integrazione della massa avvolgente al nucleo può avvenire in tre modi: frontalmente, di lato, e a giro intero o parziale. Nell’addizione frontale, un semplice cortile precede la torre maggiore (Giba ’e scorca-Barisardo), oppure un cortile racchiuso all’estremità opposta da una torre minore (Molineddu-Sèneghe); altrimenti due torri minori coas-
siali prospettano direttamente sul mastio (Monte ’e s’orcu Tueri-Esterzili). La stessa addizione frontale talvolta prende sviluppo laterale, consistente in due torri minori, congiunte da cortina, che si espandono lateralmente al nucleo; la compagine di addossamento lascia scoperta in parte la torre centrale, talvolta prosegue in giro sino a contenerla tutta.
Spesso un cortile coordina gli accessi all’insieme delle torri (nuraghe Sa mura ’e mazzala-Scano Montiferru); in altri nuraghi ad addizione frontale con espansione laterale elemento di raccordo è l’ingresso della torre centrale prolungato nella struttura aggiunta, verso cui convergono lunghi corridoi dalle camere delle due torri minori (CrastaSantu Lussùrgiu).
Ricostruzione ipotetica del complesso nuragico di Barumini 42 Sardegna Nuragica
Sardegna Nuragica 43
L’addizione laterale tangenziale dà luogo a varietà notevole di schemi integrati: combinazione di nucleo e una torre (Pùliga-Loceri), o due torri (Su Concali-Tertenìa), o una torre e cortile (Mudegu-Mògoro), o due torri e due cortili (Santa Sofia-Gùspini) e infine tre torri (Noddule-Nuoro). Il fasciame concentrico sviluppa forme polilobate, nelle quali i lobi sono dati dagli elementi turriti periferici. Si hanno così nuraghi trilobati a torri marginali sporgenti, unite da cortine rettilinee (Pranu NuracciSiris) o curvilinee (Longu-Cùglieri), oppure con sequenza continua ad andamento concavo-convesso di torre e cortile (Santu Antine, Losa, Logomache-Fonni). In altri nuraghi lo schema concentrico è quadrilobato, con andamento di torri e cortine spezzato (Su Nuraxi) o a sinuosità continua (Santa Barbara-Macomèr). Infine si hanno impianti di avvolgimento pentalobati (Orru-
N u r a g h e S . B a r b a r a, Macomer
biu-Orroli) ed esalobati (Genna Corte-Làconi). In queste moli di pianta così complessa, con ingegnose soluzioni architettoniche, fu impiegata una grande massa di manodopera (da supporre servile) guidata da maestranze specializzate, in un disegno organico di fabbrica cui è sottesa una direzione mirata all’uso funzionale di tali monumenti. Colpisce, intanto, la varietà delle forme di aggregazione delle partiture aggiunte al nucleo antico, che denota creatività e adeguamento ai luoghi e ai tempi. Una flessibilità che non na-
sconde l’arte di introdurre in edifici dall’apparenza così massiccia e compatta giochi e soluzioni architettoniche che li articolano in modo da rendere appagante la fruizione e, nello stesso tempo, offrire un’immagine in qualche modo estetica, comunque di for-
te impressione. Il fascino deriva, nei nuraghi di superiore architettura, da particolari meglio studiati e ostentati, nel pur rigoroso tessuto generale della costruzione. Dico delle grandi gallerie, assimilabili a quelle di Tirinto, nel nuraghe Santu Antine; dell’alto terso e fluido, spettacolare catino del cortile del Su Nuraxi-Barùmini; dello spartito, in questo come in altri nuraghi (Santu Antine, Genna Maria, Orrubiu, ecc.) dei mensoloni, a livello del terrazzo, che sospendevano il balcone del piombatoio, modulando la scarna e severa struttura muraria.
Miracoli di ingegneria se rapportati all’epoca, ai quali sta dietro una salda organizzazione. Matura ingegneria e disegno funzionale che si esplicano nel completamento dei nuraghi polilobati con cinte avanzate (antemurali), costruite a protezione dei baluardi interni. Le lizze, che si lasciano dietro lo spazio necessario per il passaggio, la manovra e, all’occasione, il rifugio di persone e di cose, si snodano in torri (sino a sette) con unico o doppio ordine di feritoie e cortine di congiunzione, pur esse munite di feritoie, cui si addossano all’interno le scale in muratura per salire al piano di ronda: il duplice accesso è guardato da saettiere (Palmavera-Alghero, Su Nuraxi, Genna Maria, Orrubiu e altri). Nell’antemurale di nuraghe Losa fu applicato un dispositivo a cremagliera con feritoie a tiro incrociato. In una delle torri della cremagliera, inter46 _ Sardegna nuragica
na alla ridotta (una ridotta a tenaglia sporge invece dalla lizza di Su Nuraxi), è ricavato un pozzo a muro, non essendocene dentro il baluardo a tre lobi, a differenza dei pozzi presenti nel cortile e in camere dei nuraghi Santu Antine, Su Nuraxi, Lugherras-Paulilàtino, Orrubiu. A Losa si osserva anche, eccezionalmente, la grande muraglia esterna che include nuraghe e villaggio, una cinta megalitica assai rozza d’aspetto, di m 292 x 133, provvista di due torrette, un saliente e sette accessi (quattro posterule e tre porte a dipylon aperte in torricelle con tetto a falsa volta). Se chi mi legge ricostruirà mentalmente in insieme mastio, baluardo polilobato e antemurale turrito, e terrà presente che le tre partizioni architettoniche si elevano a quote diverse (circa a m 20, 15 e 10) non avrà difficoltà a riconoscere, in queste terrazze degradanti dal centro alla pe-
riferia, un sistema fortificato di difesa, caratteristico della guerra d’assedio. Ciò e tutto l’altro che è stato detto circa la forma, la struttura e i congegni dei nuraghi plurimi rende persuasi sulla ragione ultima di queste imponenti e formidabili costruzioni: che sono castelli e, nello stesso tempo, sedi di abitazione e governo di signori e di principi. Sono palazzi-fortilizi (regge se si vuole dire altrimenti), rispondenti pienamente alla storia e alle vicende traversate da conflitti interni ed esterni, nel tempo della “bella età dei nuraghi” (così si può chiamare il tratto di secoli dal 1200 al 900 a.C.) e negli inizi della stagione delle aristocrazie (900 - metà VII secolo a.C.). Diversa cosa dai nuraghi sono gli pseudonuraghi o nuraghi a corridoio o a galleria. Ciò che li accomuna è soltanto la tecnica costruttiva a grosse pietre senza malta; di superficie, se non casuale, qualche al-
tra rispondenza di dettaglio. Di pseudonuraghi se ne contano oggi centottanta. Sono strutture rozze e basse, molto inclinate al filo esterno. Il contorno varia dal rotondo all’ellittico, al subquadrato e al rettangolare (Cùnculu-Scano M., Gianna Uda-Bonarcado, Tanca Manna-Tempio, Fronte Mola-Thiesi). L’interno, al piano terra, si presenta con uno o più corridoi a solaio piano, che diventano gallerie quando attraversano in lungo o in largo la costruzione, che allora mostra due ingressi contrapposti (Tusari-Bortigali, Sèneghe-Suni, Budas-Tempio). Al lato o ai lati del corridoio si aprono cellette in coppia, talora ripetute, così da formare uno schema a transetto (citati Tusari, Sèneghe, Fronte Mola) e partono scale in muratura, a zig zag, che mettono al piano unico superiore dove spesso stanno i vani di dimora, rotondi o quadrangolari, col
Sardegna nuragica _ 47
N u r a g h e A l b u c c i u, Arzachena
tetto in legno e frasche (Bruncu Màdugui, Fronte Mola). Eccezionale, e in ogni caso embrionale, la falsa cupola litica (Friarosu-Mogorella, Peppe Gallu-Uri, quest’ultimo con ingresso sopraelevato dal suolo). Sembra che la forma dello pseudonuraghe abbia preceduto nell’origine quella del nuraghe con la tholos, il quale peraltro ha premesse nella torre circolare a copertura lignea dell’età del Rame (Sa CoronaVillagreca, Taro o Cort’e Brocci-Giara di Gésturi). Lo pseudonuraghe si afferma nel periodo del Bronzo antico, mostrando però piante di corridoio (a elle, a transetto) in Corsica, in Bretagna e in Inghilterra già presenti in tombe dell’età dei primi metalli (o Calcolitico). Del resto in quest’ultima età (verso la fine) pare essere stato costruito lo pseudonuraghe di Bruncu Màdugui, a tener conto della cronologia a C14 intorno al 1820 a.C. In un certo momento (Bronzo medio) si nota la fusione di nuraghe a tholos e pseudonuraghe, esemplificata dagli edifici di Albucciu-Arzachena (cronologia a C14 del 1220 circa a.C.), Tanca Manna-Fonni, Gurti Aqua-Nurri, Su Molinu-Villanovafranca, ecc. Sebbene altrove lo schema a corridoio dello pseudonuraghe trovi esclusiva applicazione in sepolcri, in Sardegna fa
luogo a costruzioni che si devono ritenere destinate ad uso corrente: ad abitazione, come dimostrano le camere al piano superiore o i terrazzi, la presenza dei quali, taluni provvisti di balconcini su mensole (Albucciu), suggerisce anche una certa funzione di vigilanza, come semplice avvistamento di turbative o pericoli relativi alla terra e alle sue risorse produttive. A questo punto occorre ricordare, sia pure di scorcio, le colline e montagne fortificate da recinti contenenti il nuraghe, torri minori e nuclei di capanne nell’Ogliastra (SerbissiOsini, Scerì-Ilbono), in Gallura e altrove. In particolare, poi, non si può omettere un cenno all’arce di Antigori-Sàrroch. Qui una collina isolata è coronata da una roccaforte a sistema di cinque torri e di cortine collegate col dirupo naturale, avente al culmine dell’area terrazzata un nuraghe monotorre. Insieme a ceramiche locali, vi si sono rinvenuti un centinaio di vasi micenei, del Miceneo III b (1340-1210) e c (12001110 a.C.). È ovvia l’importanza dell’insediamento nuragico in un punto strategico del golfo di Cagliari, e così il significato dei ritrovamenti per la storia dei contatti tra Sardi indigeni e popolazioni esterne del Mediterraneo. Sardegna nuragica _ 49
LE TOMBE
a civiltà nuragica eredita alcuni tipi tombali dal Neolitico e dal Calcolitico, e altri li elabora originalmente. Tra i primi c’è il tipo dell’ipogeo, detto popolarmente in lingua sarda domu de janas (“casa di fate”). In età prenuragica si costruirono a migliaia le grotticelle a cominciare dal Neolitico medio (cultura di Bonuighinu: 3730-3300 a.C.), per infittirle nel Neolitico recente (cultura di Ozieri: 3300-2490) e continuarle nel Calcolitico (culture di Abealzu, Monte Claro e corrente “del vaso campaniforme”: 24901800). Nel Bronzo antico (ossia nella prima fase della civiltà nuragica: cultura di Bonnànaro), l’uso dell’ipogeo si dirada, limitato a territori del Sassarese e del Goceano nella Sardegna settentrionale, mentre nel resto dell’isola cessa completamente, per far luogo alle tombe in costruzione megalitica. I poco più di trenta ipogei di questo periodo (il 75,7% costruiti ex novo, i restanti riadattati) si distinguono per due caratteristiche.
L
Tomba di Giganti Camp u Lo ntanu, Florinas
La prima (relativa alla maggioranza di essi) è che la pianta resta conclusa in un’unica celletta di forma rotonda, per lo più con soffitto concavo (per esempio San Giorgio-Sassari) o rettangolare ed ellittico-ovale (per esempio S. Maria de iscalas I-Osilo, ChercosUsini, Sas Puntas o Binza de sa Punta-Tissi). Alcune grotticelle a cameretta rettangolare mostrano una banchina perimetrale, che include una fossa intorno alla quale si girava per non calpestare i defunti, e nicchiette sovrastanti per offerte (Molafà-Sassari, S’iscia ’e sas piras I-Usini). Sono simili a ipogei dell’isola di Maiorca (per esempio Son Sunyer 5-Palma) del Bronzo antico balearico (dal 1800 al 1500 a.C.). La seconda caratteristica consiste nell’architettura della facciata che presenta, scolpita nella roccia, una stele ricurva sopra la porticina d’ingresso ai cui lati, talvolta, si rilevano dei sedili. Inoltre, sull’alto del prospetto all’inizio della copertura esterna talora conformata a sezione di botte (Campu Lontanu-Florinas), figurano costantemente tre incavi Sardegna nuragica _ 51
contenenti altrettanti betilini di pietra a coronamento decorativo e simbolico della tomba (i betilini sono stati trovati ancora in posto nell’ipogeo VIII di Sos Furrighesos-Anela). Profilo arcuato della facciata, stele, banchina, incavi sono particolari architettonici e di arredo che si riscontrano nella tomba megalitica detta di Giganti. Ciò dimostra la contemporaneità degli ultimissimi e segregati prodotti dell’ipogeismo sardo con le prime manifestazioni di una tipica forma “isolana” di sepolcro, destinata a diventare costante nell’uso, essendone durata la costruzione per almeno 800 anni. Appunto il megalitismo è la nota dominante nell’architettura funeraria del tempo dei nuraghi. Senza escludere la persistenza del dolmen semplice, conosciuto in Sardegna sino dal Neolitico recente, la forma derivata della allée couverte (“viale coperto”), anche essa presente durante lo svolgersi delle culture di Ozieri e di Abealzu (Sa Corte noa e Sa corte ’e pranu maore-Làconi), si afferma e si diffonde nella prima fase della civiltà nuragica (Bronzo antico). Allées a lungo vano rettangolare per lo più interrato, limitato e coperto da rozzi lastroni, la facciata rettilinea, il tutto nascosto da tumulo di terra e pietre (i mor52 _ Sardegna nuragica
ti inumati collettivamente), furono costruite, in questo periodo, in diverse parti della Sardegna. Basti ricordare i sepolcri megalitici, con struttura ortostatica, di Li Lolghi e Coddu Vecciu-Arzachena, di Monte de s’ape-Olbia, di Su Cuaddu de Nixiàs-Lunamatrona, poi trasformati in tombe di Giganti con stele arcuata nel mezzo dell’esedra, nell’andante Bronzo antico e nei primi tempi del Bronzo medio. Nella prima fase nuragica furono fabbricate le allées di San Michele e Tramassunele-Fonni, che si distinguono per essere fornite nel prospetto di larghissima stele trapezoidale col portello scolpito alla base. Ma nel Bronzo antico nasce e si sviluppa soprattutto la tomba di Giganti, di stile dolmenicoortostatico. Questa si differenzia dalla allée per il disegno del prospetto a esedra concava, definita da lastroni infitti verticalmente che vanno crescendo in elevazione dalle estremità delle ali al centro dove domina, con valore architettonico e significato simbolico, l’alta stele monolitica o bilitica, con uno o due listelli trasversali, talvolta con incavi (finestrelle finte) al lato della porticina ricavata al piede della stessa stele. Esempio assai antico è la tomba di Giganti di Aiodda-Nurallao, con stele arcuata a finestrelle finte (come
Tomba di Giganti S u Cuaddu de Nix iàs, Lunamatrona
Ricostruzione ideale di Tomba di Giganti
nella stele di Su Cuaddu de Nixiàs). Il vano a “naveta”, di sezione ovale, è strutturato a filari di pietre in gran parte ricavate da spezzoni di statue-menhirs “armate”, di età calcolitica (cultura di Abealzu?): misura dal fondo all’interno del portello m 8,93 di lunghezza x m 1,96 / 1,06 di larghezza. Statue-menhirs non “armate” ma provviste d’un oggetto in forma di paletta (forse simbolo di potere e di comando) identico a quello recato alla vita da sculture eneolitiche del Mezzogiorno francese, stavano nell’esedra, a protezione dei morti (in questo caso parrebbero grandi capi di tribù), della tomba di Pedras Doladas-Silanus. Le statue sarde sembrerebbero più recenti di quelle francesi e contemporanee al sepolcro che si ritiene essere stato costruito agli inizi del Bronzo antico. 54 _ Sardegna nuragica
Il tipo dolmenico-ortostatico della tomba di Giganti continua a svolgersi durante il Bronzo medio (facies Subbonnànaro: 1500-1200 a.C.), in particolare nella Sardegna centro-settentrionale. È ben nota di questo periodo la maggiore delle tombe di Goronna-Paulilàtino. Una monumentale costruzione in basalto lunga m 24,60, camera di m 18,25 di lunghezza x m 1,31 di larghezza (superficie mq 23,90); una lastra della copertura misura mc 2,16 e pesa t 6,78. Trovati fra l’altro, a corredo dei defunti, un vaso con ansa a processo asciforme e un contenitore biconico a tesa interna, decorato a specchi riempiti di punti impressi col pettine. Nell’esedra un betilo conico di basalto, d’un tipo presente anche in altre tombe di Giganti del genere (vedi capitolo Monumenti di culto). Un analogo
contenitore, con altre forme vascolari, fu deposto nella simile tomba di Palatu-Bìrori (corpo di m 14,50 e m 4,00 di lunghezza e larghezza rispettivamente, vano di m 11,55 x 1,10). Le analisi di idratazione di campioni d’ossidiana, facenti parte della suppellettile funeraria, hanno fornito datazione di 1588 ± 200 e 1334 ± 126 a.C. Nello stesso tempo, nella Sardegna centro-meridionale, fa la sua apparizione e si sviluppa un altro tipo di tomba di Giganti, a struttura propriamente “nuragica”, cui non è estranea la grande voga che prende il nuraghe monotorre. Permane la sagoma a corpo rettangolare absidato con esedra (schema che sembra simbolizzare la testa del toro). Però sparisce il tumulo, così che la struttura litica diventa, per così dire, “solare” e offre alla vista e all’attenzione spirituale le belle linee scandite a filari nei fianchi rettilinei e nella dolce curva dell’abside. Nell’esedra non c’è più la stele o altro ornato, rimane la nuda ed elegante prospettiva del muro concavo ordinato a file di pietra. Il portello è aperto nel muro; dietro sta l’oscuro e impressionante vano tombale. Al lettore presento due esemplari di tale tipo di tomba, se mai gli venisse voglia di fare una visita.
Sulla “giara” di Siddi (un altopiano dal paesaggio arcaico, quasi un fossile) spicca la tomba di Sa domu ’e s’orcu “la casa dell’orco”. La mole megalitica si allunga per m 15,20, la facciata ricurva si apre per m 18, la copertura offre l’immagine d’una chiglia di nave rovesciata. Forte l’inclinazione della continua ritmica muratura, a filari di basalto e lava: (da 20 a 30°). La camera, di sezione trapezoidale con aggetto di 8°, copre la lunghezza di m 9,72 x 1,24, con elevazione di metri 2,45/2,36; la chiudono lastroni da 4,16 a 1,59 mc e del peso da 12,48 a 4,77 t. V’è una celletta, a sinistra di chi entra, sopraelevata sul pavimento acciottolato. Figura e struttura interna ed esterna trovano riscontro speculare in naus o navetas di Minorca, nelle Baleari (ad esempio Rafal Rubí-Mahón): lo stesso respiro megalitico, un clima d’epoca, un modo di vedere e costruire mediterraneo-insulare. L’altra tomba che propongo per la visita è quella, in granito, sita in località San CosimoGonnosfanàdiga chiamata Sa grutta de Santu Giuanni “la grotta di San Giovanni”. È la più grande che si conosca a oggi in Sardegna: 30 m di lunghezza, compresa la crepidine che la sostiene, e 24,10 di larghezza all’esedra. Vano a sezione tronco-ogivale, lungo m Sardegna nuragica _ 55
16,50, largo 1,40 (superficie mq 23), alto 1,90. Interessante il corredo includente, tra le altre forme vascolari, contenitori a tesa interna con decorazione a punteggiato e nervature, come a Goronna e Palatu (da qui la contemporaneità del tipo di tomba di Giganti “nuragico” e di quello dolmenicoortostatico con stele arcuata). Furono rinvenute anche perle di pasta vitrea, gioielli d’importazione (micenea, egizia, europea?). Mentre il tipo “nuragico” perdura nel Centro-sud dell’isola per tutto il tempo del Bronzo recente e finale (1200900 a.C.), quello dolmenicoortostatico del Centro-nord viene gradatamente a cessare e lo sostituisce un altro tipo di tomba di Giganti che si caratterizza per la raffinata lavorazione a scalpello della struttura muraria e la precisa collocazione in opera delle singole membrature architettoniche, dove si alternano ortostati e filari, e per la presenza costante, al centro dell’esedra, di una o due pietre sagomate e fregiate
Tomba di Giganti Madau, Fonni
con una partitura di quattro dentelli separati da tre incavi (un elemento decorativo e anche simbolico incentrato sul concetto religioso ternario). Di natura simbolica sono altresì le lastre di fondo del vano funerario aventi un rilievo quadrangolare (Bhatos-Sédilo), Sa Màrghine-Talana, Roja de murta-Bauladu: la lastra di quest’ultima tomba con perni d’incastro nelle fiancate e nel tetto; lo sono inoltre le pietre quadrangolari e pentagonali con rilievi a ogiva, a triangolo e in quadro, da interpretarsi forse come chiusini (TamuliMacomèr). Sino ad ora conosciamo una trentina di tombe di Giganti con fregio, estese dalla Gallura all’altopiano di Abbasanta e dalla Planargia alle Baronie e all’Ogliastra per il Marghine e la Barbagia.
Eccezionale la presenza nel Sud: la tomba di Su nidu ’e su crobu-S. Antioco, nella quale il monolite trapezoidale con i dentelli fu integrato successivamente nella struttura in opera poliedrica di roccia vulcanica del sepolcro più antico.
Vorrei invitare chi mi legge a fare una visita al gruppo di quattro tombe di Giganti di Madau-Fonni, dove venivano sepolti gli abitanti di tre prossimi villaggetti situati nella
Interno della Tomba di Giganti di Madau, Fonni
bella valle del riu Gremanu, sotto il passo di Corru e boe (s’arcu de corru e boe è chiamato in sardo, perché ha la forma di corna di bue: vi si vedeva il segno della divinità taurina al modo che gli Egizi visualizzavano Apis, il grande dio di Menfi?). Spicca nel gruppo la maggiore tomba, un monumentale mausoleo di preziosa architettura. Eleganti e levigate le strutture, in granito. Lungo m 22,20 dall’abside alla corda dell’esedra ampia 24 m, il corpo murario composto a sfoglie contiene il vano funerario, di pianta trapezoidale (m 9 x 1,20/1,00), ogivale in sezione con pareti a filari di conci strapiombanti e coperte all’altezza di m 1,50 da lastrine di schisto. Nel pavimento sono stati reimpiegati lastroni, taluni con incavi, appartenuti alle fiancate o al soffitto d’una più antica tomba di Giganti (del Bronzo medio), della quale sono stati messi in opera nella nuova anche un grosso spezzone della stele arcuata, che fa da soglia al portello, e squadroni della muratura formanti il bancone delle offerte. Un chiusino di cm 64 x 57/52 ferma il portello, che era sovrastato dal fregio a dentelli (qui ricavato in due elementi litici sovrapposti): unico ma distinto e significativo segno, messo a modu-
lare, nell’esatto centro, la mostra tersa della facciata, composta da filari orizzontali regolari di conci sulla base ortostatica di lastroni di perfetta finitura. Davanti al portello sta il focolare rituale di purificazione. La facciata emerge tutta in vista sino dalla base che nel resto della tomba è nascosta da un tumulo di terra e pietre di rincalzo alla struttura d’impianto, inclinato verso l’esterno per facilitare lo sdoccio dell’acqua piovana (all’interno del tumulo sono stati rinvenuti mazzuoli, asce a gola, percussori di pietra dura, gettati lì in pezzi, dopo aver servito a tagliare e rifinire il materiale litico delle strutture della nuova tomba). Il tumulo si ferma all’altezza d’una crepidine che gira intorno al vano sepolcrale, e fa luogo alla sofisticata sovrastruttura di coronamento che risalta in bella evidenza architettonica con la sagoma a “naveta” (simbolo della “barca dei morti” e del viaggio ultraterreno) per l’altezza di m 1,50 sopra la platea. Elementi del corredo funerario (cote, braccialetto di bronzo, fuseruola fittile), oltre le ceramiche, suggeriscono la presenza di morti dei due sessi. Assidua era la presenza dei parenti nell’area cerimoniale dell’esedra, e copiosa l’offerta di cibo e bevanda contenuti in vasi di terracotta lisci e decoSardegna nuragica _ 59
rati con la tecnica dell’impressione a pettine tipica dell’epoca, rinvenuti in pezzi per essere caduti dal bancone su cui erano stati deposti all’origine. Si aggiungono, tra i doni, macine e pestelli di pietra associati all’offerta di grano e orzo,
Tomba di Giganti di S’ena ’ e Tom es, Dorgali
e betilini di trachite, simboli forse della divinità taurina (o di altra divinità) protettrice dei defunti, oppure aventi significato scaramantico. Simili oggetti rituali sono stati trovati anche nelle tombe di Giganti con fregio a dentelli di Ba-
thos-Sédilo, Elighe Onna-Santu Lussùrgiu e di Su Nidu ’e su crobu (corni litici in roccia tufacea). L’ultima forma di tomba nuragica non è più megalitica. I sepolcri individuali della stagione delle aristocrazie (dal 900 al 500 a.C.) sono a
pozzetto e a cassone. Nei pozzetti di Monti Prama-Cabras i morti erano stati inumati in posizione seduta. La suppellettile è tutta di cultura “geometrica” e “orientalizzante” (statuette e armi in bronzo, ceramiche, gioielli).
MONUMENTI DI CULTO
a grandiosità, l’attrezzatura e la simbologia fanno delle tombe megalitiche veri e propri monumenti di culto: del culto dei morti, fossero questi personaggi di prestigio (capi antenati eroizzati dei quali parla la tradizione letteraria, dicendoli capaci di erogare salute a chi “incubava” presso i loro sepolcri), fossero componenti di un gruppo o d’una comunità in cui si riassumevano le virtù determinanti la devozione dei vivi. Il megalitismo dei sepolcri fissa in grande le memorie, e dà il senso che si sia costruito per l’eternità: ciò fa parte dell’idea religiosa e del culto. Più chiara diventa questa concezione quando si ha presente l’associazione alla tomba di arredi rituali (li abbiamo addietro indicati) ma soprattutto di semata (“segni”) figurati che attengono al sacro. Tra gli ultimi risaltano i bètili, conici e troncoconici, alti da uno a due metri: i conici legati alle tombe di Giganti del Bronzo medio, gli altri ai sepolcri del Bronzo recente e finale. Se ne conoscono una cinquantina,
L
Betili da Tamuli, Macomer
quasi tutti in basalto, una roccia scura adatta, come le forme stilizzate e astratte, al dominio dell’aldilà. Significativi appaiono i bètili conici fallici e con mammelle (Tamuli-Macomèr), nei quali è facile riconoscere l’entità maschile e quella femminile che, coniugandosi presso la stessa tomba, simboleggiano la copulazione di divinità dei due sessi al fine di ricreare la vita spenta nei morti. Ierogamia sessuale allusa anche nell’accoppiamento di segni di falli e mammelle in altre tombe di Giganti. Quanto ai bètili tronco-conici, ve ne sono con incavi scolpiti tutto all’ingiro poco sotto la sommità in numero dispari (da tre a cinque). Gli incavi rappresentano occhi e, nell’essenza, il monolite subantropomorfo vuole figurare una divinità guardiana dei defunti, una sorta di Argo panoptès, cioè dai numerosi occhi (sarà la “dea degli occhi” neolitica, sarà un essere assimilabile al “mostro” dai quattro occhi e quattro braccia, due spade e due scudi effigiato in statuine di bronzo del santuario di Abini-Teti?). Sardegna nuragica _ 63
Pozzo Sacro di S a n t a C r i s t i n a, Paulilatino
Di grande interesse sono appunto i santuari, il cui tessuto religioso si incentrava per lo più sul tempio a pozzo, dove si venerava la (o le) divinità dell’acqua di vena e che, talora, si arricchiva di altri sacelli. Il santuario di Abini, situato nella remota e solitaria valle di Sa badde de sa domo e di Sa badde de sa bidda (“la valle della casa” e “la valle del paese”, nome derivato dalla presenza di alcune capanne circolari del villaggio nuragico), era fre64 _ Sardegna nuragica
quentatissimo dalla gente di montagna, soprattutto nella prima Età del Ferro; ma la vita vi è documentata sin dal Bronzo medio e in quello recente. La festa vi si doveva celebrare sul finire della primavera o all’inizio dell’estate, quando l’impetuoso fiume Taloro consentiva l’accesso sicuro. Nel duplice recinto del sacello delle acque, costruito in eleganti blocchi di trachite, stavano esposti, appesi alle pareti o impiombati su piedistalli litici,
gli ex voto in bronzo e altra materia. Circa un migliaio di armi e oggetti enei, tra cui un centinaio di statuette, vennero raccolti nel secolo scorso, costituendo la più ricca stipe votiva del tempo dei nuraghi. Vennero fusi in un’officina prossima al luogo di culto, come dimostrano elementi di stagno, rame e di lignite usata come combustibile; vi si trattava pure il piombo e il ferro. Fervore di fede, di lavoro e, nell’occasione festiva, di mer-
cato. Ancora oggi la gente barbaricina favoleggia di demoni della pioggia che si aggirano a frotte tra rupi di granito e boschi, nella convalle e nelle montagne circostanti e la favola aumenta la suggestione del sito. Nel santuario di S. CristinaPaulilàtino, steso su un altopiano tra antichi olivi, poco distante dal nuraghe e dal piccolo borgo nuragico, fa spettacolo il meraviglioso pozzo sacro, contornato dalle casette Sardegna nuragica _ 65
per i novenanti e dai posti di mercato. Si vedono inoltre l’ampio vano della sacrestia e il recinto per la fiera del bestiame. Già verso il IX secolo a.C., come testimoniano le statuette in bronzo fenicie e indigene, il sacro vi esplodeva, come avviene ancor oggi nel “muristene” presso la chiesetta rustica della santa, che, nella forma circolare, imita l’antico. Ma è in quello di S. Vittoria di Serri, visibile quasi da ogni parte situato com’è in un paesaggio d’incanto sull’aperta e dominante “giara”, che appare completa l’organizzazione del santuario. Il disegno edilizio e architettonico consta di parti diverse, mirate a comporre festa religiosa e civile, mercato e assemblea politica. C’è, ben distinta, la zona templare (un tempio a pozzo e un sacello rettangolare). Gli spassi e i giochi festivi e gli affari del mercato si svolgevano in un vasto recinto ellittico, con porticato e vani rotondi per il soggiorno dei festaioli e coi posti per i rivenditori. In disparte, presso un gruppo di dimore stabili destinate alle famiglie che avevano cura del santuario, spicca l’ampia rotonda coperta dell’assemblea dei prìncipi (l’arredo d’una bacinella e d’un bètilo in calcare e il ritrovamento di statuette bronzee di animali tra i 66 _ Sardegna nuragica
resti di cenere e carbone indicano una cerimonia sacrificale di propiziazione del buon esito della seduta o di suggello sacro del patto politico). In questo santuario si coglie il massimo sforzo organizzativo, tendente a far coagulare la solidarietà popolare e “nazionale” della società del tempo. Qualcosa di vicino al modo dei Greci che recuperavano la nazione morale, pur scontando la divisione politica, nei celebri santuari panellenici. Posto fortificato da un nuraghe complesso nel Bronzo recente e finale, S. Vittoria diventò luogo pacifico, neutrale, quando vi si costruì il santuario all’inizio della stagione delle aristocrazie. Un santuario pansardo che visse a lungo, celebratissimo, come dimostrano i numerosi e preziosi ex voto (si pensi alle quaranta e più figurine di bronzo), e cadde soltanto quando ne fecero un rogo i conquistatori cartaginesi. Oltre che nei santuari famosi, la profonda religiosità dei Sardi nuragici si esplicò diffusamente in luoghi minori con edifici di culto, nei villaggi e nelle campagne. Tipica costruzione sacra dell’epoca è il tempio a pozzo. Se ne contano attualmente una quarantina. Presentano uno schema uguale in tutto il territorio isolano, mantenendolo costante, salvo
Pozzo Sacro di S anta Vit toria, Serri
il progressivo affinamento tecnico, dal Bronzo recente, nel quale si constatano i primi esemplari, all’età del Ferro, periodo del massimo sviluppo. L’edificio manifesta unità di pensiero e di pratiche religiose che coinvolgono l’intero popolo (o tutti i popoli) della Sardegna, ad onta della divisione “cantonale”. La predilezione del tipo è dimostrata non soltanto dalla diffusione generalizzata, ma anche dal vederlo moltiplicato, talvolta, in una stessa località (Matzanni-Vallermosa, Musuleu-San Nicolò Gerréi). Il disegno costruttivo del tempio a pozzo consta di tre parti essenziali: vestibolo a fior di suolo di varia figura planimetrica, scala coperta da solaio di architravi digradanti, vano voltato a falsa cupola che fa da pozzo d’acqua sorgiva o che ricopre un pozzo sottostante fungendo da camera d’aria. Il pozzo è il centro materiale e ideale dell’insieme architettonico, il cui carattere di “penetrale” è segnato dal recinto (sorta di tèmenos) che lo racchiude. La parte sopraterra dell’edificio sacro si compone di una struttura a tamburo bombato in corrispondenza del pozzo che si lega in continuità a un corpo rettilineo a doppio spiovente includente scala e atrio; in questo si esponevano gli ex voto e figurano 68 _ Sardegna nuragica
attrezzature per i sacrifici (vaschetta, banconi, ecc.). A giudicare da un esempio rimasto quasi integro (Su TempiesuOrune) la facciata, avente nel mezzo la porta d’ingresso architravata, finiva a timpano nelle forme più elaborate, con trabeazione, specchio triangolare e culmine decorati. Nei pozzi di Santa Vittoria e Santa Anastasia-Sàrdara, sul frontone spiccavano teste taurine in rilievo. All’esterno dei templi c’era poi tutto un contorno di arredi rituali e simbolici in pietra lavorata (bètili, altarini fregiati, cippi capitellati). Possono dare idea del tipo di edificio i pozzi sacri di Sa Testa-Olbia e di S. Anastasia, e quelli di Su Tempiesu e S. Cristina. I primi due, che sono più antichi, fanno vedere un fabbricato di tecnica nuragica vera e propria, con pietre appena sbozzate ad apparecchiatura grezza e irregolare (le camere dei pozzi sembrano camere interrate di nuraghe). I due secondi sono costruiti in pietra da taglio, a profili precisi, e dimostrano sensibilità artistica raffinata e moderna. Pare di poterli ricollegare ai monumenti a tholos di ritmo perfetto, che gli scrittori antichi oppongono alle costruzioni sarde fatte alla maniera arcaica dei Greci, intendi “Micenei”. Il pozzo di Sa Testa presenta
un corpo costruttivo, orientato da nord-nord-ovest a sudsud-est, lungo m 17,47. Vestibolo di pianta trapezoidale di m 2,62 x 1,87, scala di 17 gradini, vano del pozzo di m 1,25 di diametro, altezza al culmine della pseudocupola m 6,81 con 28 filari di schisto; lo copre un’intercapedine in origine voltata. Eccezionale il cortile esterno, circolare, con sedili alla base delle pareti, accessibile dal piano di campagna scendendo una scala di quattro gradini. Forse l’edificio fu costruito nei secoli finali del II millennio a.C., ristrutturato verso il IX-VIII secolo. Nel VII-VI vi fu esposta in voto una statuetta lignea. Il pozzo di S. Anastasia, contornato da recinti e vani rotondi con sedili, nicchie, focolari e un bètilo, è un edificio lungo m 12 circa, atrio rettangolare di m 3,50 x 2,10, scala di 12 gradini, tholos di m 3,55 di diametro x 5,05 d’altezza. Così era verso il XIII-XII secolo a.C. Poi, intorno al IX secolo, fu ristrutturata la facciata in calcare, tutta scolpita con fregi geometrici a zig zag, spina di pesce, cerchielli concentrici, bozze mammillari sulla trabeazione a conci dentellati e
dipinti e nello spazio triangolare del timpano avente al centro una testa di toro in basalto. Alla sommità del pozzo un muro basso limita un’area rotonda lastricata per le cerimonie (la stessa si osserva nel pozzo di S. Cristina). Gran quantità di offerte, in bronzo, ceramica liscia e decorata geometricamente, anche con plastiche antropomorfe, a S. Anastasia. Ancor oggi la gente ritiene salutari le acque del tempio, che è chiamato Sa funtana de is dolus, “la fonte che cura i dolori reumatici”. Su Tempiesu è un gioiellino d’architettura. Una nota gentile in un paesaggio aspro, di macchia, nascosto su un costone, oggi solitario, che guarda lontano il mare Tirreno. Conci di trachite bollosa, perfettamente squadrati, compongono la struttura: la facciata con coronamento a cuspide sormontata da un fascio di spade di bronzo, i fianchi di forte inclinazione, l’estradosso a doppio spiovente. Lo scalpello ha modanato a scanalature e sgusci le ali del timpano, ha rilevato bozze mammillari in alcuni conci del prospetto, ha polito il semplice lineare profilo del resto delle murature. Sardegna nuragica _ 69
Fonte Sacra di S u Tem piesu, Orune
Dall’estro e dall’abilità consumata degli artigiani è nato un piccolo edificio lungo m 7,70, largo al prospetto m 3,55, alto al colmo m 6,65. Il vestibolo di m 1,55 x 1,07/1,30, di m 3,27 d’altezza, strapiomba nelle fiancate provviste di sedili e stipi sotto il soffitto ad archi monolitici. Nel pavimento le lastre si uniscono con giunti esatti per via di piombo colato negli interstizi, e sottostante alle lastre corre un canaletto per il deflusso dell’acqua del pozzo. A questo scende la scala (m 0,45 x 0,87 di larghezza) con appena quattro gradini saldati con grappe plumbee. La tholos in miniatura (m 0,60 di diametro di base, altezza m 2) è integralmente conservata nei suoi undici anelli di pietra squadrata. Precedono il sacello due cor-
tili, uno esterno e uno interno, costruiti in tempi diversi come dimostrano il materiale e la tecnica differenti. In un tratto del muro del cortile interno è ricavata un’apertura che ora fa passare al di fuori l’acqua proveniente dall’atrio, ma che in origine è da supporre fosse stata l’ingresso d’una fonte protetta da cupoletta, ossia il primo impianto del luogo di culto che dette poi occasione alla costruzione più elaborata del tempietto. Il resto delle murature dei cortili, in filaretti di schisto, venne successivamente a quest’ultimo. Così l’insieme delle strutture rivela tre fasi edilizie: la prima del Bronzo recente, il sacello della prima età del Ferro e la terza (il riadattamento) più tardiva. I materiali archeologici (gran quantità di bronzi d’uso e figurati e ceramiche)
Sardegna nuragica _ 71
confermano questi tre momenti della storia dell’edificio, conveniente, nel nucleo tecnicamente più ricercato tanto da sembrare di stile “classico”, alla stagione delle aristocrazie. “Principesco” è il pozzo di Santa Cristina, che rappresenta il culmine dell’architettura dei templi delle acque. È così equilibrato nelle proporzioni, sofisticato nei tersi e precisi paramenti dell’interno, studiato nella composizione geometrica delle membrature, così razionale in una parola da non capacitarsi, a prima vista, che sia opera vicina al 1000 a.C. e che l’abbia espressa l’arte nuragica, prima che si affermassero nell’isola prestigiose civiltà storiche. Nel pozzo di Santa Cristina splende veramente la Magistra Barbaritas. Un recinto ellittico chiude il sacro edificio, lasciando l’unico ingresso coassiale all’atrio. Raccolto in questo modo, il tempio sviluppa il muro perimetrale nella continuità rettocurvilinea di ali del vestibolo e di tamburo del pozzo. La scala monumentale, aperta a ventaglio verso l’atrio, luminosa, si restringe gradatamente e penetra a poco a poco nella penombra, come scende sotto il soffitto gradonato al mistero dell’acqua. L’onda si manifesta al fioco chiarore dell’orifizio della cupola composta a gi72 _ Sardegna nuragica
ri concentrici di pietre levigate di basalto, scanditi con forte rigido aggetto nel lucernario cilindrico terminante nella ghiera esterna. All’architettura dei templi a pozzo si avvicina, in tono minore, quella delle fonti sacre le quali, in certi casi (Su Tempiesu, ma anche Su Cùccuru de is Arrìus, Abini) li hanno preceduti. Se ne conoscono una decina, le più in zone montane meno povere d’acqua. L’elemento che le distingue dai pozzi è la mancanza della scala, perché il vano con la vena sta a fior di suolo. La più antica conosciuta è la fonte di Sos Malàvidos-Orani (“i malati”), del Bronzo medio. La più nota è quella, in basalto, di Su Lumarzu a Rebeccu-Bonorva. Questa ha l’atrio rettangolare con sedili di m 5,15 x 2,45 e la celletta rotonda con cupola tagliata di m 1,36 di diametro x 1,90 d’altezza. Nella parete sinistra del vestibolo si osserva uno stipo per riporvi la ciotola per bere l’acqua, in legno o sughero. Vi si rinvenne un’olletta piriforme con duplice ansa e falso colatoio, una forma ceramica del IX-VIII secolo a.C. Templi e fonti sono testimonianze significative di religione cui è sottesa la penuria di acqua. Architetture che evocano insieme l’arte di cui fu capace la civiltà nuragica per raccogliere e conservare, co-
me in uno scrigno, l’elemento liquido prezioso per i campi, il bestiame, l’uomo stesso, e la siccità (sa siccagna la chiamano oggi i Sardi): male antico come la peste, la carestia e la fame. Quale, o quali, divinità o esseri supremi le genti nuragiche evocavano per contrastare questo “ciclo infernale”? Certamente lo spirito “infernale”, sotterraneo, che esse ritenevano albergasse nei pozzi e nelle fonti, ossia il toro. Le teste taurine scolpite sulle facciate dei templi di Sàrdara e Serri ne sono, più che indizi, prove. Si aggiungono, a conferma, materiali in bronzo e terracotta che figurano o recano segni dell’animale divino. Nella stipe del pozzo sacro di Camposanto-Olmedo, stava un idoletto bronzeo in forma di protome taurina; vasi votivi del pozzo di Serri presentano la superficie segnata da corna bovine stilizzate; dal pozzo di Sàrdara viene il resto di un’anfora piriforme, dove uno strano essere antropomorfo stringe al petto un’asta cornuta (qui anche, tra i vasi rituali, ce n’è uno avente il collo conformato a “fallo”, simbolo che si addice al toro fecondatore al pari dell’acqua). Dio-Toro salutare, inoltre. Lo dicono le denominazioni di Sa funtana de sos malàvidos di Orani e di Sa funtana de is
dolus di Sàrdara, e lo ribadiscono gli autori antichi quando ricordano le virtù mediche fisiche e psichiche delle acque di vena. È possibile che lo stesso essere “infernale” entrasse nel giudicare i malvagi. In quei tempi lontani non esisteva il diritto positivo. Svelare la colpevolezza o l’innocenza si riteneva appartenesse al sovrasensibile, che si estrinsecava attraverso misteriosi fenomeni naturali. Sull’effetto di questi si fondava la pena o l’assoluzione del reato. Le fonti antiche narrano che in Sardegna il giudizio di Dio fosse affidato alle acque calde (le stesse che curavano e guarivano le malattie degli uomini), cioè al dio delle acque. È l’ordalia dell’acqua, di cui esiste un interessantissimo documento archeologico. Presso la chiesa rurale di Santa Lucia (si badi, la santa “degli occhi”, della luce) a Bonorva, sgorgano dal suolo trachitico numerose polle di acqua termominerale, effervescente. Una volta un insieme fitto di tali risorgive era raccolto dentro un recinto circolare, aperto, di m 35 x 36 di diametro, conformato a cavea come un anfiteatro, su cui sedeva la folla in qualità di testimone collettivo della cerimonia ordalica. Al giudizio di Dio veniva Sardegna nuragica _ 73
sottoposto il sospettato di furto (l’abigeato, antica ingloriosa virtù del pastore sardo). Dopo il giuramento del “fermato”, gli addetti al rituale ne immergevano la testa nell’acqua calda e frizzante. Concludono gli autori antichi dicendo che, se l’indiziato non riusciva a sopportare il terribile effetto, diventava cieco per aver spergiurato, e ne risultava così la colpevolezza; se invece lo superava e anzi ci vedeva più chiaro, voleva dire che non aveva giurato il falso ed era innocente. Non tutti gli edifici di culto protosardi sono collegati con l’acqua. Ve ne sono anche di quelli nei quali la devozione si rivolgeva ad altri fenomeni naturali cui sottostavano spiriti o esseri divini diversi. Il che sembra indicare che vigesse una sorta di politeismo, dove forse spiccava una divinità superiore alle altre (il Dio-Toro, cui era dedicata la maggioranza grandissima dei templi?). Sta di fatto che non conosciamo la divinità che si adorava in un singolare tipo di tempio, di pianta rettangolare, con partizioni o meno all’interno e all’esterno prolungato in antis. L’aspetto assomiglia a quello degli edifici micenei e anatolici chiamati mègara (questi per altro sono abitazioni signorili). 74 _ Sardegna nuragica
Ricostruzione del villaggio nuragico di Serra Órrios
Sembra una novità venuta da fuori. L’applicazione ne è assai modesta, limitata, come appare, a pochi luoghi del Centronord dell’isola, presso taluni gruppi isolati. Eccetto i mègara di Serra Órrios, che sono inseriti organicamente nel tessuto dell’abitato, quelli di Sos Nurattolos-Alà dei Sardi e
di Cuccureddì-Esterzili sono confinanti in remoti luoghi campestri, nelle vicinanze di poche altre strutture funzionali al servizio religioso. Tipico schema di mègaron presenta il tempio di Cuccureddì, sulla montagna di Santa Vittoria, alta m 978. La gente lo chiama Sa domu ’e Orgìa,
“la casa di Orgìa” nome d’una maga irosa – in sardo arrabiosa – tramutata in pietra per antica maledizione: una sorta di Niobe nuragica che suggerisce forse una dea. Dentro un’area ellittica di m 48,5 x 28, si allunga per m 22,5 l’edificio tripartito, con struttura a file di regolari pietre di calcaSardegna nuragica _ 75
re, largo m 7,79, compreso lo spessore murario di m 1,31. I tre vani, tutti di pianta rettangolare con larghezza costante di m 5,15 comunicano tra di loro per mezzo di porte rastremate coassiali, larghe m 1,50. Il vestibolo scoperto, limitato dalle due ali anteriori, è lungo m 5, la sala maggiore m 8 e lo stanzino più interno (il penetrale sacro) m 3,55. Le ante posteriori racchiudono uno spazio di 2 m di lunghezza x 5,15 di larghezza. Si ipotizza un tetto a doppio spiovente di legno e frasche, oppure una copertura in pietra con forte aggetto a carena delle pareti. Il lettore immagini l’ambiente come era quando il tempio era frequentato dai Galillenses, una tribù fiera di pastori che, ancora nel 69 d.C., scendevano a razziare nelle fertili terre dei Patulcenses campani. Immagini la festa montanina sul fare dell’estate. Un gruppo di capanne rotonde e un vasto recinto, al margine del tempio, accoglievano i pellegrini, una limpida e fresca fonte coperta al modo nuragico li dissetava dopo la lunga salita al santuario, la terra odorava tutt’intorno di timo. Scambi di cose tra contadini e pastori, cessate le “bardane”. 76 _ Sardegna nuragica
E grandi mangiate collettive per scontare la fame di tutto l’anno. Quale l’età dei mègara sardi, svoltisi in autonomia dai modelli di Troia II e VI, e di Micene, Tirinto e Pylos? La tarda Età del Bronzo, il tardo elladico III b, cui questi si ascrivono (1340-1210 a.C.), può valere anche per i tempietti isolani. Nel villaggio di Serra Órrios, che include due sacelli a mègaron, sono state raccolte ceramiche a pettine in voga nel Bronzo recente occidentale (1200-1000 a.C.). Non sono secoli molto lontani da quelli che la datazione a C14 (920 ± 70 a.C.) assegna a un altro piccolo tempio, un po’ diverso dai precedenti: quello di Malchittu-Arzachena. Emerge nella montagna di granito, vicino a un gruppuscolo di capanne circolari e a uno pseudonuraghe che si annette due ripari sotto roccia. È un edificio ellissoide nel perimetro (m 12,70 x 5), ricurvo nella parete posteriore, i muri laterali rettilinei prolungati sulla fronte a recingere il vestibolo rettangolare. L’unico vano, di pianta ellittica, lungo 8 m e largo 4, presenta il focolare rituale al centro del pavimento e un bancone addossato alla parete
Tempio di Malchittu, Arzachena
di fondo che fungeva da altare (v’era l’idolo aniconico?). Quattro nicchiette a muro accoglievano gli oggetti cerimoniali, una finestrella illuminava fiocamente il “penetrale”, copertura a doppio spiovente in legname e strame. Le strutture sanno molto di maniere costruttive coeve della vicina Corsica. È una piccola cosa il sacello di Malchittu, di una sparuta e povera comunità vivente, peraltro, in uno splendido paesaggio di rocce e di macchia. Bisogna tornare a S. Vittoria
di Serri per vedere altri tipi di luogo di culto e supporre altre divinità che li avrebbero abitati, secondo il pensiero di genti portate istintivamente alla magia e al mito. Nel recinto più interno rispetto a quello che separa dal profano il tempio a pozzo sta una cappelletta rettangolare, in origine coperta a duplice spiovente, in regolare opera di calcare, cui si aggiungevano grandi e levigati pezzi modanati di basalto di spoglio di un’antica costruzione (tomba?) del Bronzo recente. L’unico vano, fornito di banconi su Sardegna nuragica _ 77
Ricostruzione ipotetica di Sa Sedda ’e sos Carros-Oliena
78 Sardegna Nuragica
cui erano deposte lastre con incavi e piombature di ex voto in bronzo, è lungo 5 m e largo 4,80. Vi si accede da due porte, una a sud e l’altra a nord che immette in una serie di spazi rotondi recintati, da supporre riservati al personale religioso (sacerdoti e accoliti). Gli arredi e gli stessi ex voto erano custoditi nella sacrestia aderente a un lato dell’aula di culto. Si riconoscono due fasi costruttive. Del primo impianto, forse del Bronzo finale o degli inizi dell’Età del Ferro (X-IX secolo a.C.?), sono rimaste poche tracce murarie scampate al fuoco. Del tempo sono anche gli oggetti votivi, rinvenuti in mezzo a ceneri e carboni sotto il pavimento del sacello interamente rifatto (seconda fase costruttiva: metà VII-VI secolo a.C.). Si tratta di figurine umane e d’animali di armi, utensili e gioielli di bronzo, di monili d’oro, avorio e ambra, materiali che indicano la durata della prima costruzione sino all’VIII-prima metà del VII secolo a.C. Un bètilo decorato in calcare, rinvenuto in mezzo al crollo, ci restituisce l’idolo del sacello; ma purtroppo, aniconico com’è, non spiega la natura della divinità che simbolizzava. Va detto che, a cominciare dall’VIII-VII secolo a.C., alcuni nuraghi parzialmente distrutti (Pitzinnu e San Pietro-Posada,
Albucciu, Nastasi-Tertenìa, ecc.) vengono trasformati in edicole con stipi votivi (statuette e vasi di lusso in bronzo, figurine di terracotta). Si prestavano culti anche nell’intimità della famiglia. Nel maggior vano d’una casa di S. Vittoria, di faccia all’uscio segnato da due pilastrini, era situato un singolare pezzo scultoreo in calcare. Una base trapezoidale sorregge una specie di altare-simulacro, composto da due colonnine troncoconiche congiunte da fascia orizzontale modanata a guisa di cornice architettonica, con motivi ornamentali-simbolici di listelli e leggeri incavi simulanti finestrelle. Sui fusti e sulla cornice si notano, infissi con piombo, resti di ex voto in bronzo. Si riconosce un idolo domestico, in forma di doppio bètilo. Un analogo simulacro miniaturistico in bronzo parzialmente antropomorfo, da Abini, fa ascrivere la scultura in grande di Serri al IX-VIII secolo a.C. In un altro vano all’interno del recinto delle feste e del mercato di S. Vittoria è stato supposto il culto dell’ascia, poiché si rinvennero insieme una bipenne di bronzo e un pilastrino cilindrico di calcare con sommità a corona dentata. Su questa si sarebbe incastrata la bipenne, come in famose rappresentazioni cretesi del tardo Minoico III (sarcofago dipinSardegna nuragica _ 79
scala sociale agli ultimi. Gli àristoi ostentavano il lusso dell’oggetto d’oro (sono stati rinvenuti anellini, brattee, bottoni) e di bronzo figurato (un bellissimo tripode d’imitazione minoico-cipriota, barchette). La povera gente si illudeva che la divinità si contentasse d’una minuscola lucerna di argilla grezza fatta a mano. Ingente la quantità di ex voto: 109 oggetti metallici, circa
Il Tempio di S. Vittoria-Serri
to di Haghia Triada). Pura supposizione, forse. Sta di fatto che presso il presunto idolo della labris sono venuti in luce oggetti votivi: il resto della mano chiusa a pugno d’una figurina antropomorfa in terracotta e frammenti di statuette di bronzo datate tra il IX e l’VIII secolo a.C. Ho già detto delle piccole rotonde per lustrazione delle case della prima Età del Ferro presso il nuraghe di Barùmini. Infine, c’è il culto in grotta (Su Benatzu-Santadi, Sa grutta ’e i caombus-Morgongiori, Sa Preione ’e s’orcu-Siniscola). Il sacro speco di Santadi si sviluppa nel calcare per circa 180 m sino alla profondità di 150. Un intrico di corridoi e di concamerazioni porta alla grande camera delle stalattiti (10/15 m di diametro, da 2,50 a 4 d’altezza). Sulla parete di fondo 80 _ Sardegna nuragica
della sala una stalagmite funge da altare, avente al piede un pozzetto con l’acqua lustrale; poco discosto è il focolare sacrificale. Qui si era formato un deposito stratificato di 50 cm con i resti delle offerte, misti a ceneri e carboni. Un’urna conteneva avanzi di ossa di animali bruciati sulle fiamme. Olocausto intenso, ripetuto tanto che il fumo aveva annerito le pareti dell’antro. A questo si accedeva schiarendo il cammino con fiaccole; le stesse, i roghi, le lampade di terracotta e di bronzo illuminavano la grotta. Uno spettacolo suggestionante, oltre l’arcano delle tenebre. La gente affluiva da ogni parte, a pregare, offrire doni e chiedere grazie (presagi, salute, cibo) alla divinità sotterranea. Tutti gli abitanti del Sulcis e dintorni venivano, dai più grandi nella
1500 esemplari di vasi, di tante forme. Ciò suggerisce la lunga durata del santuario sulcitano. Si cominciò a frequentarlo nel Bronzo medio, continuò la venerazione nel Bronzo recente-finale sino alla massima celebrazione nella stagione delle aristocrazie, cui si riferisce la quasi totalità dei doni. Per quest’ultimo periodo abbiamo due datazioni a C14: 820 e 730 a.C.
Ricostruzione ipotetica del tempio di S. Vittoria-Serri
Sardegna nuragica _ 81
L’ARTE, L’ECONOMIA E LA SOCIETÀ
uanto detto sull’architettura dimostra che la civiltà nuragica ebbe attitudini e realizzò cose importanti sotto l’aspetto artistico. Uguale è il tono della scultura, soltanto la pittura non gli fu gradita, a parte il colore rosso dato talvolta a partiti architettonici, a statue in pietra e a vasi. Ciò non sembra casuale, se si tiene conto della predilezione del bianconero, dell’enfasi xilografica ancor oggi caratteristica degli artisti sardi. La proiezione estetica dei Protosardi si afferma di più nei prodotti scultorei in pietra e in bronzo; di più qualitativamente e per quantità di opere, rare invece in terracotta e sconosciute in altre materie. In tutti i lavori d’arte si coglie una “costante” anticlassica o “barbarica”, una visione “planare” legata alla concezione astrattiva della figura che però non viene negata. Dopo secoli di simbolismo e di aniconicità durante il Bronzo antico e medio, a cominciare dal Bronzo recente e finale, scultori e ra-
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Spada votiva con arciere su doppia protome di cervo da Abini-Teti; Cagliari, Museo Archeologico Nazionale
mai recuperano l’antropomorfismo neolitico e calcolitico e lo onorano di elevate e significative manifestazioni in coincidenza con la stagione delle aristocrazie. Sono queste, appunto, che suscitano e promuovono i valori artistici, anche per ostentare prestigio e potere e avere consenso sociale. Influisce molto pure la concezione arcaica del mondo di allora, l’emotività propria dello stato nascente, il metastorico che premia i fantasmi magici e la suggestione mitico-religiosa. Nonostante ciò succede, non raramente, che la rappresentazione artistica guardi di scorcio la natura, così da far venire fuori l’immagine d’una società reale, calata nei contenuti di vita e nel suo tempo. La cifra “geometrica” è già presente nel bètilo di basalto di San Pietro di Golgo-Baunei, avente scolpito nel mezzo una testa umana, e nelle protomi taurine, già citate, dei templi di Serri e Sàrdara. Uomo e animale non sono rappresenSardegna nuragica _ 83
tati ancora nell’interezza fisica. Completa è invece la figura nell’altorilievo della stele in arenaria, forse di tomba, di Cann ’e Fadosu, dove un personaggio maschile sembra arrampicarsi sul muro d’un nuraghe. Però l’immagine non riesce a liberarsi interamente dalla pietra, a realizzarsi in tutto tondo, anche se la posizione di scorcio rivela tendenza statuaria. Vere e proprie statue sono la ventina e più di simulacri di arenaria gessosa, rinvenuti a Monti Prama, nel Sinis di Cabras, non lontano dal sito della stele. Si tratta di una delle più importanti e spettacolari scoperte archeologiche in Sardegna. Sono documenti di eccezionale valore nella storia della forma artistica e della cultura nuragica, diciamo anche della scultura occidentale dell’epoca tra il “geometrico” e l’“orientalizzante”. Opere di grandi artigiani locali, scolpite proprio quando in Grecia nasceva la statuaria monumentale in pietra, sotto la spinta orientale. Arciere da Abini-Teti; Cagliari, Museo Archeologico Nazionale
Le statue, di altezza naturale e anche superiore, stavano dentro un tèmenos (recinto sacro), ritte sopra basi che segnavano tombe a pozzetto con scheletro seduto e pochi oggetti di corredo locali ed esotici. Il lettore si rappresenti questo affollamento di straordinari kolossoi (nel senso etimologico e pregnante del termine), rigidi e severi nel portamento, vistoso l’abbigliamento, tutti colorati di rosso. Una teoria di figure maschili, in tenuta militare di gala: opliti, arcieri, personaggi che sollevano sopra il capo lo scudo con una mano e hanno l’altra fasciata da un guanto “armato”. Principi-guerrieri, e anche antenati d’una dinastia “cantonale”, forse la più importante di quelle governanti i molti staterelli dell’isola. Il luogo era una sorta di heroon (luogo sepolcrale di personaggi eroici). Le statue esprimono visibilmente ed enfaticamente lo statuto eroico, os-
Coppia di guerrieri da Abini-Teti; Cagliari, Museo Archeologico Nazionale
sia l’organizzazione politicosociale preurbana dominata dagli àristoi espressi da grandi famiglie gentilizie. L’autoincensamento e il culto popolare della personalità ne fecero degli eroi, forse persino degli dèi. Si pensi al mito, raccontato dagli antichi scrittori, dell’eroe demiurgo Iolaos, dalla Grecia venuto in Sardegna a recare civiltà, sulla cui tomba la sua gens (gli Iolei) eresse un tempio, deificandolo. Dunque le statue di Monti Prama sono strettamente organiche (anche nelle grandi e grandissime proporzioni) al cosmo aristocratico e al fatto religioso e del culto. Lo sono anche nello stile duro, lineare, le masse e i volumi corporei estesi in superfici chiare limitate da crude e scolpite geometrie dei particolari anatomici e dell’abbigliamento. Lo sono nel frontalismo, mezzo ideologico-stilistico dell’ostentazione. Lo sono nell’astrazione (creano una sorta di spazio metafisico e atemporale) propria del carattere eroico, come il colore che enfatizza la visione di primo piano, l’epifania. Pur non estraniandosi a un certo clima d’epoca (apprezzabile nella monumentalità
che spira in generale nella statuaria mediterranea del periodo cosiddetto “orientalizzante”), i simulacri del Sinis sono lo specchio d’una visione stilistica sarda, di un sistema sardo di cultura eccellente e competitivo. Manifestano la condizione etnico-etico-storica “nazionale” nuragica, parlano d’una Sardegna nuragica a “storia maggiore”. Nel tempo delle statue (e con le statue) l’isola giunse al culmine del suo sviluppo e raggiunse il meglio dell’assetto economico e sociale. Le grandi immagini di pietra, scolpite tra VIII e VII secolo a.C., lo dimostrano in modo originale e perfetto. Uno scritto non sarebbe stato più eloquente e persuasivo. Sardegna nuragica _ 85
Se nella statuaria in pietra si esprime, nella misura e nel tono conformi, il punto più alto, quasi transumanato, della rappresentazione sociale, le cinquecento e passa figurine di bronzo descrivono la società totalmente e, vorrei dire, oggettivamente se non vi fosse l’ispirazione artistica a sottrarle dal verismo. Ruoli, funzioni, professioni di ceti e di classi differenziate, e forse anche separate in caste, risaltano alla prima lettura, tanto è diretto il discorso estetico. Le singole raffigurazioni hanno riferimento e valore in un tutto ambientale. Gli atti e i gesti si mescolano ai sentimenti, le pratiche vivono insieme alle opzioni.
Attributi, indumenti, armi e ogni altro elemento visibile esternano e qualificano un piccolo mondo variegato, sofferto e vivo pur attraverso lo stile che ama astrarre e cifrare i reali contenuti. È questo spirito popolare (non folkloristico), religioso (si tratta di ex voto) e laico nello stesso tempo, intrinseco alle statuine, che ne fa non soltanto soggetti apprezzabili esteticamente (si capisce, con “occhio” non classico) ma anche e soprattutto documenti di cultura e di storia, specchio delle opere e dei giorni dei loro lontani committenti. Gli artigiani metallurghi le modellarono a “cera persa”, fondendo rame locale e stagno importato (dalla Cornovaglia) e dalle Scilly – le Cassiteridi – o dall’Etruria?), operando alle dipendenze di corti e santuari, o in autonomia. Forse questo diverso stato giuridico, che li portava a lavorare secondo rigorose norme auliche o in piena libertà espressiva (sino al “picaresco” e al “caricaturale”), spiega i due filoni stilistici profondamente differenziati che sono stati riconosciuti nelle figurine. Meno persuasiva appare l’ipotesi d’una regionalizzazione stilistica, legata a distin-
Principe in preghiera da Teti; Cagliari, Museo Archeologico Nazionale
Arciere con gonnellino orientale da “Sa costa”, Sardara; Cagliari, Museo Archeologico Nazionale
te componenti etniche e culturali. I due stili, appunto, sono quello “geometrico” o “di classe”, con due variabili, una privilegiante la struttura e la linea, l’altra la decorazione; e quello “istintivo” o “spontaneistico”, che gioca sul movimento (lo si chiama anche “mediterraneizzante”). In talune statuine essi mostrano vicendevole influenza e perciò si tende a considerarli più o meno contemporanei. In un’arte per certo verso “cortigiana” la rappresentazione del sovrano era d’obbligo. Figurine di Uta, Serri, Abini, S’Arrideli sono appunto immagini stereotipate di principi. Veste e attributi precisano il ruolo di classe: calottina sul capo, manto che scende sino ai polpacci con ampio giro, lo scettro (un ba-
stone da pastore) impugnato e presentato con la mano sinistra, mentre la destra è atteggiata al saluto-preghiera. Tutto rende manifesta la regalità del personaggio. A quella del capo gentilizio si accompagna la rappresentazione dei militari, che lo esprimono e lo sostengono. Corpi vari, differenziati da armi e insegne, usuali e di gala. Opliti, arcieri, frombolieri, di aspetto severo, pose misurate, forme scandite geometricamente, come conviene al rigore della casta. Gli opliti, nerbo dell’esercito, sono effigiati in piedi, a se stanti o in gruppo. Sul capo elmi di foggia diversa (prevale quella a corna bovine: ricordo del Dio-Toro?) con guarnizioni, goliera, spallacci, corazza e schinieri. Presentat’arm con spada, daga o stocco impugnati in una mano, l’altra saluta. In qualche figurina, lungo il collo scendono treccioni, un modo di agghindarsi fastoso, in sintonia con la preziosità decorativa di armi e vesti, un far mostra di sé, rispettosa, alla divinità (e marcare il proprio prestigio ai ceti inferiori). Sardegna nuragica _ 87
Oggetti e utensili dal Complesso nuragico di Janna ’e Pruna-Irgoli; Antiquarium di Irgoli
Nel repertorio iconografico spiccano per numero gli arcieri, ad affermare il loro peso nella gerarchia e nella forza militare. Sono rappresentati in piedi, frontalmente o di lato, in riposo o in atto di scoccare la freccia da grandi e piccoli archi, poggiati a terra o sollevati, alle spalle il turcasso e altri oggetti sussidiari. Testa nuda o protetta da elmo, gorgiera, corta e leggera corazza sopra la tunica, schinieri. Sull’addome una spessa piastra di cuoio per attutire il rinculo dell’arco. Due arcieri da Sàrdara si distinguono totalmente dalle altre congeneri statuine, per avere una calottina sul capo, una lastra metallica a riparo del lato sinistro della faccia, giustacuore, grembiule all’orientale (interessante il riscontro col “caftan” degli arcieri assiri, col grembiule dei sagittari ciprioti, colla veste dei guerrieri Sherdanw scolpiti nei monumenti egizi). 88 _ Sardegna nuragica
Altri soldati sono figurati che sollevano lo scudo oblungo a protezione della testa e con la mano guarnita da guanto “armato” (corpo speciale per la scalata ai nuraghi e lotta ravvicinata a sorpresa in spazio angusto?). Una statuina da Uta fa vedere un fromboliere, che stende con ambe le mani la fionda di fune ritorta. I frombolieri operavano sull’alto dei nuraghi, come suggeriscono i numerosi proiettili di pietra ivi trovati, ma pure in campo aperto facendo luogo, dopo una prima intensa scarica di palle, al nerbo della fanteria pesante. Ed ecco la nobile terza classe: sacerdoti e sacerdotesse, con copricapi a petaso e ad apex, simili a quelli degli aruspici etruschi e dei preti (e di-
vinità) siriaci. Una figurina da Padenti de Baccài-Lanusei presenta gli occhi enormemente dilatati, vitrei. Sarà una maga, pratica di sortilegi e “fatture”, una “bitia”? Scrive di queste foeminae Solino (I, 101) che avevano due pupille per occhio e soltanto con un’occhiata uccidevano, se per caso in preda all’ira guardassero una persona. È l’unico ricordo di donne sarde nella letteratura antica, sintomo di come le considerasse la classe “maschilista” greco-romana. Non sappiamo quale misura di dipendenza passasse tra l’aristocrazia privilegiata e i ceti medi e bassi della scala sociale. Certo la condizione inferiore di questi ultimi è indicata nelle statuine dal fatto che solo a prezzo di doni votivi riescono a strappare un favore alle divinità, mentre gli
àristoi sembrano avere lo stato di grazia già in sé per natura, poiché non presentano nulla al di fuori della propria figura prestigiosa e altera. Il repertorio di immagini degli “umili” è fatto di pastori, contadini e artigiani, con vesti e attributi che li qualificano singolarmente. Bastoni, borse per companatico, recipienti per liquidi. I pastori offrono arieti portati a spalla e pelli essiccate ripiegate. Un contadino porge il piatto con dentro chicchi di grano o d’orzo. Gli uni e gli altri presentano spiane e taglieri contenenti formaggelle, focacce, taralli, dolciumi e frutti. In una statuina di Aidomaggiore è rappresentato un pellettiere o calzolaio, seduto, intento a trinciare una pezza di cuoio sul dischetto appoggiato ai ginocchi. E le donne? Ci sono, figurate con le stesse differenti posizioni sociali viste per il mondo maschile. Quale il loro stato in Sardegna nuragica _ 89
Statuina di essere soprannaturale (eroe o divinità) con quattro occhi, quattro braccia, due spade e due scudi da Abini-Teti; Cagliari, Museo Archeologico Nazionale
generale? Non davvero quello libero concesso alle donne etrusche che partecipavano a feste e banchetti in completa parità col marito. Ma nemmeno quello che contraddistinse il destino della donna greca divisa tra il modello di Penelope e l’opposto eterico-conviviale proprio della società oplitica. Le signore sarde della haute indossano tuniche unite che terminano a balza sopra i piedi, al modo mediterraneo, e mantelli trapunti a disegni geometrici. Sul capo, sempre coperto per devozione, calottina o velo, e anche un copricapo conico a tesa; un fazzoletto o un lembo arcuato e plissato fungeva da pettorale. Al collo, talvolta, gorgiere. Sono scalze tutte le donne, come la massima parte degli uomini, poiché la norma religiosa vietava di portare calzari nei luoghi di 90 _ Sardegna nuragica
culto. Nessuna ostentazione di gioielli, in conformità della morale schiva e di gusti semplici. La dignità risiedeva nel valore interiore, non nell’esteriorità dell’effimero ornamentale, per quanto prezioso. Come segno di classe bastava il portamento severo, distaccato, principesco. Rompono questo aplomb le donne del popolo, disinibite, un po’ sguaiate, plebee. In una statuina da Villasor è effigiata una contadina con la corba sulla testa, piena di cose da vendere. In altra da Olbia, la popolana che “va mostrando con le poppe il petto” trattiene sul capo, con ambedue le mani, l’anfora di terracotta. Immagini di vita quotidiana, tutt’altro che idilliaca. Infatti, altre figure femminili ci portano sul piano della sofferenza, quando non della tragicità.
Due bronzetti da Serri mostrano delle madri sedute con in grembo il bambino malato, un esserino gracile, le membra tutte abbandonate, interamente nudo perché più diretto ed efficace lo toccasse il mana guaritore della divinità supplicata. È nota, per la forza figurativa e il muto e intenso tormento che la attraversa, la statuina di Urzulei detta “Madre dell’ucciso”, per altri una sorta di “Madonna nuragica”. Qui il figlio che la madre tiene in grembo, nudo al solito, è adulto e morto, forse in un duello rusticano, forse per una faida di famiglie nel villaggio (che era tutto il mondo). La madre impetra vendetta, dedicando il morto agli dèi infernali. Un mistero doloroso, un’enfasi tragica ed eroica nel gruppo di Urzulei, pervaso di alto lirismo. Dalle immagini terrestri si va al piano del sovrasensibile, all’universo magico-religioso. Non senza influenza di stimoli o modelli assiri, nord-siriani, urartei, luristani, insomma dell’ideologia “orientale”, i ramai ci restituiscono in sembianze imperscrutabili favole e miti nuragici. Chi ci darà mai l’esatta spiegazione degli esseri sovrumani da Abini, nei 92 Sardegna Nuragica
quali la veemenza eroica-guerriera è ostentata da quattro occhi, quattro braccia, due spade e due scudi, e da tutto l’aspetto fantastico-demoniaco? O quella del “mostro” di Nule, un ibrido di testa e braccia umane e corpo di animale? E chi riuscirà a penetrare tutto l’oscuro simbolismo che emana dalla composizione “triplice” (magia del dispari?) dello stendardo cerimoniale di Pàdria (una lastra a schema di edificio significato da due sportellini che si aprono e si chiudono alternativamente dalle due facce, custodito da guardiani-cervi e difeso da armi); oppure quello dei lunghi stocchi da Abini che infilzano protomi cervine in stilizzazione araldica, sormontate da un arciere armato di tutto punto (transfert di demone o nume della caccia)? Sono le figurine di animali a riportarci dalla nebulosità dei misteri dell’alto e degli inferi alla terra, alla sua natura: boschi, pascoli, campi coltivati, zone umide, mare. Un paesaggio che cambia continuamente di forme, suoli, colori, tra i più straordinari e affascinanti del Mediterraneo. In questo ambiente antico (l’uomo lo ha scarsamente trasfor-
In basso a sinistra: Bronzetto da Abini-Teti; Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Navicella votiva in bronzo; Nuoro, Museo Civico Archeologico
mato, la civiltà industriale lo ha appena intaccato) possiamo idealmente ricollocare quasi tutta la fauna effigiata nelle statuine. Ecco nelle case e nelle campagne dei contadini gli animali da lavoro (buoi, vacche), in quelle dei pastori maiali, scrofe, montoni, pecore, capre per lo più allo stato brado. Nei cortili di entrambi galli, colombi. C’è poi la fauna selvatica, fonte di nutrimento come quella domestica, salvezza nei periodi di grande fame. Statuine di muflone, cinghiale, cervo, daino, volpe. Anche scimmie e antilopi, oggi sparite come il daino. Non manca il cane, che attraversa tutti i luoghi e le economie: custodia della casa, del bestiame, caccia della selvaggina. Nei bronzetti il mondo animale viene riprodotto con acuta sensibilità, dovuta alla consuetudine quotidiana della vita rurale.
Modellate in modo ora schematico ora naturalistico, le figurine evocano la terra e i suoi mezzi di produzione, e voci, pause, movimenti, conflitti, paure, un certo linguaggio comunicativo tra uomo e bestie. Infine il mare. Settanta e più navicelle in bronzo, rinvenute in Sardegna e anche nella penisola italiana (Toscana, Lazio) stanno lì a dire che i sardi nuragici ne ebbero senso e rapporto continuo. Poi l’imperialismo cartaginese e romano e i successivi dominatori storici lo vietarono ai Sardi. Vennero anche i tempi lunghi del rapporto schizofrenico: un popolo sul mare senza mare, l’odio-amore per il mare, mare nemico perché dal mare approdano diavoli e ladri che sono la stessa cosa, gli uomini della “riserva montana” che sognano il mare come “frontieraparadiso”. Sardegna nuragica _ 93
Bronzetti da Abini-Teti; Cagliari, Museo Archeologico Nazionale
Nelle navicelle, di linea semplice o “barocca”, la prua ornata da protomi di animali del posto (bue, ariete, cervo), decorati pure di elementi zoomorfi alberi (gabbiano), fiancate (buoi, maiali o cinghiali, mufloni, volpi, cani) e scafo (scimmia), si riconoscono legni da corsa e da carico. Fatto salvo il complesso simbolismo dell’ornamentazione, dovuto pure alla funzione di lampade ex voto delle barchette, il nucleo dell’oggetto indica l’esistenza d’una vera e propria marineria nuragica. Il surplus degli àristoi protosardi poté provenire in parte dalla loro mobilità anche sul mare, come quella dei principi etruschi dell’VIII-VII secolo a.C. (periodo al quale si ascrive la massima parte delle navicelle). La tradizione di Eforo sulla 94 _ Sardegna nuragica
pirateria etrusca trova speculare riscontro in Sardegna nella notizia di Strabone sulla pirateria dei Sardi montanari lungo le coste di Pisa. Notizia storica avvalorata dalle cose nuragiche (navicelle, figurine, oggetti ornamentali in bronzo e ceramiche) finite, per mercatura, nell’Etruria marittima e dell’interno. Economia di scambio e contatti (anche artistici, culturali, forse persino diplomatici) tra Etruria villanoviana e orientalizzante e Sardegna nuragica della stagione delle aristocrazie. Economia di scambio e contatti non minori di quelli con Fenici e successivamente, in periodo arcaico, con Greci orientali e occidentali. Dall’esame dei bronzetti emergono testimonianze significative per l’economia dei Protosardi. Questa si fondava su un primario di agricoltura e allevamento di bestiame. L’agricoltura conosce l’aratro e il carro veicolare e da carico. Si immagina una zootecnia progredita, con selezione di animali da riproduzione e per macello, con una piccola industria del cuoio e della pelle a valle dell’allevamento. L’economia di caccia era sussidiaria del primario e, in
momenti di carestia, forse lo suppliva. C’è poi un secondario che si alimentava dalla coltivazione delle miniere e dalla metallurgica del rame, del bronzo, del piombo, del ferro, forse dell’argento. Dunque si ricostruisce uno stato economico articolato nelle risorse, nella trasformazione e nel prodotto, aperto alla comunicazione e allo scambio. Una condizione nel più autosufficiente (non autarchica) non solo a livello cantonale, ma anche a grado regionale, perché si integravano a vicenda le specifiche attività economiche dei cantoni. In più c’era il tributo esterno, compensato con le esportazioni in materie prime e manufatti. Una situazione ottimale, che stava portando l’isola dei nuraghi alla condizione e alla forma urbana. Queste si sarebbero raggiunte, se l’imperialismo punico non avesse rotto la struttura della civiltà nuragica e, dunque, non avesse spezzato un popolo. Alla fine del VI secolo a.C. la Sardegna fu divisa in due. Vi fu da una parte la Sardegna dei maquis resistenti rinchiusi in una sorta di “riserva” montana, e vi fu, in una più vasta area, la Sardegna integrata nella cultura del vincitore. È stato questo il più grande dramma storico dell’isola. La Sardegna Nuragica 95
perdita dell’unità nazionale morale dei Sardi. Oggi l’isola sta recuperando l’unità e la sua identità di popolo e di cultura. È tornata al mare, riconquistando la “frontiera-paradiso”. Siamo all’inizio di una nuova storia. Vi concorre anche il riacquisto d’un mondo smarrito, qui ripresentato come testimone d’un periodo nel quale i Sardi hanno contato – come vogliono contare – nella storia del Mediterraneo. In fondo è questo il senso del mio scritto, lo comprenderà meglio chi, con una nuova confidenza legata a un’immagine differente da quella stereotipata, verrà a vedere e a conoscere la strana, antica e invitante terra dei nuraghi.
Guida ai siti a cura di Giulio Concu
N uraghe Longu, Tertenia
Carta dei siti
. Complesso nuragico Su romanzesu - Bitti Come si arriva: Dalla SS 131 DCN in direzione Nuoro prendere il bivio per Bitti. Superato il paese si continua lungo la SS 389 in direzione Buddusò. All’altezza del km 54,200 si svolta a sinistra e si seguono le indicazioni per il sito archeologico. Il sito è gestito da una cooperativa.
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l complesso si trova su un altipiano granitico, in zona ricca d’acqua, poco lontano dalle sorgenti del fiume Tirso. Si estende per 7 ettari ed è circondato da un bosco di sughere: gli alberi crescono all’interno delle capanne del sito, molto probabilmente un villaggio-santuario. A testimoniare la sacralità del complesso restano una misteriosa costruzione labirintica che non ha eguali in Sardegna, due tem-
pli a megaron, un edificio rettangolare di incerta funzione (forse un tempio) e un pozzo sacro con un anfiteatro. Il labirinto ha andamento a spirale: si suppone che vi si svolgessero riti di purificazione e che il camminamento a cerchi concentrici servisse ad attraversare diverse fasi durante la cerimonia. I dubbi sulla sua reale funzione sono accresciuti dal fatto che nel cerchio centrale, dove si trova un focolare in pietra forse utilizzato a scopi rituali, furono trovati un modellino di nuraghe in terracotta e ciottoli in quarzo rosso, pietra assente nell’altipiano di Bitti. Il quarzo testimonia del senso estetico del popolo nuragico che lo utilizzava per fare collane e ninnoli, forse a scopo apotropaico. Il pozzo sacro si trova nei pressi della sorgente al centro dell’area sacra. Ben conSardegna nuragica 99
Provincia di Nuoro
servato, presenta diciannove filari di granito. L’andamento aggettante delle pareti è indizio di una copertura a tholos. Tre betili sui lati rappresentano la divinità legata ai riti di fertilità. All’imboccatura del pozzo si apre un canalone in blocchi di granito lungo 42 m che portava l’acqua della sorgente fino all’anfiteatro: un ampio bacino circolare con tribune su cui potevano trovare posto molte persone. Forse i nuragici vi praticavano i mitici riti dell’ordalia, descritti dagli storici Solino, Prisciano e Isidoro, per chiedere l’intervento divino nel giudizio dei reati, in particolare quelli contro la proprietà. Gli accusati bagnavano gli occhi con l’acqua e, se colpevoli, divenivano ciechi. Talvolta la volontà divina veniva pilotata avvelenando l’acqua con sostanze capaci di far perdere la vista. Il villaggio, un centinaio di capanne circolari datate al periodo del tardo nuragico, si estende tutto intorno alle strutture sacrali.
. Tomba di Giganti di Madau - Fonni Come si arriva: Da Nuoro si percorre la SS 389 in direzione Lanusei. Si imbocca il bivio per Fonni e dopo alcuni chilometri si svolta a sinistra seguendo le indicazioni per la località Pratobello. Si prosegue sulla vecchia 100
Sardegna nuragica
Provincia di Nuoro
provinciale n. 2 per Lanusei, sino al km 7,2. Le tombe sono sulla destra della strada, segnalate da un cartello in legno.
l sito si trova in località Pratobello, ai piedi del Gennargentu, in una fertile valle tra Fonni, Orgosolo e Mamoiada, ricca di sorgenti e siti archeologici. La necropoli è costituita da quattro tombe dei giganti con camera rettangolare, disposte ad anfiteatro. La prima tomba è anche la più grande ed esteticamente perfetta: è definita “tomba con facciata a filari litici”. La seconda, probabilmente la più antica, è edificata su una preesistente tomba dolmenica: la camera sepolcrale, quasi intatta, è costruita con blocchi squadrati. Nella necropoli sono stati ritrovati interessanti reperti: bracciali in bronzo, vasellame, perline per collane in pasta vitrea. La realizzazione risale al periodo evoluto del tardo nuragico (XII-XI secolo a.C.), come testimonia la perfezione della squadratura dei conci in grani-
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to. È significativo che l’Arcu de Correboi, passo montano del Gennargentu il cui nome deriva dalla conformazione a corna di bue, si trovi in linea con l’ingresso delle tombe: l’esedra della necropoli riproduce senza dubbio la forma a corna di toro dell’arco montano. A 1 km dall’area funebre si trova il villaggio di Gremanu che conserva l’unico esempio di acquedotto nuragico.
03. Fonte sacra Su Tempiesu - Orune Come si arriva: Lungo la SS 131 DCN in direzione Siniscola prendere l’innesto per Orune, al km 12. Seguire poi la SP 51 fino al paese. Seguire le indicazioni per la “Fonte sacra Su Tempiesu”. Una volta giunti al cimitero del paese svoltare a sinistra e seguire una strada asfaltata che si addentra fra le colline per circa 3 km. La strada termina davanti alla struttura della cooperativa che gestisce il sito.
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l monumento sorge in una aspra e selvaggia valle nelle campagne di Orune, ancora oggi regno dei pastori del paese. Celato per secoli da una frana che lo preservò intatto fino ai nostri giorni, fu scoperto solo nel 1953 dai proprietari del terreno, nel corso dei lavori di canalizzazione dell’acqua. La fonte sacra, datata alla fine del II Sardegna Nuragica 101
millennio a.C. e frequentata sino all’Età del Ferro, è unica nel suo genere in Sardegna. Addossata ad una ripida parete di roccia scistosa (i nuragici captarono ed incanalarono l’acqua sorgiva che alimenta ancora oggi la fonte), presenta una originale copertura a doppio spiovente, con un vestibolo rettangolare coperto da due archetti. La parte anteriore del tempio è costituita da un timpano triangolare che culmina in un blocco di pietra di forma piramidale: secondo gli archeologi presentava degli alvei in cui erano inserite spade votive di bronzo fissate con piombo fuso. Dal vestibolo una scaletta di 4 gradini (la cui funzione è evidentemente simbolica), conduce al vano coperto da una piccola tholos, dove veniva raccolta l’acqua. La tholos è realizzata con conci in trachite perfettamente intagliati,
Provincia di Nuoro
pietra non presente nelle colline di Orune. Il pozzo venne impermeabilizzato con del piombo fuso inserito tra le giunture dei blocchi. Dal pozzo l’acqua defluisce in un piccolo canale e si riversa in un pozzetto esterno, dotato di una mensola di pietra per le offerte, e forse riservato ai fedeli che non potevano entrare nel tempio. Durante gli scavi del secondo pozzetto sono stati trovati numerosi oggetti votivi in bronzo, fra cui spilloni, spade e figure di offerenti, conservate presso il Museo Archeologico Nazionale di Nuoro. Il sito è gestito da una cooperativa che ha realizzato sentieri e pannelli didattici per descrivere l’area archeologica e le caratteristiche botaniche e faunistiche del territorio. A monte del sito vi è la struttura della cooperativa con un piccolo museo che raccoglie le riproduzioni dei reperti di Su Tempiesu e un’originale ricostruzione di un tempio dedicato al culto delle acque.
04 Nuraghe Santa Barbara - Macomer Come si arriva: Il sito si trova lungo la SS 131, in direzione di Sassari all’altezza del km 145, subito dopo Macomer. È ben visibile sulla destra. Una stradina sale sul costone dove è situato il nuraghe. Si lascia l’auto e si prosegue a piedi dopo aver su-
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Sardegna nuragica
Provincia di Nuoro
05. Nuraghe Òrolo - Bortigali
perato i ruderi della chiesa di Santa Barbara.
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uno dei nuraghi più importanti della Sardegna centrale, edificato in località Padru Pizzinnu, in posizione strategica su un gradino dell’altipiano di Campeda. È un edificio complesso, di tipo tetralobato, e di dimensioni considerevoli. È costituito da una torre centrale alta 15 m che risale al I millennio a.C., e da un bastione con 4 torri laterali databili al IV sec. a.C. Le torri angolari sono simmetriche rispetto alla torre centrale e unite fra loro da un camminamento o cortine murarie curvilinee. Da un cortile si dipartono degli ingressi che per mezzo di scale conducono alle torri provviste di nicchie e feritoie. All’interno la bella tholos della torre centrale è alta 9 m e intatta. Attraverso una scala ricavata nello spessore della muratura, si accede alla cella del secondo piano, ridotta rispetto a quella inferiore. Nonostante il sito sia degradato conserva intatto il fascino di un monumento millenario, posto a guardia di un vasto territorio, dalla piana del Campidano a sud all’area basaltica del Meilogu in direzione nord.
Come si arriva: Dalla SS 131 in direzione Sassari svoltare al km 149,500 per la località Mulargia. Dopo la frazione percorrere altri 2 km e proseguire per il paese di Bortigali. Dopo 600 m prendere una strada bianca sulla destra, indicata dal cartello per il campo di tiro Òrolo, proseguire in salita per circa 600 m sino ad un bivio, e prendere la strada a destra. Si continua per altri 400 m sino al nuraghe. Si può giungere anche dal paese di Bortigali seguendo le indicazioni per Mulargia, e poi per Òrolo.
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l monumento domina un magnifico panorama sulla piana di Abbasanta, dalla Valle del Tirso fino al Gennargentu, e poi verso nord sino ai vulcani del Meilogu. Sia per l’ottimo stato che per l’imponenza delle sue strutture in blocchi di basalto, è un eccellente esempio di nuraghe trilobato. Conserva quasi
per intero la torre centrale di 15 m e due camere a tholos sovrapposte. Si penetra nel monumento tramite un corridoio su cui si aprono due torri laterali inglobate in un bastione. Sulla destra del vestibolo si apre la scala e sulla sinistra la nicchia d’andito. L’ingresso alla camera del piano terra è caratterizzata da un immenso architrave ribassato. Tramite la buia scala si accede alla camera superiore, che presenta un finestrone in direzione sud e due vani a pozzo ricavati entro lo spessore murario e aperti sul pavimento: forse si tratta di ripostigli accessibili solo con attezzatura retrattile. Intorno al monumento vi sono le tracce del villaggio. Il nuraghe Òrolo doveva rappresentare il sito più importante in un territorio molto ricco e fertile. Più a monte del nuraghe si trovano le domus de janas mentre a valle si individuano le sagome di altri numerosi nuraghi.
Provincia di Nuoro
06. Villaggio nuragico Tiscali - Dorgali Come si arriva: Per giungere al sito archeologico è bene farsi accompagnare dalle guide locali, poiché è necessario seguire uno dei sentieri tra il Supramonte di Oliena e quello di Dorgali, non molto semplici da individuare. I sentieri sono percorribili in circa 1h30, ma richiedono buon allenamento e senso dell’orientamento. L’ingresso è a pagamento.
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l villaggio nuragico è meta prediletta degli escursionisti, oltre che degli appassionati di archeologia. È stato costruito infatti all’interno di una vasta dolina di origine carsica sulla
Provincia di Nuoro
cima del monte Tiscali (m 515), lungo il confine tra il territorio di Oliena e quello di Dorgali. I sentieri che consentono di raggiungerlo sono molto affascinanti perché penetrano nel cuore del Supramonte fra boschi di leccio e corbezzolo: un territorio selvaggio dove la natura si conserva intatta da millenni. E proprio l’asprezza dei monti carsici ha preservato il sito per secoli. Così sulle sue origini regna ancora il mistero. Ritrovamenti riferibili all’età medievale dimostrano la lunga frequentazione della dolina. Probabilmente le popolazioni nu-ragiche la utilizzarono come rifugio per sfuggire alle persecuzioni dei romani, presenti con accam-
pamenti e guarnigioni nella sottostante valle di Lanaitto, e si suppone infatti che il villaggio sia stato costruito all’epoca della conquista romana dell’isola. L’ingresso alla dolina è difficile da individuare e per questo il luogo ha conservato intatto il fascino imperscrutabile e il silenzio di un ambiente misterioso. Le capanne del villaggio di pietra e fango, circa 40, sono state edificate a ridosso delle pareti della dolina. Sono in gran parte crollate, ma si possono notare ancora le fondamenta e si può senza dubbio affermare che la tecnica costruttiva con cui furono realizzate è diversa da quella utilizzata per gli altri villaggi nuragici. Le capanne ad
uso abitativo si trovano nel lato est; solo una di esse conserva in parte la piccola cupola e l’ingresso con un piccolo architrave di ginepro. Nella volta della dolina, in direzione nord-est un ampio foro consentiva l’uscita del fumo del villaggio ed era un ottimo punto di vedetta sulla valle circostante. Le capanne del lato ovest erano probabilmente utilizzate come magazzini e dispense per il cibo. All’interno della dolina resiste un microclima che ha consentito la crescita di un ambiente vegetale unico, con giganteschi alberi di lentisco e di terebinto, normalmente classificati come specie arbustive della macchia mediterranea.
Provincia della Gallura
. Tempio a pozzo Sa Testa - Olbia Come si arriva: A pochi km da Olbia sulla strada litoranea n. 82 che conduce a Golfo Aranci. Al km 3,3 un cartello sulla destra segnala il sito posto all’interno di una area recintata.
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l monumento, discretamente conservato, è stato scoperto intorno agli anni ’30 del secolo scorso dopo essere rimasto interrato per secoli. Si trova in una valle riparata, in posizione strategica lungo la linea litoranea e al centro di un territorio molto ricco di siti archeologici. È datato ai secoli finali del II millennio a.C. Antistante al tempio, un grande cortile circolare dal diametro di circa 8,30 m è
Provincia della Gallura
delimitato da un muro che segna il limite di quella che doveva essere l’area sacra. Il cortile, con pavimento lastricato e canaletta di scolo delle acque che lo attraversa per intero, introduce al vestibolo del pozzo. Il vestibolo presenta alcune panche lungo le pareti, destinate ai fedeli e alle loro offerte, e dà accesso al vano scala dal quale si discende alla camera. Nella camera del pozzo, coperta da una volta a tholos alta 6,80 m, si trova la sorgente ancora oggi attiva. A testimonianza dell’intensa frequentazione del luogo sacro nei secoli, nel 1969, nel corso di un intervento di restauro, vennero ritrovati materiali databili complessivamente in un arco cronologico che va dall’età nuragica a quella romana.
Nuraghe Albucciu - Arzachena Come si arriva: Da Arzachena seguire la SS 125 in direzione Olbia; dopo 600 m dall’uscita del paese un viottolo sulla destra, segnalato da un cartello, conduce al nuraghe. Dall’altro lato della strada si trova il parcheggio e la biglietteria. Di recente è stato istituito un servizio di guide.
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orge in un territorio caratterizzato da imponenti massicci granitici e da vaste sugherete. È uno dei siti archeologici più importanti del Nord Sardegna. Si caratterizza per il fatto che si appoggia ad un grosso sperone roccioso con il quale forma un unico corpo. È ben conservato e presenta una comSardegna Nuragica 107
mistione di elementi del nuraghe a corridoio e del nuraghe a tholos semplice. Dei due piani originali solo quello inferiore è ancora visibile e visitabile. Dall’ingresso si accede ad un corridoio che presenta soffitto a mensole. Nella parete opposta all’entrata c’è la scala che porta al bastione, ricavata nello spessore del muro. Ancora più a sinistra si apre un lungo cunicolo cieco. Sulla destra del corridoio si trova una camera ovale con una celletta e un cunicolo, scavato nella roccia viva, che porta all’esterno. La muratura esterna è coronata da mensoloni in pietra che avevano la funzione di sostenere i balconi di legno. In base a materiali rinvenuti la costruzione è databile al 1600 a.C. Fra gli oggetti in bronzo conservati al Museo Sanna di Sassari, spiccano una statuetta di orante, una situla e un pugnale. Intorno al nuraghe sono visibili i resti delle capanne del villaggio.
Provincia di Sassari
Provincia di Sassari
. Reggia nuragica di Santu Antine - Torralba
mente ha cambiato destinazione nel corso dei secoli. Recenti e affascinanti teorie ipotizzano che fosse utilizzato come osservatorio astronomico e come tempio per i riti di adorazione del sole, e che sia stato progettato e realizzato in base alla direzione che i raggi solari seguono durante solstizi ed equinozi.
Come si arriva: Dalla SS 131 in direzione Sassari svoltare allo svincolo per Torralba posto al km 173,200. Si procede nella direzione opposta al paese, verso la stazione; dopo poche centinaia di metri si scorge il nuraghe sulla destra.
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l complesso sorge al centro di una vasta piana vulcanica chiamata oggi Valle dei nuraghi. È uno degli insediamenti più grandiosi e meglio conservati dell’epoca nuragica. Il suo nome deriva dalla presenza, nelle vicinanze, della chiesa dedicata a Santu Antine, nome sardo dell’imperatore romano Costantino. Nella tradizione locale è sempre stato chiamato Sa Domo de su Re (la casa del re), per via della sua imponenza che faceva supporre si trattasse del castello di un principe o capo tribù. Costruita in trachite tra IX e VIII secolo a.C., la reggia è costituita da un nuraghe di tipo trilobato con tre torri agli angoli che racchiudono un cortile. Si entra dal lato sud-est, tramite un ingresso architravato con due nicchie laterali. L’ampio cortile conserva un pozzo profondo 20 m. La torre centrale è alta 17,5 m. Costruita probabilmente nel 1500 a.C., originariamente doveva raggiungere i 20-22 m. Conserva tre camere sovrapposte con la copertura a tholos. La 108
Sardegna nuragica
camera al piano terra è circondata da un imponente corridoio percorribile in tutta la sua lunghezza. Le volte dei collegamenti tra le torri, realizzati con dei corridoi lungo le mura, sono un perfetto esempio della raffinata tecnica costruttiva nuragica, che richiama le tecniche ciclopiche micenee. La presenza di feritoie, da cui si può controllare distintamente l’esterno del nuraghe, fa pensare a un utilizzo a scopo militare del complesso. Ai piani superiori si accede per mezzo di due scale aperte sul cortile. La tholos e un sedile in pietra che segue l’andamento della parete caratterizzano la seconda camera. Della terza resta ben poco e serve oggi da terrazza da cui si può godere un magnifico panorama. All’esterno del nuraghe si trovano i resti del villaggio realizzato in epoche successive. Restano molti dubbi sulla reale funzione del sito, che si presenta come un castello o una fortezza ma che probabil-
. Nuraghe Palmavera - Alghero Come si arriva: Da Alghero imboccare la SS 127 bis in direzione Porto Conte e procedere per circa 12 km. Il sito è sulla destra, segnalato da cartelli.
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u edificato lungo un percorso che anche anticamente univa il golfo di Alghero con la baia di Porto Conte, in un territorio caratterizzato dall’alto numero di siti nuragici. Il monumento è un bell’esempio di nuraghe complesso, edificato sulle
falde del colle omonimo a 64 m di altitudine. È il risultato di una serie di interventi costruttivi operati dal XV all’VIII secolo a.C. La torre centrale, la più antica e risalente al Bronzo Medio, conserva un alzato di circa 8 m. Venne rifasciata con una muraglia ellittica che racchiude una torre secondaria, un cortile e il corridoio d’ingresso. La camera principale, coperta a tholos, è ancora intatta. Una scala, aperta all’interno di una nicchia situata a 3 m d’altezza e raggiungibile attraverso scale a pioli, portava al piano superiore. Intorno al nuraghe si notano i resti del villaggio. Tra le capanne, quella chiamata delle riunioni al cui interno, sopra un basamento centrale, venne trovato un modellino di nuraghe. L’insediamento fu abbandonato alla fine dell’VIII secolo a.C. Diversi reperti in ceramica e bronzo, compreso il modellino originale del nuraghe, sono custoditi nei Musei archeologici di Sassari e di Cagliari.
Provincia di Oristano
. Nuraghe Losa - Abbasanta Come si arriva: Il nuraghe si trova lungo la SS 131, tra il km 123 e il km 124. È visibile dalla strada, sulla sinistra in direzione di Sassari. L’area archeologica è ben segnalata e curata da una cooperativa. Ingresso a pagamento.
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fra i più imponenti e meglio conservati siti archeologici della Sardegna. Sorge su un vasto altopiano basaltico al centro dell’isola, zona fertile e destinata da sempre al pascolo. Realizzato con blocchi di basalto, comprende un maestoso nuraghe trilobato, un villaggio, un
antemurale e una cinta muraria che racchiude interamente il sito. Il nuraghe risale ai secoli XV-XIV a.C. del Bronzo Medio; presenta una torre principale unita ad altre tre torri tramite una muratura esterna. Un vestibolo consente l’accesso alla torre centrale e alle due torri laterali. Le camere interne presentano grandi nicchie di scarico e volte a tholos, intatte e rese suggestive dalla sapiente illuminazione moderna. L’assenza di un cortile interno è il dato che differenzia il nuraghe Losa da tutti gli altri importanti complessi nuragici. Le torri sono collegate da corridoi interni,
le cui volte sono state realizzate con grossi blocchi di basalto lavorati in modo grezzo, ma incastrati a formare un equilibrio statico perfetto. Della torre principale è visitabile anche il piano superiore, a cui si accede per mezzo di una scala ricavata nello spessore murario. La scala conduce infine a un secondo piano di cui restano pochi fasci murari e che serve oggi da terrazza. La torre posteriore invece si raggiunge da un accesso secondario. L’intera struttura, che oggi svetta fino a 13 m, in origine raggiungeva altezze superiori ai 20 m. Sul lato sud, di fronte all’ingresso principale, si trova un ambiente circolare, forse utilizzato come capanna delle riunioni. La presenza di urne cinerarie di età imperiale, oggi visibili all’ingresso dell’area archeologica, rivela la lunga frequentazione del sito, abitato in età romana e addirittura fino al VII secolo d.C. In conseguenza del suo andamento ondulato, il profilo esterno del nuraghe trilobato è uno dei più affascinanti e ingegnosi tra quelli progettati e messi in opera dagli ingegneri nuragici. Presso il monumento è allestita un’interessante esposizione didattica che ripropone alcuni momenti della civiltà nuragica con pannelli, disegni e immagini di diversi nuraghi. Del nuraghe Losa sono esposti alcuni reperti rinvenuti durante gli scavi.
. Pozzo sacro di Santa Cristina - Paulilatino Come si arriva: Il sito di trova lungo la SS 131, al km 114,300, segnalato da cartelli ben visibili. L’area è ben curata e attrezzata con un punto di ristoro. Ingresso a pagamento.
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mmersa in un bosco di ulivi e querce, l’area archeologica di Santa Cristina si estende per circa un ettaro in una zona ricca di testimonianze della civiltà nuragica. Il suo nome deriva dalla vicina chiesa campestre di Santa Cristina. Comprende un santuario, un nuraghe, un villaggio e diverse costruzioni dislocate intorno alla chiesa cristiana. Il Sardegna nuragica 111
Provincia di Oristano
Provincia di Oristano
monumento più importante è un tempio a pozzo ipogeo, perfettamente conservato, risalente all’età del Bronzo Finale. È realizzato con conci di basalto e rappresenta il vertice costruttivo ed estetico dell’architettura
tre, di solito, gli architetti nuragici utilizzavano conci lavorati in modo grossolano. Frutto dell’ingegno e di un avanzato senso estetico, il vano della scala presenta una volta realizzata come una scala al rovescio, elemento
condato dalle capanne probabilmente riservate ai sacerdoti, ai pellegrini e ai mercanti. Nei pressi del pozzo si trova la cosiddetta Capanna delle riunioni con ampio sedile. A sud-ovest dell’area archeologica si trovano il nuraghe e altre capanne. Di grande interesse i ritrovamenti dell’area: una navicella nuragica in bronzo, bronzi siro-palestinesi del II-I millennio a.C. e fibule enee del IX e VII secolo a.C. Recenti studi ipotizzano che il pozzo sia stato realizzato in base a precisi calcoli che tenevano conto della posizione della luna e del sole. È stato mostrato come un affascinante fenomeno, confermi la maestria dei costruttori nuragici e la sacralità del luogo: nei mesi di dicembre e di febbraio infatti, a mezzanotte, è possibile vedere la luna piena filtrare attraverso il foro alla sommità della tholos e riflettersi sull’acqua all’interno del pozzo.
sacra nuragica. L’atrio a ventaglio è contornato da muretti e da un’ellisse di pietra che sono i resti di una copertura andata perduta. Oltre il vestibolo vi è una scalinata per l’accesso al pozzo, formata da 25 gradini perfettamente squadrati men-
decorativo e simbolico che giunge fino alla volta del pozzo. Ai piedi della scala c’è la fonte sacra, un pozzetto sotterraneo con copertura a tholos alta 7 m: ha un foro in sommità che fa filtrare la luce fino allo specchio d’acqua. Il luogo di culto è cir-
. Nuraghe Lugherras - Paulilatino
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Sardegna nuragica
Come si arriva: Dalla SS 131 prendere il bivio per Paulilatino; prima di giungere al paese prendere la SP 11 per Bonarcado. Dopo 6 km si incontra il car-
tello per il nuraghe. Si continua sulla strada sterrata per circa 1,5 km, fino al nuraghe.
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l monumento, immerso nella macchia mediterranea in una zona ricca di siti archeologici, è molto importante per via del rinvenimento al suo interno di numerose lucerne votive romane (in sardo lugherras), che testimoniano l’uso del nuraghe, come tempio e area di sepoltura in epoca punico-romana. L’edificio ha una struttura complessa, con una torre centrale alta 12 m e tre torrette cuspidali. La torre è datata al X secolo a.C. circa, il bastione quadrilobato con il cortile fu edificato tra il IX e il VII secolo a.C., e l’antemurale con le quattro torri furono innalzati tra il VII e il VI secolo a.C. La camera della torre centrale conserva la bellissima tholos e due nicchie. Nel cortile, a sinistra dell’ingresso, si trova un pozzo profondo oltre 10 m. Tutto intorno il villaggio nuragico è formato da capanne circolari. Il nuraghe fu abitato dai nuragici sino agli inizi del V secolo a.C., quando i Cartaginesi lo trasformarono in tempio. Durante la dominazione romana sulla cima della torre centrale fu edificato un tempietto dedicato a Demetra, la dea della rinascita, di cui resistono oggi poche tracce. Sardegna nuragica 113
Provincia del Sulcis Iglesiente
. Necropoli di Montessu - Villaperuccio Come si arriva: Da Villaperuccio si prende la strada per Narcao. Dopo 1,5 Km dal ponte sul Riu Mannu svoltare a sinistra, in corrispondenza del cartello che indica la necropoli. Si percorre poi una strada asfaltata per circa 1 km fino al parco archeologico. Ingresso a pagamento.
S
ulla sommità della collina trachitica di Montessu, all’interno di un suggestivo anfiteatro di roccia a nord di Villaperuccio, si estende la più grande necropoli dell’età neolitica della Sardegna: circa quaranta domus de janas di differenti tipologie, che sono testimonianza delle diverse fasi del neolitico sardo. I reperti ritrovati vanno dalla cultura di Ozieri a quella di Abealzu-Filigosa, Monte Claro, Vaso campaniforme, Bonna-
Provincia di Cagliari
naro. Qui i popoli di cacciatori e allevatori seppellivano i defunti affidandosi ai rituali misterici legati al culto del Dio Toro e della Dea Madre. Tra le tante celle funerarie due sono considerate delle vere e proprie tombe-santuario: Sa Cresiedda (la chiesetta) e Sa Grutta de Is Procus (la grotta dei porci). Si distinguono dalle altre per le notevoli dimensioni e per l’architettura piuttosto elaborata: la tomba di Sa Cresiedda è caratterizzata da due colonne cilindriche, oggi spezzate, scavate con maestria nella roccia. Molte delle tombe conservano, incisa o in rilievo sulle pareti, tutta la simbologia funebre tipica dell’età neolitica: petroglifi, spirali, “denti di lupo”, teste taurine, simboli della Dea Madre. In altre tombe sono ancora visibili tracce di pittura rossa e gialloocra, con cui venivano rivestite le pareti delle domus de janas.
. Nuraghe Is Paras - Isili Come si arriva: Al km 21,900 della SS 131 imboccare la SS 128 al bivio per Senorbì. Dopo circa 47 Km si giunge a Isili. Il nuraghe è situato alla periferia del paese, ben visibile all’inizio della strada per Nurallao.
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l nuraghe venne edificato in posizione dominante su una fertile valle. È una costruzione di tipo trilobato, realizzata con filari di calcare bianco. La torre centrale, la parte più antica, fu edificata tra il XV e il XIV secolo a.C. e conserva solo il piano inferiore dei due originali. Si distingue per la maestosa volta a tholos perfettamente conservata, che con i suoi 11,80 m è la più alta della Sardegna. Al centro della camera vi è un pozzo
circolare. Sulla parete destra, ad un’altezza di 5 m, si apre l’ingresso del vano scala. In una seconda fase (secoli XIII-XII a.C.) fu edificata una torre più piccola davanti alla principale e, tra le due torri, un cortile. Nella terza fase (XII-XI secolo a.C.), furono aggiunte altre due torri, unite tra loro da muri rettilinei. Questa fase è la meno nota perché le torri a nord e a ovest risultano ancora interrate. L’intera struttura fu circondata da un antemurale munito a sua volta di torri. Tutto intorno si estende un grande villaggio di capanne circolari, ancora da portare alla luce. L’area fu abitata anche in epoca romana e altomedievale. Si trova a poche centinaia di metri dalla linea del Trenino Verde, il treno turistico della Sardegna.
. Nuraghe Arrubiu - Orroli Come si arriva: Da Orroli seguire la SP 10 per Escalaplano. Giunti al km 9 svoltare a sinistra in una strada che conduce all’area archeologica dopo circa 3 km.
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l complesso megalitico è situato a circa 500 m di altitudine, su un altopiano ai piedi della Giara, che domina i paesini di Nurri ed Orroli. Si estende per circa 3 ettari in un paesaggio caratterizzato dalla macchia mediterranea e da aspre colline. Sardegna nuragica 115
Provincia di Cagliari
Edificato tra il XIII e il IX secolo a.C., è il più grande e imponente nuraghe finora scoperto in Sardegna, l’unico pentalobato, anche se da alcuni modellini di nuraghi, come quello a otto torri ritrovato a Monti Prana, presso Cabras, si presume che dovessero esisterne di più maestosi. È circondato da poderose mura, il che fa pensare un utilizzo a scopo militare o perlomeno difensivo del complesso. I licheni rossi ricoprono i grandi massi del nuraghe, dandogli una colorazione caratteristica da cui il monumento prende il nome. Arrubiu significa infatti “rosso”. Presenta una torre centrale che in origine doveva essere alta almeno 30 m (oggi svetta fino a un’altezza di 16 m), circondata da un bastione a cinque torri, con mura molto spesse. La torre centrale conserva intatti il piano terra e il primo piano con le belle e imponenti tholos. 116
Sardegna nuragica
Sulla sommità della torre, già ostruita dai crolli, in età romana fu impiantato un centro vinario, rimosso e poi ricostruito alla destra dell’ingresso dell’area archeologica per poter permettere la prosecuzione degli scavi. La torre e il bastione sono circondati da una seconda cinta muraria formata da sette torri, visibili solo in parte, fasciate e unite da un muraglione. Sono ancora individuabili i resti di una terza cinta, rafforzata da altre cinque torri. Oltre le cinta murarie vi sono i resti di un vasto villaggio di capanne circolari. Il complesso è visitabile tutti i giorni con accompagnamento di guide. È possibile visionare un interessante studio multimediale che propone un’ipotetica e suggestiva ricostruzione del complesso e delle sue torri.
. Santuario nuragico di Santa Vittoria - Serri Come si arriva: All’ingresso del paese di Serri seguire le indicazioni per l’altipiano della Giara, dove si trova il santuario nuragico, a circa 4 km dal centro abitato. Il sito è gestito da una cooperativa.
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l complesso si estende su una area di 4 ettari, su un’altura difesa da bastioni naturali, in posizione dominante sull’altipiano della Giara di Serri. Con-
serva un villaggio con numerose abitazioni ed edifici di uso comune, datato nel suo insieme alla fine del II millennio a.C., e che si compone in diversi settori. Una zona, chiamata Recinto delle feste, con un diametro di ben 75 metri, fa supporre che il complesso avesse funzione di villaggio-santuario, uno dei più frequentati dell’isola: ospitava un porticato ed era circondata da piccoli vani nei quali si ritiene venissero ospitati i pellegrini. L’ampio Recinto delle riunioni è formato da cinque grandi capanne, di cui tre circolari (Recinto dell’ascia bipenne, Recinto con sedile, Fonderia) e due quadrate (Casa del focolare e Cucina), e da un’insieme di stanze addossate al muro di cinta. Al di fuori del recinto delle riunioni si trova la capanna chiamata Capanna dell’altarino e più avanti la Casa del capo, finemente lavorata, forse un tempio. Oltre una cortina di pietre si trova il tempio a pozzo: la cupola che lo ricopriva doveva essere alta 2-3 m, e di due colori, bianco e nero, come indicano i resti dei
conci lavorati, dei fregi e due protomi taurine in calcare bianco. Vicino al pozzo vi è un tempio rettangolare circondato da tre capanne e più avanti la chiesetta di Santa Vittoria, costruita sopra i resti di un nuraghe a corridoio. Un’altro nuraghe si trova a fianco del tempio rettangolare. In questa parte del sito sono stati ritrovati i reperti più celebri di Santa Vittoria: il bronzetto del capo tribù, quello della madre col bimbo in braccio e frammenti di modellini di nuraghi in pietra. Un’altra zona comprende abitazioni e la capanna più grande dell’intero sito chiamata Curia, utilizzata probabilmente per le riunioni della comunità: presenta dei sedili lungo il muro interno, sopra i quali c’è una corona di pietre infisse nel muro, una vasca di calcare e un betilo conico. Intorno al betilo sono stati trovati resti di animali e di statuine votive rappresentanti animali. Vicino alla Curia c’è il Recinto di Giustizia dove si suppone si praticassero i riti per ottenere il giudizio degli Dei.
Provincia dell’Ogliastra
. Complesso nuragico di Serbissi - Osini Come si arriva: Dal centro di Osini si seguono le indicazioni per la Scala di San Giorgio. Si procede in salita fino a raggiungere la stretta gola, percorribile in auto fino ad arrivare ad un bivio. Si svolta a destra seguendo le indicazioni per il nuraghe. Si segue la stradina asfaltata e, al termine di questa, si dipartono due piste. Si prende la strada a destra e si procede per 3 km fino a giungere ai piedi dell’altura dove sorge il nuraghe. Da qui ci si incammina in salita lungo il sentiero, dove un cartello indica l’ingresso della grotta, fino ad arrivare al complesso nuragico.
È
stato edificato ad un’altitudine di 963 m, sull’altopiano calcareo di Taccu, ed è particolarmente suggestivo grazie alla sua posizione che domina le alture circostanti. Sorge sulla
Provincia del Medio Campidano
volta di una grotta naturale utilizzata in passato come magazzino per le derrate alimentari. La grotta presenta due grandi sale di forma circolare. La cronologia del sito va dal Bronzo Medio al Bronzo Recente. È formato da quattro torri, inglobate in un poderoso bastione e collegate all’interno della struttura da un corridoio, probabilmente costruite in diverse fasi. Nella prima fase fu realizzata la torre centrale composta da due piani: in quello inferiore la tholos è ancora intatta. La camera superiore, quasi del tutto crollata, è raggiungibile tramite una scala a sinistra del corridoio di ingresso. Nella seconda fase fu costruita la torre posta a sud. Nella terza fu costruito il bastione che ingloba tutta la costruzione. Ad una fase ancora successiva appartengono le capanne circolari che sorgono attorno al nuraghe.
. Complesso nuragico Su Nuraxi - Barumini Come si arriva: Lungo la SS 131 imboccare il bivio per il paese di Barumini al km 40,900. Da Barumini seguire la strada per il paese di Tuili. Dopo 1 km si intravede il complesso nuragico, a sinistra della strada. L’area è gestita da una cooperativa con un servizio di visite guidate.
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l complesso si trova su un terrazzamento marnoso e domina la fertile conca di Pardu ’e s’eda, da tempo immemorabile coltivata a grano. La zona è chiusa da alcune colline, tra cui quella del Castello giudicale di Las Plassas. I nuraghi presenti nelle colline intorno alla giara di Gesturi formano un sistema con Su Nuraxi al centro. Ciò dimostra l’importanza del com-
plesso che si ergeva a difesa di una sorta di città o di un cantone. La scoperta del complesso archeologico Su Nuraxi è stata una delle più clamorose del XX secolo. Il sito si presentava infatti completamente interrato e formava una collina artificiale che i locali da sempre chiamavano Su Nuraxi e che nel corso dei secoli fu saccheggiata per ricavare materiale da costruzione. Gli scavi condotti da Giovanni Lilliu tra il 1951 e il 1956 portarono alla luce un possente bastione quadrilobato, con quattro torri disposte ai punti cardinali attorno ad una torre centrale. Il bastione è a sua volta cinto da un antemurale con sette torri. Il villaggio di capanne, circa 50, riferibili alle fasi finali dell’età del Bronzo e alla prima età del Ferro, è costituito da strutture a pianta complessa, con al centro un cortile su cui si affacciano vari ambienti. Nelle abitazioni spesso è riconoscibile la cucina e talvolta persino il forno, il pozzo e il focolare. Ve ne sono due che presentano una panca e un grande bacino di pietra, forse utilizzato per riti domestici legati al culto dell’acqua. Interessante è anche la Capanna delle riunioni, caratterizzata anch’essa da una panca di pietra e da nicchie. Il villaggio è circondato da una cortina muraria costruita nell’età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.). In realtà si tratta di una modifica ad un antemurale che ingloba il più Sardegna nuragica 119
Provincia del Medio Campidano
antico settore del villaggio (età Bronzo Tardo, XI-X secolo a.C.). Il sito, così come dimostrano i cospicui reperti punici e romani, è il risultato di una frequentazione durata quasi 2000 anni. I numerosi ritrovamenti databili alle diverse fasi della civiltà nuragica sono conservati al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari e al Museo Archeologico di Villanovaforru. Il complesso di Barumini è iscritto nella lista del patrimonio mondiale UNESCO.
. Nuraghe e villaggio di Genna Maria - Villanovaforru Come si arriva: Lungo la SS 131 svoltare al bivio per il paese di Villanovaforru al km 50,50. Dopo 5,6 km, prima di entrare in paese, si gira a sinistra verso il paese di Collinas. Dopo 450 m si svolta ancora a sinistra nella strada per il Parco Archeologico. Il sito è ben segnalato da cartelli.
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l nome del sito significa Porta dei mari; forse deriva dalla sua collocazione geografica, su un’altura ai piedi della Giara da cui è possibile ammirare parte della piana del Campidano e, nelle belle giornate, il mare del golfo di Cagliari. L’insediamento è costituito da un nuraghe trilobato, da un antemurale turrito e dal villaggio di capanne. Al Bronzo Medio risale la gran-
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Sardegna nuragica
de torre centrale, in seguito fasciata con un bastione trilobato. Fu costruita con scadente materiale di cava, tenera roccia locale, e per questo in stato non ottimale. Resistono solo gli architravi e altre parti costruite in materiale vulcanico. Il villaggio fu abbandonato intorno all’800 a.C. a causa di un violento incendio. All’interno del villaggio sono stati rinvenuti numerosi oggetti di uso quotidiano abbandonati dagli abitanti a causa della fuga precipitosa. Il villaggio fu riutilizzato in età storica fino alla dominazione romana, con funzione di luogo sacro al culto di Demetra e Core, come attestato dagli ex-voto rinvenuti nella torre centrale. Gli oggetti rinvenuti sono esposti nel Museo Archeologico di Villanovaforru.
Glossario Fonti delle illustrazioni Da leggere poi Musei Archeologici della Sardegna
Glossario
GLOSSARIO
Abside Struttura architettonica a pianta semicircolare o poligonale coperta a volta (vedi, in questo glossario, volta), che emerge dalla parete perimetrale di un edificio. Allée couverte Viale coperto, galleria coperta. Architrave Elemento architettonico orizzontale sostenuto da colonne, pilastri o stipiti. Betilo Il termine significa “casa della divinità”. È una statua stilizzata in pietra, risalente al periodo nuragico. I betili più antichi hanno forma generalmente conica e frequentemente presentano forme antropomorfiche, tanto che possono distinguersi i betili femminili da quelli maschili. I betili più recenti assumono quasi tutti la forma tronco-conica e presentano sulla parte mediana della superficie laterale due o più incavi circolari da interpretarsi come occhi aperti. La funzione rituale assegnata ai betili, generalmente sistemati lungo l’arco dell’esedra
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Sardegna nuragica
delle tombe dei giganti o nei pressi di essa, era quella di vigilare sulla incolumità della tomba e sulla pace dei morti. Bronzetto Scultura in bronzo di piccole dimensioni. Cera persa È una delle tecniche di fusione dei metalli, utilizzata per la realizzazione di sculture. Un modello di cera (inizialmente pieno, poi fornito di un’anima di terra e rafforzato da un’armatura) veniva ricoperto con uno strato di terra (forma). Questa copertura - fornita di un sistema di canali per far defluire la cera sciolta, e di sfiatatoi per far uscire aria e vapori di fusione era fissata al nucleo di terra attraverso chiodi metallici. La massa veniva cotta in un forno che consentiva alla cera di sciogliersi e di essere eliminata attraverso i canali. La intercapedine creatasi tra le due masse di terra era riempita di metallo fuso. Una volta solidificato il metallo, si rimuovevano la forma esterna (o tonaca) e l’anima. Questa operazione venne semplificata con l’adozione della
fusione separata delle varie parti poi unite o saldate, e, nel tempo, perfezionata. Dolmen Sepolcro megalitico il cui nome deriva dal bretone tol, tavola, e men, pietra. Si tratta di un monumento destinato a sepolture multiple (ma di dimensioni modeste rispetto ai confronti extrainsulari), costituito, nella sua forma più semplice, da due o tre lastre verticali che sostengono una lastra orizzontale. È probabile che l’insieme fosse coperto da un tumulo di pietra e terra. L’allée couverte è sepolcro all’incirca coevo e comunemente definito come frutto dell’allungamento del dolmen, l’allée si evolve a sua volta nella Tomba dei Giganti. I dolmen sono diffusi soprattutto nella zona centro settentrionale della Sardegna. Domus de janas Ipogei il cui nome significa “case di fate o streghe”. Sono detti anche di forru o furreddos (forno, fornelli), o di conca o conchedda o percia (precca) per la figura cava del loro interno. Sono grotticelle artificiali scavate sotto terra o nella roccia tenera, che presentano tre tipi di ingresso: a corridoio, il terreno scende gradualmente verso i piani del sottosuolo dove è scavata la tomba; a pozzetto, con ingresso dall’alto e piccolo
vestibolo che dà accesso alla tomba vera e propria; a portello, scavata a balza rocciosa, con ingresso praticamente orizzontale. Si possono presentare isolate, in piccoli gruppi o in vaste necropoli. Ve ne sono sia di tipo semplice, monocellulare, a pianta rotonda o quadrata, sia di tipi più complessi con diversi ambienti collegati da corridoi che si sviluppano in piano dietro l’apertura di finestrelle rettangolari su balze rocciose verticali. Gli ambienti sono disposti intorno a una camera centrale; i tetti tendono a riprodurre quelli di capanne o di case; le pareti sono spesso dipinte (di rosso o color ocra), scolpite o decorate con false porte, pilastri, protomi taurine, spirali, colonne e nicchie. Esedra Ambiente a forma di semicerchio aperto verso uno spazio più ampio. Facies Aspetto locale di un complesso culturale a più ampia diffusione. Heroon Luogo sepolcrale di personaggi eroici. Ipogeo Vano sotterraneo prevalentemente adibito a sepoltura, costituito in genere da uno o più Sardegna nuragica 123
Glossario
ambienti comunicanti tra loro, in cui venivano sepolte più persone. Mègaron Ambiente rettangolare chiuso. Menhir Dal bretone men, pietra e hir, lungo. Monumento litico, di varia altezza (può arrivare fino ai 6 m circa), infisso verticalmente nel terreno. I menhirs possono essere collocati singolarmente o in gruppo in prossimità di monumenti funerari, di antichi abitati e di crocicchi forse a protezione dei viandanti. Si distinguono in aniconici ed antropomorfi. I primi sono pietre naturali appena sbozzate, a forma di parallelepipedo o di prisma tendente a restringersi alla sommità a volte appuntita, a volte tronca - oppure ogivale con sezione piano-convessa; possono avere attributi maschili (simbolo fallico) e femminili (coppelle in positivo o in negativo). I secondi, invece, sono lavorati in modo da rappresentare la figura umana. Nell’età dei metalli, questa sarà rappresentata attraverso vere e proprie statuemenhir o betili. Nuraghe a corridoio Edificio dalla forma allungata i cui ambienti interni sono paragonabili a corridoi o gallerie di diversa lunghezza. La struttura esterna si caratterizza per una 124
Sardegna nuragica
Glossario
possente e tozza massa muraria a pianta di solito irregolare (spesso ellissoidale, talvolta rettangolare o circolare). Nella gran parte dei casi le strutture murarie si impostano direttamente sulla roccia o inglobano emergenze rocciose. L’edificio ha una forma particolarmente schiacciata, base larga (nei nuraghi a pianta circolare raggiunge anche i 18 m di diametro), altezza modesta (sembra non superi i 10 m). Presenta una o più porte d’ingresso: ne sono state attestate due versioni: trapezoidale, con porta sormontata da un architrave, e ogivale (l’architrave qui è assente). L’interno si articola in corridoi o gallerie che assumono forme differenti, articolate con nicchie ampie e profonde. Dal corridoio si aprono le scale che conducono al terrazzo o ad eventuali piani superiori. Nuraghe a tholos Monumento costituito da murature imponenti, solide, ma anche agili e slanciate. Al contrario dei nuraghi a corridoio, che prediligono come sito d’impianto emergenze rocciose a cui addossare le strutture murarie, il nuraghe a tholos si imposta su banchi di roccia ben spianati e adattati per sostenere il peso delle imponenti strutture. Piano d’appoggio e base solida e regolare sono condizioni indispensabili per la stabilità di
un’architettura priva di fondazioni, che talvolta supera i 23 metri d’altezza. La copertura a falsa volta è ottenuta dal progressivo restringersi dei filari di pietre; le pareti sono progressivamente aggettanti e la costruzione si presenta con una sezione ogivale. Nella sua forma essenziale si sviluppa singolarmente come una torre (in muratura ciclopica, o subquadrata o isodoma senza alcuna aggiunta di malta o legante), a forma di tronco di cono (mastio), che dà grosso modo l’idea di un secchio rovesciato: l’interno cavo è occupato da una o più celle circolari sovrapposte su più piani. Tra il Bronzo recente e la prima età del ferro questo tipo di nuraghe si arricchisce dando origine ad una forma più complessa, ottenuta essenzialmente attraverso tre tipi di addizione: frontale, laterale e concentrica; ossia l’unione di torri (o appendici o lobi) attraverso cortine murarie che vanno a costituire il cosiddetto bastione. Nel primo caso l’addizione può essere costituita anche da un semplice cortile; nell’ultimo le costruzioni, di notevole complessità e dimensioni, presentano più torri. Pinnettas Dette anche pinnettus o pinnettos, sono capanne a pianta circolare ricoperte da rami di ginepro nella zona del Supramonte, di leccio e corbezzolo
nella Barbagia e, nell’altopiano di Campeda, di pietre. Protome Testa o busto umano, di animale o di mostro. Statua-menhir Si differenzia da un semplice menhir perché sulla pietra sono scolpite spade, corna taurine, occhi. Ha carattere votivo: si pensa che non rappresenti la divinità, ma più probabilmente i guerrieri mitici. In questo modo i fedeli celebravano il ricordo degli eroi, della loro vita leggendaria e della loro essenza soprannaturale. Stele Lastra di forma rettangolare in pietra o marmo disposta verticalmente nel terreno o poggiante su una base, con iscrizione, incisa o scolpita, con funzione funeraria, votiva o commemorativa. Temenos Recinto sacro in cui sono l’altare, il tempio e altri edifici intorno. Tholos Costruzione circolare con copertura a falsa cupola (o falsa volta). Tomba dei Giganti Tomba collettiva in muratura costituita da un lungo corridoio Sardegna nuragica 125
Glossario
coperto (la vera cella funeraria) preceduto da un’esedra semicircolare o circolare, nel cui centro si trova un portello. La costruzione delle tombe dei giganti fu realizzata seguendo due stili principali, più un terzo finale: la tomba dei giganti dolmenica-ortostatica, quella nuragica o con facciata a filari e, in pochi esemplari, quella con fregio a dentelli. Lo stile di costruzione dolmenico-ortostatico si caratterizza per l’esedra concava (schema che sembra simbolizzare la testa del toro, divinizzato dalle popolazioni preistoriche), definita da lastroni infitti verticalmente che crescono in elevazione dalle estremità al centro. Qui domina la stele monolitica o bilitica, con uno o due listelli trasversali, talvolta con incavi (finestrelle finte) al lato della porticina ricavata al piede della stessa stele. A contorno dell’esedra, in alcune tombe sono ancora visibili i sedili utilizzati dai parenti dei defunti o probabilmente utilizzati duran-
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Sardegna nuragica
te il rito dell’incubazione. Secondo tale rito, sui sedili si sistemava chi desiderava comunicare con lo spirito dei defunti ed ispirarsi ad essi attraverso i sogni; si può dedurre che i morti inumati nelle tombe dei giganti venissero considerati eroi della tribù, divinizzati dalla fantasia popolare. Nella tomba dei giganti a struttura propriamente “nuragica”, permane la sagoma a corpo rettangolare absidato con esedra ma sparisce il tumulo. Nell’esedra non c’è più la stele, rimane perciò la prospettiva del muro concavo ordinato a file di pietra. Il portello è aperto nel muro, e dà accesso al vano tombale. Urna Vaso di varie forme contenente le ceneri del defunto. Volta Si tratta di una copertura a superficie ricurva di un ambiente o di una campata.
FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI
Foto: Alessandro Contu (© Archivio Imago Multimedia) pp. 10-11, 28-29, 82, 83, 84, 85, 86, 88, 89, 90, 91, 92, 94, 95, 96-97; 99, 100, 103, 106. Renato Brotzu (© Archivio Imago Multimedia) pp. 4-5, 6, 12-13, 2021, 24, 30-31, 44-45, 46 (in alto), 47 (in basso), 53, 87, 93, 102, 109, 120. Franco S. Ruiu (© Archivio Imago Multimedia) pp. 9, 15-16, 27, 32, 33, 34, 35, 37, 46 (in basso), 47 (in alto), 48, 50, 56-57, 58, 60-61, 62, 64-65, 67, 69, 70, 76, 77, 101, 104, 105, 107, 108, 110, 111, 112, 113, 114, 115, 116, 117, 119. Disegni: Francesco Carta pp. 18, 74-75 Francesco Corni pp. 22, 38, 39, 40, 41, 42-43, 78. p. 54 tratto da La civiltà nuragica, Electa, Milano 1990 pp. 80, 81 tratto da Ichnussa. La Sardegna dalle origini all’età classica, Garzanti-Scheiwiller, Milano 1993 Carta dei siti: Nino Mele
Sardegna nuragica 127
DA LEGGERE POI
Si consiglia la lettura dei seguenti scritti d’insieme:
GIOVANNI LILLIU, La civiltà dei Sardi dal paleolitico all’età dei nuraghi, [1963] Nuoro-Roma, Il Maestrale Rai Eri 2004; MASSIMO PALLOTTINO, La Sardegna nuragica, [1950], Nuoro, Ilisso 2001; AA.VV., Kunst und Kultur Sardiniens von Neolithikum bis zum Ende der Nuraghenzeit, Karlsruhe, Verlag C. Müller 1980; AA.VV., Nur. La misteriosa civiltà dei Sardi, Milano, A. Pizzi 1980; AA.VV., Ichnussa. La Sardegna dalle origini all’età classica, Verona, V. Scheiwiller 1981; GIOVANNI LILLIU, La civiltà nuragica, Firenze, C. Delfino 1982; GIOVANNI LILLIU, Origini della civiltà in Sardegna, Torino, Eri 1985.
MUSEI ARCHEOLOGICI DELLA SARDEGNA
Museo Archeologico ed etnografico G.A. Sanna, SASSARI, via Roma 64, tel. e fax 079.272203 Antiquarium Turritano Statale, PORTO TORRES (SS) via Ponte romano, tel. 079.514433 Museo Archeologico e Paleobotanico, PERFUGAS (SS) via Nazario Sauro, tel. 079.564241 Museo Archeologico VIDDALBA (SS) via G.M. Angioy, tel. 079.580514/564241 Museo Archeologico OZIERI (SS), ex convento di San Francesco, tel. 079.787638 Civico Museo Archeologico ed etnografico ITTIREDDU (SS) via San Giacomo 3, tel. 079.767623 Museo della Valle dei Nuraghi, TORRALBA (SS) via Carlo Felice, tel. 079.842798
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Sardegna nuragica
Museo Archeologico PADRIA (SS) Monte Granatico, tel. 079.807018 Museo Archeologico NUORO, Via Mannu 1, tel. 0784.31688 Museo Archeologico DORGALI (NU), via Lamarmora, tel. 0784.927200 Museo Archeologico OLIENA (NU), palazzo comunale, tel. 0784.287240 Museo Archeologico TETI (NU) via Roma 1, tel. 0784.68120 Antiquarium di Irgoli IRGOLI (NU) via S. Michele, 14 tel. 0784 979074 Antiquarium Arborense ORISTANO, Piazzetta Corrias, tel. 0783.791262/74433 Civico Museo Archeologico CABRAS, (OR), via Tharros, tel. 0783.290636 Museo delle Statue Menhir LACONI (OR), via Amsicora, tel. 0782.866216
Sardegna nuragica 129
Musei Archeologici della Sardegna
Civico Museo Archeologico “Villa Abbas” SARDARA (MD), piazza Libertà, tel. 070.9386183
Civico Museo Archeologico“Villa Sulcis” CARBONIA, via Napoli 4, tel. 0781.64044/665037
Museo Archeologico VILLANOVAFORRU (MD) piazza Costituzione, tel. 070.9300050
Museo Archeologico SANT’ANTIOCO (CI) via Regina Margherita 113, tel. 0781.83590/800596
INDICE GENERALE
Sardegna nuragica Storia delle scoperte e degli studi
Civico Museo Archeologico Nazionale CAGLIARI, piazza Arsenale tel. 070. 655911/60518245 Civico Museo Archeologico “Sa domu nosta” SENORBÌ (CA),via Scaledda 1, tel. 070.9809071
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Sardegna nuragica
Museo Archeologico PULA (CA) tel. 070.9209610 Museo Archeologico navale “N. Lamboglia” LA MADDALENA, (OT) loc. Mongiardino, tel. 0789.790660
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Sequenza e cronologia della civiltà nuragica
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Urbanismo ed edilizia
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I nuraghi
34
Le tombe
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Monumenti di culto
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L’arte, l’economia e la società
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Guida ai siti
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Carta dei siti
98
Glossario
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Fonti delle illustrazioni
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Da leggere poi
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Musei Archeologici della Sardegna
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Sardegna nuragica 131