Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. DL353/2003 (conv. In L. 2702/2004 n. 46) art. 1 comm. 1 AUT. GIPA/C/PD/29/2011. In caso di mancato recapito rinviare a CMP Padova per la restituzione al mittente previo pagamento resi
O r g a n o u f f i c i a l e d e l l’ UNI T AL S I • B i m e s t r a l e n ° 3 - MA G / G I U 2 0 1 5
Dossier Pellegrinaggio In cammino verso il Giubileo
Sommario
D
Editoriale di Mons. Luigi Marrucci Assistente Ecclesiastico Nazionale e Salvatore Pagliuca Presidente Nazionale
ossier Pellegrinaggio
2-3
INTERVISTA A P. ANTONIO SPADARO
20-21
EXPO SOLIDARIETà E FUTURO
In cammino verso il Giubileo
22-23
4-19
NEL CAOS SIRIANO I CRISTIANI DISORIENTATI D. Rocchi
24-25
Riflessione è nuovo tempo di testimonianza don D. Priori
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Oscar romero martire sull’altare A. Metalli
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L’ospedale del bambini e... del papa
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Bioetica L’Educazione alimentare A. M. Cosentino
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Aci sparisce il bollo dell’assicurazione M. Giuliano
30-31
vademecum del giubileo
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servizio civile a lourdes
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Leggere domande e provocazioni I tredici apostoli
Direttore responsabile: Filippo Anastasi Caporedattore: Massimiliano Fiore Editore: U.N.I.T.A.L.S.I. (Unione Nazionale Italiana Trasporti Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali)
Redazione: Fraternità, organo ufficiale dell’Associazione è iscritta al Roc n. 2397 c/o Presidenza Nazionale UNITALSI in Via della Pigna 13/A 00186 Roma Tel. 06.6797236-int 222, fax 06.6781421,
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Hanno collaborato: Card. Angelo Comastri, Mons. Luigi Marrucci, Mons. Nicolas Brouwet, Mons. Tommaso Caputo, padre Antonio Spadaro, Salvatore Pagliuca, don Danilo Priori, Agostino Borromeo, Federico Baiocco, don Decio Cipolloni, Antonio Diella, fr. Francesco Dileo, Miela Fagiolo D’Attilia, Angela Maria Cosentino, Maristella Giuliano, Alver Metalli, Vincenzo Mincarelli, Chiara Pellicci, Gaetano Pepe, Daniele Rocchi, Aldo Maria Valli.
Con approvazione ecclesiastica, rivista bimestrale, reg. n. 21 trib. Roma in data 5 gennaio 1988 Foto: Archivio storico centro audiovisivi Fondazione Fs, Sishara S. Kodikara (Afp Photo), Sergio Pancaldi, Marco Mincarelli, Popoli e Missioni, Archivio UNITALSI
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La vita nuova va affrontata La crisi del nostro settore ci spinge a ripensare forme e modi per continuare a fare pellegrinaggi, necessari per mantenere ed alimentare il nostro carisma, ma ci spinge soprattutto all’impegno nel territorio, all’azione per dare risposte ai bisogni dei più deboli, al camminare verso Maria nella Chiesa locale, condividendo ora dopo ora le difficoltà della vita quotidiana delle persone in difficoltà. È tempo di bilanci e di nuovi impulsi, i primi fanno fatica a quadrare. È un dato di fatto su cui non possiamo fare molto, ma sui nuovi impulsi non abbiamo appeso le scarpe al chiodo e mollato la spugna; pur se siamo in pieno tsunami: cambierà il modo in cui organizzeremo i pellegrinaggi e vivremo la vita associativa, non il senso e la ragione per cui siamo unitalsiani. La vita nuova si affronta, l’aurora va forzata. Il pellegrinaggio, sia esso in treno che con qualsiasi altro mezzo di trasporto, non è uno strumento neutro per l’evangelizzazione, questo noi lo abbiamo capito già oltre quindici anni fa quando abbiamo scelto di metter su una città dei progetti dal nulla, di farlo partendo dai bisogni del territorio per dare risposte a chi vive le difficoltà della vita, una scelta talvolta ai limiti dell’impegno fino ad allora limitato ad una settimana l’anno. Ieri era una intuizione. Oggi è storia, spesso cronaca. Ecco perché quello che sta accadendo nel nostro settore non ci fa paura. Ci spinge a ripensare le forme e i modi per continuare a fare pellegrinaggi, necessari per mantenere ed alimentare il nostro carisma e luogo dell’incontro con Dio e con i fratelli nel bisogno, ma ci spinge soprattutto all’impegno del territorio, all’azione per dare risposte ai bisogni, al camminare verso Maria nella Chiesa locale condividendo ora dopo ora le difficoltà della vita quotidiana delle persone in difficoltà, accompagnandole giorno dopo giorno nel pellegrinaggio ter-
reno illuminati dalla luce della Grotta per portarle all’incontro con la Madonna. Abbiamo una storia e un programma, responsabili delle varie realtà che si mettono in gioco e soci che non si lasciano gabbare dalle mode, nemmeno quelle del cosiddetto turismo religioso. C’è un futuro da pensare e costruire, abbiamo un sogno che poi è un progetto, e per farlo partire abbiamo avviato una riflessione che coinvolge ognuno dei nostri responsabili e dei nostri preziosi soci e compagni di viaggio. C’è bisogno di forzare l’aurora a nascere. È l’unica violenza di cui siamo capaci e che ci concediamo. Non è solo tempo di bilanci. È tempo soprattutto di nuovi impulsi.
Noi ci siamo e contiamo su ognuno di voi. L’UNITALSI può paragonarsi alla Fenice, che rinasce sempre più bella dalle sue ceneri. E ciò che è certo è che rinasce. Sempre. Non pretendiamo che le cose cambino se le facciamo sempre nello stesso modo, ma dobbiamo saper comprendere che la crisi è la miglior benedizione che una persona o un paese possa avere, perché la crisi porta nuovi progetti. La creatività nasce dall’angustia, come il giorno dalla notte buia, nella crisi nasce l’inventiva, le scoperte, le grandi strategie. Chi supera la crisi, supera se stesso senza rimanere indietro, chi attribuisce alla crisi i fallimenti e pene della sua vita, viola il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza e l’inconveniente delle persone e degli stati è la pigrizia nel trovare la via d’uscita e le soluzioni. Senza crisi non ci sono sfide; senza crisi non ci sono meriti, è nella crisi che si vede il meglio di ognuno di noi; senza crisi, ogni vento è una carezza. Parlare di crisi è promuoverla e rimanere in silenzio è esaltare il conformismo, l’unica crisi che può minacciare la nostra vita è quella nella quale non si lotti per superarla. La crisi finirà: non potrà durare per sempre. E quando finirà bisognerà trovarsi pronti e rinnovati, e per fare ciò serve il cuore: non si può permettere che il dato economico diventi l’ unico strumento di lettura delle cose, anzi la situazione di crisi apre nuove prospettive impensate: chi è in difficoltà si mette insieme, per condividere il bisogno, le associazioni si vedono spesso per condividere le iniziative, si crea unità laddove prima c’erano divisioni. C’è bisogno del cuore prima ancora delle grandi soluzioni.
Le parole sono pietre Francesco dixit…
• Meglio una Chiesa ferita ma presente sulla strada che una Chiesa malata perché chiusa in sé stessa.
• Noi cristiani siamo chiamati a uscire dai nostri “recinti” per portare a tutti la misericordia e la tenerezza di Dio.
• Cari genitori bisogna avere molta pazienza, e perdonare dal profondo del cuore.
• Molte coppie stanno insieme tanto tempo, magari anche nell’intimità, a volte convivendo, ma non si conoscono veramente.
• Quando non ci si può guadagnare il pane, si perde la dignità. Questo è un dramma di oggi, specialmente per i giovani. • Gesù lava i piedi degli apostoli. Noi siamo disposti a servire gli altri così?
• Non esiste il matrimonio express, bisogna lavorare sull’amore. • Se noi siamo troppo attaccati alla ricchezza, non siamo liberi. Siamo schiavi.
Intervista a p. Antonio Spadaro, direttore di “La Civiltà Cattolica”
Papa Francesco è un padre Ha una autorevolezza che si esprime con tatto paterno. Non vede la massa, anche quando è sterminata, ma è attento alle singole persone. Rimane colpito da un volto o da un altro. Ero molto ansioso di incontrarlo, ma intervistandolo ho avuto la percezione di grande accoglienza, di essere atteso. 2 fraternità 03-2015
Padre Spadaro, come racconta nell’antefatto della sua intervista al Pontefice, sembrava fortemente emozionato. Cosa si prova ad intervistare il Papa? Ma è difficile da dire, perché in questo caso per me era il primo contatto personale con il Pontefice e per questo ero molto ansioso di incontrarlo. Allo stesso tempo era per me difficile immaginare, o proiettare nell’immaginazione, le modalità dell’incontro, anche l’emozione dell’incontro. Direi che la prima percezione che ho avvertito, che poi è rimasta anche durante la conversazione, è stato un senso di grande accoglienza, la percezione di essere accolto come persona, di essere atteso.
È stato difficile scegliere la prima domanda nell’intervista, che poi è stata più semplice, “chi è Jorge Bergoglio”? Non l’ho scelta, mi è venuta spontanea, cioè non ci ho pensato prima, mi emersa nel momento dell’incontro, proprio perché avvertivo la grande umanità di questa persona e anche il grande carisma e la sua immediatezza. Allora la prima domanda è stata non quella che avevo previsto, ma quella più spontanea, quella del cuore. Chi è Bergoglio per lei? Non è una risposta facile, non è una risposta immediata. Se dovessi rispondere con una sola parola, ciò che sento maggiormente è la sua paternità, cioè
lui è un padre. Una paternità che si declina sia in termini personali sia nel suo ministero petrino. Non ho mai perso per un istante, durante l’intervista, la percezione esatta che lui fosse il Papa, la sua autorevolezza. Ma questa autorevolezza si è espressa con un tono e con un tatto paterno, che è il gusto fondamentale di quello che sento. Il Papa ha detto nell’intervista “non sono abituato a guardare le masse, guardo le singole persone”. Secondo lei è cambiato adesso? Assolutamente no. È rimasto così, perché sempre è stato così. Devo dire che se allora, cioè nell’agosto in cui l’ho intervistato, questa era percezione vaga, poi seguendolo nei viaggi come quello nelle Filippine, mi sono reso conto a volte vedendolo di profilo, nei movimenti del viso, della testa, che per lui la massa non esiste, cioè lui non vede la massa, ma è molto attento alle singole persone. Infatti il suo volto si muove in continuazione, salutando questo o quello, rimanendo colpito da un volto o da un altro. Mi sono reso conto che non ha un rapporto con la gente intesa come massa, direi quasi che non la vede, rimane colpito dai volti, dalle singole persone. Dopo quell’intervista lei ha più volte incontrato il Papa personalmente, il Papa le chiede consiglio, pareri? Una delle cose che mi colpisce di questo Papa è che assolutamente aperto all’informazione e al parere. È molto curioso di quello che la gente pensa. Posta in questi termini sembra quasi una domanda imbarazzante e non la trovo adatta. Se però si vuole intendere se abbia chiesto a me come ad altre persone un idea e una visione delle
cose questo certamente sì. In realtà e vorrei sottolinearlo, il Papa cerca di informarsi soprattutto dalle persone, sulle situazioni, sulle idee. è proprio un suo atteggiamento costante. Il fatto di essere anche lei gesuita come Bergoglio ha facilitato in questi contatti? Certamente c’è un linguaggio spirituale comune che non è poco e una visione spirituale condivisa. È un Papa di formazione gesuitica sì, ma è un Papa di tutti. Cosa le ha dato di nuovo il Papa Francesco per suo lavoro di giornalista e per il suo sacerdozio? Mi ha dato molto e continua a darmi molto, soprattutto una visione della realtà. Come sacerdote rimango molto colpito dalla dimensione spirituale, è un uomo di grande preghiera che prende le sue decisioni non a tavolino, ma pregando, facendo discernimento spirituale. Per me è una sorte di modello, un punto di riferimento, un leader spiritale. Come giornalista, mi colpisce la sua apertura, la sua grande capacità di chiarezza, non pone filtri alla sua comunicazione, è immediato, è diretto. E poi è una fonte continua di novità, non si possono staccare gli occhi un attimo da quello che fa, che immediatamente succede qualcosa. Tiene un poco tutti sul filo sospeso e quindi anche giornalisticamente parlando - io come altri colleghi con cui mi confronto - spesso lo vediamo come una fonte di attenzione continua. È appassionante seguirlo. Padre Spadaro, come esperto di new media, il Papa le ha chiesto qualcosa su questo settore? No.
P. Antonio Spadaro Nato a Messina, 49 anni, gesuita, teologo, scrittore, direttore della rivista “ La Civiltà Cattolica”
Come spiega l’autorevolezza di Civiltà Cattolica? Civiltà Cattolica è una rivista che stata fondata nel 1850, è la rivista culturale italiana più antica che non abbia mai interrotto la pubblicazione quindi già questo è motivo di autorevolezza. Quindi è preitaliana, ha seguito tutte le vicende anche quelle legate dell’unità italiana, prima opponendosi poi sostenendola in maniera molto forte, fa parte del tessuto culturale di questo Paese. Altro motivo è per il rapporto molto stretto con la Santa Sede che si è sviluppato in vario modo negli anni e si mantenuto molto solido, quindi è una rivista che non è media vaticano quindi non una rivista ufficiale vaticana però è certamente una rivista autorevole. Infine una sua peculiarità: solo gesuiti possono scrivere sulla rivista. Questo, pur nella differenza delle opinioni, dà un taglio condiviso. Dunque sono l’elemento storico, il legame con la Santa Sede e la coerenza della cifra interpretativa delle vicende a dare questa autorevolezza.
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D ossier Il pianeta pellegrinaggio “Siamo tutti pellegrini, siamo sempre pellegrini” diceva Papa Wojtyla iniziando il suo primo viaggio apostolico in Salvador e in America latina nel 1979. Interpretare queste parole che sembrano semplici è invece estremamente complesso. È la metafora della vita del nostro cammino, che deve essere incessante. Partire da dove e andare dove? Prendere il via dal nostro egoismo, dalla nostra indifferenza, dal nostro animo chiuso e aprirci al resto del mondo per muovere passi coraggiosi verso le periferie dello spirito e di quella realtà, che si offre cruda e spesso crudele, senza filtri e senza veli. Il pellegrinaggio è il cammino della nostra vita. Ogni tanto il passo è incerto, ma quando è deciso, sicuro, la nostra vita può cambiare, come la vita degli altri, i meno fortunati. Il passaggio è semplice : dal rancore all’amore, non solo a Lourdes, ma nella vita di tutti i giorni. F.A.
Intervista al Cardinale Angelo Comastri
La vita è un viaggio di Filippo Anastasi
Eminenza il Papa ha detto che il Giubileo sarà un grande pellegrinaggio. Ma che cosa è un pellegrinaggio? Un pellegrinaggio vero deve essere sentito come una metafora della vita, la vita è un viaggio, un viaggio dall’egoismo verso la generosità, un viaggio dal rancore verso l’amore, dall’indifferenza verso il dono di se stessi, e questo è un viaggio che dobbiamo fare continuamente perché la vita è un cammino, se ci si ferma non si cammina. Il pellegrinaggio deve essere metafora di questo viaggio spirituale, se si parte con questa intenzione il pellegrinaggio cambia la vita.
Lourdes, i passi di Bernadette Eminenza per Lourdes lei consiglia un approccio diverso… Quando la prima volta andai a Lourdes non ero ancora
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Angelo Comastri nasce a Sorano (Grosseto) nel 1943. Cardinale dal 2007. È Vicario del Papa per lo Stato Città del Vaticano e Arciprete della Basilica di San Pietro dal 2005. Nel 1990 diventa Vescovo di Massa Marittima-Piombino. Dal 1996 Arcivescovo e Delegato pontificio della Santa Casa di Loreto. Presidente del comitato per il “Grande Giubileo del 2000”
sacerdote, ero un giovane seminarista e il sacerdote che ci accompagnò ricordo che disse ‘non andiamo subito alla Grotta’, chiaramente tutti arrivati a Lourdes volevano andare subito alla Grotta, invece trattenne l’entusiasmo e disse ‘dobbiamo iniziare dal cachot, dalla casa di Bernadette. E fare il cammino che fece Bernadette quell’11 febbraio 1858 quando la Madonna apparve per la prima volta a lei. La Madonna dal cielo vide quel viaggio, vide quel tragitto, dobbiamo cercare di capire perché la Madonna ha scelto Bernadette che usciva dal chacot. Il cachot possiamo dire in qualche modo che rassomiglia alla casa di Maria a Nazareth: casa povera. Maria scegliendo Bernadette ha seguito lo stesso criterio usato da Dio per scegliere lei. L’ha scelta perché era piccola, era umile, l’ha scelta perché era
l’ultima di Lourdes. E Maria nel Magnificat ha detto ‘ha posato lo sguardo sulla mia piccolezza, sulla mia inconsistenza, cosi Maria ha posato lo sguardo su Bernadette’. Se non si capisce questo si rischia di non capire il messaggio di Lourdes. Eminenza lei ha celebrato tante a volte a Lourdes, anche alla Grotta, che significa per un sacerdote? C’è anche una emozione umana? Certamente quando si celebra l’Eucaristia in questi grandi luoghi di pellegrinaggio si avverte una grande emozione e si capisce anche il senso della croce. La croce guardata dalla parte umana è una grande sconfitta, guardata dalla parte di Dio è un grande atto d’amore. Noi aggrediamo Dio continuamente con le nostre cattiverie e Dio ci aggredisce con il suo perdono, ci aggredisce con la sua misericordia, in ogni eucaristia avviene questo prodigio, nei santuari si avverte di più, in un clima di fede si avverte di più il senso dell’eucaristia.
sono nata mio padre mi ha guardata e poi è scappato, perché ero un mostriciattolo, mia madre è morta quando avevo cinque anni e anche lei mi ha lasciato sola. Sono finita al Don Gnocchi di Pavia. Ero tanto triste i primi anni, finché non capii il vero senso della mia vita. Anche io avevo un messaggio, anche io avevo una vocazione. Le chiesi “ Maria qual è la tua vocazione? Rispose: “Io esisto per gridare a quelli che hanno la salute che non possono tenerla per sé. Se la tengono per sé marcisce e non rende felici, la devono dare agli altri…io esisto per gridare a quelli che dormo di giorno e vivono di notte, che quelle notti mancano a qualcuno. Esisto per gridare a quelli che si annoiano e oggi sono tanti, che quelle ore in cui si annoiano mancano a qualcuno che ha una lacrima da asciugare, una carezza da ricevere, e se non danno quelle ore a qualcuno saranno sempre più annoiati.” E concluse : “non è bella la mia vocazione “. Questa era Maria Respigo che l’anno dopo salì in cielo.
Loreto, il cammino di Maria
La “Mentorella”
È stato Arcivescovo e Prelato a Loreto, che approccio consiglia per recarsi in questo Santuario? Certo Loreto è tutto nella Santa Casa, la Santa Casa parla di Maria, parla dell’umiltà della sua vita, della semplicità e povertà della sua vita. Entrare nella Santa Casa e riflettere e dire: ma perché questa povera Casa è stata la casa dove ha vissuto la regina del mondo, la donna prediletta da Dio, Quella che è stata proclamata ed è stata benedetta da tutte le generazioni? Nella Santa Casa si capiscono quali sono i criteri di Dio, sono i piccoli che fanno la storia, più di quelli che riempiono di scandali le tv e i giornali. Di fronte a Dio la storia la fanno i piccoli, i piccoli nei quali la potenza di Dio si manifesta. A Loreto partire dalla Santa Casa vuol dire entrare nel cuore del messaggio di Loreto.
Eminenza c’è qualche Santuario che vorrebbe suggerire tra quelli meno noti? Il santuario della Mentorella, dove Giovanni Paolo II amava andare in forma privata. Dopo la sua morte andai in questo santuario e rimasi molto colpito dal fatto che non ci fosse nessuno. Per arrivare fu un’impresa. In questo luogo dove regnava un silenzio assoluto pregare fu bellissimo e ancora ricordo che sentii Giovanni Paolo II accanto pregare la Madonna, perché amava molto questo santuario, tanto che appena nominato Papa, si recò alla Mentorella per affidare alla Madonna il suo pontificato.
La storia di Maria Respigo Il più bel ricordo di Loreto è stato nel mese di luglio 2001. Ricordo che avevo terminato la recita del Rosario, era sera e avevo tutti gli ammalati davanti al sagrato e notai che al centro c’era una culla. Rimasi sorpreso che in un pellegrinaggio di adulti ci fosse un bambino. Avvicinandomi alla culla rimasi colpito che all’interno ci fosse un’adulta. Mi accosto, tendo una mano per salutarla e lei ritira la mano e mi dice non le posso dare la mano perché soffre di osteogenesi imperfetta. “ Se lei mi stringe la mano- disse- mi rompe tutte le dita, e vidi le dita della sua mano fratturate e anche ricomposte male, e ritirai la mano. Gli chiesi come si chiama? E lei rispose, Maria Respigo, ho 38 anni e sono alta- lo disse sorridendo -, per modo di dire, 58 cm. La guardai e gli dissi “ sono contento di conoscerti”e lei rispose, “ho portato un ricordo per lei, metta la mano sotto al cuscino, però faccia piano perché c’è il diario della mia vita.” Misi la mano presi i fogli e leggo la prima pagina dove c’era scritto Maria Respigo, ho 38 anni e sono felice di vivere. Allora gli chiedo “Maria puoi dire a tutti perché sei felice di vivere? “ “Certamente, la mia vita è stata tutta un abbandono, quando
I santuari di Madre Teresa Lei è un grande esperto di Madre Teresa, dove amava andare in pellegrinaggio? Quando ero parroco a Porto Santo Stefano, lei venne il 19 maggio nel 1988 quando organizzammo una veglia di preghiera sul lungo mare, accompagnai la Madre verso una scaletta verso il mare dove c’erano autorità in attesa di un suo saluto o di ossequio. Lei neanche mi ascoltò e appena vide gli ammalati si tuffò tra di loro e dopo averli salutati uno ad uno, ritornando indietro verso le autorità e i giornalisti si fermò, fece un inchino e disse ‘buona sera a tutti’. Questo era il pellegrinaggio che amava Madre Teresa. Un pellegrinaggio di Madre Teresa in quale santuario ci porterebbe? Nei luoghi dove vivono i poveri, dove amava andare Madre Teresa, lì sentiva la presenza di Dio, perché diceva “soltanto spendendosi per gli altri, vivendo la carità, si sente la presenza di Dio, perché Dio è amore. Paradossalmente Edith Stein, la grande martire del nazismo del secolo scorso, disse ‘si è incrinato il mio ateismo quando andai come crocerossina tra i feriti di guerra durante la prima guerra mondiale, lì capii che la dedizione valeva più dell’erudizione’. Ecco Madre Teresa c’è l’ha ricordato con la sua vita, spendendosi per gli altri, che si sente la presenza di Dio.
Dossier Pellegrinaggio
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D Lourdes. Padre Andrés Cabes Il Vescovo di Lourdes
Qui c’è qualcuno che ci aspetta Da ottobre torna a Lourdes come Rettore del Santuario ed è pieno di entusiasmo e di progetti, che dovrebbero piacere molto ai pellegrini, anche nei mesi di minore afflusso di Massimiliano Fiore
Padre Cabes, ha passato gran parte della sua vita di sacerdote a Lourdes e adesso ci torna da Rettore. Che Santuario ritrova? Spero di non voler trovare ciò che ho conosciuto da giovane sacerdote, perché quando ero a Lourdes come giovane diacono, nel 68’, erano anni difficili in Francia. Nessuno voleva essere a Lourdes, che sembrava essere un luogo del passato. C’era bisogno di qualcuno che rispondesse alla tante lettere, alle tante domande e sono arrivato in questo luogo in cui ero stato da sempre. Sono nato a pochi chilometri da Lourdes, e il primo sentimento che ho avuto è stato vedere un luogo di nascita. All’epoca la chiesa perdeva tante forze, e tanti sacerdoti partivano. Gli studenti erano sempre meno negli incontri ma a Lourdes si formavano nuovi gruppi e dunque ho conosciuto Lourdes come luogo di rinnovamento sempre della chiesa. Spero di poter ritrovare questo spirito, perché Lourdes è luogo della Madonna, è luogo di promessa, perché la piccola Bernadette ha ricevuto questo incarico di essere portatrice di buone notizie e di annunciare una speranza. Rivolgendosi a un pellegrino, come suggerirebbe di visitare il Santuario di Lourdes? La tentazione sarebbe partire per Lourdes lasciandosi alle spalle la vita ordinaria, ma bisogna partire come Bernadette dal cachot, con gli occhi aperti e con il cuore disponibile e fare il proprio cammino. Oggi esistono molti problemi legati al trasporto ferroviario verso Lourdes che prolungano il tempo di questo viaggio, ma questo può essere utilizzato per una preparazione. C’è sempre bisogno di un fidanzamento prima dell’unione. Una volta a Lourdes suggerisco di lasciarsi trasportare dalle folle che attraversano l’esplanade e scendere. A Lourdes si sale sempre, ma Bernadette è scesa dalla grotta verso il Gave, e in questo fondo possiamo chiudere gli occhi e scoprire che siamo aspettati. Lourdes è un luogo dove c’è già stato qualcuno prima di noi e che ci fa sentire che nella nostra vita non siamo soli. Troppo spesso siamo nelle folle, ma siamo soli. A Lourdes scopriamo
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Consigli per un cammino che c’è già qualcuno che ci aspetta, per questo c’è bisogno di fermarsi. A Lourdes possiamo prenderci il tempo di ascoltare, Bernadette fu costretta a fermarsi davanti a questa roccia, se non lo avesse fatto, nessuno avrebbe mai visto né sentito niente. Il pellegrino deve prepararsi e con gli occhi e il cuore aperto cercare di osservare gli ammalati, i disabili, i volontari e scoprire lo sconosciuto della vita ordinaria che esiste, perché permette di vedere l’ordinario con la luce del Vangelo, con la luce del Signore. Padre Cabes, c’è un luogo del Santuario che intende valorizzare quando sarà Rettore? Sì certo, in particolare, nell’anno della Misericordia, sarà la cappella delle confessioni. La cappella della riconciliazione la vorrei come un cuore, sempre disponibile. Bisognerà soprattutto ripensare allo spazio intorno alla cappella vicino all’Incoronata, trasformarlo in un luogo dove accogliere le persone in maniera diversa con gioia. Il Vescovo vorrebbe che ci fossero dei sacerdoti all’esterno della cappella per trasmettere la gioia e lo spirito dell’incontro con Gesù. Mi piacerebbe che questo luogo potesse trasmettere il senso della presenza di Gesù nel nostro cammino. Anche la processione eucaristica del pomeriggio mi sembra un po’ nascosta in fondo alla Basilica, Mi piacerebbe ascoltare come avveniva una volta all’inizio dei pellegrinaggi le grida provenienti dal proprio cuore ‘Signore aiuto…’ e non ascoltare delle grida un pò troppo rituali. Qualche anno fa si è parlato di un possibile spostamento al di là del fiume delle piscine, cosa ne pensa? L’idea credo non sia più attuale. Penso invece che ci sarà uno spazio nuovo per le fontanelle. Si stanno studiando due spazi separati, uno dove bere l’acqua e l’altro per raccoglierla. Il Vescovo immagina che il cammino sia prima andare alla Grotta unita con le piscine e, dopo. verso l’acqua. In questo modo la zona dei ceri si sposterebbe nella prateria e al di là del Gave e scomparirebbero le fontanelle già presenti. Un’altra idea che ho proposto per l’anno della Misericordia, è di avere delle celebrazioni penitenziali con il rito della lavanda dei piedi, un rito che potrebbe essere offerto anche a quanti non hanno modo o non desiderano confessarsi. Per il Giubileo a Lourdes pensate di realizzare all’interno del Santuario una porta santa simbolica?
Per effettuare un pellegrinaggio nella fede. Non dimentichiamo che, spesso, sono proprio queste persone che evangelizzano le persone « in salute » attraverso il loro attaccamento a Cristo, la loro preghiera, la loro gioia e la loro fiducia nel Signore. Sono loro a fortificare la nostra speranza. Abbiamo avuto tante testimonianze in questo senso, molto spesso dai pellegrini più giovani.
di Nicolas Brouwet Vescovo di Tarbes e Lourdes
Per la famiglie
Il pellegrinaggio a Lourdes avviene principalmente col gruppo parrocchiale o diocesano, il che contribuisce a costruire la Chiesa, predicando il Vangelo e celebrando i sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione. In questa povera Grotta di Massabielle, dove un angolo di cielo ha toccato la terra, i pellegrini fanno l’esperienza della vicinanza, della tenerezza e della gioia di Dio di cui Maria è il volto e la serva. Dunque, la città mariana dei Pirenei è, con gli altri importanti luoghi di pellegrinaggio nel mondo, un luogo dove gli uomini e le donne comprendono quanto sono amati da Dio. È un formidabile cammino di speranza offerto a ciascuno, qualunque sia la propria situazione personale. Per le persone malate
A Lourdes, queste persone hanno il posto principale. Penso che possiamo essere fieri del modo in cui vengono accolte, in particolare presso l’Accueil Notre Dame, dalle suore del Saint-Frai e presso il Salus Infirmorum dell’UNITALSI. Perché le persone ammalate o disabili vengono a Lourdes?
Ho parlato con il Vescovo e mi ha detto che saranno valorizzate le arcate verso la grotta, come avvenne nel Giubileo passato quando fu sistemata un’immagine della Madonna sotto le arcate che portano alla grotta. Come vede il ruolo dell’UNITALSI a Lourdes? Come una parabola, la parabola della presenza degli ammalati, Maria non ha mai parlato dei malati, però la preghiera a Maria ha guarito già al tempo delle apparizioni. I primi due miracoli si sono verificati durante le apparizioni. La presenza dell’UNITALSI è veramente necessaria, la sua opera offerta tutto l’anno, è importante, come fondamentale è la vostra delegazione composta anche da molti giovani presenti a Lourdes tutto l’anno. Come fare per aumentare il numero di pellegrini durante tutto l’anno?
Le famiglie hanno particolarmente bisogno di essere sostenute ed aiutate. Molte cercano luoghi di conforto nella fede dove ciascuno, genitori e figli, possano essere incoraggiati nella vita cristiana. La personalità di Bernadette, il suo umile percorso spirituale sotto la guida di Maria, la vita di fede e di preghiera della famiglia Soubirous al Mulino di Boly ed al Cachot, il clima di tenerezza che regnava nella sua famiglia, sono altrettanti argomenti di meditazione, in particolare per le famiglie. Per i giovani
Il Santuario è per i giovani una vera scuola di vita. Per la liturgia, per il servizio alle persone ammalate o disabili, per l’esperienza che possono fare della Chiesa universale, Lourdes è un luogo privilegiato per scoprire, mettere in opera o sviluppare i fondamenti della vita cristiana quali la lode a Dio, la vita sacramentale, il servizio agli altri ed in particolare ai più deboli, l’apertura al cattolicesimo, l’incontro di comunità cristiane nella loro diversità, la vicinanza di tutte le situazioni della vita, l’incontro fraterno dei pastori della Chiesa, sacerdoti e vescovi.
Negli ultimi anni in cui ero a Lourdes avevo fatto la proposta di una ‘scuola del Vangelo’, cioé un gruppo di giovani sacerdoti che stavano a Lourdes tutto l’anno non solo per la formazione ma anche per svolgere servizi nelle chiese e nelle case anziani. Credo che si può fare la stessa esperienza rivolta ai giovani. Dobbiamo proporre qualcosa di nuovo per l’accoglienza ai pellegrini in particolare per le famiglie. Dietro al malato c’è sempre una famiglia malata. Sarebbe interessante proporre nei mesi meno frequentati degli esercizi spirituali che potrebbero essere adattati ai più deboli, ai più fragili con più tempo. Proporre una Lourdes à la carte, prendere un po’ più di tempo per l’accoglienza nei mesi invernali per dedicarsi maggiormente all’accoglienza delle famiglie, credo che questo possa aiutare ad incrementare le presenze a Lourdes.
Dossier Pellegrinaggio
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D
Il medico pellegrino tra i pellegrini
Loreto
Una finestra aperta sul mondo di don Decio Cipolloni Vicario Prelatura di Loreto
L’ UNITALSI diventò subito, fin da quel primo treno bianco del 1936, un vero segno di grazia per il Santuario Credo che si addica molto bene all’ UNITALSI, la definizione di San Giovanni XXIII che, venuto in pellegrinaggio a Loreto, definì la Santa Casa “una finestra aperta sul mondo, a richiamo di voci arcane annunzianti la santificazione delle anime, delle famiglie e dei popoli”. Come non pensare all’UNITALSI, che questo arcano richiamo avvertì, grazie al principe don Enzo di Napoli Rampolla, che nel 1936, l’8 maggio, superando le grandi difficoltà storiche del momento, da Roma giunse a Loreto con un carico prezioso e santo di 230 ammalati, accompagnati da 120 persone. Fu l’inizio di una interminabile sequenza di treni, giunti al loro 79° anno di vita. Non si può ignorare, né l’ispirazione divina che colse l’intraprendenza del segretario generale, né lo stuolo innumerevole di barellieri, di sorelle di assistenza, di medici, di sacerdoti, di vescovi e di malati, facendo del pellegrinaggio un cammino di conversione. Esso fu segnato da un austero spirito di penitenza, frutto di precarie situazioni di viaggio, di ristrettezze economiche, che all’insegna dell’essenzialità, animato da un amore grande, diventò subito per il Santuario il vero segno di grazia. Calorosa fu sempre l’accoglienza, non solo dei padri cappuccini, della Delegazione Pontificia, ma anche della città, mentre folle di pellegrini potevano meglio sperimentare e cogliere in essi la presenza di Dio e la tenerezza della Vergine. Quanto visibile e toccante era la preghiera, quanto serena e senza scontento si dipanava ogni giorno la presenza in un andirivieni tra la Santa Casa, la piazza, luogo ancora sacro, quanto meraviglioso. I quasi ottant’anni non hanno offuscato il fascino della Santa Casa, che come ebbe a dire il santo Giovanni Paolo II resta una “icona”, perché essa custodisce l’immagine viva della grazia, della fede e delle suppliche, di quanti nei secoli sono passati, voci arcane che
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l’UNITALSI di oggi non può fare a meno di percepire, varcando quella soglia e facendo di quel passaggio più che un’emozione, un’immersione nel divino, visto che gli ingranaggi del pellegrinaggio attutiscono la voce dello spirito, sopraffatta a volte da rumori di esuberanze non sempre contenute. “Icona” perché il dolore umano lì si è rivelato nella carne malata di Cristo, alla quale ci siamo troppo abituati, forse per non lasciarci vulnerare dalle loro ferite, segnati anche noi come siamo in modo meno vistoso, ma a volte più destabilizzante. “Icona” vera immagine del silenzio orante della Santa Famiglia e con essa quello di quanti lì passando chiedono la grazia di una vita di fede più vissuta e meno sbandierata, di una carità fatta più che di manovalanza, di contemplazione e di dialogo, così da far passare meglio la grazia di chi incarna la sofferenza e di chi la serve. Loreto, potremmo dire, parla di familiarità. Il meraviglioso porticato non può diventare parcheggio di amici in carrozzella, ma vero luogo di incontro nel quale nessuno passa inosservato, vera “agorà” di una comunità pellegrinante in cerca più di impegno, che di emozioni, più di preghiera che di benedizioni, più di grazia che di miracoli. L’UNITALSI, nel suo essenziale carisma del pellegrinaggio, pena la sua identità, offre al Santuario un osservatorio qualificato delle sofferenze umane, che nei volti dei malati diventa una profezia di coraggio e di speranza, in quello che li accompagna un’immagine viva della carità di Cristo. L’UNITALSI, dunque, espressione di una forte esperienza di carità, che la colloca tra le associazioni ecclesiali più significative, deve avere sempre più una cosciente consapevolezza che la sua attività, soprattutto nei pellegrinaggi, trova la punta più alta della preghiera e della contemplazione.
di Federico Baiocco Responsabile Nazionale Medici UNITALSI
Si svolgerà in Terra Santa, dal 22 al 29 ottobre 2015, il Convegno degli Operatori Sanitari UNITALSI, sul tema “SULLE TRACCE DI GESU’ MEDICO”.
Il medico e il pellegrinaggio o il medico nel pellegrinaggio? Sicuramente la seconda ipotesi. Peregrinare nel senso etimologico significa vagabondare, andare qua e là senza un preciso scopo. La parola Pellegrinaggio invece denota caratteristiche completamente diverse: finalizzate. Pellegrinaggio significa nella accezione più consolidata, operare una scelta: quella di farsi “Straniero” e “Viandante” in una condizione non consueta, verso una meta prestabilita che possa portargli eventuali (ma non certi) vantaggi, spirituali e fisici. Il primo “pellegrinaggio” può essere considerato quello di Abramo verso una terra che il Signore gli avrebbe mostrato, per poi modificarsi nei secoli e arrivare fino ai pellegrinaggi dei nostri giorni con un incessante e quasi caparbio esprimersi dell’animo umano nel tendere verso una meta. Nella storia sono state fatte distinzioni sulle caratteristiche dei pellegrinaggi, penitenziale, caratteristico di chi doveva espiare un peccato, e devozionale, effettuato per devozione nei confronti di un luogo e del significato che da questo si poteva desumere. Nel tempo i due significati si sono pressoché fusi nel rispetto delle caratteristiche specifiche di ogni persona. Il pellegrinaggio “Cristiano” ha aggiunto storicamente qualcosa di straordinariamente grande nel senso di una adesione a usanze e realtà locali molto spesso determinate da un “messaggio” legato al luogo verso cui si va in pellegrinaggio. Non sto qui a ripetere il Messaggio di Lourdes, ma è questo che porta a farsi pellegrini verso questa meta. Lourdes raccoglie i pellegrini sani e malati, ed è praticamente quasi l’unico luogo dove questo avviene. E il medico? Viandante, pellegrino singolarmente che accoglie un messaggio e che si reca verso un luogo specifico, in questo caso Lourdes,ed è alla ricerca come tutti gli altri. Il medico però deve dare al suo pellegrinaggio anche un altro grande significato: quello di farsi pellegrino tra altri pellegrini. Quasi un doppio pellegrinaggio nel quale oltre alla ricerca della adesione e realizzazione di un messaggio cerca realizzazione nel conforto e accompagnamento di altri pellegrini bisognosi
non solo dal punto di vista assistenziale ma di accoglienza, condivisione e ripeto nuovamente di accompagnamento. Vedere nel malato e nel sano che riconosce il medico in quanto tale, il volto di Cristo sofferente che ha bisogno di aiuto nel portare la sua croce, dà il vero significato della presenza del medico nel pellegrinaggio. Grande responsabilità e ulteriore carisma rispetto ad essere volontario, da non manifestare se non nella disponibilità a percorrere un pezzo di “strada”. Ruolo mai superiore, mai manifesto se non nella maggiore disponibilità, che trovandosi insieme agli altri pellegrini dinnanzi alla Grotta trova il massimo della sua realizzazione. Benedetto XVI nel 2010 diceva: «Andare in pellegrinaggio non è semplicemente visitare un luogo qualsiasi per ammirare i suoi tesori di natura, arte o storia. Andare in pellegrinaggio significa, piuttosto, uscire da noi stessi per andare incontro a Dio là dove Egli si è manifestato». Dio si è manifestato attraverso Maria ma si manifesta anche attraverso ogni persona che incontriamo a Lourdes. Persone che si recano in quel luogo per dare significato alla propria vita e che noi come medici, oltre a trovare il nostro significato, possiamo con delicatezza e mai con presunzione accudire per quanto ci è possibile. Non esistono ricette: è solo la sensibilità di chi è veramente pellegrino tra altri pellegrini che ci farà trovare i modi e tempi.
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D Intervista all’Arcivescovo di Torino
Il telo del mistero C’ è un collegamento ideale tra il cammino di sofferenza dell’Uomo della Sindone e le sofferenze dei malati, che si recano a Lourdes. Due pellegrinaggi che sono collegati dal medesimo filo della speranza. I credenti hanno bisogno della Sindone? A prescindere dalle diverse posizioni sulla collocazione temporale della sua origine, la Sindone continua a raccontare una storia che è lo specchio del Vangelo: della storia di Gesù, della sua Passione e della sua morte. Da secoli la Chiesa riserva una così grande attenzione e devozione a questo Telo perché esso parla di Cristo in maniera assolutamente singolare. Anche a occhio nudo, prima di qualsiasi indagine scientifica, chiunque può riconoscere sulla Sindone la figura di un uomo che ha subito il terribile supplizio della crocifissione. E questa immagine corrisponde in maniera impressionante a quanto i Vangeli ci raccontano di Gesù. Ecco perché la Chiesa custodisce con venerazione questo prezioso tesoro, “icona scritta col sangue” come ebbe a chiamarla papa Benedetto XVI
nella sua visita a Torino in occasione dell’Ostensione della Sindone nel 2010. Certo, la nostra fede non poggia su questa immagine ma sulla solida roccia della testimonianza degli apostoli, affidata ai Vangeli e vivificata dal dono dello Spirito Santo; tuttavia, come disse il venerato Giovanni Paolo II nel 1998, questo “prezioso Lino può esserci d’aiuto per meglio capire il mistero dell’amore del Figlio di Dio per noi”. Infatti è solo nella grazia della fede che possiamo leggere fino in fondo la parola custodita in quella immagine: quando contempliamo il volto che traspare dalla Sindone e quel corpo carico di ferite, dovremmo sempre ricordarci che il Signore Gesù ha aperto la via della vita eterna a chiunque lo riconosce Re e Signore e accoglie il mistero della sua passione e morte come fonte di amore che redime e salva l’umanità intera. Papa Francesco a Torino per l’Ostensione: che cosa si aspetta da questa visita e quale il suo significato? Come ha ricordato il Santo Padre annunciando la sua visita a Torino, egli sarà con noi il 21 e il 22 giugno «per venerare la Sindone e rendere onore, nel bicentenario della sua nascita, a San Giovanni Bosco», padre, maestro e amico dei giovani, testimone esemplare di educatore nella fede e nell’amore per la gioventù di tutto il mondo. Questa visita di Papa Francesco avviene in un tempo in cui la nostra regione e la nostra città soffrono per una situazione economica e sociale di grande difficoltà, a causa della mancanza di lavoro e di altre pesanti condizioni di povertà che colpiscono famiglie, anziani e giovani. La venuta del Papa è dunque un segno di grande speranza e incoraggiamento per ritrovare nelle radici cristiane
Ostensione Sindone: pellegrini in massima parte italiani. 50mila ogni week end Sono in massima parte italiani i pellegrini che hanno prenotato la visita alla Sindone. “Su 1 milione e 223 mila prenotazioni effettuate fino a domenica 10 maggio - rende noto l’Ufficio stampa dell’evento - quelle giunte dalle regioni del nostro Paese sono 1 milione e 93 mila, pari a quasi il 90% del totale”, dato evidenziato anche dall’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, “una realtà che dice il radicamento della devozione alla Sindone nella popolazione del nostro Paese”. Vicino al 90% anche il numero delle prenotazioni giunte attraverso il sito www.sindone.org (1 milione e 27 mila), mentre 151 mila prenotazioni sono state effettuate tramite il call center. I week end non totalizzano mai meno di 50 mila presenze, e i giorni a cavallo del ponte del 2 maggio hanno portato oltre 90 mila pellegrini. Dei 130.096 stranieri, invece, l’80% sono europei. I gruppi più nutriti giungono da Francia (26.475), Polonia (21.715) e Germania (10.487). Seguono Spagna (7.840), Svizzera (8.088) e Gran Bretagna (5.230). Tra gli extraeuropei, su un totale di circa 25 mila spiccano gli statunitensi, con 14.358 prenotazioni. Seguono i brasiliani (1.657) e gli argentini (579).
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Torino
Cesare Nosiglia è Arcivescovo di Torino dal 2010 e Custode della Sindone. Nato a Rossiglione (Genova) nel 1944, diventa Vescovo ausiliare di Roma nel 1991, poi vicegerente come Arcivescovo nel 1996. è Vescovo di Vicenza prima di approdare a Torino.
L’accoglienza come a Lourdes della fede e della fraternità la comune volontà di lottare sulle vie della ripresa morale e sociale del nostro territorio. Inoltre, la visita di Papa Francesco è anche un segno di quell’affetto e quella vicinanza che fin dall’inizio del suo servizio apostolico Egli ha sempre manifestato verso la terra piemontese, che ha dato i natali alla sua famiglia. La visita di Papa Francesco metterà un preziosissimo suggello all’Ostensione, in una Torino che a ragion veduta possiamo considerare una vera e propria “capitale della fede”. Una vocazione che parte da lontano, suggellata dalla predicazione e dall’azione, oltre che di San Giovanni Bosco, dei tanti altri Santi sociali che hanno reso Torino e i suoi dintorni terreno fertile per la propria azione. Anche l’UNITALSI sarà in pellegrinaggio a Torino per la Sindone. C’è un parallelo tra il pellegrinaggio alla Sindone e i grandi pellegrinaggi d’Europa. Ovunque si cammina per rafforzarsi nella fede, nella speranza, nella carità, per rinnovare la vita. Con Lourdes in particolare il legame è forte, per la tradizione italiana di pellegrinaggio. Io stesso avrei voluto essere a Lourdes lo scorso 11 febbraio, giorno che ricorda le apparizioni, per lanciare di là l’invito all’Ostensione. Le circostanze me lo impedirono ma rilasciai comunque un messaggio, prima della trasmissione in diretta del Rosario, per collegare idealmente il cammino di sofferenza dell’Uomo della Sindone con le sofferenze dei malati che si recano a Lourdes. Due pellegrinaggi che per me sono collegati dal medesimo filo della speranza.
Don Marco Brunetti è il delegato arcivescovile della diocesi di Torino per l’assistenza al clero anziano, ai disabili ai malati. Nel corso dell’Ostensione il pomeriggio del mercoledì è riservato in particolare ai pellegrini più fragili.
Don Brunetti, il Papa ha chiesto anche in occasione dell’Ostensione che ammalati e disabili possano vivere pienamente questa importante ricorrenza. Credo che questa ostensione sarà caratterizzata dalla presenza numerosa di malati e disabili che ogni giorno possiamo incontrare sul percorso della Sindone oppure al mercoledì pomeriggio dedicato esclusivamente a loro. Tutta questa attenzione certamente è in sintonia con quanto il Papa ogni giorno ci invita a vivere accanto alle persone fragili e con quanto lui stesso testimonia con i suoi frequenti e continui incontri coi malati che abbraccia e bacia. Ma anche il nostro Arcivescovo e custode della S. Sindone Cesare Nosiglia, fin dal primo annuncio dell’Ostensione, ha dichiarato che i malati e i disabili, insieme ai giovani, saranno pellegrini privilegiati e accolti con particolare attenzione. Il volto e i segni della passione impressi sul sacro lino diventano icona di speranza e di consolazione per tanti sofferenti, che percepiscono l’Amore più grande che il telo sindonico emana in quanto specchio della passione di Gesù. Torino come sta rispondendo alla continua richiesta di pellegrinaggi da parte di disabili e ammalati? Torino si è trasformata in Lourdes? In un certo senso si! A differenza delle scorse ostensioni, questa volta abbiamo voluto favorire al massimo la venuta in pellegrinaggio di malati e disabili, tanto che abbiamo allestito due accueil proprio come a Lourdes gestiti da circa 200 volontari che si alternano durante il giorno e la notte, compresa un’assistenza sanitaria, e che offrono pernottamento e pasti ad un costo politico. La risposta è stata interessante, oltre 800 i prenotati finora, fra cui molti gruppi di associazioni come l’UNITALSI, l’OFTAL, il CVS ed altre ancora... Ma la novità più bella è la richiesta di molte famiglie singole con malati e disabili. Si sta rivelando una bella iniziativa e apprezzata da chi ne fa esperienza, esattamente come a Lourdes. M.F. in alto il Presidente della Repupplica Mattarella esce dopo la visita alla Sindone. a sinistra il Sacro Telo
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D Per l’UNITALSI è tempo di misericordia Terra Santa
Siamo un amore che si fa cammino
Sui passi di Gesù
di Antonio Diella responsabile pellegrinaggi di Agostino Borromeo vice Presidente Nazionale
Il pellegrinaggio cristiano, inteso come viaggio verso una meta sacra ispirato da profonde motivazioni spirituali, costituisce un’autentica esperienza di fede. E dove mai tale esperienza può essere vissuta più intensamente se non in quella terra, a giusto titolo chiamata “santa” perché in essa si è inverato il mistero di Dio fattosi uomo? Ciò spiega il motivo per cui il pellegrinaggio cristiano per eccellenza, fu, sin dal I secolo, quello effettuato in Terra Santa, sui luoghi legati alla vita, passione, morte e resurrezione di Cristo. Della fine del IV secolo è il più ampio resoconto scritto di un pellegrinaggio, quello compiuto da una nobildonna iberica in Egitto, Terra Santa, Siria e Asia Minore. Sull’identità dell’autrice, Egeria, non sappiamo quasi nulla. Pochi dubbi, invece, possono sussistere circa la circostanza che il suo non sia stato un semplice viaggio di piacere. Nel racconto, i disagi degli spostamenti si configurano come momenti di un percorso di ascesi interiore nel quale la fatica fisica non si sente più, i luoghi santi visitati costituiscono rinnovati stimoli all’orazione e alla meditazione, le gesta degli antichi martiri rappresentano altrettanti esempi da imitare. Egeria descrive la pia prassi seguita da lei e dai suoi compagni, allorquando sostano a una tappa significativa del loro pellegrinaggio: recitare una preghiera, leggere il brano appropriato delle Sacre Scritture, pregare di nuovo e, ove possibile, assistere alla celebrazione dell’Eucarestia. A distanza di secoli, il pellegrinaggio in Terra Santa rimane più che mai attuale e i riti legati alla sacralità dei luoghi sostanzialmente identici. La motivazione spirituale è sempre la stessa. Lasciarsi alle spalle le abitudini quotidiane, le effimere
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preoccupazioni materiali, per vedere e toccare i luoghi nei quali il nostro Salvatore è vissuto e ha sofferto, allo scopo di seguire le sue orme, di essere più prossimi a Lui, di meglio comprendere il Vangelo per poterlo poi meglio mettere in pratica. La Parola di Dio si assapora in altro modo, dopo essere stati a Betlemme, a Nazaret e a Gerusalemme: essa si tramuta nel nostro indispensabile alimento spirituale e ci spinge verso una più profonda conversione interiore. Ma un pellegrinaggio in Terra Santa deve anche costituire l’occasione per stabilire relazioni fraterne con la piccola comunità cristiana locale, oggi costretta a confrontarsi con difficoltà e sofferenze di ogni genere. Non si tratta tanto di procurare aiuti materiali, ancorché questi ultimi, per quanto modesti siano, attestano la nostra volontà di aiutare la Chiesa che è in Terra Santa, le sue istituzioni e le sue opere in favore dei fedeli. Si tratta piuttosto di offrire ai nostri fratelli cristiani la testimonianza della nostra vicinanza spirituale, della nostra solidarietà umana, della comunione che ci unisce tutti come membri della Chiesa Universale. Ecco allora che dal pellegrinaggio in Terra Santa scaturisce una duplice grazia: da un lato, l’unione più intima con Cristo, per il rafforzamento della nostra fede; dall’altro, la partecipazione più intensa all’opera di fraternità universale da Lui voluta affinché “tutti siano una cosa sola” (Gv 17, 21). Cogliamo, dunque, l’occasione per ripercorre i passi di Gesù. E auguriamoci che lo spostamento nello spazio fisico, dalle rive del Giordano al Cenacolo, ci aiuti a rivivere quell’itinerario spirituale nel corso del quale siamo stati rigenerati dall’acqua e fortificati dallo Spirito.
Si apre un nuovo respiro, un nuovo e sorridente cammino: in pellegrinaggio verso la misericordia! L’annuncio del Giubileo ci riempie di gioia inattesa e ci spinge a guardare con un sorriso e con gioia rinnovata alla nostra vita e alla nostra associazione. Sarà Giubileo, momento favorevole di misericordia e rinnovamento! Per ridirci a vicenda che ci sono ancora spazio e tempo per cose nuove e vita rinnovata, come solo chi coltiva il giardino sempre in fiore della speranza è capace di notare. Tempo di perdono, non perché siamo gravati da colpe oscure, ma perché siamo figli! E bruciamo del desiderio di permettere al Padre di riabbracciare la nostra vita! Tempo di mettersi in cammino ! Tempo di pellegrinaggio! Siamo chiamati ad una nuova fiducia: abbiamo coraggio, cuore, storia, per riprendere con nuove idee e nuova passione il cammino dei nostri pellegrinaggi, un cammino che non si è mai interrotto ma che corre il rischio di diventare un peso piuttosto che l’espressione più vera del nostro cuore. In pellegrinaggio, alla ricerca della Misericordia! Alziamo insieme lo sguardo, riprendiamoci la fantasia di costruire nuovi modi per così superare la tentazione di cambiare il nostro volto e di non riconoscerci più per quello che siamo nel profondo più sacro della nostra esperienza: siamo pellegrini, verso i santuari, verso la vita, con le persone più deboli, verso il futuro. Non cerchiamo clienti, ma amici che camminano con noi; non vendiamo favole o pacchetti turistici “verniciati di sacro”, offriamo un cammino verso l’incontro con Dio. Un cammino per tutti e con tutti, il segno della nostra scelta: con noi, tutti, persone sofferenti, volontari, pellegrini, tutti ! per ricostruire quella unità che è il grande desiderio del Figlio di Dio! Per vivere con maggior passione la vita della Chiesa ! Per riprendere slancio e forza per immaginare nuova concreta carità e per continuare a vivere con rinnovato stupore le tante nostre esperienze di condivisione e di solidarietà verso i piccoli, i sofferenti, le persone sole ! Per tornare nei nostri territori a nuovamente annunciare la gioia di far parte della nostra associazione, soprattutto lì dove non siamo stati capaci di proporci o abbiamo taciuto o non abbiamo accompagnato alla fede, alla carità, al cammino.
In pellegrinaggio, Unitalsi! Saranno il perdono tra noi, l’ abbandonare le strategie senza speranza che vogliono conservare piccoli poteri e banali privilegi, il desiderare di finalmente aprire il cuore l’un l’altro con fiducia, a darci il coraggio di scelte sempre nuove. Noi siamo l’UNITALSI, siamo una storia, siamo una scelta, siamo un luogo dei talenti veri, siamo un amore che si fa cammino, che si fa pellegrinaggio. È il momento di nuove decisioni, perché i nostri sogni associativi o si fanno costruzioni concrete ed efficaci o diventano richiami stranamente nostalgici ad un futuro che apparirà sempre più impossibile: per questo dobbiamo ridiscutere il tipo e la qualità dei mezzi di trasporto che utilizziamo per i nostri pellegrinaggi, le quote e le spese, la proposta di bellezza della nostra vita associativa e di carità. Ma con la convinzione di essere una comunione che discute e realizza. Si apre il tempo di una scelta forte: andiamo in pellegrinaggio, accompagniamo in pellegrinaggio, invitiamo al pellegrinaggio; l’UNITALSI definirà anche nuovi modi e nuove esperienze per farlo: sarà Maria, la madre di Dio, la sorridente amica di Bernadetta, la tenerissima mano che accarezza il nostro volto anche quando è disfatto dalla fiducia e dall’arroganza, a indicarci ancora una volta il cammino In pellegrinaggio! perché l’UNITALSI è una esperienza straordinaria di pellegrinaggio, di carità e di persone in cammino ! Verso la pace, verso il perdono, verso la vita. Per vivere insieme, nei Santuari di Lourdes e del mondo, la grande gioia del Giubileo che arriva e che solo chi cammina verso la speranza e la misericordia saprà sperimentare con cuore e gratitudine veri. Pace. Ancòra. Pace. Sempre!
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Pompei
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Cosa cerca il devoto di mons. Tommaso Caputo Arcivescovo-Prelato di Pompei
San Giovanni Rotondo
Tanti fedeli in tutte le stagioni
Due milioni di pellegrini ogni anno per recarsi dalla Madre, “la più tenera delle madri”, che dà ristoro e tutto perdona
di Fr. Francesco Dileo Rettore del Santuario
È costante l’afflusso dei pellegrini a San Giovanni Rotondo, anche in questo periodo di crisi. La percezione che si coglie, non essendoci più una rilevazione delle presenze effettuata con metodo scientifico, è che negli ultimi anni si stia assistendo più a una destagionalizzazione che a una contrazione degli arrivi. Negli ultimi anni, infatti, un significativo calo nei mesi estivi è stato compensato da una straordinaria presenza nel mese di ottobre e, nel 2014, anche fino alla fine di novembre. Si riscontra un’evoluzione positiva, invece, nella “qualità” del pellegrinaggio. La maturazione dell’approccio alla fede, infatti, sta permettendo un sempre maggiore recupero delle originarie caratteristiche di questi percorsi spirituali. Oggi, infatti, la maggior parte di coloro che giungono a San Giovanni Rotondo non sono spinti principalmente dalla necessità di ottenere una “grazia”, ma dalla volontà di vedere in Padre Pio, oltre che un potente intercessore presso Dio, un modello di vita cristiana da imitare. Lo riscontriamo principalmente dalla grande affluenza nelle nostre penitenzerie e dall’importante percentuale di coloro che si accostano alla mensa eucaristica, accogliendo una delle principali esortazioni che Padre Pio rivolgeva ai suoi figli spirituali.
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Per il quadriennio 2013-2017, inoltre, l’Orientamento pastorale del Santuario di San Pio da Pietrelcina, «nel puntare lo sguardo verso il Cristo crocifisso e facendo tesoro dell’esperienza spirituale di Francesco d’Assisi e Pio da Pietrelcina, nonché di quella della Vergine Maria, che ai piedi della croce ha rinnovato il suo fiat alla volontà del Padre celeste, esprime l’anelito di recuperare nella vita di fede il valore salvifico e redentivo della sofferenza simboleggiata dalla croce, nonché il senso della nostra vera vocazione ad andare dietro al Maestro, portando ogni giorno la nostra croce. Il pellegrinaggio, in quest’ottica, ritroverà anche la sua autentica dimensione sacrificale e permetterà al “fedele in cammino” di andare alle radici della propria fede e di crescere “in sapienza e grazia” seguendo le orme di due Santi che hanno conformato la loro esistenza alla missione sacrificale del Figlio di Dio, divenendo in questo modo autentici cristiani, cioè alter Christus, e modello per tutti coloro che, con il Battesimo, sono morti al peccato per rinascere a vita nuova per effetto di quella grazia che è scaturita, una volta per tutte, dalla croce di Cristo». (Redenti dalla Croce di Cristo!, Orientamento pastorale del Santuario di san Pio da Pietrelcina per il quadriennio 2013-2017, nn. 43-44).
Il pellegrinaggio è, innanzitutto, un uscire da se stessi per trovare qualcosa o qualcuno che si cerca, magari da tempo. Poi, è anche mettersi insieme ad altri, conosciuti già o meno, per vivere assieme un’esperienza edificante. Allo stesso tempo, è letizia per la prospettiva di sperimentare un momento diverso, è occasione per esprimere la fraternità cristiana, dando spazio a momenti di condivisione e di amicizia. Spesso, comporta anche sacrifici fisici, come alzarsi presto al mattino, percorrere un tratto di strada a piedi, rinunciare, in ogni caso alle proprie comodità. Cosa cerca, dunque, chi compie un pellegrinaggio? Perché percorre centinaia di chilometri per recarsi in località lontane, anche in altre nazioni? È il desiderio di trovare risposte alle domande che attanagliano il quotidiano di tanti uomini e donne del nostro travagliato presente. È la certezza di essere accolti dall’amore di Dio che diceva, infatti: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi ed oppressi, e io di darò ristoro» (Mt 11, 28). Il pellegrinaggio a Pompei, in particolare, conduce i fedeli verso la Madre, “la più tenera fra le madri”, che ci ama più di quanto possa amarci qualunque essere umano; che ci aspetta, ci accoglie e ci perdona sempre. È come se Lei stessa attirasse qui i suoi figli. Molto spesso, i pellegrini che visitano il nostro Santuario, e sono circa due milioni ogni anno, raccontano che non potevano non venire a Pompei, «Perché - dicono - è la Madonna che ci ha chiamato». Ed una volta arrivati qui, i devoti ricevono, dalle mani di Maria e del suo Figlio Gesù, la corona del Rosario, preghiera semplice e profonda al tempo stesso. Anche il Rosario è un pellegrinaggio, un cammino attraverso le tappe della vita di Gesù, per giungere a Lui guidati da Maria. Riscopriamo ogni giorno la bellezza di questa preghiera che ci avvicina a Dio e, allo stesso tempo, ci unisce sempre più ai nostri fratelli.
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D Santuari mariani nel mondo
Nel nome di Maria di Miela Fagiolo D’Attilia Popoli e missione
Milioni di pellegrini si recano ogni anno nei luoghi del mondo dedicati alla Madre di Cristo. In tutti i continenti, dove avvenimenti lontani nei secoli o vicini negli anni sembrano rinnovarsi nel cuore di ogni pellegrino, gli uomini pregano e incontrano gli uomini, fratelli nel destino terreno.
A Vailakanni in India la chiamano Arokia Matha, Madre della salute. A Kibeho in Rwanda, migliaia di pellegrini si recano alla casa della Nyima wa Jambo, la Madre del Verbo. A Guadalupe in Messico, la Virgen Morena continua ad accogliere le folle con la domanda che nel 1531 fece all’indio Juan Diego: “Non sono forse tua Madre, io che sto qui?”. Mille nomi per chiamare Maria, per raccontare una devozione popolare che abbraccia tutto il mondo e tutte le genti. Ogni luogo, ogni meta di pellegrinaggi è testimonianza di un miracolo, di una apparizione, della ricerca dell’abbraccio divino e materno che consola il dolore, la sofferenza, la solitudine. Da Lourdes a Notre Dame des Apotres sulla collina di Yaoundé, da “Nostra Signora della Pace” a Manila, da Fatima alla “Sultana d’Africa” di Lodonda in Uganda, la
geografia della devozione a Maria è ricca di storie, parole, profezie, conversioni. “I santuari mariani sono poli di evangelizzazione. Restano centri di attrazione e proprio per questo diventano grandi opportunità per vivere la dimensione missionaria della Chiesa. Ci proiettano nel mistero della vita e della missione di Maria che ha accolto il Figlio per portarlo al mondo”, spiega don Alfonso Raimo, segretario di Missio Consacrati. “Si potrebbero trovare motivazioni sociologiche e culturali alla necessità di “andare” in questi luoghi di preghiera – continua don Raimo -. Ma la ragione più profonda resta la figura di Maria. Proprio perché abbiamo davanti agli occhi la sua immagine ai piedi della croce, sappiamo che può comprendere e accogliere tutto, condividere ogni dolore”. Nella basilica di “Nostra Signora d’Africa” che si innalza sulla baia di Algeri, cristiani e musulmani si ritrovano vicini a pregare la Vergine (che l’islam conosce come Maryam, madre del profeta Gesù) coperta con un ricco abito ricamato in stile Tlemcen. Alcuni luoghi ricordano apparizioni della Madonna, come quelle in Sudafrica, nel villaggio di Ngome nel KwaZulu Natal, a suor Reinolda May nel 1955 e poi negli anni successivi (proprio in quella provincia sudafricana venivano
uccise migliaia di persone nella lotta contro l’apartheid) fino alla grande visione collettiva dell’8 dicembre 1990. La Vergine è apparsa anche a tre studentesse di un collegio di Kibeho in Rwanda nel 1982, dove oggi c’è uno dei santuari mariani più amati d’Africa. Dodici anni prima del genocidio, le veggenti raccontarono alle 20mila persone presenti la visione di corpi massacrati, di abissi e fiamme, fiumi di sangue e cadaveri mutilati. Oggi la “cittadella mariana” è un centro internazionale di folle di fedeli che si riuniscono in preghiera per la pace. Maggio è il mese della Madonna anche in Cina, dove si ripete una devozione sofferta e contrastata ma mai estinta. A Qingyang, nella diocesi di Nanchino, il vecchio santuario è stato bombardato durante la Seconda guerra mondiale dai giapponesi e poi trasformato in fabbrica durante la Rivoluzione culturale di Mao. La gente però non ha dimenticato le tradizioni, e i pellegrinaggi continuano per tutto l’anno. Il nuovo santuario di “Nostra Signora della gioia” costruito sulle rovine del vecchio edificio distrutto, svetta sulle montagne di Guiyang, mentre la fama del santuario di Sheshan, ad Est di Shangai, ha varcato gli oceani ed è diventata simbolo delle speranze dei cattolici cinesi deposte ai piedi della Vergine. Nel 1924 i vescovi consacrarono il Paese alla Madonna con un pellegrinaggio a Sheshan e nel 2007 Benedetto XVI l’ha proclamata “patrona d’Asia”. Anche nelle Filippine, in India, in Giappone, Corea del Sud i luoghi consacrati al culto mariano sono così numerosi che ricordarli significa sfogliare pagine di storia di quei popoli che la riconoscono come Madre.
È in America Latina che il culto mariano ha le sue manifestazioni più calde e colorate. File chilometriche si allungano intorno al Santuario di Nostra Signora di Guadalupe in Messico, considerata regina di tutti i popoli di lingua spagnola e del continente americano. Venti milioni di pellegrini l’anno vanno ad inginocchiarsi davanti all’immagine miracolosa (non è una pittura, né un disegno e la sua lettura ai raggi X ha rivelato particolari sorprendenti) della giovane Signora dal volto bruno e con i fiocchi sulla vita (tradizionalmente usati dalle donne in attesa di un figlio), che si manifestò sul monte Tepeyac a Juan Diego.
il santuario indiano di Arokia Matha
Nostra Signora di Aparecida
“Una di famiglia” di Chiara Pellicci Popoli e missione
Che tutta la cittadina di Aparecida do Norte (Stato di San Paolo, Brasile) viva in simbiosi con il santuario mariano più grande del mondo, lo si percepisce da subito mettendo piede nella località brasiliana: l’immensa chiesa si trova incastonata nella città e tutto – dalle case agli alberghi, dai parcheggi ai parchi verdi, dai viadotti sopraelevati ai negozi – le ruota intorno. In effetti il Santuario nazionale della Basilica di Nostra Signora della Concezione di Aparecida (questo il suo nome ufficiale) è il più importante luogo di culto cattolico del Brasile, e la Nostra Signora di Aparecida è la patrona del Paese verde-oro. Dalle dimensioni dell’edificio, appena inferiori
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a quelle della Basilica di San Pietro in Vaticano, nessuno si aspetterebbe che l’immagine venerata misuri solo qualche decina di centimetri. Eppure il continuo via vai di pellegrini davanti alla piccola statua di legno nero, racchiusa in una teca dorata e incastonata alla base di una colonna che si alza verso il cielo per 40 metri, non dà adito a dubbi: i fedeli arrivano a migliaia al giorno per lei, sostano davanti alla sua piccola immagine, si inginocchiano, la pregano, la adorano, ci parlano, la fotografano, in una spontaneità che, più che con la devozione popolare, si spiega con la naturalezza di chi la considera “una di famiglia”. Effettivamente Nostra Signora di Aparecida sin dal 1717, anno del ritrovamento della statuetta, fu considerata “una di famiglia” dai pescatori che la recuperarono dal fiume Paraíba, poco distante dall’odierna basilica. Avevano ricevuto l’incarico di procurare il pesce per un banchetto che si sarebbe tenuto il giorno successivo in onore del governatore
della Provincia di San Paolo, di passaggio nella zona, ma non erano riusciti a prendere niente: solo una piccola statua lignea della Madonna, ricoperta di fango, ma senza testa; gettata nuovamente la rete, pescarono il pezzo mancante; al terzo lancio, la quantità di pesci catturati fu miracolosa. Per 15 anni la statuetta rimase nella casa di uno dei pescatori, dove i vicini si riunivano a pregare il rosario. Poi alcuni rivelarono di aver ricevuto delle grazie e presto il suo culto si diffuse ovunque. Quando non fu più possibile tenerla in casa come “una di famiglia”, fu costruita per lei una cappella. Ma il numero dei pellegrini continuava ad aumentare e così fu edificata una chiesa nel 1852 e poi un’altra più grande nel 1888. Nel 1946 ebbe inizio la costruzione dell’attuale basilica, con una capienza di 45mila persone, consacrata nel 1980 da Giovanni Paolo II. Anche lui, come tutti i pellegrini di Aparecida, ha sempre considerato la Vergine Maria “una di famiglia”…
Dossier Pellegrinaggio 17
D Fatima
Cammino come mèta dell’anima
Un viaggio nelle emozioni
Tutta la vita è peregrinare
di Vincenzo Mincarelli
di Aldo Maria Valli vaticanista TG1
Ricordo bene che partecipai al mio primo pellegrinaggio a Fatima con l’UNITALSI, solo dopo aver letto con attenzione e curiosità morbosa il libro: “Le memorie di suor Lucia”. Arrivando a Fatima con l’autostrada dalla capitale, si intravede il Santuario da sud ed è da questa direzione che arriva la maggior parte dei pellegrini, spesso dopo un cammino devozionale a piedi magari da distanze anche considerevoli. La vista del campanile della Basilica della Beata Vergine del Rosario attira lo sguardo del pellegrino e lo accoglie. La Cova d’Iria ha un po’ l’aspetto ad anfiteatro e pertanto volgendo lo sguardo verso nord dalla nuova Basilica Minore della Santissima Trinità, si gode di uno sguardo d’insieme dell’intera area del santuario. Per la costruzione di questo nuovo Santuario, la prima pietra, ovvero un frammento della tomba dell’Apostolo Pietro in Vaticano, venne offerta da SS Giovanni Paolo II ed è posta di fronte all’altare. L’ansia cresce veloce e tutta l’attenzione viene catturata dalla Cappellina delle Apparizioni sulla sinistra della cova. La Cappellina sembra come avere il potere di attrarre a se i nostri cuori e di sapervi leggere. Una piccola statua della Madonna troneggia su un pilastro eretto nel luogo esatto delle apparizioni, giusto il punto dove si ergeva il piccolo leccio; sul pilastro è ricavata una feritoia e file di pellegrini possono imbucarvi le loro intenzioni e le richieste di intercessione. L’immagine della Vergine lì in Cappellina catalizza il continuo bisbiglio delle invocazioni e delle preghiere, in cui inevitabilmente si viene coinvolti. La mattina ci accostiamo per la S. Messa ed ancora una volta il nostro pensiero va ai nostri cari, agli amici disabili e a tutte quelle persone che ci hanno raccomandato una preghiera. Dopo le apparizioni, i tre pastorelli tornando alla cova d’Iria, erano soliti percorrere in ginocchio l’ultimo tratto, fino al piccolo leccio delle apparizioni; lungo questo stesso tratto è stato predisposto un sentiero lastricato che da sud e per circa 200 metri porta alla cappellina. Lungo questo sentiero sono numerosi i pellegrini che ripetono l’atto ispirato alla devozione dei pastorelli; sono essi per lo più mamme supplicanti o riconoscenti, alcune recano bambini in braccio. Infine si accede alla Basilica della Beata Vergine del Rosario dove nel 1952 furono traslate le salme dei beati Francesco e Giacinta, mentre suor Lucia vi fu traslata nel 2006. In punta di piedi ci si accosta verso l’altare e lì Giacinta e Francesco dal 1952, Lucia dal 2006, riposano.
Mi piace camminare, mi è sempre piaciuto. Anche adesso, nonostante l’età non più verdissima, il camminare è una grande risorsa. Passo dopo passo, mi si schiariscono le idee e i problemi si fanno meno grandi. Credo di non essere il solo ad adottare questo sistema. Una volta, per esempio, il cardinale Carlo Maria Martini mi disse che lui, quando doveva prendere una decisione importante, anziché stare a rimuginarci in ufficio preferiva farsi portare su un sentiero, dalle parti della Grigna, e incominciare a camminare: era così che trovava le soluzioni. Ma per un cristiano il camminare non è solo un espediente antistress o una forma di salutismo. Per l’uomo di fede la vita stessa è un cammino. Anzi, per meglio dire, un pellegrinaggio, ovvero un cammino con un significato spirituale e una meta che non è un punto su una carta geografica ma un obiettivo dell’anima. Per me certi santuari di montagna, come Oropa, sono i luoghi più belli per fare un pellegrinaggio. La necessità di salire ha in sé qualcosa di purificante. E mentre sei lì che arranchi e fai fatica, ogni sofferenza diventa un’offerta e si trasforma in preghiera. Ricordo le salite ai sacri monti, come quello di Varese, di Varallo, di Orta. Sulle Prealpi lombarde e piemontesi ce ne sono ben nove, uno più bello dell’altro. Dal 2003 fanno parte del patrimonio mondiale dell’Unesco, ma non è per questo che li prediligo. Mi piace camminare lungo questi percorsi che hanno una storia di fede e di pietà popolare. Qui l’uomo, che tante volte usa la natura in modo consumistico, si è inserito in un meraviglioso contesto ambientale senza stravolgere nulla, ma valorizzando ciò che ha trovato. E così il camminare diventa anche ringraziamento rivolto al buon Dio per tutti i suoi doni. Le stesse sensazioni le ho provate salendo al Santuario di Kalwaria, in Polonia, non lontano da Cracovia e Wadowize, i luoghi di san Giovanni Paolo II. Eremo molto caro a Karol Wojtyla, è costituito da una basilica in stile barocco dedicata alla Madonna degli Angeli e da un convento dei frati minori francescani. E anche lì, come sulle mie montagne, ho sentito il respiro della fede. Penso che per essere pellegrini occorra avere la capacità di stupirsi e di ringraziare. L’uomo rivendicativo e aggressivo, che si sente al centro del mondo, come se tutto gli fosse do-
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Al piano basso della Rettoria del Santuario che si trova sul lato destro della Cova d’Iria è allestita l’esposizione “Fatima, Luz y Paz”; in essa si può osservare la preziosa corona della statua della Vergine con incastonato al suo apice il proiettile che ferì Papa Giovanni Paolo II nel corso dell’attentato del 13 maggio1981; «Una mano ha sparato e un’altra ha guidato la pallottola» diceva spesso il Santo Padre. Partendo dalla rotonda sud di Fatima ci si avvia per la via Crucis lungo il tragitto solitamente percorso dai nostri pastorelli per condurre il gregge al pascolo. Lungo il suo percorso, dopo circa tre chilometri, ormai giunti a poche centinaia di metri da Aljustrel, si transita per Valinhos dove un altare ricorda l’apparizione mariana del 19 agosto. Da Valinhos, un sentiero verso sud conduce a Loca do Cabeco (o do Anjo) legato alle apparizioni dell’angelo nel 1916. Si arriva a Aljustrel dove le case dei pastorelli, quella della famiglia Marto di Francesco e Giacinta e quella della famiglia dos Santos di Lucia sono a poche decine di metri l’una dall’altra e sono visitabili e spesso si viene accolti da alcuni parenti dei veggenti. Dietro la casa di Lucia è visitabile il pozzo legato alla seconda apparizione dell’angelo e dove in certi giorni è possibile bere un sorso della sua acqua. Delle escursioni proposte una valenza particolare ha quella a Coimbra dove suor Lucia ha vissuto gli ultimi 57 anni della sua vita presso il Convento del Carmelo di Santa Teresa. Prima della sua morte, avvenuta il 13 febbraio del 2005, visitando la cappella del convento si viveva una emozione particolare perché era la stessa dove la veggente assisteva alla S. Messa e prendeva parte agli altri uffici. Attualmente, accanto al convento, è stato organizzato un memoriale come un museo ed i visitatori vi possono osservare documenti ed altri cimeli originali.
vuto, e che chiede sempre di più, è l’esatto contrario del pellegrino, il quale invece si riconosce bisognoso di tutto e si mette nelle mani della Provvidenza. Un sogno che coltivo da tanto tempo è quello di poter fare il Cammino di Santiago. Gli amici che me ne hanno parlato dicono di esserne usciti trasformati, soprattutto grazie agli incontri. Camminare ore e ore, portare uno zaino pesante, dormire per terra, condividere spazio e tempo con persone sconosciute: ciò che normalmente ti sembrerebbe assurdo, lì acquista un significato speciale. Riuscirò mai a realizzare il mio sogno? Chissà! Sicuramente, ora che sono diventato nonno di un nipotino che si chiama Giacomo, ho una motivazione in più!
La Madonna degli Angeli nel Santuario di Kalwaria
Dossier Pellegrinaggio 19
Expo solidarietà
e futuro
Quattro treni speciali da Firenze, Reggio Calabria, Venezia e Bari per rendere quella di Expo Milano 2015 una esperienza di vita e di condivisione possibile. Tra le molte iniziative nate intorno a Expo, quella promossa e realizzata dall’UNITALSI - si rivela particolarmente importante sotto diversi punti di vista. Saranno oltre 2000 le persone coinvolte nel progetto “Solidarietà e Futuro due ottimi ingredienti per nutrire il pianeta– UNITALSI con EXPO” tra persone con disabilità, anziani, famiglie in difficoltà e accompagnatori: l’UNITALSI mette in campo l’entusiasmo, la vocazione ed il coraggio dei suoi volontari per rendere più facile la partecipazione di tante persone ad un evento storico di civiltà e progresso. “Nutrire il pianeta è il motto di Expo e noi siamo felici di questa magnifica scelta di parole – dice Ubaldo Bocci Presidente della Fondazione UNITALSI G.B. Tomassi - Il pianeta cresce, si evolve, migliora, si nutre, in sintesi, anche con le storie di persone provenienti da culture e mondi lontani e da vite cariche di grandi emozioni. Ci piace pensare – continua il Presidente Bocci – che l’UNITALSI saprà portare, con i suoi treni speciali, un prezioso tassello in più a quello straordinario mosaico che è Expo Milano 2015”. I quattro treni, partiranno alla volta di Milano il 27 giugno da Firenze, il 10 luglio da Bari, il 17 luglio da Reggio Calabria e 1 agosto da Venezia Mestre. “Da oltre 110 anni prendiamo per mano chi ha bisogno è il motto dell’UNITALSI – con-
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clude Bocci - chiunque abbia fatto un nostro viaggio sa che siamo noi i primi ad essere arricchiti dal coraggio e dalla voglia di futuro di chi accompagniamo. Questo viaggio verso Expo sarà un’altra straordinaria occasione di crescita per noi volontari, una nuova carica di energia. Nutrimento. Proprio quello che serve tanto al nostro pianeta”.
FS con l’UNITALSI “La storica collaborazione tra UNITALSI e Trenitalia - ha ricordato Gianfranco Battisti, direttore della Divisione Passeggeri Long Haul e Alta Velocità di Trenitalia - permetterà quest’anno di organizzare oltre ai tradizionali pellegrinaggi su Lourdes per le persone ammalate anche alcuni treni speciali per partecipare allo straordinario evento dell’Expo di Milano. Riuscire a coinvolgerli in questo memorabile appuntamento, concedendo loro dei momenti di felicità e di condivisione, è per noi motivo di orgoglio e di grande soddisfazione.”
Per informazioni è attivo il numero verde dedicato 800 062 026; iscrizione presso le sedi locali dell’UNITALSI o on line sul sito unitalsi.it.
Aree tematiche
4
Durata
184
GIORNI
Il padiglione della Santa Sede
“Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”, è da questa frase del Vangelo che si sviluppa il messaggio che la Santa Sede vuole trasmettere attraverso la sua partecipazione a Expo Milano 2015. Il cibo come valore primario nella vita degli uomini, da sempre oggetto di riti, simboli, racconti, calendari e regole ma anche strumento per conoscere la propria identità e costruire relazioni con il mondo, il creato, il tempo e la storia. Attraverso il suo Padiglione, che si sviluppa su un’area complessiva di 747 metri quadrati, la Santa Sede vuole offrire ai visitatori uno spazio di riflessione attorno alle problematiche che ancora oggi sono connesse all’alimentazione e all’accesso al cibo, mettendo in luce come l’operazione antropologica del nutrire sia al cuore dell’esperienza cristiana e della riflessione culturale e spirituale che ha generato dentro la storia. Il percorso espositivo procede in cinque scene: le dimensioni ecologica, economico/solidale, educativa e religiosoteologica del tema. Nella quarta scena (“Educarsi all’umanità”), è proposta una tavola in legno sulla quale sono proiettati tutti gli ambiti della vita quotidiana in cui si può agire responsabilmente per cambiare il mondo. Anche il congedo è seguito da volontari. Nel Padiglione saranno esposte ogni mese grandi opere d’arte: si è cominciato con Tintoretto.
Paesi espositori
143
Visitatori attesi
20 milioni
Estensione area espositiva
1 milione di metri quadrati
Ricette alimentari disponibili
55 mila
21
Viaggio sotto le bombe
Nel caos siriano i cristiani disorientati
Un commando di uomini mascherati, presumibilmente dell’ Isis, armati fino ai denti ha sequestrato padre Jacques Mourad, sacerdote siro-cattolico, superiore del monastero di Deir Mar Mousa, fondato in Siria da padre Paolo Dall’ Oglio, il gesuita romano, nelle mani degli estremisti islamici da oltre due anni. Di padre Dall’Oglio non si hanno più notizie dal 2013 quando fu rapito da un gruppo di terroristi a Raqqa, dove si era recato per liberare alcuni ostaggi. A sinistra p. Dall’Oglio e a destra p. Mourad
di Daniele Rocchi Agenzia SIR
Il custode di Terra Santa p. Pierbattista Pizzaballa
Il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, è andato in Siria per verificare le condizioni drammatiche in cui vive tutta la popolazione, cristiana e musulmana.
“Ho visitato Latakia, Aleppo e Damasco. A Latakia la situazione più tranquilla dal punto di vista dei combattimenti. Qui la guerra si avverte soprattutto per la carenza dei beni di prima necessità. Nel centro di Damasco, rispetto a sei mesi fa, si vive leggermente meglio, ma la periferia non esiste più. Interi quartieri sono stati distrutti, rasi al suolo, bombe che cadono in continuazione e totale mancanza di elettricità e di acqua. Aleppo, invece, è semidistrutta e sotto assedio, con totale mancanza di acqua, elettricità e cibo”. È un resoconto drammatico quello che il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, fa del suo viaggio in Siria, da dove è rientrato da pochissimi giorni, nel quale ha incontrato
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le fraternità della Custodia e le comunità cristiane locali per mostrare loro vicinanza e solidarietà. “La gente è disorientata - racconta il custode - non riesce a capire cosa sta accadendo e cosa potrebbe accadere. Ho visitato i quartieri cristiani presi di mira dagli attacchi con decine e decine di famiglie decimate. Ho assistito a funerali, conosciuto carichi di sofferenza, di frustrazione, di impotenza incredibili. Nessuno sa cosa potrebbe accadere, il disorientamento è totale. Ho incontrato vescovi che non sanno più cosa dire davanti a tale scempio. I loro appelli cadono nel vuoto”. Si combatte da quattro anni senza vincitori. A perdere è la popolazione con i cristiani che stanno pagando un prezzo altissimo, anche in Iraq… “Non è una guerra come le altre e non è una guerra religiosa. Questa sta provocando un cambiamento radicale nella vita della Siria e dell’intera regione. La domanda della gente non
è solo ‘quando finirà questa guerra?’. Ci si chiede soprattutto ‘cosa ci sarà dopo?, chi verrà qui?’, ‘lo Stato islamico o altri?’, ‘se a vincere sarà l’Is cosa sarà di noi?’, ‘chi sta sparando?’ e ‘perché ci sparano?’. Sono tutte domande che non hanno risposta. Ma a morire non sono solo i cristiani. Se ci sono 70 morti 60 sono musulmani e 10 cristiani. Ogni gruppo religioso conta le proprie vittime come se fossero le uniche. Non è facendo valere il numero dei propri morti che si contrasta il radicalismo. Bisogna rinsaldare l’amicizia tra cristiani e musulmani. Non serve dividersi”. Sui cristiani pesa l’accusa di essere vicini al dittatore di turno, come Assad. È così? “Questa accusa viene contestata dai leader cristiani, ma credo che un fondo di verità ci sia. Quando lo Stato islamico pensa ai cristiani pensa ad Assad, questo è un fatto. La minoranza cristiana è percepita come una presenza occidentale nel mon-
do musulmano ma non è vero. I cristiani sono i primi abitanti di queste terre. Vero è, invece, che i cristiani hanno un legame con l’Occidente che l’Islam non ha. Guardando in positivo credo che i cristiani del mondo arabo possano aiutare i musulmani a comprendere meglio l’Islam, ma dubito che possa accadere in questa fase”. È anche vero che in Siria e Iraq sono rimasti pochissimi cristiani. Un esodo che interessa tutto il Medio Oriente, specie dopo le primavere arabe. Siamo alla fine dell’Oriente cristiano? “Le primavere arabe sono finite da tempo. Hanno rappresentato un cuneo nel quale si è sviluppato tutto il caos attuale. Sono in Medio Oriente da oltre venti anni e dell’emigrazione dei cristiani si è sempre parlato. Se ci fosse stato un vero esodo saremmo già scomparsi. Oggi in Siria e in Iraq la situazione è gravissima, più della metà dei cristiani è fuggita, specie chi aveva le risorse per farlo. Sono certo, tuttavia, che non siamo alla fine dell’Oriente cristiano”. Comprendo la necessità di sperare, ma qui, come ha detto il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, stiamo assistendo ad un “olocausto cristiano”. Come fermare il massacro? “Abbiamo celebrato il centenario del genocidio armeno. Allora sembrava che tutto fosse finito per quel popolo. Così non è stato. Non so come finirà la guerra nella regione e lo scontro tra sciiti e sunniti. Da cristiano non posso credere che nel mondo ci siano milioni e milioni di musulmani con i quali non posso dialogare. Non lo posso credere e per questo devo ricercare il dialogo. Anche così si ferma il massacro”. Cosa dovrebbe fare la comunità internazionale per trovare una via di uscita alla crisi? “La comunità internazionale ha fatto molto sbagliando molto. Ora potrebbe recuperare, innanzitutto fermando la vendita di armi. Non sono cose scontate: bisogna insistere molto sui Paesi arabi accompagnandoli non solo dal punto di vista economico ma anche vigilare sugli aspetti etici e sociali, fare in modo che nelle scuole islamiche venga dato un corretto insegnamento dell’Islam. Il radicalismo non nasce dal nulla ma da un contesto culturale e religioso sbagliato. Non esiste sviluppo economico sostenibile che non abbia al centro la persona e i suoi diritti. Se vogliono lo possono fare”.
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Riflessione
è nuovo tempo di testimonianza L’UNITALSI deve essere in perenne pellegrinaggio verso quelle periferie - ormai troppo proclamate e mai abbastanza raggiunte dove il volto misericordioso di Cristo si offre senza filtri e senza veli. Il tema del pellegrinaggio pare essere di grande attualità nella nostra Chiesa: nella recente Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia, Papa Francesco lo ha difatti definito come segno peculiare di questo tempo di grazia perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza fino alla meta desiderata (Misercordiae vultus, 14). E poco tempo prima la Chiesa italiana aveva sottolineato che l’esperienza di viaggio è soglia potenziale di fede poiché, quando la ricerca di senso diventa ricerca di Dio, allora il viaggio si trasforma in pellegrinaggio (CEI, Incontriamo Gesù, 38). Per un’Associazione, come l’UNITALSI, che riconosce il pellegrinaggio come tratto saliente della sua opera di evangelizzazione, dovrebbe aprirsi un nuovo tempo di testimonianza e presenza sul territorio. Il condizionale, tuttavia, appare d’obbligo dal momento che alle affermazioni - più o meno autorevoli - sulla fecondità missionaria del
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don Danilo Priori vice Assistente Ecclesiastico Nazionale
pellegrinaggio non necessariamente corrispondono incrementi di partecipazione; segno evidente, dunque, che la realtà del pellegrinaggio va approcciata con piglio evangelico, affinché possa essere strumento di incontro col Signore, a prescindere da qualunque zavorra o compromesso legato ai numeri. Del resto, un primo e superficiale sguardo al Vangelo confermerebbe un Gesù assai preoccupato per la qualità delle relazioni tessute con un’umanità confusa e talvolta sbandata, ma per niente incline ad annacquare o svendere il suo insegnamento pur di avere un uditorio folto e compiacente; dopo aver visto allontanare molti dei suoi discepoli a motivo della durezza del suo linguaggio, il Signore incalza verso il gruppo dei dodici e gli chiede: “forse volete andarvene anche voi?” (cf Gv 6,67). Ma aldilà delle parole e delle frasi fatte, cosa rende particolarmente significativo e degno di essere vissuto il pellegrinaggio? Cosa contraddistingue e qualifica il pellegrinaggio unitalsiano da qualunque altra esperienza di viaggio verso mete religiose? Perché un credente dovrebbe preferire la nostra proposta associativa tra innumerevoli possibilità di scelta? È evidente che non esiste una sola risposta capace di rispondere soddisfacentemente ad ogni quesito; difatti l’esperienza di pellegrinaggio proposta dall’UNITALSI vorrebbe far condividere un cammino di fede che, pur non celando la fatica e la sofferenza legate alla malattia e alla disabilità, apre comunque ad una dimensione di gioia e bellezza. Ancora una volta la Scrittura si propone come la chiave interpretativa attraverso cui rileggere difficoltà e proposte di pellegrinaggio. Peraltro, in questo anno liturgico in cui stiamo proclamando il vangelo di Marco durante la
celebrazione eucaristica, è interessante notare come proprio questo evangelista narra un intenso pellegrinaggio di Gesù, autentico uomo che cammina tra le vie dell’umanità e strada facendo incontra e raccoglie i fili preziosi di ogni singola esistenza e li rilega nell’ordito di un tempo compiuto e di un regno di Dio ormai vicino (Mc 1,15). Gesù annuncia intanto l’incontro con la Parola, una parola di comunione con lui stesso e col Padre che lo ha mandato: difficile pensare alla nostra UNITALSI che progetta e programma proposte di pellegrinaggio seduta dietro il bordo di una scrivania dirigenziale, senza aver ruminato quella Parola che è capace di indicare e illuminare mete e sentieri facendo diventare pescatori di uomini (cf Mc 1,17). Gesù non è preoccupato di veder rallentare il passo dall’incontro con il volto sofferente e malato dei fratelli: difficile pensare alla nostra UNITALSI che si piega ad una programmazione strategica interessata esclusivamente all’arresto di emorragie numeriche, dimenticando le tante mani tese verso la salvezza che promana dal mantello di Gesù (cf Mc 5,28). Gesù sa discernere il gesto semplice e prezioso di una donna che lo unge in anticipo dallo sperperio che danneggerebbe i poveri (cf Mc 14,3-9): difficile pensare alla nostra UNITALSI che confonde e scambia sprechi ed opere buone, arrivando al punto di paralizzare e annullare la sua presenza sul territorio in nome di una presunta ottimizzazione delle risorse. Gesù non tace la prospettiva della croce, ma sempre la colloca nell’orizzonte di una speranza che promana dall’affidamento alle sue promesse: difficile pensare alla nostra UNITALSI che stordisce i fratelli con la
minaccia di rischi incombenti e tribolazioni grandi, senza prospettare la fiducia nella preghiera pur nelle ore buie e asfissianti del Getsemani (cf Mc14,38). Gesù appare glorioso a coloro che conservano l’unità nel vincolo caritatevole dell’unica mensa: difficile pensare alla nostra UNITALSI che fatica a ricomporre la
comunione infranta e incapace di mettersi in cammino con lo slancio missionario richiesto dal suo Signore (cf Mc 16,14). Difficile non pensare dunque ad una UNITALSI in perenne pellegrinaggio verso quelle periferie - ormai troppo proclamate e mai abbastanza raggiunte - dove il volto misericordioso di Cristo
si offre senza filtri e senza veli. È vero, non esistono ricette o uomini capaci di risolvere in un solo colpo le difficoltà associative nei confronti dei pellegrinaggi. Esiste però un pellegrinaggio verso il pellegrinaggio, cioè un cammino da fare assieme maturando scelte consapevoli all’ombra della Parola.
Dossier Pellegrinaggio Riflessione 25
Intervista al presidente del Bambino Gesù Mariella Enoc
L’ospedale dei bambini e… del Papa
Nuovi Santi
Oscar Romero martire sull’altare di Alver Metalli Terredamerica
Lo scorso 24 maggio l’arcivescovo di Salvador Oscar Arnulfo Romero, trucidato sull’ altare mentre celebrava l’Eucarestia, è diventato Beato. La morte di Romero è stata interpretata a lungo con le parole apparse postume nella penna di un giornalista guatemalteco: «Se mi uccidono, risorgerò nel popolo salvadoregno». Così le hanno ripetute retoricamente per anni. Ma sono parole di Romero? Le ha veramente pronunciate l’arcivescovo assassinato in Salvador del quale è ormai prossima la beatificazione? Gli amici più stretti ne dubitavano. Lo storico Roberto Morozzo della Rocca – biografo dell’arcivescovo salvadoregno e incaricato della stesura della Positio super martyrio per la causa di canonizzazione – non ha dubbi in merito: sono apocrife. «Nella Positio» afferma Morozzo «lo si discute a sufficienza. Non sono altro che espressione di un mito ideologico di Romero profeta del popolo e messia a sfondo politico». Romero, quello vero, non è stato l’eversivo agitatore di una teoria marxista. Romero ha pagato non una partecipazione politica in un contesto di guerra civile, ma una opzione totalmente evangelica. Anche i suoi interventi più estremi, quando dal pulpito faceva nomi e cognomi di chi opprimeva e massacrava il popolo nascevano dalla predilezione nei confronti dei poveri e dei deboli che è elemento ineliminabile della Tradizione della Chiesa, quella con T maiuscola. Il riconoscimento sancito dal Papa del suo martirio in odio della fede, del resto, ha spazzato via tutti i decennali pregiudizi di ordine politico sulla natura del suo agire. E si può dire che, in questo senso, ha chiuso definitivamente un’epoca protrattasi per lungo tempo anche nella Chiesa. Romero è stato un vero pastore che ha dato la vita per il suo gregge ed ha subito la morte per coerenza con la fede vissuta, con la dottrina, il magistero della Chiesa e la sua disposizione a dare la vita si è compiuta all’altare della mensa eucaristica.
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«Come altri sacerdoti, nell’America latina di quegli anni, è stato vittima di un sistema oligarchico formato da persone che si professavano cattoliche e che vedevano in lui un nemico dell’ordine sociale occidentale e di quella che già Pio XI, nella Quadragesimo anno, chiama “dittatura economica”» ha affermato monsignor Vincenzo Paglia, postulatore della causa di Romero. Per conseguire interessi politico-economici, quindi, si è voluto far credere che la difesa concreta dei poveri fosse frutto di una teologia eretica e di dottrine comuniste. In questo modo intere popolazioni sono state oppresse e tanti uomini di Chiesa, in quegli anni, hanno sofferto fino al martirio. Per comprendere il senso della morte di Romero bisogna perciò ritornare alla persecuzione della Chiesa nel contesto storico salvadoregno. In un momento nel quale anche solo affermare che ci fosse una persecuzione non era affatto scontato. La dittatura militare reggeva il Salvador da mezzo secolo. La Chiesa – secondo i militari - aveva tradito coloro che l’avevano mantenuta e incrementata. Da qui l’odio dell’oligarchia per clero e fedeli che mostravano sensibilità sociale e chiedevano un Paese più giusto. La crescita di una guerriglia castrista, con le sue pratiche violente, veniva pure imputata alla Chiesa per l’origine cattolica di molti guerriglieri, quando in realtà tutti in Salvador, allora, erano cattolici per origine e tradizione culturale». Romero, d’altra parte, anche con la guerriglia ebbe rapporti conflittuali. L’opzione rivoluzionaria era alternativa alla richiesta di giustizia e riforme dell’arcivescovo martire, che si ritrovò stritolato nella polarizzazione tra guerriglia e oligarchia. In questo difficilissimo contesto egli chiedeva conversione ai ricchi, a condividere i loro beni, pena il rischio incombente di una guerra civile, come poi ci sarà. E predicava chiedendo giustizia in nome della pace e del Vangelo. Sapeva che questo poteva costargli la vita.
Presidente lei si trova alla guida del più importante ospedale pediatrico d’Italia. Un’impresa da far tremare le vene dei polsi. Il Bambino Gesù è oggi di fatto il più grande Policlinico e Centro di ricerca pediatrico in Europa, con oltre 1 milione e 400mila prestazioni sanitarie erogate, 26mila ricoveri, 73mila accessi al pronto soccorso, oltre 300 trapianti di organi ogni anno. E poi una produzione scientifica imponente, che lo porta ad essere il primo IRCCS pediatrico in Italia, con un processo di innovazione clinica e organizzativa incalzante. Il compito che mi è stato affidato è certamente arduo, ho provato a tirarmi indietro, ma il Cardinale Segretario di Stato me lo ha chiesto in una logica di servizio nei confronti della Chiesa, e non ho potuto dire di no. In più, dietro il suo ospedale, c’è il carisma del Vaticano e dunque del Papa… L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù è da oltre 90 anni di proprietà della Santa Sede. È conosciuto dalle famiglie come l’Ospedale dei bambini e l’Ospedale del Papa, espressione speciale della sua carità. È chiaro che non si tratta di un luogo di cura “normale”, ma un luogo che deve esprimere un’attenzione speciale nei confronti dei bisogni delle persone, in primo luogo i bambini e le loro famiglie. Sotto questo profilo è fondamentale ad esempio il contributo delle tante associazioni che operano all’interno dell’Ospedale o al suo fianco. Cosa possono fare in più di adesso i volontari dell’Unitalsi all’interno della struttura? L’Unitalsi già attualmente supporta l’Ospedale Bambino Gesù accogliendo famiglie bisognose a titolo gratuito presso la Casa Bernadette. Senz’altro aumentare il numero delle camere a disposizione dei nostri ospiti potrebbe essere un passo importante: il numero di famiglie bisognose che potrebbero beneficiare di questa preziosa ospitalità è in costante aumento, vuoi per la crisi sociale che purtroppo disgrega un numero di famiglie, italiane e non, sempre maggiore, vuoi per il fatto che il nostro Ospedale è un polo di attrazione per patologie di alta complessità, e sempre in maggior numero sono le famiglie che si spostano da lontano per curare il proprio bambino. Un altro spazio di miglioramento potrebbe derivare dalla diffusione di UNITALSI sull’intero territorio italiano: le strutture sociali del territorio essendo, purtroppo, spesso carenti soprattutto nel Sud Italia, una partnership con l’Ospedale per creare una rete volontaria di protezione sociale
sul territorio per le famiglie dimesse che presentano problemi sociali potrebbe innescare un circuito virtuoso di solidarietà organizzata tra strutture che condividono le stessa etica. Quanto il Bambino Gesù considera le iniziative delle case di accoglienza per i familiari dei bambini ricoverati? La casa è un bene primario per tutti, ed ancor più quindi per chi lascia il proprio paese di origine per accompagnare il proprio figlio malato. L’Ospedale Bambino Gesù si è nel tempo dotato di una rete di 18 case di accoglienza e di due reti alberghiere che alloggiano a titolo gratuito le famiglie bisognose. L’accesso avviene secondo un triage operato dai servizi sociali/accoglienza sulla base di criteri trasparenti (reddito familiare, tipo di patologia e reparto di degenza, età del bimbo e composizione del nucleo familiare...) per garantire che al maggior bisogno corrisponda maggior aiuto. Nel 2014 oltre 4.500 nuclei familiari sono stati ospitati con questa modalità. Nelle case di accoglienza sono disponibili i servizi (mediazione culturale, scuola...) che l’Ospedale mette a disposizione al suo interno, vengono effettuati prelievi e visite mediche, organizzati eventi festosi, in modo di garantire che il soggiorno delle famiglie sia il più vicino possibile ad una vera casa. L’accoglienza del bambino e della sua famiglia, infatti, è parte integrante del processo di cura del piccolo paziente. M.F.
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Aci
Bioetica
L’educazione alimentare L’alimentazione è un tema importante sotto il profilo esistenziale, culturale, economico-finanziario1, socio-politico, scientifico, artistico, educativo, religioso e bioetico. In particolare, il tema dell’Expo Milano 2015 “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” e l’imminente pubblicazione dell’Enciclica di Papa Francesco sull’ambiente sollecitano alcune riflessioni sul complesso rapporto tra alimentazione (sicurezza e qualità alimentare) e creato. Ormai è noto che il cibo è prodotto per tutti, ma non tutti ne possono usufruire. Questo paradosso dell’abbondanza, così definito da San Giovanni Paolo II nel 1992 in un Discorso alla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura), rappresenta uno scandalo e una sfida. Il cibo, infatti, può rappresentare un problema per chi ne consuma troppo (29 milioni di persone muoiono ogni anno per malattie dovute ad eccesso di cibo), arrivando al sovrappeso (circa 1.5 miliardi) o all’obesità (circa 500 milioni); il cibo è un problema per chi è malnutrito (circa 2 miliardi) o denutrito (circa 800 milioni) ed infine per chi, usandolo in modo scorretto, soffre di disturbi alimentari (anoressia e bulimia). Eppure, intorno al cibo persistono alcuni pregiudizi cronici. Nonostante sia prodotto per 12 miliardi di persone, ben superiore ai 7 miliardi attuali, si continua ad affermare che la sovrappopolazione sia causa di povertà e sottosviluppo. In realtà, ingordigie storiche del Nord del mondo, perdite di cibo (relative alla produzione agricola, alla raccolta, al
Angela Maria Cosentino docente di Bioetica
trasporto e alla distribuzione), spreco di cibo (relativo alla distribuzione e al consumo), per un totale di 1 miliardo e 300 milioni di tonnellate all’anno2 (cioè un terzo della produzione alimentare globale annua, quantità necessaria per nutrire i più bisognosi), uso di tecnologie arretrate nei Paesi del Sud del mondo, insieme alla corruzione dei governi locali, hanno impedito, finora, di abbattere la fame e la denutrizione.
Il cibo può diventare un problema per chi non ne ha, per chi ne consuma troppo, per chi si nutre male. Giovanni Paolo II lo chiamava “ il paradosso dell’abbondanza”. Si auspica che l’Expo possa contribuire a demolire questo pregiudizio di derivazione malthusiana e neomalthusiana che, negli ultimi 40 anni, ha giustificato deleterie politiche di controllo demografico3 (in cambio di aiuti economici) sganciate da un’educazione alla responsabilità. L’educazione, anche in riferimento alle cifre delle due facce speculari (all’incirca equivalenti) del citato paradosso alimentare, è un aspetto importante che sollecita interventi a diversi livelli di
responsabilità (singolo cittadino, famiglie, associazioni, organismi politici), per modificare mentalità e comportamenti. L’acquisizione di pratiche virtuose dovrebbe includere il rispetto sia dell’uomo, di ogni uomo e di tutto l’uomo - in riferimento ad equità e giustizia nella distribuzione delle risorse per le generazioni presenti e future -, sia del creato, in riferimento ad un atteggiamento di custodia4 e non di dominio assoluto. Purtroppo, la logica dell’avidità ha condotto a sfruttare il “giardino di Dio” secondo un’economia del profitto, non inclusiva della globalizzazione della solidarietà. L’Expo, in tal senso, può rappresentare una grande opportunità di confronto e dialogo per comunicare una cultura di accoglienza e condivisione, capace di trasmettere i valori del buono, del vero e del bello, inscritti nell’umanesimo cristiano che riconosce la soddisfazione materiale insieme a quella spirituale. Si ricorda che la bioetica, benché si sia indirizzata dagli anni ’70 verso questioni di tipo biomedico, ha avuto in origine, un forte interesse per la questione ambientale alla quale è giusto ritornare per affrontare problematiche di grande interesse pubblico e per individuare indicazioni preziose a bilanciare lo sviluppo con il rispetto di tutto il creato, rimuovendo l’indegna cultura dello spreco e dello scarto a favore di un atteggiamento di fratellanza per l’unica famiglia umana, a cui il cibo, sia come metafora sia come come produzione artistica (in esposizione l’ultima cena del Tintoretto), richiama.
1 Le speculazioni finanziarie legate al prezzo del cibo esprimono una criticabile mentalità utilitaristica nella quale il denaro conta più delle persone. 2 Solo dal 2011 si è arrivati a quantificare l’entità dello spreco alimentare (la cui esistenza era già nota), cf. Rapporto FAO 2014 sullo spreco alimentare. 3 Cf. A.M. COSENTINO, Allarme climatico e controllo demografico, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma 2014. 4 Cf. Genesi 2,15.
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Sparisce il bollo dell’assicurazione di Maristella Giuliano Comitato di redazione della Rivista giuridica on line della Circolazione e dei Trasporti ACI (www.rivistagiuridica.aci.it)
L’obbligo di esposizione del contrassegno relativo all’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore, sta per andare in pensione. A stabilirlo e regolamentarlo è stata la Legge 27 del 2012, legge di conversione del c.d. “decreto liberalizzazioni” e il Decreto 110 del 2013 del Ministero dello Sviluppo Economico. In particolare dal prossimo 18 ottobre 2015 non sarà più obbligatoria l’esposizione del contrassegno attestante la copertura assicurativa sul parabrezza dell’auto, perché sarà possibile effettuare un nuovo e diverso controllo basato su strumenti elettronici. In sostanza in tema di RCA, la Pubblica Amministrazione si rinnova ed elimina il cartaceo dal novero degli strumenti di controllo. In Italia sono ancora troppe le auto che non pagano l’assicurazione ed è molto elevato anche il numero delle frodi assicurative, consistenti troppo spesso nella contraffazione del tagliando assicurativo. Non è un mistero che in Europa il primato delle tariffe più alte spetta all’Italia, in danno dei conducenti onesti che hanno sempre pagato. I dati recenti evidenziano che sono ancora 3,5 milioni le auto che circolano senza assicurazione, e che su 100 incidenti automobilistici, il 23% produce danni fisici contro il 10% di Francia, Germania e Belgio e che ogni anno si contano circa 700 mila denunce per “colpo di frusta”. Il costo di un simile sistema sopportato dalle Assicurazioni, è pari a 2 miliardi di euro l’anno, che equivale al 15% del valore totale dei sinistri annui, con devastanti effetti sull’innalzamento generale dei costi delle tariffe RCA. Tra le varie misure predisposte dal legislatore per fronteggiare queste criticità si annovera la c.d. “dematerializzazione” del contrassegno assicurativo, che consiste nella progressiva sostituzione dei contrassegni cartacei con strumenti elettronici o telematici, che sono in grado di garantire, tramite la connessione con la banca dati istituita presso il Centro elaborazione dati della Direzione generale per la Motorizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il controllo sui veicoli circolanti finalizzato all’accertamento della regolarità del pagamento dell’assicurazione. Ma come funziona la nuova procedura di controllo? La portata innovatrice della nuova disciplina risiede nella possibilità di utilizzare ai fini del controllo i dispositivi di rilevazione a distanza delle violazioni al codice della strada, come ad esempio autovelox, tutor, telecamere ZTL. Dal 18 ottobre prossimo quindi sarà possibile incrociare i
dati contenuti nella banca dati del CED (alimentata dalle informazioni contenute nell’Archivio nazionale dei veicoli e nell’Anagrafe nazionale degli abilitati alla guida, nonché dalle informazioni e dai dati forniti gratuitamente dalle imprese di assicurazione) con i rilievi effettuati tramite i suddetti dispositivi e di conseguenza si potrà individuare, in tempo reale se un veicolo circolante in un dato giorno e in un determinato orario (accertato tramite le rilevazioni a distanza) ha adempiuto o meno al pagamento dell’obbligo assicurativo. In sostanza il controllo incrociato tra la rilevazione della circolazione di un veicolo in un determinato momento e i dati contenuti nel CED, consentiranno di individuare con certezza e in un numero molto più elevato di casi, la circolazione dei veicoli a motore senza copertura assicurativa.
I controlli telematici saranno più accurati e impediranno contraffazioni A seguito dell’accertamento, partirà automaticamente (senza necessità di contestazione immediata) la sanzione al domicilio del proprietario del veicolo, al pari di quanto già avviene oggi ad esempio per le violazioni relative al passaggio con luce semaforica rossa o per le violazioni relative all’eccesso di velocità accertate tramite autovelox. Si ricorda che la sanzione per chi viene scoperto a circolare in assenza di assicurazione, consiste nel pagamento di una somma da € 841 a € 3.366 e nel sequestro del veicolo. Per ottenere il dissequestro del mezzo è necessario procedere al pagamento della sanzione amministrativa in misura ridotta, al pagamento del premio assicurativo per almeno 6 mesi e procedere a saldare le spese di custodia del veicolo. In caso contrario e in assenza di eventuale proposizione di ricorso, il veicolo viene confiscato. Pertanto pagare regolarmente il premio assicurativo, oltre che necessario e obbligatorio, pare anche conveniente alla luce delle suddette considerazioni, nell’attesa che una più diffusa legalità comporti il beneficio generale dell’abbassamento del costo dei premi.
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Vademecum L’ 8 dicembre, giorno dell’ Immacolata,si aprirà la Porta Santa di San Pietro e inizierà l’ Anno Santo. «è bene ribadire da subito, a scanso di equivoci», ha detto mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, «che il Giubileo della Misericordia non è e non vuole essere il Grande Giubileo dell’Anno 2000. Ogni confronto, quindi, è privo di significato perché ogni Anno Santo porta con sé la sua peculiarità e le finalità proprie. Il Papa desidera che questo Giubileo sia vissuto a Roma così come nelle Chiese locali; questo fatto comporta un’attenzione particolare alla vita delle singole Chiese e alle loro esigenze, in modo che le iniziative non siano un sovrapporsi al calendario, ma tali da essere piuttosto complementari. Per la prima volta nella storia dei Giubilei, inoltre, viene offerta la possibilità di aprire la Porta Santa - Porta della Misericordia - anche nelle singole diocesi, in particolare nella Cattedrale o in una chiesa particolarmente significativa o in un Santuario di particolare importanza per i pellegrini».
Logo e motto dell’Anno giubilare sono una piccola summa teologica del tema della misericordia. Opera del gesuita padre Marko I. Rupnik, il logo mostra il Figlio che si carica sulle spalle l’uomo smarrito, recuperando un’immagine molto cara alla Chiesa antica, perché indica l’amore di Cristo che porta a compimento il mistero della sua incarnazione con la redenzione. Il disegno è realizzato in modo tale da far emergere che il Buon Pastore tocca in profondità la carne dell’uomo, e lo fa con amore tale da cambiargli la vita. Nel presentare il logo - e il motto “Misericordiosi come il Padre”, tratto dal Vangelo di Luca - monsignor Rino Fisichella ha spiegato che il significato è quello di vivere la misericordia sull’esempio del Padre che chiede di non giudicare e di non condannare, ma di perdonare e di donare amore e perdono senza misura. La scena si colloca all’interno della mandorla, anch’essa figura cara all’iconografia antica e medioevale che richiama la compresenza delle due nature, divina e umana, in Cristo. I tre ovali concentrici, di colore progressivamente più chiaro verso l’esterno, suggeriscono il movimento di Cristo che porta l’uomo fuori dalla notte del peccato e della morte. D’altra parte, la profondità del colore più scuro suggerisce anche l’imperscrutabilità dell’amore del Padre che tutto perdona.
Per accompagnare i pellegrini è stato allestito il sito ufficiale del Giubileo all’indirizzo: www.iubilaeummisericordiae.va, accessibile anche all’indirizzo www.im.va. Il sito è disponibile in sette lingue: Italiano, Inglese, Spagnolo, Portoghese, Francese, Tedesco e Polacco.
mons. Fisichella e Salvatore Pagliuca
del Giubileo Le date Tra le date importanti monsignor Fisichella ha sottolineato un «primo avvenimento dedicato a tutti coloro che operano nel pellegrinaggio, dal 19 al 21 gennaio. È un segno che intendiamo offrire per far comprendere che l’Anno Santo è un vero pellegrinaggio e come tale va vissuto. Chiederemo ai pellegrini di compiere un tratto a piedi, per prepararsi a oltrepassare la Porta Santa con spirito di fede e di devozione. Preparare quanti operano in questo settore per andare oltre la sfera del turismo è decisivo e il fatto che loro per primi si facciano pellegrini potrà essere di grande aiuto». Monsignor Fisichella ha poi ricordato la data del 3 aprile con «una celebrazione per tutto il variegato mondo che si ritrova nella spiritualità della misericordia (movimenti, associazioni, istituti religiosi). Tutto il mondo del volontariato caritativo, a sua volta, sarà chiamato a raccolta il 4 settembre. Il volontariato è il segno concreto di chi vive le opere di misericordia nelle sue diverse espressioni e merita una celebrazione riservata. Alla stessa stregua, si è pensato al mondo della spiritualità mariana che avrà la sua giornata il 9 ottobre per celebrare la Madre della Misericordia. Non mancano momenti dedicati in particolare ai ragazzi che dopo la Cresima sono chiamati a professare la fede. E’ stato pensato per loro il 24 aprile, perché la GMG di Cracovia, nei giorni 26-31 luglio, è destinata ai giovani e per la fascia di età dei ragazzi è difficile trovare uno spazio significativo nella pastorale». «Un altro evento - ha annunciato anche mons. Fisichella - sarà per i diaconi che per vocazione e ministero sono chiamati a presiedere la carità nella vita della comunità cristiana. Per loro vi sarà il Giubileo il 29 maggio. Nel 160° anniversario della Festa del Sacro Cuore di Gesù il 3 giugno, invece, si celebrerà il Giubileo dei Sacerdoti. Il 12 giugno avremo il grande richiamo per tutti gli ammalati e le persone disabili e quanti si prendono cura di loro con amore e dedizione. Il 25 settembre sarà il Giubileo dei catechisti e delle catechiste che con il loro impegno di trasmettere la fede sostengono la vita delle comunità cristiane in particolare nelle nostre parrocchie. Il 6 novembre si celebrerà il Giubileo dei carcerati. Questo non avverrà solo nelle carceri, ma si stanno studiando le possibilità perché alcuni carcerati possano essere con Papa Francesco in San Pietro.
Servizio Civile a Lourdes Servizio civile anno undicesimo. Sono appena arrivati a Lourdes i venti ragazzi selezionati a maggio, per partecipare attivamente al progetto estero “Lourdes: integrazione… alla vita”. Per dodici mesi saranno a contatto con realtà differenti, offrendo un servizio sia presso il Santuario mariano, sia presso il Salus Infirmorum, la casa degli unitalsiani. Si prenderanno cura dei pellegrini e degli ammalati. Li accoglieranno in stazione ed in aeroporto, li assisteranno in caso di necessità e li accompagneranno nel corso del pellegrinaggio, facendogli magari compagnia nei luoghi di ritrovo, all’interno della struttura. Nel Santuario presteranno servizio nel bureau delle constatazioni mediche, al centro Informazioni, al servizio giovani, al polo comunicazione, alla casetta di S. Bernadette, alla libreria e alle piscine. Le diverse attività in cui i volontari saranno impegnati fanno ben comprendere l’intento dell’UNITALSI di adempiere pienamente al suo compito di ente di Servizio Civile che deve offrire ai giovani “l’opportunità di dedicare un anno della propria vita a favore di un impegno solidaristico inteso come impegno per il bene di tutti e di ciascuno e quindi come valore di coesione sociale”. Servizio Civile ti cambia la vita, l’ho detto e lo dirò sempre - sostiene Sonia, a Lourdes nel2014 -. Quest’anno mi ha aiutato a conoscermi meglio ed oggi sono più consapevole di me stessa. La condivisione della casa e delle attività con gli altri ragazzi, ha sicuramente allargato il mio bagaglio di esperienze. Grazie all’UNITALSI sono cresciuta anche nel rapporto con gli ammalati. Prima di venire a Lourdes avevo il timore di non essere all’altezza del confronto. Ora, mi fermo a parlare con loro e a giocarci senza alcuna remora. Rifarei il Servizio Civile? Senza alcun dubbio”. A Sonia fa eco Lazzaro Pio, suo compagno di viaggio: “Assolutamente DA FARE! È un’esperienza di vita IMPORTANTE, grazie alla quale puoi conoscere alcuni lati del tuo carattere che fino a quel momento ignoravi. Anch’io ringrazio l’UNITALSI perché ho fatto dei passi da gigante nel mio approccio verso le persone disabili. Prima non sapevo come rapportarmi. Nell’ultimo anno, invece, ho intessuto rapporti personali che porterò per sempre nel cuore. E poi mi sono innamorato di Lourdes, una città dalle due facce: in inverno deserta, durante la stagione stracolma di persone che vengono da tutto il mondo”. G.P.
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Leggere
Domande e provocazioni
I lettori ci scrivono
a cura di Laura De Luca e Vito Magno
In occasione dell’Anno della Vita Consacrata, fondatori di ogni epoca e religiosi che hanno lasciato un segno nella storia, rivivono in venti coinvolgenti interviste immaginarie (e in una reale), raccolte in questo libro e realizzate per la Radio Vaticana da giornalisti, scrittori e drammaturghi. La loro attenzione è stata quella di attualizzare, nel rigore delle fonti e nella fedeltà storica allo spirito del tempo e di ciascuno dei loro interlocutori, la proposta di vita e di fede di santi e pionieri della vita consacrata che hanno avuto il coraggio di andare controcorrente, superando ostacoli e incomprensioni, al fine di rinnovare la Chiesa, coerentemente con il proprio carisma. Grazie alla competenza e alla genialità creativa di autori tra cui Franco Cardini, Lucetta Scaraffia, Giuseppe Costa, Giuseppe Manfridi, Walter Lobina… personaggi del passato, come Agostino, Benedetto, Francesco, Ignazio, Teresa D’Avila, Bosco, Di Francia,
Orione, Alberione e altri si lasciano cogliere nell’attualità delle loro proposte innovative. L’intento dei curatori, Laura De Luca e Vito Magno, è stato quello di far rivivere le grandi colonne spirituali della Chiesa, innalzando un ponte tra passato e presente della vita consacrata con “forte valenza dialettica, nonché educativa -scrive nella introduzione Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede e della Radio Vaticana- originando uno stimolante confronto fra epoche lontane ed una inedita e provocatoria circolazione di idee”. Un gioco difficile, ma bello! Così, nell’epoca in cui le interviste risultano un po’ abusate, quelle raccolte in questo libro finiscono per apparire più reali di quelle reali, offrendo spunti significativi ai consacrati che cercano di essere “uomini e donne capaci di svegliare il mondo”, secondo le attese di Papa Francesco.
I tredici Apostoli a cura di Vincenzo Jacomuzzi
Nel volume sono raccolti gli identikit dei compagni di Gesù. Di ogni apostolo è raccontata la storia, accompagnata da brani selezionati dei Vangeli, nei quali vengono descritti o semplicemente citati. Gli apostoli sono accompagnati dalle immagini più belle e significative di tutta storia dell’arte. Uno per uno i ritratti propongono anche i segni distintivi e i luoghi di culto, i riti religiosi e le più importanti tradizioni di questi Santi.
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Ma perché tredici apostoli? Ai dodici tradizionali si aggiunge la storia di San Paolo, feroce persecutore di cristiani quando era Saulo, poi diventato apostolo delle genti. Ma il tredicesimo apostolo vero fu Mattia, subentrato a Giuda Iscariota, dopo il tradimento e la sua morte. Furono gli stessi unici apostoli rimasti a cooptarlo per la sacralità del numero dodici. Ma nel Vangelo di Matteo purtroppo non ce n’è traccia.
Caro direttore, mi pacerebbe tanto andare a Nevers, ma da un po’ di tempo non ci sono più viaggi organizzati dalle sezioni. Come si può andare? Franca P. Torino Cara Franca, è un po’ complicato e costoso organizzare un viaggio a Nevers, ma alla fine il sacrificio viene ripagato, perché la suggestione del santuario, dove è esposta Santa Bernadette, mi dicono, sia enorme. Mi dicono, perché io, come tanti altri, purtroppo non ci sono mai potuto andare, ma, come te, ho questo desiderio e, prima o poi, lo esaudirò. Nevers dista almeno tre ore di bus da Parigi e altrettante da Lione. Fare tutto un pellegrinaggio da Lourdes a Nevers è molto difficile. Forse l’unico modo è spingere sulle proprie sottosezioni per organizzare un viaggio mirato. Tu da Torino potresti essere facilitata, perché il Piemonte è a qualche ora di distanza in auto e bus. (f.a.)
Caro Direttore, ho visto il documentario di Pupi Avati e mi è venuta la curiosità di saperne di più- A quando risalgono i primi treni bianchi dell’ UNITALSI ? Cari saluti Gioacchino C. Genazzano (Roma) Caro Gioacchino, il primo pellegrinaggio in treno organizzato da UNITALSI a Lourdes fu nel 1913. Tremila fedeli, tra cui 112 malati, andarono al Santuario pirenaico con otto treni. Il pellegrinaggio fu guidato da mons. Radini Tedeschi e presieduto dal cardinale Giacomo Della Chiesa, che poi diventerà Papa con il nome di Benedetto XV. Ma il primo vero treno bianco (perfettamente attrezzato per 230 malati) raggiunse Loreto nel 1936, quando andare a Lourdes era impossibile. (f.a.)