‘DOMINIO’
DEL
FOLKLORICHE.
UN ESEMPIO PIEMONTESE (*)
METAFORICO
E
INTERTESTUALITÀ
ALBERTO BORGHINI
Fra le diverse caratteristiche-e-capacità attibuite in area piemontese alle c.d. masche (streghe cioè), si racconta della loro prerogativa di – poniamo – “far vedere una capra” o addirittura “dei mucchi di capre”. L’attestazione che segue riguarda la zona di Albaretto della Torre, in provincia di Cuneo: (1)
“(…) Quelle lì (le masche cioè) comunque hanno dei “libri” (2), le fanno vedere… e adesso non ce n’è più nessuno in giro… o che li hanno bruciati o che qualcuno ce l’ha ancora ma non fanno più ‘ste stupidaggini lì, come andare a far vedere una capra ad uno che va a casa… Che mio suocero diceva: “Lì qualcuno mi ha fatto vedere ‘sta capra… mi ha accompagnato (la capra cioè) lassù dal “bricco” (3) fino a casa”… C’è qualcosa con cui loro ti fanno vedere…”.
In effetti il suocero dell’informatrice (4) aveva a suo tempo – e più volte - raccontato di una misteriosa capra che una notte (anzi, più esattamente, proprio verso mezzanotte) gli era comparsa e gli era stata “sempre appresso”, fino a casa per l’appunto; poi “non l’ha più vista”. Così, ancora, la medesima informatrice: (5)
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“Mio suocero… lui diceva che era andato a Lequio (Lequio Berria cioè), e dopo era andato a fare la partita… è andato all’osteria… dopo diceva che veniva a casa che era mezzanotte, è passato lassù dal “bricco”… dal “bricco” a venire avanti… diceva che aveva una capra sempre appresso… sono le masche… sempre una capra appresso… le volte che l’ha raccontato… diceva: “Ma sai… le facevo così (cenno di avvicinarsi cioè)… e lei era sempre solo lì dietro”. E poi diceva: “Bene, se viene a casa la chiudo nella stalla”… ha detto che l’ha accompagnato (la capra cioè) fino a casa… quando è arrivato a casa non l’ha più vista… Eh, una volta le raccontavano ‘ste cose lì”.
Di un consimile ‘effetto operazionale’ da parte delle masche ci dice un’altra informatrice, anch’essa cuneese, di Cerretto Langhe: (6)
“(…) Dopo ne so un’altra, ma questa… questa io non so… di Fortunata qui del paese… ne hai già sentito parlare?… della Fortunata… stava ai “Duecento”… stava qui a Cerretto… Ebbene, mio papà è andato a caricare la legna con il bue, c’era mio fratello davanti… e sono venuti su tranquilli con ‘sto carico di legna fino a… fino a quando c’era solo più due metri o un “trabucco”… una volta dicevano un “trabucco”… un “trabucco” per arrivare alla strada… e ‘sto bue si è messo… per terra… e a raspare, a fare dei versi… e poi non andava più su… per un po’… dopo mio padre era forte, mio fratello era davanti, ma era ancora piccolo, aveva paura che ‘sto bue lo tirasse per terra… Ha preso il bastone mio padre, ha dato due o tre
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botte a ‘sto bue… niente da fare… ‘sto bue tirava dei soffi e non andava più avanti… allora mio padre è stato un po’ ed un po’, dopo ha detto: “Lo stacco… lo stacco ‘sto bue, per vedere quello che fa”. Solo che per staccarlo… c’era ancora la salita… non andava mica su… E allora hanno… c’era una che dicevano la Fortunata… a mio padre è venuta in mente… raccontava che ha detto… si è messo a dire: “Cristu, se prendo ‘sta Fortunata… se ti prendo ti strangolo!”… Dopo sono ancora stati un bel po’ lì… dopo si vede che lei è scappata… si era nascosta, si era nascosta nella cunetta… mio papà diceva che si era nascosta nella cunetta… lei si era nascosta… mio padre ha fatto ‘ste due urla così e il bue ha fatto che alzarsi e andare via come niente fosse… E lì era la masca… perché ‘sta Fortunata era una masca… per me è verità, poi non so se… ‘sta Fortunata lì… la chiamavano la Fortunata… stava alla Cerretta… sempre Cerretto, ma alla Cerretta… era una vecchia che stava alla Cerretta… e faceva anche vedere le capre… e lei pure aveva sempre una capretta assieme… sì sì, ti faceva vedere dei mucchi di capre attraversare la strada…Buon’anima di mio papà diceva che stava alla Cerretta… e quando tornavano da là dietro con ‘sta legna, stavano per arrivare proprio alla Cerretta, e lei si era nascosta in ‘sta cunetta… si era nascosta in ‘sta cunetta e non lasciava più andare su ‘sto bue… sono stati un bel po’ lì fermi… quando gli è venuto in mente di ‘sta Fortunata, allora si è messo a litigare: “Se ti prendo ti ammazzo”, e così ‘sto bue si è incamminato per andare”.
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Da sottolineare, in questa attestazione, il particolare per cui la masca che “faceva vedere” le capre – e a “mucchi” – aveva “lei pure (…) sempre una capretta assieme”.
Sulla base di una serie piuttosto ricca ed articolata di dati, ritengo di poter interpretare la combinazione ‘vecchia con la capretta’, in quanto (sul piano immaginario) masca con la capretta, alla stregua di una proiezione sintattica (complemento di compagnia, si potrebbe dire), a partire da una correlazione forte (nucleare) che il sèma ‘capra’ risulta folkloricamente suscettibile di intrattenere - lo si sa – con la sfera del negativo (piano simbolico). (7) Sebbene si tratti – come accennavo – di cosa assai nota, riporto un paio di attestazioni, ‘selezionate’ (anche) secondo una certa coerenza e contestualità, nonché costruibilità, del senso. La prima proviene – ancora una volta – dal Cuneese (Alberghetti di Mombasiglio):
“C’è una fontana, no, e vedevano sempre una capra, dicevano quello, che era una masca. C’era una fontana laggiù, c’è ancora adesso, eh, quella fontana, e c’era sempre una capra lì dentro; era una masca. Per quello io, quando ero giovane, avevo otto o nove anni, andavo al paese a far la spesa, quando passavo di lì avevo sempre paura di quella capra, di vederla”. (8)
La seconda attestazione, raccolta in provincia di Torino (Balangero (9) ), prospetta – fra l’altro – un decorso ‘evenemenziale’ per certi versi
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piuttosto simile – ma la conclusione sarà differente - rispetto a quello configurato nel racconto dell’uomo di Albaretto della Torre; dell’uomo cioè (il suocero dell’anziana informatrice) che una misteriosa capra – comparsa attorno alla mezzanotte – aveva seguito sino a casa (poi non si era più vista). Riferisce l’informatore di Balangero Torinese: (10)
“Questa storia è una storia della zona di Locana, e si diceva che fuori dal paese di Locana c’era una fontana, ma una fontana… una sorgente… praticamente non proprio una fontana di quelle che si intendono adesso, e un giorno un pastore che abitava sugli alpeggi si è fermato per bere a quella fontana e a un certo punto, dopo aver bevuto, si volta e vede che dietro c’erano due capre, fa finta di niente, continua, e queste capre lo seguono, lo seguono, lo seguono sempre, ad un certo punto lui arriva a casa sua sull’alpeggio. E allora cosa fa? Prende queste due capre e le chiude nella stalla e poi va a dormire. Al mattino dopo, quando scende, sente delle risate nella stalla, apre la stalla e scappano fuori due masche… Praticamente queste facevano questi scherzi alla gente, si trasformavano in animali e poi facevano questi scherzi. Quindi sono scappate via urlando e ridendo. E ha preso (l’uomo cioè) un grosso spavento”. (11)
Se l’uomo di Albaretto della Torre non era riuscito a rinchiudere nella stalla la misteriosa capra che l’aveva nottetempo seguito, il pastore di Locana effettivamente chiude nella stalla dell’alpeggio le due capre
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che – allo stesso modo – l’avevano seguito fino a casa; ed in quest’ultimo caso le due capre risulteranno essere – lo abbiamo constatato – nient’altro che due masche così trasformate.
Il raffronto fra i due racconti suggerirà alcune considerazioni. Anzitutto, la constatazione che all’interpretazione – diciamo – illusionistica o allucinatoria (Albaretto della Torre, Cerretto Langhe) può corrispondere quella che si propone come lettura metamorfica. In altre parole, alla capra e alle capre ‘fatte vedere’ dalla masca (effetto illusionistico o allucinatorio che dir si voglia) non sarà estraneo il tema – ampiamente e contestualmente riscontrabile – della ‘capra’ in quanto forma metamorfica degli esseri del negativo (e, nello specifico, delle masche piemontesi). Gli effetti illusionistici, o allucinatori che dir si voglia, trovano o possono talora trovare – cioè – riscontri ben precisi sul terreno delle ‘interpretazioni’ e delle ‘esperienze’ metamorfiche (capra/capre che è/sono masche). E’ quel che i racconti di folklore ci pongono dinanzi con sufficiente chiarezza.
Torniamo, comunque, per un attimo indietro. Di contro al tema della capra/capre in quanto forma metamorfica della masca (degli esseri del negativo più in generale), un motivo qual è quello della vecchia masca che “aveva sempre una capretta assieme” – in certo modo funzionante, parrebbe di capire, come tratto di riconoscibilità o, ad ogni buon conto, come tratto caratterizzante della strega stessa – verrà a
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configurarsi alla stregua di un effetto di ricaduta metonimica (complemento di compagnia, contiguità strega-e-capra) (12), alla stregua di un effetto di ‘slacciamento’ (capra distinta dalla masca, seppur sempre assieme) rispetto ad un polo (‘polo di amalgama’ direi) che è quello della identità/identificabilità (capra che è senz’altro la masca stessa). (13) Saremmo di fronte, insomma, ad un momento
di ‘derivazione’
(metonimica) rispetto ad un nucleo logicamente e semioticamente primario (‘generante’) costituito dall’effetto di identificazione metamorfica (masca sotto forma di capra, capra in quanto forma della masca). In altri termini, il nesso sintattico rappresentato – nel caso in questione - dal complemento di compagnia (un soggetto ‘vecchia masca’ cui è associato un attributo caratterizzante o comunque un attributo ‘capra’) risulterà leggibile sullo sfondo intertestuale, di ‘contesto non immediato’, in cui il momento cardine è dato dall’elemento attributivo corrispondente (sèma ‘capra’) in quanto suscettibile di occupare senz’altro la posizione del soggetto (soggetto del negativo, nel caso in questione ‘masca’).
Dunque, e riassumendo, il sèma-attributo ‘capra’ (giudizio di attribuzione) può occupare la posizione sintattica dello stesso soggetto ‘masca’ (giudizio di esistenza), identificandosi con esso (capra che è una /la masca); oppure il sèma-attributo ‘capra’ (giudizio di attribuzione) può occupare, rispetto al medesimo soggetto, o rispetto
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al medesimo tipo di soggetto (giudizio di esistenza), la posizione sintattica del complemento (di più complementi); nell’esempio qui prospettato, del complemento di compagnia (masca con la capra). Le valenze e il valore caratterizzanti di tali complementi potranno acquisire evidenza soprattutto se considerati nel gioco delle intertestualità: per il fatto che si presentano come costante ma non solo per questo; anche, intendo, per il fatto che si presentano, ‘differenzialmente’, come volta a volta variazione sintattica nel quadro di una rete, appunto, di variazioni sintattico-posizionali di (a partire da) un medesimo elemento semantico, di (a partire da) un medesimo sèma-attributo. Vale a dire, in fin dei conti, a partire dal significante: dal sèma come significante nell’accezione attiva, dinamicamente attiva, di ‘in grado di significare’ (e di significare differenzialmente). Sarà opportuno tener presente che, sul terreno delle intertestualità folkloriche, ciò si verifica per diversi sèmi-attributo, ciascuno dei quali va – effettivamente – ad occupare, in differenti racconti (per lo più in differenti racconti), posizioni sintattiche differenziate. Si tratta di racconti che su tali basi – di unità/unificazione semantica, semantico-attributiva – appariranno analogicamente coordinabili; e il tipo di analogia(/differenzialità) che ne risulta sarà – da questo punto di vista - di ordine sintattico. La descrizione del singolo racconto passa attraverso (gli) altri racconti analogicamente coordinabili; è il ‘racconto attraverso il racconto’,
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lungo le orizzontalità – per così esprimermi – di ogni singolo e concreto racconto. (14)
Ancora.
Assumendo
il
metaforico
come
sfera
delle
identificazioni/identificabilità, la metamorfosi verrà ad essere il corrispettivo mitologico e folklorico della metafora stessa. Ed è in rapporto ad un siffatto nucleo che è di identità/identificazione metamorfica (ovverosia metaforica) che la connessione ‘masca-concapra’ (complemento di compagnia) assumerà la configurazione propriamente intertestuale di una risultante per contiguità (15) (derivazione metonimica per ‘slacciamento’ del metaforico, per ‘spostamento’ dal metaforico; ovverosia, realizzazione sintatticamente metonimica del sèma o attributo significante). In una prospettiva del genere si inscriverà altresì l’effetto che chiamerei causativo, rappresentato dalla masca che ‘fa vedere’ una capra o “dei mucchi di capre (attraversare la strada)”: l’effetto causativo rappresentato cioè dalla masca che ‘fa vedere’ secondo – tale la mia proposta di lettura interpretativa - quella che è una forma metamorfica – e metaforica – della sua stessa identità; che ‘fa vedere’, aggiungerei, secondo quella che è la(/una) forma attributiva, o semantico-attributiva se si preferisce, della sua stessa identità (della sua stessa identità sul piano del giudizio di attribuzione). (16) Forma dell’identità a sua volta narratologicamente (e folkloricamente) ‘ricostruibile’, in un modo non di rado piuttosto consistente anche dal punto di vista documentario, qualora si adotti per l’appunto una
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prospettiva intertestuale, sulla lunghezza d’onda – fondamentalmente – di quel che chiamerei contesto non immediato.
Sarebbe - per concludere - la metaforicità potenziale di un sèma/attributo significante (‘capra’ in quanto forma metamorfica, effettivamente attestata, della masca) che è in grado di ‘generare’ altri possibili dispiegamenti sintattici (per metonimie differentemente ‘derivate’, e l’una in rapporto all’altra differenzialmente ‘derivata’). Le differenti risultanze metonimiche, per contiguità ‘reale’ o ‘logica’ con il ‘soggetto del negativo’ (nel caso in questione ‘masca con la capra’ nonchè ‘masca che fa vedere le capre’) (17), appariranno, da parte loro, riconducibili al sèma-attributo significante (‘capra’) che ne costituisce il ‘significante di sostrato’. Il coordinamento intertestuale dei racconti non è in sostanza separabile dal rinvio ad una unità semantico-attributiva (pros hen). Analogia sintattica (differenziazione sintattico-posizionale) e unità semantica sono nozioni solidali: la prima configura un(/il) campo di(/dei) dispiegamenti metonimici ‘orientati’ e ‘congruenti’; la seconda trova il suo momento più marcato proponendosi senz’altro come soggetto, nella posizione sintattica del soggetto (forma metamorfica, forma metaforica). Si tratta, allora, di una ‘totale’ convergenza di attributo e soggetto; di giudizio di attribuzione e giudizio di esistenza. Alberto Borghini Note
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(*)Le ricerche nonché le tesi di laurea da me progettate e dirette, cui si fa riferimento nel presente intervento, sono disponbibili presso il Centro di documentazione della tradizione orale di Piazza al Serchio (LU), impegnato alla costruzione di un archivio folklorico nazionale. L’età (approssimativa) degli informatori - quando non indicato, più precisamente, l’anno di nascita – si riferisce al momento dell’intervista.
(1)Informatrice Palmina Pressenda, nata nel 1915, intervistata in data 16 febbraio 2007 da Alessandro Fenocchio nell’ambito di un lavoro di tesi, da me progettato e diretto, sul folklore di alcune località del Piemonte.
(2)Si tratta del c.d. “libro del comando”. Circa il “libro”, mi limito qui a proporre – solo proporre – alcune attestazioni, accennando comunque al fatto che in esse appaiono riconoscibili nuclei di svolgibilità tematico-narratologiche piuttosto ricchi e complessi (di cui mi sono almeno in parte già occupato o di cui mi occuperò in altre sedi): “(…) Da piccola, quando abitavamo ancora tutti nel casolare dei miei nonni, si sentiva molto parlare di queste masche, sì, mi ricordo… che avevano dei poteri particolari, e usavano questi libri dove avevano scritte le loro formule magiche che poi passavano agli eredi… e non morivano in pace se non avevano nessuno a cui passarli (…)” (informatrice Marisa Ortalda, 78 anni circa, di Aramengo, in provincia di Asti, intervistata verso gli inizi
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2007 da Elena Scripelliti, mia allieva presso il Politecnico di Torino, nell’ambito di una ricerca, da me organizzata e diretta, sul folklore di alcune località del Piemonte); “La nonna di una persona che conosco dicevano che era una masca… questa aveva il “libro del comando”… quando è morta lo ha nascosto in un camino, e dicevano che la prima persona a trovarlo e a leggerlo avrebbe avuto sfortuna per tutta la vita” (informatrice Caterina Rossano, 58 anni circa, di Canale, in provincia di Cuneo, intervistata durante l’ottobre 2005 da Paolo Sibona, mio allievo presso il Politecnico di Torino, nell’ambito di una ricerca, da me organizzata e diretta, sul folklore di alcune località del Piemonte); “Dice che per avere il potere avevano un libro… e loro attingevano a questo libro, facevano quel che facevano con ‘sto libro. Poi, quando dovevano morire, che poi magari si sentivano… dovevano lasciare il potere a un’altra persona… a volte l’altra persona poteva essere sua figlia… più che altro le donne… la figlia… se la figlia non accettava dovevano disfarsene… dice che altrimenti la loro paura… la loro leggenda era che morivano male, insomma soffrivano molto, e allora se non riuscivano a darlo a nessuno dice che lo buttavano via… dice che… raccontava appunto quella… dice che l’ha buttato su una pianta, questa pianta è seccata all’istante” (informatrice Giuseppina Bongiovanni, 79 anni circa, di Caselle Torinese, intervistata verso gli inizi 2006 da Silvia Petrosino, mia allieva presso il Politecnico di Torino, nell’ambito di una ricerca, da me organizzata e diretta, sul folklore di alcune località del Piemonte); “In questo paesino abitavano i Giacoletto “Papèss”, e si dice che uno di loro aveva il libro del
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potere, da dove usciva il fuoco o la testa del diavolo… ora non so più… non mi ricordo… e quando questo signore qui è morto, il prete è andato dalla moglie a farselo dare” (informatore anonimo, 80 anni circa, di Castelnuovo Nigra, in provincia di Torino, intervistato verso gli inizi 2007 da Chiara Pisci nell’ambito di una ricerca, da me organizzata e diretta, sul folklore di alcune località del Piemonte); “C’era lì mia zia che lo contava, magari di inverno, così, che ci radunavamo in casa… magari si mangiava le castagne… così… e contavano delle cose… che avevano trovato il “libro di comando”… il “libro di comando”… che trovavano dei fogli… adesso magari… non so… come delle volte si sente quelli che fanno delle magie nere… che ne so… Hanno… delle volte lì dove c’erano quei casotti… magari nelle vigne… diceva che trovavano dei fogli di quelle cose lì… un libro magari può darsi che qualcuno ce l’avesse perché sentivo lei che lo diceva che qualcuno… che qualche persona ce l’aveva quel libro… però hanno trovato anche dei fogli magari nelle campagne, così… sai, una volta andavano tanto nelle viti… sparpagliati… così…” (informatrice Silvia, 72 anni circa, di Calosso, in provincia di Asti, intervistata in data 13 novembre 2005 da Mario Scagliola, mio allievo presso il Politecnico di Torino, nell’ambito di un lavoro di tesi, da me progettato e diretto, sul folklore di alcune località dell’Italia); “Un gruppo di ragazzi che, andando a passeggio per il bosco un giorno, nella rocca sotto al Castello hanno trovato un libro, in un buco, in una specie di piccola grotta. L’hanno sfogliato ma era scritto in un modo poco leggibile per loro, ma l’unica cosa che si leggeva bene era
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“Michelina”. Allora di lì si presumeva che fosse stato il suo “libro del comando”. / Questi ragazzi lo hanno poi preso e portato al parroco, che poi lo ha portato in curia. / Si dice oggi che portandolo avrebbero letto, avrebbero capito due o tre cose che rimandavano in un altro posto, anche quello misterioso, il Bricco Milleocchi, che si dice che sia tra le due rocche verso l’America dei Boschi, dove ci sono dei buchi, e se butti giù qualcosa non lo senti atterrare. Molti dicono che qui sia sotterrato un famoso carro d’oro… nella rocca… questi ragazzi ci sono andati e hanno trovato nella cavità di una grossa pianta un affare avvolto… aprendolo c’era scritto sopra qualche cosa ma non più comprensibile, poteva essere qualche pozione che probabilmente serviva per il sabba o per qualche cosa del genere… si capiva che sopra c’era scritto di non portare via, sennò succedevano delle disgrazie, a chi lo portava via… che dovevano lasciarlo lì… / Loro sono ritornati, hanno detto tutto al parroco… quando sono andati di nuovo indietro non hanno più trovato il posto… non c’era più questa grossa quercia… c’erano solo più dei rovi ed un castagno enorme… ma non riconoscevano più il posto… / Adesso ancora ce ne sono di quelle donne lì, perché sappiamo tutti che questo dono si tramanda…” (informatore Giusto Dallorto, 45 anni circa, di Pocapaglia, in provincia di Cuneo, intervistato durante l’agosto 2005 da Franca Miretti, mia allieva presso il Politecnico di Torino, nell’ambito di una ricerca, da me organizzata e diretta, sul folklore di alcune località del Piemonte; “Michelina” fa di tutta evidenza riferimento ad una assai nota strega della tradizione locale, la “masca Micilina”); “Mio fratello,
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no, era andato a servo da un signore, e allora quello lì è andato al mercato, no, e ha lasciato un libro là… Lui ha aperto ‘sto libro e legge: “Comanda, comanda…”. Comanda di pulire la stalla, di togliere il letame… lui ha detto… e “batà”, gli è arrivata una bella sberla!… Eh, sì, perché una volta c’erano i libri che leggevano, ma non tutti erano in grado di leggerli… se uno li sa leggere, eh… bene… ma chi è che non sa leggerli gli fa del male, via…” (informatrice Teresina Candela, 81 anni circa, di Baldissero Torinese, intervistata durante il luglio 2005 da Elena Capone, mia allieva presso il Politecnico di Torino, nell’ambito di un lavoro di tesi, da me progettato e diretto, sul folklore di alcune località del Piemonte); “Qui a Villanova le masche non c’erano perché eravamo vicini… siamo vicini a Ferrere, e Ferrere è terra di masche. C’è proprio la “valle delle masche” a Ferrere, ed è quella che parte da Ferrere per arrivare a Cisterna. / Mentre alla Martinetta, che è una borgata di Ferrere, ci sono tanti piloni votivi ad uguale distanza e rappresentavano nell’antichità la “via crucis”. / Ora, molti si sono rovinati nel tempo, ma narrano le persone anziane che essendo stato nascosto un “libro del comando” delle masche in uno di quei piloni, l’allora vicario del posto li fece abbattere per trovarlo. / Che poi sia stato trovato e nascosto attualmente nella Curia di Cuneo è ancora tutto da verificare. / La leggenda narra questo" (informatrice Margherita Amerio, 50 anni circa, di Dusino San Michele, in provincia di Asti, intervistata durante il giugno 2005 da Valeria Tralli nell’ambito di una ricerca, da me organizzata e diretta, sul folklore di alcune località del Piemonte). Per
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quanto concerne la ‘vigna’ come luogo del negativo (“fogli di quelle cose lì” nelle vigne) cfr. A. Borghini – Fr. de Carlo, Esseri del negativo e sfera del vino nelle Valli Ossolane e altrove. Alcuni esempi, in “Le Apuane”, XXIII, 44, 2002. Riguardo al “libro” che càpita nelle mani di un ‘inesperto’ rinvio ai miei: Don Gaspare e gli spiriti maligni: simbolica e strategia di un racconto popolare, in “Annuario della Biblioteca Civica “Stefano Giampaoli” di Massa” 1987-88
(tradizione
massese);
Due
note
di
folklore,
in
“L’EcoApuano”, 11, 4-5, 2000, p. 31 (prima parte: Una leggenda di Gorfigliano e una di Massa); nonché il mio Il gomitolo e l’eredità della strega in una tradizione biellese, in Borghini, Semiosi nel folklore III. Prospettive tipologiche e analisi ‘locali’, Piazza al Serchio (LU), Centro di documentazione della tradizione orale 2003, pp. 187 sgg., in part. nota 32, pp. 209 sgg.. Relativamente al pilone votivo - ma non solo - come ‘punto della paura’ (diciamo così) si veda il mio Le mappe del simbolico-immaginario fra località esistenziale e globalità predicativa. Il luogo-icona: specificità deittica e funzione deittica; specificità locale e funzione locale, in Centro di documentazione della tradizione orale di Piazza al Serchio (LU), a cura di, Rappresentazioni e mappe del simbolico-immaginario: Minucciano in Garfagnana, Lucca, Pacini Fazzi 2007. Sempre per il “libro del comando” di area piemontese si consulti D. Bosca – Br. Murialdo, Masche. Voci, luoghi e personaggi di un “Piemonte altro” attraverso ricerche, racconti e testimonianze autentiche, Pavone Canavese (TO), Priuli e Verlucca 1999; già D.
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Bosca – Br. Murialdo – L. Carbone, Racconti di masche (incontri ritrovati nel tempo), Alba (CN), Famija Albeisa 1979, in part. cap. XIV, pp. 155 sgg.. Si veda altresì G. L. Bravo, Feste, masche, contadini. Racconto storico-etnografico sul Basso Piemonte, Roma, Carocci 2005, Racconti di masche (6.5), pp. 127 sgg.. Anche, più in basso, nota 13.
(3)Con questo termine si designa un’altura, una collinetta, o simili.
(4)Cfr. nota 1.
(5)Cfr. nota 1.
(6)Secondina Bordizzo, nata nel 1926, intervistata in data 3 febbraio 2007 da A. Fenocchio, tesi di laurea, cit.; cfr. nota 1.
(7)Allo stesso modo – poniamo – la strega viene talora descritta mentre tiene del fieno sotto il braccio (tratto caratterizzante); e, in termini corrispondenti, la strega può assumere la forma metamorfica di un mucchio di fieno. Cfr. il mio Il “primo nodo del mattino”: la scopa, la paglia. La “sposa di fieno” e l’astuta “servetta” di Quart. Verso il modello analogico, negli Atti del convegno “Immaginario, territorio, Paesaggio”, tenuto in data 9 dicembre 2000 presso il Centro di documentazione della tradizione orale di Piazza al Serchio (LU), in “Tradizioni popolari”, I, 1, giugno 2002 (Experiences Verlag di Koeln
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e Tipolito di Lucca), pp. 35 sgg.; nonché il mio La strega e il mucchio di fieno. Una identificazione, in “L’EcoApuano”, 13, 1, 2002, p. 30. Né si tratta degli unici casi. Per un analogo meccanismo si tenga anche presente, più in basso, nota 15 (gatto e prete, gatto-prete).
(8)Informatrice anonima, 88 anni circa, intervistata durante il settembre 2004 da Rochi Luigi Venezia ed Elisa Zuppichini nell’ambito di un lavoro di tesi, di cui ho diretto il versante di ricerca folklorica, relativa ad alcune località dell’Italia. Per un’altra direzione di lettura si consulti il mio La fontana e la capra. Alcune estensioni, in Borghini, Varia Historia. Narrazione, territorio, paesaggio: il folklore come mitologia, Roma, Aracne 2005, pp. 205 sgg..
(9)Testimonianza che riguarda la zona di Locana: cfr. qui sotto.
(10)Fulvio Ferrari, 56 anni circa, intervistato durante l’ottobre 2004 da Giulia Maria Facchetti nell’ambito di una ricerca, da me organizzata e diretta, sul folklore di alcune località del Piemonte. Cfr. anche nota 8.
(11)Di una ‘sostituzione della capra’ (per così esprimermi) ci racconta un informatore di Castelnuovo Nigra (prov. Torino): “Una signora che abitava in quella cascina che si vede prima di entrare in paese… avete
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presente no?… Quella era la signora Maddalena, di novantacinque anni, aveva le capre, e l’estate, come si faceva, le portavano su… un giorno le porta al pascolo e la sera tornando a casa vede che gliene manca una… che non c’è più una capra… così la chiama e la chiama, ma niente… la chiama ancora, ma ancora niente…Alla fine la sente, la capra, che viene verso casa, ma quando la vede arrivare si accorge che è un po’ diversa dalla sua, che non è la sua capra, e le viene un po’ di paura… perché vede che quella cercava di salire su per la scala, no… voleva entrare in casa, e si capisce che razza di capra era quella lì… una masca!… Allora lei fa per difendersi e prende da terra un ramo d’ulivo, così quella scappa e il giorno dopo ritrova la sua capra” (anonimo, 65 anni circa, intervistato verso gli inizi 2007 da Ch. Pisci, cit.; cfr. nota 2). Il tema della ‘capra-sostituto’ fa in qualche modo da pendant a quello, ben conosciuto ed assai diffuso, del ‘bambinosostituto’. Si tenga altresì conto di una realizzazione del tipo ‘masca vestita da capra’. E si consideri questa attestazione - al proposito del tutto esplicita - di un informatore di Alice Castello, in provincia di Vercelli: “(…) E perché allora avevano fame e vedevano tutte quelle cose lì… Questa “crava bianca” era… era una capra bianca… che quando andavano in giro per il paese di notte… d’inverno che c’era la nebbia… tutti vedevano ‘sta capra bianca… e tutti avevano paura di ‘sta capra bianca… era… una cosa… che non sapevano che cos’era, no… era una capra… con le corna… una capra… finchè un uomo di Alice… che lui non aveva paura… ha aspettato ‘sta capra bianca, e
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quando l’ha vista che quella lì è andata nella strada per fargli paura… lui l’ha presa per le corna… gli ha spezzato le corna, e sotto la capra bianca c’era una donna… vestita da capra… bianca… le ha ficcato tre calci nel culo e la storia della capra bianca è finita lì… quella là… si è presa talmente paura… che non è mai più andata a spaventare nessuno… spaventava la gente, perché avevano fame… erano denutriti… e vedevano i maghi… vedevano quelle cose lì… avevano paura… e quello lì che ha detto: “Che io paura della capra bianca proprio non ne ho”… è andato finchè è riuscito a incontrarla…” (Pietro Savio, 53 anni circa, intervistato in data 30 gennaio 2005 da Elisa Brunero, mia allieva presso il Politecnico di Torino, nell’ambito di una ricerca, da me organizzata e diretta, sul folklore di alcune località del Piemonte). Il motivo del ‘travestimento animalesco’ sembrerebbe
risultare,
in
realtà,
non
troppo
distante
dalla
‘realizzazione metamorfica’ (è un argomento sul quale varrà la pena tornare). Su streghe che, per es., indossano un vello ovino – e ballano – si tramanda in Valle Intrasca (prov. Verbania): cfr. P. Chiaberta, Non è vera ma è così. Racconti e favole della Valle Intrasca, Verbania, Tararà Ed. 2000, La danza delle quattro pecore, p. 71. Sempre sul tema del ‘travestimento’, si riferisce alle “basure” liguri l’attestazione che segue, proveniente – presumibilmente – dalla zona di Albenga-Colle San Bernardo: “(…) Poi nei boschi le “basure” (streghe cioè) diventavano maiali, diventavano pecore. Si mettevano ‘ste pelli e diventavano animali, però uno con un bastone ne ha date ad una di queste” (informatrice Rina, intervistata ad Isola Perosa in data
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17 marzo 2007 da Roberto Maggi nell’ambito di una ricerca, da me organizzata e diretta, sul folklore di alcune località dell’Italia). Mettersi le pelli animalesche e ‘diventare’ animali si fa in certo modo equipollente; o, meglio, il ‘diventare animale’ tende a configurarsi come la ‘conseguenza’ del ‘mettersi le pelli’.
(12)Si tratta di una contiguità che possiamo chiamare ‘fissa’ (caratterizzante).
(13)Su “libro dei comandi” e ‘capra’ (‘capra che balla’) – sembrerebbe anche qui trattarsi, tout court, di una masca così trasformata – presento altresì questa testimonianza, raccolta a Lequio Berria, in provincia di Cuneo: “Sì, si raccontava di un uomo che aveva il “libro dei comandi”, che faceva vedere cose fantastiche alla gente. Un altro uomo stava andando al mulino in Belbo, con un sacco di meliga in spalle, e vedeva sempre una capra che gli ballava davanti, in qua e in là, e lui non poteva liberarsene perché era svelta, e non riusciva a darle dei calci… Ad un certo punto, stufo, ha posato il sacco in terra e gli ha gridato di andarsene e le ha dato il nome della persona che si diceva che avesse il “libro dei comandi”…” (informatrice Rosa Sibona, nata nel 1925, intervistata durante il 2004 da Enea Travaglio nell’ambito di una ricerca coordinata e diretta da A. Borghini e M. L. De Bernardi; il fascicolo relativo è disponibile presso il Centro di documentazione della tradizione orale di Piazza al Serchio). Riguardo al ‘mulino’ si consulti il mio A proposito di una strega piemontese:
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“(…) grossa come la ruota di un mulino”, in Borghini, Semiosi nel folklore II. Prospettive tipologiche e analisi ‘locali’, Piazza al Serchio (LU), Centro di documentazione della tradizione orale 2001, pp. 165 sgg..
(14)Si vedano i miei: Semiosi nel folklore II…, cit. ; Zonodrakontis. Momenti di una mitologia, Roma, Meltemi 2003; Semiosi nel folklore III…, cit.; Varia Historia…, cit..
(15)In una attestazione raccolta ad Agliè (prov. Torino), un prete, che ha dei gatti, “tra cui uno nero” etc., si trasforma lui stesso in un (nel) gatto nero. Realizzazione per contiguità e forma metamorfica attorno ad uno stesso sèma-attributo significante (‘gatto’) intervengono e si condensano, nel quadro – in questo caso - di una medesima testimonianza, nel quadro di una medesima ‘situazione’ (con le ’vicende’ che ne conseguono): “(…) Poi c’era la storia del gatto parlante del prete… allora, c’era il prete di… questo ai tempi di mio nonno… che era uno un po’ strano (il prete cioè), che faceva la “fisica”… insomma dovevi stare molto attento con lui, perché se voleva te ne combinava di tutti i colori… Un amico di mio nonno, che non lo sopportava tanto, una sera tardi stava passando lungo la stradina che c'era a fianco dell'abitazione del prete, che aveva un cane e aveva anche dei gatti, tra cui uno nero, bruttissimo, spelacchiato… comunque era tardi e stava tornando (l’amico del nonno cioè) a casa dopo una partita a carte con gli amici… e sopra il muretto che divide
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la strada dall’abitazione ha incominciato a vedere questo gatto nero, e sapeva che era del prete, che ha iniziato a seguirlo, per tutto il muretto… a un certo punto il gatto piomba in strada e gli impedisce di andare avanti… e poi si è messo a parlare… l’amico di mio nonno non ci credeva… è impossibile che un gatto parlasse… e gli ha detto qualcosa del tipo: “Tu non passi di qua perché tu non mi sopporti”… era il prete che parlava e si era trasformato in un gatto!… Poi un’altra volta ancora questo gatto si era intrufolato a casa di questo suo amico una volta che lui non c’era e c’era solo la moglie, allora la moglie ha cercato di buttarlo fuori perché non lo voleva in casa, visto che c’era questo sospetto, e quando è arrivato a casa il marito l’ha colpito con un bastone per farlo uscire, e qualche giorno dopo il prete non ha potuto dire la messa perché, guarda caso, era nel letto che si diceva fosse ammalato… eh sì, ma questa gente qui aveva davvero dei poteri…
chissà come facevano… bisognava stare attenti…”
(informatore Mario Rua, 80 anni circa, intervistato verso gli inizi 2007 da E. Scripelliti, cit.; cfr. nota 2). Effetto di metafora (metamorfosi prete-gatto) e connessione metonimica (prete che ha dei gatti, “tra cui uno nero, bruttissimo, spelacchiato”) vanno di pari passo: si ‘amalgamano’ e si ‘con-fondono’. La raccordabilità fra complemento (di compagnia) e forma metamorfica (sèma-attributo nel posto del soggetto) non potrebbe risultare più esplicita ed eloquente. L’effetto che chiamerei ‘di sintassi’
(complemento
di
compagnia)
è
logicamente
e
semioticamente un ‘derivato’ dell’effetto di metafora (forma
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metamorfica): si consulti in part. il mio A mo’ di introduzione: metafora, metamorfosi e il posto del soggetto, in Borghini, Varia Historia…, cit., cap. 1, pp. 11 sgg.. Per un analogo meccanismo si tenga anche presente, più in alto, nota 7 (sèma ‘fieno’ e strega).
(16)Per analoghi effetti – sintatticamente analogici – di quel che ho definito ‘causativo d’identità’ rinvio al mio Causativo d’identità. Il ‘dominio semantico’ nei racconti di folklore: a proposito di alcune risultanze sintattiche, in “Quaderni della Sezione di Glottologia e Linguistica del Dipartimento di Studi Medievali e Moderni dell’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti”, 15-16, 20034, a cura di L. Mucciante, pp. 17 sgg..
(17)Ho parlato di contiguità ‘logica’ nel senso che la responsabilità del fatto che qualcuno ‘vede le capre’ viene riferita ad un soggettomasca.
Alberto Borghini Via SS. Grato e Lazzaro, 21/A 14040 Vigliano d’Asti (AT) tel 0141/953745
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