45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
CONSIGLIO DIRETTIVO SCIVAC ERMENEGILDO BARONI, Presidente PIER MARIO PIGA, Presidente Senior MASSIMO BARONI, Vice Presidente MATTEO SPALLAROSSA, Segretario CARLO DAMIANI, Tesoriere CARLO DE FEO, Consigliere ROBERTO TOVINI, Consigliere
COMMISSIONE SCIENTIFICA GIORGIO ROMANELLI, Presidente FULVIO STANGA, Direttore DAVIDE DE LORENZI UGO LOTTI PIER MARIO PIGA
ORGANIZZAZIONE CONGRESSUALE Coordinatore Congressuale FULVIO STANGA Segreteria Congressuale Scientifica LUDOVICA BELLINGERI - Tel: + 39 0372 403502 - email:
[email protected] Segreteria Congressuale Marketing FRANCESCA MANFREDI - Tel: + 39 0372 403538 - email:
[email protected]
SEGRETERIA CONGRESSUALE ISCRIZIONI PAOLA GAMBAROTTI - SCIVAC - Via Trecchi 20 - 26100 CREMONA (Italy) Tel: + 39 0372 403508 Fax: +39 0372 457091 - email:
[email protected] www.scivac.it
ORGANIZZAZIONE ALBERGHIERA TOWERS VIAGGI Centro Direzionale Quattrotorri 06074 Ellera Scalo (PG) - Tel. 075/5170098 - Fax 075/5171045
1
ATTI DEL
45° CONGRESSO NAZIONALE SCIVAC in collaborazione con AVULP Associazione Veterinari Umbri Liberi Professionisti
Approccio diagnostico strumentale agli apparati respiratorio, digerente e genito-urinario
PERUGIA 25-27 OTTOBRE 2002
Traduzione dei testi inglesi: Dr. Maurizio Garetto Coordinamento editoriale: Dr. Fulvio Stanga
La SCIVAC è particolarmente grata alle ditte
FORT DODGE
®
FORT DODGE ANIMAL HEALTH
Hill’s* Global Leader in Pet Nutrition
Animal Health
per il significativo contributo fornito alla realizzazione del Congresso. 4
XX CREDITI CREDITI 11
EVENTO ACCREDITATO ECM VET Il Ministero della Salute ha attribuito a questo evento 11 crediti formativi ECM. Ai fini dell’acquisizione dei crediti formativi ECM è necessaria la presenza effettiva del 100 % rispetto alla durata complessiva dell’evento formativo. Pertanto l’attestato con i crediti verrà riconosciuto solo a chi avrà frequentato il 100% delle ore di attività formativa prevista. Ne consegue che sarà necessario registrarsi e accedere alla sala entro l’orario di inizio dei lavori del primo giorno e al termine di ciascuna delle pause previste come riportato sul programma e frequentare l’evento fino al termine indicato. Per ottenere l’attestato di partecipazione all’evento riportante i crediti assegnati è obbligatorio: • compilare e riconsegnare firmata la scheda di valutazione dell’evento • compilare e riconsegnare il test di verifica dell’apprendimento • effettuare i controlli di verifica della presenza secondo il metodo che sarà adottato tra quelli previsti dalla normativa ECM La suddetta documentazione andrà riconsegnata (previa compilazione) in segreteria congressuale presso il Desk ECM al termine (non prima) dell’evento. Qualora • Il partecipante giunga oltre l’orario previsto • non venga consegnata alla segreteria congressuale la documentazione sopra riportata o venga consegnata prima del termine dell’evento • il sistema di verifica della presenza (se previsto) non attesti la frequenza del 100% delle ore formative previste la segreteria non potrà rilasciare l’attestato con crediti, ma solo un attestato tradizionale privo di crediti. Il rispetto delle norme prescritte dal Ministero della Salute è requisito fondamentale per l’assegnazione dei crediti: pertanto la segreteria congressuale applicherà la normativa prevista. Per maggiori informazioni si prega di consultare il sito ecm.sanita.it. 5
RELATORI DAVID S. BILLER DVM, Dipl ACVR Kansas State University USA David Biller si è laureato nel 1980 presso la Auburn University. Dopo un anno di internship presso il New Haven Hospital for Veterinary Medicine nel Connecticut e tre anni come membro dello staff del South Shore Veterinary Associates nel Massachussets, ha completato un residency in radiologia presso l’Ohio State University. In seguito si è trasferito per un periodo presso l’Università del WisconsinMadison con incarichi di insegnamento e ricerca. Nel 1991 è ritornato all’Ohio State University come radiologo. Attualmente il Dottor Biller è professore associato nel Dipartimento di Scienze Cliniche ed è Responsabile del reparto di radiologia presso il College of Veterinary Medicine dell’Università del Kansas. L’attività clinica che maggiormente interessa il Dottor Biller è la diagnosi con ultrasuoni su piccoli e grandi animali. Le sue ricerche più significative riguardano l’uso degli ultrasuoni nelle diagnosi e nella valutazione delle malattie spontanee negli animali, oltre che lo studio del rene policistico nei gatti. David Biller è Diplomato dal 1987 all’American College of Veterinary Radiology, di cui ha ricoperto la carica di Presidente negli anni 2000-2001.
UGO BONFANTI Med Vet, Milano Laureato a pieni voti presso l’Università di Milano nell’anno 1992. Dal conseguimento della Laurea ha lavorato regolarmente presso alcune cliniche veterinarie. Attualmente esercita la libera professione presso la Clinica Veterinaria Gran Sasso - Milano (Dr. Bussadori), occupandosi in particolare di Medicina Interna ed Oncologia; da circa 6 anni si occupa attivamente di citologia veterinaria. Nel 1997 ha effettuato uno stage della durata di un mese presso il Dott. Teske dell’Università di Utrecht; nel 1998, per un periodo analogo, si è recato a Cambridge presso il Prof. Herrtage. All’inizio di quest’anno, per un mese e mezzo, si è recato per un periodo di aggiornamento di Clinical Pathology alla School of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania a Philadelphia. Ha presentato alcune relazioni di ecografia, citologia ed oncologia in occasione di gruppi di studio, seminari di citologia e congressi nazionali SCIVAC. È istruttore e relatore al corso di citologia della SCIVAC, e riveste la carica di vicepresidente della Società Italiana di Citologia Veterinaria.
DAVIDE DE LORENZI Med Vet, Forlì Laureato in Medicina Veterinaria a Bologna nel 1988, con lode; ha conseguito nel 1992 la specializzazione in Clinica e Patologia degli animali da Affezione presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa. È stato ideatore e coordinatore del Gruppo di studio SCIVAC di Citologia Diagnostica fino al 2001 ed inoltre è relatore ed istruttore del Corso di Citologia Diagnostica della SCIVAC. Da alcuni anni tiene un seminario di Citologia Diagnostica alla Scuola di Specializzazione in Clinica e Patologia degli animali da Affezione della Facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa. È autore e coautore di articoli e comunicazioni a congressi nazionali ed internazionali aventi come oggetto la patologia clinica, la citologia diagnostica e la chirurgia. Dal 1993 compie regolari periodi di aggiornamento in Olanda presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Utrecht (Dipartimento Animali da Compagnia) per approfon-
6
dire argomenti di citologia diagnostica e chirurgia; presso la medesima Facoltà ha portato a termine un corso triennale, organizzato dall'ESAVS, avente come soggetto la medicina interna. Ha recentemente compiuto un periodo di studi di circa un mese presso la Purdue University con il Prof. De Nicola, su argomenti di citologia diagnostica ed ematologia. È membro dell'E.S.V.C.P. (Società Europea di Patologia Clinica Veterinaria). È attualmente membro della Commissione Scientifica della S.C.I.V.A.C. Esercita come libero professionista a Forlì occupandosi quasi esclusivamente di Chirurgia e Citologia Diagnostica.
CARLO MASSERDOTTI Med Vet, Brescia Laureato col massimo dei voti presso l’Università di Milano nel 1990. Dal 1993 si occupa di citopatologia diagnostica, curando l’aggiornamento permanente con corsi di approfondimento e frequentando centri di referenza in Italia ed all’estero. È autore di alcune pubblicazioni inerenti la citopatologia ed è relatore a meeting nazionali ed internazionali. Dal 1988 è istruttore e relatore al corso di Citologia organizzato dalla SCIVAC. Dal 2001 ricopre la carica di presidente della SICIV (Società Italiana di Citologia Veterinaria).
STEFANO ROMUSSI Med Vet, Prof Ass Università di Milano Stefano Romussi si laurea in medicina veterinaria nel 1990 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano quale allievo interno dell’Istituto di Clinica Chirurgica. Ricercatore presso lo stesso istituto dal 1996 sviluppa la sua attività clinica e di ricerca nell’ambito della chirurgia dei tessuti molli dei piccoli animali e diviene Professore incaricato di Chirurgia dei piccoli animali nel 1999 presso la Facoltà milanese. Si occupa da subito dell’approfondimento di temi riguardanti le modalità didattiche in campo chirurgico veterinario, tema che approfondirà nel corso degli anni e che tuttora lo appassiona. Docente della scuola di Specializzazione in patologia e clinica degli animali da compagnia amplia le sue conoscenze nell’ambito della chirurgia mininvasiva delle prime vie aeree del cane con la sperimentazione di approcci di tipo transendoscopico. Diviene Professore Associato in Clinica Chirurgica Veterinaria nel 2001 continuando a prestare la sua attività clinica e didattica presso l’istituto di Clinica Chirurgica e Radiologia Veterinaria della facoltà di Milano.
DAVID TWEDT DVM, Dipl ACVIM Colorado State University USA Laureato alla IOWA State University nel 1972. Ha frequentato un Residency in medicina presso l’Animal Medical Center a New York dove è poi diventato docente ricercatore presso il “Liver Research Center of Albert Einstein Medical School”. È professore e responsabile dello Small Animal Medicine Section del Dipartimento di Scienze Veterinarie alla Colorado State University. Diplomato all’American College of Veterinary Internal Medicine (ACVIM) di cui è stato Presidente. Le sue pubblicazioni e settori di ricerca comprendono il fegato e le malattie gastrointestinali nei piccoli animali.
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
PROGRAMMA SCIENTIFICO Primo Giorno - Venerdì 25 Ottobre 2002 8.30 Registrazione dei partecipanti Apparato respiratorio Chairperson: Davide De Lorenzi 9.45 Indicazioni ed utilità della diagnostica strumentale nelle patologie dell’apparato respiratorio: quando e perché utilizzare una tecnica piuttosto di un’altra David Twedt (USA) 10.15 Reperti radiografici normali e patologici dell’apparato respiratorio superiore (cavità nasali, seni frontali, laringo-faringe) ed inferiore (trachea, bronchi, polmone, spazio pleurico) David Biller (USA) 11.30 Reperti endoscopici normali e patologici dell’apparato respiratorio superiore (cavità nasali, seni frontali, laringo-faringe) ed inferiore (trachea, bronchi, polmone, spazio pleurico) Stefano Romussi (I) 13.00 Pausa pranzo ed esposizione commerciale Apparato respiratorio Chairperson: Ugo Lotti 14.30 Indicazioni e tecniche di toracoscopia David Twedt (USA) 15.00 Ecografia delle pleure e delle masse a carico dell’apparato respiratorio David Biller (USA) 15.30 Indicazioni, utilità e limiti dell’impiego di TC e RM nelle patologie dell’apparato respiratorio David Biller (USA) 16.00 Pausa caffè ed esposizione commerciale
9
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
16.45 Diagnostica strumentale dell’apparato respiratorio e citologia: un binomio inscindibile Davide De Lorenzi (I) 17.30 Tecniche di prelievo ed interpretazione delle biopsie con ago sottile delle masse endotoraciche a carico dell’apparato respiratorio Ugo Bonfanti (I) 18.30 Interruzione
Secondo Giorno - Sabato 26 Ottobre 2002 Apparato digerente Chairperson: Carlo De Feo 9.30 Indicazioni ed utilità della diagnostica strumentale nelle patologie dell’apparato digerente: quando e perché utilizzare una tecnica piuttosto di un’altra David Twedt (USA) 10.00 Reperti radiologici normali e patologici dell’apparato digerente (esofago, stomaco, intestino tenue e crasso) David Biller (USA) 10.45 Pausa caffè ed esposizione commerciale 11.30 Reperti endoscopici normali e patologici dell’apparato digerente David Twedt (USA) 12.30 Indicazioni e tecniche di laparoscopia David Twedt (USA) 13.00 Pausa pranzo ed esposizione commerciale Apparato digerente Chairperson: Carlo Damiani 14.30 Reperti ecografici normali e patologici dell’apparato digerente David Biller (USA)
10
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
16.15 Indicazioni, utilità e limiti dell’impiego di TC e RM nelle patologie dell’apparato digerente David Biller (USA) 16.45 Pausa caffè ed esposizione commerciale 17.15 Patologie gastro-intestinali e diagnostica citologia: tecnica e principi interpretativi Carlo Masserdotti (I) 18.00 Tecniche di prelievo ed interpretazione delle biopsie con ago sottile delle masse endoaddominali Ugo Bonfanti (I) 19.00 Interruzione
Terzo Giorno - Domenica 27 Ottobre 2002 Apparato genitourinario Chairperson: Matteo Spallarossa 9.30 Indicazioni ed utilità della diagnostica strumentale nelle patologie dell’apparato genitourinario David Twedt (USA) 10.00 Reperti radiologici normali e patologici dell’apparato genito-urinario David Biller (USA) 11.00 Pausa caffè ed esposizione commerciale 11.45 Reperti ecografici normali e patologici dell’apparato genitourinario David Biller (USA) 13.15 Reperti endoscopici normali e patologici dell’apparato genito-urinario David Twedt (USA) 14.00 Termine del Congresso
11
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David S. Biller DVM, Dipl ACVR Kansas State University - USA
Reperti radiografici normali e patologici dell’apparato respiratorio superiore (cavità nasali, seni frontali, laringo-faringe) ed inferiore (trachea, bronchi, polmone, spazio pleurico) Venerdì, 25 ottobre 2002, ore 10.15
13
RADIOGRAFIA NASALE La cavità nasale è divisa in due metà simmetriche dette fosse nasali. Queste sono separate rostralmente da un setto nasale cartilagineo e caudalmente dall’osso del vomere. Sagittalmente, una porzione di quest’ultimo si estende dorsalmente a partire dal settore ventrale della cavità nasale. Le fosse nasali sono occupate dalle conche nasali. Queste si presentano sotto forma di sottili linee radiopache semiparallele che si estendono caudalmente dal dente canino sino a livello del terzo premolare. Caudalmente, all’interno delle fosse nasali si trovano i turbinati etmoidali. Questi hanno l’aspetto di una fine trama ossea lineare che si apre a ventaglio rostralmente dalla lamina cribrosa alla giunzione con le conche nasali. La porzione rostrale del setto nasale è radiotrasparente, ma la sua localizzazione è indicata dal vomere. A causa della sua radiotrasparenza, risulta difficile valutarne radiograficamente l’integrità. Nel cane e nel gatto, se non si sono verificate concomitanti erosioni del vomere, la distruzione del setto può risultare impossibile da evidenziare radiograficamente nel tratto situato rostralmente al quarto premolare. I seni frontali sono strutture pari con una porzione laterale e mediale. La prima si estende al di sopra dell’orbita e può essere parzialmente suddivisa da un setto osseo. La seconda comunica con i turbinati etmoidali ed è caratterizzata da forme e dimensioni variabili. I seni mascellari sono i diverticoli laterali delle fosse nasali. Sono anche indicati con il nome di recessi mascellari, poiché le aperture verso le cavità nasali sono grandi quanto i seni stessi. Nel gatto i seni frontali sono molto piccoli (nei cani possono mancare del tutto) mentre quelli mascellari sono assenti.
TECNICA RADIOGRAFICA Per ottenere buone immagini radiografiche di valore diagnostico è essenziale l’anestesia generale o la sedazione profonda del paziente, a meno che non sia specificamente controindicata dalle sue condizioni fisiche. La mancanza di un adeguato contenimento è la causa più comune della perdita di valore diagnostico delle radiografie del cranio. Queste vanno riprese ad alta risoluzione (dettaglio) utilizzando una pellicola del tipo senza schermi di rinforzo o un’associazione fra pellicola ultradettagliata e schermi. L’uso delle pellicole senza schermi impone un aumento di 10 volte del valore dei mAs in confronto alla tecnica utilizzata con pellicole in cassette con schermi a pari velocità. Il posizionamento del paziente ed il numero delle proiezioni necessarie per un esame completo dipendono dall’area del cranio da esaminare. Per la valu14
tazione della cavità nasale e dei seni paranasali, le proiezioni da utilizzare sono: 1) laterale, che può essere utile oppure no, 2) dorsoventrale in occlusione (intraorale), 3) ventrodorsale a bocca aperta (pellicola fuori dalla bocca con tubo radiogeno inclinato di 20-30°), 4) rostrocaudale/frontale (fascio primario parallelo al palato duro), 5) laterale obliqua (destra e sinistra) per la valutazione dei piccoli seni frontali (30° con naso sollevato e poi 30° obliqua).
MODIFICAZIONI RADIOGRAFICHE DEI SENI NASALI E PARANASALI Sia i traumi che le neoplasie possono causare alterazioni della forma e del profilo dei seni nasali e paranasali. I quadri radiografici o le modificazioni dell’aspetto radiografico e della radiopacità di queste strutture anatomiche riflettono l’aggressività e la durata del processo patologico piuttosto che la sua specifica eziologia. Nelle malattie da cause acute (infezioni batteriche o virali, allergie, corpi estranei radiotrasparenti) la cavità nasale si presenta di solito radiograficamente normale o caratterizzata soltanto da un lieve aumento della radiopacità dei tessuti molli dovuta ad un incremento dello spessore dei turbinati o alla presenza di essudato. Esistono cinque quadri radiografici che dimostrano l’aggressività o la durata della malattia piuttosto che la specifica eziologia: 1) nessuna alterazione con aspetto radiografico normale (rinite acuta, corpi estranei, virus, batteri ed allergia), 2) aree di aumento della radiopacità dei tessuti molli sovrapposte a turbinati di aspetto normale (rinite cronica, essudato nasale, rinite iperplastica/tumefazione con proliferazione della mucosa nasale, emorragia post-traumatica), 3) aree di aumento della radiopacità dei tessuti molli sovrapposte a zone di distruzione dei turbinati (neoplasia e rinite distruttiva), 4) aree di ridotta radiopacità dovuta a distruzione dei turbinati non accompagnate da radiopacità dei tessuti molli, 5) quadri misti con aree di distruzione dei turbinati e sovrapposizione della radiopacità dei tessuti molli inframmezzate da aree di sola distruzione dei turbinati. La maggior parte delle neoplasie della cavità nasale origina dalla regione dei turbinati etmoidali e della lamina cribrosa. L’80% di queste neoplasie nel cane ed il 91% nel gatto hanno carattere di malignità. Nel 60-75% dei casi si tratta di carcinomi (soprattutto adenocarcinomi), con un’età media alla diagnosi di 8-10 anni. Nei gatti, i maschi sono colpiti con una frequenza doppia rispetto alle femmine. Nelle neoplasie maligne si osserva frequentemente la distruzione del setto nasale (osso del vomere). Anche la tumefazione dei tes15
suti molli conseguente alla distruzione delle ossa facciali può essere associata a neoplasia. La rinite di solito colpisce i segmenti medi e rostrali delle vie nasali con frequenza pari o superiore ai segmenti medi e caudali. Si ha comunemente l’obliterazione di una o di entrambe le narici e si osserva uno scolo nasale che può essere sieroso, mucoide o purulento. Si può notare una rinite distruttiva con epistassi secondaria, che generalmente è dovuta ad infezioni micotiche. Questi animali di solito hanno meno di 4 anni di età e la causa più comune della condizione è rappresentata dall’aspergillosi. Anche Cryptococcus neoformans è causa di rinite iperplastica nel gatto. Radiograficamente, la rinite si può presentare sotto forma di aree radiotrasparenti focali o distruzione dei turbinati. Queste lesioni variano di dimensioni, da piccoli fori puntati a grandi aree di lisi con margini poco definiti. L’erosione o la deviazione del setto nasale (osseo) è inusuale. L’opacizzazione dei seni frontali associata alle affezioni nasali è generalmente dovuta ad una compromissione del drenaggio dei seni stessi. La diagnosi differenziale di questi aumenti della radiopacità da ostruzione del drenaggio deve comprendere l’estensione neoplastica all’interno del seno stesso.
Alterazioni radiografiche da malattie nasali Rinite iperplastica cronica batterica/virale micotica da corpo estraneo
1) Aumento della radiopacità dei tessuti molli (mono-/bilaterale) 2) Trama indistinta dei turbinati 3) Radiopacità dei tessuti molli nei seni frontali
Rinite distruttiva Aspergillosi
1) Aree focali (puntate) di lisi (distruzione dei turbinati) 2) Aree focali di aumento della radiopacità dei tessuti molli (mono-/bilaterale) 3) Radiopacità dei tessuti molli nei seni frontali
Neoplasie
4) Inizialmente possono simulare una rinite non distruttiva 5) Con la progressione della malattia si ha una lisi dei turbinati sovrapposta a e radiopacità dei fluidi 6) Deviazione/distruzione del vomere, distruzione dell’osso frontale/mascellare, tumefazione dei tessuti molli facciali
16
VIE AEREE SUPERIORI (FARINGE, LARINGE E TRACHEA) La faringe e la laringe vanno valutate preferibilmente nelle immagini radiografiche riprese in proiezione laterolaterale con il paziente ben posizionato. L’ideale è una radiografia inspiratoria, perché il maggior volume del gas assicura un miglior contrasto in quest’area. Si esaminano le dimensioni, la posizione e la radiopacità delle varie strutture. La mancanza di un valido contrasto può essere dovuta ad espirazione, conformazione (nelle razze brachicefale), infiammazione o masse patologiche. La faringe normale è suddivisa in due aree principali, quella nasale e quella orale, separate dal palato molle. L’epiglottide è una struttura cartilaginea che viene facilmente visualizzata cranialmente alla laringe e si sovrappone alla faringe a causa dell’aria circostante. La punta dell’epiglottide può essere situata cranialmente o ventralmente al palato molle. La sua base è a livello (ventrale) fra la bolla timpanica e la seconda vertebra cervicale. In condizioni normali, la laringe è collocata ventralmente alla prima e seconda vertebra cervicale. La sua posizione muta con l’estensione (craniale e più vicino alla colonna vertebrale) e la flessione (caudale fino a C4) della testa. La posizione delle ossa ioidee varia con l’angolazione della testa, della lingua e della laringe. Le anomalie radiograficamente rilevabili a carico della laringe e della faringe sono rappresentate da diminuzione delle dimensioni di questa regione per allungamento del palato molle, infiammazione (faringite, laringite, edema) e masse intraluminali circondate da aria (ascessi, neoplasie, tessuto di granulazione, corpi estranei, ematomi). L’ingrossamento di questa regione può essere secondario a paralisi faringea, paralisi laringea (aumento di dimensioni dei ventricoli laringei laterali), ostruzione delle vie aeree profonde e frattura/lussazione delle ossa ioidee. L’aerofagia secondaria che si può avere può accentuare la visualizzazione di quest’area. La dislocazione o deviazione delle strutture piene d’aria in questa regione può essere conseguente ad ascessualizzazione delle tonsille o della faringe, neoplasie delle tonsille o della tiroide, ingrossamento delle ghiandole salivari, linfoadenopatia da neoplasia (primaria o secondaria) o alterazioni reattive e corpi estranei che si possono riscontrare con o senza ascessualizzazione. Le anomalie funzionali della laringe o della faringe richiedono spesso il ricorso alla fluoroscopia o alla visualizzazione diretta con l’animale in anestesia. Le alterazioni secondarie che si possono osservare nella paralisi laringea nelle radiografie sono rappresentate dai ventricoli pieni d’aria. 17
TRACHEA L’esame radiografico della trachea deve comprendere la parte caudale della faringe e della laringe. Bisogna valutare posizione, diametro e forma. Dopo essere penetrata nel torace, la trachea decorre ventralmente (procedendo cioè in senso divergente) rispetto alla colonna vertebrale. Questa caratteristica può variare nelle differenti razze. L’angolo è più ampio nei cani con torace profondo. La terminazione della trachea viene indicata con il nome di biforcazione (zona radiotrasparente tondeggiante) ed è situata normalmente a livello del quinto o sesto spazio intercostale. Il bronco principale si presenta come “maggiore” (60-90°) appena caudalmente alla biforcazione nelle radiografie in proiezione laterolaterale. In quelle dorsoventrali o ventrodorsali la trachea è situata lungo la linea mediana (in alcuni cani, soprattutto brachicefali, si può presentare a destra della linea mediana, tra l’ingresso del torace ed il cuore, che si trova entro i limiti normali). La trachea normalmente mantiene un diametro intraluminale costante ed uniforme (approssimativamente quello della laringe). Questo diametro non si modifica significativamente nelle varie fasi della respirazione. Ciò è dovuto alla rigidità degli anelli tracheali. Tuttavia, le sue dimensioni relative possono variare leggermente in certe razze: i basset-hound sembrano avere una trachea grande, mentre quella dei bulldog è particolarmente stretta. La trachea viene anche valutata per stabilirne la posizione. La flessione della testa e del collo può essere causa di deviazioni, specialmente nel mediastino craniale, simulando una dislocazione. Questa risulta di solito a destra della linea mediana (il movimento a sinistra della trachea è impedito dall’arco aortico). La dislocazione laterale e ventrale dell’organo nella porzione cervicale può essere dovuta secondariamente ad ascessualizzazioni, neoplasie, linfoadenopatie, dilatazione esofagea (megaesofago, corpi estranei). Le masse mediastiniche possono causare difetti di posizionamento della trachea in qualsiasi direzione. La cardiomegalia o la presenza di masse a livello della base del cuore può deviare dorsalmente la trachea (eliminando la normale curvatura ventrale). La dislocazione tracheale toracica non si verifica su un singolo piano (dorsale o ventrale, a destra o a sinistra), ma può assumere andamenti complessi procedendo in direzione dorsale verso sinistra o destra o ventrale verso sinistra o destra. La trachea non è facile da comprimere. Il suo diametro può apparire ingrossato negli animali con ostruzione delle vie aeree superiori. Con l’inspirazione, la sua porzione intratoracica può sembrare aumentata di dimensioni, mentre con l’espirazione questo aspetto viene assunto dalla regione cervica18
le. La diminuzione del diametro dell’organo è solitamente dovuta a compressione da parte di masse extraluminali adiacenti, affezioni intraluminali occupanti spazio o collasso. Le masse mediastiniche craniali possono esercitare una compressione. Questo tipo di riscontro va ricercato soprattutto nel gatto, dal momento che il linfosarcoma mediastinico craniale determina comunemente una compressione della trachea, che viene spostata dorsalmente. Questo segno si osserva in presenza di versamento pleurico, che può occultare la massa mediastinica. Una lesione luminale può diminuire il diametro del lume tracheale. Le possibili diagnosi differenziali sono rappresentate da neoplasie quali condroma, carcinoma squamocellulare o affezioni granulomatose comprese le parassitosi come l’infestazione da Filaroides osleri ed i corpi estranei. Anche le stenosi secondarie a traumi pregressi (eventualmente da inserimento di un tubo orotracheale ed eccessiva insufflazione) possono causare una diminuzione del diametro del lume. I corpi estranei tracheali, anche se radiotrasparenti, risultano facilmente visualizzabili grazie all’eccellente contrasto circostante offerto dall’aria. Perforazioni, lacerazioni o rotture complete della trachea si possono visualizzare, ma di solito vengono soltanto sospettate sulla base della presenza di gas nella regione cervicale e/o di uno pneumomediastino. La dimostrazione della perdita di integrità della trachea può essere confermata utilizzando un mezzo di contrasto a base acquosa (iodio acquoso non ionico grazie alla bassa osmolalità – ioexolo). In presenza di lesioni, è possibile visualizzare la fuoriuscita di questo mezzo di contrasto nei tessuti molli circostanti. Il collasso tracheale è una comune diagnosi differenziale della tosse nei piccoli animali (in particolare nel cane). Va confermato mediante radiografie in proiezione laterolaterale delle porzioni cervicale e toracica della trachea durante l’inspirazione e l’espirazione. Può essere cervicale o intratoracico. Inoltre, può essere statico o dinamico. Dipende dal gradiente di pressione che attraversa la parete toracica. Inoltre, varia in funzione dello stadio e della difficoltà della respirazione. In genere, la trachea collassa in corrispondenza della regione cervicale e dell’ingresso del torace durante il picco inspiratorio e nel torace al termine dell’espirazione. Può essere difficile dimostrare il collasso senza far tossire l’animale al momento della ripresa delle radiografie. Se l’esame non viene effettuato attraverso la valutazione di immagini inspiratorie, espiratorie e mentre l’animale tossisce, si possono avere quadri radiografici falsi negativi. Si può anche osservare il collasso del bronco principale, con o senza collasso tracheale. La membrana tracheale ridondante (cioè che si ripiega verso l’interno) è un’alterazione radiografica che costituisce un riscontro incidentale nei cani 19
che non tossiscono. Si può osservare in soggetti di grossa e piccola taglia. Di solito non ha significato clinico, ma può apparire radiograficamente simile al collasso tracheale, con il quale può venire confuso. Una tosse simile a quella causata dal collasso tracheale può essere indotta dal collasso di un bronco principale. Questo bronco collassato può essere intrinsecamente debole oppure venire compresso da un atrio sinistro molto grande secondariamente a rigurgito mitralico cronico. Fra le possibili diagnosi differenziali della tosse negli animali è necessario tenere presente la compressione del bronco principale sinistro e l’insufficienza cardiaca. Per contribuire a differenziare queste due condizioni è essenziale l’esame dei polmoni. L’ipoplasia laterale è un difetto congenito che si verifica soprattutto nei cani delle razze brachicefale, in particolare nel bulldog. Il lume dell’organo risulta ristretto a livello di determinati segmenti oppure per tutta la sua lunghezza. Le estremità degli anelli tracheali si incontrano o si sovrappongono piuttosto che presentare la consueta forma a “C” e la membrana tracheale dorsale risulta corta o del tutto assente. Il valore normale del rapporto fra diametro tracheale ed ingresso del torace (DT:IT) nei cani non brachicefali è di 0,204. Nei cani brachicefali diversi dal bulldog è di 0,16 e nel bulldog è di 0,13. Qualsiasi valore inferiore a questi è considerato indice di un restringimento. La trachea può anche essere confrontata con le dimensioni costali, dal momento che il suo diametro normale corrisponde a tre volte quello del terzo prossimale della terza costola. Infine, la trachea deve avere un diametro superiore alla metà di quello della laringe.
TECNICA DI RIPRESA DI RADIOGRAFIE TORACICHE OTTIMALI La radiologia diagnostica è un mezzo estremamente valido, probabilmente il più importante nella diagnosi delle malattie del torace. Di solito fornisce informazioni più specifiche di quelle che si possono ottenere attraverso la raccolta dell’anamnesi e l’esecuzione dell’esame clinico. È relativamente poco costosa, di rapida esecuzione e capace di fornire risultati utili. Le informazioni ottenute attraverso le radiografie sono importanti per stilare un elenco delle possibili diagnosi differenziali. Anamnesi e riscontri clinici associati alle malattie del torace possono essere ambigui. Di conseguenza, le indicazioni per l’esame radiografico di questa regione anatomica (per cause non cardiache) possono essere numerose e varie. 20
Alcune indicazioni per l’esame radiografico del torace sono rappresentate da: Tosse Dispnea Lesioni post-traumatiche Preanestesia geriatrica Postoperatorio Disfunzioni della deglutizione Valutazione dell’ipertiroidismo Controllo di metastasi
È importante conoscere i fattori che entrano in gioco per la produzione di una radiografia di buona qualità, perché il valore diagnostico di un’immagine scadente può essere limitato o portare a conclusioni non corrette.
I comuni errori che incidono sulla qualità sono rappresentati da: Mancata ripresa dell’intero torace sulla pellicola Torace non centrato sulla pellicola Ripresa non effettuata durante l’inspirazione Cattivo posizionamento del paziente Movimento del paziente Tecnica non appropriata (mAs, kVp) Esposizione non abbastanza breve Errori di sviluppo della pellicola Ambiente inadatto alla valutazione delle radiografie
Nell’immagine radiografica deve essere presente l’intero torace, dal suo ingresso al diaframma completo. La radiografia deve anche comprendere il tratto caudale della trachea cervicale. Durante l’esposizione, le immagini in proiezione laterolaterale devono essere centrate sul margine caudale della scapola. Bisogna accertarsi che l’animale sia disteso. Nelle radiografie in proiezione laterolaterale, il metodo migliore per ottenere questa posizione è tenere la colonna vertebrale e lo sterno paralleli ed equidistanti dal tavolo. Allo scopo, risulta utile l’inserimento di uno spessore al di sotto dello sterno. Gli artefatti riferibili ad un posizionamento obliquo costituiscono un’evenienza comune e possono conferire al cuore un aspetto falsamente ingrossato, nonché determinare ombre polmonari che possono essere causa di confusione. Il posizionamento corretto deve anche prevedere l’estensione degli 21
arti anteriori in avanti, lontano dal torace e paralleli fra loro. Nelle proiezioni laterolaterali la testa deve essere in posizione normale. La flessione della testa e del collo spesso causa una deviazione della trachea toracica che è motivo di confusione. Non si deve stirare il corpo dell’animale, perché ciò causa una distorsione del torace. I segni radiografici del cattivo posizionamento nelle radiografie in proiezione laterolaterale sono rappresentati da mancanza di sovrapposizione delle giunzioni costocondrali, archi dorsali delle costole non allo stesso livello su ciascun lato e corpi vertebrali toracici non visualizzati singolarmente e distintamente. Per ottenere un posizionamento cardiaco più costante si preferisce utilizzare il decubito laterale destro. Quello sul lato sinistro comporta una maggiore variabilità della posizione del cuore, ma risulta utile per valutare i pazienti con lesioni sospette o discutibili del polmone di destra. I segni radiografici del cattivo posizionamento nelle proiezioni ventrodorsali o dorsoventrali sono rappresentati da mancata sovrapposizione di colonna vertebrale e sterno, assenza di simmetria delle cartilagini costali, processi spinosi che non si presentano come radiopacità ovali sovrapposte al centro dei corpi vertebrali e costole controlaterali di lunghezza differente. Il posizionamento obliquo, anche se valido per la valutazione delle lesioni extrapleuriche o della parete toracica, può causare artefatti che sono motivo di confusione, come simulare uno spostamento mediastinico o conferire una forma anomala al cuore. Nelle radiografie in posizione dorsoventrale (DV) la posizione cardiaca è più costante, la ventilazione polmonare è più uniforme, specialmente a livello del tratto caudodorsale dei polmoni, e lo stress per i pazienti con compromissione respiratoria è minore. In queste immagini possono sfuggire alla visualizzazione le piccole lesioni localizzate nelle parti più ventrali del lobo polmonare medio di destra e della parte caudale di quello craniale di sinistra. Nelle radiografie ventrodorsali (VD) la posizione cardiaca è meno costante ed il cuore sembra più lungo. Queste immagini sono utili per la valutazione del cuore quando sono presenti volumi limitati di liquido pleurico. Questo si sposta verso le aree più declivi (doccia paravertebrale) e non delinea la silhouette cardiaca (scomparsa dei margini). Il più comune errore responsabile della ripresa di radiografie toraciche di scarsa qualità è il movimento dell’animale durante l’esposizione. Ciò può essere dovuto al fatto che il paziente si oppone al contenimento oppure dipendere dalla respirazione o dal battito cardiaco (questo annebbiamento delle immagini può causare interpretazioni errate). È preferibile utilizzare un tempo di esposizione breve (< 1/30 di secondo; l’ideale è 1/60) per evitare i movimenti. 22
Tenere chiuse la bocca e le narici degli animali può consentire di ottenere un periodo di immobilità di breve durata. Ciò risulta particolarmente utile nei soggetti che presentano polipnea o respirano molto rapidamente. Altri accorgimenti utili per ridurre il tempo di esposizione sono rappresentati dall’impiego di pellicole a terre rare, schermi di rinforzo più rapidi ed apparecchi radiografici che consentano esposizioni brevi (si possono ottenere valori minori di mAs aumentando i kVp del 15% e dimezzando i mAs). L’uso di valori elevati di kVp e bassi di mAs consente di ottenere radiografie ad elevata latitudine/basso contrasto (lunga scala di contrasto) ideali per l’esame del torace (il che permette di valutare strutture come i piccoli vasi polmonari). L’autore raccomanda l’uso di valori di kVp > 80 (l’ideale è 100). Quando lo spessore del paziente è superiore a 10 cm è importante utilizzare una griglia per ridurre la diffusione. È possibile effettuare una valutazione dell’adeguata penetrazione nelle radiografie ventrodorsali o dorsoventrali basandosi sulla debole visualizzazione della colonna vertebrale attraverso la silhouette cardiaca (gli spazi discali intervertebrali devono essere appena visibili attraverso l’ombra del cuore) e dei processi spinosi dorsali delle vertebre toraciche craniali nelle immagini in proiezione laterolaterale (le vertebre toraciche craniali devono essere moderatamente sottoesposte e quelle mediotoraciche si devono vedere facilmente). Anche le costole risultano scarsamente visualizzate in corrispondenza della silhouette cardiaca. I campi polmonari periferici non devono essere sovraesposti (per evitare questo problema è possibile utilizzare una tecnica basata sull’uso di valori di kVp elevati/bassi di mAs). Le radiografie del torace vanno riprese durante il picco dell’inspirazione, tranne poche eccezioni (massimo rapporto aria/tessuto, il contrasto che consente di visualizzare le strutture intratoraciche). La chiave per ottenere l’esposizione al momento della massima inspirazione è quella di scattare la radiografia mentre l’animale sta inspirando. Non bisogna attendere che abbia raggiunto la massima inspirazione, perché di solito a questo punto è troppo tardi. La radiopacità polmonare varia e la posizione delle strutture toraciche è in gran parte influenzata dallo stadio della respirazione. Queste differenze possono eguagliare o simulare quelle causate da fenomeni patologici. Le immagini espiratorie possono talvolta essere utili per rilevare il collasso dinamico della trachea intratoracica o dei bronchi. È possibile evidenziare un grado limitato di pneumotorace e dimostrare l’intrappolamento dell’aria nei polmoni. 23
Radiografie in proiezione laterolaterale riprese in inspirazione o espirazione Proiezione laterolaterale
Inspirazione
Espirazione
Radiotrasparenza polmonare
Aumentata
Diminuita
Radiotrasparenza retrosternale
Aumentata (sollevamento del cuore)
Diminuita (aumento del contatto del cuore con lo sterno)
Cupola polmonare
Polmone visibile fino al manubrio
Indistinta
Regione polmonare dorsale
Buona visualizzazione
Visualizzazione indistinta
Diaframma
Appiattito (caudalmente a T12)
Arrotondato (cranialmente a T11)
Cuore
Diminuito contatto con il diaframma
Sovrapposizione con il diaframma
Lobo polmonare accessorio destro
Radiotrasparente (aumento dello spazio fra cuore, vena cava caudale e diaframma)
Indistinto (diminuzione dello spazio fra cuore, diaframma e vena cava caudale)
Vena cava caudale
Parallela
Inclinata (direzione cranioventrale – caudodorsale)
Radiografie ventrodorsali o dorsoventrali inspiratorie ed espiratorie Proiezione VD/DV
Inspirazione
Espirazione
Radiopacità polmonare
Trasparente
Indistinto
Rapporto cuore/torace Dimensioni del cuore Ampiezza toracica
Diminuito Aumentato
Aumentato Diminuito
Lunghezza toracica
Aumentata
Diminuita
Diaframma
Caudalmente all’8° costola A forma di cupola Separato dal cuore
Cranialmente all’8° costola Con incisure Sovrapposto al cuore
24
Nella figura che segue è illustrato il corretto posizionamento del paziente sulla cassetta o all’interno del collimatore. Posizionamento della cassetta radiografica per l’esecuzione di riprese toraciche in proiezione dorsoventrale e laterolaterale Per utilizzare la tecnica corretta è importante effettuare misurazione appropriate. Queste vanno eseguite sulla base della figura che segue. Misurazione per la ripresa delle radiografie DV o VD
laterolaterale
INTERPRETAZIONE ED ASPETTO DELLE RADIOGRAFIE NORMALI DEL TORACE Se si è in grado di descrivere accuratamente una lesione radiografica, si è anche capaci di identificare il processo patologico. Esistono tre fasi di interpretazione di una radiografia. La prima è detta fase di ricognizione, nella quale si confrontano tutte le parti dell’immagine radiografica con la normalità. Se si rileva una qualsiasi anomalia, è necessario stabilire se si tratta di una variante normale, un artefatto o l’effetto di un posizionamento non corretto del paziente. La seconda fase è quella descrittiva. In essa si descrive il modo in cui la lesione varia rispetto alla norma, considerando modificazioni di radiopacità, dimensioni, forma, profilo (margini), localizzazioni, posizione e numero. Inoltre, si descrive l’estensione della lesione (che può interessare l’intero lobo craniale del polmone sinistro o soltanto il la sua parte craniale). Infine, si descrive la distribuzione della lesione (focale, multifocale o diffusa). L’ultima fase è quella dell’analisi. Si raccolgono tutte le informazioni relative alle modificazioni radiografiche rispetto alla norma, i dati anamnestici (compreso il segnalamento del paziente) e le anomalie riscontrate nel corso dell’esame clinico per stilare un elenco delle possibili diagnosi differenziali. Quindi, si stabilisce un ordine di priorità all’interno della lista, sulla base della probabilità. A questo punto, può essere necessario raccogliere ulteriori informazioni ed eseguire altri test (radiografie, ecografia, tomografia computerizzata, analisi ematochimiche, esami colturali e prelievo di campioni bioptici/aspirati con ago sottile). Per interpretare qualsiasi immagine radiografica è necessario assicurarsi di aver valutato l’intera radiografia. Allo scopo, è necessario adottare un approc25
cio sistematico o un metodo di visualizzazione completo ed attenervisi sempre. Ciò contribuisce ad evitare di sottovalutare un’area o una modificazione significativa. L’ordine con cui si esaminano le varie strutture non è importante quanto la costanza del metodo utilizzato. Una volta osservata l’intera radiografia con queste modalità, si analizzano più a fondo tutte le aree potenzialmente alterate. Un possibile ordine di valutazione potrebbe essere Strutture extratoraciche
Tessuti molli Colonna vertebrale Sterno Costole Parte craniale dell’addome Regione cervicale caudale
Strutture toraciche
Diaframma Mediastino Spazio pleurico Trachea/bronchi Vascolarizzazione polmonare Silhouette cardiaca Parenchima polmonare
PARETE TORACICA La valutazione radiografica della parete toracica deve prendere in considerazione i tessuti molli, le costole, lo sterno e la colonna vertebrale. La parete toracica deve essere dapprima esaminata da una certa distanza per valutarne la simmetria. Lo stesso tipo di esame va effettuato per le costole. Fratture, ferite penetranti e neoplasie possono causare dislocazioni o distruzioni costali. A livello di parete toracica si devono ricercare variazioni di radiopacità (opacizzazioni o radiotrasparenze focali/diffuse). Uno dei maggiori problemi associati all’interpretazione del torace è legato ad una delle sue caratteristiche normali: le pliche cutanee. Queste possono essere confuse con margini lobari, portando alla formulazione di diagnosi errate di pneumotorace. Un modo per differenziare le pliche cutanee da altre strutture è quello di seguirle oltre i margini pleurici. Masse sottocutanee (detriti, zecche e capezzoli) possono essere ulteriore motivo di confusione nella valutazione della parete toracica e 26
del parenchima polmonare. Le varie deformazioni (scoliosi, lordosi, cifosi, pectus excavatum) hanno raramente significato clinico, ma possono causare notevoli variazioni dell’aspetto delle strutture toraciche interne. Le lesioni della parete toracica sono rappresentate da traumi (fratture, tumefazione, enfisema sottocutaneo), infezioni, degenerazioni e neoplasie. Si possono riscontrare calcificazioni bizzarre delle giunzioni costocondrali e delle cartilagini costali che non devono essere confuse con un processo patologico. Molte lesioni della parete toracica si presentano sotto forma di masse e, se si spingono all’interno della cavità, possono determinare la comparsa di un segno di massa extrapleurica: 1. Bordo convesso ben definito a ridosso della superficie polmonare 2. Margini assottigliati che si fondono nella parete toracica 3. Lesione (reazione distruttiva e/o produttiva) delle costole adiacenti Questi segni radiografici possono essere difficili da dimostrare, a meno che il fascio di raggi non sia diretto tangenzialmente sulla massa. Le modificazioni della forma normale e dell’allineamento dello sterno possono complicare la valutazione delle radiografie toraciche. A livello sternale si possono riscontrare problemi sia acquisiti che congeniti. I primi sono rappresentati da neoplasia, trauma ed infiammazione. Le condizioni congenite sono il pectus excavatum e l’assenza o l’accorciamento delle sternebre. Questi animali possono trovarsi in condizioni compromesse a causa di una concomitante malattia che altrimenti non costituirebbe un problema clinico. Un esempio di questo tipo si ha nel caso di un cane con pectus excavatum e versamento pleurico. Un limitato volume di versamento in un animale potrebbe non rappresentare un problema, ma nel soggetto con pectus excavatum il volume toracico è ridotto (dislocazione dorsale dello sterno con conseguente spostamento mediastinico, di solito a sinistra, e diminuzione del volume toracico) con compromissione clinica dell’animale. La valutazione della parete toracica e delle strutture extratoraciche deve sempre comprendere la parte craniale dell’addome e quella caudale della regione cervicale. Di solito si devono valutare le dimensioni del fegato, la distensione dell’addome, la presenza di gas libero e quella di fluido peritoneale. Nei casi di sospetta ernia diaframmatica si deve accertare, almeno parzialmente, la posizione dei visceri addominali. Nel gatto, per questa valutazione si può utilizzare anche l’aspetto del triangolo adiposo falciforme, situato appena ventralmente al fegato. Nella regione cervicale caudale è possibile esaminare trachea, esofago e tessuti molli. In questa sede si osserva comunemente il collasso tracheale dinamico extratoracico durante l’inspirazione. Qui si ha anche la formazione di diverticoli esofagei. Nei piani fasciali, in associazione con lo pneumomediastino, si può osservare la presenza di gas. 27
DIAFRAMMA La posizione del diaframma dipende dalla tensione muscolare e dalla pressione transdiaframmatica. L’organo di solito non viene visualizzato come una struttura a sé stante. La formazione radiopaca osservata (cioè quello che viene indicato come diaframma) corrisponde soprattutto alla faccia craniale del fegato. Se il diaframma si osserva come una struttura isolata, sotto forma di una banda sottile, significa che in addome è presente del gas libero (pneumoperitoneo). Il diaframma è caratterizzato da un aspetto ampiamente variabile, che cambia per effetto della respirazione, del posizionamento (proiezioni DV, VD, laterolaterale destra o sinistra, oblique), dell’obesità, della sede e del grado della distensione gastrica e dei disordini addominali. È necessario studiare con la massima cura ogni anomalia per valutarne la riproducibilità. Nel gatto, è possibile osservare il tamponamento del diaframma, soprattutto quando i polmoni sono iperinsufflati (bronchite allergica felina). L’asimmetria diaframmatica si osserva meglio nelle immagini radiografiche in proiezione dorsoventrale e di solito viene rappresentata sotto forma di un emidiaframma rilevato o depresso. Le cause di rilevamento dell’emidiaframma sono la perdita di volume monolaterale (atelettasia, lobectomia), il dolore, le aderenze pleuriche, la dislocazione determinata da strutture addominali e la paralisi diaframmatica (paralisi frenica). La depressione del diaframma può essere dovuta ad insufflazione polmonare monolaterale, masse intratoraciche e pneumotorace iperteso. Variazioni dell’aspetto del diaframma Modificazioni di posizione
Variazioni di forma (asimmetria)
28
Dislocazione craniale
Espirazione Affezioni addominali (organomegalia, masse, versamenti, gravidanza) Obesità Collasso lobare (atelettasia) Paralisi del diaframma
Dislocazione caudale
Inspirazione Pneumotorace Difficoltà respiratoria (enfisema, bronchite allergica del gatto, acidosi metabolica) Ernia diaframmatica Ernia peritoneopericardica Masse toraciche Affezioni pleuriche Masse diaframmatiche Masse, corpi estranei o dilatazioni dell’esofago Anomalie sternali (pectus)
La mancata visualizzazione del diaframma può essere dovuta a scomparsa del bordo o rottura. La scomparsa del bordo può essere secondaria ad una trama alveolare dei lobi polmonari caudali o ad un versamento pleurico. La rottura del diaframma o l’ernia diaframmatica si può avere come conseguenza di un trauma oppure essere di origine congenita, ad esempio iatale o peritoneopericardica. I segni radiografici dell’ernia diaframmatica traumatica sono rappresentati da interruzione del profilo della cupola (incompleta visualizzazione del diaframma), dislocazione dei visceri addominali (presenza di strutture addominali nel torace; possono essere utili le radiografie addominali), versamento pleurico e/o masse patologiche toraciche che possono contenere raccolte chiuse di gas, ± fratture costali e spostamento del mediastino. Il versamento pleurico può essere asimmetrico. Gli organi erniati irregolari possono comprimere il polmone su uno dei lati. Gli spazi fra i polmoni e gli organi vengono occupati da fluidi, che mascherano gli organi stessi. Ulteriori studi che possono essere utili per la diagnosi dell’ernia diaframmatica sono le radiografie addominali, l’esame contrastografico del tratto superiore dell’apparato digerente, la peritoneografia con mezzo di contrasto positivo e la ripresa di radiografie in più posizioni. Le possibili diagnosi differenziali della perdita del profilo diaframmatico sono rappresentate da presenza di fluidi o masse a livello pleurico e radiopacità mediastiniche o polmonari. Si possono avere anche ernie congenite, di tipo peritoneopericardico o pleuroperitoneali. Le alterazioni radiografiche sono rappresentate da presenza di visceri addominali nel sacco pericardico, ingrossamento ed arrotondamento della silhouette cardiaca (non di tutto il cuore), aspetto indistinto del tratto ventrale del profilo diaframmatico, confluenza della silhouette cardiaca e di quella diaframmatica e residui mesoteliali.
MEDIASTINO Il mediastino è un comparto organico o spazio virtuale fra cavità pleuriche delineato su ciascun lato dalla pleura (pleura mediastinica). Si tratta di un’area anatomica nebulosa, che può essere difficile da valutare a causa della mancanza di qualsiasi radiopacità tissutale che funga da mezzo di contrasto. La diagnosi radiografica delle malattie può essere difficile a causa: 1) del numero di organi visualizzati in modo incompleto (assenza di radiopacità tissutali di contrasto) 2) della sovrapposizione della colonna vertebrale nelle immagini in proiezione ventrodorsale/dorsoventrale 3) del normale accumulo di grasso nel mediastino. 29
Il mediastino si estende in senso dorsoventrale e dall’ingresso del torace sino al diaframma. Nelle immagini in proiezioni laterolaterale è possibile visualizzare un’area fluida opaca fra l’ingresso del torace e la biforcazione della trachea e fra il margine ventrale della colonna vertebrale ed il tratto situato appena ventralmente alla trachea. Si tratta del mediastino craniodorsale, che contiene numerose strutture importanti quali trachea, esofago, cuore, grossi vasi (aorta, vena cava craniale), dotto toracico e nervi principali, linfonodi e timo (animali giovani). Il mediastino si osserva male come struttura distinta nelle radiografie in proiezione laterolaterale. Comunica cranialmente con i piani fasciali del collo e caudalmente con lo spazio retroperitoneale (attraverso gli iati aortici ed esofagei). Queste vie possono essere evidenziate quando si sviluppa uno pneumomediastino secondario ad enfisema sottocutaneo o viceversa. Potenzialmente, anche le infezioni possono seguire questa via. Nel cane e nel gatto, la metà ventrale del mediastino è fenestrata. Non comunica con lo spazio pleurico. Divide in modo incompleto il torace in due metà, destra e sinistra. È suddiviso anatomicamente nelle porzioni craniale, media e caudale. Esistono tre ripiegamenti mediastinici: 1) Cranioventrale – verso sinistra fino ad accogliere il lobo polmonare craniale destro attraverso la linea mediana. È piegato dalla linea mediana all’emitorace medio-sinistro. Si presenta sotto forma di una sottile linea opaca dovuta alla presenza di grasso o timo negli animali giovani. 2) Caudoventrale – verso sinistra fino ad accogliere il lobo polmonare accessorio. Si presenta sotto forma di una linea radiopaca che si estende caudolateralmente dall’apice del cuore al diaframma. Può apparire normalmente ampliato per la presenza di grasso. 3) Caudale mediotoracico – verso destra ad accogliere la vena cava caudale. Nelle immagini radiografiche in proiezione dorsoventrale, si evidenziano i margini craniale e caudoventrale del mediastino. Nel cane e nel gatto, lo spessore normale della parte craniale è pari a 1,5-2 volte l’ampiezza dei corpi vertebrali. Il mediastino deve presentare margini lisci, piuttosto diritti. Nel cane, la porzione craniale è frequentemente ispessita per l’accumulo di grasso; nel gatto, questa evenienza si osserva con frequenza molto minore. L’ampliamento del mediastino craniale negli animali giovani (< 1 anno) è di solito dovuto all’ombra del timo (segno della vela). In condizioni normali, non risultano evidenziabili l’esofago, le pareti tracheali esterne, le principali suddivisioni dell’aorta, la vena cava craniale e la vena azigos; la loro visualizzazione indica la presenza di gas all’interno del mediastino (pneumomediastino). L’esofago si può identificare anche in assenza di gas circostante se contiene gas o materiali (fluidi, cibo, bario). 30
SPOSTAMENTO DEL MEDIASTINO Gli emitoraci destro e sinistro hanno essenzialmente le stesse dimensioni nelle immagini radiografiche ventrodorsali/dorsoventrali. Qualsiasi differenza da questo punto di vista è riferibile ad uno spostamento mediastinico. Ciò può essere dovuto ad un’insufflazione non uniforme dei polmoni (destro rispetto al sinistro, ad esempio) causata da un incremento o una diminuzione monolaterale del volume polmonare o ad un innalzamento o un calo monolaterale della pressione intratoracica. Uno spostamento mediastinico può essere indicativo di malattie a carico di organi quali polmoni, bronchi, parete toracica, pleura. A queste condizioni può essere associato un aspetto normale del diaframma che causa uno spostamento mediastinico. Quest’ultimo si riconosce sulla base della dislocazione delle principali strutture mediastiniche (silhouette cardiaca, trachea) da un lato verso l’altro. Cause di spostamento del mediastino Ostruzione bronchiale Atelettasia Enfisema disuguale Masse polmonari Pneumotorace Versamento pleurico Masse della parete toracica (delle pleure) Aderenze (affezioni pleuriche di vecchia data) Ernia diaframmatica Anomalie di conformazione (pectus)
PNEUMOMEDIASTINO Lo pneumomediastino è indicato dall’aumento della visualizzazione delle strutture contenute nel setto (diventano visibili strutture che in condizioni normali non si vedono). Radiograficamente, attraverso lo pneumomediastino è possibile visualizzare strutture mediastiniche quali esofago, aorta, vena azigos e vena cava craniale. È anche possibile osservare la superficie interna ed esterna della trachea (stria tracheale). Infine, si possono vedere l’enfisema sottocutaneo e lo pneumoretroperitoneo. Il gas proveniente da uno pneumomediastino può determinare una dissezione secondaria penetrando nei piani fasciali profondi della regione cervica31
le e da qui raggiungere il tessuto sottocutaneo. Può anche passare nello spazio retroperitoneale, attraverso lo iato aortico. Quello proveniente da uno pneumomediastino può infine determinare uno pneumotorace secondario. È necessario essere consapevoli del fatto che un esofago disteso dal gas può ricadere sulla trachea e, raramente, sui grossi vasi, dando la falsa impressione di uno pneumomediastino. Cause di pneumomediastino Ferite dei tessuti molli, specialmente nell’area del collo e al di sopra delle spalle (fra le scapole)/ferite da morso Trauma (rottura) della trachea o della laringe, con infiltrazione dell’aria lungo la guaina tracheale Rottura di bronchi o alveoli con infiltrazione dell’aria lungo gli spazi perivascolari o peribronchiali sino all’ilo polmonare Lacerazione esofagea con infiltrazione dell’aria (corpo estraneo o neoplasia) Secondario a presenza di aria nel retroperitoneo Mediastinite enfisematosa (microrganismi gas-produttori)
MASSE MEDIASTINICHE Il mediastino deve anche essere esaminato per rilevare la presenza di allargamenti diffusi o focali che possono indicare un processo infiltrante o una massa patologica. L’allargamento diffuso del mediastino, la sua perdita di distinzione o la cancellazione dei margini delle strutture in esso contenute ed il restringimento o la dislocazione della trachea si possono osservare in caso di accumulo di liquido (mediastinite, emorragia-coagulopatia, trauma). Le masse mediastiniche si osservano comunemente nel cane e nel gatto e si presentano sotto forma di radiopacità toraciche in prossimità della linea mediana e, spesso, causano la dislocazione delle strutture adiacenti. Se una massa si viene a trovare a contatto di una struttura mediastinica, si avrà la scomparsa dei suoi margini. Le masse mediastiniche sono spesso suddivise in base alla loro localizzazione in cranioventrali, craniodorsali, perilari, caudoventrali e caudodorsali. Le modificazioni radiografiche associate alla presenza di masse mediastiniche sono rappresentate da aumento della radiopacità o opacizzazione del tratto craniale del torace (mediastino), dislocazione delle strutture mediastini32
che normali (spostamento e/o compressione della trachea e/o dell’esofago; può essere utile l’esofagografia), ampliamento del mediastino e perdita di distinzione dei margini mediastinici. Le possibili diagnosi differenziali e le lesioni che possono essere motivo di confusione simulando un’affezione mediastinica sono rappresentate da presenza del timo normale negli animali giovani, obesità, masse polmonari (in particolare, a livello delle estremità craniali dei lobi polmonari craniali ed accessori di sinistra e di destra) ed edema perilare. Masse mediastiniche Regione
Strutture normali
Cranioventrale
Timo Linfonodi
Malattie
Linfoadenopatia (da linfosarcoma, reattiva), ascessi, timoma, tiroide ectopica, ematoma, granuloma, obesità
Craniodorsale
Arco aortico Vena cava craniale Linfonodi Trachea Esofago
Masse, corpi estranei o dilatazioni esofagee, masse della base del cuore, timoma, tumore neurogeno (paraspinale), ematoma, linfoadenopatia, stenosi aortica, dotto arterioso persistente
Perilare
Linfonodi Base del cuore Radice dei vasi principali
Linfoadenopatia, ingrossamento dell’atrio sinistro, masse, corpi estranei o dilatazioni esofagee, dilatazione poststenotica (PA), masse della base del cuore o dell’atrio destro
Caudodorsale
Esofago
Masse, corpi estranei o dilatazioni esofagee, ernia iatale, ernia diaframmatica, Spirocerca lupi, aneurisma aortico, intussuscezione gastroesofagea
Caudoventrale
Vena cava caudale
Ernia diaframmatica (peritoneopericardica), ascessi mediastinici, granuloma o ematoma
PLEURA E SPAZIO PLEURICO Lo spazio pleurico è uno spazio virtuale fra la pleura viscerale (polmonare) e quella parietale (costale, mediastinica e diaframmatica). Il polmone rimane insufflato ed occupa lo spazio pleurico invece di esercitare le sue nor33
mali proprietà di retrazione elastica a causa della tensione superficiale del liquido pleurico e della pressione subatmosferica presente nel torace. In condizioni normali, gli spazi pleurici (di sinistra e di destra) non risultano visualizzabili radiograficamente, anche se è presente una ridotta quantità di fluidi che agisce da lubrificante riducendo la frizione fra le superfici. Di solito, questi spazi comunicano reciprocamente, ma non con altri comparti dell’organismo, attraverso delle fenestrazioni del mediastino. Le fessure interlobari sono delle riflessioni della pleura viscerale sui lobi polmonari che in condizioni normali non sono visibili. Per poter visualizzare radiograficamente la pleura, è necessario che siano soddisfatti tre criteri: 1) proiezione della pleura all’estremità (fascio di raggi tangenziale che colpisce il margine della pleura) 2) ispessimento della pleura o aumento del liquido pleurico presente 3) polmoni adiacenti ben aerati per delineare per contrasto la pleura Di solito, non si osservano le scissure pleuriche, perché il fascio di raggi colpisce il margine della sierosa in modo obliquo. Quando sono presenti, queste strutture appaiono come linee molto sottili e nette in sedi tipiche. È più comune osservare le fessure interlobari negli animali anziani, secondariamente all’ispessimento della pleura (modificazione legata all’invecchiamento). Nelle immagini radiografiche dorsoventrali, si possono osservare le scissure interlobari fra il lobo craniale destro e quello medio e fra quest’ultimo e quello caudale. Le scissure interlobari del lato sinistro si visualizzano raramente. Quelle nelle radiografie in proiezione laterolaterale di solito si osservano sovrapposte al cuore, fra il lobo polmonare medio di destra e quello caudale, e dorsalmente, fra la parte craniale e quella caudale del polmone. La radiologia ha un ruolo estremamente importante nella valutazione delle affezioni pleuriche; consente infatti di individuarle, localizzarle, stimare il volume, la distribuzione o la motilità dell’aria o del fluido, inserire un ago per toracentesi e valutare le malattie associate (della parete toracica, polmonari, mediastiniche e diaframmatiche). Le affezioni pleuriche sono distinte in due ampie categorie: 1) quelle che aumentano la radiopacità dello spazio pleurico (versamenti o masse patologiche), 2) quelle che diminuiscono la radiopacità dello spazio pleurico (pneumotorace).
VERSAMENTO PLEURICO A livello della pleura parietale si ha normalmente una produzione di fluido che viene immesso nello spazio pleurico ed assorbito in corrispondenza della pleura viscerale ad opera dei capillari e dei vasi linfatici per effetto di un 34
gradiente pressorio idrostatico (la pleura parietale è vascolarizzata dall’apporto ematico sistemico, ad alta pressione, e quella viscerale dal sistema polmonare, a bassa pressione). Esistono numerose cause di versamento pleurico: aumento della pressione venosa sistemica e linfatica, bassa pressione colloidosmotica, aumento della pressione capillare da neoplasia, infezione o trauma ed incarceramento del fegato in un’ernia diaframmatica. Il versamento pleurico può essere distinto in libero, intrappolato ed incapsulato. I fluidi liberi si muovono fra gli spazi pleurici di destra e di sinistra, con una localizzazione che dipende dalla gravità, e non è possibile differenziare il tipo di liquido presente senza ricorrere alla toracentesi. I fluidi intrappolati tendono a restare localizzati in una determinata parte dello spazio pleurico, ma sono ancora in grado di muoversi sotto l’influenza della gravità. Si trovano comunemente intorno al polmone medio di destra, attorno ad ogni tratto polmonare colpito da una patologia che non sia insufflato al massimo e fra il polmone ed il diaframma o fra il polmone ed il cuore. I fluidi incapsulati sono raccolte loculate con depositi fibrinosi o aderenti e non possono essere spostati per gravità. Il tipo di versamento pleurico di solito non influisce sul quadro di distribuzione. Lo scopo dell’esame radiografico nel versamento pleurico è quello di confermare la presenza del liquido, stimarne la quantità (per determinarne il trattamento ed il successo della terapia) e cercare di identificarne l’eziologia. È possibile che un volume limitato di fluido non venga rilevato. Di solito occorrono più di 100 ml per individuare un versamento in un cane di media taglia ed anche così la presenza del liquido si può individuare soltanto utilizzando appositi studi in particolari posizioni. Quando è presente in volume limitato, il liquido si osserva di solito inizialmente nel recesso mediastinico ed a livello degli angoli costofrenico e cardiofrenico. Inoltre, le piccole quantità di fluido vengono meglio visualizzate durante l’espirazione, nelle proiezioni dorsoventrali, in decubito laterale o in stazione eretta con fascio orizzontale. L’accumulo di un versamento pleurico di maggiori dimensioni conferisce un aspetto dentellato alle porzioni ventrali del torace e determina la retrazione dei margini lobari con visualizzazione delle scissure interlobari che si allargano verso la periferia, la cancellazione dei margini o la comparsa di una silhouette cardiaca positiva a livello del diaframma, e la separazione del cuore e dello sterno (non osservato a causa della formazione della silhouette) con dislocazione dorsale della biforcazione della trachea e della trachea stessa. Spesso è utile la ripresa di immagini in particolari posizioni (DV/VD, a fascio orizzontale) per distinguere se il fluido è mobile e per valutare le strutture che non si osservano a causa della formazione della silhouette. Si osserva l’arrotondamento dell’angolo costofrenico nella proiezione dorsoventrale o l’ampliamento del mediastino craniale e caudale, specialmente in proiezione dorsoventrale. Il fluido si accumula intorno al cuore, al mediastino craniale, ai lobi pol35
monari craniali, alla parte ventrale del diaframma nelle proiezioni dorsoventrali che ne mascherano i bordi, mentre in quelle ventrodorsali si accumula sulla faccia dorsocaudale del torace, consentendo una migliore visualizzazione di queste strutture. Si raccomanda la ripetizione dell’esame radiografico dopo la rimozione del fluido (è possibile determinare l’eziologia del liquido presente – cardiomegalia, massa mediastinica, massa o torsione polmonare). I versamenti pleurici monolaterali o asimmetrici sono meno comuni. Le cause sono rappresentate da differenze nella compliance polmonare, chiusura della fenestrazione mediastinica (dovuta a infiammazione cronica – piotorace, chilotorace, emotorace, e presenza (congenita) di un mediastino anatomicamente completo). Può essere più comune nel piotorace nel gatto. Il tipo di fluido presente non può essere stabilito attraverso l’esame radiografico. Nell’elenco delle possibili diagnosi differenziali si deve sempre inserire l’ernia diaframmatica, per evitare di dimenticarsi di ricercarla. Segni radiografici del versamento pleurico Visibilità delle scissure interlobari (ampliamento delle scissure – più ampie alla periferia che al centro) Ingrossamento ed aumento della radiopacità dello spazio pleurico (separazione fra pleura viscerale e parietale) Diminuzione delle dimensioni del parenchima polmonare (atelettasia parziale/i lobi polmonari più piccoli collassano per primi ed in modo più accentuato – lobo medio di destra) Aumento della radiopacità dei polmoni da sovrapposizione di fluido Aumento della radiopacità dei fluidi dorsalmente allo sterno (polmoni scostati dallo sterno - margine dentellato) e ventralmente alla colonna vertebrale Angoli costofrenici smussati (nelle radiografie ventrodorsali) Cancellazioni del bordo del cuore e del diaframma (eventualmente dell’aorta nelle immagini ventrodorsali) Man mano che il volume del fluido aumenta, il diaframma si appiattisce Il recesso mediastinico si allarga
Tipi di versamento pleurico Idrotorace
Insufficienza cardiaca, ipoalbuminemia (sindrome nefrosica, enteropatia proteinodisperdente, insufficienza epatica cronica), torsione di un lobo polmonare, ernia diaframmatica
Emotorace
Trauma, coagulopatia, neoplasia Essudato (piotorace, empiema) FIP, ascessi polmonari, polmonite
36
Chilotorace
Trauma, insufficienza cardiaca, neoplasia, congenita
Neoplastico
Neoplasia
Accumulo di fluidi nelle diverse posizioni Ventrodorsale
Angoli costofrenici smussati, il mediastino sembra più ampio (il fluido riempie le docce paravertebrali)
Dorsoventrale
Scomparsa dei margini del cuore, presenza di fluidi nella scissura fra il lobo caudale sinistro e la parte caudale del lobo craniale sinistro.
Laterolaterale
Si visualizza dapprima ventralmente e cranialmente (la parte caudale del polmone collassa meno facilmente), con un aumento del volume osservato intorno al tratto caudale del polmone
Esistono numerose situazioni capaci di simulare l’aspetto e le caratteristiche diagnostiche di un versamento pleurico, quali inspirazione incompleta, ispessimento pleurico (animali anziani), presenza di grasso retrosternale (che ricopre l’apice cardiaco e solleva il cuore e copre il cuore destro nelle radiografie in proiezione dorsoventrale), grasso mediastinico (ampliamento del mediastino), masse mediastiniche (ampliamento del mediastino), grasso sottopleurico (retrazione del polmone/parete toracica), aspetto inusuale della parete toracica (bassett), ernia diaframmatica ed epatizzazione polmonare (lobare). Le radiografie riprese a fascio orizzontale sono utili per la valutazione del liquido pleurico. La proiezione meno stressante è quello laterolaterale in stazione. In queste immagini si può osservare un livello di fluido mal definito. Questo livello non si osserva affatto nelle radiografie riprese in decubito laterale. In presenza di liquidi e aria liberi nello spazio pleurico (idropneumotorace), si può osservare nelle immagini riprese in proiezione laterolaterale in stazione una linea fluida ben definita. Questa condizione può essere dovuta a traumi (pneumoemotorace), infezioni (da rottura di un ascesso polmonare) o cause iatrogene (dopo toracentesi di un versamento pleurico).
MALATTIE EXTRAPLEURICHE L’estensione intratoracica delle strutture che originano da pleura, costole e tessuto intercostale (subpleurico) può determinare la comparsa di un cosid37
detto segno extrapleurico. Queste lesioni vanno differenziate dalle masse polmonari sia a fini diagnostici che terapeutici. Il tipo più comune di massa extrapleurica è il tumore costale, per cui si osservano frequentemente lisi e reazione periostale lungo le costole. Lo spazio pleurico solitamente non è coinvolto. Il profilo della massa è in genere ben definito e netto, perché è ricoperto dalla pleura. La neoformazione si accresce come una sfera, per cui la superficie che si proietta verso il polmone appare convessa. I margini craniale e caudale della massa sono di solito affusolati o possono apparire concavi. I diametri longitudinali e trasversali della massa possono essere quasi identici. Il punto più ampio si trova di solito in posizione opposta all’inserzione sulla parete corporea. L’aspetto radiografico si apprezza meglio con il fascio di raggi diretto tangenzialmente alla base della struttura. Deve esistere una dislocazione assiale su ampia base della pleura parietale.
PNEUMOTORACE Col termine di pneumotorace si indica la presenza di aria all’interno dello spazio pleurico. L’esame radiografico è utile non solo per la diagnosi della condizione, ma anche come guida per stabilirne la gravità (se ricorrere o meno alla toracentesi), valutare se esistano altri problemi polmonari (contusioni, bolle, polmonite, traumi della parete toracica) o stabilirne l’eziologia. Lo pneumotorace può essere suddiviso in quattro classificazioni diverse: 1) Aperto – un tratto di parete corporea consente la libera comunicazione fra atmosfera e spazio pleurico. La pressione intrapleurica è minore di quella atmosferica. 2) Chiuso – dovuto ad una ferita del parenchima polmonare. 3) Semplice – l’aria penetra nello spazio pleurico durante l’inspirazione e fuoriesce con l’espirazione. La pressione nello spazio pleurico è inferiore a quella atmosferica. 4) Iperteso – è presente una ferita che agisce da lembo valvolare a senso unico. L’aria penetra nello spazio pleurico durante l’inspirazione e vi rimane intrappolata. La pressione intrapleurica è superiore a quella atmosferica.
Eziologie dello pneumotorace Iatrogeno
Toracentesi
Traumatico
Lesioni di trachea, parete corporea, polmone
Spontaneo
Rottura di cisti polmonari (Paragonimus), ascessi, tumori cavitari, polmonite
Le alterazioni radiografiche in caso di pneumotorace sono rappresentate 38
da: retrazione dei margini lobari, opacizzazione della parte periferica dei polmoni inferiore a quella polmonare, radiotrasparenza periferica priva di caratteristiche broncovascolari (utilizzare uno spot), silhouette cardiaca separata (scostata) dallo sterno. È possibile dimostrare l’eziologia della condizione (traumi, vescicole, bolle polmonari). Risulta molto importante riconoscere un eventuale pneumotorace iperteso; radiograficamente, è possibile osservare, in aggiunta a quanto precedentemente descritto, marcata atelettasia, spostamento mediastinico e depressione del diaframma. Le alterazioni si osservano più facilmente nelle immagini in proiezione dorsoventrale e in quelle riprese durante l’espirazione. Le anomalie secondarie possono essere rappresentate da atelettasia o modificazioni da contusioni osservate in caso di trauma. La diagnosi differenziale deve comprendere pliche cutanee, iperinsufflazione polmonare (soprattutto nelle razze canine a torace profondo) ed ipervascolarità del campo polmonare. Le radiografie riprese con il fascio di raggi orizzontale e l’animale in decubito laterolaterale possono consentire di identificare la presenza di una raccolta di aria al di sotto della parete toracica situata più in alto.
PARENCHIMA POLMONARE L’esame radiografico dei polmoni può contribuire a confermare le affezioni polmonari, valutare la gravità e la cronicità della malattia, stabilirne l’eziologia, dimostrarne la localizzazione, evidenziare le alterazioni polmonari associate e stimarne la progressione o regressione. La radiopacità complessiva del polmone dipende dal rapporto fra l’aria presente negli alveoli ed i bronchi ed i tessuti molli fra i vasi e l’interstizio. Qualsiasi processo che modifichi questo rapporto altera anche l’aspetto dei polmoni. Le componenti polmonari sono rappresentate da vie aeree o alveoli, vasi, interstizio (vasi linfatici, rete di sostegno per le strutture vascolari e bronchiali, setti alveolari), e bronchi. La radiopacità polmonare può essere aumentata da condizioni diverse dalla patologia riscontrata, quali scarsa inspirazione, grave obesità, sottoesposizione ed età avanzata. Descrizione delle lesioni polmonari Numero
singole, multiple
Estensione
localizzate, disseminate, diffuse
Localizzazione
centrale (perilare), media, periferica
Aspetto radiografico
alveolare, interstiziale, peribronchiale, vascolare, misto
Marginazione
ben definita, mal definita
39
Forma
arrotondata, irregolare, nodulare, cotonosa
Qualità
omogenea, disomogenea, cavitaria, solida, mineralizzazione
Lesioni associate
della parete toracica, dell’addome, del mediastino, della pleura, del diaframma, del cuore
Radiopacità
aumentata, diminuita, normale, da artefatto (in aumento o in diminuzione)
Radiopacità polmonare Ridotta
Enfisema Ipoperfusione (shunt da destra a sinistra, ipovolemia) Magrezza, emaciazione Sovraesposizione Eccessivo sviluppo Intrappolamento dell’aria (piccolo calibro, ostruzione delle vie aeree superiori) Pneumotorace Lesioni focalmente cistiche, similcistiche o cavitarie
Aumento
Affezione generalizzata del parenchima Affezione focale del parenchima Iperperfusione (shunt da sinistra a destra, malattia da gittata elevata) Obesità Forma espiratoria Sottoesposizione Insufficiente sviluppo
Il migliore approccio all’interpretazione delle anomalie del parenchima polmonare consiste nel definire la porzione anatomica (componente – alveolare, interstiziale, peribronchiale/bronchiale, vascolare) del polmone coinvolto dalla malattia e definire il quadro di distribuzione. A questo punto, basandosi sulle correlazioni fra la patologia radiologica nota ed altre modificazioni rilevate con i metodi clinici, anamnestici, ematologici e biochimici, è possibile stilare un elenco di diagnosi differenziali. Così si può prendere una decisione relativa al ciclo di trattamento da avviare per cercare di chiarire in modo 40
più definito il processo patologico. Le affezioni polmonari focali radiograficamente sono spesso simili al loro aspetto patologico macroscopico e l’elenco delle diagnosi differenziali è più breve e meglio definito di quello delle forme polmonari diffuse. I problemi connessi alla formulazione di una lista breve ed accurata di diagnosi differenziali nelle malattie diffuse sono dati dal numero elevato delle malattie stesse e dal fatto che queste sono dinamiche e caratterizzate da differenti stadi e manifestazioni. Questo è il motivo per cui sono stati stabiliti cinque quadri di diffuse alterazioni radiografiche del polmone. Ognuno di essi è associato ad un elenco di possibili diagnosi differenziali ben definito, ma lungo. Esiste anche una sovrapposizione fra queste liste associate ai vari quadri. È anche possibile riuscire ad abbreviare o ridefinire questi elenchi rilevando altre modificazioni radiografiche, la ridistribuzione del quadro, l’aspetto della modificazione (regressione o progressione) e le anomalie anamnestiche, cliniche, ematologiche e biochimiche.
AFFEZIONI ALVEOLARI Scomparsa del bordo – (segno della silhouette positivo) il bordo o margine di una struttura toracica non è più visibile a causa di una lesione della stessa radiopacità; questo riscontro dimostra che la lesione e un’altra struttura sono a reciproco contatto. Questa variazione può contribuire a differenziare le lesioni polmonari, mediastiniche o extrapleuriche. Broncografia gassosa – si ha quando l’alveolo assume la radiopacità propria dei fluidi o dei tessuti molli (fluidi o infiltrati cellulari o collasso – atelettasia). I bronchi o i bronchioli che non sono stati colpiti svolgono una funzione di contrasto (radiopacità tipica dei gas) rispetto al polmone interessato (radiopacità tipica dei fluidi). È possibile osservare le broncografie gassose come strutture longitudinali o trasversali (tondeggianti). L’importanza sta nella possibilità di localizzare la lesione al polmone piuttosto che alla pleura o al mediastino. Il termine “alveolare” implica il coinvolgimento degli spazi aerei distali del polmone. Ciò si ha quando gli alveoli vengono colmati da fluidi (sangue, edema o essudato) o materiali cellulari. Si può anche verificare quando gli alveoli perdono aria o collassano (atelettasia). In quest’ultimo caso, il lobo polmonare coinvolto presenta una diminuzione di dimensioni o di volume. Quando il fluido riempie gli alveoli, il volume polmonare è invece normale o quasi. 41
Quando il lobo polmonare sembra radiopaco ed ingrossato, la prima ipotesi da verificare è quella di una neoplasia. Un quadro alveolare si riconosce sulla base della radiopacità tipica dei tessuti molli che determina la scomparsa dei bordi (segno della silhouette positiva, che impedisce la visualizzazione del cuore, del diaframma e delle strutture vascolari), della presenza di broncografie gassose (bronchi pieni d’aria circondati da una radiopacità omogenea che delinea i vasi e li maschera), dell’aspetto tipicamente cotonoso e dei margini indistinti che tendono a confluire in una disposizione marginale lobare. Le radiopacità alveolari possono oscurare altri quadri radiografici eventualmente presenti. La trama alveolare è molto labile e può subire delle modificazioni di aspetto nel volgere di poche ore. La sua localizzazione e distribuzione può servire a differenziare la causa della malattia. Ad esempio, l’edema polmonare da cardiopatia sinistra è di solito bilateralmente simmetrico e perilare. Altre modificazioni che possono venire visualizzate sono rappresentate da cardiomegalia e congestione venosa polmonare. L’edema polmonare da cause non cardiogene si può manifestare nei campi polmonari dorsali caudali. La broncopneumopatia può essere asimmetrica e soprattutto cranioventrale. L’emorragia polmonare si può presentare a chiazze, asimmetrica o lobare. L’alterazione polmonare principale può essere accompagnata da altre quali versamento pleurico o fratture costali, a seconda della causa dell’emorragia. L’atelettasia può apparire come una diminuzione del volume del polmone con spostamento del mediastino o del cuore e rimpicciolimento dei lobi polmonari radiopachi. La neoplasia polmonare di solito interessa i lobi caudali, non è labile, il volume lobare può sembrare aumentato (con margini tondeggianti) e possono essere presenti delle metastasi.
Aspetto radiografico della pneumopatia alveolare Aumento della radiopacità polmonare (da alveoli privi d’aria)
Aree cotonose, a chiazze, mal definite o scarsamente definite, di aumento della radiopacità (in modo non omogeneo)
Confluenza di aree cotonose mal definite (con la progressione della malattia)
42
Col tempo, la distribuzione può diventare lobare
Broncografia gassosa
Broncografie gassose – quando alcuni grandi gruppi di alveoli sono occupati da materiale ed altri no. Si riscontra ai margini di una lesione, mentre è lieve o all’inizio o in regressione.
Scomparsa dei margini (cuore, diaframma, vasi)
Aspetto che muta rapidamente
Malattie caratterizzate da trama polmonare alveolare Edema Insufficienza mitralica Miocardiopatia Cardiopatia congenita
Distribuzione dorsale, perilare, bilateralmente simmetrica, forse peggiore a livello del lobo polmonare caudale destro Distribuzione irregolare a chiazze nella malattia acuta
Edema non cardiogeno Folgorazione Trauma encefalico Crisi convulsive Inalazione di fumi Intossicazione da ossigeno Ostruzione delle vie aeree superiori
Distribuzione caudale e dorsale
Polmonite Aspirazione Inalazione Cause ematogene
Aspirazione ed inalazione sono cranioventrali e lobari Le forme ematogene sono diffuse, irregolari e con distribuzione a chiazze (eventualmente periferica e caudale) La broncopneumopatia è peribronchiale
43
Emorragia Trauma Anticoagulanti
Irregolare e a chiazze (focale) Nessuna preferenza
Atelettasia Ostruzione bronchiale
Diminuzione di dimensioni / volume del polmone
Neoplasia
Principalmente lobi polmonari caudali Le lesioni metastatiche non mostrano preferenze
Granulomatose Micotiche Parassitarie
Irregolari ed a chiazze
Da cause varie Infarti Torsione di un lobo polmonare SARD
Forma triangolare. Periferiche. Lobi caudali. Affezioni lobari localizzate. Anomalie di direzione dei bronchi.
PATOLOGIE INTERSTIZIALI Il termine interstiziale implica un coinvolgimento della rete dell’interstizio (tessuto di sostegno) del polmone, cioè il tessuto dei setti alveolari, perilinfatico, peribronchiale e perivascolare. Questo tipo di quadro si ha quando queste strutture vengono infiltrate da fluidi o materiali cellulari. Si riconoscono due diversi quadri radiografici interstiziali: un aumento generalizzato della radiopacità polmonare (non strutturato) ed uno nodulare (strutturato). Il quadro interstiziale si distingue per un aumento indistinto della radiopacità polmonare, con riduzione del contrasto ed annebbiamento della vascolarizzazione e dei bronchi. Questo aspetto radiografico può essere determinato da numerose malattie, come la polmonite interstiziale (virale), l’edema interstiziale (edema prealveolare), l’emorragia interstiziale e la fibrosi polmonare (West Higland white terrier). Anche i noduli all’interno dei polmoni sono considerati un quadro di tipo interstiziale. Tali noduli possono risultare di dimensioni simili oppure variabili, chiaramente o scarsamente definiti. Le possibili diagnosi differenziali sono rappresentate da malattie granulomatose o metastatiche.
Affezioni polmonari interstiziali Non strutturate
44
Polmonite (virale)
Perdita di distinzione, aspetto a
Strutturati - Noduli miliari - Noduli isolati arrotondati ed uniformi - Noduli piccoli ed irregolari
Polmonite (uremia, inalazione di agenti irritanti) Edema (cardiogeno, non cardiogeno) Emorragia Neoplasia (diffusione linfatica o ematogena) Fibrosi Artefatti (obesità, espirazione, sottoesposizione, sottosviluppo)
vetro smerigliato, nelle forme lievi o nelle fasi iniziali può essere difficile distinguere questi quadri da quelli normali. Perdita di dettaglio (le pareti dei vasi sono sfocate)
Forme nodulari Neoplasie Granulomi (micotici, parassitari) PIE (infiltrazione polmonare eosinofila) Ascessi Filariosi cardiopolmonare
Piccoli noduli Margini distinti e lisci – processi a crescita lenta (neoplasia) Margini indistinti – processi attivi (infiammazione)
AFFEZIONI BRONCHIALI Le malattie che accentuano l’aspetto bronchiale normale, indistinto o del tutto invisibile, determinano un quadro radiografico di tipo “bronchiale”. Questo si identifica come una radiopacità delle pareti bronchiali derivante dal loro ispessimento o dall’accumulo di fluidi e/o materiali cellulari nel tessuto peribronchiale. Queste malattie possono essere acute o croniche, reversibili oppure no. Le forme acute possono non mostrare alterazioni radiografiche. La maggioranza dei quadri bronchiali appare uniformemente distribuita in tutti i polmoni. Le radiopacità bronchiali si presentano radiograficamente come lineari, non vascolari, formate da linee parallele (a binari di tram) o piccoli anelli circolari (ciambelle). Altre anomalie radiografiche che si possono riscontrare nelle affezioni bronchiali sono rappresentate da configurazioni più grandi e talvolta bizzarre a forma di anello e radiopacità parallele irregolari con perdita della normale sfumatura periferica (bronchiectasia) ed infiltrazione dei polmoni che possono essere secondarie all’intrappolamento dell’aria. La bronchiectasia è una dilatazione bronchiale irreversibile, generalmente secondaria a broncopatia cronica. Può essere sacculare o cilindrica. Interferisce con la normale clearance polmonare (compromissione della clearance mucociliare) per cui gli animali sono predisposti alla polmonite secondaria. Quando i bronchi distesi vengono riempiti da essudato, presentano un aspetto molto più simile a masse dalla radiopacità propria dei tessuti molli (noduli). 45
Eziologie delle alterazioni radiografiche bronchiali Mineralizzazione dei bronchi nel cane anziano (cani Cushing) Forme allergiche (bronchite allergica felina) Forme infettive (batteriche, virali, micotiche, parassitarie) Neoplasia (carcinoma broncogeno) Edema
Aspetto radiografico del quadro bronchiale Nella malattia acuta è possibile che non si osservi alcuna alterazione Pareti bronchiali ispessite (pareti ispessite o infiltrazione cellulare peribronchiale o fluido peribronchiale) Le pareti ispessite si possono presentare sotto forma di ombre opache ad anello o “ciambella” o, su un altro piano, come linee parallele radiopache “a binari di tram”. Iperinsufflazione da intrappolamento dell’aria (bronchite allergica nel gatto – collasso secondario del lobo polmonare medio di destra)
Aspetto radiografico della bronchiectasia Dilatazione di bronchi/bronchioli nelle gravi malattie croniche (visualizzazione dei bronchi secondari e terziari) Contorno irregolare del lume bronchiale Più comune nelle porzioni declivi del polmone Affezioni alveolari secondarie (polmonite)
MALATTIE VASCOLARI 46
I quadri vascolari sono dovuti ad una modificazione dell’aspetto della vascolarizzazione normale. Il fenomeno può essere dovuto ad una riduzione o ad un aumento delle dimensioni e del numero dei vasi. Nelle immagini radiografiche in proiezione laterolaterale i vasi polmonari vengono valutati nei lobi craniali. I vasi diretti ai lobi polmonari caudali si visualizzano meglio nelle immagini in proiezione VD (DV). Nelle radiografie laterolaterali l’arteria è situata dorsalmente e la vena ventralmente al bronco. I due vasi devono avere approssimativamente le stesse dimensioni. La loro larghezza nelle radiografie laterolaterali a livello del quarto spazio intercostale non deve essere superiore a quella del terzo superiore della terza costola e non inferiore ad 1/3 della larghezza della terza costola. Nelle proiezioni VD (DV) si possono valutare i vasi polmonari caudali. L’arteria è situata lateralmente e la vena centralmente al bronco. I due vasi devono avere circa le stesse dimensioni. La loro ampiezza non deve essere superiore a quella della nona costola nel punto in cui la incrociano. Le loro terminazioni devono essere differenziate dai noduli polmonari. Le caratteristiche di queste terminazioni sono rappresentate da margini distinti, elevata radiopacità rispetto agli autentici noduli di dimensioni analoghe e frequente sovrapposizione ad un vaso. Le possibili diagnosi differenziali in caso di riscontro di queste immagini sono rappresentate da metaplasia ossea e pneumopatia nodulare. È necessario cercare di vedere se le strutture tondeggianti dalla radiopacità tipica dei fluidi sono associate ai vasi e di diametro pari o superiore. Queste strutture, se sono vascolari, tendono ad essere più grandi a livello centrale e più numerose nella regione ilare. Cause dei quadri vascolari Ipovascolare
Shock (trauma, morbo di Addison) Destra – sinistra (tetralogia di Fallot) Disidratazione
Arterie e vene sono sottili I polmoni sono iper-radiotrasparenti Cuore piccolo Vena cava caudale sottile
Ipervascolare
Ipercircolazione Shunt sinistra-destra (dotto arterioso pervio) Fistola atrio-ventricolare
Arterie e vene sono allargate
Arterie
Ipertensione polmonare
Arterie polmonari tortuose
47
prominenti Vene prominenti
ed ingrossate Ipertensione venosa polmonare Rigurgito mitralico Miocardiopatia
Vene polmonari tortuose e dilatate
QUADRI MISTI La maggior parte dei processi patologici riconosce componenti proprie di più di uno dei quadri precedentemente illustrati. La classificazione, tuttavia, di solito viene effettuata sulla base del quadro principale presente. Nei casi in cui si riscontrano elementi importanti riferibili a più di un quadro polmonare, si possono associare i vari termini (broncointerstiziale, broncoalveolare, ecc…). Un ottimo esempio è dato dalla filariosi cardiopolmonare, perché può essere caratterizzata da quadri vascolari, alveolari ed interstiziali contemporaneamente. I quadri misti possono rappresentare stadi e livelli differenti di gravità delle stesse malattie.
DIMINUZIONE DELLA RADIOPACITÀ POLMONARE Si può avere sotto forma di modificazioni radiografiche focali o generalizzate. Queste ultime possono rappresentare dei mutamenti di uno o più lobi polmonari. Un calo della radiopacità polmonare (aumento della radiotrasparenza) si ha di solito a causa di un incremento del contenuto di aria dei polmoni o di una diminuzione della perfusione dell’organo. Se questa modificazione è generalizzata, il riscontro può essere soggettivo. Se il cambiamento è lobare o focale, è possibile effettuare il confronto con le altre parti del polmone. Le cause di questa condizione sono rappresentate da intrappolamento dell’aria (bronchite allergica felina), enfisema distruttivo o congenito, iperinsufflazione compensatoria o ipoperfusione. Ai fini della formulazione della diagnosi, risulta utile il confronto fra radiografie riprese in fase inspiratoria ed espiratoria. Altre anomalie radiografiche che possono accompagnare questi quadri sono l’aumento di dimensioni del torace, il posizionamento caudale o l’asimmetria del diaframma, l’approfondimento degli angoli costofrenici e lo spostamento del mediastino che tende ad allontanarsi dal polmone colpito. 48
Aumento della radiotrasparenza polmonare Generalizzato
Enfisema – compensatorio, congenito, secondario a broncopatia ostruttiva
Iperinsufflazione / trasparenza, appiattimento del diaframma
Bronchite allergica (felina)
iperinsufflazione polmonare, appiattimento del diaframma
Ipoperfusione – destra-sinistra, shock ipovolemico
Focale
Animali molto magri (emaciazione)
ipertrasparenza
Vescicole o bolle Cisti Masse cavitarie
Traumi Parassiti / Paragonimus Neoplasia (primitiva o metastatica)
AFFEZIONI POLMONARI FOCALI Le lesioni polmonari isolate e cavitarie non rientrano bene nello schema di classificazione precedentemente descritto. È preferibile trattarle considerandone l’aspetto e le possibili diagnosi differenziali. Queste ultime, per le lesioni solide isolate, sono rappresentate da neoplasia, ascesso, granuloma, infarto, ematoma. Per le lesioni polmonari cavitarie bisogna invece prendere in considerazione anomalie congenite, granulomi parassitari (Paragonimus), traumi, ascessi, granulomi cavitari e neoplasie. Lesioni polmonari isolate Neoplasia
Primitiva o metastatica isolata
Granuloma
Micotico, batterico (TB), corpo estraneo, eosinofilico (filariosi)
Ascesso
Micotico, batterico, da corpo estraneo
Infarto
Filariosi cardiopolmonare, Cushing, IHA
Ematoma
Trauma
Alveolare isolato
Polmonite, edema, emorragia
Cavitario
Pareti spesse – ascesso, granuloma, neoplasia, infarti, parassitari
49
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David S. Biller DVM, Dipl ACVR Kansas State University - USA
Ecografia delle pleure e delle masse a carico dell’apparato respiratorio Venerdì, 25 ottobre 2002, ore 15.00
51
In certi stati patologici in cui i polmoni normali pieni d’aria vengono collassati, epatizzati o dislocati da fluidi o masse, diviene possibile la valutazione ecografica, che spesso può fornire informazioni che integrano le variazioni radiografiche. L’ecografia consente inoltre di eseguire sotto guida diretta delle procedure invasive come la toracentesi diagnostica e terapeutica o il prelievo di campioni bioptici (polmonari, pleurici o di masse mediastiniche) con maggior precisione e minori rischi. Il modo in cui l’animale viene posizionato per la valutazione dipende dalla localizzazione nota o sospetta della lesione, dalla necessità di effettuare manipolazioni dei fluidi pleurici per aumentare la trasmissione ecografica all’interno del torace e dalle sue condizioni cliniche. I versamenti pleurici liberi di fluire o uniformemente distribuiti possono essere visualizzati praticamente da qualunque spazio intercostale. In presenza di volumi di fluido limitati può essere necessario applicare il trasduttore alla parte più declive della parete toracica, dove il fluido può raccogliersi in quantità sufficiente a determinare la dislocazione del polmone. Se si vengono a trovare direttamente a contatto della parete toracica o se il lobi polmonari craniali vengono scostati dal fluido, le masse mediastiniche craniali possono essere visualizzate attraverso una finestra intercostale craniale. Masse o epatizzazioni polmonari possono essere visualizzate direttamente attraverso la parete toracica se non vi è l’interposizione di un polmone aerato. In mancanza di liquido pleurico, alcune neoformazioni che non vengono a contatto della parete toracica possono essere osservate utilizzando il cuore come finestra ecografica. In alternativa, per la valutazione delle masse patologiche dei lobi polmonari accessori o caudali, dell’ernia diaframmatica o delle lesioni della vena cava caudale si può utilizzare un approccio subcostale servendosi del fegato come finestra. L’ecografia può essere utilizzata per rilevare il versamento pleurico, stimarne il volume e valutarne le caratteristiche. Può anche servire ad esaminare le masse pleuriche o le affezioni polmonari periferiche che non risultano visibili radiograficamente a causa del versamento pleurico. Quest’ultimo si presenta come uno spazio ipo- o anecogeno fra la pleura parietale e quella viscerale. Le sue dimensioni dipendono dalla quantità di liquido. I trasudati appaiono anecogeni, mentre gli essudati (piotorace, chilotorace) contengono echi (numerosi o scarsi) che possono formare dei gorghi con i movimenti respiratori o gli spostamenti del paziente. Alcuni fluidi possono anche mostrare la tendenza alla formazione di setti, indicando un incapsulamento. La classificazione dei versamenti va basata sull’analisi chimica e microscopica piuttosto che sull’aspetto ecografico. Le variazioni di forma della raccolta fluida e/o il movimento dei setti ecogeni indicano che il liquido ha una bassa viscosità ed un’elevata probabilità di poter essere aspirato con successo. Una raccolta dall’ecogenicità complessa con un elevato grado di suddivisione in setti 52
è più compatibile con la presenza di fluidi addensati e loculati e la probabilità di riuscire ad effettuare con successo un drenaggio è minore. La valutazione ecografica del mediastino e del parenchima polmonare non areato (epatizzazione a masse) è possibile se si dispone di una finestra adeguata. Il liquido pleurico può contribuire alla valutazione di queste aeree migliorando la finestra ecografica. Una volta visualizzata la lesione, è possibile effettuare sotto guida ecografica il prelievo di un aspirato con ago sottile o di una biopsia per ottenere materiale utile ai fini diagnostici. Il controllo ecografico serve ad inserire in modo più accurato l’ago ed evitare di coinvolgere le strutture vitali. I tumori polmonari presentano ecogenicità variabile e margini irregolari. Vengono differenziati dall’epatizzazione dell’organo per la mancanza di strutture vascolari e bronchiali parallele. Le masse di parete toracica e pleura vengono identificate e valutate più facilmente in presenza di liquido pleurico. Gli ascessi presentano tipicamente una spessa parete ecogena con una superficie irregolare. Il contenuto del lume può essere iper- o anecogeno, con o senza setti. In alcuni casi, può essere evidente la sedimentazione del contenuto degli ascessi che si dispone in strati relativamente distinti. Si può osservare un’interfaccia fra gas e fluido. Può essere difficile differenziare un empiema incapsulato da un ascesso polmonare. Anche le neoplasie con necrosi centrale possono avere un aspetto ipoecogeno non omogeneo, sottolineando la necessità di ricorrere al prelievo di un campione bioptico. L’epatizzazione polmonare secondaria a polmonite conferisce all’organo un aspetto simile a quello del fegato (da cui il nome). La presenza di raccolte di aria piccole o focali all’interno del bronco può evidenziare un artefatto da riverbero (“broncografia gassosa”). I bronchi o vasi pieni di liquido (“broncografia fluida”) concorrono a differenziare l’epatizzazione dalla neoplasia. L’atelettasia può esitare nella comparsa di una massa ipoecogena piccola, appiattita o tondeggiante (la torsione di un lobo polmonare può apparire come una struttura molto arrotondata) retratta verso l’ilo polmonare ed eventualmente circondata dal versamento pleurico. L’ecografia può contribuire alla diagnosi dell’ernia diaframmatica (congenita, peritoneopericardica, traumatica) soprattutto nei pazienti con riscontri radiografici dubbi. Si deve esaminare accuratamente l’intero diaframma, alla ricerca di un’area alterata. In caso di rottura, si possono osservare nel versamento pleurico porzioni del diaframma lacerato, che si spostano con i movimenti respiratori. Nello spazio pleurico si può visualizzare il contenuto addominale. Il fegato può essere visibile in posizione adiacente al cuore. Nei casi in cui sembra che l’organo si trovi in cavità toracica, è necessario assicurarsi che non si tratti soltanto di un artefatto da immagine riflessa. Allo scopo è possibile basarsi sulla visualizzazione di una struttura vascolare nel fegato, nel punto in cui questo attraversa l’area in cui si trova o si trovava il diaframma. 53
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David S. Biller DVM, Dipl ACVR Kansas State University - USA
Indicazioni, utilità e limiti dell’impiego di TC e RM nelle patologie dell’apparato respiratorio Venerdì, 25 ottobre 2002, ore 15.30
55
L’interesse per l’impiego della tomografia computerizzata (TC) e della risonanza magnetica (RM) in medicina veterinaria cresce di pari passo col numero dei clienti che hanno avuto modo di sperimentare l’impiego di queste tecniche di diagnostica per immagini sulla propria persona o su qualche altro membro della famiglia. Costoro spesso sono più che disposti ad affrontare il costo di un avanzato esame di questo tipo per ottenere una diagnosi ed un piano terapeutico più accurato. Ciò vale in particolare nel campo della neurologia e dell’oncologia. Non è ragionevole aspettarsi che una struttura veterinaria di medio livello disponga al suo interno delle apparecchiature necessarie per questo tipo di esame, ma può darsi che si riesca facilmente a trovare un appoggio per questo tipo di servizi nell’area in cui si opera, sapendo dove cercare ed a chi chiedere. Anche se può non essere “direttamente coinvolto” nell’esecuzione della TC o della RM, il veterinario deve conoscere le indicazioni per questo tipo di esami ed essere in grado di rispondere alle domande che i clienti pongono sull’argomento. Poiché si basa su una tecnologia digitale, la TC consente di manipolare le immagini in modo da poter valutare selettivamente le aree di interesse. Le nuove tecniche di scansione rapida come l’Helical TC consentono di visualizzare gli animali molto più velocemente di quanto non fosse possibile in passato. Inoltre, con un software appropriato, si possono ottenere immagini tridimensionali e piani di scansione alternativi che in passato erano già disponibili, ma con difficoltà molto maggiori. La tomografia computerizzata offre una migliore risoluzione di contrasto, che può rilevare differenze di radiopacità dei tessuti più sottili di quanto non sia possibile con i mezzi radiografici oggi disponibili. La tecnica consente di ottenere immagini in sezione trasversale utilizzando raggi X e computer. Grazie alla migliore risoluzione di contrasto, si dispone di una differenziazione dei tessuti molli di livello superiore. Inoltre, non si ha alcuna sovrapposizione delle strutture sovrastanti. Questi tendono ad essere i principali vantaggi della tomografia computerizzata rispetto alla radiologia diagnostica convenzionale. La tomografia computerizzata di solito deve essere preceduta da un’appropriata valutazione radiografica. Si sconsiglia di passare direttamente alla TC, fatta eccezione per le malattie della testa (encefalo, naso, orecchie). Gli esami radiografici in bianco di questa regione anatomica sono notoriamente di scarso valore. La nozione più importante per interpretare le immagini ottenute è la buona conoscenza dell’anatomia normale. Per discutere le immagini TC è necessario adottare una terminologia radiologica simile. Le strutture di colore bianco sono caratterizzate da un aumento della radiopacità o della densità dell’oggetto. Le strutture scure sono riferibili ad oggetti meno densi o meno radiopachi, cioè radiotrasparenti. La terminologia è simile, ma la TC si basa sull’attenuazione dei raggi X. 56
Parlando di RM non si utilizzano i termini di densità, radiopacità o radiotrasparenza. Poiché l’immagine è basata su segnali su frequenza radio si utilizzando i termini di aumento e diminuzione dell’intensità del segnale. Le strutture brillanti o bianche sono caratterizzate da un aumento dell’intensità, mentre, al contrario, quelle scure o nere sono dovute a segnali meno intensi.
LIMITI DELLA RADIOGRAFIA I raggi X passati attraverso il paziente vengono assorbiti in modo diverso dai tessuti corporei. Essendo più radiodenso, l’osso assorbe una maggior quantità di raggi X rispetto ai tessuti molli. Questo assorbimento differenziale è contenuto nel fascio di raggi che attraversa il paziente e viene registrato sulla pellicola. Il principale difetto della radiografia è la sovrapposizione di tutte le strutture sulla pellicola, il che rende difficile e talvolta impossibile distinguere un particolare dettaglio. Ciò vale specialmente per le formazioni con densità poco diverse, come avviene spesso nel caso di alcuni tumori e dei tessuti molli circostanti. Anche se, per localizzare una struttura, è possibile effettuare una ripresa di immagini in molteplici proiezioni, ad esempio laterolaterali ed oblique, il problema della sovrapposizione in radiografia persiste. Un secondo limite è che la radiografia è una procedura qualitativa piuttosto che quantitativa. È difficile distinguere fra un oggetto omogeneo di spessore non uniforme ed uno eterogeneo di spessore uniforme. Inoltre, la radiografia non riesce a dimostrare adeguatamente lievi differenze nel contrasto del soggetto, che sono caratteristiche dei tessuti molli. La pellicola radiografica non è abbastanza sensibile per risolvere le piccole differenze, perché in condizioni tipiche è in grado soltanto di discriminare variazioni di intensità dei raggi X del 5-10%. I limiti della radiografia esitano nell’incapacità della pellicola di visualizzare differenze molto piccole del contrasto tissutale. Inoltre, quest’ultimo non può essere regolato dopo essere stato registrato sulla pellicola.
VANTAGGI E LIMITI DELLA TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA Lo scopo della tomografia computerizzata è quello di superare i limiti della radiografia ottenendo i seguenti risultati: 1) riduzione al minimo della sovrapposizione 2) miglioramento del contrasto dell’immagine 3) registrazione di differenze molto piccole di contrasto tissutale 57
Attraverso l’acquisizione di dati spirali, la TC e la geometria spirale hanno superato parecchi limiti dell’acquisizione convenzionale di tipo start-stop. I vantaggi sono rappresentati dell’acquisizione dei dati durante un singolo atto respiratorio piuttosto che sezione per sezione, dal miglioramento della visualizzazione tridimensionale, dalla riformattazione dell’immagine multiplanare e da altre applicazioni, come la visualizzazione continua, l’angiografia TC e la visualizzazione in realtà virtuale o l’endoscopia TC. Per quanto riguarda la manipolazione e l’analisi dell’immagine, la natura digitale delle tomografie computerizzate le candida ai processi di elaborazione digitale. L’immagine può essere modificata per accentuare il contenuto di informazioni o analizzarle in modo da ottenere dati relativi alla forma ed alla struttura delle lesioni.
INDICAZIONI PER LA TC E LA RM NELLE AFFEZIONI NASALI DEI PICCOLI ANIMALI Generalmente, la diagnosi delle affezioni nasali può essere formulata attraverso i metodi radiografici, rinoscopici, bioptici e colturali. La TC viene principalmente utilizzata per stimare la totale estensione delle neoplasie nasali al fine di pianificare la radioterapia ed escludere un’estensione intracranica. Le radiografie portano chiaramente a sottostimare l’estensione delle neoplasie nasali in un gran numero di casi. Anche la RM è eccellente da questo punto di vista, ma può non essere altrettanto utile per la valutazione dell’estensione ossea. La TC resta il caposaldo della visualizzazione delle affezioni dei seni nasali e paranasali. La RM può essere sostituita per la valutazione delle lesioni neoplastiche avanzate. Anche se l’osso corticale e l’aria non restituiscono il segnale nella RM, il primo può essere visualizzato come una linea scura/assenza di segnale fra gli strati di tessuti molli e mucosa che coprono la parete del seno e sono caratterizzati da un segnale elevato. La RM consente di delineare in modo ottimale l’estensione dei tumori sinusali rispetto alla TC a contrasto accentuato e costituisce l’indagine d’elezione nelle forme patologiche avanzate. Inoltre permette di differenziare i tumori dalle secrezioni sinusali ostruttive secondarie. Pur essendo limitata per la valutazione della sinusite semplice, la RM è potenzialmente in grado di svolgere un ruolo nella valutazione delle complicazioni intracraniche di quella grave. Queste comprendono meningite, cefalite o ascesso, empiema subdurale e tromboflebite. Presso la nostra struttura, al momento attuale sottoponiamo a TC tutti gli animali con affezioni nasali. Ciò ci consente di valutare il coinvolgimento dei tessuti molli, le alterazioni ossee e l’estensione del processo patologico per pianificare un ciclo di terapia. 58
INDICAZIONI CLINICHE PER LA TC E LA MR NELLE AFFEZIONI TORACICHE Oltre alla TC, per lo studio delle malattie del tronco è disponibile un’ampia gamma di tecniche radiologiche, come le radiografie senza mezzo di contrasto, quelle con il bario, l’angiografia, la medicina nucleare, l’ecografia e la RM. I clinici si trovano di fronte al dilemma di scegliere quale o quali metodi di diagnostica per immagini utilizzare e in che ordine. Spesso vengono richiesti troppi esami o si effettuano delle indagini nella sequenza sbagliata prima di giungere ad una diagnosi. Per queste ragioni, si è diffuso l’impiego di algoritmi o di diagrammi di flusso. Tuttavia, se si tengono presenti i limiti imposti dalle attrezzature disponibili e dall’esperienza degli operatori, è possibile che l’approccio suggerito non sia quello più appropriato per i singoli casi. La tomografia computerizzata è sottoutilizzata per l’esame del torace in medicina veterinaria. La valutazione di masse polmonari e mediastiniche, compresa la linfoadenopatia, e l’esame del coinvolgimento della colonna vertebrale e delle costole da parte delle masse toraciche sono solo esempi dei casi in cui questa tecnica di indagini potrebbe essere indicata. La TC è considerata il metodo più sensibile per l’identificazione delle metastasi polmonari nell’uomo. Poiché gli animali vengono esaminati in anestesia generale o in sedazione, l’ipoaerazione e la congestione ipostatica della parte declive del polmone possono causare un artefatto fastidioso, anche se sembra che disponendo il paziente in decubito sternale si riduca al minimo questo problema. Anche l’induzione di una pressione positiva con l’apparecchio da anestesia può contribuire a ridurre questi artefatti.
LA TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA NEL TORACE La tomografia computerizzata ha rivoluzionato il campo della diagnostica per immagini toracica. L’esame effettuato con mezzi di contrasto iodati somministrati per via endovenosa viene utilizzato per valutare le patologie della vascolarizzazione mediastinica, distinguere i linfonodi ilari dai vasi polmonari o differenziare le anomalie del parenchima periferico dalle alterazioni pleuriche. I principali vantaggi della TC sono la superiore risoluzione del contrasto e la visualizzazione di immagini in sezione trasversale. La migliore risoluzione del contrasto consente di rilevare le calcificazioni all’interno di noduli polmonari isolati e di delineare le masse mediastiniche o i linfonodi nel grasso mediastinico. L’accentuazione del contrasto endovenoso costituisce un altro 59
metodo per migliorare la risoluzione del contrasto ed identificare le strutture vascolari. La visualizzazione in sezione trasversale elimina la sovrapposizione delle strutture e consente di osservare noduli di parenchima di appena 3 mm. Inoltre, vengono facilmente identificate le masse ilari o parenchimatose che con la radiografia convenzionale vengono osservate soltanto nelle proiezioni singole. Nonostante i numerosi vantaggi della TC rispetto all’esame radiografico normale, bisogna ricordare che la risoluzione spaziale della tecnica computerizzata è inferiore a quella della radiografia convenzionale. Le principali indicazioni per la TC toracica sono rappresentate da: 1) Valutazione di un’anomalia identificata nelle radiografie convenzionali 2) Stadiazione di neoplasie polmonari 3) Individuazione di metastasi polmonari 4) Valutazione completa ed accurata del mediastino Quasi tutte le anomalie mediastiniche rilevate nelle radiografie toraciche possono essere confermate con la TC. Questa nella maggior parte dei casi viene utilizzata per individuare la linfoadenopatia. Pur essendo molto sensibile, TC ed RM presentano alcuni limiti; sono meno efficienti per rilevare i tumori all’interno di linfonodi di dimensioni normali o differenziare linfonodi iperplastici ingrossati senza neoplasie da quelli che contengono formazioni tumorali. La RM può essere leggermente migliore per dimostrare l’invasione della parete toracica ed è più accurata per identificare l’invasione mediastinica ed eseguire la stadiazione dei tumori. Rispetto alla tecnica di profusione di ventilazione, la Helical TC è più sensibile ed ugualmente specifica per rilevare gli emboli polmonari.
RISONANZA MAGNETICA DEL TORACE La RM si basa sul riconoscimento di segnali radio emessi da tessuti eccitati da impulsi a radiofrequenza. I suoi principali vantaggi sono la superiore risoluzione del contrasto fra tumore e grasso, la capacità di caratterizzare i tessuti, quella di effettuare l’esame nei piani coronale e sagittale diretto e la non necessità di ricorrere ad un mezzo di contrasto iodato endovenoso. L’assenza di segnale prodotto dal flusso ematico nelle strutture vascolari contribuisce ad identificare i vasi mediastinici ed ilari, rilevare l’invasione vascolare da parte del tumore, individuare trombosi o neoplasie intraluminali e distinguere le strutture vascolari da linfonodi o masse senza bisogno di ricorrere al contrasto endovenoso. I principali svantaggi della RM toracica sono la limitata risoluzione spaziale, l’incapacità di rilevare il calcio e le difficoltà nella visualizzazione del 60
parenchima polmonare. La risonanza magnetica, inoltre, richiede più tempo ed è più costosa della TC. Questi fattori, insieme alla capacità della tomografia computerizzata di fornire informazioni superiori o equivalenti nella maggior parte delle situazioni, hanno limitato l’impiego della RM toracica nella maggior parte dei disordini toracici non cardiovascolari. La RM è la modalità di diagnostica per immagini d’elezione per la diagnosi delle lesioni mediastiniche o ilari nei pazienti che non possono tollerare i mezzi di contrasto iodati e per la visualizzazione della parte posteriore del mediastino o delle masse prevertebrali. Inoltre, può essere utilizzata come modalità aggiuntiva di diagnostica nella valutazione del mediastino e dell’ilo dopo la TC convenzionale nei casi in cui è necessaria un’ulteriore chiarificazione. La RM assicura un miglior contrasto intrinseco dei tessuti molli e non mostra gli artefatti a strie che si verificano a partire dai margini delle strutture vascolari pulsanti, specialmente nella TC con contrasto accentuato. La RM non è migliore della TC per differenziare le lesioni benigne e, quindi, non va eseguita a questo scopo. Occasionalmente, la tecnica consente di caratterizzare meglio della TC lesioni a contenuto liquido o necrotiche. La RM si è dimostrata più accurata della TC nella diagnosi dell’invasione mediastinica e vascolare da parte di neoplasie polmonari. È quindi consigliata come modalità di visualizzazione secondaria per la valutazione dello stadio delle neoplasie polmonari, in particolare nei casi in cui si sospetta un’invasione mediastinica, vascolare o cardiaca. Nonostante l’iniziale ottimismo, la RM non di è dimostrata migliore della TC per quanto riguarda la capacità di rilevare e definire i linfonodi mediastinici. Anche se è eccellente per la diagnosi e la valutazione delle lesioni del timo, non ha fatto riscontrare alcun vantaggio significativo rispetto alla TC. La RM è un’eccellente modalità di valutazione della parete toracica. Anche se la distruzione dell’osso corticale si osserva meglio con la TC, il coinvolgimento midollare da parte del tumore viene identificato meglio dalle variazioni di segnale nella RM. Come conseguenza del superiore contrasto nei piani di visualizzazione multipli, la RM consente una migliore definizione preoperatoria dell’estensione delle patologie della parete toracica rispetto alla TC. La RM del parenchima polmonare è stata di scarso valore clinico. Il suo impiego per la valutazione del polmone è stato limitato dalla perdita di segnale causata da artefatti da sensibilità magnetica (dovuto al gran numero di interfacce fra aria e tessuti molli), artefatti da movimento respiratorio e cardiaco e scarso segnale al rumore. Ciò è dovuto al fatto che si ottiene una scarsa intensità di segnale dal parenchima polmonare insufflato, dove la densità proteica è bassa. Al momento attuale, non è possibile valutare in modo adeguato con la RM le infiltrazioni normali o sottili. Inoltre, l’incapacità di rile61
vare in modo affidabile la calcificazione concorre a rendere la RM inferiore alla TC per l’identificazione e la caratterizzazione dei noduli polmonari isolati. Tuttavia, la RM può essere utile per differenziare un nodulo polmonare isolato dall’estremità di un vaso, specialmente nella regione periilare.
62
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David S. Biller DVM, Dipl ACVR Kansas State University - USA
Reperti radiologici normali e patologici dell’apparato digerente (esofago, stomaco, intestino tenue e crasso) Sabato, 26 ottobre 2002, ore 10.00
63
ESOFAGO NORMALE L’esofago normale di solito non viene visualizzato nelle immagini radiografiche senza mezzo di contrasto, a meno che non contenga aria o fluidi/cibo. Il riscontro di una piccola quantità di aria nell’esofago cervicale e/o in quello toracico craniale è un evento comune (la ripresa di ripetute radiografie può indicare se questo accumulo d’aria è transitorio). Nel gatto, non è rara la visualizzazione dell’esofago toracico caudale (radiopacità propria dei tessuti molli). Negli animali colpiti da aerofagia (conseguente ad una grave affezione respiratoria) l’organo, dilatato e pieno d’aria, può avere un aspetto simile a quello dell’autentico megaesofago (affezione esofagea).
PASTO BARITATO/ESOFAGOGRAFIA: RISCONTRI RADIOGRAFICI NORMALI Con l’aggiunta di un mezzo di contrasto positivo, si ha un aumento della radiopacità del lume dell’esofago che permette di determinarne la morfologia, rilevando dimensioni, forma, posizione, caratteristiche dei margini (aspetto della mucosa), integrità e pervietà. Utilizzando i mezzi di contrasto è anche possibile valutare la motilità funzionale dell’organo, che può essere desunta dalla ripresa di una serie di radiografie. Le indicazioni per il ricorso all’esofagografia con mezzo di contrasto (o pasto baritato) sono rappresentate da disfagia, rigurgito, polmonite ab ingestis ricorrente, o necessità di determinare il possibile coinvolgimento esofageo in affezioni a carico di strutture adiacenti e definire anomalie osservate nelle immagini radiografiche in bianco. Le possibili controindicazioni all’uso del mezzo di contrasto positivo nella valutazione dell’esofago sono date da gravi disordini della deglutizione dovuti al rischio di aspirazione, sospetta perforazione esofagea e sospetta comunicazione broncoesofagea o esofago-polmonare. La preparazione del paziente è minima e si riduce ad un digiuno di 12 ore se è presente del cibo all’interno dell’esofago; se invece l’esofagografia deve essere seguita da un pasto baritato completo, si attua la relativa preparazione. Come mezzo di contrasto è possibile utilizzare una sospensione di solfato di bario, il bario in pasta o la polpetta di bario (bario misto ad alimenti umidi). Le sospensioni baritate sono più adatte a rivestire la superficie della mucosa e risultano più utili per la visualizzazione delle perdite di contenuto. Nei casi di sospetta perforazione si possono utilizzare composti iodati acquosi per uso orale (bassa osmolalità). Nei casi di aspirazione o comunicazione polmonare le soluzioni ipertoniche trascinano una gran quantità di fluidi e possono causare un ristagno polmonare o alveolare. Nei polmoni o nel mediastino il bario tende ad essere meno reattivo di quanto non sia nella cavità peritoneale. Le 64
complicazioni successive all’esofagografia sono rappresentate da aspirazione e perdita di materiale. La quantità di mezzo di contrasto ritenuta nel cavo orale e nella faringe deve essere assente o molto piccola. Il riscontro di un’aspirazione o reflusso nella cavità nasale o nella trachea è anormale. Non esistono misurazioni assolute per le dimensioni o il diametro dell’esofago. Di solito, si considerano entro i limiti normali diametri di pochi centimetri. Può essere presente un bolo fusiforme di mezzo di contrasto che determina un ampliamento focale che però scompare nelle immagini successive (nelle quali si osserva invece all’interno dello stomaco). La forma dell’esofago deve essere sottile e tubulare. Nel cane può essere presente una piccola ridondanza all’interno del torace. Nelle radiografie in proiezione laterolaterale l’esofago può essere situato dorsalmente alla trachea o sovrapposto ad essa cranialmente alla biforcazione. L’organo si trova a metà distanza fra l’aorta e la vena cava caudale, nella parte caudale del torace. Nelle immagini riprese in proiezione ventrodorsale o dorsoventrale l’esofago deve essere localizzato lungo la linea mediana o leggermente a sinistra della trachea. La deviazione verso destra di quest’ultima si osserva comunemente nei cani delle razze brachicefale. Il quadro della mucosa del cane deve essere liscio, lineare, con pliche longitudinali che si estendono per l’intera lunghezza. Nell’animale normale, si può osservare una certa irregolarità dell’ingresso toracico. Il quadro tipico della mucosa del gatto è simile a quello del cane nei 2/3 craniali dell’esofago, mentre nel terzo caudale (dopo il cuore) nei felini si osserva normalmente la presenza di caratteristiche strie trasversali (a spina di pesce).
ESOFAGO ANORMALE La dilatazione dell’esofago o megaesofago, sia generalizzata che localizzata, è considerata anormale. Esistono numerose cause di megaesofago o dilatazione esofagea, quali malattie intrinseche intraparietali (corpi estranei, intussuscezione gastroesofagea), e parietali (neoplasia, granuloma, stenosi), ed estrinseche, che comprendono quelle extraparietali (ingrossamento di strutture adiacenti, anomalie dell’anello vascolare). Il restringimento dell’esofago secondario a stenosi può essere causato da numerose eziologie, come un’esofagite secondaria o un corpo estraneo, un’anomalia dell’anello vascolare o la presenza di masse parietali o extraparietali. Può essere necessario valutare le stenosi esofagee o il restringimento dell’esofago utilizzando mezzi di contrasto progressivamente più densi. Ciò significa iniziare con il bario liquido e poi, se questo non evidenzia alcun problema, con il bario in pasta; se anche quest’ultimo attraversa l’esofago senza problemi, si può ricorrere alla polpetta baritata (miscela di bario con alimenti umidi). Altre anomalie riscontrabili a livello dell’esofago possono essere rappresentate da difetti di 65
riempimento (corpi estranei, neoplasie, granulomi), dislocazioni (ad opera di masse patologiche e strutture adiacenti), aspetto irregolare della mucosa (esofagite, neoplasia, granuloma), fuoriuscita del contenuto (lacerazione, rottura), ispessimento parietale (infiammazione, malattia granulomatosa, neoplasia), adesione del mezzo di contrasto (ulcerazione) e presenza di comunicazioni anomale come la fistola broncoesofagea.
STOMACO NORMALE L’anatomia radiografica dello stomaco è variabile e dipende da specie, conformazione di razza, grado di distensione gastrica, volume e tipo del contenuto e posizione del paziente durante l’esposizione. In condizioni normali, lo stomaco si trova all’interno della gabbia costale. Nelle radiografie in proiezione laterolaterale, l’asse verticale dell’organo deve essere approssimativamente parallelo al decimo o undicesimo spazio intercostale. Inoltre, il piloro deve essere sovrapposto al corpo dello stomaco o situato un po’ cranialmente ad esso. Nelle immagini riprese in proiezione ventrodorsale nel cane il cardias, il fondo ed il corpo dello stomaco sono localizzati a sinistra della linea mediana. Le porzioni piloriche si trovano a destra. Nel gatto, lo stomaco forma un angolo più acuto, con l’antro pilorico situato a sinistra della linea mediana ed il canale pilorico in corrispondenza o vicino ad essa (forma a “J”). È importante ricordare che il gas presente all’interno dello stomaco cambia posizione in funzione di quella dell’animale. Si tratta di un dato importante, perché se si desidera valutare il piloro per studiare una massa patologica o un corpo estraneo, è indicata la ripresa laterolaterale sinistra (perché così il gas si localizza in sede intrapilorica). Se l’animale è in posizione dorsoventrale, il gas si trova in corrispondenza del cardias e del fondo, mentre nelle immagini ventrodorsali è localizzato nel piloro e nel corpo ed in quelle laterolaterali destre in decubito si trova nel fondo e nel corpo.
INTERPRETAZIONE RADIOGRAFICA NORMALE DELLE IMMAGINI DELLO STOMACO RIPRESE CON MEZZO DI CONTRASTO Indicazioni 1. 2. 3. 66
Sospetto di masse gastriche luminali o parietali Corpi estranei gastrici radiotrasparenti Ematemesi
4. 5. 6.
Vomito ricorrente o che non risponde alla terapia Localizzazione, identificazione, determinazione delle dimensioni, della forma e dei margini dello stomaco Valutazione della motilità, se si dispone di un intensificatore di brillanza
Le pliche rugose (rughe) si presentano sotto forma di difetti di riempimento lineari radiotrasparenti separati dal bario negli spazi che le separano l’una dall’altra. Sono prominenti soprattutto a livello del fondo e del corpo dello stomaco. Devono essere orientati parallelamente alle costole nelle proiezioni laterolaterali e perpendicolarmente alla colonna vertebrale in quelle ventrodorsali. La larghezza di una plica rugosa non deve essere superiore alla distanza fra rughe adiacenti. Le pliche variano di dimensioni e di numero e il loro aspetto dipende dal grado di distensione gastrica. Il tempo di svuotamento gastrico iniziale è l’intervallo di tempo che intercorre tra la somministrazione del mezzo di contrasto e l’inizio dello svuotamento dell’organo. Questo periodo deve essere di circa 30 minuti per i liquidi ed un’ora per i solidi. Il tempo di svuotamento gastrico totale è l’intervallo che intercorre fra la somministrazione del mezzo di contrasto ed il completamento dello svuotamento dell’organo. Per il bario deve essere di circa 1-4 ore. Le pareti dello stomaco sono relativamente lisce, prive di distorsioni e di spessore uniforme. L’organo è molto estensibile e cambia di aspetto, nelle immagini radiografiche riprese in sequenza, per effetto della peristalsi.
PICCOLO INTESTINO NORMALE A livello del tenue si devono valutare diversi parametri, come i margini (grado di definizione della superficie sierosa), che devono essere lisci. Normalmente, questo tratto dell’intestino risulta visibile grazie al grasso presente nella sierosa, fatta eccezione per gli animali giovani (meno di 6 mesi di vita), emaciati e che presentano fluidi in addome (peritonite, ascite, emorragia o carcinomatosi). Il diametro normale del tenue nel cane è pari a 2-3 volte la larghezza costale o circa 1,5 volte la dimensione dorsoventrale del corpo della seconda vertebra lombare (dal limite ventrale del canale vertebrale a quello del corpo vertebrale nelle radiografie in proiezione laterolaterale). Il diametro normale del tenue nel gatto può essere di 1-1,2 cm. Il piccolo intestino deve essere distribuito in modo uniforme in tutto l’addome, occupando lo spazio lasciato libero dagli altri organi. Il digiuno e l’i67
leo raggiungono la massima capacità di movimento nella parte centrale del cavo peritoneale. Nei casi in cui si verifica un’organomegalia, sia per cause normali (distensione dello stomaco o della vescica) che anormali (linfoadenopatia mesenterica, ingrossamento pancreatico, massa splenica, ecc..) l’intestino viene dislocato. La direzione di questo spostamento contribuisce a identificare le possibili cause che lo hanno provocato. Il tenue deve avere un aspetto liscio, continuo e curvo. Spesso è necessario effettuare indagini contrastografiche (pasto baritato) per stabilire se la forma o il diametro del piccolo intestino sono normali o anormali. La radiopacità delle anse dipende dal fatto che siano o meno piene di fluidi, gas o loro miscele. Le anse piene di liquidi si presentano come strutture di colore bianco simili a cordoni. Quelle piene di gas sono simili a tubi neri dalla parete sottile. Una piccola quantità di gas al di sopra del fluido si presenta come una stretta banda radiotrasparente con un ispessimento della parete intestinale. Poiché in presenza di un volume di gas più elevato lo spessore della parete viene riflesso in modo più accurato, lo spessore della parete intestinale non deve mai essere valutato nelle immagini radiografiche in bianco, ma solo utilizzando un mezzo di contrasto (negativo o positivo).
ASPETTO NORMALE DEL TENUE ESAMINATO MEDIANTE PASTO BARITATO I tempi di transito del bario nel cane evidenziano che il mezzo di contrasto deve raggiungere il duodeno entro 13-20 minuti e il digiuno in 30 minuti, trovarsi fra il digiuno e l’ileo in 60 minuti ed arrivare alla giunzione ileocolica in 90-120 minuti. Il bario deve liberare il tratto superiore dell’apparato digerente e trovarsi nell’ileo e nel colon entro 3-5 ore. Il tempo di transito del bario nel gatto è caratterizzato da una gran quantità di variabili. Di solito, il mezzo di contrasto passa dallo stomaco all’ileo in circa 60 minuti, anche se il tempo richiesto può variare da 1 a 4 ore. I composti iodati organici presentano un tempo di transito attraverso il piccolo intestino di circa 15-90 minuti. Nella maggior parte dei casi lo iodio organico si trova nell’ileo e nel colon in meno di 60 minuti. L’aspetto della mucosa o della parete del piccolo intestino si valuta meglio utilizzando un mezzo di contrasto positivo. La mucosa si deve presentare con una superficie liscia e uniforme o con un margine finemente sfrangiato. Quest’ultimo aspetto è dovuto al passaggio del bario fra gruppi di villi aggregati. Nel duodeno normale del cane giovane, a livello del margine mesenterico si trovano delle depressioni, numerose o isolate, solita68
mente di forma squadrata o conica, al di sopra dei follicoli linfoidi. Si tratta di pseudoulcere considerate normali. Queste formazioni non si osservano nei gatti. Nei felini, si possono rilevare dei segmenti ben distinti simili a grani di rosario, con il contrasto visibile nel duodeno. Questo aspetto “a filo di perle” è dovuto alle normali contrazioni della forte muscolatura circolare. Il duodeno o il digiuno dei gatti sani possono anche mostrare un difetto di riempimento lineare durante il pasto baritato. Questo “pseudofilo” è dovuto alla protrusione della plica di mucosa nel lume che determina una radiotrasparenza lineare circondata dal bario e di solito si osserva soltanto in segmenti intestinali scarsamente distesi.
Valutazione delle immagini ottenute con il pasto baritato 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
Dimensioni del lume Profilo della superficie mucosa Caratteristiche dell’ombra intraluminale Spessore della parete intestinale Flessibilità e motilità della parete intestinale Posizione del piccolo intestino Continuità della colonna radiopaca Tempo di transito
ASPETTO ANORMALE DELLO STOMACO Le pliche rugose possono essere ispessite da diversi tipi di processi infiltranti, quali infiammazione acuta o cronica o neoplasia. Negli animali colpiti da queste malattie le pliche possono anche essere irregolari o ulcerate. Insieme all’ispessimento ed all’ulcerazione, all’interno dello stomaco si possono riscontrare delle mineralizzazioni ad andamento lineare (distrofiche) come alterazioni secondarie associate ad insufficienza renale cronica. Le malattie infiltranti della parete gastrica possono esitare in un aumento della rigidità ed in una perdita dell’estensibilità. Questa rigidità può essere dovuta a numerose cause, quali edema o emorragia, infiltrazione neoplastica o infiammatoria o flogosi provenienti da strutture adiacenti come quelle secondarie ad una pancreopatia. 69
TUMORI GASTRICI La maggior parte dei tumori origina dalla piccola curvatura, anche se può essere colpito qualsiasi settore dello stomaco. All’interno del lume gastrico si può riscontrare un difetto di riempimento che può essere polipoide, peduncolato o sessile. È frequente l’ulcerazione dei tumori gastrici. Radiograficamente, la parete può apparire ispessita o irregolare. L’organo può risultare inestensibile a causa di questo ispessimento e mostrare un aspetto fisso o rigido nelle immagini riprese in sequenza. Se la massa patologica si trova nella regione del deflusso (piloro), lo stomaco si può presentare gravemente disteso e pieno di fluidi o fluidi e gas, oppure vuoto dopo il vomito.
SVUOTAMENTO GASTRICO Il ritardo dello svuotamento gastrico può essere secondario ad un problema meccanico o funzionale. Le ostruzioni piloriche possono essere dovute ad alterazioni ipertrofiche, corpi estranei e neoplasie. Una delle principali caratteristiche da valutare nei casi in cui si riscontra radiograficamente una moderata distensione dello stomaco e si sospetta un’ostruzione pilorica è la presenza di problemi della motilità o funzionali secondari ad effetti di farmaci quali atropina, antispastici o certi tranquillanti. In presenza di un’ostruzione del deflusso, il tempo di svuotamento gastrico può essere ritardato fino a tre o anche sei ore. Nelle immagini riprese con mezzo di contrasto, il canale pilorico può apparire ristretto. Si può quindi osservare il materiale radiopaco che si estende attraverso il piloro concentricamente ristretto ed allungato ed identificato come segno del “becco” (di uccello) o del “filo”. Il “capezzolo pilorico” (pyloric tit) è la tasca peristaltica, o estroflessione dell’antro pilorico lungo la piccola curvatura quando un’onda peristaltica spinge il mezzo di contrasto contro l’ostruzione a livello della zona di deflusso.
CORPI ESTRANEI GASTRICI I corpi estranei radiopachi nello stomaco vengono di solito facilmente identificati. Quelli radiotrasparenti possono essere facilmente visibili grazie al contrasto dell’aria che li circonda. I lembi dei stoffa o i materiali porosi spesso trattengono il bario dopo lo svuotamento dello stomaco (precedentemente sottoposto ad esame contrastografico o pasto baritato). I corpi estranei meno permeabili si presentano come difetti di riempimento all’interno dello stomaco riempito dal bario. 70
COMPLESSO DI DILATAZIONE/TORSIONE DELLO STOMACO La dilatazione gastrica viene definita come una distensione moderata o grave dello stomaco che risulta riempito principalmente da gas, gas e fluidi, fluidi o ingesta. È della massima importanza notare che questo stomaco ingrossato conserva la propria posizione normale. La torsione gastrica viene differenziata dalla dilatazione sulla base della dislocazione (posizione anormale) determinata dalla rotazione. L’organo può essere disteso (questi animali vengono portati alla visita in crisi acuta, con timpanismo e conati). La localizzazione del piloro e del duodeno in posizione dorsocraniale e vicino alla linea mediana o alla sua sinistra costituisce l’aspetto più comune di questa alterazione di posizione. Utilizzando un volume limitato di mezzo di contrasto positivo ed effettuando la ripresa della radiografia in proiezione laterolaterale sinistra è possibile dimostrare il piloro. Un’immagine standard in proiezione laterolaterale destra (proiezione d’elezione) mostra il piloro pieno di gas in un animale con dilatazione/torsione dello stomaco. Le altre modificazioni radiografiche che si possono osservare sono rappresentate da compartimentalizzazione (identificazione radiografica di bande di tessuti molli che si proiettano all’interno o attraverso il lume pieno di gas dello stomaco ruotato. Queste bande di tessuti molli sono dovute alla ripiegatura dello stomaco su se stesso perché la parete ripiegata si proietta nel lume e viene delineata dal gas presente al suo interno). Si può avere una splenomegalia (con variazioni della localizzazione del corpo della milza) dovuta alla torsione. La parete gastrica può essere sottile. Sia a livello intraparietale che nel fegato (vasi portali) si può osservare la presenza di gas dovuta alla necrosi della parete stessa. Può essere presente una riduzione di dimensioni della vena cava caudale e della silhouette cardiaca (per diminuzione del precarico), una dilatazione esofagea (megaesofago) ed un ileo paralitico riflesso del piccolo intestino (che può anche essere dovuto al dolore).
ASPETTO ANORMALE DEL TENUE NELLE IMMAGINI RADIOGRAFICHE RIPRESE SENZA MEZZO DI CONTRASTO I pazienti che hanno avuto recentemente estesi episodi di vomito tendono a non mostrare segni radiografici di ostruzione duodenale anche quando questa può essere presente. Per identificare le ostruzioni intestinali alte nei pazienti che vomitano è spesso necessario ricorrere alle contrastografie. 71
L’ileo viene definito come una condizione ostruttiva dell’intestino. Ne esistono due tipi: meccanico o funzionale. Il primo è anche indicato come dinamico o ostruttivo. Di solito è semplice e non strangolante. I segni radiografici possono essere influenzati dal grado, dalla localizzazione e dalla durata dell’ostruzione. La dilatazione del piccolo intestino secondaria ad ostruzione meccanica si verifica a causa della presenza di aria e saliva deglutita e dell’accumulo di secrezioni mucose nel tratto digerente. L’ileo funzionale è anche detto paralitico o adinamico, può essere localizzato o generalizzato e può rappresentare una sequela dell’ileo meccanico. I suoi stadi di sviluppo a livello muscolare sono l’affaticamento, consente lo stiramento dell’intestino, l’ischemia secondaria allo stiramento e la necrosi. Esistono numerose cause di ileo funzionale; le prime sono di tipo estrinseco (che tendono ad essere più generalizzate), come il danno del midollo spinale, il riflesso al dolore, il trauma o l’irritazione peritoneale, oppure la compromissione vascolare. Il secondo tipo è quello intrinseco (che nella maggior parte dei casi è regionale) e può essere causato da edema, amiloidosi, infiammazione acuta o enterite, per citarne solo alcuni.
Segni radiografici dell’ileo 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
Eccesso di accumulo di gas e fluidi all’interno delle anse intestinali Curve a zig zag delle anse intestinali ripiegate Ammasso o stratificazione delle anse intestinali Squadratura delle anse intestinali distese Grado di dilatazione che aumenta man mano che l’ostruzione diviene più aborale “Testa di serpente” Segmento isolato di piccolo intestino disteso dovuto a peritonite focale
Segni radiografici dei corpi estranei lineari 1. 2. 3. 4. 5. 6. 72
Ripiegatura a fisarmonica del piccolo intestino Riduzione di lunghezza del tratto colpito Peritonite secondaria Aumento numerico di bolle di gas eccentriche (a forma di goccia, mezzaluna o virgola) Corpi estranei, di solito sul margine mesenterico Ripiegatura sul margine antimesenterico
INTUSSUSCEZIONE L’intussuscezione viene definita come l’invaginamento di un segmento intestinale in una porzione contigua dell’intestino. La condizione può interessare il piccolo intestino (enteroenterica), il grosso intestino (colocolica, cecocolica o cosiddetta inversione cecale) o il piccolo e grosso intestino (ileocolica, che è il tipo più comune). Sono anche state descritte intussuscezioni gastrogastriche, enterogastriche e gastroesofagee. Le intussuscezioni possono essere anterograde o retrograde. I segni clinici della condizione sono di solito quelli osservati nelle enteropatie ostruttive. Queste manifestazioni radiografiche dipendono dal tipo di intussuscezione e sono rappresentate da segni di ostruzione del piccolo intestino, presenza di gas anomalo, perdita della silhouette cecale e comparsa dell’effetto “a molla a spirale” con il clisma baritato.
ASPETTO ANORMALE DEL TRATTO INTESTINALE NELLE RADIOGRAFIE CON MEZZO DI CONTRASTO La segmentazione del mezzo di contrasto può essere normale o anormale. Di solito si osserva verso la fine di una serie di radiografie gastroenteriche normali. Può essere dovuta a fattori diversi dalla presenza di patologie del tenue, quali perdita della fluidità del mezzo di contrasto, formazione di aggregati di bario con muco o cibo, inadeguatezza del volume di bario somministrato, ritardato svuotamento gastrico da pienezza dell’ileo (riflesso gastroiliaco). La segmentazione anomala della colonna di contrasto può essere dovuta ad una gastropatia ostruttiva, un’irritazione del tratto gastroenterico (grave gastrite o enterite) o un’ostruzione parziale. I disordini intraluminali si manifestano di solito sotto forma di aree radiotrasparenti circondate da mezzo di contrasto positivo. Spesso determinano un ritardo del tempo di transito intestinale e causano un ileo prossimale alla loro localizzazione.
DISORDINI INTRAPARIETALI I disordini intraparietali vanno valutati ricorrendo al pasto baritato (mezzo di contrasto positivo). Quando si effettua questa indagine è necessario stabilire se la lesione si proietta nel lume, se causa un restringimento o una costrizione, oppure se si proietta lontano dal lume, causando un ingrossamento del 73
diametro dello stesso come conseguenza di un difetto della parete intestinale. Si possono riscontrare ispessimento e rigidità della parete intestinale, irregolarità delle superfici sierose o mucose o associazione di queste alterazioni. I disordini intraparietali dell’intestino possono apparire radiograficamente come peduncolati, su ampia base, a superficie liscia o irregolare, e possono espandere l’ampiezza del viscere (le forme benigne tendono ad essere lisce, mentre quelle maligne tendono ad essere irregolari). L’eziologia delle lesioni intraparietali è rappresentata da neoplasie, granulomi, ascessi, cicatrici ed ematomi. I processi infiammatori del tenue (enterite) tendono ad aumentare la velocità della motilità intestinale (riduzione del tempo di transito). Con la cronicità e la gravità possono conferire un aspetto irregolare alla superficie mucosa, nonché diminuire la larghezza del lume dell’intestino. Se l’enterite è abbastanza grave e cronica, si possono avere delle alterazioni o erosioni della mucosa.
74
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David S. Biller DVM, Dipl ACVR Kansas State University - USA
Reperti ecografici normali e patologici dell’apparato digerente Sabato, 26 ottobre 2002, ore 14.30
75
Sino a non molto tempo fa, l’ecografia era considerata una cattiva scelta per la valutazione del tratto gastroenterico, a causa della barriera opposta agli ultrasuoni dal gas presente nel lume del viscere. Negli ultimi cinque anni, tuttavia, questa tecnica è stata applicata con successo alla diagnosi di numerosi disordini gastroenterici, come i corpi estranei gastrici ed intestinali, l’intussuscezione, la gastropatia uremica, la gastropatia ipetrofica pilorica cronica, la duplicazione enterica e le neoplasie intestinali. L’ecografia si è dimostrata utile non solo per la diagnosi delle alterazioni morfologiche di questo apparato, ma anche nella valutazione della sua funzione. Come nel caso dell’esame del pancreas, anche a livello gastroenterico è di importanza critica ottenere la massima risoluzione utilizzando un trasduttore ad alta frequenza. Anche il tenere a digiuno l’animale prima dell’ecografia migliora i risultati.
ASPETTO ECOGRAFICO NORMALE L’esame ecografico completo del tratto gastroenterico prevede la valutazione dello spessore della parete e della sua stratificazione, la valutazione del contenuto del lume e la quantificazione della funzione peristaltica. Nel cane normale, la parete gastrica ha uno spessore di 3-5 mm quando lo stomaco è moderatamente disteso e può essere leggermente maggiore quando non lo è. Analogamente, le pliche gastriche, riconoscibili a livello del fondo e del corpo, risultano più o meno spesse in funzione del grado di distensione dell’organo. Quando la misurazione viene effettuata in condizioni di rilassamento, la parete del piccolo e grosso intestino risulta pari a 2-3 mm. Lo spessore della parete gastroenterica non sembra dipendere dall’età o dalla razza. Ispessimenti patologici si devono sospettare nei casi in cui il valore riscontrato risulta superiore a 6-7 mm nello stomaco e 5 mm nell’intestino. L’ecografia consente di differenziare i vari strati del tratto gastroenterico, che presentano valori alternati di ecogenicità. In condizioni ottimali, è possibile identificare 5 strati separati, rappresentati da superficie mucosa (iperecogena), mucosa (ipoecogena), sottomucosa (iperecogena), muscolare (ipoecogena) e sierosa (iperecogena). La sottomucosa e la sottosierosa-sierosa sono iperecogene a causa della presenza di una quantità relativamente maggiore di tessuto connettivo fibroso. L’esame degli strati dello stomaco e dell’intestino può essere utile per determinare la gravità e la localizzazione dei processi patologici dell’apparato digerente. L’aspetto ecografico del lume gastroenterico dipende dal suo contenuto. Nello stato collassato, si presenta iperecogeno (“stria di mucosa”) e circondato da un alone ipoecogeno di parete intestinale. Il nucleo iperecogeno è dovuto alla presenza di muco e piccole bolle d’aria intrappolate a livello del76
l’interfaccia fra mucosa e lume. Quando all’interno del viscere è presente del fluido, si osserva un’area anecogena fra le pareti dell’intestino che si presentano tubulari nelle immagini ottenute lungo l’asse maggiore e circolari in quelle lungo l’asse minore. Il gas presente all’interno del lume gastroenterico determina un’interfaccia altamente ecogena con l’ombra acustica distale. Nella maggior parte dei casi, l’onda è riempita da molteplici echi causati da riverbero (ombra “sporca”), ma può anche essere anecogena (ombra “pulita”). La presenza del fluido nel lume intestinale migliora la capacità dell’operatore di valutare gli strati di mucosa e sottomucosa, mentre la presenza di gas la diminuisce. Nell’esame del tratto gastroenterico va inserito l’impiego dell’ecografia in tempo reale per la valutazione della motilità dello stomaco e dell’intestino. Il numero medio di contrazioni peristaltiche a livello dello stomaco e del tratto prossimale del duodeno è di 4-5 al minuto. In genere, nel colon discendente non si osservano contrazioni.
ESAME ECOGRAFICO DEL TRATTO GASTROENTERICO ANORMALE Corpi estranei gastroenterici L’ecografia si è rivelata utile per l’identificazione di numerosi tipi differenti di corpi estranei gastrici ed intestinali. L’aspetto ecografico di questi materiali nell’apparato digerente dipende dalle loro proprietà fisiche e dal grado di attenuazione del suono. Nelle immagini ecografiche, gli oggetti che trasmettono i suoni vengono rappresentati in modo più accurato di quelli che li attenuano. Tutti i margini degli oggetti che attenuano fortemente i suoni, ad eccezione di quello più vicino, sono oscurati dall’ombra acustica che producono. Anche se quest’ombra impedisce la completa visualizzazione dell’oggetto, la sua presenza può indicare quella di un corpo estraneo. Gli oggetti che attenuano il suono generano un’interfaccia altamente ecogena a livello della loro superficie vicina, seguita da un’ombra acustica che può avere un aspetto “pulito” o “sporco”. La forma della linea ecogena (curva, irregolare, lineare) può contribuire ad identificare il tipo di corpo estraneo presente. È importante distinguere il quadro ecografico prodotto dagli oggetti che determinano una forte attenuazione del suono da quel del gas luminale, che può portare alla formazione di un’immagine simile. Quando si sospetta un corpo estraneo gastrico, che però non può essere identificato, la somministrazione di acqua attraverso una sonda orogastrica può favorirne la visualizzazione. 77
La presenza di un corpo estraneo può essere suggerita anche da anomalie ecografiche a carico delle strutture gastroenteriche circostanti. L’identificazione di una distensione dell’intestino per la presenza di fluidi o gas può indicare un’ostruzione e deve spingere ad effettuare un’accurata ricerca di eventuali corpi estranei che ne potrebbero essere la causa. I corpi estranei lineari sono spesso associati ad ispessimenti e formazione di pliche della parete intestinale, identificabili con l’esame ecografico.
Intussuscezione L’ecografia ha contribuito alla diagnosi dell’intussuscezione intestinale e gastrica. Inoltre, abbiamo osservato l’inversione cecale in un cane e l’intussuscezione ileocolica in un gatto, entrambe evidenti ecograficamente. L’aspetto ecografico di un’intussuscezione in un piano trasversale è stato descritto come “lesione a bersaglio” o “segno di molteplici anelli concentrici”, riflettendo la disposizione degli strati concentrici di parete intestinale all’interno del segmento intussuscetto. Nelle immagini longitudinali l’intussuscezione ha un aspetto di segmento ispessito di intestino con un numero eccessivo di strati caratterizzati da un’ecogenicità alternata. Va notato che anche altri disordini gastroenterici possono causare lesioni “a bersaglio”. Quindi, quando si sospetta un’intussuscezione sulla base di un’immagine trasversale, è necessario esaminare la lesione anche lungo il piano longitudinale.
Neoplasie gastroenteriche Le più comuni caratteristiche ecografiche delle neoplasie gastroenteriche sono l’ispessimento della parete dello stomaco o dell’intestino, la perdita del normale aspetto stratificato e le alterazioni del profilo della mucosa e/o delle superfici sierose. Le variazioni associate a questi tumori nella maggior parte dei casi sono focali, ma possono anche essere diffuse, specialmente nel linfoma gastroenterico del cane. L’ispessimento della parete è in genere asimmetrico, ma può essere simmetrico. La perdita del normale aspetto stratificato della parete gastroenterica riflette l’infiltrazione di elementi neoplastici ed infiammatori, la necrosi, l’edema e l’emorragia. In alcuni casi, l’esame degli strati parietali fornisce informazioni relative alla gravità ed alla profondità del coinvolgimento neoplastico. I leiomiomi gastrici possono essere visualizzati come riscontri incidentali nel corso di un esame ecografico addominale di routine. Di solito, vengono identificati come masse tondeggianti abbastanza piccole che protrudono nel lume gastrico nell’area del cardias. In molti animali, i leiomiomi gastrici non 78
sono associati a segni clinici. L’adenocarcinoma ed il linfoma dello stomaco del cane causano tipicamente un grave ispessimento ed un’irregolarità della parete dello stomaco. Le aree ispessite di solito sono ipoecogene; non sono evidenti strati normali. Il linfoma digerente del gatto si riscontra più comunemente a livello della giunzione ileocolica. Dal punto di vista ecografico (nelle sezioni trasversali) il linfoma digerente felino si presenta come uno spesso anello ipoecogeno che circonda la superficie della mucosa iperecogena.
Ulcera gastrica L’ulceropatia gastrica può essere un disordine primario (ad es., associato a somministrazione di farmaci antinfiammatori non steroidei) oppure complicare altre malattie (ad es., epatopatia o affezioni neoplastiche o infiammatorie dello stomaco). Ecograficamente, le ulcere gastriche si presentano come focolai lineari iperecogeni all’interno della parete dello stomaco. Questi focolai rappresentano piccole bolle di gas intrappolate a livello della superficie luminale del cratere dell’ulcera. Occasionalmente, nelle ecografie si può osservare una perdita focale di mucosa e sottomucosa gastrica. L’infiammazione e l’edema associati all’ulcerazione possono causare una perdita dell’aspetto stratificato delle porzioni più profonde della parete dello stomaco. Sfortunatamente, l’ecografia sembra essere un mezzo poco sensibile per l’identificazione dell’ulcera gastrica, specialmente nei casi superficiali.
Gastropatia uremica L’aspetto ecografico della gastropatia uremica è stato descritto in quattro cani con grave uremia derivante da una nefropatia in stadio terminale. Le caratteristiche ecografiche sono rappresentate da ispessimento della parete dello stomaco e presenza di una linea ecogena nella mucosa gastrica superficiale, che rappresenta una mineralizzazione della mucosa dello stomaco. Il normale aspetto stratificato della parete gastrica era scomparso in tre cani, ma era stato mantenuto in un altro, riflettendo una variazione di profondità dell’infiammazione, dell’edema e della necrosi parietali.
Gastropatia pilorica ipertrofica cronica I riscontri ecografici caratteristici della gastropatia pilorica ipertrofica cronica (CHPG, chronic hypertrophic pyloric gastropathy) sono rappresentati da 79
distensione dello stomaco ed ispessimento della parete pilorica. L’esame del piloro lungo un piano trasversale mostra un anello ipoecogeno di spessore uniforme che rappresenta la muscolare, che circonda il lume pilorico. In 6 cani con CHPG esaminati ecograficamente, lo spessore della parete pilorica era superiore a 9 mm e quello dello strato muscolare superava i 4 mm.
Ileo Sia l’ileo meccanico che quello paralitico sono stati descritti come riscontri ecografici. Il primo si ha prossimalmente ad un’area di ostruzione; il secondo può essere generalizzato (ad es., enterite virale, ipokalemia) o focale (ad es., duodenite secondaria a pancreatite). Quando è presente un ileo, l’intestino appare dilatato e pieno di liquidi e la motilità gastroenterica è diminuita o assente.
80
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David S. Biller DVM, Dipl ACVR Kansas State University - USA
Indicazioni, utilità e limiti dell’impiego della TC ed RM nelle patologie dell’apparato digerente Sabato, 26 ottobre 2002, ore 16.15
81
La tomografia computerizzata è stata utilizzata per la valutazione delle malattie degli animali da compagnia sin dall’inizio degli anni Ottanta. Attualmente, il suo principale impiego è lo studio delle affezioni del sistema nervoso centrale. La maggior parte dei dati relativi alle applicazioni a livello di apparato respiratorio sono state estrapolate da quelle descritte in letteratura medica umana. L’interesse per l’impiego della tomografia computerizzata (TC) e della risonanza magnetica (RM) in medicina veterinaria cresce di pari passo col numero dei clienti che hanno avuto modo di sperimentare l’impiego di queste tecniche di diagnostica per immagini sulla propria persona o su qualche altro membro della famiglia. Costoro spesso sono più che disposti ad affrontare il costo di un avanzato esame di questo tipo per ottenere una diagnosi ed un piano terapeutico più accurato. Ciò vale in particolare nel campo della neurologia e dell’oncologia. Non è ragionevole aspettarsi che una struttura veterinaria di medio livello disponga al suo interno delle apparecchiature necessarie per questo tipo di esame, ma può darsi che si riesca facilmente a trovare un appoggio per questo tipo di servizi nell’area in cui si opera, sapendo dove cercare ed a chi chiedere. Anche se può non essere “direttamente coinvolto” nell’esecuzione della TC o della RM, il veterinario deve conoscere le indicazioni per questo tipo di esami ed essere in grado di rispondere alle domande che i clienti pongono sull’argomento. Poiché si basa su una tecnologia digitale, la TC consente di manipolare le immagini in modo da poter valutare selettivamente le aree di interesse. Le nuove tecniche di scansione rapida come l’Helical TC consentono di visualizzare gli animali molto più velocemente di quanto non fosse possibile in passato. Inoltre, con un software appropriato, si possono ottenere immagini tridimensionali e piani di scansione alternativi che in passato erano già disponibili, ma con difficoltà molto maggiori. La tomografia computerizzata offre una migliore risoluzione di contrasto, che può rilevare differenze di radiopacità dei tessuti più sottili di quanto non sia possibile con i mezzi radiografici oggi disponibili. La tecnica consente di ottenere immagini in sezione trasversale utilizzando raggi X e computer. Grazie alla migliore risoluzione di contrasto, si dispone di una differenziazione dei tessuti molli di livello superiore. Inoltre, non si ha alcuna sovrapposizione delle strutture sovrastanti. Questi tendono ad essere i principali vantaggi della tomografia computerizzata rispetto alla radiologia diagnostica convenzionale. La tomografia computerizzata di solito deve essere preceduta da un’appropriata valutazione radiografica. Si sconsiglia di passare direttamente alla TC, fatta eccezione per le malattie della testa (encefalo, naso, orecchie). Gli esami radiografici in bianco di questa regione anatomica sono notoriamente 82
di scarso valore. La nozione più importante per interpretare le immagini ottenute è la buona conoscenza dell’anatomia normale. Per discutere le immagini TC è necessario adottare una terminologia radiologica simile. Le strutture di colore bianco sono caratterizzate da un aumento della radiopacità o della densità dell’oggetto. Le strutture scure sono riferibili ad oggetti meno densi o meno radiopachi, cioè radiotrasparenti. La terminologia è simile, ma la TC si basa sull’attenuazione dei raggi X. Parlando di RM non si utilizzano i termini di densità, radiopacità o radiotrasparenza. Poiché l’immagine è basata su segnali su frequenza radio si utilizzando i termini di aumento e diminuzione dell’intensità del segnale. Le strutture brillanti o bianche sono caratterizzate da un aumento dell’intensità, mentre, al contrario, quelle scure o nere sono dovute a segnali meno intensi.
LIMITI DELLA RADIOGRAFIA I raggi X passati attraverso il paziente vengono assorbiti in modo diverso dai tessuti corporei. Essendo più radiodenso, l’osso assorbe una maggior quantità di raggi X rispetto ai tessuti molli. Questo assorbimento differenziale è contenuto nel fascio di raggi che attraversa il paziente e viene registrato sulla pellicola. Il principale difetto della radiografia è la sovrapposizione di tutte le strutture sulla pellicola, il che rende difficile e talvolta impossibile distinguere un particolare dettaglio. Ciò vale specialmente per le formazioni con densità poco diverse, come avviene spesso nel caso di alcuni tumori e dei tessuti molli circostanti. Anche se, per localizzare una struttura, è possibile effettuare una ripresa di immagini in molteplici proiezioni, ad esempio laterolaterali ed oblique, il problema della sovrapposizione in radiografia persiste. Un secondo limite è che la radiografia è una procedura qualitativa piuttosto che quantitativa. È difficile distinguere fra un oggetto omogeneo di spessore non uniforme ed uno eterogeneo di spessore uniforme. Inoltre, la radiografia non riesce a dimostrare adeguatamente lievi differenze nel contrasto del soggetto, che sono caratteristiche dei tessuti molli. La pellicola radiografica non è abbastanza sensibile per risolvere le piccole differenze, perché in condizioni tipiche è in grado soltanto di discriminare variazioni di intensità dei raggi X del 5-10%. I limiti della radiografia esitano nell’incapacità della pellicola di visualizzare differenze molto piccole del contrasto tissutale. Inoltre, quest’ultimo non può essere regolato dopo essere stato registrato sulla pellicola. 83
VANTAGGI E LIMITI DELLA TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA Lo scopo della tomografia computerizzata è quello di superare i limiti della radiografia ottenendo i seguenti risultati: 1) riduzione al minimo della sovrapposizione 2) miglioramento del contrasto dell’immagine 3) registrazione di differenze molto piccole di contrasto tissutale I principali vantaggi della TC sono dovuti al fatto che questa tecnica supera i limiti della radiografia. In confronto alla seconda, la prima comporta i seguenti miglioramenti: 1) eccellente risoluzione di basso contrasto, possibile grazie all’impiego di un fascio altamente collimato per ottenere un’immagine di una sezione trasversale del paziente e di speciali rilevatori utilizzati per misurare la radiazione trasmessa attraverso questa sezione. 2) Modificando l’ampiezza e la lunghezza della finestra nell’immagine, è possibile modulare la scala di contrasto dell’immagine in modo da variarla per adattarla alle necessità dell’osservatore. 3) Con l’acquisizione spirale dei dati, la TC e la geometria spirale hanno superato parecchi limiti dell’acquisizione convenzionale di tipo startstop. I vantaggi sono rappresentati dalla raccolta dei dati in un singolo atto respiratorio piuttosto che sezione per sezione, dal miglioramento della visualizzazione tridimensionale, dalla riformattazione dell’immagine multiplanare e da altre applicazioni come la visualizzazione continua, l’angiografia TC e la visualizzazione in realtà virtuale o l’endoscopia TC. 4) Per quanto riguardala manipolazione e l’analisi dell’immagine, la natura digitale di quest’ultima ne fa un ottima candidata all’elaborazione. L’immagine può essere modificata in modo da aumentare le informazioni in essa contenuta o analizzarle per conoscere la forma e la struttura delle lesioni. La TC non è priva di limiti. È possibile rilevare i seguenti svantaggi: 1) La risoluzione spaziale della TC è particolarmente scadente. 2) La dose della TC è generalmente più elevata per regioni anatomiche simili. 3) La TC è limitata a sezioni assiali trasversali a causa delle caratteristiche hardware della sonda, anche se l’angolazione dell’entrata può essere modificata in modo da ottenere immagini di sezioni inclinate fino a 30° rispetto a quella trasversale. 84
4)
5)
Nella TC è difficile visualizzare regioni anatomiche costituite tessuti molli circondate da grandi quantità di osso, come la fossa posteriore, il midollo spinale e l’ipofisi. La presenza di oggetti metallici nel paziente determina artefatti a stria nelle immagini TC. Inoltre, la TC genera altri artefatti non comuni alla radiografia.
Queste limitazioni non hanno in alcun modo ostacolato lo sviluppo della TC, né ne hanno ristretto l’uso. Anzi, hanno aperto nuove vie alla soluzione di problemi ed alla ricerca.
RM E TC NELLE AFFEZIONI DEL TRATTO GASTROENTERICO La TC è molto utile nella diagnosi di tutti i tipi di malattie addominali nell’uomo e viene impiegata come l’ecografia addominale. Il suo uso in diagnostica per immagini veterinaria è oggi limitato, ma non c’è ragione perché non possa risultare altrettanto utile negli animali. Se questi possono essere tenuti immobili, anche la RM può fornire un eccellente dettaglio anatomico delle strutture addominali.
Come la utilizziamo nella nostra struttura: 1)
Effettuiamo ben poche indagini di diagnostica per immagini dell’addome che non siano ecografie in sezione trasversale. 2) Attualmente utilizziamo l’ecografia addominale come metodo per studiare ulteriormente le anomalie riscontrate radiograficamente o con la palpazione in addome. Le aree in cui queste tecniche sarebbero utili comprendono le anomalie delle surreni, le affezioni pancreatiche, la linfoadenopatia, le enteropatie infiltranti, le sospette metastasi epatiche e le neoplasie renali. Nei casi in cui si effettua una TC addominale, è di importanza critica servirsi di un mezzo di contrasto endovenoso per via orale per ottenere i massimi risultati dall’esame. L’ecografia resta il metodo d’elezione per la valutazione iniziale di screening delle lesioni epatiche focali. Anche se è più sensibile, la TC viene utilizzata soltanto quando i risultati ecografici non hanno portato a conclusioni definitive o nei casi in cui è necessaria una localizzazione più dettagliata ed una maggiore caratterizzazione delle lesioni. Per rilevare la 85
presenza di masse focali nel fegato, è importante utilizzare in modo appropriato un mezzo di contrasto IV. Con poche eccezioni, non è possibile diagnosticare mediante TC le epatopatie diffuse. TC ed ecografia risultano ugualmente accurate nella dimostrazione dei dotti biliari intra- ed extraepatici nei pazienti itterici.
TRATTO GASTROENTERICO Si ritiene che la TC stia assumendo un ruolo sempre maggiore grazie alla sua capacità di delineare non solo il lume, ma anche la parete intestinale e le strutture adiacenti. Benché non si sia dimostrata molto accurata per la stadiazione delle neoplasie maligne gastroenteriche, la TC viene ancora ampiamente utilizzata per questo scopo nell’uomo, principalmente per evitare interventi chirurgici non necessari nei casi in cui, a causa dell’invasione locale o della presenza di metastasi a distanza, esistono notevoli segni che fanno ritenere inasportabile il tumore. L’impiego di un mezzo di contrasto diluito somministrato per via orale per opacizzare il tratto gastroenterico è assolutamente necessario in addome, per non confondere le anse intestinali omogenee e piene di liquido con masse o anse piene di gas o con gli ascessi. I mezzi di contrasto positivi più comunemente utilizzati per la TC addominale sono la soluzione diluita di solfato di bario (1% peso/volume) e le soluzioni idrosolubili di mezzi di contrasto iodati (meglumine diatrizoato diluito 1:25 in acqua).
METODI DI DIAGNOSTICA PER IMMAGINI A LIVELLO DELLO STOMACO E DEL TENUE La tomografia computerizzata viene utilizzata per valutare le anomalie della parete dello stomaco e del piccolo intestino e determinare l’estensione delle affezioni extraluminali. Per una sua accurata interpretazione è essenziale indurre la distensione dello stomaco e del duodeno. Gli ispessimenti nodulari di una parete gastrica non distesa ma normale, specialmente vicino alla giunzione gastroesofagea, possono simulare un tumore. La distensione gastrica e duodenale si può ottenere riempiendo l’organo con mezzi di contrasto positivi o utilizzando granuli effervescenti per indurre una distensione gassosa. La TC costituisce il complemento dell’esame con il bario dimostrando la componente extraluminale delle affezioni intestinali. Inoltre, consente di valutare il mesentere, gli organi adiacenti, la cavità peritoneale ed il retroperitoneo. 86
METODI DI DIAGNOSTICA PER IMMAGINI DEL COLON La tomografia computerizzata integra l’esame con il bario dimostrando le componenti della malattia all’interno del lume ed all’esterno del viscere. È eccellente per evidenziare processi infiammatori e neoplastici estrinseci che influiscono sul colon, come gli ascessi, i tragitti fistolosi e le fistole. La tomografia computerizzata e la risonanza magnetica sono state utilizzate per la stadiazione iniziale delle neoplasie colorettali. Tuttavia, entrambi i metodi presentano una limitata capacità di determinare l’estensione dell’infiltrazione tumorale della parete intestinale e del coinvolgimento dei linfonodi regionali.
PANCREAS I metodi di diagnostica per immagini in sezione trasversale come l’ecografia, la TC e la RM consentono oggi la dimostrazione diretta del pancreas. Il ruolo della risonanza magnetica della diagnosi dei disordini di questa ghiandola è ancora discutibile e la tecnica probabilmente non offre alcun vantaggio significativo rispetto alla TC. Quando il pancreas è ben visualizzato nelle ecografie, la precisione è paragonabile a quella della TC. In generale, la percentuale di successo per quanto riguarda la capacità di delineare l’intero pancreas è molto più elevata con la TC che con l’ecografia, perché spesso la ghiandola è oscurata in tutto o in parte dal gas presente nell’intestino. Nella pancreatite acuta, la TC è utile principalmente a causa dell’elevata incidenza di ileo paralitico associato, che impedisce la visualizzazione ecografica della regione pancreatica. Attraverso l’ecografia è possibile monitorare le pseudocisti di maggiori dimensioni, anche se la TC generalmente delinea in modo più completo dal punto di vista grafico l’estensione del coinvolgimento ed è possibile apprezzare le dimensioni e l’entità delle alterazioni più piccole. Se si notano calcificazioni pancreatiche e dilatazioni del dotto è possibile formulare una diagnosi specifica di pancreatite cronica ricorrendo alla TC. L’ecografia e la tomografia computerizzata consentono di ottenere immagini di elevata qualità del parenchima pancreatico e vengono utilizzate come metodi primari di diagnostica per immagini per identificare le masse pancreatiche ed altre anomalie. Al momento attuale, l’uso della risonanza magnetica per la visualizzazione del pancreas è limitato. Il prelievo di campioni bioptici e gli interventi di drenaggio eseguiti sotto il controllo diretto ecografico e tomografico svolgono un ruolo primario nella diagnosi e nel trattamento delle affezioni del pancreas. 87
FEGATO La tomografia computerizzata e la risonanza magnetica vengono generalmente preferiti per la visualizzazione dei tumori epatici grazie alla loro elevata sensibilità e specificità ed alla riproducibilità complessiva per gli studi di follow-up. Il fatto di scegliere come metodo di visualizzazione di prima scelta la TC o la RM al momento attuale dipende principalmente dalla disponibilità delle apparecchiature necessarie, dalle preferenze personali e dall’esperienza. Attualmente, la risonanza magnetica sembra essere più sensibile e specifica della TC per la diagnosi delle lesioni focali. Tuttavia, la TC è nettamente migliore della RM per dimostrare le lesioni extraepatiche nell’ambito di una valutazione complessiva. La risonanza magnetica non evidenzia bene le epatopatie diffuse, fatta eccezione per il sovraccarico epatico di ferro.
METODI DI DIAGNOSTICA PER IMMAGINI DELL’ALBERO BILIARE Ecografia e TC sono altamente sensibili per rilevare la dilatazione dei dotti biliari, anche se sono un po’ meno efficaci per identificarne la causa. L’ecografia rappresenta il metodo di screening d’elezione grazie al basso costo ed alla comodità. Anche la risonanza magnetica può evidenziare una dilatazione biliare e può essere più efficace della TC o dell’ecotomografia per dimostrare i tumori associati.
METODI DI DIAGNOSTICA PER IMMAGINI NELLA CISTIFELLEA L’ecografia è la tecnica di diagnostica per immagini d’elezione per l’esame della cistifellea. Attraverso la TC è possibile dimostrare i calcoli biliari e la colecistite, ma la sensibilità è bassa. La tomografia computerizzata risulta utile per la diagnosi e la stadiazione del carcinoma della cistifellea. Al momento attuale, la risonanza magnetica non ha un ruolo significativo nell’esame di quest’organo.
MEZZI DI CONTRASTO ENDOVENOSO I mezzi di contrasto endovenosi vengono utilizzati per diversi scopi. L’opacizzazione vascolare iniziale può essere utile per la localizzazione ana88
tomica, la differenziazione dei vasi da una massa, la determinazione dell’estensione dello spostamento vascolare in caso di invasione da parte di un tumore, la valutazione specifica di affezioni vascolari quali aneurismi, stenosi o perdite di integrità vasale che esitano in una fuoriuscita del mezzo di contrasto dal circolo. La successiva distribuzione extravascolare del mezzo di contrasto nei vari tessuti contribuisce a confermare l’integrità dell’apporto ematico ai diversi organi e, in misura limitata, ad offrire una certa valutazione funzionale come nel caso dell’opacizzazione del tratto urinario. Spesso, i tumori presenti nel parenchima normale non vengono evidenziati con la stessa intensità o nello stesso momento. Questa differenza di accentuazione, che accresce la differenza di attenuazione fra i tessuti normali e quelli anormali, può essere sfruttata per ottenere la massima capacità di individuare le varie lesioni. Il grado di accentuazione del mezzo di contrasto dipende da una associazione di complessi fattori, come la velocità, la quantità e la concentrazione del materiale somministrato, la velocità dell’iniezione, il momento della ripresa delle immagini, la gittata cardiaca, l’espansione plasmatica, la ridistribuzione extravascolare e la filtrazione ed escrezione renale del mezzo di contrasto. L’infusione a goccia del mezzo di contrasto di solito non consente di ottenere un’accentuazione ideale a causa delle velocità di flusso incostanti, che determinano un aumento troppo lento delle concentrazioni plasmatiche dello iodio. Questo metodo è stato in gran parte rimpiazzato dalle iniezioni in bolo, con alcune importanti eccezioni come l’esame di routine della testa e la valutazione postoperatoria della colonna lombare e di quella cervicale.
89
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David S. Biller DVM, Dipl ACVR Kansas State University - USA
Reperti radiologici normali e patologici dell’apparato genito-urinario Domenica, 27 ottobre 2002, ore 10.00
91
ANATOMIA RADIOGRAFICA NORMALE DEL TRATTO URINARIO Rene Il rene ha la forma di un fagiolo nel cane ed un aspetto molto più arrotondato nel gatto. La lunghezza misurata nelle immagini radiografiche in proiezione ventrodorsale nel cane è pari a 2,5-3,5 volte quella della seconda vertebra lombare. Nel gatto, è invece pari a 2-3 volte quella della seconda vertebra lombare. L’asse maggiore dei reni nelle radiografie ventrodorsali è parallelo a quello della colonna vertebrale, a circa 1/3 della distanza fra la colonna stessa e la parete corporea. Reni e strutture retroperitoneali sono generalmente circondate dal grasso (che offre la possibilità di visualizzare i reni). A livello dei polo mesocraniali dei reni si trovano le surreni. Il polo craniale del rene destro è localizzato nella fossa renale del lobo caudato del fegato nel cane, determinando la scomparsa del margine di quella porzione del rene. Il rene destro è meno mobile del sinistro. Nel cane, il rene destro è di solito situato cranialmente a quello di sinistra e localizzato approssimativamente in corrispondenza di T13-L2 (mentre il sinistro si trova approssimativamente a L1L3). Nel gatto il rene destro può essere situato cranialmente al sinistro o più o meno allo stesso livello. Sempre nel gatto, il rene destro si trova circa in corrispondenza di L1-L3, mentre il sinistro è localizzato a L1-L3 (talvolta L2L4). I reni presentano margini lisci ed incurvati. La loro radiopacità è normalmente pari a quella dei tessuti molli (fluidi), solitamente visualizzati grazie alla differenza di densità con il grasso retroperitoneale circostante.
ASPETTO NORMALE DEI RENI NELL’UROGRAFIA DISCENDENTE I reni diventano più radiopachi entro 10-20 secondi dall’iniezione. Questa opacizzazione deve svanire nell’arco delle successive 1-3 ore. Dopo la fase vascolare e pielografica, i reni mostrano un’opacizzazione omogenea. Nella fase vascolare (immediatamente successiva all’iniezione), l’area corticale si presenta più radiopaca di quella midollare. Il bacinetto ed i diverticoli renali (sistema collettore) si possono osservare entro pochi minuti dall’iniezione endovenosa del mezzo di contrasto (fase pielografica). Il bacinetto è sottile, incurvato ed a forma di imbuto. I diverticoli si presentano come sottili proiezioni che dal bacinetto si dipartono verso la periferia dei reni. Al loro interno è presente una radiotrasparenza centrale che rappresenta i vasi interlobari che procedono nella stessa direzione dei 92
diverticoli, dalla parte centrale del rene verso la periferia. I diverticoli dei poli craniali e caudali del rene possono apparire abbastanza irregolari negli animali normali. Bacinetto e diverticoli si devono presentare simmetrici all’interno di ciascun rene. Queste strutture mostrano margini lisci e netti. L’uretere si osserva come una struttura tubolare che misura prossimalmente 2-3 mm e si fa più stretta nella parte restante. Decorre dal bacinetto renale al trigono vescicale. È sottile, retroperitoneale ed incurvato in direzione cranioventrale a livello della giunzione ureterovescicale nelle radiografie in proiezione laterolaterale (trigono vescicale). Si presenta radiopaco. Di solito, non è possibile visualizzare l’intero uretere nelle singole radiografie, a causa della normale peristalsi (responsabile del trasferimento dell’urina dal sistema collettore del rene alla vescica).
VESCICA La vescica deve avere una parete sottile (l’organo normalmente disteso ha uno spessore parietale di circa 1 mm) con una superficie mucosa molto liscia. È suddivisa in tre parti anatomiche: il vertice, il corpo ed il collo. Il trigono (area dorsale del collo) è la sede di inserimento degli ureteri. Nella cagna e nei felini la vescica ha normalmente un collo più lungo e più gradualmente affusolato che nel cane maschio. Di conseguenza, in questi animali la vescica è più lontana dal contorno del bacino.
URETRA L’uretra nelle femmine è più breve ed ha un diametro più grande che nei maschi. Nelle femmine è presente uno sfintere uretrale esterno. Le immagini radiografiche senza mezzo di contrasto forniscono informazioni diagnostiche minime (l’uretra non è visibile nelle radiografie in bianco degli animali normali), fatta eccezione per la presenza di calcoli radiopachi, ma prima dell’uretrografia con mezzo di contrasto si devono sempre riprendere delle immagini in bianco. La contrastografia è indicata in tutti i casi di sospetta malattia uretrale.
PROSTATA La prostata è normalmente una struttura intrapelvica. La sua posizione può variare con il grado di distensione vescicale (con una vescica moderatamente o marcatamente distesa, la prostata può essere tirata cranialmente e visualiz93
zata all’interno della parte caudale dell’addome). La ghiandola è caratterizzata dalla radiopacità dei tessuti molli. Viene considerata ingrossata se può essere visualizzata cranialmente al contorno del bacino o se > 70% del tratto dal sacro ventrale al pube. Nei cani di età superiore ai 5 anni ed interi questo riscontro può essere meno significativo.
UTERO L’utero normale non gravido non viene visualizzato nelle radiografie addominali. Il corpo dell’organo è situato fra il colon (dorsalmente) e la vescica (ventralmente). La calcificazione degli scheletri fetali si ha nel cane a 40-45 giorni e nel gatto a 35-40 giorni.
ASPETTO RADIOGRAFICO ANORMALE DEL TRATTO URINARIO Reni L’aspetto radiografico anormale dei reni può essere suddiviso, considerando la forma e le dimensioni dell’organo, in aumenti di dimensioni con forma normale e forma anormale. L’altra categoria da prendere in considerazione è la riduzione delle dimensioni con forma anormale. Le possibili diagnosi differenziali in caso di aumento di dimensioni con forma normale sono la nefropatia acuta, l’idronefrosi, le affezioni infiltranti come il linfosarcoma (neoplasia), la peritonite infettiva felina/nefrite granulomatosa o l’amiloidosi. In questo gruppo occorre anche tenere presenti l’ipertrofia compensatoria e la raccolta sottocapsulare di fluidi come l’urina, le emorragie o il contenuto delle pseudocisti perinefriche. Le anomalie della forma con aumento di dimensioni possono essere causate da neoplasie, cisti (isolate o policistiche), ascessi/granulomi o ematomi. Fra i due gruppi può esistere una notevole sovrapposizione a causa della difficoltà di valutazione dei margini. Le masse renali restano nella parte dorsale dell’addome, perché la loro migrazione ventrale è impedita dalla robusta fascia retroperitoneale. Quelle associate al rene destro di solito provocano una dislocazione mediale e ventrale del duodeno discendente e del colon ascendente. Si può avere lo spostamento ventrale e verso sinistra della porzione adiacente del piccolo intestino. Le masse a livello del rene sinistro inducono una dislocazione ventrale e mediale del colon discendente e del piccolo intestino adiacente. 94
Le possibili diagnosi differenziali in caso di diminuzione delle dimensioni del rene con anomalie della forma sono solitamente rappresentate da nefropatia cronica riconducibile a molte eziologie, comprese le infezioni. Altre cause possono essere date da qualsiasi tipo di malattia in grado di causare infarto renale, displasia renale o altre affezioni congenite come l’ipoplasia. La posizione normale del rene può cambiare o essere influenzata da organi o masse adiacenti. I reni ectopici possono anche essere motivo di localizzazione anomala dell’organo. Esistono numerose cause di irregolarità dei margini renali quali infarti o cicatrici, masse patologiche, infarto/infezione cronica, displasia/ipoplasia o tutte le cause di nefropatia in stadio terminale. L’aumento della radiopacità del rene può essere causato da calcoli, nefrocalcinosi (mineralizzazione del parenchima renale solitamente distrofico e avvelenamenti/glicol etilenico). La diminuzione della radiopacità del rene può essere secondaria alla presenza di gas all’interno del sistema collettore (questo fenomeno è di solito conseguente ad un reflusso di aria dalle basse vie urinarie).
ASPETTO RADIOGRAFICO ANORMALE DEI RENI CON L’UROGRAFIA DISCENDENTE In seguito all’introduzione di un mezzo di contrasto positivo i reni mostrano normalmente una buona opacizzazione iniziale, che però col tempo diminuisce di intensità. In caso di malattie caratterizzate da scarsa funzionalità renale/calo della velocità di filtrazione glomerulare, di solito si ha una riduzione dell’opacizzazione iniziale. Nelle malattie come l’insufficienza renale indotta dal mezzo di contrasto o l’ipotensione, tuttavia, l’opacizzazione può essere progressiva (aumentata) o persistente. Si può anche notare l’assenza di produzione di urina ed il mancato passaggio del mezzo di contrasto nella vescica. Con l’impiego del mezzo di contrasto nel rene (urografia discendente) è possibile valutare bene il bacinetto renale ed i diverticoli. Queste strutture possono essere aumentate di volume (idronefrosi, pielonefrite) in caso di ostruzione o infezione. La posizione del sistema collettore può essere deviata o distorta da masse patologiche (neoplasie, cisti, ascessi) o malattie infiltranti dei reni. L’urografia escretoria con mezzo di contrasto può anche risultare eccellente per la valutazione dell’integrità del sistema collettore (rendendo agevole la dimostrazione di una rottura renale associata a trauma). L’aumento di volume dell’uretere può essere diffuso o localizzato. Le possibili diagnosi differenziali di aumento di dimensioni dell’uretere o idrouretere possono essere riconducibili a fenomeni secondari ad ostruzione o infezio95
ne. Con la cronicizzazione, l’uretere può apparire non solo dilatato, ma anche tortuoso. In caso di ostruzione a livello della giunzione ureterovescicale o di ectopia degli ureteri si può avere una dilatazione focale dell’uretere a livello di vescica (ureterocele). L’uretere è una struttura retroperitoneale la cui posizione può essere influenzata da quelle circostanti e da masse eventualmente presenti. È anche possibile rilevare una brusca interruzione nei casi di ectopia. Con il mezzo di contrasto è possibile valutare la pervietà del condotto per rilevare eventuali ostruzioni o accertarne l’integrità in caso di rottura nei pazienti traumatizzati.
ECTOPIA DEGLI URETERI L’ectopia degli ureteri è più comune nelle femmine. Questi animali vengono comunemente portati alla visita perché mostrano un’incontinenza urinaria. In questo processo patologico l’uretere termina in un punto diverso dal trigono vescicale. La più comune sede anomala di sbocco è la vagina, seguita in ordine di frequenza da uretra, collo vescicale ed utero. Talvolta l’uretere sembra penetrare nella regione del trigono vescicale, il che è normale, ma decorre a livello sottosieroso e termina in posizione anomala. I segni radiografici dell’ectopia dell’uretere sono rappresentati da idrouretere (per la sua intera lunghezza) nel 50% circa dei casi; l’uretere ectopico può terminare normalmente oppure in una sede normale della vescica per poi decorrere a livello sottosieroso e penetrare in vagina, uretra o utero. Si può osservare il simultaneo riempimento di uretra, vagina e/o utero e vescica. Le tecniche radiografiche d’elezione utilizzate per la diagnosi dell’ectopia degli ureteri sono 1) la vaginografia con mezzo di contrasto positivo e 2) l’urografia discendente con o senza pneumocistografia. Per visualizzare la terminazione degli ureteri con queste indagini contrastografiche è spesso necessario ricorrere a proiezioni oblique.
RISCONTRI RADIOGRAFICI ANORMALI DELLA VESCICA NELLE IMMAGINI RIPRESE SENZA MEZZO DI CONTRASTO La vescica può apparire soggettivamente ingrossata, molto probabilmente a causa di un’ostruzione (calcoli, neoplasia, o anomalie congenite). Altre cause di ingrossamento vescicale possono essere neurologiche o condizionali. Si può avere una diminuzione delle dimensioni della vescica in presenza di anomalie congenite come l’ectopia degli ureteri. Si può anche riscontrare 96
un’incapacità della vescica di distendersi normalmente a causa delle diffuse patologie parietali quali cistiti, neoplasie o rottura dell’organo. La forma della vescica può essere alterata da una pressione extraluminale (intestino, che può causare pseudodifetti di riempimento). L’appropriata distensione della vescica deve obliterare tali pseudodifetti di riempimento. Altre cause di variazioni della forma della vescica sono le neoplasie, la perdita del tono dell’organo (atonia), i diverticoli uracali e le lacerazioni della sierosa, con procidenza della mucosa, che si possono avere secondariamente a trauma. La mancata visualizzazione della vescica può essere dovuta al fatto che l’animale ha appena urinato, ad una dislocazione dell’organo come avviene in caso di ernia peritoneale, alla sua rottura, alla presenza di fluidi peritoneali, all’emaciazione o in animali di età inferiore a 6 mesi. In condizioni normali, la radiopacità vescicale è quella dei fluidi o dei tessuti molli. Un aumento della radiopacità vescicale si può avere secondariamente alla presenza di calcoli. Quelli più radiopachi in vescica sono i silicati, seguiti da fosfati, ossalati e cistina, mentre i meno radiopachi sono quelli di urati (radiotrasparenti). Un’altra causa di aumento di opacità vescicale può essere la calcificazione della parete stessa dell’organo (per differenziare i calcoli dalla mineralizzazione parietale bisogna sempre assicurarsi che l’area di mineralizzazione individuata possa muoversi all’interno del lume). Le cause di diminuzione della radiopacità vescicale sono rappresentate dalla presenza di gas all’interno del lume o della parete (che può essere iatrogena in entrambi i casi) od allo sviluppo di infezioni come una cistite enfisematosa.
SEGNI RADIOGRAFICI ANOMALI DELLA VESCICA URINARIA NELLE IMMAGINI RIPRESE CON MEZZO DI CONTRASTO La parete della vescica normalmente distesa ha uno spessore di circa 1 mm. Le lesioni associate alla parete o i difetti di riempimento liberi all’interno dell’organo si evidenziano meglio con la cistografia a doppio contrasto. Le lesioni intraparietali che possono aumentare lo spessore della parete sono in grado di causare una perdita di estensibilità. I difetti di riempimento liberi si presentano come aree radiotrasparenti circondate da mezzo di contrasto positivo. Ciò è dovuto al fatto che il materiale di contrasto è più opaco del difetto di riempimento. Esistono tre possibili difetti di riempimento liberi nel lume della vescica: bolle d’aria, calcoli e coaguli ematici. Le bolle d’aria si presentano tondeggianti e lisce e si trovano alla periferia del mezzo di contrasto. I calcoli sono tondeggianti o leggermente irregolari, con margini indistinti, al centro del mezzo di contrasto. I coaguli ematici hanno forma irregolare e margini indistinti e si possono trovare in qualsiasi punto del lume vescicale. 97
DIAGNOSI DI SPECIFICHE AFFEZIONI DELLA VESCICA URINARIA Infiammazione/cistite L’infiammazione della vescica viene diagnosticata preferibilmente con la cistografia a doppio contrasto. Possono non essere presenti i segni radiografici della cistite acuta. Tutto quello che si può riuscire a vedere è una piccola vescica contratta. Ciò può essere dovuto al fatto che l’organo infiammato è leggermente ispessito. Le alterazioni radiografiche visualizzabili nella cistite cronica sono rappresentate da irregolarità della mucosa che nella maggior parte dei casi si osservano a livello del vertice vescicale, alterazioni della mucosa (erosioni, ulcere) che si possono presentare sotto forma di adesioni del mezzo di contrasto alla parete dell’organo. Infiltrazioni parietali vengono di solito dimostrate dalla diminuzione dell’estensibilità con introduzione del mezzo di contrasto.
NEOPLASIA I carcinomi delle cellule di transizione sono le più comuni neoplasie vescicali. Le alterazioni radiografiche visualizzate in presenza di tumori vescicali sono rappresentate da difetti di riempimento, aumento di spessore della parete, diminuzione della distensibilità dell’organo, idrouretere, idronefrosi, bilaterale o monolaterale, con eventuale ostruzione ureterale (tumore localizzato nell’area del trigono). La possibile diagnosi differenziale per queste alterazioni radiografiche è rappresentata dai processi infiammatori.
ROTTURA O PERFORAZIONE DELLA VESCICA I segni radiografici della rottura o perforazione della vescica nelle immagini riprese senza mezzo di contrasto sono rappresentati da perdita del profilo dell’organo, vescica piccola, perdita di dettaglio addominale o ileo intestinale. Le alterazioni radiografiche che si possono osservare con la cistografia con mezzo di contrasto positivo (tecnica d’elezione quando si sospetta una rottura) sono l’opacizzazione addominale generale, la mancata distensione della vescica o la distribuzione del mezzo di contrasto al di fuori dei limiti del lume dell’organo. 98
SEGNI RADIOGRAFICI DI AFFEZIONI URETRALI Oltre ad identificare la presenza di calcoli radiopachi, per diagnosticare le affezioni uretrali è necessario effettuare un esame contrastografico (uretrografia). I difetti di riempimento all’interno dell’uretra visualizzati con il mezzo di contrasto possono essere luminali, parietali o periuretrali. I primi sono rappresentati da bolle d’aria, calcoli uretrali o coaguli ematici. Le bolle d’aria sono tondeggianti o ovali, con margini lisci e bordi netti e ben definiti. I calcoli uretrali hanno forma variabile e margini irregolari; di solito presentano margini mal definiti o indistinti. Se sono sufficientemente ampi, possono determinare l’allargamento del lume uretrale. I coaguli ematici hanno forma irregolare e bordi scarsamente definiti. Questi difetti luminali nella maggior parte dei casi sono localizzati a livello dell’uretra prostatica, alla base dell’osso del pene ed intorno all’arcata ischiatica nei cani maschi. Le alterazioni parietali che causano i difetti di riempimento nell’uretra sono rappresentate da neoplasie, infiammazioni, tessuto cicatriziale. I bordi della lesione formano un angolo acuto con la parete uretrale e la superficie mucosa di solito è irregolare. I difetti periuretrali in genere sono dovuti alla compressione da parte di masse che circondano l’uretra. Le affezioni prostatiche possono causare una diminuzione del diametro o una compromissione del lume dell’organo. La superficie mucosa resta liscia nelle affezioni periuretrali, a meno che non si verifichi un’invasione dell’uretra. I margini di questo problema periuretrale di solito determinano un difetto uretrale affusolato. La fuoriuscita del mezzo di contrasto dal lume indica generalmente la perdita dell’integrità dell’uretra.
ANOMALIE RADIOGRAFICHE DELLA PROSTATA La prostatomegalia costituisce spesso un riscontro soggettivo, anche se in condizioni normali l’organo è raramente di diametro superiore alla metà dell’ampiezza dell’ingresso del bacino osservato nelle radiografie ventrodorsali. Le alterazioni radiografiche che si possono apprezzare in caso di aumento di dimensioni della prostata (prostatomegalia) sono rappresentate da: dislocazione craniale della vescica o spostamento dorsale del colon; quest’ultimo può apparire in posizione normale perché viene spostato verso sinistra o destra dorsalmente nelle radiografie in proiezione laterolaterale. Altri segni radiografici rilevabili sono le alterazioni infiammatorie che possono essere evidenziate dalla perdita della normale radiopacità adiposa triangolare visibile ventralmente tra la prostata e la vescica, oppure la proliferazione ossea delle superfici ventrali delle vertebre lombari caudali o del bacino, che può 99
derivare da metastasi di un tumore prostatico. Questo quadro si può anche osservare in caso di carcinomi rettali, perianali e vescicali. L’ingrossamento prostatico è molto più comune delle cisti paraprostatiche. Queste di solito originano dai lati della prostata e si estendono cranialmente alla vescica. La prostatomegalia può essere secondaria ad infezioni (prostatite, ascessi), neoplasie, cisti (cisti paraprostatiche) ed iperplasia benigna. Le alterazioni radiografiche che si possono osservare in associazione con la prostata ricorrendo alle indagini con mezzo di contrasto (uretrografia, cistografia) sono rappresentate da cavitazione della prostata durante l’esame. Questo fenomeno si osserva soprattutto in caso di ascessi prostatici, cisti e tumori. Radiograficamente si presenta come un accumulo irregolare di mezzo di contrasto all’interno della prostata. Le cisti paraprostatiche possono anche comunicare con l’uretra, e nel corso della contrastografia, possono essere riempite dal mezzo di contrasto. Nelle affezioni della ghiandola si può osservare una compressione dell’uretra prostatica (iperplasia prostatica benigna). Le neoplasie possono invadere l’uretra, conferendo alla mucosa un aspetto molto irregolare.
UTERO ANORMALE È difficile o impossibile differenziare la patologia uterina generalizzata dalla fase iniziale di una gravidanza basandosi sui riscontri radiografici. Di solito, nelle proiezioni laterolaterali, in caso di aumento di dimensioni dell’utero si ha una dislocazione craniodorsale del piccolo intestino e in quelle ventrodorsali si osserva una tendenza del tenue ad ammassarsi in sede mesocraniale. Nella parte caudoventrale dell’addome in caso di ingrossamento uterino sono solitamente presenti radiopacità fluide tubulari omogenee, tortuose o convolute.
100
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David S. Biller DVM, Dipl ACVR Kansas State University - USA
Reperti ecografici normali e patologici dell’apparato genito-urinario Domenica, 27 ottobre 2002, ore 11.45
101
ECOGRAFIA RENALE NORMALE Le comuni applicazioni dell’ecografia renale sono rappresentate da 1) valutazione dei reni, in particolare negli animali con scarso dettaglio addominale, 2) casi in cui la scarsa funzione renale impedisce l’esecuzione di un’adeguata urografia discendente, 3) valutazione della nefromegalia, 4) valutazione dell’idronefrosi o delle affezioni del sistema collettore, 5) valutazioni dei reni non visualizzati nell’urografia discendente. Ciascun rene deve essere esaminato in modo completo ed accurato lungo i piani longitudinali (dorsale e sagittale) e trasversali (assiali). L’ecogenicità della corticale renale va confrontata con quella del fegato sul lato destro e con quella della milza sul sinistro. La visualizzazione dei reni si effettua di solito dalla parete addominale ventrale, anche se è possibile eseguire l’esame da una superficie laterale quando l’animale è posizionato in decubito dorsale o laterale. Il rene sinistro è più facile da visualizzare del destro. La milza può agire da finestra ecografica per il rene sinistro. Il destro è situato cranialmente al sinistro nel cane. Il polo craniale del rene destro è localizzato nella fossa renale del lobo caudato del fegato, solitamente al di sotto dell’arco costale. A causa della posizione craniale del rene destro, e della sua possibile localizzazione subcostale, nella maggior parte dei casi quest’organo è più difficile da visualizzare. La corteccia renale normale presenta con un’ecogenicità omogenea, pari o inferiore a quella del fegato. La midollare del rene è ipoecogena (rispetto alla corticale) e negli animali giovani può apparire anecogena. I vasi arciformi e la giunzione corticomidollare fungono da marcatori per contribuire a separare la corticale dalla midollare. Quest’ultima si può presentare sotto forma di strutture ipoecogene arrotondate (nel piano coronale) separate da strutture iperecogene lineari che si irradiano (dal centro alla periferia) e rappresentano i vasi intralobari ed i diverticoli renali. Il seno renale contiene un sistema collettore (bacinetto, diverticoli), vasi renali, linfatici, grasso e tessuto fibroso. Proprio la presenza di grasso e tessuto fibroso al suo interno rende questa struttura iperecogena. Il bacinetto di norma non si apprezza, a meno che non sia dilatato.
ECOGRAFIA RENALE ANORMALE Sistema collettore I calcoli renali sono strutture fortemente ecogene all’interno del sistema collettore. Mostrano un’ombreggiatura prominente che in realtà dipende dalle dimensioni del calcolo e dalla frequenza del trasduttore. Possono essere accompagnati da una dilatazione secondaria del sistema collettore. 102
L’idronefrosi è una dilatazione del sistema collettore renale (bacinetto e diverticoli), associata a progressiva atrofia del rene da ostruzione del deflusso di urina. Può riconoscere numerose cause. Normalmente, non esiste alcuna separazione degli echi ottenuti nella regione del seno renale o del sistema collettore. Con la diuresi, sia nel cane che nel gatto è possibile visualizzare una dilatazione minima (di circa 1-3 mm). L’entità della dilatazione del sistema collettore o idronefrosi dipende da parametri quali la durata dell’ostruzione e la produzione di urina da parte del rene. A seconda della sua entità, l’idronefrosi può essere distinta in lieve, moderata e grave.
PIELONEFRITE La pielonefrite è un’associazione di processi infettivi a carico del parenchima e del sistema collettore. Quest’ultimo può presentare una dilatazione (la cui gravità è correlata alla cronicità). All’interno del sistema collettore dilatato possono essere presenti echi dispersi o dipendenti da vari fattori (spostamento di urina/livello di detriti). Nelle forme acute le alterazioni ecografiche possono mancare. In quelle croniche è possibile notare un aumento dell’ecogenicità periferica, reni piccoli ed irregolari ed eventualmente una dilatazione del sistema collettore.
PARENCHIMA RENALE Le alterazioni all’interno del parenchima del rene di solito sono aspecifiche. Nelle forme acute, è possibile che non venga visualizzata alcuna alterazione. Con la cronicità si ha un aumento dell’ecogenicità della corticale con conservazione della giunzione corticomidollare. Si può anche avere un incremento dell’ecogenicità della corticale e della midollare. Ulteriori anomalie che si possono notare sono che il rene diviene irregolare e si ha un aumento dell’ecogenicità della corticale e della midollare ed una perdita di definizione corticomidollare. Le possibili diagnosi differenziali per queste alterazioni diffuse sono numerose e comprendono la glomerulonefrite acuta o cronica, la necrosi tubulare acuta, l’avvelenamento da glicol etilenico, la pielonefrite, la displasia renale e la nefrosclerosi.
AFFEZIONI CISTICHE Ecograficamente, si definisce come cisti una struttura anecogena, tondeggiante, liscia e capace di essere attraversata dalla trasmissione dei segnali 103
(dimostrando un’accentuazione acustica). Le cisti possono essere singole o multiple. Nel persiano e nelle razze ad esso correlate è stata dimostrata la trasmissione ereditaria, attraverso un carattere autosomico dominante, della malattia del rene policistico, in cui sono presenti molteplici cisti all’interno di entrambi i reni. Nella corticale o nella midollare possono essere presenti molteplici piccole cisti. Questi gatti non mostrano segni di nefropatia in giovane età, ma il numero e le dimensioni delle cisti aumentano progressivamente fino a che l’intero organo può essere rimpiazzato da formazioni cistiche. Di solito si tratta di una malattia bilaterale. Le cisti possono presentare echi interni riferibili ad infezioni od emorragie.
NEOPLASIE Le neoplasie renali possono presentare una gran varietà di aspetti, quali masse ipo- o iperecogene. Tali masse possono essere piccole o grandi. Si può rilevare un’ecogenicità complessa, con aree di emorragia o necrosi. Queste formazioni possono essere abbastanza grandi da distruggere l’intera morfologia renale normale, oppure di natura multipla, compatibilmente con l’ipotesi che si tratti di metastasi.
ALTERAZIONI PERIRENALI L’accumulo di fluidi a livello perirenale o perinefrico si può avere secondariamente alla perdita di urina o sangue in caso di trauma. Questo quadro può determinare la comparsa di una regione anecogena o ipoecogena che circonda il rene. La presenza di una regione ipoecogena perinefrica è stata anche rilevata nel linfoma renale e nella peritonite infettiva felina. Le pseudocisti perinefriche del gatto, una malattia ad eziologia sconosciuta, sono un’altra condizione riconosciuta nei gatti anziani con insufficienza renale cronica.
ASPETTO ECOGRAFICO NORMALE DELLA VESCICA (CISTOECOGRAFIA) La vescica è un organo ideale per l’esame ecografico. Questa tecnica consente di ottenere in modo sicuro, rapido e non invasivo delle immagini utili a diagnosticare o verificare la presenza di calcoli vescicali, masse patologiche o altre condizioni infiammatorie o infiltranti. Inoltre, la vescica può fungere da finestra ecografica per la valutazione di linfonodi sottolombari, corpo del104
l’utero ed altre strutture intrapelviche. Le indicazioni per l’ecografia vescicale sono 1) vescica difficile da cateterizzare, 2) pazienti con segni clinici di affezioni delle basse vie urinarie, 3) valutazione della regione del trigono nei pazienti con idrouretere e/o idronefrosi, 4) indagine nell’ambito dell’esame ecografico di routine dell’addome e 5) valutazione dell’area sottolombare e pelvica (linfonodi sottolombari, aorta, vena cava caudale, ureteri e corpo dell’utero). I fattori che influiscono sulla precisione della cistoecografia sono le dimensioni e la localizzazione dell’organo, le malattie in atto, la distensione vescicale e la conformazione del corpo del paziente. L’esame deve sempre integrare altri metodi diagnostici quali la radiografia, l’urografia discendente, la cistografia e l’analisi delle urine. L’esame va effettuato sulla vescica distesa e con l’animale in decubito dorsale. Si deve utilizzare un trasduttore della massima frequenza disponibile in funzione delle dimensioni dell’animale, della profondità di penetrazione necessaria e della risoluzione richiesta. La vescica deve essere visualizzata in tutti i piani ecografici, longitudinale, trasversale e obliquo. In condizioni normali, l’organo è tondeggiante o piriforme. Il profilo varia a seconda del grado di distensione vescicale, della posizione del paziente, della pressione esercitata dalle strutture intraddominali adiacenti e dei processi patologici. In assenza di alterazioni, la vescica è anecogena, con una parete ecogena liscia. Lo spessore normale di quest’ultima è inferiore a 3 mm. È impossibile o molto difficile distinguere lo strato mucoso della parete da quello muscolare e gli ureteri normali non sono rilevabili. Dorsalmente alla vescica è possibile visualizzare i grossi vasi, con l’aorta leggermente spostata a sinistra e tondeggiante nelle sezioni trasversali. La vena cava caudale si trova leggermente a destra, ha forma ellittica nelle sezioni trasversali e può apparire compressa.
ASPETTO ECOGRAFICO ANORMALE DELLA VESCICA I calcoli vescicali sono strutture altamente ecogene che mostrano un’ombra acustica posteriore. Tendono a cadere nella porzione più declive della vescica quando il paziente viene spostato. Le affezioni infiammatorie dell’organo provocano un ispessimento diffuso o focale della parete. Nelle infiammazioni croniche quest’ultima può divenire irregolare. Nelle forme croniche si possono anche sviluppare dei polipi infiammatori che si presentano sotto forma di masse ecogene. La diagnosi differenziale delle strutture ecogene che protrudono nel lume vescicale prevede non solo i polipi infiammatori, ma anche le neoplasie. La precisione con cui queste ultime vengono rilevate 105
dipende dalle dimensioni e dalla localizzazione della massa. Per le neoplasie vescicali sono stati dimostrati tre differenti quadri, rappresentati da difetti di riempimento focali, ecogeni o complessi che originano dalla superficie interna della vescica, tumori voluminosi che obliterano il lume dell’organo o lesioni parietali infiltranti che determinano un ispessimento della parete vescicale. I vantaggi della cistoecografia rispetto all’esame con mezzi di contrasto sono rappresentati da: 1) assenza di esposizione alle radiazioni, 2) valutazione indipendente dalla funzione renale, 3) possibilità di eseguire l’esame senza dover inserire un catetere urinario, 4) buona accondiscendenza da parte di un paziente non sedato, 5) relativa facilità e ripetibilità dell’esame, 6) assenza di complicazioni e 7) possibilità di effettuare prelievi guidati di biopsie ed aspirati.
PROSTATA Aspetto normale della prostata La prostata è una ghiandola sessuale accessoria che si trova caudalmente alla vescica e circonda l’uretra. Quest’ultima appare in posizione centrale, situata all’interno della prostata, a livello della faccia craniale, e procede dorsalmente attraverso la ghiandola in direzione caudale. Ventralmente alla prostata, di trovano il bacino e la parete addominale e dorsalmente il retto. Dal punto di vista radiografico, è possibile valutare le dimensioni e la forma della ghiandola, mentre con l’ecografia si apprezza facilmente l’architettura interna. L’esame ecografico della prostata risulta più facile quando la vescica è distesa. La vescica serve da punto di repere per la localizzazione della prostata, nonché da finestra acustica. Nella maggior parte dei cani risulta adeguato un trasduttore ad alta frequenza (7,5 MHz). Quando è disponibile, un trasduttore ecografico rettale consente un’eccellente visualizzazione della ghiandola. L’intera prostata si presenta di forma semiovale ed appiattita dorsalmente. Si tratta di una struttura bilobata con un setto intermedio circondato da una capsula ecogena. Le dimensioni e la posizione della ghiandola normale del cane variano con l’età e con lo status sessuale (interezza o castrazione) dell’animale. Ecograficamente, la prostata presenta un aspetto omogeneo ed una struttura ecografica intermedia. Nei piani ecografici trasversali appare bilobata. Sagittalmente, appare invece tondeggiante o ovale (lobi di destra e di sinistra). Può essere a stretto contatto (adiacente) del trigono vescicale e circondare l’uretra prostatica. Quest’ultima si può presentare come una struttura ipo- o anecogena tondeggiante (nel piano trasversale) o tubulare (in quello 106
sagittale) nella porzione centrale o dorsale della prostata. L’uretra può essere leggermente dilatata e piena di liquido se la vescica è distesa.
ASPETTO ECOGRAFICO ANORMALE DELLA PROSTATA Iperplasia benigna La prostata si presenta ingrossata soggettivamente (non è possibile effettuare alcuna misurazione obiettiva delle sue dimensioni). Nella maggior parte dei casi questo ingrossamento è simmetrico e con margini lisci. L’ecogenicità della ghiandola iperplastica può diventare leggermente disomogenea ed all’interno del parenchima è possibile visualizzare delle cisti Queste possono variare di forma e dimensioni. Le diagnosi differenziali ipotizzabili per questa alterazione sono rappresentate da affezioni infiammatorie (prostatite) e neoplasia. La valutazione post-castrazione della prostata con iperplasia benigna deve evidenziare una riduzione delle dimensioni.
AFFEZIONI INFIAMMATORIE Le alterazioni della prostata infiammata possono simulare quelle dell’iperplasia prostatica benigna e sono rappresentate da ingrossamento simmetrico, lieve disomogeneità del parenchima e presenza di numerose piccole strutture cistiche di dimensioni differenti. Il riscontro di aree focali di marcata ecogenicità con ombra posteriore può essere compatibile con la presenza di aree focali di mineralizzazione visualizzate più comunemente nella prostatite cronica. Gli ascessi prostatici possono avere un aspetto da lesioni focali similcistiche contenenti un fluido anecogeno o molto ecogeno (a causa della presenza di microbolle). Queste aree similcistiche di solito appaiono con una parete spessa e una superficie interna molto irregolare. Possono anche essere presenti dei setti. L’ascessualizzazione può avere un aspetto asimmetrico.
NEOPLASIE Le neoplasie prostatiche possono avere differenti aspetti ecografici. Nella maggior parte dei casi, la ghiandola si presenta ingrossata (specialmente se si tratta di un animale castrato), dal profilo irregolare ed asimmetrico. L’ecogenicità e la struttura ecografica possono essere molto disomogenee. In 107
tutto il parenchima si possono evidenziare numerosi focolai altamente ecogeni e si può osservare un’ombra posteriore compatibile con la mineralizzazione. In tutto il parenchima possono anche essere presenti lesioni similcistiche di numerose forme e dimensioni. Insieme alle anomalie della prostata si devono valutare i linfonodi iliaci medi per verificarne l’eventuale ingrossamento (linfoadenopatia reattiva o interessamento metastatico). Si devono anche valutare l’invasione dell’uretra e della vescica e l’ostruzione del tratto terminale degli ureteri nella regione del trigono.
CISTI PARAPROSTATICHE Le cisti paraprostatiche si presentano tipicamente sotto forma di grandi strutture piene di liquido e dalla parete spessa (il fluido può apparire anecogeno o fortemente ecogeno). La parete spessa può avere una superficie liscia o irregolare e possono essere presenti dei setti. Le cisti paraprostatiche possono essere più grandi della vescica adiacente. L’introduzione di un catetere nella vescica urinaria può contribuire a differenziare quest’ultima da una cisti paraprostatica.
ASPETTO ECOGRAFICO NORMALE DELL’UTERO Nella gatta non gravida l’utero di solito non risulta riconoscibile. Può essere identificato nelle cagne di grossa taglia, specialmente durante l’estro, se raggiunge un diametro superiore ad un centimetro. Può essere utile impiegare come finestra ecografica la vescica urinaria piena. Il corpo uterino è localizzato dorsalmente alla vescica e ventralmente al colon. Può essere visualizzato dal bacino al polo caudale di ciascun rene. In un normale utero inattivo risulta difficile differenziare i vari strati. Durante la gravidanza, l’utero della cagna può essere identificato già dal giorno 8. A partire dal giorno 18, si possono visualizzare delle vescicole embrionali ipoecogene circolari all’interno delle corna uterine. Dal giorno 21, dentro queste vescicole si può identificare un polo fetale iperecogeno con battito cardiaco. Dal giorno 25 diventano riconoscibili gli invogli fetali sotto forma di strutture lineari iperecogene che fluttuano all’interno del fluido della vescicola embrionale. Dal giorno 30 si identificano i movimenti fetali. Il momento migliore per il primo controllo ecografico in gravidanza è 24 giorni dopo l’ultimo accoppiamento. Nella gatta normale, dopo l’accoppiamento l’utero si identifica di solito a partire dal giorno 4. Dal giorno 11 si possono visualizzare le vescicole 108
embrionali o sacchi gestazionali sotto forma di strutture circolari ipoecogene all’interno dell’utero. Dal giorno 16 sono visibili il polo fetale ed il battito cardiaco. Dal giorno 21 si possono osservare gli invogli fetali. Dal giorno 28 si può apprezzare il movimento del feto. La prima conferma della gravidanza nel gatto si ha di solito ad 11-14 giorni. L’autore raccomanda di effettuare un controllo 21 giorni dopo l’ultimo accoppiamento. La vitalità fetale viene accertata sulla base del battito cardiaco o dei movimenti. La morte fetale, d’altro canto, può essere riconosciuta per la mancanza di battito cardiaco o movimenti fetali. Anche il riscontro di un aspetto bizzarro del feto può essere compatibile con la sua morte. L’autore non raccomanda di effettuare il conteggio dei feti presenti, perché spesso il valore indicato risulta sbagliato quando il numero dei componenti della cucciolata è superiore a 5. Può capitare di contare più di una volta lo stesso feto o di considerare due feti come uno solo.
ASPETTO ECOGRAFICO ANORMALE DELL’UTERO L’infiammazione del corpo e delle corna uterine, o metrite, si osserva di solito ecograficamente come un ispessimento della parete. Occorre tuttavia tenere presenti le possibili diagnosi differenziali rappresentate dall’utero in estro o postpartum. Il riscontro di un utero dilatato, anecogeno (pieno di liquido), tortuoso e tubulare, localizzato nella parte caudale e media dell’addome, è compatibile con la presenza di piometra, mucometra o idrometra. Il fluido può apparire complesso (contenere degli echi). La displasia endometriale cistica può essere caratterizzata da un ispessimento della parete uterina con alterazioni cistiche al suo interno.
109
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
Ugo Bonfanti Med Vet, Milano
Tecniche di prelievo ed interpretazione delle biopsie con ago sottile delle masse endotoraciche a carico dell’apparato respiratorio Venerdì, 25 ottobre, ore 17.30
111
Il prelievo transtoracico mediante ago sottile (FNA biopsy) rappresenta una metodica di comune impiego per lo studio di masse endotoraciche. In particolare, l’utilizzo di un ausilio strumentale quale ecografia o TAC, in questi ultimi anni di uso relativamente comune, permette di ottenere campioni di buona qualità e spesso diagnostici, anche da lesioni di dimensioni ridotte. Tale tecnica può essere applicata sia quando, radiograficamente, si rilevano patologie interstiziali diffuse, sia allorquando, sono rilevate patologie focali o masse localizzate. Occorre sottolineare peraltro come, in corso di patologie interstiziali diffuse, la possibilità di ottenere campioni diagnostici sia inferiore rispetto a quando vengono biopsate lesioni focali o masse. Inoltre, è sempre consigliabile campionare lesioni a contatto diretto con la parete toracica: tale localizzazione permette di un’adeguata visualizzazione della lesione, oltre a ridurre in maniera consistente il rischio di perforare porzioni di parenchima polmonare aerato. Prima di effettuare la procedura, è sempre consigliabile effettuare uno screening coagulativo completo (PT, aPTT, fibrinogeno) e valutare le piastrine sia dal punto di vista quantitativo (conta – stima) sia qualitativo: tali pazienti infatti possono sviluppare gravi sanguinamenti nel caso in cui venga accidentalmente perforato parenchima polmonare sano. Se viene impiegata la tecnica ecoguidata, il paziente viene posto in decubito sternale o laterale. Non è solitamente necessaria sedazione; si può eventualmente ricorrere all’inoculazione di un anestetico locale in corrispondenza del margine craniale di una costa. Se non fosse disponibile l’ausilio dell’ecografo, si può ricorrere all’impiego della tecnica radiografica, basando punto d’entrata ed inclinazione dell’ago su almeno due proiezioni.
Figura 1 - Rx torace: voluminosa formazione nel mediastino craniale.
112
Se la lesione da campionare è localizzata in corrispondenza della parete toracica, può essere sufficiente l’utilizzo di una siringa da 2,5 o da 5 ml con il relativo ago; eventualmente, per rendere la procedura più agevole, può essere impiegato anche un adeguato raccordo di prolunga; se la lesione fosse situata più in profondità è consigliabile l’utilizzo di un ago spinale da 70 o 90 mm e di spessore ridotto. Le due metodiche previste sono l’ago infissione (che non prevede aspirazione del materiale con la siringa) e l’ago aspirazione. In questo secondo caso è necessario rilasciare delicatamente lo stantuffo della siringa prima che l’ago fuoriesca dalla cavità toracica. Occorre infine espellere delicatamente su un vetrino il materiale contenuto all’interno dell’ago e strisciare il campione ottenuto. I pazienti devono essere attentamente monitorati per le prime ore dopo l’esecuzione della procedura al fine di controllare funzionalità respiratoria e cardiaca. È sempre consigliabile, infine, effettuare almeno una lastra di controllo per valutare l’eventuale insorgenza di pneumotorace o emotorace.
REPERTI CITOLOGICI Mediastino 1 – Timoma: rappresenta la neoplasia che origina dalle cellule epiteliali del timo; più frequente nel cane rispetto al gatto, viene classificato in timoma prevalentemente epiteliale, timoma misto linfoepiteliale e timoma prevalentemente linfocitico; dal punto di vista citologico, classicamente, il timoma si
Figura 2 - Timoma (gatto).
113
Figura 3 - Linfoma mediastinico (gatto).
caratterizza per la presenza di numerosi piccoli linfociti maturi, ai quali sono occasionalmente frammiste grosse cellule epiteliali, in piccoli aggregati, mononucleate, ad ampio citoplasma chiaro, di forma tondeggiante, ovalare o stellata, con scarsi caratteri di atipia citologica; non infrequentemente si possono rilevare mastociti ben granulati e macrofagi in citofagia. Molto raramente la componente linfoide del timo può andare incontro a trasformazione neoplastica: linfoma timico. 2 – Linfoma: coinvolge più spesso i linfonodi mediastinici craniali e quelli sternali; raramente coinvolge il timo (linfoma timico). Nel cane la forma mediastinica è frequentemente associata ad ipercalcemia, mentre nel gatto coinvolge più frequentemente soggetti giovani FeLV positivi. A differenza del timoma, spesso, in corso di linfoma è presente versamento pleurico. Citologicamente è caratterizzato dalla presenza di numerose cellule linfoidi immature, di grosse dimensioni, macronucleolate e con citoplasma iperbasofilo.
Polmone 1 – Flogosi: di solito le neoformazioni polmonari di origine infiammatoria sono polmoniti lobari o ascessi. In particolare possono essere primarie, sostenute quindi da agenti eziologici (Pasteurella, E.Coli, Streptococchi, Staphilococchi) o secondarie a ostruzione bronchiale (per es. da carcinoma broncogenico), ed in tal caso asettiche. Citologicamente sono caratterizzate dalla presenza di neutrofili, più o meno degenerati, eventualmente contenenti batteri fagocitati; talora presenti cellule di origine macrofagica. Infine, lesio114
ni simil-ascessuali possono costituire il centro di neoplasie maligne che sviluppano necrosi. 2 – Neoplasie: poiché il polmone normale, se aspirato o infisso per via transtoracica, esfolia una quantità estremamente ridotta di cellule (pochi macrofagi alveolari ed occasionali cellule epiteliali), il semplice rilievo di un numero consistente di cellule, anche se con scarsi caratteri di atipia, dovrebbe sempre mettere sull’avviso il citopatologo. Inoltre, ogniqualvolta si rilevi la presenza di un’evidente componente infiammatoria, occorre interpretare con estrema cautela eventuali concomitanti caratteri di atipia citologica nelle cellule che l’accompagnano; è d’altronde corretto sottolineare come spesso neoplasie polmonari siano in grado di evocare una concomitante reazione flogistica. Le neoplasie polmonari primarie, relativamente rare e spesso maligne, possono avere origine dalle cellule epiteliali che rivestono i bronchi, i bronchioli e gli alveoli o dalle ghiandole annesse. Le neoplasie secondarie o metastatiche, più frequenti delle primarie, sono spesso carcinomi e possono derivare da mammella, vescica, prostata e ghiandole endocrine (pancreas, tiroide, ecc.). Citologicamente possono essere abbastanza simili e non sempre risulta possibile differenziarli con sicurezza. I campioni contengono cellule epiteliali in monostrato o in aggregati tridimensionali, talvolta con differenziazione ghiandolare (formazione di strutture acinari); cellule singole sono occasionalmente presenti. Tra i caratteri di atipia ricordiamo: pleomorfismo, anisomacrocariosi, cromatina grossolana, nucleoli prominenti e spesso multipli, citoplasma iperbasofilo e talvolta microvacuolato, oltre a “nuclear molding”, gigantismo cellulare o nucleare, cellule binucleate o multinucleate.
Figura 4 - Carcinoma polmonare (cane).
115
Il carcinoma squamocellulare rappresenta una neoplasia polmonare con numerose caratteristiche distintive citomorfologiche: le cellule esfoliano singole o in piccoli aggregati, con anisocitosi ed anisocariosi di modesta entità, con rapporto nucleo-citoplasmatico variabile e con citoplasma cheratinizzato; spesso evidente l’asincronia nella maturazione nucleo-citoplasmatica. Altre forme neoplastiche che coinvolgono il parenchima polmonare sono rappresentate da linfoma, granulomatosi linfomatoide ed istiocitosi maligna. In corso di linfoma, che peraltro solo occasionalmente si presenta sotto forma di formazioni nodulari, i campioni ottenuti sono caratterizzati dalla presenza di una popolazione monomorfa di cellule linfoidi immature, macronucleolate e a citoplasma iperbasofilo. In corso di granulomatosi linfomatoide (rara neoplasia tipica dei cani giovani), si rilevano grosse cellule pleomorfe, mononu-
Figura 5 - Adenocarcinoma polmonare (gatto).
Figura 6 - Carcinoma squamoso (cane).
116
cleate, di aspetto istiocitico o plasmacitoide. Accanto a tali cellule si possono spesso rilevare piccoli linfociti maturi, eosinofili e plasmacellule. In corso di istiocitosi maligna (più frequente nel cane e molto rara nel gatto), si rilevano voluminose cellule pleomorfe, tondeggianti, con nuclei ovalari o reniformi, nucleoli prominenti ed atipici, citoplasma ampio, spesso vacuolato, con caratteri (non sempre presenti) di citofagia; spesso presenti cellule giganti multinucleate. Neoplasie di origine mesenchimale sono rappresentate da osteosarcomi, condrosarcomi, emangiosarcomi, rabdomiosarcomi, ecc. Tali forme neoplastiche possono essere primarie o metastatiche.
Figura 7 - Istiocitosi maligna (cane).
Figura 8 - Osteosarcoma polmonare (cane).
117
Figura 9 - Chemodectoma (cane).
Cuore I tumori degli organi chemorecettoriali, possono coinvolgere i “glomi aortici” strutture situate in corrispondenza della base del cuore (HBT) appartenenti al sistema nervoso parasimpatico. Si presentano sotto forma di massa singola, talora di dimensioni voluminose. Può essere presente versamento pericardico. Citologicamente sono costituiti da cellule disposte in monostrato, lassamente coese, con pattern vagamente microfollicolare; sono frequenti i nuclei nudi, di forma tondeggiante e regolare (modesta anisocariosi) con cromatina fine e nucleolo singolo e prominente, caratteristica tipica dei tumori neuroendocrini. Solo raramente sono presenti caratteri di atipia evidente (anisomacrocariosi pronunciata e nucleoli prominenti). Sono citologicamente difficili da differenziare da carcinomi tiroidei ectopici: in quest’ultimo caso la presenza di colloide può rappresentare un carattere distintivo.
Bibliografia Baker B, Lumsden JH, (2000), Color atlas of cytology of the dog and cat. Mosby, Inc., St. Louis, Missouri, 177-197. Burkhard MJ, Meyer DJ, (1996), Invasive cytology of internal organs – Cytology of the thorax and abdomen, Vet Clin North Am Small Anim Pract 26 (5): 1203-1222. Cowell RL, Tyler RD, Meinkoth J.H., (1999), Diagnostic cytology and hematology of the dog and cat, Mosby, Inc., St. Louis, Missouri, 183-194. Greif J, Marmur S, Scwarz Y, et al., (1998), Percutaneous core cutting needle biopsy compared with fine-needle aspiration in the diagnosis of peripheral lung malignant lesions. Results in 156 patients, Cancer 84: 144-147.
118
Khouri NF, Stitik FP, Erozan YS, et al., (1985), Transthoracic needle aspiration biopsy of benign and malignant lung lesions, Am J Rad 144 (2): 281-288. Léveillé R, Partington BP, Biller DS, et al., (1993), Complications after ultrasound-guided biopsy of abdominal structures in dogs and cats: 246 cases (1984-1991), J Am Vet Med Assoc 203 (3): 413-415. Ogilvie GK, Haschek WM, Withrow SJ et al., (1989), Classification of primary lung tumors in dogs: 210 cases (1975-1985), J Am Vet Med Assoc 195 (2): 106-108. Orell SR, Sterrett GF, Walters M, Whitaker D, (1999), Manual and atlas of fine needle aspiration cytology. Churchill Livingstone, 201-250. Rae CA, Jacobs RM, Couto CG, (1989), A comparison between the cytological and histological characteristics in thirteen canineand feline thymomas, Can Vet J 30 (6): 497-500. Raskin RE, Meyer DJ, (2001), Atlas of canine and feline cytology, W.B. Saunders company, Philadelphia, 231-252. Sawabata N, Ohta M, Maeda H, (2000), Fine-needle aspiration cytologic techniques for lung cancer has a high potential of malignant cell spread through the tract, Chest 118: 936-939. Shabb NS, Fahl M, Shabb B, (1998), Fine-needle aspiration of the mediastinum: a clinical, radiologic, cytologic and histologic study of 42 cases, Diagn Cytopath 19 (6): 428-436. Teske E., Stokhof AA, van den Ingh TSGAM, et al., (1991), Transthoracic needle aspiration biopsy of the lung in dogs with pulmonic diseases, J Am An Hosp Ass 27 (3): 289-294. Wood EF, O’Brien RT, Young KM, (1998), Ultrasound-guided fine-needle aspiration of focal parenchymal lesions of the lung in dogs and cats, (1998), J Vet Int Med 12: 338-342.
119
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
Ugo Bonfanti Med Vet, Milano
Tecniche di prelievo ed interpretazione delle biopsie con ago sottile delle masse endoaddominali Sabato, 26 ottobre, ore 18.00
121
Il prelievo mediante ago sottile (FNA biopsy) rappresenta una metodica di comune impiego per lo studio di masse endoaddominali. In particolare, l’utilizzo di un ausilio strumentale quale ecografia o TAC, in questi ultimi anni di uso relativamente comune, permette di ottenere campioni di buona qualità e spesso diagnostici, anche da lesioni di dimensioni ridotte. Prima di effettuare la procedura, è sempre consigliabile effettuare uno screening coagulativo completo (PT, aPTT, fibrinogeno) e valutare le piastrine sia dal punto di vista quantitativo (conta – stima) sia qualitativo. Se viene impiegata la tecnica ecoguidata, il paziente viene posto in decubito dorsale o laterale. Non è solitamente necessaria sedazione; si può even-
Figura 1 - FNAB massa endoaddominale.
Figura 2 - Aghi spinali.
122
tualmente ricorrere all’inoculazione di un anestetico locale in corrispondenza del punto d’entrata dell’ago. Vengono normalmente impiegati aghi spinali muniti di mandrino - al fine di evitare, per quanto possibile, la contaminazione del campione con cellule provenienti da altri organi o tessuti - di lunghezza differente (da 38 a 90 mm) e di Gauge variabili (da 23 a 27). Le due metodiche previste sono l’ago infissione (che non prevede aspirazione del materiale con la siringa) e l’ago aspirazione. In questo secondo caso è necessario rilasciare delicatamente lo stantuffo della siringa prima che l’ago fuoriesca dalla cavità addominale. Occorre infine espellere delicatamente su un vetrino il materiale contenuto all’interno dell’ago e strisciare il campione ottenuto. L’impiego dell’ago infissione (capillary action technique) permette solitamente di ottenere campioni meno emodiluiti e contenenti cellule ben conservate e poco rovinate; il rischio principale consiste peraltro nel fatto che i prelievi potrebbero essere ipocellulari e quindi scarsamente diagnostici. Tra le principali complicanze si segnalano quelle “maggiori”, peraltro molto rare, che consistono in emorragie mortali, disseminazione di cellule neoplastiche e peritonite localizzata o generalizzata, e quelle “minori”: emorragie di lieve entità ed ematomi nel sito di biopsia. Principale controindicazione è la biopsia citologica di masse addominali che siano clinicamente ed ecograficamente compatibili con emangiosarcoma: il rischio di rottura della capsula della neoplasia e di causare, di conseguenza, un emoperitoneo con diffusione di cellule neoplastiche in cavità addominale, oltre alla ridotta probabilità di ottenere cellule diagnostiche per la notevole
Figura 3 - Emangiosarcoma epatico.
123
emodiluizione del campione, rappresentano motivazioni sufficienti a sconsigliare l’esecuzione della biopsia stessa.
REPERTI CITOLOGICI Fegato Masse neoplastiche: Carcinoma epatocellulare: rappresenta la neoplasia epatica più frequente. Se ben differenziato, il quadro citologico è sovrapponibile a quello di fegato normale o iperplastico; più spesso, in ogni modo, le cellule manifestano caratteri di evidente atipia: anisomacrocariosi, elevato rapporto nucleo-citoplasma, alterazioni nucleolari, iperbasofilia del citoplasma. Adenoma epatocellulare: si presenta sotto forma di massa che coinvolge un lobo epatico, è caratterizzato dalla presenza di epatociti quasi normali che possono manifestare lievi anisocitosi ed anisocariosi; può essere citologicamente impossibile distinguere un adenoma epatocellulare da un quadro di iperplasia nodulare. Colangiocarcinoma: caratterizzato dalla presenza di cellule simili alle cellule dei dotti biliari normali: esfoliano in aggregati di differenti dimensioni, estremamente coesi, che formano talora strutture acinari o tubulari; le cellule sono di forma cuboidale o colonnare, più piccole degli epatociti, con anisocariosi moderata ed elevato rapporto nucleo-citoplasma.
Figura 4 - Carcinoma epatocellulare (cane).
124
Figura 5 - Carcinoma epatocellulare (cane).
Figura 6 - Colangiocarcinoma (cane).
Cistadenoma biliare: tipico della specie felina, è caratterizzato dalla formazione di strutture cistiche contenenti liquido mucinoso. Non presenta caratteristiche distintive dal punto di vista citologico: macrofagi reattivi con eventuali caratteri di eritrofagocitosi. Carcinoidi o tumori neuroendocrini: rare neoplasie che derivano dalle cellule APUD localizzate nella parete dei dotti biliari, sono citologicamente caratterizzati da elevata cellularità, margini citoplasmatici indistinti, nucleo 125
Figura 7 - Carcinoide (cane).
tondeggiante, cromatina moderatamente addensata e citoplasma chiaro; frequente è il riscontro di nuclei nudi. Altre masse di origine neoplastica: plasmacitomi extramidollari (cellule tondeggianti od ovoidali, a nucleo eccentrico e citoplasma iperbasofilo), istiocitosi maligna (cellule di origine macrofagica-istiocitaria, spesso binucleate e multinucleate, con caratteri di evidente atipia citologica) e neoplasie metastatiche. - Masse non neoplastiche: Ascessi: caratterizzati dalla presenza di polimorfonucleati neutrofili, più o meno degenerati, eventualmente contenenti batteri fagocitati. Cisti epatiche: neoformazioni intraparenchimali a parete liscia e contenenti liquido trasparente, giallo citrino; possono essere presenti occasionali macrofagi citologicamente identificabili.
Milza Iperplasia nodulare: presenti formazioni nodulari, di solito multiple, coinvolgenti il parenchima splenico; dal punto di vista citologico, il quadro è sovrapponibile a quello dell’iperplasia linfonodale aspecifica, in cui aumentano le cellule linfoidi immature, di medie e grosse dimensioni, pur essendo preponderante la percentuale di piccoli linfociti maturi. Occasionalmente presenti macrofagi e plasmacellule. Ascessi: estremamente rari, singoli o multipli, derivano spesso da infezioni ascendenti dall’apparato gastroenterico. Possono essere presenti batteri fagocitati, solitamente di forma bastoncellare. 126
Ematopoiesi extramidollare: può raramente manifestarsi sotto forma di strutture nodulari o di piccole masse; citologicamente è caratterizzata dalla presenza di precursori ematopoietici delle linee eritroide, mieloide e dei trombociti. Condizioni cliniche associate ad ematopoiesi extramidollare sono rappresentate da anemie emolitiche croniche, malattie linfoproliferative e mieloproliferative. Neoplasie: l’emangiosarcoma splenico rappresenta la neoplasia “a massa” più frequentemente rilevata nella milza. Citologicamente caratterizzata dalla presenza di cellule mesenchimali atipiche, di dimensioni voluminose, grosso nucleo con nucleoli voluminosi ed ampio citoplasma, a margini indistinti,
Figura 8 - Ematopoiesi extramidollare splenica (cane).
Figura 9 - Leiomiosarcoma splenico (cane).
127
microvacuolato. Altre forme neoplastiche sono rappresentate da leiomiosarcomi, fibrosarcomi, sarcomi indifferenziati, istiocitosi maligna e, raramente, da neoplasie metastatiche.
Rene Le masse che coinvolgono il rene sono primariamente di origine neoplastica. Linfoma renale: rappresenta la neoplasia renale più frequente; più spesso diffuso, quasi sempre bilaterale, e solo raramente sotto forma di massa singola. Caratterizzato dalla presenza di popolazione densa e monomorfa di cel-
Figura 10 - Linfoma renale (gatto).
Figura 11 - Carcinoma squamocellulare renale (gatto).
128
lule “rotonde”: cellule linfoidi immature. Di solito moderatamente pleomorfe, posseggono nucleo a cromatina liscia, nucleoli prominenti, citoplasma iperbasofilo e scarso. Solo molto raramente si possono rilevare frammenti di tubuli renali. Carcinoma delle cellule transizionali: caratterizzato da cellule in aggregati e più spesso singole, a margini distinti, marcatamente pleomorfe, con rapporto nucleo-citoplasmatico variabile, e spesso ampio citoplasma chiaro. Adenocarcinoma: caratterizzato da cellule epiteliali con differenziazione ghiandolare. Carcinoma squamocellulare: in tal caso è caratteristica l’ampiezza del citoplasma, da chiaro ad intensamente basofilo (cheratinizzato) e le rilevanti atipie nucleari e nucleolari.
Ghiandole surrenali Le masse coinvolgenti le ghiandole surrenali e citologicamente indagabili consistono in adenocarcinomi (se viene coinvolta la corticale del surrene) e in feocromocitomi (se viene coinvolta midollare). Gli adenocarcinomi sono caratterizzati da cellule epiteliali di dimensioni ed aspetto relativamente uniformi, mononucleate, con nucleolo singolo e prominente (come spesso si rileva nelle neoplasie degli organi endocrini) ad ampio citoplasma, moderatamente basofilo e contenente numerosi vacuoli a margini netti. Solo raramente gli adenocarcinomi posseggono caratteri di moderata anaplasia (anisomacrocariosi e nucleoli prominenti). I feocromocitomi, neoplasie che secernono catecolamine, posseggono caratteristiche citomorfologiche sovrapponibili a quelle degli altri tumori neu-
Figura 12 - Carcinoma surrenalico (cane).
129
roendocrini: la maggior parte dei preparati è caratterizzata da nuclei nudi su uno sfondo di materiale debolmente basofilo (citoplasma rotto delle cellule), modesta anisocariosi, cromatina finemente granulosa e nucleoli inapparenti.
Intestino Le masse che coinvolgono l’intestino sono primariamente di origine neoplastica. Il linfoma, che più frequentemente coinvolge il piccolo intestino del gatto, si presenta solitamente come ispessimento diffuso o focale.
Figura 13 - Linfoma intestinale (cane).
Figura 14 - Adenocarcinoma intestinale (gatto).
130
Citologicamente si caratterizza per la presenza di voluminose cellule linfoidi immature, macronucleolate, spesso a citoplasma scarso ed iperbasofilo; con una certa frequenza, i linfomi intestinali del gatto sono costituiti da popolazione omogenea e monomorfa di piccoli linfociti maturi (low grade lymphoma); infine, sempre nel gatto, si osserva una particolare forma di linfoma caratterizzata dalla presenza di grossi linfoblasti a citoplasma chiaro contenente voluminosi granuli intensamente basofili, di differenti dimensioni, talora raccolti in una parte del citoplasma: “large granular lymphocytes lymphoma” (LGL). La prognosi, per i soggetti affetti da questo tipo di linfoma è solitamente peggiore. L’adenocarcinoma intestinale è caratterizzato dalla presenza di aggregati epiteliali estremamente coesi, con differenziazione ghiandolare; le cellule manifestano evidente anisocitosi, anisomacrocariosi, nucleoli prominenti e spesso basofilia del citoplasma; occasionalmente il citoplasma è vacuolato (mucina). Coinvolge più frequentemente il piccolo intestino (digiuno ed ileo) nel gatto ed il grosso intestino (colon) nel cane. Tra le neoplasie mesenchimali, estremamente rare, si ricordano leiomiosarcomi, leiomiomi e fibrosarcomi. In particolare, nei leiomiosarcomi è caratteristica la disposizione delle cellule, raccolte in fasci ondulati o spiraliformi, e l’aspetto allungato, ad estremità smusse, dei nuclei delle stesse (“cigar-shaped”).
Figura 15 - Leiomiosarcoma (cane).
131
Bibliografia Barr F, (1995), Percutaneous biopsy of abdominal organs under ultrasound guidance, J Sm Anim Pract, 36: 105-113. Baker B, Lumsden JH, (2000), Color atlas of cytology of the dog and cat. Mosby, Inc., St. Louis, Missouri, 177-197. Bret PM, Fond A, Casola G, et al., (1986), Abdominal lesions: a prospective study of clinical efficacy of percutaneous fine-needle biopsy, Radiology 159: 345-346. Burkhard MJ, Meyer DJ, (1996), Invasive cytology of internal organs – Cytology of the thorax and abdomen, Vet Clin North Am Small Anim Pract 26 (5): 1203-1222. Cowell RL, Tyler RD, Meinkoth J.H., (1999), Diagnostic cytology and hematology of the dog and cat, Mosby, Inc., St. Louis, Missouri, 183-194. Goldstein HM, Zornoza J, Wallace S, et al., (1977), Percutaneous fine needle aspiration biopsy of pancreas and other abdominal masses, Radiology 123 (3): 319-322. Kinney TB, Lee MJ, Filomena CA, et al., (1993), Fine-needle biopsy: prospective comparison of aspiration versus non aspiration techniques in the abdomen, Radiology 186: 549-552. Léveillé R, Partington BP, Biller DS, et al., (1993), Complications after ultrasound-guided biopsy of abdominal structures in dogs and cats: 246 cases (1984-1991), J Am Vet Med Assoc 203 (3): 413-415. Menard M, Papageorges M, (1997), Fine-needle biopsy: how to increase diagnostic yield, Compend Contin Educ Pract Vet 19 (6): 738-739. O’Keefe DA, Couto CG, (1987), Fine-needle aspiration of the spleen as an aid in the diagnosis of splenomegaly, J Vet Intern Med 1: 102-109 Orell SR, Sterrett GF, Walters M, Whitaker D, (1999), Manual and atlas of fine needle aspiration cytology. Churchill Livingstone, 201-250. VanEnkevort BA, O’Brien RT, Young KM, (1999), Pancreatic pseudocysts in 4 dogs and 2 cats: ultrasonographic and clinicopathologic findings, J Vet Intern Med 13: 309-313. Venkataramu NK, Gupta S, Sood BP, (1999), Ultrasound guided fine needle aspiration biopsy of splenic lesions, Br J Rad, 72: 953-956.
132
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
Davide De Lorenzi Med Vet, Forlì
Diagnostica strumentale dell’apparato respiratorio e citologia: un binomio inscindibile Venerdì, 25 ottobre 2002, ore 16.45
133
APPARATO RESPIRATORIO SUPERIORE: NASO, RINOFARINGE, LARINGE E TRACHEA I sintomi clinici che richiedono l’ispezione attenta ed accurata delle prime vie respiratorie sono generalmente rappresentati da starnuti, scolo nasale cronico uni o bilaterale, deformità del profilo fronto-nasale, disfagia, rumori respiratori e scolo oculo-congiuntivale. Quando si giunge ad eseguire un esame strumentale di queste strutture, sia esso radiologico, endoscopico o tomografico, devono già essere state escluse per mezzo di mirate ricerche siero-ematologiche, altre patologie che possono simulare patologie primarie alle prime vie respiratorie (ad esempio ehrlichiosi, leishmaniosi, coagulopatie). Le valutazioni citologiche devono sempre essere interpretate alla luce dell’anamnesi, delle valutazioni cliniche, laboratoristiche e della diagnostica per immagini: solamente se viene inserito in un contesto clinico rigoroso l’esame citologico può esprimere tutte le sue potenzialità.
Cavità nasali e rinofaringe L’ispezione radiologica ed endoscopica delle cavità nasali e del rinofaringe associata alle valutazioni citologiche dei campioni prelevati in corso di rinoscopia permette di giungere ad una diagnosi definitiva in un alto numero di casi ed anche quando una diagnosi precisa non può essere emessa, le indicazioni derivanti dai rilievi citologici permettono di indirizzare eventuali ulteriori indagini nella maniera più precisa. Un elemento di primaria importanza nell’analisi citologica di campioni provenienti dalle cavità nasali è rappresentato dalla qualità del materiale raccolto ed esaminato: sono state descritte numerose tecniche di prelievo di campioni dalle cavità nasali. Di ognuna di queste analizzeremo tecniche di esecuzione, vantaggi e svantaggi. a) Esame diretto dell’essudato nasale: la presenza di scolo nasale uni- o bilaterale indica unicamente che ci si trova di fronte ad una patologia che coinvolge il tratto respiratorio superiore ed il suo aspetto macroscopico (purulento, sieroso, emorragico) non permette di restringere l’elenco delle possibili diagnosi differenziali. L’esame citologico dell’essudato raccolto e spatolato direttamente sui vetrini permette di individuare la causa primaria della patologia in una piccola percentuale di casi e tuttavia, data la semplicità della raccolta e dell’allestimento dei campioni, un tentativo dovrebbe sempre essere fatto. È tuttavia necessario ricordare che questi campioni sono quasi invariabilmente composti da muco che circonda ed ingloba un numero variabile 134
di neutrofili a vari gradi di degenerazione, alcuni dei quali in attiva fagocitosi di batteri. Questo quadro è da considerarsi assolutamente aspecifico poiché può essere associato a corpi estranei, micosi, neoplasie benigne e neoplasie maligne; anche il rilievo di frammenti di ife fungine non permette di emettere con certezza una diagnosi di micosi nasale poiché frammenti ifali derivano con frequenza dall’ambiente dove il cane vive e che il cane esplora principalmente con l’olfatto. Unica, importante eccezione a queste considerazioni è rappresentata dalla individuazione di agenti eziologici del genere Criptococcus nell’essudato nasale del gatto; il loro rilievo permette di formulare con certezza una diagnosi di criptococcosi nasale; la morfologia di questo fungo, così come le caratteristiche dell’infiammazione che esso induce verranno descritte più oltre nel corso di questa trattazione. b) Prelievo tramite tampone: l’impiego di tamponi per la raccolta di materiale endonasale permette di formulare una diagnosi precisa in un bassissimo numero di casi; questi strumenti, infatti, permettono la raccolta solamente dello strato più superficiale di cellule che accompagnano il processo patologico in atto, in genere cellule infiammatorie e batteri conseguenti a quadri flogistici secondari. c) Prelievo tramite lavaggio delle cavità nasali: sono state descritte numerose tecniche di lavaggio delle cavità nasali, anche se una diagnosi definitiva può essere ottenuta in meno del 50% dei casi esaminati. Una di queste tecniche prevede il posizionamento di un catetere di Fowley nel rinofaringe, così da chiudere completamente il passaggio fra cavità nasali e faringe. Con un catetere morbido di polipropilene viene iniettata una quantità variabile di soluzione fisiologica sterile che viene poi raccolta aspirando con la stessa siringa oppure con l’impiego di un secondo catetere posizionato nella cavità nasale ed anch’esso collegato ad una siringa. Questo liquido, se sufficientemente torbido, può essere strisciato direttamente sui vetrini; una parte di questo deve essere comunque analizzato dopo concentrazione cellulare tramite centrifuga (1000 giri per 10 minuti) o citocentrifuga. Una ulteriore aliquota deve essere raccolta con tampone sterile e terreno di trasporto per eventuali indagini microbiologiche. Le tecniche di lavaggio hanno l’indubbio vantaggio di raccogliere materiale virtualmente da tutte le cavità nasali ma anche l’ovvio svantaggio di potere prelevare unicamente cellule di superficie, analogamente al tampone. d) Prelievo tramite spazzolamento: per questa tecnica vengono usate delle spazzoline per citologia (cd. cytobrush) che vengono normalmente impiegate per la colpocitologia della donna oppure si possono usare spazzoline da citologia espressamente ideate per la raccolta di cellule sotto visione endoscopica; queste ultime, in particolare, sono sottili spazzole allungate e collocate 135
all’interno di un catetere che viene passato nel canale di lavoro dell’endoscopio. Una volta individuata la lesione dalla quale raccogliere cellule, il catetere viene fatto avanzare ed uscire dal canale di lavoro; da questo viene fatta uscire la spazzola che viene passata più volte sopra la lesione e che viene fatta rientrare nel catetere al momento dell’uscita dal canale di lavoro, e questo allo scopo di evitare di perdere o rovinare le cellule. La spazzola viene quindi rotolata e non strisciata sul vetrino poiché la “strisciata” causerebbe la rottura di numerose cellule. La tecnica di prelievo per spazzolamento rappresenta la mia prima scelta in caso di patologie infiammatorie diffuse a gran parte delle cavità nasali, dove non è presente una massa od una lesione focale, quadri questi che vedrebbero favorite altre tecniche di prelievo. Le spazzoline sono sufficientemente abrasive da raccogliere materiale dallo strato sottomucoso ma abbastanza delicate da non causare copiose emorragie che diluirebbero in maniera critica le cellule raccolte. La tecnica di spazzolamento sotto visione endoscopica rappresenta una ottima tecnica di prelievo per le patologie occupanti spazio nelle vie aeree oppure per le lesioni erosive. e) Prelievo tramite agobiopsia: quando la lesione sia direttamente aggredibile da un ago, la biopsia con ago sottile rappresenta una delle migliori tecniche impiegabili per la raccolta di cellule; sfortunatamente, proprio a causa della particolare localizzazione della mucosa nasale, contenuta all’interno delle ossa nasali e per la sua organizzazione anatomica in pliche e recessi, la tecnica di agobiopsia può essere impiegata solo raramente. In genere viene impiegato un ago spinale lungo direzionato sotto guida endoscopica: l’ago viene infisso alcune volte nella neoformazione ed il materiale raccolto viene quindi spruzzato su un vetrino ed immediatamente strisciato. È importante ricordare che, in caso di patologie neoplastiche delle cavità nasali non di rado si osserva lisi delle ossa nasali o di quelle palatine; le aperture che si vengono a formare nelle ossa come conseguenza della lisi da compressione oppure della distruzione conseguente all’invasione da parte della neoplasia possono essere usate con successo per prelevare cellule infiggendo l’ago proprio attraverso queste aperture ossee neoformate. La biopsia agoaspirativa rappresenta una delle pochissime opzioni di prelievo cellulare in presenza di masse localizzate nel rinofaringe. In questi casi è spesso possibile palpare la neoformazione attraverso la sottile membrana del palato molle ed è così possibile infiggere l’ago proprio attraverso il palato molle. f) Prelievo tramite pinza bioptica: tutte le volte che questo è possibile, il prelievo di campioni per la citologia con pinza da biopsia rappresenta la mia 136
prima scelta. Questa tecnica ha il vantaggio di permettere la raccolta di campioni sotto visione diretta, di selezionare le porzioni di tessuto macroscopicamente più adeguate, di raccogliere cellule anche in profondità, di potere irrigare ed asciugare la zona da sottoporre a biopsia ed infine di prelevare, nella stessa seduta anestesiologica, campioni bioptici da destinare ad eventuali indagini istopatologiche. Lo svantaggio relativo di questa tecnica è rappresentato dall’alto costo che hanno le ottiche ed i fibroscopi per endoscopia; va tuttavia sottolineato come una indagine completa ed accurata delle cavità nasali, del rinofaringe e delle restanti vie respiratorie debba sempre precedere qualsiasi prelievo citologico e che quindi non si possa prescindere dall’uso di endoscopi di buona qualità manovrati da endoscopisti esperti. Una volta individuata la neoformazione, viene eseguito un numero variabile di biopsie(almeno una decina, una parte delle quali da destinarsi ad indagini istopatologiche): il sanguinamento conseguente al prelievo può, in genere, essere facilmente controllato dall’azione combinata di irrigazione ed aspirazione che l’endoscopio permette. I vetrini possono essere allestiti in vari modi: i frammenti tissutali possono essere appoggiati, strisciati oppure schiacciati fra due portaoggetto. Questa ultima tecnica è quella che preferisco e, contrariamente a quanto generalmente creduto, la morfologia cellulare non viene affatto alterata dallo schiacciamento del tessuto; in pratica, si appoggiano una o due biopsie su di un vetrino portaoggetto sul quale viene poi appoggiato un altro vetrino. I due portaoggetto vengono pressati con forza uno contro l’altro e quindi distaccati senza strisciare. In questo modo si hanno due vetrini con materiale da analizzare; i campioni così preparati possono essere rapidamente esaminati, non colorati, al microscopio una volta abbassato il condensatore oppure con microscopio a contrasto di fase e questo allo scopo di valutare la cellularità dei campioni in oggetto ed eventualmente ripetere i prelievi mentre il paziente è ancora in anestesia. Certi tipi di neoformazione sono composti da tessuto molto compatto ed anche una pressione energica non permette di distendere le cellule sul vetrino; in questi casi il consiglio è quello di dividere la biopsia in frammenti ancora più piccoli, che possano essere più agevolmente distribuiti sui vetrini. Le semplici impronte eseguite da frammenti di tessuto compatto risultano in vetrini non adeguati per mancanza di un numero adeguato di cellule. I prelievi bioptici eseguiti inserendo una pinza nel canale di lavoro di endoscopi flessibili rappresentano la tecnica di elezione per il prelievo di cellule da lesioni localizzate nella parte più rostrale del rinofaringe. In questi casi, infatti, le neoplasie qui localizzate non possono essere aggredite né da spazzoline e nemmeno da agobiopsie transpalatine, poiché protette dalla base ossea del palato duro. 137
In coda alla sezione dedicata alle tecniche di prelievo, è importante sottolineare alcuni aspetti correlati a quanto sopra descritto: -) ogni volta che si sospetta una patologia infiammatorie, infettiva o neoplastica a carico della cavità nasale, del faringe, del laringe e dei seni frontali, devono essere ispezionati e palpati tutti i linfonodi tributari esplorabili e quelli aumentati di volume, dolenti o fissati ai tessuti circostanti devono essere agoaspirati ed attentamente analizzati alla luce di quanto derivato dalle indagini citologiche delle strutture coinvolte nel processo patologico. -) la cavità nasale è rivestita da mucosa estremamente fragile e molto vascolarizzata e questo risulta ancora più vero quando la mucosa è coinvolta da processi patologici di natura infiammatoria. Tutte le manovre di ispezione e raccolta di cellule devono essere eseguite con cautela e sicurezza, traumatizzando il meno possibile le strutture endonasali ed evitando così emorragie che possono asumere entità preoccupanti. -) la porzione più caudale delle cavità nasali è delimitata dalla lamina cribrosa dell’osso etmoide, al di là della quale si colloca il bulbo olfattivo con il suo peduncolo e quindi l’encefalo. La sottile lamina ossea dell’etmoide è una struttura piuttosto fragile e facilmente perforabile con le ottiche rigide, le spazzoline o le pinze da biopsia; è forse superfluo sottolineare che la perforazione di questa struttura determina complicazioni sempre di notevole gravità come meningite, emorragie o lesioni parenchimali alle strutture endocraniche. Le ottiche e gli strumenti per i prelievi bioptici non devono mai essere inseriti nelle cavità nasali per una lunghezza superiore alla distanza fra narice e canto mediale dell’occhio e, in ogni caso, se viene percepita anche la minima resistenza all’introduzione non bisogna mai forzare ma ritirare lo strumento e riposizionarlo cambiando traiettoria.
CITOLOGIA NORMALE DELLE CAVITÀ NASALI Le cavità nasali presentano caratteristiche costitutive differenti in relazione alla porzione considerata: la regione più rostrale, detta vestibolare, è ricoperta da epitelio squamoso stratificato che si trasforma gradualmente, procedendo in direzione aborale, in mucosa respiratoria che caratterizza, appunto, la regione respiratoria. Gli elementi cellulari di questa regione sono fra i più caratteristici e quelli di gran lunga più rappresentati nei preparati citologici: - cellule ciliate: si tratta di elementi tipicamente cilindrici, con l’area apicale della cellula occupata da un orletto composto da numerose cilia, nucleo rotondeggiante dislocato verso la parte basale (Fig. 1); cellule caliciformi o “goblet cells”: si tratta di elementi cilindrici, con nucleo dislocato alla base della cellula e sono prive di cilia; alcune di queste 138
cellule contengono numerosi granuli di mucina rotondi, di colore porpora che, se in numero elevato, conferiscono alla cellula un aspetto rigonfio (Fig. 2). - cellule basali: rappresentano il compartimento cellulare di riserva; si tratta di piccoli elementi a citoplasma iperbasofilo ed elevato rapporto N/C che si repertano organizzate in piccoli clusters molto coesi; La parte più aborale delle cavità nasali ed aree della mucosa del setto e dei turbinati dorsali sono rivestite da mucosa olfattiva, costituita da un epitelio batiprismatico pseudostratificato dove si localizzano le cellule nervose che permettono la percezione degli stimoli odorosi.
Figura 1 - Cellule cilindriche ciliate.
Figura 2 - Cellula mucipara o “goblet cell”.
139
In aggiunta agli elementi cellulari sopra descritti, i prelievi dalle cavità nasali mostrano sempre quantità variabili di muco, sottoforma di materiale acidofilo, amorfo, che spesso intrappola le cellule. In aggiunta a questo, un numero più o meno elevato di batteri a morfologia ed organizzazione variabili possono essere rinvenuti adesi alle cellule o intrappolati nel muco: si tratta di una flora microbica mista, normalmente residente nelle cavità nasali di animali sani. Nelle cavità nasali di animali sani non si rileva sangue, ma le manovre di abrasione con spazzolina o le biopsie con pinza o ago sottile causano emorragie più o meno cospicue ed il sangue spesso costituisce lo sfondo alle cellule di derivazione mucosale; tutti i vetrini allestiti, anche se apparentemente composti unicamente da sangue, devono essere colorati e letti con attenzione al microscopio perché spesso, nonostante la forte contaminazione ematica, si riescono ad individuare elementi cellulari importanti od agenti eziologici responsabili della patologia in atto. Specialmente in campioni raccolti con lavaggio è possibile ritrovare cellule di derivazione orofaringea; la loro identificazione è piuttosto semplice: si rilevano grandi cellule squamose che spesso presentano sulla superficie batteri commensali del genere Simonsiella, grossi bastoncelli affiancati fra di loro a formare una palizzata molto caratteristica.
CITOLOGIA PATOLOGICA DELLE CAVITÀ NASALI Iperplasia, displasia, metaplasia Si tratta, in tutti e tre i casi, di adattamenti della mucosa agli stimoli infiammatori cronici che conseguono alle più varie patologie che possono coinvolgere le cavità nasali. Queste alterazioni possono essere individuate con una certa sicurezza in corso di esame istologico ma è molto difficile, se non impossibile, una loro sicura identificazione nella lettura dei campioni citologici. Campioni citologici derivanti da cavità nasale con flogosi cronica presentano, in genere, grossi clusters o foglietti di cellule mucosali che mostrano da lievi a moderati aspetti di atipia cellulare: aumento del rapporto N/C, iperbasofilia citoplasmatica, modesta anisocitosi. Queste alterazioni possono essere anche di una certa consistenza e fare insorgere dubbi interpretativi per il sospetto di trovarsi di fronte ad una patologia neoplastica ben differenziata: la presenza concomitante di cellule che denunciano la presenza di una flogosi cronica (monociti-macrofagi, neutrofili, linfociti e plasmacellule) ed una storia clinica che parla di rinite e scolo 140
nasale cronico devono imporre al citologo estrema prudenza nel refertare i campioni come neoplastici. La metaplasia cellulare rappresenta un particolare processo adattativo delle cellule: queste perdono la morfologia associata alla loro specializzazione per assumere una struttura che meglio si adatta a sopportare lo stress conseguente alle modificate condizioni ambientali di irritazione cronica. Le cellule dell’apparato respiratorio, nella maggior parte cilindriche, si modificano classicamente in elementi appiattiti, squamosi (cd. metaplasia squamosa) con piccolo nucleo centrale e citoplasma basofilo, dai margini ben evidenti e rettilinei. Questa trasformazione, comunissima nel paziente umano fumatore cronico, risulta poco comune nel cane e nel gatto.
Patologie infiammatorie primarie non infettive -) Rinite allergica: questo tipo di infiammazione può essere l’unico segno clinico di ipersensibilità oppure può rientrare in un quadro più generale con coinvolgimento delle vie aeree inferiori, delle mucose oculocongiuntivali e della cute. Il quadro citologico relativo è rappresentato da una associazione di cellule infiammatorie con predominanza dei granulociti eosinofili ed aumento di mastociti e plasmacellule. La principale diagnosi differenziale in presenza di flogosi prevalentemente eosinofilica è con la rinite micotica. Sono segnalati in letteratura anche casi di rinite linfoplasmocellulare con predominanza di questi due tipi cellulari: si ritiene che la causa di questa patologia sia da ricercarsi in fenomeni di tipo immunomediato. -) Polipi nasali: si tratta di neoformazioni endonasali singole o multiple, di aspetto liscio e spesso peduncolate che colpiscono per lo più il gatto; pur non essendo ancora stata stabilita con certezza il meccanismo eziopatogenetico alla base della loro formazione, si ritiene che uno stimolo irritativo cronico determini iperplasia della mucosa associata ad una esuberante proliferazione del tessuto connettivo sottostante. Il quadro citologico che ne risulta è caratterizzato da una associazione fra cellule infiammatorie (prevalentemente linfociti, plasmacellule, monociti e neutrofili) e cellule epiteliali che mostrano quadri di displasia in numero e di gravità variabile. Distinguere citologicamente queste lesioni benigne da neoplasie epiteliali maligne ben differenziate può essere difficile: tuttavia la conoscenza della storia clinica del paziente e la valutazione accurata di esami radiologici ed endoscopici permette spesso di giungere ad una diagnosi corretta. 141
Patologie infiammatorie sostenute da agenti eziologici -) Batteri: nonostante il frequente rilevo di batteri associati a flogosi neutrofilica, le riniti che vedono come causa primaria un batterio (gen. Bordetella bronchiseptica e Pasteurella multocida nel cane e Mycoplasma e Chlamidia nel gatto)sono evenienza rara sia nel cane che nel gatto; al contrario un grande numero di patologie primarie differenti (micosi, parassitosi, neoplasie benigne e maligne, patologie dentali, corpi estranei, traumi) si associa a flogosi neutrofiliche settiche secondarie. Il quadro citologico è quello classico delle flogosi neutrofiliche settiche: un elevato numero di granulociti neutrofili con numerosi e gravi aspetti di degenerazione nucleare e frequenti aspetti di fagocitosi batterica. Spesso sia cellule che batteri sono circondati da abbondante materiale mucoso (Fig. 3). In presenza di quadri citologici di questo tipo può essere utile eseguire un esame colturale dal materiale prelevato, allo scopo di ottenere una più precisa tipizzazione dei batteri ed un antibiogramma che aiuti nella scelta della terapia ottimale. I risultati ottenuti dall’esame colturale devono sempre essere valutati alla luce delle osservazioni citologiche effettuate: ad esempio, se il risultato dell’esame colturale è Pasteurella sp. ma l’esame citologico ha messo in evidenza unicamente cocchi in grappolo liberi e fagocitati dai neutrofili è molto probabile che la Pasteurella (che è un bastoncello) sia un contaminante e non la causa primaria della patologia settica nasale. È utile ricordare ancora una volta come, molto frequentemente, il rilievo di una rinite purulenta con batteri fagocitati non rappresenti una patologia primaria: non bisogna quindi fermarsi a questa diagnosi ma è necessario approfondire le indagini nel tentativo di individuare una causa primaria.
Figura 3 - Flogosi neutrofilica settica con germi bastoncellari.
142
-) Virus: le patologie primarie virali sono molto più frequenti di quelle batteriche e tuttavia queste non presentano quadri citologici tipici. La maggior parte delle volte l’esame citologico mette in evidenza unicamente la flogosi purulenta sostenuta da batteri che fa seguito alla primaria e sottostante patologia virale. Il sospetto di una primaria patologia virale deriva, in questi casi, dalla giovane età del paziente, dalla concomitante presenza di oculocongiuntivite ed ulcere in cavità orale, dalla assenza di profilassi vaccinale, dalla provenienza dell’animale da comunità di numerosi individui, etc. -) Miceti: le cavità rino-sinusali rappresentano un sito di elezione per la crescita di funghi e per l’insorgere di patologie ad essi collegate. Nel cane la patologia nasale micotica più rappresentata in Italia è data dalla aspergillosipenicillosi mentre nel gatto il fungo più spesso isolate dalle cavità nasali è il Criptococcus neoformans. Esistono altri miceti che possono causare patologie nelle cavità nasali del cane e del gatto (ad es. Histoplasma e Blastomyces) ma non risultano essere presenti in Europa. Aspergillus sp e Penicillium sp. sono morfologicamente simile e possono essere differenziati con sicurezza solamente tramite esami colturali: tuttavia, l’esatta individuazione non sembra avere particolare importanza per il tipo di terapia da adottare o per la prognosi. Trattandosi di miceti ubiquitari, le colture positive eseguite da scolo nasale non rappresentano una sicura indicazione di patologia in atto. Molto significativo risulta, al contrario, la coltura di frammenti di mucosa nasale associata alle osservazioni endoscopiche e citologiche del materiale raccolto direttamente con spazzolamento o biopsia dalle cavità nasali. Le ife di questi miceti si presentano ramificate e settate, con spessore variabile dai 4 ai 6 µ e pareti disposte parallelamente; queste strutture possono non colorarsi ed apparire come sagome in negativo sul fondo mucoso e necrotico del campione oppure colorarsi intensamente in viola scuro con le colorazioni di Romanowsky. Più raramente si riescono ad individuare le spore fungine, che hanno aspetto ovoidale, dimensioni di 3-4 µ e colore verde tenue; eccezionale è il rinvenimento delle “teste” del fungo, evenienza questa che permetterebbe il riconoscimento preciso dell’agente eziologico implicato nel processo patologico (Fig. 4). La flogosi che accompagna questi agenti eziologici è generalmente di tipo piogranulomatoso anche se spesso vi è una netta preponderanza di neutrofili molti dei quali degenerati ed in attività di fagocitosi batterica; infatti, l’erosione causata dal fungo a danno dei turbinati nasali induce costantemente un grave stato di flogosi settica batterica all’interno delle cavità nasali, con conseguente presenza di scolo nasale purulento maleodorante uni- o bilaterale. 143
Figura 4 - Brushing cavità nasale: testa aspergillare.
La criptococcosi rappresenta la micosi profonda più diagnosticata nel gatto e spesso i sintomi sono quelli riferibili ad una rinite con scolo nasale mucopurulento cronico. Gli agenti eziologici, spesso presenti in grandi quantità, hanno aspetto peculiare: il micete ha forma sferica, colore da rosa a porpora intenso, dimensioni da 2 ad 8 µ ed è circondato da una ampia capsula di diametro variabile da 8 a 40 µ, che non si colora con i coloranti di Romanowsky; possono essere presenti gemmazioni unipolari a base stretta, che conferiscono al micete appena gemmato il tipico aspetto “a lacrima”. La reazione infiammatoria che accompagna questa infezione può essere scarsa ed in genere si tratta di un quadro di tipo granulomatoso, con netta preponderanza di monociti-macrofagi. Rhinosporidium seeberi è il responsabile di una micosi nasale del cane sporadicamente segnalata anche n Italia ed è caratterizzata dalla presenza di una o più formazioni polipoidi a carico della mucosa nasale e sintomi di rinite cronica. I campioni citologici prelevati da queste neoformazioni mettono in evidenza la presenza di un numero variabile di strutture rotondeggianti (spore) di dimensioni variabili da 5 a 15 µ, di colore viola scuro, con sottile capsula refrattile all’interno delle quali, a volte, si distinguono piccole strutture rotondeggianti eosinofiliche. Il quadro infiammatorio è misto, con predominanza di granulociti neutrofili; questi si dispongono spesso attorno alle spore formando tipiche rosette che sono ben evidenti anche a piccolo ingrandimento. -) Parassiti: data la loro assoluta rarità verranno solo elencati i parassiti che possono insediarsi all’interno della cavità nasale; Capillaria aerophila può 144
vivere nelle cavità nasali e nei seni paranasali e la sua presenza viene svelata dalla presenza di tipiche uova biopercolate (60 x 30 µ). Ancora più rara è Linguatula serrata un artropode che depone le uova nelle cavità nasali del cane e che può essere individuata durante l’esame rinoscopico oppure per la presenza delle uova nelle valutazioni citologiche dell’essudato nasale.
Patologie neoplastiche a carico delle cavità nasali e dei seni paranasali Sia nel cane che nel gatto le neoplasie endonasali rappresentano circa l’1% delle neoplasie segnalate in queste specie e circa il 90% dei tumori endonasali sono neoplasie maligne. Di conseguenza, quando si identifica con le varie tecniche di diagnostica per immagine una massa endonasale, le probabilità che ci si trovi di fronte ad una neoplasia maligna sono molto alte. Nonostante questo l’osservazione e le conclusioni relative alla citologia delle masse endonasali devono essere estremamente prudenti, perché quadri di displasia ed iperplasia cellulare, collegate a patologie infiammatorie croniche non neoplastiche, possono essere facilmente interpretate come derivanti da neoplasia maligna. Per questa ragione, in presenza di atipie cellulari a carico della mucosa nasale associate ad un quadro di concomitante flogosi cronica, bisogna spesso ricorrere alla valutazione istopatologica per avere una diagnosi più accurata. Ancora una volta si ricorda l’importanza di una attenta valutazione dei linfonodi tributari, che devono essere agoaspirati ogni volta che si presentano aumentati di volume oppure risultino aderenti ai tessuti circostanti Gli adenocarcinomi sono le neoplasie maligne più rappresentate nel cane, mentre nel gatto il carcinoma più frequente è quello squamocellulare. Gli adenocarcinomi presentano, a volte, citoarchitetture ad acino o palizzata così come pure aspetti secretivi (vacuolizzazioni citoplasmatiche, cellule ad anello con castone)e questo facilita il riconoscimento del tipo di tumore: numerosi sono in genere i criteri di malignità fra i quali ricordiamo anisomacrocariosi, mitosi anomale, nucleoli di numero e forma variabili, aumentato rapporto N/C (Fig. 5). Il carcinoma squamocellulare è caratterizzato dalla presenza di cellule dai bordi ben definiti, rettilinei e con citoplasma abbondante, vetrificato con nucleo centrale. Ai criteri di malignità sopra elencati si aggiunge la mancata sincronia nella maturazione fra citoplasma e nucleo: in pratica nelle cellule neoplastiche, il citoplasma presenta aspetti di cheratinizzazione completa ma con nucleo non picnotico bensì grande e biologicamente attivo. 145
Figura 5 - Numerosi e gravi criteri di malignità in un adenocarcinoma del seno frontale.
Figura 6 - Tumore venereo trasmissibile.
Meno comuni sono i tumori di origine mesenchimale ed i più rappresentati sono il fibrosarcoma, il condrosarcoma e l’osteosarcoma. Anche se queste neoplasie possono presentare aspetti di differenziazione tali da permettere una più precisa denominazione, la diagnosi generica di “neoplasia mesenchimale maligna” rappresenta spesso un risultato oltre il quale non è possibile andare con la sola osservazione citologica. Anche nelle cavità nasali, come in altre parti del corpo, la flogosi cronica è accompagnata spesso da fenomeni di fibroplasia reattiva ed i fibrociti reattivi possono presentare aspetti di atipia citologica tali da fare insorgere il sospetto di una neoplasia mesenchimale maligna; in questi casi l’esame clini146
co e le informazioni derivanti dalle tecniche di diagnostica per immagine possono fare propendere più o meno verso una diagnosi di malignità piuttosto che di reazione fibroplasica. I tumori a cellule rotonde che possono essere ritrovati nelle cavità nasali sono il linfoma, il tumore venereo trasmissibile (Fig. 6), il mastocitoma e raramente segnalato anche il plasmocitoma. I campioni allestiti da questi tumori sono, in genere, molto cellulari e la morfologia cellulare non si differenzia da quella conosciuta per localizzazioni diverse da quella nasale;
Laringe I sintomi che suggeriscono una patologia a che coinvolge il laringe sono dati da stridori respiratori prevalentemente in inspirazione, disfagia, modificazioni o perdita della voce. Gli elementi che possono essere visualizzati in corso di laringoscopia sono le corde vocali, le cartilagini aritenoidi e l’epiglottide: a carico di queste strutture possono rendersi evidenti arrossamenti, edemi localizzati o generalizzati e neoformazioni. Le tecniche di prelievo migliori risultano essere lo spazzolamento, lo schiacciamento di biopsie con pinza oppure, quando presente una neoformazione aggredibile direttamente con ago, l’agobiopsia; questa ultima tecnica può essere impiegata anche per via transcutanea, qualora la tumefazione sia apprezzabile con la palpazione esterna. La laringe è essenzialmente costituita da una “impalcatura” cartilaginea sulla quale si inseriscono i muscoli laringei; il tutto è ricoperto da mucosa di tipo squamoso stratificato nella cui lamina propria si trovano aggregati di cellule linfoidi; la citologia di campioni eseguiti per spazzolamento dalla laringe normale offrono allo studio una popolazione monomorfa di cellule squamose ben differenziate associate ad una piccola aliquota di linfociti maturi.
Patologie infiammatorie La citologia delle patologie infiammatorie del laringe non presenta peculiarità degne di rilievo: a parte la classica infiltrazione di neutrofili e monociti-macrofagi identificabili su di un fondo costituito da materiale mucoso non vi sono particolari elementi distintivi Una certa incidenza hanno anche forme di c.d. “iperplasia reattiva linfoide” dove la maggior parte delle cellule raccolte sono rappresentate da una popolazione linfoide polimorfa costituita da 147
piccoli linfociti, linfociti reattivi, plasmacellule e cellule di Mott; si tratta di una reazione non specifica del tessuto linfatico “residente” nella laringe alle più varie patologie (flogosi, neoplasia, infezione) per cui deve sempre essere valutata alla luce della storia clinica e delle informazioni derivate dalla diagnostica per immagini.
Patologie neoplastiche I tumori primari della laringe sono rari reperti nel cane e nel gatto; tuttavia, essendo presenti sia tessuto epiteliale, cartilagineo, muscolare, fibroso e linfoide in sede laringea sono stati segnalate neoplasie epiteliali (carcinoma squamocellulare), mesenchimali (condrosarcoma, rabdomiosarcoma, fibrosarcoma e loro controparti benigne) ed a cellule rotonde (linfoma). Le caratteristiche citologiche di queste neoplasie sono analoghe a quelle di simili patologie localizzate in altre zone dell’organismo.
APPROCCIO DIAGNOSTICO ALLE PATOLOGIE DEL TRATTO RESPIRATORIO INFERIORE TRAMITE LAVAGGIO TRACHEOBRONCHIALE E BRONCOALVEOLARE L’indagine microscopica delle linee cellulari coinvolte da processi patologici a carico delle vie aeree inferiori può fornire al clinico utili indicazioni riguardanti l’origine ed il momento evolutivo del problema in atto. È tuttavia doveroso sottolineare come questa valutazione abbia senso e possa esprimere tutte le proprie potenzialità solamente se inserita in un protocollo diagnostico rigoroso, come precedentemente descritto: in altri termini questo esame deve necessariamente seguire un accurato esame fisico, una serie di esami ematochimici e sierologici specifici, radiogrammi, elettrocardiogramma ed esame coprologico. Al termine di questo iter, e solamente se permangono dubbi sulla reale natura del problema, è corretto eseguire lo studio di cellule e figurazioni raccolte tramite lavaggio tracheo-bronchiale e/o broncoalveolare. Bisogna inoltre essere a conoscenza del fatto che, a volte, patologie anche di differente origine possono esitare in una risposta infiammatoria simile ed aspecifica, che poche informazioni può dare al clinico; d’altra parte, se eseguito propriamente e qualora vi siano le reali indicazioni per la sua attuazione, l’esame citologico e colturale del liquido di lavaggio permettere di emettere diagnosi precise, di instaurare terapie mirate e di formulare prognosi corrette. 148
Indicazioni e controindicazioni I lavaggi tracheobronchiale e broncoalveolare sono indicati in presenza di tosse cronica (presente da almeno due settimane) o recidivante, comunque non rispondente in modo soddisfacente alle terapie instaurate sulla base delle valutazioni sopra elencate. In particolare, se si sospetta una patologia infettiva, infestiva, neoplastica o su base allergica, è possibile ottenere fondamentali informazioni dalla valutazione citologica e colturale dei campioni raccolti tramite lavaggio. Richiedendo una anestesia generale per la propria esecuzione, questa metodica diagnostica deve essere tuttavia riservata solo agli animali in grado di affrontare i rischi collaterali di tale procedura. L’iniezione a livello di vie aeree inferiori di liquido sterile a temperatura corporea molto raramente crea problemi al paziente, anche se affetto da patologie broncopolmonari e questo perché la soluzione non riaspirata, viene subito riassorbita dall’albero tracheobronchiale.
Raccolta ed allestimento dei campioni Esistono fondamentalmente tre tecniche per la raccolta del materiale di esfoliazione tracheo-bronco-alveolare: – iniezione del liquido di lavaggio per mezzo di un catetere passato attraverso il tubo endotracheale; – iniezione del liquido di lavaggio sotto visione endoscopica diretta, attraverso il canale di lavoro dello strumento; – iniezione del liquido di lavaggio per via transtracheale, con l’ausilio di un catetere passato attraverso un grosso ago; La prima delle metodiche elencate è quella di gran lunga più impiegata nel gatto e nei cani di piccola taglia, sia per il facile reperimento che per il ridotto costo del materiale necessario alla sua esecuzione. In pratica, una volta adeguatamente preparato ed anestetizzato, il paziente viene intubato con un tubo endotracheale sterile attraverso il quale viene fatto passare un catetere di gomma morbida, anch’esso sterile; una siringa contenente soluzione fisiologica sterile tiepida viene raccordata al catetere dopodiché il liquido viene spruzzato rapidamente ed altrettanto rapidamente aspirato. Tecnicamente esistono due tipi diversi di lavaggi: il lavaggio tracheobronchiale (LTB) ed il lavaggio broncoalveolare (LBA). Di fatto, negli animali di piccola taglia, date le ridotte dimensioni dell’albero tracheobronchiale e la piccola distanza che vi è fra i primi anelli tracheali e gli alveoli polmo149
nari una netta distinzione fra le due procedure è più teorica che pratica e spesso eseguendo un LTB viene raccolto abbondante materiale derivante da alveoli e bronchioli terminali mentre eseguendo un LBA si repertano sul vetrino numerose cellule ciliate e goblet cells che originano dal segmento più prossimale di trachea a grossi bronchi. È buona norma eseguire per primo un lavaggio più profondo, con l’animale posto in decubito laterale ed il tracheotubo cuffiato e posizionato in profondità, almeno a livello di biforcazione bronchiale; viene quindi inserito un catetere lungo, sottile e morbido, meglio se radiopaco, così da potere eventualmente controllare radiologicamente la corretta localizzazione in profondità del catetere stesso. I sondini nasogastrici per la nutrizione forzata dei neonati rispondono perfettamente a questo scopo. Una quantità variabile di liquido (indicativamente 5ml/kg) viene iniettato e subito riaspirato: difficilmente viene raccolto più del 30-40% del liquido originario ma questo è generalmente più che sufficiente per allestire alcuni vetrini e per raccogliere campioni per eventuali esami colturali. Viene eseguito quindi un lavaggio più superficiale, sfilando il tracheotubo fino a che la sua punta arrivi a livello dei primi anelli tracheali e facendo spuntare un nuovo catetere per circa un centimetro oltre la punta del tracheotubo; il liquido viene quindi iniettato e raccolto come descritto in precedenza ma difficilmente, con questa tecnica è possibile recuperare più del 20-30% della soluzione iniziale. L’uso di un broncoscopio per l’esecuzione dei lavaggi più sopra descritti rappresenta sicuramente la tecnica ideale, ma in realtà il costo elevato ne impedisce un impiego diffuso. Questi endoscopi devono essere piuttosto sottili (4-8 mm) ma lunghi abbastanza per potere arrivare fino alle strutture bronchiali più profonde. L’indubbio vantaggio di questa tecnica consiste nella visualizzazione diretta delle aree colpite dal processo patologico ed una conseguente raccolta “mirata” dei campioni da esaminare L’impiego della via transtracheale per la raccolta di campioni con il LTB ed il LBA non rappresenta, nell’opinione di chi scrive, una metodica di prima scelta. I vantaggi ascrivibili a questa tecnica sono dati dal fatto che non necessita di una anestesia generale ma solo di un deposito di anestetico locale nel punto di penetrazione dell’ago e dal fatto che si riduce praticamente a zero la possibilità di una contaminazione del materiale da esaminare da parte di cellule e batteri di derivazione orofaringea. Indipendentemente dalla metodica scelta per la raccolta del materiale da analizzare, la preparazione del liquido aspirato deve sempre essere la medesima: una parte viene inserito in appositi terreni di coltura per mezzo di tamponi sterili mentre la maggior parte del campione viene impegata per l’allestimento di vetrini per l’analisi citologica. 150
Caratteristica comune alla maggior parte delle scienze biomediche che si avvalgono dello studio morfologico dei campioni da analizzare, una tecnica preparatoria (in questo caso citopreparatoria) eccellente è obbligatoria per una adeguata accuratezza diagnostica. Come tutti i campioni citologici nei quali le cellule sono sospese in un liquido, l’allestimento dei vetrini deve essere eseguito il prima possibile: indicativamente entro 30-60 minuti per campioni non refrigerati ed entro 6-8 ore per campioni refrigerati (4°C, non congelati). Infatti, la permanenza prolungata del materiale cellulare nel liquido di lavaggio può determinare vari artefatti (ad es. fagocitosi extracorporea, da parte di neutrofili e macrofagi, di microrganismi contaminanti e globuli rossi oppure quadri di retroplasia degenerativa in nuclei già displasici per effetto di flogosi cronica così da fare sospettare un evento tumorale) e complicare notevolmente la diagnosi, specialmente per il rischio di risultati falsamente positivi. Per queste ragioni è importante preparare i vetrini appena possibile e comunque entro 30 minuti e questo anche per un altro motivo: siccome l’allestimento dei vetrini, la loro colorazione ed una prima rapida analisi non richiedono ad un citologo esperto più di 10-15 minuti, è possibile eseguire una prima, fondamentale analisi qualitativa mentre il paziente è ancora in anestesia, permettendo un immediato secondo prelievo se il materiale da esaminare è insufficiente oppure se si repertano cellule e microrganismi contaminanti di derivazione oro-faringea che possono alterare in maniera falsamente positiva i risultati degli esami colturali per batteri e miceti. Bisogna aggiungere che un eventuale secondo lavaggio deve essere eseguito immediatamente oppure dopo almeno 48 ore e questo perché il liquido impiegato determina, dopo poche ore, una flogosi neutrofilica transitoria che può falsare i risultati di conta differenziale ed analisi morfologica dei campioni. Esistono fondamentalmente 4 tecniche per allestire i vetrini da lavaggio tracheo-bronco-alveolare: – spatolamento diretto del campione su portaoggetto; – spatolamento dopo centrifugazione; – allestimento tramite sedimentatore; – allestimento tramite citocentrifuga; La prima tecnica viene riservata a quei campioni francamente torbidi o nei quali si rilevano ammassi di materiale mucoso: lo spatolamento diretto di questo materiale in genere fornisce abbondante materiale per l’analisi citologica. Liquidi poco torbidi richiedono una concentrazione del materiale cellulare e non prima di potere eseguire una adeguata analisi. 151
La centrifugazione deve essere eseguita per 10 minuti a 1000 giri, dopo di ché il surnatante vene allontanato ed il pellet residuo può essere risospeso e strisciato oppure raccolto direttamente con una pipetta e strisciato sopra il portaoggetto. La concentrazione delle cellule per mezzo del sedimentatore rappresenta una metodo ottimo e di facile applicazione: questa tecnica è basata sul principio del lento assorbimento di un fluido da parte di uno spesso strato di carta assorbente. Se l’assorbimento è molto lento, le cellule (in una certa aliquota) non vengono assorbite, sedimentano ed aderiscono ad un vetrino portaoggetti. Il principale vantaggio di questo procedimento è dato dal fatto che il materiale cellulare in sospensione non subisce alcun tipo di manipolazione (centrifugazione, risospensione e striscio) e che viene concentrato in una piccola e circoscritta area del vetrino, facilitando l’analisi citologica del materiale sedimentato. Citocentrifugazione: è interessante notare come questa attrezzatura sia stata considerata una modificazione particolare della sedimentazione precedentemente descritta: ciò in parte corrisponde al vero se si considera che, accelerato con la centrifugazione il processo di sedimentazione, durante questo avviene l’assorbimento della parte liquida del campione raccolto da parte della carta da filtro. Questa è compressa in modo tale da impedire un assorbimento troppo rapido, che comporterebbe la perdita di una certa aliquota cellulare. La centrifugazione non deve superare i 500-600 g.p.m. per 10 minuti. L’unico reale svantaggio di questa ultima tecnica, che permette di analizzare campioni di eccellente qualità, consiste nel costo elevato della citocentrifuga.
Interpretazione citologica Una spiegazione, seppure superficiale, delle linee cellulari e delle figurazioni normali e patologiche che si possono rilevare nell’analisi di lavaggi tracheo-bronco-alveolari richiederebbe un seminario specifico ed occuperebbe 20 o 30 pagine di questa pubblicazione. Nel rimandare, pertanto, tutti coloro che sono interessati all’interpretazione citologica di LTB e LBA alle voci bibliografiche elencate alla fine di questa trattazione, preme sottolineare che solo lo studio citologico diretto di numerosi casi, oltre alla conoscenza dei criteri valutativi ed interpretativi applicati in citopatologia, permettono di acquisire una sufficiente confidenza con questa complessa ed affascinante tecnica diagnostica. 152
Bibliografia e letture consigliate Bibbo M. Comprehensive Cytopathology 2nd edition, WB Saunders, Philadelphia, 1997 Fournel-Fleury C., Magnol J-P, Guelfi J.F., Color Atlas of Cancer Cytology of the Dog and the Cat Conference Nationale des Veterinaires Spécialisés en Petit Animaux, Paris, 1994 Takahashi M., Citologia del Cancro Verduci editore, Roma, 1987 DeMay R.M., The Art and Science of Cytopathology ASCP Press, Chicago, 1996 Baker R., Lumsden J.H., Color Atlas of Cytology of the Dog and Cat Mosby ed, St Louis (MI), 1999 Cowell R.L., Tyler R.D., Meinkoth J.H., Diagnostic Cytology and Hematology of the dog and the cat 2nd ed, Mosby, St.Louis, 1999 Raskin R.E., Meyer D.J. Atlas of Canine and Feline Cytology W.B. Saunders Co., Philadelphia, 2001 Wood EF, O’Brien RT, Young KM. (1998) Ultrasound-guided fine-needle aspiration of focal parenchymal lesions of the lung in dogs and cats. J Vet Intern Med Sep-Oct;12(5):338-42 Noone K. (1997). Le patologie respiratorie del gatto. Atti del seminario di medicina felina, Pesaro, Ed. SCIVAC Masserdotti C., De Lorenzi D., (1998), Patologie broncopolmonari non neoplastiche nel cane e nel gatto: approccio diagnostico tramite esame citologico, Veterinaria, 1:33-39. Hawkins E.C., De Nicola D.B., Kuehn N.F. (1990) Bronchoalveolar lavage in evaluation of pulmonary diseases of the dog and the cat. J.Vet. Intern. Med. 4: 267-274. Cadorè J.L. (1994) Le lavage broncoalvèolare. Point Vet 26: 75-76. Cadorè J.L. (1994) Apport de la cytologie du liquide de lavage bronchoalvèolare. Point Vet. 26: 528-530. Moise N.S., Blue J. (1993) Bronchial Washing in the cat: procedure and cytologic evaluation. In: Veterinary Laboratory Medicine, Veterinary Learning System, Trenton N.J, 123-204. Creighton S.R., Wilkins R.J. (1974) Transtracheal aspiration biopsy: technique and cytologic evaluation. JAAHA 10: 219-226. Creighton S.R., Wilkins R.J. (1974) Bacteriologic and cytologic evaluation of animals with lower respiratory tract disease using transtracheal aspiration biopsy. JAAHA 10: 227-232. Dow S.W.,Jones R.L., Rosychuk R.A.W (1993) Bacteriologic specimens selection, collection and transport for optimum results. In: Veterinary Laboratory Medicine, Veterinary Learning System, Trenton N.J, 123-204. Rebar A.H., Hawkins E.C., De Nicola D.B. (1992) Cytologic evaluation of the respiratory tract. Vet. Clin N. Amer. 22: 165- 185. Rebar A.H., De Nicola D.B., Muggenburg B.A. (1980) Bronchopulmonary Lavage Cytology in the Dog: Normal Findings. Vet.Pathol 17: 294-304. Moon M. (1992) Pulmonary infiltrates with eosinophilia. J. Small Anim. Pract. 33: 19-23. Bourdoiseau G., Cadorè J.L. (1994) Eosinofilo ed eosinofilia. Summa 2: 9-17.
153
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
Carlo Masserdotti Med Vet, Brescia
Davide De Lorenzi Med Vet, Forlì
Bruce Belshaw Utrecht
Patologie gastro-intestinali e diagnostica citologica: tecnica e principi interpretativi Sabato, 26 settembre 2002, ore 17.15
155
INTRODUZIONE Tra le tecniche relativamente recenti, l’indagine citologica diretta allo studio delle patologie gastrointestinali rappresenta una novità ancora poco conosciuta e utilizzata in medicina veterinaria, poiché gli obiettivi diagnostici che si propone sono da sempre predominio dell’istopatologia. Tuttavia la corretta applicazione di alcuni principi di selezione del paziente, di allestimento dei preparati e di osservazione rendono i risultati dell’esame citologico ampiamente sovrapponibili a quelli della ricerca istologica, con innegabili vantaggi in termini di tempo di esecuzione e di costi. Come in molte situazioni, la citologia è valorizzata quando è associata ad altri mezzi diagnostici, quali l’esame clinico, ematochimico, radiologico ed endoscopico ed è di aiuto efficiente soprattutto in quei casi in cui gli altri risultati non apportano un contributo definitivo.
CENNI DI ANATOMIA NORMALE Gli organi di cui la citologia gastointestinale si occupa sono fondamentalmente lo stomaco, l’intestino tenue e l’intestino crasso: si considera citologia routinaria quella relativa al cavo oro-faringeo ed all’area anale, mentre la citologia esofagea non conosce in medicina veterinaria l’importanza che assume in medicina umana, dove essa si rende utile nella diagnosi del cancro esofageo, endemico in alcune aree geografiche; gli organi indicati sono strutture parietali cave tappezzate da mucosa e supportate da stroma fibromuscolare, attraverso le quali si compie l’assorbimento dei principi nutritivi, resi disponibili dai processi di digestione, la progressione del materiale alimentare e la formazione delle feci. Lo stomaco è suddiviso in porzioni che si differenziano per struttura microanatomica e funzioni; la sua superficie è sollevata in pieghe di altezza e numero variabile, a seconda del grado di distensione dell’organo. L’epitelio superficiale, ripiegato in invaginamenti delimitati da elementi di aspetto colonnare con un nucleo basale, ricopre tutta la superficie luminale dello stomaco: nella regione del fondo e del corpo la mucosa è arricchita da ghiandole tubulari, di aspetto allungato e costituite dalle cellule mucose del collo, dalle cellule parietale, che secernono acido cloridrico, dalle cellule principali, o”chief-cells”, che secernono pepsina e che si localizzano prevalentemente nella porzione media della ghiandola, ed infine dalle cellule enterocromaffini, con funzioni endocrine. Le porzioni del cardias e dell’antro pilorico sono prive di tali ghiandole e dotate esclusivamente di semplici ghiandole mucose. Entrambi i tipi ghiandolari riversano il loro secreto in corrispondenza delle 156
cripte, ossia alla base degli invaginamenti dell’epitelio superficiale. La mucosa poggia su un sottile strato di miocellule lisce, denominato muscolaris mucosae. Uno strato di connettivo riccamente vascolarizzato ed innervato, la tonaca sottomucosa, connette la mucosa alla tonaca muscolare, costituita da strati circolari e longitudinali di miocellule lisce. La struttura è quindi rivestita superficialmente dalla sierosa mesoteliale. L’intestino si suddivide in tenue e crasso: l’intestino tenue si estende dal piloro fino alla valvola ileociecocolica e viene suddiviso in duodeno, digiuno ed ileo. La mucosa intestinale è specializzata nell’assorbimento dei principi nutritivi; la superficie è amplificata da abbondanti ripiegature, ognuna delle quali è ricoperta da numerosissimi villi, che si protendono verso il lume. I villi assumono lunghezza variabile con la sede anatomica: i villi duodenali sono di lunghezza moderata, quelli digiunali sono i più lunghi, mentre quelli ileali sono corti e tozzi. Ogni villo è costituito da un asse centrale stromale, entro cui scorre un capillare linfatico a fondo cieco e un letto capillare sanguigno, e dall’epitelio di copertura: le cellule che delimitano i villi sono di aspetto colonnare con nucleo basale e dotate apicalmente di microvilli, che favoriscono ed ottimizzano i processi di assorbimento. Alcune di esse sono denominate goblet cells, e, intercalate tra gli enterociti, svolgono attività secretoria di muco. Lo stroma di supporto è occupato da una modesta popolazione residente di linfociti, plasmacellule e mastociti. Dalla base di ogni villo si estende in profondità una struttura ghiandolare denominata cripta di Lieberkühn dalla quale prendono movimento nuovi enterociti che migrano e maturano verso la superficie del villo, dalla quale poi esfolieranno per senescenza: gli enterociti che delimitano le cripte di Lieberkühn sono elementi immaturi con l’aspetto di cellule secretorie. La mucosa è connessa allo stroma sottomucoso tramite un sottile fascio di miocellule liscie, detto muscolaris mucosae. In sede sottomucosa e solo a livello duodenale è possibile osservare strutture ghiandolari acinari denominate ghiandole di Brunner. In sede sottomucosa, oltre che abbondante vascolarizzazione ed innervazione, sono presenti numerosi follicoli linfatici distribuiti ordinatamente, ed aggregati di follicoli, denominati placche di Peyer; il loro compito è fondamentalmente quello di sorveglianza immunitaria in un’area esposta a numerosi stimoli antigenici. Esternamente l’organo è completato dai fasci muscolari longitudinali ed annulari, con funzioni di motilità intestinale, ed è avvolto superficialmente da peritoneo. L’intestino crasso si estende dalla valvola ileociecocolica fino al retto ed ha un diametro luminale nettamente superiore a quello del tenue; le sue funzioni sono il riassorbimento dell’acqua, di soluti di vitamine idro-solubili e la formazione delle feci. Il lume dell’intestino crasso è occupato da un elevatissimo numero di batteri che contribuiscono ai processi digestivi. La mucosa è 157
priva di villi e costituita da cellule epiteliali colonnari e da ghiandole tubulari mucipare, che sono supportate da stroma fibroconnettivale vascolarizzato. La tonaca propria della mucosa è popolata da elementi linfoplasmocellulari distribuiti ordinatamente in numero modesto. Come negli altri segmenti gastrointestinali la mucosa è connessa alla sottomucosa dalla sottile muscolaris mucosae; nella lamina sottomucosa, oltre che la normale vascolarizzazione ed innervazione è possibile repertare occasionali follicoli linfoidi. Esternamente si localizza l’avvolgimento dei grandi fasci di muscolatura longitudinale ed annulare e la copertura peritoneale. Il retto ha una struttura analoga: nella parte terminale, la mucosa si trasforma in epitelio pavimentoso stratificato non corneificato e si mantiene di questo tipo fino in prossimità dell’orifizio anale, dove inizia a corneificarsi e ad assumere i caratteri dell’epidermide.
OBIETTIVI E LIMITI DELLA CITOLOGIA GASTROINTESTINALE Negli ultimi anni si è assistito ad una progressione velocissima delle tecniche diagnostiche e terapeutiche relative alle patologie gastrointestinali, discipline che sono cresciute conseguentemente e spesso ispirate dai progressi e dai risultati già raggiunti in campo umano; l’esame clinico, frequentemente insufficiente per inquadrare correttamente un problema gastroenterologico, si avvalora attualmente dei risultati dell’esame ematochimico e dell’indagine radiologica, con o senza mezzo di contrasto; l’avvento dell’endoscopia anche nella pratica clinica quotidiana dei medici veterinari ha permesso l’accesso ad un ambiente precluso ed accessibile precedentemente solo con la chirurgia laparotomica, e ha consentito di eseguire indagini, osservazioni e procedure terapeutiche con il minimo disagio per paziente e proprietario; tale metodica rappresenta attualmente il mezzo d’elezione per osservare e indagare tramite prelievi bioptici i tratti prossimali e distali del tubo digerente; ovviamente, per l’estensione dell’intestino e l’impossibilità di disporre di mezzi tecnici sufficientemente lunghi per raggiungere le porzioni distali del tenue, l’endoscopia cede alla chirurgia il ruolo di indagare tali porzioni altrimenti inaccessibili; l’istopatologia ha fornito al clinico un appoggio considerevole rappresentando il mezzo ideale per tipizzare i disordini e per confermare i sospetti clinici. Il prelievo bioptico, se eseguito correttamente, fornisce risultati eccellenti in un numero discreto di patologie, benché i limiti siano rappresentati dal fatto che qualunque tecnica di prelievo, con l’eccezione della biopsia laparotomica a tutto spessore, fornisce materiale proveniente dalle porzioni superficiali 158
degli organi gastrointestinali e che patologie localizzate profondamente alla mucosa non sono raggiungibili. L’esame citologico, che come vedremo in seguito, è condotto sul medesimo materiale che verrebbe avviato all’indagine istologica, ha come obiettivo, comune all’istologia, la diagnosi di patologie localizzate alla mucosa, alla sua superficie o alla tonaca sottomucosa ed ha come limiti quello di un rispetto minore, in confronto all’istologia, dei rapporti anatomici e strutturali tra le varie cellule.
SELEZIONE E PREPARAZIONE DEI PAZIENTI Il paziente ideale da sottoporre ad esame citologico è quello per il quale, procedure diagnostiche meno invasive, quali l’esame clinico, l’esame per flottazione del materiale fecale, l’esame ematochimico, i test di funzionalità epatica e pancreatica e le tecniche di diagnostica per immagini non hanno fornito indicazioni sufficienti per una diagnosi conclusiva e per il quale la visualizzazione diretta per via endoscopica della superficie della mucosa gastrointestinale crea il sospetto che il processo patologico sia localizzato in sede della mucosa stessa. Per ogni paziente, prima dell’esecuzione dell’anestesia e dell’esame endoscopico, dovrebbe essere effettuata un’attenta valutazione clinica e strumentale dei rischi anestesiologici. Il disturbo arrecato da materiale alimentare che ingombra il lume degli organi, obbliga il paziente ad un digiuno di almeno 24-36 ore precedenti l’esame endoscopico; addirittura se l’esame deve essere condotto in sede di intestino crasso, può essere raccomandato l’utilizzo di lassativi e di clisteri per asportare il maggior quantitativo di feci possibile dai segmenti da indagare.
PREPARAZIONE DEI CAMPIONI La tecnica endoscopica non è tra gli scopi di questa relazione, ma alcune manovre condotte dall’endoscopista sono sicuramente cruciali nell’ottenimento dei campioni da sottoporre ad esame citologico. In passato, in medicina umana, si utilizzavano varie tecniche di prelievo che spaziavano dal lavaggio endoluminale tramite sonda oroesofagea all’ingestione di una palla abrasiva su cui aderivano le cellule diagnostiche; l’avvento dell’endoscopia ha sviluppato tecniche di brushing, di spatolamento e di agoaspirazione teleguidata che hanno permesso il recupero atraumatico di materiale cellulare per l’indagine citologica: tale indagine risulta tuttavia 159
penalizzata dall’estrema superficialità del campionamento, che viene condotto a carico del materiale secretorio, degli enterociti in esfoliazione e, solo in sede di lesioni ulcerative previa scarificazione, di materiale lesionale profondo. Il prelievo di elezione consiste nella visualizzazione diretta della porzione di mucosa da sottoporre ad analisi e nell’utilizzo di una pinza da biopsia che raggiunge il sito lesionale scelto dall’endoscopista tramite il canale di servizio del suo strumento. La tecnica di prelievo prevede che tale pinza a branche taglienti venga affondata nella mucosa sospetta, chiusa su di essa e recuperata energicamente, in modo che un piccolo frammento di mucosa, generalmente di pochi millimetri di dimensione, venga letteralmente tagliato e strappato dalla sua sede. In questo modo il materiale cellulare non consta di solo materiale secretorio, detritico ed esfoliativo ma di frammenti di mucosa completi di epitelio, vasi, stroma, frammenti di sottomucosa, che vengono immediatamente fissati in formalina ed avviati alle procedure istopatologiche. In medicina veterinaria la citologia gastrointestinale viene condotta, con le medesime limitazioni, prevalentemente su materiale prelevato con brushing, ossia tramite spazzolamento superficiale della mucosa, ma è stata sviluppata una tecnica di allestimento che permette di condurre un’autentica osservazione di tipo citologico su materiale altrimenti destinato all’istopatologia. Il frammento di mucosa prelevato anziché essere fissato in formalina viene depositato ancora fresco su vetrino portaoggetto (Fig. 1) ed energicamente schiacciato con un altro vetrino portaoggetto fino a quando il materiale viene ridotto ad un monostrato irregolare; quando lo schiacciamento è stato completato si distaccano i due vetrini, che per la manovra di compressione e di adesione del materiale sono a volte tenacemente attaccati, con il risultato di ottenere due vetrini equamente distribuiti di materiale cellulare diagnostico (Fig. 2). L’esecuzione è semplice ed efficace, benché a volte, soprattutto con materiale particolarmente ricco di stroma, come quello proveniente dalle aree cardiali e antrali dello stomaco, si possano incontrare delle difficoltà nello schiacciamento uniforme del materiale. La tecnica deve essere ripetuta per almeno 15-20 siti lesionali diversi e per ulteriori 8-10 siti se si desidera ottenere materiale anche per l’esame istologico che affianchi e confermi le considerazioni citologiche. Poiché numerose patologie infiammatorie gastrointestinali hanno una distribuzione irregolare di elementi patologici nella mucosa della stessa area lesionale, è indispensabile campionare un numero elevato di siti lesionali per ottenere una certezza ragionevole che almeno in alcuni allestimenti sia presente materiale diagnostico significativo. La colorazione elettiva per i campioni così ottenuti è il May-Grünwald Giemsa, che conferisce risalto ottimale ai profili cellulari e nucleari, ai corpi batterici e parassitari ed alle architetture. 160
Figura 1 - Dopo il prelievo con pinza endoscopica, i frammenti vengono deposti per essere schiacciati tra due vetrini portaoggetto.
Figura 2 - Il risultato, dopo colorazione, è di ottenere materiale cellulare intatto e distribuito in monostrato.
CITOLOGIA NORMALE Stomaco. Il materiale cellulare è generalmente costituito da aggregati tenacemente coesivi nei quali gli elementi epiteliali manifestano arrangiamenti di tipo “honeycomb” (Fig. 3); è necessario, a causa della tridimensionalità di tali aggregati, focalizzare il materiale per osservare ora il citoplasma chiaro, eventualmente ingombrato da vacuoli secretori, ora il nucleo rotondo, di diametro regolare a cromatina finemente distribuita; i lembi epi161
teliali si connettono varibilmente con fasci di elementi fusocellulari scarsamente riconoscibili e abbondante stroma. Se il campione è stato effettuato a carico della regione fundica o pilorica è possibile osservare un quantitativo variabile di elementi cellulari ghiandolari riferibili a cellule principali di aspetto cuboidale e a nucleo ipercromatico, o a cellule parietali, di dimensioni maggiori, a citoplasma poligonale di colore eosinofilo e nucleo paracentrale. Le cellule a secrezione mucosa, particolarmente numerose nei prelievi in sede antrale o pilorica, si rendono evidenti per la presenza di globuli irregolari di secreto intensamente eosinofilo, che si distri-
Figura 3 - Lembo di mucosa gastrica normale, dove si osservano architetture “honeycomb” e a palizzata (MGG; 40X).
Figura 4 - Lembo di mucosa duodenale normale; in periferia si osservano architetture a palizzata (MGG; 40X).
162
buisce sia nel citoplasma che libero in sede extracitoplasmatica. Il fondo dell’allestimento è inoltre ingombrato da detrito basofilo, di origine sia secretoria che alimentare. In sede gastrica non è infrequente osservare rari elementi batterici e spore fungine, riferibili prevalentemente al genere Candida. Intestino tenue. È la norma reperire a piccolo ingrandimento aggregati cellulari di aspetto allungato, riferibili ai villi intestinali, delimitati da enterociti supportati da stroma e addirittura corredati dall’asse vascolare centrale. Gli enterociti sono elementi a citoplasma colonnare, la cui fragilità conferisce ai corpi cellulari un profilo indistinto; le goblet cells manifestano citoplasma chiaro, che frequentemente, a seguito della rottura cellulare per effetto delle procedure di allestimento, viene individuato come una scia rifrangente; in entrambi i tipi cellulari i nuclei sono generalmente localizzati in sede basale, di aspetto rotondeggiante e a cromatina zollata. Le cellule si organizzano in lembi tridimensionali ai cui bordi è possibile individuare frequenti architetture a palizzata (Fig. 4). Dispersi sul fondo dell’allestimento si osservano inoltre materiale detritico e microgranuli eosinofili di origine secretoria, nonché rari elementi linfoplasmocellulari; quest’ultimi possono essere focalmente molto numerosi, se è stata campionata un’area dove soggiacevano follicoli linfoidi: in questo caso i linfociti hanno prevalentemente piccole dimensioni, scarso citoplasma basofilo e nucleo ipercromatico e possono essere associate ad una quota esigua di cellule linfoidi immature. Una categoria particolare di elementi rinvenibili in sede intestinale è rappresentata dai leucociti globulari: essi sono caratterizzati da citoplasma ingombrato da granuli azzurrofili variabilmente dimensionati e da nucleo eccentrico rotondo; la convinzione che derivassero dai mastociti è controversa, poiché si tende a considerarli linfociti a fenotipo T, con funzioni immunitarie locali. Occasionalmente è possibile individuare granuli purpurei metacromatici provenienti dalla rottura dei mastociti stanziali e rarissimi granulociti eosinofili. La presenza di granulociti neutrofili in basso numero è da attribuire ad una contaminazione ematica. Intestino crasso. I prelievi provenienti da questa sede si caratterizzano per un elevato numero di batteri di foggia variabile (Fig. 6); le cellule sono simili a quelle dell’intestino tenue, manifestano citoplasma colonnare, occasionalmente vacuolizzato o ingombrato da granuli secretori e nucleo basale ed esibiscono frequenti architetture a palizzata (Fig. 5). Esse possono associarsi a quote variabili di elementi linfocitari maturi, provenienti dalla popolazione stanziale localizzata nella tonaca propria della mucosa o dai follicoli linfatici distribuiti nella sottomucosa. 163
Figura 5 - Lembo di mucosa del colon; gli enterociti sono di aspetto colonnare e disposti in palizzate (MGG; 40X).
Figura 6 - Nel colon si repertano numerose forme batteriche stanziali, in stretta adiacenza con la mucosa (MGG; 100X).
CITOLOGIA PATOLOGICA Stomaco Microorganismi. Batteri a spirale, riferibili ad elementi del genere Helicobacter o Gastrospirillum sono facilmente individuabili nei preparati citologici per la forma ondulata caratteristica, localizzati generalmente in stretta adiacenza all’epitelio di superficie o imbrigliati in tralci di materiale 164
secretorio mucoso. È indispensabile segnalarne la presenza e descriverne la quantità, benché in medicina veterinaria esista ancora incertezza sul ruolo di Helicobacter come agente causale di patologia gastrica. Parassiti. Ollulanus Trichuspis è un parassita distribuito in tutto il mondo, benché la diagnosi sia rara per effetto delle sue piccole dimensioni, della sua localizzazione e delle difficoltà oggettiva ad identificarlo nei prelievi bioptici; vive nelle cripte della mucosa e può infestare il gatto, più raramente il cane; la sua trasmissione avviene con il vomito. La forma è caratteristica poiché è dotato di un’estremità anovaginale tricuspidata. In letteratura si descrivono inoltre infestazioni da Physaloptera, da Gnathostoma e da Aonchotecha. Cellule infiammatorie. Generalmente gli elementi flogistici più rappresentati sono di tipo linfocitario e plasmocellulare, rappresentati i primi da cellule rotonde a scarso citoplasma basofilo e nucleo ipercromatico, i secondi da profili citoplasmatici ovoidali, nucleo a cromatina zollata e caratteristico alone perinuclare corrispondente all’apparato del Golgi. È possibile individuare mastociti e granulociti neutrofili nelle forme gastriche ulcerative. I mastociti, se il prelievo proviene da aree dove si verifica neoproduzione di tessuto, devono essere guardati con estremo sospetto, soprattutto se in numero elevato e con criteri nucleari di malignità, poiché rappresentano l’espressione citologica del mastocitoma gastrico primario o metastatico. Cellule neoplastiche.. Il carcinoma gastrico ha connotazioni cliniche ed endoscopiche prima ancora che citoistologiche: generalmente si presenta come un’area erosiva crateriforme ulcerata e sanguinante. Le cellule diagnostiche hanno generalmente profilo rotondeggiante e nucleo recante chiari criteri di malignità, quali dismetrie, alterazioni del profilo e macronucleoli; la variante del carcinoma gastrico a “signet-ring cells” è facilmente riconoscibile citologicamente per il macrovacuolo secretorio citoplasmatico che sospinge il nucleo in periferia (Fig. 7). Un numero elevato di elementi linfoidi immaturi, a citoplasma debolmente basofilo e grande nucleo a cromatina irregolarmente distribuita, eventualmente macronucleolato, sono i rappresentanti diagnostici del linfoma gastrico.
Intestino tenue Microorganismi. Il reperimento di batteri non ha generalmente significato diagnostico, ma piuttosto di un periodo di digiuno non opportunamente prolungato. Non è quindi corretto basarsi sulla presenza di elementi batterici per avvallare i dubbi circa una eccessiva proliferazione batterica con risvolti patologici. 165
Figura 7 - Carcinoma gastrico; alcune cellule assumono aspetto di “signet-ring cells” (MGG; 100X).
Figura 8 - Trofozoita di Giardia; notare i due nuclei con i cromocentri prominenti (MGG; 100X).
Parassiti. Di grande importanza diagnostica assume il reperimento di microorganismi protozoari del genere Giardia, caratterizzati da citoplasma largo cuoriforme, da due nuclei recanti voluminosi cromocentri e da lunghi flagelli (Fig. 8). La presenza dei trofozoiti è un importante segno distintivo in corso di patologie intestinali il cui sintomo clinico predominante è la dissenteria. Cellule infiammatorie. I granulociti neutrofili sono presenti solo raramente, in particolare quando la mucosa ha subito processi patologici che comportano necrosi od ulcerazione. 166
I granulociti eosinofili sono facilmente rinvenibili per la granulazione citoplasmatica aranciata peculiare; spesso è opportuno ricercarli anche nascosti tra le cellule epiteliali e stromali della mucosa, dove proliferano in numero variabile in corso di enteriti eosinofiliche (Fig. 10); talora di essi si rendono evidenti solo i granuli distribuiti liberi disordinatamente in sede extracitoplasmatica: in questo caso è importante distinguere i granuli aranciati da quelli intensamente eosinofili prodotti dalla degranulazione dei mastociti mucosali stanziali o dai microglobuli di materiale secretorio. Il reperto di quantitativi variabili di eosinofili è fortemente suggestivo di enterite eosinofilica, poiché questo tipo cellulare non è normalmente presente nella mucosa, se non in percentuali esigue. Grande importanza assumono le cellule linfoidi: come già precedentemente esposto, il riscontro di piccoli linfociti maturi a citoplasma basofilo e nucleo ipercromatico significa che il campionamento del materiale è stato condotto in prossimità di un follicolo linfatico sottomucosale, e, per effetto di questa casualità, generalmente è un tipo di reperto che si osserva solo su alcuni campioni provenienti dallo stesso soggetto. Al contrario la presenza di linfociti a citoplasma debolmente basofilo, di dimensioni moderatamente aumentate rispetto ai piccoli linfociti descritti, e con nucleo tendenzialmente eccentrico a cromatina pallida e finemente irregolare, indica la presenza di una flogosi enterica di tipo linfocitario (Fig. 9): frequentemente questo tipo di linfociti si associa ad una quota variabile di plasmacellule. L’osservazione di queste cellule è semplice se viene condotta in corrispondenza dei bordi cellulari epiteliali dei grandi aggregati di mucosa enterica, ma è possibile individuarle anche libere e lontane dall’epitelio. Tra le alterazioni non infiammatorie, con l’indagine citologica è possibile individuare a piccolo ingrandimento un’evidente dilatazione localizzata all’asse delle strutture villari, riferibile ad ectasia del dotto linfatico centrale; se osservata in un alto numero di villi questo reperto suggerisce una diagnosi di linfangectasia, e richiede una conferma istopatologica. Cellule neoplastiche. Le alterazioni riferibili agli enterociti sono prevalentemente di carattere neoplastico, essendo quelle di tipo degenerativo o reattivo di difficile interpretazione. Gli elementi neoplastici tendono a perdere la forma colonnare pr assumerne una più tozza e rotondeggiante, a citoplasma basofilo e nucleo dismetrico macronucleolato a cromatina irregolarmente distribuita; non infrequenti sono aspetti di architettura acinare e a palizzata (Fig. 11). L’associazione di questi elementi neoplastici con abbondante detrito e granulociti neutrofili esprime il carattere necrotizzante ed ulcerativo della lesione. Quando le cellule linfoidi abbandonano l’aspetto tipico o lievemente reattivo per assumere grandi dimensioni, citoplasmi più ampi e nuclei macro e 167
Figura 9 - Enterite linfocitaria; accanto ad enterociti reattivi si osservano numerosi linfociti a nucleo pallido (MGG; 100X).
Figura 10 - Enterite eosinofilica; numerosi granulociti eosinofili dispersi tra piccoli linfociti follicolari (MGG; 100X).
multinucleolati dismetrici a cromatina grossolana è opportuno attribuire il reperto a processi neoplastici linfomatosi (Fig. 12), assai frequenti soprattutto nella specie felina. Un linfoma del tutto peculiare è la variante a grandi granuli, o linfoma LGL: esso si caratterizza per la presenza di grossolani granuli azzurrofili citoplasmatici e grandi nuclei rotondeggianti a cromatina irregolare. Nulla si può dire in riferimento ai tumori mesenchimali, poiché come già precedentemente sottolineato, i prelievi di tipo endoscopico molto difficilmente possono raggiungere gli strati profondi della parete, dove insorgono leiomiomi e leiomiosarcomi. 168
Figura 11: carcinoma intestinale; gli elementi neoplastici maligni tendono a disporsi in palizzate (MGG; 100X).
Figura 12: linfoma intestinale; enterociti associati a numerosi elementi linfoidi atipici (MGG; 100X).
Intestino crasso Microorganismi. È praticamente impossibile eliminare da un campione citologico proveniente da questo distretto la presenza di innumerevoli forme batteriche rappresentanti le specie stanziali. Le forme variano da quella coccoide a quella bastoncellare a quella filamentosa, ma raramente è possibile con il solo esame citologico attribuire a questi reperti un significato patologico. Parassiti. L’esame citologico non è il metodo elettivo per individuare parassiti intestinali, ma siamo a conoscenza di casi in cui con l’esame era possibile indivi169
duare la presenza di uova appartenenti alla specie Trichuris. In rari casi è possibile repertare organismi del genere Prototheca dal campionamento di noduli granulomatosi della mucosa. Questo microorganismo è un alga costituita da un corpo rotondeggiante od ovalare con citoplasma basofilo e parete acromatica rifrangente Cellule infiammatorie. Le cellule infiammatorie sono rappresentate prevalentemente da elementi linfoplasmocellulari e da granulociti neutrofili, quando sussiste erosione della mucosa. Nelle forme di colite la biopsia per esame citologico è di conforto diagnostico ad una corretta anamnesi e ad un esame endoscopico completo, benché non esistano caratteri citologici significativi, con l’eccezione di aspetti reattivi dell’epitelio, intesi come iperbasofilia citoplasmatica e coartazione cromatinica, e proliferazione flogistica aspecifica. Sono conosciute forme enteriche nelle quali la linea cellulare guida è rappresentata dall’istiocita: la colite istiocitaria ulcerativa idiopatica colpisce soprattutto i soggetti di razza Boxer, benché sia stata recentemente descritta in altre razze e si caratterizza, oltre che per gli aspetti erosivi a carico della mucosa, espressi come sempre da un massiccio intervento granulocitario neutrofilico, anche per la presenza di numerosi elementi istiocitari peculiari. Cellule neoplastiche. La forma neoplastica più comunemente rappresentata in questa sede è il polipo colon-rettale la cui superficie è estesamente delimitata da elementi epiteliali del tutto simili a quelli normali: l’esame citologico in questi casi si caratterizza per la presenza di ampi lembi di elementi colonnari con citoplasma basale, organizzati frequentemente in architetture a palizzata, ed associati ad abbondante compartecipazione batterica e ad elementi flogistici di tipo prevalentemente linfoplasmocellulare. Elementi epiteliali atipici, recanti evidenti criteri di malignità citoplasmatica e nucleare, quali iperbasofilia, dismetrie marcate, cromatina coartata e macronucleoli, individuano invece i reperti citologici delle forme adenocarcinomatose, delle quali l’aspetto più significativo è il mantenimento di architetture a palizzata ed acinari. Si ricorda che in questa sede non è infrequente l’insorgenza del plasmocitoma extramedullare e che il riscontro citologico di numerose plasmacellule neoplastiche impone una diagnosi differenziale con una grave forma infiammatoria di tipo linfoplasmocellulare.
CONCLUSIONI L’efficacia dell’esame citologico eseguito su campioni bioptici della mucosa insegue da vicino i risultati che si ottengono dai preparati istologici. La casistica tuttavia e la diffusione ancora limitate di questo metodo necessitano di ulteriore ampliamento e di studi comparativi per poterne affermare l’assoluta importanza in campo clinico-patologico. 170
Letture consigliate Andreasen C.B., Jergens A.E., Meyer D.J. Oral Cavity, Gastrointestinal Tract and Associated Structures in Atlas of Canine and Feline Cytology. 2001 W.B.Saunders Co. pp: 207-229. W.G.Guilford, S.A.Center, D.R.Strombeck, D.A Williams, D.J.Meyer. Strombeck’s Small Animal Gastroenterology; third Edition, 1996 W.B.Saunders. M.Takeda. Atlas Of Diagnostic Gastrointestinal Cytology; 1983 Igaku-Shoin. R.M.DeMay. The Art And Science Of Cytopathology: The Gastrointestinal Tract; 1996 ASCP. A.E.Jergens, C.B.Andreasen, W.A.Hagemoser, J.Ridgway, K.L.Campbell. Cytologic examination of exfoliative specimens obtained during endoscopy for diagnosis of gastrointestinal tract disease in dogs and cats; JAVMA, Vol. 213, n° 12, December 15, 1998; 17551759.
171
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
Stefano Romussi Med Vet, Prof Ass Università di Milano
Reperti endoscopici normali e patologici dell’apparato respiratorio superiore (cavità nasali, seni frontali, laringo-faringe) ed inferiore (trachea, bronchi, polmone, spazio pleurico) Venerdì, 25 ottobre 2002, ore 11.30
173
Riassunto L’indagine endoscopica delle vie respiratorie (cavità nasali, laringe, trachea e bronchi) rappresenta sicuramente un’indagine ad elevata sensibilità diagnostica. Presupposto fondamentale al suo corretto impiego è la conoscenza anatomica endoscopica delle strutture da esaminare, la corretta applicazione dei protocolli diagnostici previsti per le singole patologie sospettate nonché l’esecuzione di un’indagine tecnicamente ineccepibile e corredata da tutte quelle pratiche ancillari che incrementano il suo valore diagnostico. La corretta e completa conoscenza da parte dell’operatore dei protocolli anestesiologici più adatti al singolo paziente e la corretta valutazione preventiva di quest’ultimo, consente in massima parte di prevenire inutili e deprecabili incidenti nel corso dell’indagine. La possibilità di eseguire celermente e con competenza anche l’analìsi dei prelievi, soprattutto per quanto attiene alla broncoscopia, rende di fatto questa indagine alla portata anche del clinico che si occupi nella pratica della malattie respiratorie dei piccoli animali.
ENDOSCOPIA DELLE VIE RESPIRATORIE A- Concetti generali L’indagine endoscopica delle vie respiratorie appartiene, al pari della radiologia, alla categoria di esami strumentali che vengono comunemente accorpati dalla definizione ‘Diagnostica per immagini”. Una analisi attenta di questa definizione non ci pare fuori luogo poiché ci impone di riflettere sulla correlazione diretta esistente tra l’immagine che si ottiene e la possibilità di esprimere un parere diagnostico nei confronti di una determinata patologia. t indubbio quindi che la sensibilità diagnostica della metodica sia direttamente correlabile alla qualità dell’immagine ottenuta e quest’ultima dipenda in massima parte da due fattori ovvero il tipo di strumento e la tecnica impiegati. Prima di addentrarci nella valutazione dei differenti distretti esplorabili sarà utile sottolineare un ulteriore elemento, poiché prima dell’esecuzione di qualsiasi indagine diverrà fondamentale focalizzare quale sia l’oggetto della nostra osservazione e conseguentemente quale sia il modo migliore per osservarlo. Non bisognerà in ultimo scordare tutti i possibili vizi, legati sia alla tecnica che allo strumento, che possono in qualche modo alterare l’immagine che percepiamo e allo stesso modo influenzare la sensibilità diagnostica della metodica. 174
Non va da ultimo dimenticato il concetto di immagine normale e di immagine patologica. Il riconoscimento dell’una e dell’altra dipende in massima parte dall’esperienza dell’operatore e dalla scrupolosità dell’indagine, ma è sicuramente correlata anche alla conoscenza approfondita di quella che si definisce “anatomia endoscopica normale” del distretto anatomico oggetto della esplorazione.
B- Rinoscopia L’esame endoscopico delle cavità nasali, tanto del cane che del gatto, può oggi essere considerato pressoché routinario nella corretta gestione del protocollo clinico diagnostico delle patologie delle prime vie respiratorie. L’indagine rinoscopica non è infatti più legata alla disponibilità di strutture specializzato, ma, grazie all’impiego di strumenti relativamente semplici e seguendo un protocollo rigoroso, può essere di sicuro ausilio anche per il veterinario che si occupa nella pratica della clinica degli animali da compagnia. Anche l’endoscopia delle cavità nasali svolge, al pari di quanto avviene in altri organi ed apparati, un ruolo sia diagnostico che terapeutico ed in questa sede prenderemo in rassegna brevemente entrambi gli aspetti tanto nel cane quanto nel gatto. La rinoscopia, in condizioni normali, è fortemente condizionata dalla anatomia stessa delle cavità nasali e, come sempre, la corretta conoscenza da parte dell’operatore dell’anatomia endoscopica endonasale normale consente di evidenziare tutte le deviazioni dalla norma che costituiscono l’insieme delle categorie diagnostiche. Ci permettiamo di ricordare ancora che il rigore metodologico di approccio al paziente suggerisce, salvo in rarissime eccezioni, di inserire l’indagine endoscopica dopo l’indagine radiografica che è generalmente in grado di orientare il sospetto diagnostico.
Indicazioni Le indicazioni all’esecuzione della rinoscopia sono rappresentate dalla presenza di scolo nasale mono o bilaterale, dalla comparsa di epistassi mono o bilaterale, dalla presenza di rumori respiratori caratteristici quale il “reverse sneezing”, nonché dalla comparsa improvvisa di starnuti ad accessi in assenza di altri segni, indicazione suggestiva della probabile presenta di un corpo estraneo all’interno delle cavità nasali stesse. Un’ulteriore interessante indicazione dell’endoscopia è rappresentata dalla somministrazione topica di farmaci per il trattamento delle riniti micotiche. 175
Strumentario In questa sede ci limitiamo a considerare l’impiego nel cane tanto di un endoscopio rigido che di un fibrobroncoscopio, mentre nel gatto essenzialmente del solo strumento rigido. 1 vantaggi e gli svantaggi dell’impiego della strumentazione rigida o flessibile hanno animato per anni il dibattito tra le differenti scuole. Oggi crediamo di poter affermare che la scelta sia fondamentalmente dettata, per quanto riguarda il cane, essenzialmente dalla disponibilità di uno o dell’altro apparato. Assai raramente, infatti, è necessario ricorrere ad una indagine di tipo combinato utilizzando entrambi gli strumenti. Costituiscono corredo indispensabile tutti gli strumenti ancillari atti al prelievo tanto citologico che bioptico tissutale. Gli strumenti da biopsia potranno essere utilizzati, soprattutto nel gatto, coassialmente rispetto allo strumento esplorante. Di estrema utilità, soprattutto se si impiegano strumenti rigidi privi di canale operativo, disporre di un set di cateteri in teflon morbido per aspirazione bronchiale di lunghezze e calibri differenti facilmente raccordabili a qualsiasi sistema di aspirazione, nonché ad una siringa di adeguate dimensioni per eseguire i frequenti lavaggi necessari alla conduzione ottimale dell’esame.
Tecnica - cane L’indagine, con accesso rostrale, viene normalmente condotta con il paziente in anestesia generale preferibilmente gassosa e comunque sempre con tubo oro-tracheale posizionato, in decubito sternale con la testa estesa e mantenuta solleva da appositi sostegni. È tassativo procedere allo zaffamento accurato della cavità faringea onde prevenire accidentali inspirazioni di materiale patologico proveniente dal rino-faringe o del liquido impiegato per le manovre di lavaggio. E sempre preferibile iniziare l’indagine dalla cavità ritenuta non patologica per estendere successivamente l’esame alla controlaterale. Qualunque sia lo strumento impiegato esso deve necessariamente essere introdotto con la massima delicatezza sopravanzando lentamente la piega alare accedendo al meato comune. Il riconoscimento anatomico delle strutture esaminate è basilare, pertanto si dovranno attuare tutte le manovre (lavaggi e aspirazioni) atte a garantire la visione normale. Bisogna rammentare che anche in condizioni di normalità la mucosa delle cavità nasali, tanto nel cane che nel gatto, risulta fragile e manovre maldestre possono esitare in copiose emorragie. Qualora ciò avvenisse è necessario compiere cospicue irrigazioni con soluzione fisiologica eventualmente refrigerata e non riprendere l’indagine sino a che il qua176
dro endoscopico non sia tornato alla normalità. Il protocollo di ispezione endoscopica delle cavità nasali è dettato dalla loro stessa anatomia e numerosi punti di repere anatomici possono essere impiegati per un orientamento topografico. Superata la piega alare riconosciamo facilmente il meato comune, ampio e limitato medialmente dal setto. La sua estensione varia a seconda della morfologia dell’animale esaminato ed è sensibilmente più breve nel gatto rispetto al cane. Procedendo in direzione aborale è possibile riconoscere il meato dorsale, caratteristicamente breve e terminante a fondo cieco, quello medio, in cui appaiono le caratteristiche volute dei turbinati mascellari ed etmoidali, ed infine quello ventrale essenzialmente rettilineo e diretto ventro caudalmente per dare adito alle coane L’ispezione deve in ogni caso essere meticolosa e coinvolgere ciascuno dei settori ricordati anche se, da un punto di vista clinico, spesso il meato medio è sede di importanti processi patologici. La mucosa delle cavità nasali presenta l’aspetto tipico della mucosa respiratoria ed appare lucida, rosea, fortemente adesa ai piani sottomucosali. La trama vascolare sottomucosa è solitamente ben evidenziabile soprattutto nel meato comune e a carico della lamina settale. Le modificazioni che si presentano alla osservazione in corso di rinoscopia anterograda variano da modeste alterazioni della trama vascolare dei turbinati, suggestive di lieve rinite essudativa, alla presenza di tessuto neoformato, spesso friabile, facilmente sanguinante, suggestivo di patologia occupante spazio segnatamente di origine neoplastica, estendendosi spesso ben oltre i limiti di un solo meato ed impedendo di fatto la progressione aborale dello strumento. Il riscontro più caratteristico in corso di rinite micotica è invece la comparsa di una vera e propria atrofia, se non addirittura una coartazione dei turbinati, ad opera dell’essudato che origina dal sito di infezione che presenta spiccate caratteristiche epitelio-necrotiche. Tale processo, che in pratica sovverte la normale anatomia delle cavità nasali, consente in ogni caso un agio maggiore nella conduzione dell’esame tanto che, in taluni casi, con un po’ di esperienza e se dotati di strumentazione flessibile, è possibile accedere anche al seno frontale. Una indagine comunque meticolosa consente di evidenziare quasi nella totalità dei casi, le caratteristiche colonie fungine dall’aspetto vellutato, grigio verdastro circondate spesso da estesi aloni necrotici che si estendono spesso per ampi tratti nel meati. Questo reperto, nelle forme più gravi, è spesso accompagnato dalla caratteristica perforazione del setto nasale che costituisce reperto di quasi esclusivo carattere endoscopico. Possono essere presenti anche aree reattive mucosali sotto forma di strutture simil polipoidi accompagnate dalla presenza di essudato catarrale purulento. presente in, varia misura. 177
In caso della sospetta presenza di un corpo estraneo, poiché in genere non sussistono alterazioni anatomiche endonasali, l’indagìne deve essere assolutamente meticolosa e la più delicata possibile per consentire l’identificazione del C.E. che spesso è possibile, soprattutto in caso dì C.E. vegetali, per la protrusione dalle porzioni più aboralì dei meati della sola barbula terminale. All’ìndagine per via anterograda rostrale può fare seguìto, qualora sussista un fondato sospetto diagnostico, anche un’indagine per via retrograda transorale che consenta l’ispezione completa delle coane. Non è superfluo ricordare che tale indagine è possibile solo con l’impiego di uno strumento dì tipo flessibile.
Tecnica - gatto I limiti della rinoscopia anterograda del gatto sono rappresentati dall’ingombro totale dello strumento esplorante e delle sonde necessarie alle manovre di lavaggio e aspirazione che vengono introdotte coassialmente a questo. È oltremodo difficoltoso in questa specie animale garantire l’ispezione completa delle cavità e deve essere assunto che patologie localizzate nei settori più, aborali possono sfuggire all’esame endoscopico. Nel gatto l’impiego di uno strumento rigido di diametro fino a 2,7 mm garantìsce l’ottenimento di ottimi risultati. L’ingadine anche nel gatto, viene eseguita in anestesia generale che, per le stìmolazioni indotte dall’indagine, spesso deve raggiungere un piano di profondità decisamente chirurgica il che comporta una monitorizzazione scrupolosa e continua durante tutto il periodo dell’esame e del risveglio. Il paziente deve in ogni caso essere intubato e il faringe deve essere zaffato con estrema cura. Prima dell’inizio dell’indagine può risultare vantaggìoso provvedere alla collezione di campionì per indagini microbiologiche da entrambe le cavità con apposito tampone ed “alla cieca avendo cura di attuare una accuratissima detersione con suluzione fisiologica sterile del rinarium. Per una manovra agevole il clinico, dopo essersi assicurato del posizionamento corretto e della fissazione del tubo oro-tracheale, può mantenere la testa dell’ammale sollevata in modo da facilitare tanto l’introduzione che il direzionamento dello strumento. Le manovre di introduzione e avanzamento devono essere necessariamente eseguite con delicatezza estrema onde prevenire lesioni iatrogene anche gravi. Come nel cane, in caso di emorragia iatrogena, è prudente sospendere l’indagine e procedere a copiose irrigazìoni della cavità rammentando che il ricorso a presidi farmacologici emostatici topici o sistemici non è necessario se non aleatorio. La mucosa nasale normale appare rosea liscia e più brillante rispetto a quella del cane, normalmente è presente una lievisssima secrezione sierosa 178
disposta a velo sulle Strutture dei turbinati e, attraversato il corto meato comune possono essere riconosciuti con facilità gli aditi agli altri meati che in condizioni di normalità risultano completamente pervi. 1 rilievi patologici sono stati per semplicità schematizzati nel modo seguente: - alterazione morfologica strutturale e cromatica della mucosa con presenza di iperemia, discromia, edema, iperplasia, evidenza di follicoli linfatici iperplastici, atrofia o ipertrofia dei turbinati. - presenza, quantità e tipo di essudato con riferimento alla facilità della sua rimozione indice della adesione mucosale. - presenza di emorragia spontanea o facilità alla emorragia iatrogena - presenza ed aspetto delle neoformazioni occupanti spazio - presenza di lesioni di tipo micotico - presenza di corpi estranei o di parassiti - soluzioni di continuo del setto nasale.
C- Laringoscopia La laringoscopia si dimostra l’esame strumentale di elezione in caso di patologia laringea sospetta. I’ osservazione diretta del laringe è ovviamente limitata alla porzione anatomica dell’organo che costituisce nel complesso il suo adito faringeo. Da ciò si evince con facilità che l’indagine laringoscopica debba necessariamente essere inserita nell’ambito di un iter diagnostico più complesso che veda la laringoscopia come un esame strumentale da utilizzare solo dopo un corretto iter semeiologico e comunque in associazione ad altre indagini strumentali quali ad esempio la radiologia. L’esecuzione dell’esame, e conseguentemente il suo valore diagnostico, sono senza dubbio correlati sia alla strumentazione impiegata, sia alla gestione complessiva del paziente che deve necessariamente comprendere l’adozione del protocollo anestesiologico più consono all’animale ed al tipo di indagine condotta. Esistono ovviamente importanti differenze legate alla specie animale in cui l’esame viene condotto oltre che per le tecniche impiegate soprattutto per quanto attiene all’anatomia dell’organo. In questa breve trattazione verranno riportati riferimenti specifici al cane a al gatto ogniquaIvolta ciò sia necessario. E ancora di estrema importanza sottolineare come la conoscenza acquisita nell’osservazione puntigliosa dell’anatomia endoscopica laringea normale risulti essere essenziale nella possibile valutazione di eventuali anomalie tanto morfologiche che funzionali dell’organo. 179
Indicazioni Le indicazioni all’esecuzione dell’esame laringoscopico comprendono il sospetto diagnostico della presenza di una ostruzione delle prime vie respiratorie, dell’evidenza di patologie occupanti spazio clinicamente o radiologicamente accertate, nonché di alterazioni della vocalizzazione.
Strumentario Anche se in linea teorica è possibile un’ispezione diretta delle strutture laringee con la semplice apertura del cavo orale del soggetto, l’esame laringoscopico va sempre considerato di tipo strumentale. Gli strumenti utilizzati (laringoscopi) possono essere classificati in base alle loro caratteristiche. Il laringoscopio a lama rigida, retta o curva, provvisto o meno di sorgente luminosa propria è sicuramente lo strumento più semplice a disposizione del clinico. Esso, se usato correttamente, può essere, in rapporto alla taglia del soggetto esaminato, di valido ausilio nella conduzione dell’esame laringoscopico. La possibilità di osservazione delle strutture laringee si accresce naturalmente con l’impiego di strumenti più complessi dotati di sistemi di lenti quali gli endoscopi rigidi, che per questo tipo di indagine si dimostrano più duttili, e i normali fibroscopi. È naturalmente fondamentale valutare, prima dell’esecuzione dell’indagine endoscopica, il rapporto esistente tra il diametro dello strumento impiegato e la taglia del soggetto al fine di poter prevedere eventuali limiti tecnici nell’esecuzione dell’esame stesso. Costituiscono dotazioni sussidiarie rispetto al laringoscopio gli strumenti necessari alla esecuzione di prelievi cito istologici, batteriologici, oltre che, in rapporto alle caratteristiche dello strumento impiegato, il materiale necessario per aspirazione e per effettuare eventuali lavaggi.
Tecnica Il soggetto da esaminare viene posto in decubito sternale con testa moderatamente estesa sul collo e sollevata dal piano del tavolo avendo cura di posizionare un eventuale sostegno, sempre comunque morbido, in modo tale da evitare possibili compressioni latrogene sia delle strutture faringee che di quelle laringee proprie che potrebbero condizionare l’anatomia endoscopica normale dell’organo esplorato. 180
Di importanza fondamentale è il rispetto scrupoloso della simmetria di posizionamento del capo soprattutto per quanto attiene lo studio delle patologie funzionali. Per lo stesso motivo l’operatore, in corso di esecuzione dell’esame, dovrà prestare la massima attenzione a non esercitare alcuna compressione digitale sulle strutture laringee qualora si rendesse necessario sollevare il capo per le manovre di direzionamento dello strumento. L’indagine laringoscopica deve sempre essere effettuata a laringe libero, ovvero senza la presenza di tubo orotracheale. Stabilizzato il paziente e raggiunto il piano di anestesia adatto alla conduzione dell’esame laringoscopico, è necessario aprire il cavo orale, esteriorizzare la lingua, in modo da condizionare l’abbassamento dell’epiglottide. L’esame inizia sospingendo lo strumento in maniera rettilinea in direzione aborale attraverso il cavo faringeo in direzione della trachea, in caso sia necessario lo strumento stesso provvederà a completare l’abbassamento della epiglottide consentendo la visione completa della rima glottidea.
1 - Quadro laringoscopico normale Attraversato il faringe, abbassata l’epiglottide, inizia la visualizzazione del settore rostrale della cavità laringea. La morfologia dell’organo è caratterizzata dalla presenza ventralmente della cartilagine epiglottide, e lateralmente, a destra e a sinistra, dalle due cartilagini aritenoidi che nel loro insieme, delimitano l’adito della glottite. È estremamente importante, da un punto di vista endoscopico, familiarizzare con determinati reperi anatomici che sono rappresentati dal processo comiculato delle cartilagini aritenoldi, posto in posizione più dorsal e, dal processo cuneiforme delle medesime cartilagini, posto in posizione mediana, dalle corde vocali che si presentano all’esame endoscopico come due formazioni pari e simmetriche tese tra il processo vocale della cartilagine arìtenoide e il pavimento del laringe stesso, nonché dai ventricoli laringei laterali che normalmente si presentano come due cavità rivestite da mucosa normale con adito a morfologia lievemente ellissoidale pari e simmetriche poste a lato delle corde vocali. La mucosa presenta l’aspetto tipico della mucosa delle vie respiratorie, si mostra lucida, di colore rosa intenso con aree ipocromiche in prossimità dei processi cuneiforme e comiculato, si mostra fermamente adesa ai piani sottomucosali che riveste ad eccezione che nell’arca dei ventricoli laringel laterali. La trama vascolare sottomucosale appare ben evidente soprattutto nella regione dell’epigloffide. Ogni deviazione da questo aspetto, tanto per quanto attiene alla localizzazione morfologica dei punti di repere testè descritti, quanto per la comparsa 181
di variazioni dell’aspetto della mucosa, debbono essere necessariamente registrate e costituire le categorie diagnostìche per le patologie di origine morfologica ovvero funzionale del laringe.
2 - Valutazione di anomalie morfologiche L’osservazione della mucosa laringea può, in alcuni casi, non essere immediatamente agevole per la presenza sulla sua superficie di materiale estraneo come saliva ed essudati oppure di muco particolarmente denso. Prima di procedere alla rimozione di tale materiale è opportuno valutarne l’aspetto, il colore, la densità ed eventualmente impiegarlo nell’allestimento di un esame citologico. La fase di rimozione deve essere effettuata con cura privilegiando le manovre di aspirazione ed utilizzando il lavaggio oculatamente, non tanto in ambito farìngeo, quanto nel lume del laringe per evitare problemi connessi con l’eventuale inspirazione di liquidi da parte del soggetto. La valutazione della mucosa prosegue con l’osservazione del suo grado di riflettenza, del grado di vascolarìzzazione e dello stato dei piccoli vasi ben visibili soprattutto sui due versanti della cartilagine epiglottide. Saranno annotate eventuali perdite di sostanza sotto forma di erosioni od ulcere oppure altre anomalie morfologiche singole o multiple, e nel caso di patologie occupanti spazio è fondamentale distinguere neoformazioni di origine endolaringea da processi patologici extralaringei. Indispensabile in caso di neoformazione è eseguire un prelievo bioptico multiplo e mirato sia mediante spazzolamento (brushing) che mediante pinza da biopsia tissutale. t sempre consigliabile, qualora non sussistano difficoltà di ordine anatomico, estendere l’esame endoscopico anche ai tratti più distali dell’albero respiratorio.
3 - Valutazione dei disturbi funzionali Essa può essere eseguita retraendo leggermente il fibroscopio rispetto all’adito laringeo craniale avendo cura che l’estremità distale dello strumento non entri accidentalmente in contatto con le pareti del faringe. Di importanza basilare è la corretta valutazione del piano anestesiologico del paziente da parte dell’operatore poiché lo stadio chirurgico dell’anestesia interferisce, sino all’inibizìone completa, con la normale meccanica dei movimenti del laringe. È opportuno, specie nei soggetti di piccola taglia, operare una delicata trazione della base della lingua che in tal modo determina un abbassamento della 182
base dell’epiglottide mimando il più possibile lo stato fisiologico dell’organo. Devono necessariamente essere identificati i movimenti di adduzione ed abduzione delle cartilagini aritenoidi ed osservati eventuali asincronismi nonché variazioni nella localizzazione di tali strutture nel susseguirsi degli atti respiratori. È importante rammentare che durante la paralisi le corde vocali, in conseguenza del cambio di pressione, tenderanno lievemente ad addursi durante la inspirazione cosicché, ritornando in posizione al termine della fase inspiratoria possono mimare una falsa abduzione. La paralisi delle cartilagini aritenoidi rappresenta una patologia descritta con frequenza maggiore nella specie canina e può presentarsi tanto in forma monolaterale (più frequentemente a sinistra) che (soprattutto nel soggetto anziano) in forma bilaterale. Qualora in corso di indagine laringoscopica permanga un dubbio diagnostico, potrà essere di ausilio una lieve stimolazione indiretta delle catilagini aritenoidi ottenibile insufflando aria oppure utilizzando per lo stesso scopo piccole quantità di acqua opportunamente nebulizzata a livello della glottide.
D- Tracheobroncoscopia Anche se da un punto di vista prettamente didattico l’esame endoscopico dei settori più distali dell’albero respiratorio può essere differenziato in tracheo e broncoscopia, tale differenziazione, da un punto di vista clinico, risulta in qualche modo superflua, poiché, tranne in rari casi che verranno chiariti di volta in volta, l’indagine si estende sempre anche ai tratti più aborali L’esame del tratto tracheo-bronchiale richiede, rispetto al laringe, una strumentazione più specifica, nonché l’acquisizione di una esperienza tecnica maggiore. L’importanza della gestione del protocollo anestesiologico diviene basilare e parte integrante dell’esame stesso non tanto per la sua corretta esecuzione quanto per la vita stessa del paziente. E quindi ovvio che la valutazione del paziente prima della scelta di ricorrere all’esame broncoscopico deve essere estremamente accurata e deve sempre essere volta ad evidenziare gli eventuali fattori di incremento del rischio all’esecuzione dell’esame stesso che sono riportati in tabella l. Bisogna sottolineare che anche le tecniche diagnostiche e terapeutiche ancillari alla tracheo-broncoscopia presentano un grado di specializzazione più elevato di quanto precedentemente proposto per l’indagine del laringe. Proprio per questo motivo faremo riferimento specifico alla tecnica di lavaggio bronco-alveolare che rappresenta la manualità diagnostica di più frequente utilizzo tanto nel cane che nel gatto. 183
Tabella 1 FATTORI DI RISCHIO IN CORSO DI BRONCOSCOPIA l- Patologie cardiache accertate o sospette 2- Presenza di ostruzioni dell’albero tracheobronchiale (intrinseche od estrinseche) 3- Insufficienza respiratoria consclamata (alterazioni del ritmo e della frequenza) 4- Presenza di alterazioni metaboliche gravi (acidosi, alcalosi UREMIA) 5- Disordini della coagulazione
Tabella 2 INDICAZIONI ALL’IMPIEGO DELLA TRACHEOBRONCOSCOPIA (P. Roudebush- and American Thoracic Society) Impiego diagnostico - Valutare la presenza di lesioni polmonari di natura sconosciuta identificate radiologicamente - Valutare la pervietà delle vie aeree Indagare sulle cause di improvvise emottisi - Verificare la presenza di lacerazioni tracheali o bronchiali post-traumatiche - Verificare la presenza di fistole esofago-tracheali o broncoesofagee o la presenza di torsioni di lobi polmonari - Eseguire spazzolati bronchiali, biopsie tissutali o lavaggi bronco alveolari
Impiego terapeutico - Rimozione di corpi estranei - Aspirazione di essudati o di sangue - Rimozione di tappi mucosi
184
Indicazioni L’indagine tracheo-broncoscopica deve, al pari delle altre indagini strumentali, essere inserita correttamente nel protocollo diagnostico delle patologie respiratorie affinché la sua potenzialità diagnostica possa essere sfruttata in misura massima. Anche se esiste una precisa codificazione dei potenziali impieghi della tracheo-broncoscopia tanto nel cane che nel gatto (tabella 2) è ampiamente dimostrato che anche l’esperienza personale dell’endoscopista riveste un ruolo di primaria importanza nell’accrescere la sensibilità diagnostica dell’esame e di tutte le tecniche ancillari ad esso correlate. La tracheobroncoscopia trova indicazione in tutti i casi in cui sia necessario accertare le condizioni della mucosa delle vie respiratorie, nonché verificare la pervietà delle stesse. Durante l’esecuzione dell’indagine è ancora possibile la rimozione diretta di corpi estranei, l’aspirazione di essudati o di sangue nonché intervenire su veri e propri tappii mucosi non altrimenti rimuovibili.
Strumentario Per ciò che attiene allo strumentario rimandiamo a quanto specificato nell’apposita sezione “Guida all’acquisto e all’uso dell’endoscopio”. In questa sede ci limitiamo a ribadire la possibilità dell’impiego dell’endoscopio rigido fondamentalmente per il tratto tracheale o dei bronchi principali del cane e del gatto, mentre l’impiego del fibrobroncoscopio consente l’esecuzione di un esame più completo dei settori più aborali. Indipendentemente dal protocollo anestesiologico che si desidera impiegare risulta di estrema importanza poter disporre di un set di cateteri di teflon di diametro e di lunghezze variabili raccordabili ai normali circuiti anestesiologici ed atti alla esecuzione della cateterizzazione monobronchiale selettiva per poter garantire, come vedremo, al paziente la corretta supplementazione di ossigeno in corso di esame broncoscopico. Fanno parte dello strumentario tutti quei dispositivi atti alla esecuzione delle procedure di raccolta dei prelievi nonché alla rimozione dei corpi estranei, oltre che gli appositi cateteri sterili per mettere in atto il lavaggio bronco-alveolare. A questo proposito ricordiamo in questa sede la necessità di poter disporre di idonei contenitori sia sterili semplici che sterili contenenti EDTA atti alla raccolta dei campioni prima della loro processazione. 185
Tecnica - cane Il paziente deve essere esaminato in anestesia generale, posizionato in decubito sternale con testa estesa sul collo soprattutto se si impiegano strumenti di tipo rigido. In soggetti di piccola taglia, sempre qualora si impieghi l’endoscopio rigido, potrebbe essere di ausilio il decubito dorsale in quanto in grado di garantire una maggiore linearità della trachea stessa. Necessario fin d’ora sottolineare che la corretta esecuzione di un esame tracheo-broncoscopico è la conseguenza diretta di una anestesia condotta in modo ineccepibile. Esistono differenti possibilità in grado di garantire al paziente, indipendentemente dal protocollo anestesiologico impiegato, una corretta e sufficiente ossigenazione. Esse sono in relazione diretta alla taglia del soggetto esaminato e al calibro dello strumento di cui si dispone. In pazienti di grossa mole e nel caso necessiti preferenzialmente un esame broncoscopico, può essere utile inserire il broncoscopio direttamente all’interno del tubo oro-tracheale. Alcuni autori preferiscono veicolare l’ossigeno, od eventualmente la miscela anestetica, direttamente attraverso il canale di servizio del broncoscopio, altri suggeriscono di intervallare l’esecuzione dell’esame a periodi di stabilizzazione del paziente ottenuti con intubazione orotracheale tradizionale. A nostro parere risulta invece estremamente profiquo l’impiego della cateterizzazione monobronchiale selettiva. Tale pratica consta nell’inserimento sotto guida endoscopica diretta di un catetere di teflon per aspirazione bronchiale in uno dei due bronchi principali per consentire un esame completo ed esaustivo dell’albero bronchiale controlaterale rispetto al sito di cateterizzazione. La scelta del diametro del catetere deve essere ovviamente compiuta in base al rapporto esistente tra il calibro dell’endoscopio impiegato e le dimensioni del laringe del soggetto. È necessario disporre sempre di una ventilazione assistita le cui modalità di esecuzione varieranno a seconda che sia stato scelto un protocollo di anestesia parenterale, e quindi il catetere sia necessario per veicolare solo ossigeno, oppure, attraverso il catetere, venga veicolata anche la miscela anestetica. Prima di procedere all’esame è necessario accertarsi della corretta sterilizzazione del canale operativo dello strumento e, quale ulteriore manovra, può risultare vantaggioso procedere ad un lavaggio a pressione positiva del canale medesimo mediante soluzione fisiologica sterile. L’esame inizia varcando la soglia tracheale del larinLe e si basa sulla scrupolosa osservazione di una serie di elementi che debbono necessariamente essere sempre osservati, preferibilmente annotati, e che nell’insieme costituiscono le categorie diagnostiche di base della tracheo-broncoscopia e che per completezza riportiamo in tabella 3. 186
Tabella 3 CATEGORIE DIAGNOSTICHE IN CORSO DI ESAME TRACHEOBRONCOSCOPICO - Presenza di alterazioni di calibro e dimensione dell’albero tracheo-bronchiale - Presenza di flogosi locale o diffusa - Presenza e localizzazione di alterazioni superficiali della mucosa - Presenza focale o diffusa e caratteristica degli essudati - Presenza di emorragie in atto - Presenza di corpi estranei - Presenza di patologie occupanti spazio intra ed extra luminali - Risposta della mucosa alla esecuzione dello spazzolamento
Di fondamentale importanza, ancor più rispetto al laringe, è la conoscenza da parte dell’endoscopista della anatomia endoscopica del tratto respiratorio in primo luogo per la corretta localizzazione della eventuale lesione, ed in seconda istanza per il riconoscimento di deviazioni dalla norma anche minime, ma spesso di importanza diagnostica fondamentale. Per questa ragione al termine di questa rassegna sarà dedicato spazio, in forma di appendice, sui concetti basilari di anatomia endoscopica normale dell’albero tracheoronchiale. Il riconoscimento dei reperti endoscopici di normalità si basa sul repertamento del normale aspetto della mucosa della trachea e dei bronchi. Essa appare di colorito rosa carico, lucida, con evidenza di una sottile trama di capillari sottomucosali. Essi, più evidenti nel terzo prossimale dell’organo, costituiscono un elemento caratteristico insieme agli anelli tracheali la cui morfologia appare ben evidente durante tutto il decorso dell’organo. La membrana tracheale dorsale ed il muscolo tracheale possono presentare variazioni morfologiche a seconda della morfologia del soggetto esaminato, ma in ogni caso si presentano tesi dorsalmente tra gli anelli tracheali e presentano una caratteristica ripartizione nei due bronchi principali non appena oltrepassata la carena tracheale. Ogni variazione rispetto a quanto descritto deve essere ricondotta alle categorie diagnostiche che abbiamo prima specificato. 187
Tecnica - gatto La tecnica di esecuzione dell’esame nel gatto non differisce sostanzialmente per quanto attiene ai principi informatori rispetto a quanto descritto per la specie canina, tuttavia importanti differenze debbono essere sottolineate per ciò che concerne la conduzione dell’esame stesso. Lo strumentarlo che può essere impiegato, sia esso rigido o flessibile, innanzi tutto, deve essere di calibro limitato poiché, soprattutto nel gatto, è buona norma non impegnare totalmente il lume laringeo, che, più facilmente rispetto al cane può andare incontro a fenomeni di spasmo. Proprio per questo motivo può essere utile nebulizzare con attenzione, a livello laringeo, un anestetico locale. Solitamente, nel gatto, l’endoscopio ridido è sufficiente all’esame della trachea e dell’adito ai bronchi principali; ciò può risultare sufficiente a guidare l’introduzione bronchiale di un catetere sterile per il lavaggio bronco alveolare. La monitorizzazione del paziente deve essere accuratissima e l’ossigenazione deve essere in ogni modo assicurata tanto che è sempre preferibile utilizzare uno strumento esplorante di calibro inferiore rispetto a quanto concesso dalle dimensioni del laringe per consentire comunque l’introduzione di un catetere sussidiario per l’ossigenazione, o quantomeno uno spazio sufficientemente ampio per la normale meccanica respiratoria. La scelta del protocollo anestesiologico è a discrezione del singolo autore, anche se nel gatto può essere di aiuto l’impiego di un cosiddetto protocollo misto inalatorio - parenterale. Le manovre che possono essere eseguite sono le stesse viste per il cane anche se, in considerazione delle limitazioni anatomiche, possono essere messe in atto con qualche difficoltà maggiore. (Vedi appendice sul lavaggio bronco-alveolare).
APPENDICE 1 ANATOMIA ENDOSCOPICA BRONCHIALE DEL CANE L’albero bronchiale del cane, a differenza di quello dell’uomo che ha una struttura di tipo simpodiale, presenta un tipo di ramificazione prevalentemente monopodiale: ogni bronco dà origìne infatti a uno o più bronchi minori continuando nel suo percorso con dimensioni leggermente ridotte. La trachea si presenta all’osservazione come un tubo a sezione ellissoidale a dìametro maggiore orizzontale, la carena tracheale è ben visibile sul fondo come un cuneo affilato, a questo punto il bronco sinistro si diparte dalla trachea con un certo angolo, mentre il bronco destro appare quasi come la 188
continuazione della trachea stessa. Nel bronco principale destro si visualizza subito (a ore 9) appena oltre la carena l’orificio del bronco apicale destro. La standardizzazione delle osservazioni nel cane ha consentito di dimostrare una regolarità anatomica nella rete bronchiale del cane tanto da rendere possibile la creazione di un sistema dì identificazione universale che l’endoscopista è tenuto a conoscere. Secondo questo modello i bronchi vengono denominati sulla base del lato dell’albero bronchiale nel quale si trovano e nell’ordine nel quale originano dal bronco principale. Il bronco principale destro è definito RPB (right principal bronchus), quello sinistro LPB lega principal bronchus). Il bronco lobare cranìale destro sarà denominato R13 I, il bronco mediano R132, quello accessorio RB3 e quello caudale RB4. A sinistra il bronco lobare craniale è denominato 1,13 1 e quello caudale LB2 I bronchi segmentali vengono definiti aggiungendo al bronco di provenienza una lettera indicante la parete da cui hanno origine ed un numero indicante l’ordine. Ad esempio i bronchi segmentali derivanti dal bronco lobare craniale destro verranno indicati con RBID1, RB1D2.... oppure RBIVI o RB1V2 a seconda della loro origine dorsale o ventrale. L’impiego sistematico di questa nomenclatura è dì estremo ìnteresse in quanto consente in primo luogo di definire l’esatta ubicazione di una lesione, ed in secondo luogo di descrivere ad esempio l’area sottoposta a lavaggio bronco-alveolare.
APPENDICE 2 IL LAVAGGIO BRONCO-ALVEOLARE Scopo precipuo del lavaggio bronco alveolare è ottenere un campione di materiale proveniente dalle vie respiratorie profonde. Allo scopo è necessario introdurre nell’albero bronchiale, più distalmente possibile e nella maniera più selettiva, un quantitativo di soluzione salina isotonica che possa fungere da liquido di lavaggio e quindi da veicolo per la raccolta di tutti gli elementi fisiologici e patologici che albergano nel territorio irrigato. L’aspirazione del liquido introdotto consente di ottenere il campione per gli esami necessari. Tanto le modalità di introduzione che la quantità del liquido di lavaggio non sono state ancora standardizzate in via assoluta nella medicina del cane, nonostante ciò, anche sulla base della nostra personale esperienza, è possibire fornire una serie di principi informatori di ordine generale. 1. Quale via di introduzione è preferibile impiegare un catetere in teflon sterile che possa transitare nel canale operativo del fibrobroncoscopio e possa in tal modo raggiungere agevolmente il territorio da sottoporre a lavaggio. E 189
assai utile che il catetere sopravanzi sempre l’estremita distale dello strumento in modo da sottoporre a lavaggio un territorio posto a valle dello stesso e quindi non sottoposto a contaminazione alcuna. 2. La quantità di soluzione fisiologica introdotta varia con la taglia del soggetto anche se è dimostrato che all’aumentare della quantità di liquido introdotta non aumenta la sensibilità diagnostica dell’esame. In linea generale nel gatto si consiglia di non superare i 10 ml totali per lavaggio, mentre nel cane la quantità massima si aggira in un soggetto di taglia media intorno al 50 ml per lavaggio. Ci sentiamo di affermare che quantitativi inferiori anche del 3040% sono sempre stati in grado, nella nostra esperienza, di formre risultati soddisfacenti. 3. La quantità di liquido recuperato non dipende dalla quantità di liquido immesso, ma dalle modalità con cui viene effettuato il lavaggio. Nel gatto, infatti, dove il lavaggio viene condotto quasi sempre con modalità “alla cieca” la percentuale di liquido recuperato tramite aspirazione non supera in genere il 50% della quantità totale immessa, mentre quando sia possibile operare un lavaggio con fibrobroncoscopio e le modalità che abbiamo descritto, la quantità di liquido recuperata può raggiungere anche il 70% di quella immessa. Elemento basilare è rappresentato dal tempo che intercorre tra il lavaggio e l’aspirazione poiché la diffusione del liquido di lavaggio nell’interstizìo polmonare è rapidissima. 4. Effettuato il lavaggio è buona norma compiere una aspirazione del tratto bronchiale e controllare la stabilizzazione anestesiologica del paziente. 5. Il liquido ottenuto per prelievo, dopo il suo esame macroscopico di estrema importanza, deve essere suddiviso in due contenitori uno normale sterile per l’esame microbiologico e colturale, il secondo contenente EDTA per l’esame citologíco che avviene dopo citocentrifugazione o sedimentazione spontanea in apposita camera di sedimentazione secondo le normali regole della citologìa.
190
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David C. Twedt DVM, Dipl ACVIM Colorado State University, USA
Indicazioni ed utilità della diagnostica strumentale nelle patologie dell’apparato respiratorio: quando e perché utilizzare una tecnica piuttosto di un’altra Venerdì, 25 ottobre 2002, ore 9.45
191
L’endoscopia può essere distinta in esame delle vie aeree superiori ed inferiori. Il tipo di valutazione endoscopica dipende dai segni clinici e dai riscontri radiografici. Esistono anche considerevoli variazioni circa il tipo di apparecchiature utilizzate per effettuare con successo l’indagine, a seconda della taglia del paziente e dell’area da esaminare.
RINOSCOPIA La rinoscopia è l’esame endoscopico della cavità nasale, dei turbinati e del rinofaringe e dei seni frontali. Si tratta di una tecnica non invasiva e meno traumatica delle metodiche chirurgiche. Consente la visualizzazione diretta delle lesioni per una diagnosi macroscopica e per il prelievo di campioni. Il principale svantaggio è l’impossibilità di esaminare l’intera cavità nasale. Spesso è difficile da eseguire a causa del ridotto spazio di lavoro e dell’elevata vascolarizzazione dei tessuti. Le indicazioni per la rinoscopia sono rappresentate da affezioni nasali croniche caratterizzate da scolo nasale, patologie ostruttive delle vie aeree, epistassi o starnuti. Altre manifestazioni possono essere rappresentate da tumefazione facciale, starnuto inverso, dolore facciale, scolo oculare o affezioni dentali. Prima di eseguire l’esame della cavità nasale si devono effettuare l’emogramma, il profilo biochimico e l’analisi delle urine. Nei casi indicati, bisogna mettere in atto anche le altre procedure diagnostiche finalizzate ad escludere altre malattie sistemiche o metaboliche. Prima della valutazione è possibile effettuare i test sierologici per aspergillosi e criptococcosi. In casi selezionati si possono impiegare anche i test allergici. L’autore di solito effettua un profilo della coagulazione e misura la pressione sanguigna per escludere l’ipertensione nei casi di epistassi. Le radiografie di routine del naso e dei seni frontali vanno riprese in anestesia prima dell’endoscopia. In molti casi, quando si sospetta una neoplasia si esegue una tomografia computerizzata (TC) o una risonanza magnetica (MRI) della cavità nasale per localizzare meglio le lesioni. Per un’adeguata valutazione è necessaria l’anestesia generale profonda ed è importante assicurarsi di aver inserito in posizione un tubo orotracheale con manicotto insufflabile a tenuta ermetica. Il paziente viene posizionato in decubito ventrale con la testa parallela al tavolo (di solito appoggiato ad un telo arrotolato) ed un buon apribocca in posizione. Prima di eseguire l’endoscopia l’autore esamina accuratamente i denti e valuta le dimensioni delle tasche periodontali con una sonda, per accertarsi che i problemi respiratori non siano dovuti ad un’affezione odontoiatrica. Se sono indicati gli esami col192
turali, questi vanno allestiti prima dell’indagine endoscopica, per evitare la contaminazione. Si ripulisce l’accesso nasale rostrale e si introduce un tampone procedendo il più possibile senza trovare resistenza. Generalmente, l’autore esamina la cavità nasale utilizzando un endoscopio rigido da 2,7 mm con un angolo visivo obliquo di 30° associato ad una cannula esterna che consente di effettuare l’irrigazione attraverso l’endoscopio durante l’esame. Lo svantaggio di questo strumento è dato dalla mancanza di una pinza da biopsia, che deve essere introdotta passando di fianco alla sonda. Inoltre, si utilizza un cistoscopio rigido di Storz con una cannula da 5,5 mm ed un canale da biopsia da 5 Fr che risulta adatto alla rinoscopia nei cani di mole maggiore. In questi animali è anche possibile impiegare un broncoscopio per uso umano o persino degli endoscopi gastroenterici di diametro limitato. Questi endoscopi flessibili hanno approssimativamente un diametro di 46 mm e sono dotati di un canale operatorio per l’introduzione delle pinze da biopsia e l’aspirazione dei fluidi. L’irrigazione della cavità nasale attraverso l’endoscopio è essenziale per l’esame. A questo scopo l’autore impiega di routine fluidi IV come la soluzione di Ringer lattato o quella di NaCl. Questi liquidi vengono iniettati attraverso la porta di irrigazione della cannula. Con l’irrigazione, sangue, muco e detriti vengono lavati via dalla cannula facilitando la visualizzazione. Al di sotto della testa del paziente si colloca un contenitore per raccogliere il deflusso di tutti i liquidi di scarto. L’autore inizia l’esame valutando la parte posteriore del rinofaringe servendosi del broncoscopio flessibile o dell’endoscopio gastroenterico. Con la bocca tenuta aperta da uno o due apribocca, si spinge oralmente la punta dell’endoscopio oltre il palato molle e poi la si retroflette in posizione a J, dorsalmente e cranialmente, per esaminare il rinofaringe e le coane. L’endoscopio diretto cranialmente viene spostato aboralmente per ottenere una migliore visualizzazione delle coane. Introducendo le pinze nello strumento è possibile effettuare il prelievo di campioni bioptici. In questa posizione, si dovrebbe anche riuscire a visualizzare gli sbocchi delle trombe di Eustachio. Dopo l’esame dell’orofaringe, si prende in considerazione la cavità nasale. Se è presente un coinvolgimento monolaterale, bisogna esaminare per primo il lato normale e poi l’altro. In ciascun esame si deve adottare un approccio sistematico valutando i turbinati dorsali, medi e ventrali. Si devono rilevare le dimensioni dei turbinati e dei meati (condotti di passaggio dell’aria) per riconoscere i casi in cui sono stati distrutti. Nella rinite cronica, i turbinati vanno incontro ad atrofia ed i meati aumentano di dimensioni. I tumori riempiono i meati. Poiché non è possibile osservare con l’endoscopia l’intera cavità nasale, al termine dell’esame, nei casi in cui si sospettano corpi estranei, si esegue un energico lavaggio della cavità. Si può effettuare il prelievo di biopsie sia attra193
verso l’endoscopio che lungo di esso. Bisogna stare attenti a non spingere le pinze da biopsia oltre il canto mediale dell’occhio per non correre il rischio di penetrare nel globo oculare o nell’encefalo. Il sanguinamento costituisce raramente una complicazione, ma, se è grave, dopo la biopsia la cavità nasale può essere zaffata di tamponi imbevuti di adrenalina. I riscontri rinoscopici sono rappresentati da rinite cronica, corpi estranei, parassiti, malattie micotiche e neoplasie. I corpi estranei di solito vengono rimossi facilmente con le pinze da prensione o con un paio di pinzette a coccodrillo fatte passare accanto all’endoscopio. Le malattie micotiche sono contraddistinte da una caratteristico aspetto a placca bianca sulla mucosa. L’autore effettua di routine la misurazione delle tasche periodontali di tutti i pazienti con rinite cronica, dal momento che le affezioni dei denti possono essere una causa occulta di scolo nasale.
LARINGOSCOPIA L’approfondita valutazione dell’area laringea prevede la verifica sia delle strutture anatomiche che della normalità del movimento funzionale. Gli strumenti necessari all’esame sono il laringoscopio, gli endoscopi rigidi o quelli flessibili. Gli ultimi due offrono una migliore visualizzazione. L’esame dell’area laringea va effettuato preferibilmente con l’animale sotto lieve anestesia. Le anomalie della funzione laringea si valutano in modo ottimale utilizzando il doxapram, alla dose di 1,1 mg/kg IV. Subito dopo la somministrazione si ha un aumento della frequenza e della profondità del respiro. In caso di funzione laringea normale si osserva un’abduzione delle cartilagini aritnoidi al momento dell’inspirazione. La mancanza del movimento inspiratorio suggerisce una paralisi. Altre anomalie sono rappresentate da tumori, polipi o eversione o edema dei sacculi, formazione di membrane o granuloma.
BRONCOSCOPIA Il modo migliore per effettuare l’esame della trachea e dei bronchi è quello di servirsi di un broncoscopio flessibile o di un endoscopio gastroenterico di diametro limitato. Si incontrano dei problemi nei cani di grossa taglia, dove i broncoscopi sono troppo corti e gli endoscopi gastroenterici, talvolta, hanno un diametro troppo elevato. La broncoscopia può essere indicata da ragioni diagnostiche e terapeutiche quali tosse cronica o affezioni del parenchima polmonare, emottisi, aspirazione di corpi estranei, collasso tracheale o mancata risposta alla terapia. 194
Anche se la broncoscopia ed il lavaggio broncoalveolare (BAL) sono stati utilizzati per anni in medicina veterinaria i tentativi di formulare una definizione di una tecnica standard hanno avuto scarso successo e le informazioni presentate in questa sede sono relative al metodo utilizzato presso la Colorado State University. Le indicazioni per la broncoscopia ed il BAL sono numerose. La maggior parte dei pazienti con problemi respiratori trae vantaggio dalla broncoscopia. Le indicazioni specifiche sono rappresentate da tosse cronica, emottisi o infiltrazioni polmonari inspiegabili (focali, diffuse, lobari, peribronchiali, alveolari o con epatizzazione dei lobi). Inoltre, la broncoscopia consente di raccogliere campioni delle strutture aree profonde da destinare agli esami colturali e citologici. Inoltre, permette di caratterizzare la malattia anche sulla base dell’ispezione visiva. In confronto al lavaggio tracheale, è una tecnica diagnostica di gran lunga superiore. Si può formulare una prognosi più accurata nei casi di bronchite cronica o bronchiectasia in cui il processo patologico è stato valutato endoscopicamente. Inoltre, la broncoscopia consente la valutazione delle modificazioni dinamiche delle vie aeree nel collasso tracheale o nella broncomalacia e può servire a documentare lesioni compressive extraparietali. Con il broncoscopio, utilizzando piccole pinze da prensione, è possibile rimuovere corpi estranei e identificare le cause del fallimento della terapia o dell’andamento recidivante della malattia. Le principali controindicazioni alla broncoscopia sono rappresentate dai rischi associati all’anestesia generale, come l’aggravamento dell’ipossia o l’esacerbazione delle aritmie cardiache. Anche i disordini emorragici possono costituire una controindicazione relativa. Il rischio deve essere valutato su base individuale e tenendo presente i potenziali vantaggi derivanti dai risultati che si possono ottenere. Le complicazioni descritte per la broncoscopia nell’uomo sono rappresentate da febbre (6-8 ore dopo l’intervento) e broncospasmo. Quest’ultimo può diventare un problema nei gatti con asma felina, in cui sono presenti marcati infiltrati peribronchiali con tosse, o nella dispnea grave. Una situazione analoga si può avere anche nei gatti difficili da intubare. L’autore ha osservato un peggioramento della tosse o un aumento dell’ostruzione delle vie aeree nei cani con grave collasso tracheale o broncomalacia. L’aumento dell’irritazione delle vie aeree potenzia la tosse e la soppressione dello sforzo respiratorio da parte degli agenti anestetici e consente il collasso passivo delle vie aeree di grande e di piccolo calibro. La tosse può essere alleviata dalla somministrazione di lidocaina diluita (circa 1 cc di lidocaina all’1% in un cane di piccola taglia) attraverso il broncoscopio al termine della procedura. Il risveglio in un ambiente arricchito con ossigeno può diminuire la difficoltà respiratoria dopo l’intervento. 195
In medicina umana non sono state descritte complicazioni riferibili alla propagazione di processi infettivi attraverso la broncoscopia. Si può avere il trasferimento di infezioni da un punto all’altro se è presente un ascesso polmonare e da paziente a paziente in caso di non corretta pulizia del broncoscopio. Un’evenienza più comune è data dalle pseudoinfezioni, quando i batteri provenienti dal broncoscopio si depositano nel paziente o nel liquido di lavaggio broncoalveolare, portando a risultati colturali che possono essere causa di confusione.
ENDOSCOPI Per l’endoscopia dei piccoli animali è possibile utilizzare una varietà di endoscopi flessibili. Le dimensioni del paziente limitano quelle del broncoscopio utilizzabile. Uno strumento di diametro ≤ 5,0 mm è estremamente versatile per la valutazione delle vie aeree. Uno dei fattori limitanti dei broncoscopi per uso umano è la brevità della lunghezza della sonda, pari a circa 55 cm. Nei cani di grossa taglia è difficile, se non impossibile, raggiungere i piccoli bronchi, specialmente se si intende effettuare un BAL. Nei cani più grandi si può usare un endoscopio pediatrico (ad es., Olympus XP-20 con un diametro di 7,9 mm e sonda di 10 cm). Nei gatti e nei cani di piccola taglia è possibile utilizzare endoscopi da 5 mm o anche da 3,7 mm, che però non possono essere fatti passare attraverso il tubo orotracheale. In tutti gli endoscopi acquistati per eseguire broncoscopie deve essere presente un canale da biopsia. Questo può essere utilizzato per apportare ossigeno nel corso dell’intervento ed è essenziale per il lavaggio broncoalveolare e consente di eseguire il prelievo di campioni bioptici e la spazzolatura delle vie aeree.
ANESTESIA E POSIZIONAMENTO Per la broncoscopia è necessaria l’anestesia generale o la sedazione profonda, al fine di sopprimere la tosse ed il laringospasmo e consentire l’esame delle vie aeree senza indurre traumi ed anche per proteggere lo strumento. Tutti gli animali sottoposti a broncoscopia mostrano un risentimento respiratorio. Per migliorare la sicurezza della procedura si raccomanda un’ossigenazione preventiva con una maschera facciale o mediante somministrazione di ossigeno per via nasale prima della broncoscopia. È possibile utilizzare una varietà di agenti e di associazioni anestetiche e si deve sviluppare un protocollo che eviti l’eccessiva depressione cardiopolmonare. La broncoscopia può essere effettuata impiegando l’anestesia gassosa se l’animale è abba196
stanza grande da consentire l’uso di un tubo orotracheale da 7-8 Fr. Per introdurre l’endoscopio attraverso il tubo orotracheale durante la somministrazione dell’anestesia gassosa è necessario uno speciale adattatore a T. Quando si utilizza l’anestesia inalatoria il tubo orotracheale va rimosso per esaminare l’esofago e le vie aeree superiori. L’autore ritiene solitamente valida l’anestesia IV e in genere impiega il propofolo come agente d’elezione. Dopo aver portato a termine la procedura si inserisce un tubo orotracheale per ossigenare il paziente durante il risveglio. L’ossigeno può essere somministrato attraverso il canale da biopsia del broncoscopio a velocità di flusso di 1-5 l/min. L’autore utilizza spesso una valutazione soggettiva del flusso per ciascun paziente. L’eccesso di flusso di ossigeno può esitare nella rottura degli alveoli o anche in uno pneumotorace. Il flusso di ossigeno va sospeso quando l’endoscopio viene incuneato per l’esecuzione di un BAL.
RISCONTRI BRONCOSCOPICI ANOMALI Trachea
Normale = vasi sottomucosi presenza di secrezioni, irritazione tracheale gravità, localizzazione ed entità del collasso prolasso della membrana tracheale dorsale
Biforcazione della trachea
normale = biforcazione netta ottusa = compressione extraparietale noduli di Oslerus osleri
Bronchi
collasso a riposo collasso dinamico con tosse espirazione e battito cardiaco modificazioni della mucosa o sottomucosa (eritema, edema, noduli bronchitici) tumori della mucosa tragitti emorragici (Paragonimus, tumori, filariosi cardiopolmonare, corpi estranei) secrezioni mucoidi o purulente
Per tutta la durata dell’operazione si lasciano in sede due grandi apribocca per proteggere l’endoscopio. Il paziente viene posto in decubito ventrale con la testa sollevata ed appoggiata su un supporto. A parere dell’autore, risulta adeguato un rotolo di cotone. Se il cane sembra svegliarsi, l’endoscopio viene rimosso rapidamente per evitare che venga danneggiato. È importante disporre di un assistente per il monitoraggio dell’anestesia e per mantenere la posizione del paziente e garantire la stabilità dell’apribocca in posizione. 197
PROCEDURA In medicina veterinaria la broncoscopia si esegue in decubito sternale, con il mento sollevato per consentire di penetrare facilmente nelle vie aeree. L’anatomia dei bronchi è stata chiaramente definita e risulta praticamente identica all’interno delle varie specie animali. La “mappa” delle vie aeree va consultata frequentemente durante la broncoscopia (vedi Figura). Nei casi in cui la localizzazione è dubbia, il clinico può tornare alla biforcazione della trachea per orientarsi. In genere l’autore adotta una procedura standard per la valutazione di tutte le vie aeree accessibili, la registrazione dei riscontri anomali ed il prelievo dei campioni respiratori. Si esegue l’esame della trachea e di tutti i lobi del lato sinistro (LB1, LB1 V1, BL2) e poi di tutti i lobi del lato destro (RB1, RB2, RB3, RB4). Durante il primo passaggio nelle vie aeree si deve prendere nota delle anomalie e decidere in quali sedi eseguire il BAL. Quelli elencati sono alcuni esempi di possibili riscontri anormali. Dopo aver portato a termine l’esame, l’endoscopio viene sfilato, la superficie esterna viene lavata con tamponi imbevuti di soluzione fisiologica ed il canale da biopsia viene irrigato con soluzione fisiologica sterile. In occasione della seconda introduzione nelle vie aeree, bisogna evitare di toccare la mucosa orale o l’epitelio delle vie stesse con la punta dell’endoscopio per ridurre al minimo la contaminazione durante l’avvicinamento alla sede del BAL. Nella maggior parte dei casi si devono valutare almeno due aree differenti. Il recupero del liquido di lavaggio broncoalveolare dipende dalla capacità di incuneare il broncoscopio nelle vie aeree di piccolo calibro. Ci si può attendere di recuperare il 40-60% del fluido instillato, ma si avrà una percentuale più bassa in presenza di una broncomalacia, perché le vie aeree tendono a collassare ed il fluido viene aspirato più rapidamente negli alveoli. È possibile associare diverse aliquote per gli esami colturali, ma la valutazione citologica delle diverse sedi deve essere effettuata separatamente. Alcuni non effettuano la spazzolatura bronchiale perché ritengono che non offra ulteriori informazioni rispetto al BAL. Qualora si decida di utilizzare questa tecnica, bisogna farlo dopo il lavaggio broncoalveolare. Quindi, si prelevano campioni bioptici di noduli o lesioni bronchiali anormali. È difficile ottenere buoni campioni bioptici dei bronchi, a meno che non sia presente una massa patologica. Le pinze da biopsia tendono a scivolare lungo le vie aeree. 198
Tecnica di lavaggio broncoalveolare incuneare delicatamente l’endoscopio nel più piccolo bronco possibile instillare 10-20 cc di soluzione fisiologica non batteriostatica aspirare lentamente e delicatamente il fluido tornare nella stessa sede e ripetere il lavaggio una seconda volta eseguire il lavaggio di una seconda regione nello stesso modo
ANALISI DEL CAMPIONE Esiste una significativa variazione dell’analisi dei campioni respiratori effettuati presso i vari istituti. Alcuni laboratori suggeriscono di filtrare il campione per eliminare il muco, effettuare il conteggio cellulare, centrifugare il tutto e risospendere il sedimento per allestire strisci ed esami colturali quantitativi. Altri preferiscono l’analisi citologica di un campione citocentrifugato eseguito senza filtrare il muco. Sono stati pubblicati i valori normali del conteggio cellulare nel cane e nel gatto, che risultano pari a circa 200-300 cell/µl. Negli animali normali, il 70% circa delle cellule deve essere rappresentato da macrofagi. La positività degli esami colturali per la ricerca di micoplasmi e batteri deve essere interpretata alla luce dei riscontri clinici e citologici. La presenza di batteri intracellulari e di un’infiammazione suppurativa settica dovrebbe riflettere un’autentica infezione. Le vere infezioni batteriche generalmente non presentano cellule squamose all’esame citologico, mentre mostrano un incremento variabile dei neutrofili. Dal momento che 1/3 circa dei cani sani risulta positivo alla tracheocoltura, bisogna fare molta attenzione ad evitare che durante il passaggio nelle vie aeree superiori i campioni destinati al lavaggio broncoalveolare subiscano delle contaminazioni ed i risultati delle colture vanno interpretati in modo appropriato.
199
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David C. Twedt DVM, Dipl ACVIM Colorado State University, USA
Indicazioni e tecniche di toracoscopia Venerdì, 25 ottobre 2002, ore 14.30
201
La toracoscopia è un metodo che consente di esaminare il cavo pleurico ed i suoi organi ed eseguire procedure diagnostiche con un’invasività minima. L’impiego della toracoscopia videoassistita amplia sia le possibilità diagnostiche che quelle terapeutiche. Il vantaggio della toracoscopia rispetto alla toracotomia di routine è rappresentato dalla ridotta esposizione operatoria, con conseguente rapidità di diagnosi, trattamento e recupero postoperatorio. La toracoscopia diagnostica è stata sviluppata originariamente da H.C. Jacobaeus (1910) utilizzando un cistoscopio modificato. La tecnica è stata in seguito ampiamente accettata per il trattamento delle lesioni tubercolari con aderenze nell’uomo. La toracoscopia operatoria ha goduto di un’ampia diffusione fino al 1945. In seguito, con lo sviluppo degli antibiotici ed il miglioramento delle tecniche chirurgiche ed anestetiche utilizzate nella toracotomia operatoria, l’interesse nei suoi confronti è diminuito. Recentemente è di nuovo aumentato, in medicina umana, perché si ricercano procedure chirurgiche meno invasive, che riducano il tempo di ospedalizzazione ed assicurino maggior comfort al paziente. L’impiego e lo sviluppo delle videocamere, così come la messa a punto di un’ampia gamma di strumenti operatori e di sofisticati mezzi di graffatura con punti metallici, ha ravvivato la toracoscopia portandola in primo piano nel campo della medicina e chirurgia toracica dell’uomo.
INDICAZIONI E COMPLICAZIONI Le indicazioni per la toracoscopia videoassistita (VAT) nell’uomo sono rappresentate da esplorazione toracica generale, affezioni pleuriche, versamento pleurico maligno, empiema, fistola broncopleurica, chilotorace, trauma toracico, masse intratoraciche, stadiazione di neoplasie polmonari, esofagectomia, pneumotorace spontaneo, simpatectomia, ascessi spinali toracici, biopsia di corpi vertebrali, discectomia, impianto di fili metallici conduttori epicardici da defibrillatore per cardioversione, lobectomia polmonare, resezione laser assistita di cuneo polmonare, resezione di massa polmonare, pericardectomia ed anomalie vascolari (dotto arterioso pervio, persistenza dell’arco aortico destro). Le complicazioni associate alla toracoscopia nei pazienti umani sono rappresentate da approccio inappropriato, penetrazione di un trequarti in un polmone, disseminazione di cellule tumorali sulle superfici pleuriche e incapacità di accedere rapidamente ad emorragie potenzialmente letali. Il più comune fattore per lo sviluppo delle complicazioni intraoperatorie è la mancanza di un’adeguata pianificazione preoperatoria; di conseguenza, prima di effettuare una toracoscopia è essenziale effettuare un’accurata valutazione del paziente. 202
APPARECCHIATURA L’unità toracoscopica di base è costituita da una videocamera con processore, videomonitor, fonte luminosa allo xenon, telescopio endoscopico, trequarti e vari strumenti. La toracoscopia di routine viene effettuata utilizzando un telescopio da 5 mm di diametro e 0 gradi di inclinazione. Questo tipo di strumento consente una visione in avanti e risulta di diametro adeguato alla maggior parte delle procedure da effettuare nei piccoli animali. In alternativa, un telescopio da 30° assicura una visione angolata, che risulta vantaggiosa rispetto a quella frontale quando si lavora nello spazio limitato della cavità toracica. I telescopi a visione angolata sono leggermente più difficili da orientare correttamente, ma risultano essenziali per alcune procedure operatorie. I trequarti vengono utilizzati per penetrare nella cavità toracica per introdurvi il telescopio e gli strumenti. Nella laparoscopia addominale di routine, si impiega un trequarti/cannula standard da 6 mm. Lo stesso trequarti viene usato anche per l’introduzione del telescopio nella cavità toracica. Poiché la toracoscopia deve essere effettuata con il torace aperto, una volta penetrati nel cavo pleurico attraverso una porta che consente il passaggio dell’aria la struttura valvolare può essere rimossa. In alternativa, si possono utilizzare altri trequarti, monouso con una punta smussa o flessibili in plastica, che assicurano una porta di accesso alla cavità toracica per l’inserimento del telescopio o degli strumenti operatori. Gli strumenti di base richiesti per la toracoscopia sono rappresentati da una sonda da palpazione, pinze da biopsia, pinze da prensione e forbici.
TECNICA Il paziente deve essere posto in anestesia generale gassosa utilizzando un’apparecchiatura dotata di ventilazione manuale assistita o meccanica. Nella toracoscopia si possono impiegare due tipi di tecniche di ventilazione. La prima è quella endotracheale. Nella trachea si introduce una sonda orotracheale dotata di manicotto insufflabile. Dopo l’inserimento del trequarti, si induce uno pneumotorace che esita nel parziale collasso di entrambi i lobi polmonari, assicurando uno spazio di lavoro nella cavità toracica. La ventilazione orotracheale risulta adeguata per la maggior parte delle procedure diagnostiche e molte di quelle terapeutiche. La seconda tecnica viene indicata come ventilazione polmonare, che consiste nella ventilazione selettiva dei lobi polmonari più declivi con conseguente collasso di quelli superiori all’area da valutare. Questa tecnica con203
sente di ampliare al massimo le dimensioni dell’area di lavoro. Per ottenere una ventilazione polmonare, il tubo orotracheale deve essere diretto con un broncoscopio fino nel bronco principale dei lobi da ventilare. Quindi, viene posizionato nel bronco principale prossimale ed il manicotto viene insufflato. Bisogna stare attenti ad assicurarsi che il tubo orotracheale sia posizionato in modo tale da consentire l’appropriata ventilazione di tutti i bronchi secondari di quel lato. In alternativa, è possibile far passare un piccolo catetere a palloncino, sotto guida broncoscopica, fino nel bronco principale in cui non si vuole far penetrare l’aria. Il palloncino del catetere viene gonfiato in modo da occludere il bronco ed il paziente viene poi sottoposto ad insufflazione utilizzando un tubo orotracheale standard. Nella toracoscopia si utilizzano comunemente due sedi di penetrazione, adottando a seconda dei casi l’approccio intercostale e quello transdiaframmatico paraxifoideo. Prima di realizzare le porte di accesso è necessario determinare l’area del torace che si desidera esaminare. Inoltre, il videomonitor deve essere posizionato dietro il campo in cui si prevede di operare, in modo tale che il chirurgo possa dirigere lo sguardo sullo schermo rendendo più facile l’orientamento degli strumenti.
APPROCCIO INTERCOSTALE Quando si utilizza l’approccio intercostale, il punto di penetrazione della videocamera viene scelto sulla base dell’area che si desidera esaminare e delle procedure operatorie da eseguire. La porta per la videocamera viene di solito realizzata nel 6° o 7° spazio intercostale, a metà distanza fra la giunzione costocondrale ed il muscoli epiassiali. Successivamente, si preparano il telescopio e la videocamera. Prima di essere introdotta nel corpo dell’animale, la sonda viene immersa in acqua o soluzione fisiologica sterili e riscaldate, in modo da evitare l’appannamento al momento della penetrazione in cavità toracica. Al telescopio si fissa prima il cavo luminoso proveniente dalla fonte allo xenon e poi la videocamera. La fonte luminosa viene accesa e si mette a fuoco l’immagine agendo sull’apposito anello di regolazione della videocamera. Il videoprocessore viene bilanciato al bianco per assicurare il corretto colore dell’immagine. Una volta determinato il punto di penetrazione, si pratica un’incisione cutanea adatta al diametro della cannula del trequarti. Come guida per determinare la lunghezza dell’incisione cutanea è possibile utilizzare l’impronta del bordo della cannula sulla cute stessa. Servendosi delle pinze di Kelly, si effettua una dissezione per via smussa di tessuti sottocutanei, muscoli intercostali e pleura, penetrando nella cavità toracica. Il trequarti con la cannula 204
viene quindi spinto attraverso la sede della dissezione fino nel cavo toracico. La cannula deve essere tenuta in modo tale da limitare la profondità di penetrazione del trequarti. Una volta entrati nello spazio pleurico il trequarti viene rapidamente rimosso e si inizia la ventilazione assistita. Utilizzando questa tecnica, il trauma polmonare è raro. Per assicurarsi che la cavità toracica resti aperta evitando uno pneumotorace iperteso è possibile rimuovere la valvola della cannula. Attraverso quest’ultima si introduce infine il telescopio nello spazio pleurico per l’esplorazione. Quando si penetra nella cavità si può avere frequentemente l’appannamento della lente. Questa può essere ripulita sfregando delicatamente l’estremità ottica dell’endoscopio contro una superficie pleurica. È possibili visualizzare l’intera parete laterale del torace, la superficie pleurica del polmone e quella laterale del cuore. Quando il telescopio viene volto in direzione caudale, si può osservare il diaframma. Spostandolo in direzione craniale, vengono identificate le arterie e le vene toraciche interne e le strutture sternali. Se lo spazio di lavoro risulta di dimensioni inadeguate, ci si deve in primo luogo assicurare che la cavità toracica sia aperta e, se è così, si deve ridurre la pressione di ventilazione polmonare per diminuire l’insufflazione dei lobi dell’organo. Per tutta la durata della procedura di toracoscopia, si deve somministrare un elevato flusso di ossigeno. L’ispezione dell’emitorace va effettuata preferibilmente utilizzando una sonda da palpazione, per spostare i lobi polmonari in modo da consentire la visualizzazione delle strutture toraciche interne. Per introdurre questa sonda, è necessario inserire preventivamente un secondo trequarti di lavoro. Il punto di penetrazione di quest’ultimo dipende dalle procedure che si prevede di dover attuare. In questo caso, il punto di penetrazione è localizzato a livello del quarto spazio intercostale nel tratto laterale medio del torace. Bisogna evitare di introdurre il trequarti troppo vicino al telescopio o al campo operatorio, perché ciò ostacolerebbe la manipolazione dello strumento. In alternativa, è possibile ricorrere all’introduzione di un trequarti toracico rigido monouso da 10 mm con un otturatore a punta smussa. La tecnica di inserimento è simile a quella utilizzata per l’applicazione del trequarti del telescopio, tranne che per il fatto che la penetrazione deve essere visualizzata dall’interno per evitare traumi non necessari. Quindi, attraverso la seconda cannula del trequarti si fa passare una sonda da palpazione che riporta dei contrassegni ad intervalli di 1 cm. L’avanzamento della sonda e degli strumenti deve essere visualizzato man mano che penetrano nella cavità toracica e poi vengono diretti sotto controllo visivo all’area di manipolazione, evitando così traumi non dovuti a carico dei tessuti sottostanti. La sonda da palpazione consente di muovere i lobi polmonari adiacenti per visualizzare i tessu205
ti peribronchiali, le arterie e le vene polmonari, i linfonodi ilari e tutte le porzioni della superficie pleurica del diaframma. Con essa, è anche possibile valutare mediante palpazione le anomalie di consistenza del polmone o di altri tessuti. Quando il telescopio viene ruotato al massimo in direzione caudale, si può anche visualizzare il diaframma. Il telescopio può essere spostato verso la porta intercostale craniale per consentire una migliore osservazione delle strutture mediastiniche craniali. Di solito il diaframma risulta meglio visibile attraverso una porta craniale, perché il telescopio viene guidato in direzione caudale. Tutte le procedure operative richiedono almeno due porte con cannula. In base alla procedura operatoria da eseguire, si può introdurre un secondo trequarti/cannula. Le tre porte devono essere approssimativamente equidistanti in modo da consentire una triangolazione della cannula e del telescopio che assicura la massima esposizione operatoria. È possibile introdurre delle pinze ovali da biopsia per il prelievo di campioni tissutali. Spesso, con questo metodo si ottengono campioni di masse polmonari solide e strutture pleuriche. Il prelievo di biopsie di tessuto polmonare richiede in genere l’esecuzione di una legatura prima della resezione tissutale. Il prelievo di una biopsia di tessuto polmonare si effettua utilizzando la tecnica di sutura con endoloop. Questa consiste in un’ansa di sutura fissa contenente un nodo preformato, che può essere tirato in modo da serrarsi intorno al campione tissutale. Per far scivolare il nodo si spezza l’estremità in plastica del manico dell’endoloop, consentendo così alla guaina libera intorno alla sutura di scivolare a ridosso del nodo e serrarlo. Per le biopsie polmonari si raccomanda la sutura in PDS. Una volta stabilita l’area polmonare da cui prelevare il campione, si introducono nel campo operatorio, attraverso la cannula accessoria e sotto il controllo visivo diretto, sia le pinze da prensione che l’endoloop. La sutura endoloop viene posta sopra l’asta delle pinze. Quindi si afferra la porzione di polmone da prelevare. Dopo aver sollevato il lobo polmonare con le pinze, si fa scivolare lungo l’asta l’ansa di filo da sutura fino sulla porzione del polmone da prelevare. Si spezza l’estremità di plastica dell’endoloop e si spinge in avanti la porzione rigida per stringere il nodo intorno al tessuto polmonare. Quando il nodo è stato serrato, si rimuovono le pinze e si inseriscono nel campo operatorio le forbici da sutura, tagliando il filo vicino al nodo. Quindi si sfila l’endoloop. Si introducono nuovamente le pinze per afferrare il campione bioptico, facendo attenzione a schiacciare il meno possibile i tessuti per evitare la formazione di artefatti. Infine, attraverso la seconda cannula si introducono le forbici tissutali e si recide il campione vicino alla legatura, tenendo la biopsia con le pinze. Una volta reciso, il campione viene recuperato attraverso la porta toracica. 206
Al termine della procedura, si rimuovono il telescopio ed il trequarti/cannula e si inserisce un drenaggio toracico per evacuare lo pneumotorace. Le brecce delle porte toraciche vengono chiuse secondo la procedura di routine ed i polmoni vengono espansi esercitando un’aspirazione attraverso il drenaggio. Si continua con un’aspirazione intermittente del drenaggio toracico per 12-24 ore e si attua il trattamento analgesico postoperatorio.
APPROCCIO TRANSDIAFRAMMATICO PARAXIFOIDEO Un approccio alternativo alla toracoscopia è dato dalla tecnica di penetrazione transdiaframmatica paraxifoidea. Tale approccio ha il vantaggio di consentire la valutazione della faccia ventrale dell’emitorace destro e sinistro, del mediastino e dell’area dell’ilo dei polmoni. Inoltre, la tecnica offre un più ampio spazio di lavoro quando si ha a che fare con pazienti di piccola taglia. Questo approccio è raccomandato per la pericardectomia parziale terapeutica nei casi di versamento pericardico. Quando si esegue la tecnica transdiaframmatica paraxifoidea, il paziente viene posto in decubito dorsale. Il trequarti con la cannula viene inserito appena a sinistra o a destra del processo xifoideo, nello spazio fra questo e le cartilagini costali caudali. Si pratica inizialmente un’incisione cutanea del diametro appropriato. Quindi si spinge il trequarti con la cannula in direzione craniale, ventrale e leggermente laterale verso lo sterno. L’obiettivo non è penetrare nella cavità addominale, ma piuttosto procedere in direzione parallela ai muscoli addominali ed al diaframma fino a giungere nello spazio pleurico. L’approccio leggermente laterale contribuisce a prevenire la penetrazione nel tessuto mediastinico caudale. Dopo essere penetrati nello spazio pleurico si rimuove il trequarti e si inserisce il telescopio. Se non si identifica il cavo pleurico, si retrae la sonda e si fa avanzare ulteriormente il trequarti. Una volta penetrati nello spazio pleurico, è possibile rimuovere la valvola della cannula per instaurare un torace aperto. La cavità toracica viene esaminata facendo avanzare il telescopio in direzione craniale. A questo punto, è possibile osservare il torace lungo l’asse maggiore. Risulta visibile la sottile parte caudale della membrana mediastinica, che separa l’emitorace destro dal sinistro. Risultano facilmente visualizzabili la faccia ventrale e laterale del pericardio ed il nervo frenico. Facendo avanzare il telescopio verso l’ingresso del torace è possibile ispezionare la parte ventrale anteriore del mediastino. Quella caudale spesso può essere attraversata facendo progredire delicatamente la sonda nel tessuto membranoso, consentendo così l’ulteriore ispezione dell’emitorace controlaterale. È possibile visualizzare la faccia laterale e quella mediale dei lobi pol207
monari, comprese le strutture vascolari a livello della radice di ciascun lobo. Si localizzano esofago, aorta e vena cava caudale. Si possono anche osservare la vena azigos, le arterie e le vene toraciche interne, intercostali e polmonari, le sternebre ed i linfonodi sternali ventrali. Utilizzando questo approccio, l’unico fattore limitante nella valutazione delle strutture toraciche craniali nei pazienti di grossa taglia è la lunghezza del telescopio. Dopo l’iniziale ispezione della cavità toracica, si devono scegliere i successivi punti di inserimento delle porte per l’introduzione degli strumenti secondari. Quando si eseguono procedure toraciche come la realizzazione di finestre pericardiche, i punti di penetrazione sono generalmente localizzati fra il quarto ed il settimo spazio intercostale. Queste sedi non devono essere direttamente adiacenti all’area di manipolazione, in modo da consentire il massimo spazio di lavoro possibile. L’inserimento del trequarti viene effettuato secondo le modalità precedentemente descritte e sempre sotto controllo visivo diretto dopo aver realizzato una dissezione per via smussa con pinze di Kelly. Si inserisce la sonda da palpazione per favorire l’esplorazione del torace. In questo caso, la sonda viene utilizzata per scostare delicatamente i lobi polmonari consentendo l’inserimento del telescopio fra le fessure lobari. Ciò consente la visualizzazione di entrambe le superfici pleuriche viscerali e dei vasi polmonari. Quando si esamina l’area adiacente al mediastino caudale, ci si può servire di un paio di forbici o di un elettrocauterio per aprire o rimuovere il setto per favorire l’esame completo della parte caudale della cavità toracica. Per realizzare una finestra pericardica sono necessarie due porte operatorie. Il loro inserimento può essere effettuato su un solo lato del torace o sui due lati contrapposti. Attraverso la porta operatoria si introducono le pinze endoscopiche e si afferra saldamente l’apice del sacco pericardico, sollevandolo in modo da scostarlo dal cuore. Per tenere il pericardio è preferibile utilizzare pinze da prensione dentellate. Quindi, attraverso la porta opposta, si inseriscono le pinze tissutali da endoscopia e si recide il sacco pericardico. La dissezione viene continuata per aumentare le dimensioni della finestra, tuttavia bisogna stare attenti a non danneggiare il nervo frenico e l’orecchietta sinistra. Nei casi in cui è presente una quantità considerevole di fluido pericardico è possibile introdurre nel sacco un aspiratore per rimuovere la quota in eccesso. Le dimensioni della finestra devono essere abbastanza grandi da consentire l’esposizione dell’intero apice ventrale del cuore. Il tessuto pericardico reciso viene rimosso per essere inviato all’esame istologico e, se si sospetta un’eziologia infettiva, alle indagini colturali. Una volta svuotato del fluido il sacco pericardico, è possibile far avanzare il telescopio fra il pericardio stesso ed il cuore per proseguire l’esplorazione. 208
Al termine della procedura, si inserisce un drenaggio toracico standard per l’evacuazione dello pneumotorace. Il drenaggio illustrato in questa sede viene diretto endoscopicamente nella posizione corretta utilizzando le pinze. Si rimuovono i trequarti e si chiudono le incisioni secondo le metodiche di routine. I potenziali sviluppi futuri della toracoscopia diagnostica e chirurgica in medicina veterinaria sono illimitati. Alcune tecniche che sono state effettuate presso il Veterinary Endoscopy Teaching Center della Colorado State University sono la biopsia pleurica, quella polmonare, la lobectomia, la riparazione dell’arco aortico destro persistente, la pericardectomia, la rimozione di masse e la legatura del dotto toracico.
209
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David C. Twedt DVM, Dipl ACVIM Colorado State University, USA
Indicazioni ed utilità della diagnostica strumentale nelle patologie dell’apparato digerente: quando e perché utilizzare una tecnica piuttosto di un’altra Sabato, 26 ottobre 2002, ore 9.30
211
RIASSUNTO Oggi, sono disponibili numerosi endoscopi di differenti tipi, dimensioni, diametri e funzioni da utilizzare nei piccoli animali. Sfortunatamente, non ce n’è uno che esegua in modo adeguato tutte le procedure endoscopiche (endoscopia gastroenterica, broncoscopia, endoscopia nasale, cistoscopia, laparoscopia ed endoscopia dell’apparato riproduttore). La scelta va basata sulle specifiche necessità, sui limiti di costo e sull’uso che si intende fare dello strumento. In medicina dei piccoli animali la versatilità è un fattore importante e l’endoscopio prescelto deve essere in grado di svolgere il maggior numero possibile di funzioni. Troppo spesso, i fattori economici sono i principali determinanti della scelta. Tutti gli endoscopi attuali prevedono nella loro costruzione l’impiego delle fibre ottiche. Questi sono fasci di fibre di vetro che svolgono la funzione di trasportare luce o immagini intorno agli angoli. Inoltre, le fibre ottiche includono il concetto di fonte luminosa fredda, perché non trasmettono calore, ma solo immagine. È quindi possibile trasmettere luce senza calore proveniente da una fonte luminosa ad alta intensità situata all’esterno del paziente. Esistono fondamentalmente due tipi di endoscopi utilizzabili per l’esame gastroenterico, quelli a fibre ottiche ed i videoendoscopi. I primi incorporano fasci di fibre di vetro per la trasmissione delle immagini che vengono visualizzate a livello dell’impugnatura dello strumento. Il videoendoscopio è considerevolmente diverso, in quando contiene un piccolo videochip microelettronico localizzato in corrispondenza dell’estremità distale del tubo di inserimento. L’immagine viene quindi trasmessa elettronicamente ad un videoprocessore e ad un monitor televisivo, dove può essere visualizzata. L’endoscopio a fibre ottiche è costituito da parecchie sezioni: la sonda tubolare, l’impugnatura ed il cordone. Esiste anche un’ampia varietà di accessori che può essere fatta passare attraverso il canale operatorio, come le pinze da biopsia, quelle da rimozione da corpo estraneo e gli spazzolini per il prelievo dei campioni citologici ed i tubi da aspirazione. Le indicazioni dell’endoscopia gastroenterica si sono evolute con il tempo, sino a trasformare questo mezzo d’indagine un importante strumento diagnostico e terapeutico nei piccoli animali. Una volta considerata un metodo aggiuntivo rispetto agli altri, è oggi forse il più importante strumento per la valutazione dei pazienti che mostrano segni gastroenterici. Ciò vale in particolare per gli animali colpiti da affezioni della mucosa intestinale. Gli studi contrastografici con il bario non sono considerati abbastanza sensibili per delineare molti dei disordini della mucosa dell’apparato digerente. Varie prove di assorbimento intestinale non consentono di individuare con precisione la malattia. L’endoscopia ha il vantaggio di permettere non solo l’esame 212
visivo della superficie mucosa, ma anche il prelievo di campioni bioptici da destinare alla valutazione istologica. Per lo studio dei disordini della motilità gastroenterica o delle lesioni ostruttive o segmentali del digiuno o dell’ileo che non possono essere raggiunte dall’endoscopio il mezzo d’elezione è ancora rappresentato dalla radiologia. Le indicazioni generali per l’endoscopia sono rappresentate da segni clinici gastroenterici inspiegabili, riscontri radiografici di anomalie esofagee, gastriche, duodenali o coliche, o prelievo di un campione bioptico di mucosa. Occasionalmente, negli animali con segni gastroenterici inspiegabili, anche dopo una valutazione completa, si riesce a giungere alla diagnosi attraverso l’endoscopia. Questa è anche diventata un importante strumento terapeutico per la rimozione dei corpi estranei gastroenterici, la dilatazione guidata mediante olive o palloncini delle stenosi esofagee e l’inserimento di sonde da gastrotomia sotto controllo endoscopico per via percutanea (PEG).
INDICAZIONI ENDOSCOPICHE E STRUMENTALI PER LA DIAGNOSI DELLE PATOLOGIE DELL’APPARATO DIGERENTE Oggi, sono disponibili numerosi endoscopi di differenti tipi, dimensioni, diametri e funzioni da utilizzare nei piccoli animali. Sfortunatamente, non ce n’è uno che esegua in modo adeguato tutte le procedure endoscopiche (endoscopia gastroenterica, broncoscopia, endoscopia nasale, cistoscopia, laparoscopia ed endoscopia dell’apparato riproduttore). La scelta va basata sulle specifiche necessità, sui limiti di costo e sull’uso che si intende fare dello strumento. In medicina dei piccoli animali la versatilità è un fattore importante e l’endoscopio prescelto deve essere in grado di svolgere il maggior numero possibile di funzioni. Troppo spesso, i fattori economici sono i principali determinanti della scelta. Gli strumenti meno costosi sono dotati di ottiche più scadenti e risultano più scomodi da impiegare (spesso dispongono di un sistema di controllo dell’estremità distale limitato a due vie e di sonde di diametro molto piccolo) che sono causa di frustrazione per l’utilizzatore e riducono la capacità diagnostica dello strumento. Di conseguenza, l’endoscopio di solito finisce a prendere polvere in magazzino. La maggior parte degli endoscopisti raccomanda di acquistare uno strumento di qualità perché sul lungo periodo si pagherà da solo, nell’arco di diversi anni, grazie alle sue buone capacità diagnostiche e, di conseguenza, all’uso sempre maggiore che ne verrà fatto. Con le cure appropriate, questi endoscopi possono durare per molti anni. Attualmente sono disponibili sia strumenti studiati per l’impiego nell’uomo che altri realizzati specificamente per l’uso in ambito veterinario. 213
FIBRE OTTICHE Tutti gli endoscopi attuali prevedono nella loro costruzione l’impiego delle fibre ottiche. Questi sono fasci di fibre di vetro che svolgono la funzione di trasportare luce o immagini intorno agli angoli. Inoltre, le fibre ottiche includono il concetto di fonte luminosa fredda, perché non trasmettono calore, ma solo immagine. È quindi possibile trasmettere luce senza calore proveniente da una fonte luminosa ad alta intensità situata all’esterno del paziente. Le fibre ottiche trasmettono la luce, ma quando i raggi luminosi passano attraverso di esse si verifica una considerevole riflessione interna. Ciò giustifica l’aggiunta di un rivestimento o di un vetro caratterizzato da un diverso indice di riflessione che devia internamente la luce aumentando l’efficienza della trasmissione. Per trasmettere un’immagine, le fibre ottiche sono disposte in modo coerente per formare dei fasci. Ogni singola fibra genera un piccolo punto di luce e colore uniforme, per cui, quando vengono visualizzate tutte insieme, più fibre formano un’immagine. Le dimensioni delle singole fibre, la compattezza dei loro fasci e la precisione della coerenza della loro relazione all’interno del fascio determina il grado di nitidezza dell’immagine e, di conseguenza, il costo dell’endoscopio. Le dimensioni medie di una fibra di vetro sono di 8-12 µ di diametro ed in un fascio se ne trovano fino a 40.000. I fasci di fibre incoerenti sono raggruppati in modo casuale e trasmettono la luce utilizzata soltanto per l’illuminazione; pertanto, risultano molto meno costosi da produrre. Le fibre incoerenti vengono utilizzate per l’illuminazione in tutti gli endoscopi moderni, da quelli video ai laparoscopi rigidi. I fasci di fibre ottiche in vetro sono molto fragili e si possono danneggiare facilmente. La presenza di fibre spezzate nel fascio destinato alla trasmissione dell’immagine provoca la comparsa su quest’ultima di punti neri. Il danneggiamento delle fibre da illuminazione causa semplicemente una minore trasmissione della luce.
ANATOMIA DELL’ENDOSCOPIO A FIBRE OTTICHE Esistono fondamentalmente due tipi di endoscopi utilizzabili per l’esame gastroenterico, quelli a fibre ottiche ed i videoendoscopi. I primi incorporano fasci di fibre di vetro per la trasmissione delle immagini che vengono visualizzate a livello dell’impugnatura dello strumento. Il videoendoscopio è considerevolmente diverso, in quando contiene un piccolo videochip microelettronico localizzato in corrispondenza dell’estremità distale del tubo di inseri214
mento. L’immagine viene quindi trasmessa elettronicamente ad un videoprocessore e ad un monitor televisivo, dove può essere visualizzata. L’endoscopio a fibre ottiche è costituito da parecchie sezioni: la sonda tubolare, l’impugnatura ed il cordone. La sonda tubolare è flessibile e contiene tutti i fasci di fibre di vetro, sia quelli destinati alla trasmissione dell’immagine, che quelli deputati all’illuminazione. Inoltre, il tubo contiene un canale da aspirazione-biopsia, uno per il passaggio di aria o acqua ed i cavi per guidare il movimento dell’estremità distale. La lunghezza ed il diametro della sonda sono importanti fattori da prendere in considerazione al momento di scegliere l’endoscopio da destinare all’uso veterinario. Per l’endoscopia gastroenterica nel cane e nel gatto si possono fornire le seguenti indicazioni. L’endoscopio gastroenterico deve essere dotato di una sonda tubolare lunga come minimo 100 cm. Questa è la lunghezza standard della maggior parte degli endoscopi per l’esame del tratto gastroenterico superiore nell’uomo. Si potrà osservare che in alcuni casi questa misura è troppo breve per la valutazione del duodeno in cani grossa taglia. Ciò può sembrare sorprendente, ma l’esofago di un cane di 40 kg è molto più lungo di quello di un uomo di 75 kg. La lunghezza di un endoscopio ideale sarebbe di 125-130 cm per garantire un’adeguata penetrazione nel duodeno. Attualmente, esistono parecchi endoscopi per uso veterinario dotati di sonde più lunghe (fino a 150 cm) che contribuiscono a ridurre questo problema. L’endoscopio gastroenterico ideale dovrebbe avere un sistema di controllo direzionale dell’estremità distale a 4 vie, con la possibilità di flettere verso il basso l’estremità distale di almeno 180° e preferibilmente di 210°. Una flessione adeguata consente l’esame mediante retroflessione di rinofaringe, stomaco e retto. Gli altri tre angoli di curvatura devono essere come minimo di 90°. In commercio si trovano ancora endoscopi con deflessione della punta a due vie, ma sono molto più difficili da guidare perché per dirigerli è necessaria la contemporanea rotazione manuale della sonda tubolare. Ciò ne limita la versatilità per l’esame dello stomaco e, in particolare, per l’introduzione nel duodeno. Bisogna anche prendere in considerazione il diametro del tubo. Quello ideale, sia nel cane che nel gatto, varia da 7,0 a 9,0 mm. Il limite di 10 mm di diametro rappresenta il valore critico per consentire il passaggio dell’endoscopio attraverso il piloro e nel duodeno dei piccoli animali. La maggior parte degli endoscopi pediatrici per uso umano presenta un diametro ideale. Gli endoscopi di diametro minore (< 7 mm) di solito sono dotati di un sistema di controllo a due vie soltanto e sono troppo flessibili per un’adeguata valutazione gastroenterica. Gli strumenti per uso umano destinati all’impiego negli adulti generalmente hanno un diametro variabile da 10 a 12,8 mm e sono troppo grandi per l’impiego nei piccoli animali. I colosco215
pi umani sono più lunghi, ma le maggiori dimensioni del loro diametro, la rigidità ed il limitato angolo di deflessione della punta ne limitano l’impiego per l’endoscopia del tratto gastroenterico superiore. I broncoscopi per uso umano non sono soddisfacenti per l’endoscopia gastroenterica perché sono corti, hanno un sistema di controllo a due vie ed un diametro limitato e non consentono di effettuare con facilità l’introduzione di aria ed acqua e l’aspirazione. Si può giungere ad un compromesso con endoscopi di diametro minore. L’immagine è di solito più piccola e meno illuminata e la sonda tubolare è più flessibile. Inoltre, il canale bioptico o operatorio ha un diametro minore. Tale canale (che misura circa 2,0 mm) accoglie soltanto pinze da biopsia di piccole dimensioni e, quindi, consente solo il prelievo di campioni limitati. Utilizzando canali di maggiori dimensioni, sia l’aspirazione che il prelievo di campioni bioptici forniscono risultati migliori.! L’impugnatura è la porzione di endoscopio dove sono situati i comandi di controllo ed ospita l’oculare per la visualizzazione. Quest’ultimo è dotato di un anello di regolazione della diottra che deve essere adattata all’occhio dell’operatore prima di iniziare l’endoscopia. Nell’impugnatura si trovano le manopole di controllo per la deviazione in alto/basso e verso destra/sinistra. La maggior parte degli endoscopi è dotata di sistemi per bloccare in posizione queste manopole. Ciò rende più facile per l’endoscopista mantenere una data posizione mentre utilizza una mano per introdurre nello strumento le pinze da biopsia o per eseguire altre manualità. La valvola dell’aria/acqua è localizzata nell’impugnatura e quando si esercita su di essa una lieve pressione spinge l’aria attraverso l’endoscopio determinando l’insufflazione dell’organo. La depressione della valvola consente di spruzzare acqua sulla lente dell’endoscopio per pulirla. La depressione della seconda valvola esita nell’aspirazione del gas o del fluido attraverso il canale operatorio. Esiste poi un condotto a parte in cui è possibile introdurre pinze o altri strumenti. Va notato che l’aspirazione risulta impossibile quando nel canale operatorio ci sono degli strumenti. Il cordone dell’endoscopio trasmette la luce dalla fonte luminosa attraverso i fasci di fibre ottiche ed inoltre contiene il tubo da aspirazione e quello dell’aria/acqua. Per l’endoscopia è necessaria una fonte luminosa fredda. Le possibili opzioni sono rappresentate da fonti luminose ad alta intensità, alogene o allo xenon, da 150 o 300 watt. Il wattaggio più elevato determina una maggiore illuminazione. Inoltre, le fonti luminose da endoscopia contengono anche una pompa dell’aria necessaria all’insufflazione del lume gastroenterico. Per l’endoscopia serve anche un sistema di aspirazione, che però di solito non fa parte di quello della fonte luminosa. 216
ACCESSORI ENDOSCOPICI Esiste un’ampia varietà di accessori che può essere fatta passare attraverso il canale operatorio. Tuttavia, solo alcuni di essi sono essenziali, come le pinze da biopsia, quelle da rimozione da corpo estraneo e gli spazzolini per il prelievo dei campioni citologici ed i tubi da aspirazione. Esistono numerose pinze da biopsia tissutale quali quelle standard ovali, quelle ovali fenestrate e quelle a coccodrillo. Le pinze fenestrate non determinano un notevole artefatto da schiacciamento e tendono a consentire di prelevare campioni di grandi dimensioni. Quelle a coccodrillo generalmente portano ad ottenere campioni più grandi perché lacerano il tessuto, ma determinano anche un considerevole schiacciamento. Entrambi i tipi di pinza sono disponibili con un ago o dente centrale che tende ad ancorare lo strumento alla mucosa impedendogli di scivolare lungo il tessuto. L’autore raccomanda l’impiego di pinze con questo ago centrale. Le pinze da biopsia devono essere tenute pulite, affilate e ben lubrificate. Non devono mai essere utilizzate per estrarre materiali diversi dai campioni bioptici. Esistono diversi tipi di pinze e cestelli che si possono utilizzare per la rimozione dei corpi estranei. Fondamentalmente, vi sono tre tipi di pinze: quelle in filo metallico a 3 o 4 denti, quelle “a dente di topo” e quelle di “a becco d’anatra”. Le pinze dentate sono utili per i grandi oggetti irregolari, quelle a dente di topo per afferrare i lembi di stoffa o altri materiali morbidi e quelle a becco d’anatra per gli oggetti appiattiti come le monete. I cestelli in filo metallico a tre o quattro anse sono necessari per rimuovere gli oggetti di grandi dimensioni come i sassi. L’autore suggerisce di disporre di due differenti strumenti per la rimozione dei corpi estranei: delle pinze a 2 o 3 denti e un cestello in filo metallico. Con questi due strumenti è possibile rimuovere la maggior parte dei corpi estranei.
TECNICA Prima di iniziare l’endoscopia, si deve controllare l’endoscopio per assicurarsi che si trovi in condizioni di operare e che i comandi dell’aspirazione dell’aria/acqua siano efficienti. Bisogna anche avere a portata di mano le pinze da biopsia, gli spazzolini e gli altri strumenti necessari al prelievo di campioni bioptici. Tutti gli endoscopi sono progettati per essere tenuti con la mano sinistra. L’autore suggerisce di utilizzare la “tecnica delle tre dita”, che prevede di tenere l’endoscopio con il terzo, quarto e quinto dito della mano sinistra. Con l’indice si controllano le valvole di 217
aspirazione e di immissione dell’aria/acqua, mentre sulla manopola che controlla il movimento in alto/in basso dell’endoscopio si agisce con il pollice della stessa mano. Sulla manopola che regola il movimento verso sinistra/destra si agisce invece con la mano destra, che viene impiegata anche per far avanzare la sonda tubolare. Durante la progressione, l’endoscopio va tenuto il più possibile diritto verso il paziente, per mantenere un orientamento appropriato. La maggior parte degli endoscopi è anche dotata di sistemi di bloccaggio delle manopole di controllo che fissano lo strumento nella posizione assunta. Dopo aver eseguito la procedura endoscopica è importante pulire adeguatamente lo strumento per disinfettarlo e mantenerlo in adeguate condizioni funzionali, in modo da prolungarne la vita utile. È consigliabile seguire le istruzioni del produttore. L’autore utilizza di routine il Novalsan® per pulire e disinfettare l’endoscopio. È importante spazzolare e ripulire in modo adeguato il canale da biopsia/aspirazione. Di solito, non è necessario sterilizzare completamente lo strumento fra un uso e l’altro. Gli strumenti collaterali come le pinze da biopsia e quelle da corpo estraneo devono essere puliti. Sangue, muco o altre secrezioni essiccate sulle pinze spesso le “bloccano” impedendo loro di funzionare. Inoltre, è necessaria una lubrificazione con silicone o olio minerale. Per pulire le pinze da biopsia funzionano bene gli strumenti ad ultrasuoni. L’endoscopio deve essere conservato appeso in uno sgabuzzino piuttosto che nella confezione con cui è stato venduto. Ciò consente il drenaggio e l’asciugatura dello strumento e permette di tenere la sonda tubolare sempre in posizione diritta.
INDICAZIONI PER L’ENDOSCOPIA Le indicazioni dell’endoscopia gastroenterica si sono evolute con il tempo, sino a trasformare questo mezzo d’indagine un importante strumento diagnostico e terapeutico nei piccoli animali. Una volta considerata un metodo aggiuntivo rispetto agli altri, è oggi forse il più importante strumento per la valutazione dei pazienti che mostrano segni gastroenterici. Ciò vale in particolare per gli animali colpiti da affezioni della mucosa intestinale. Gli studi contrastografici con il bario non sono considerati abbastanza sensibili per delineare molti dei disordini della mucosa dell’apparato digerente. Varie prove di assorbimento intestinale non consentono di individuare con precisione la malattia. L’endoscopia ha il vantaggio di permettere non solo l’esame visivo della superficie mucosa, ma anche il prelievo di campioni bioptici da destinare alla valutazione istologica. Per lo studio dei 218
disordini della motilità gastroenterica o delle lesioni ostruttive o segmentali del digiuno o dell’ileo che non possono essere raggiunte dall’endoscopio il mezzo d’elezione è ancora rappresentato dalla radiologia. Le indicazioni generali per l’endoscopia sono rappresentate da segni clinici gastroenterici inspiegabili, riscontri radiografici di anomalie esofagee, gastriche, duodenali o coliche, o prelievo di un campione bioptico di mucosa. Occasionalmente, negli animali con segni gastroenterici inspiegabili, anche dopo una valutazione completa, si riesce a giungere alla diagnosi attraverso l’endoscopia. Ad esempio, l’autore ha osservato parecchi cani con adenocarcinoma gastrico portati alla visita soltanto perché presentavano anoressia, ma non mostravano vomito ed erano considerati normali sulla base degli studi contrastografici. L’anoressia inspiegabile è stata il motivo che ha indicato l’endoscopia. Questa è diventata sempre più utile come metodo per ottenere un campione bioptico della mucosa intestinale in animali con sospette malattie infiltranti del viscere. Sembra che le biopsie duodenali abbiano la stessa probabilità di quelle ottenute da qualsiasi altro segmento del tratto intestinale di mostrare i segni delle affezioni della mucosa. La loro negatività nei casi di sospette patologie della mucosa del tenue richiede ovviamente il ricorso ad un prelievo chirurgico delle biopsie per una diagnosi definitiva. L’endoscopia offre la possibilità di ispezionare visivamente la superficie della mucosa e prelevare campioni di tessuto con le apposite pinze da biopsia. Una modificazione della struttura della mucosa suggerisce una malattia a carattere infiltrante, ma è sempre necessaria una valutazione istologica. Le variazioni del colore della mucosa non consentono sempre di prevedere il tipo di malattia presente. Si possono prelevare altri campioni utilizzando spazzole da biopsia o tubi da aspirazione per l’analisi citologica. I campioni citologici vengono esaminati alla ricerca di elementi infiammatori, parassiti o neoplasie. È anche possibile eseguire la coltura quantitativa dei campioni di fluido prelevati dal tratto prossimale del duodeno per stabilire il numero totale di batteri e determinare l’eventuale esistenza di una proliferazione, quantificare le IgA o effettuare altre analisi sul contenuto luminale. L’endoscopia è diventata un importante strumento terapeutico per la rimozione dei corpi estranei gastroenterici, la dilatazione guidata mediante olive o palloncini delle stenosi esofagee e l’inserimento di sonde da gastrotomia sotto controllo endoscopico per via percutanea (PEG). L’endoscopia sta diventando un importante mezzo di ricerca in gastroenterologia. Ad esempio, è stata usata nel cane per graduare il danno della mucosa gastrica indotto dalla somministrazione di flunixin e valutare la guarigione dell’ulcera gastrica dopo terapia con ranitidina. 219
Indicazioni per l’endoscopia gastroenterica Segni clinici
Tecniche
Rigurgito Disfagia Conati Vomito Ematemesi Nausea Anoressia inspiegabile Salivazione inspiegabile Diarrea Melena Dischezia Costipazione
Biopsia della mucosa gastroenterica Valutazione della terapia Rimozione dei corpi estranei Inserimento di una sonda PEG Coltura duodenale
POTENZIALITÀ DIAGNOSTICHE DELL’ENDOSCOPIA Negli anni, l’elenco dei disordini diagnosticati attraverso l’endoscopia è andato crescendo costantemente e sono state acquisite esperienza e conoscenza sempre maggiori sulle malattie dell’apparato digerente. Senza dubbio, i nuovi riscontri diagnostici e le applicazioni terapeutiche continueranno ad evolvere. Ad esempio, l’autore ha recentemente messo a punto una tecnica di conferma endoscopica delle ernie iatali che non aveva mai osservato prima. È importante rendersi conto che esistono anche dei limiti all’endoscopia. Questi sono in parte anche basati sulle caratteristiche fisiche della sonda, sia per quanto riguarda il diametro che la lunghezza. Nei cani di grossa taglia, è possibile visualizzare solo primo tratto prossimale del duodeno, a causa dell’insufficiente lunghezza dell’endoscopio. Anche il diametro può limitare il passaggio attraverso il tratto gastroenterico. Non si deve mai cercare di far progredire lo strumento esercitando una pressione elevata. In un caso, un piccolo gatto è stato sottoposto ad endoscopia con un endoscopio da 9,5 mm, e in quell’occasione si incontrarono difficoltà a progredire attraverso il duodeno. Il gatto venne in seguito sottoposto ad intervento chirurgico per il prelievo di biopsie intestinali a tutto spessore e, come riscontro incidentale, si osservò che il margine antimesenterico della sierosa duodenale era lacerato longitudinalmente per 8 cm. Questo gatto guarì senza manifestare problemi riferibili a questa complicazione. La perforazione gastroenterica conseguente all’endoscopia o al prelievo di biopsie per via endoscopica costituisce una complicazione molto rara. Un altro dei fattori limitanti è dato dalle dimensioni dei campioni bioptici che si possono prelevare. Gli endoscopi di diametro minore presentano cana220
li da biopsia più piccoli e, quindi, consentono di utilizzare pinze di minori dimensioni. Indipendentemente dalle dimensioni di questi strumenti, in genere si riescono ad ottenere campioni bioptici solo della mucosa. Si devono prelevare molteplici campioni di tessuto sia normale che di aspetto alterato. Nei casi di lesioni della sottomucosa, come il leiomioma gastrico o, talvolta, l’adenocarcinoma dello stomaco, il tessuto della mucosa appare istologicamente normale. In alcuni pazienti è anche utile il prelievo di campioni citologici mediante spazzolatura. Infine, le possibilità dell’endoscopia sono limitate in una certa misura dalle dimensioni dei corpi estranei gastroenterici che è possibile rimuovere. Ciò è dovuto in parte alla forma del corpo estraneo ed al tipo di pinze utilizzate. Spesso i problemi insorgono durante la retrazione dell’oggetto dallo stomaco attraverso lo sfintere esofageo caudale.
221
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David C. Twedt DVM, Dipl ACVIM Colorado State University, USA
Reperti endoscopici normali e patologici dell’apparato digerente Sabato, 26 ottobre 2002, ore 11.30
223
ESOFAGOSCOPIA L’esofagoscopia è un importante mezzo diagnostico per la valutazione degli animali con affezioni esofagee. Generalmente, viene effettuata dopo gli esami radiografici in bianco o con mezzo di contrasto (bario). In molti casi, gli studi contrastografici non sono abbastanza sensibili da delineare le affezioni della mucosa esofagea. L’endoscopia di solito non serve a valutare i disordini della motilità dell’organo. L’esofagoscopia terapeutica è indicata per la diagnosi e la rimozione dei corpi estranei e per la direzione endoscopica dei dilatatori esofagei, nonché per il trattamento delle stenosi dell’organo. Gli endoscopi gastroenterici flessibili standard con un diametro esterno di 7-10 mm sono ideali per la valutazione dell’esofago del cane e del gatto. Lo strumentario occorrente è rappresentato da pinze da biopsia e da corpo estraneo. Come accessori si può disporre di dilatatori a palloncino o ad oliva (c.d. bougie) per il trattamento delle stenosi esofagee. Per valutare l’organo ed eliminare alcuni corpi estranei, si possono anche utilizzare gli esofagoscopi rigidi. Attraverso il centro di questi strumenti è possibile far passare delle robuste pinze da corpo estraneo per rimuovere oggetti di grandi dimensioni come le ossa. È consigliabile disporre di parecchi endoscopi rigidi di vari diametri, specifici per la rimozione dei corpi estranei esofagei. L’esofagoscopia va eseguita in anestesia generale, utilizzando un tubo orotracheale, con il cane in decubito laterale sinistro. Estendendo la testa ed il collo dell’animale, si introduce l’endoscopio attraverso la parte orale della faringe e lo sfintere esofageo craniale. Se la sonda viene diretta verso uno dei recessi piriformi localizzati su ciascun lato della laringe, si può incontrare una certa resistenza. Una volta che l’endoscopio è giunto nella parte prossimale del corpo dell’esofago, il lume dell’organo viene insufflato con aria. Non si deve far avanzare l’endoscopio senza visualizzare il lume. Se quest’ultimo non viene disteso dall’insufflazione, è possibile eseguire una compressione manuale appena al di sotto della laringe, per evitare che l’aria sfugga attraverso sfintere esofageo craniale. Negli animali con corpi estranei esofagei o sospette perforazioni dell’organo è necessario stare attenti, durante l’insufflazione dell’esofago, a prevenire uno pneumotorace iperteso. L’esofago normale deve essere di colore rosa-biancastro e lucente. Quando il lume viene disteso dall’aria, è possibile visualizzare l’impronta della trachea contro la sua parte cervicale. Man mano che l’endoscopio viene fatto avanzare nell’esofago toracico, diventano visibili le pulsazioni dell’aorta e del cuore contro la parete dell’organo. L’esofago si deve distendere facilmente e le pliche longitudinali si devono appiattire e lisciare. All’interno del lume dell’organo deve essere presente una scarsa quantità di fluidi che non siano riferibili ad un po’ di saliva deglutita. 224
Il tratto distale dell’esofago del gatto è caratterizzato da una muscolatura liscia ed endoscopicamente si presenta sotto forma di una serie di strie circolari che si estendono sino allo sfintere esofageo caudale. Nella parte distale dell’esofago del gatto, ma non del cane, sono anche visibili i vasi sanguigni sottomucosi. Nell’animale normale, lo sfintere esofageo caudale (LES, lower esophageal sphincter) di solito è chiuso. A livello di questo sfintere è presente una demarcazione fra esofago e stomaco, dove risulta evidente il colore più rosso della mucosa gastrica. Questa giunzione è indicata col nome di rosetta gastrica. Il riscontro di uno sfintere esofageo caudale dilatato o aperto, anche se talvolta normale, suggerisce un disordine da reflusso gastroesofageo se è presente una concomitante esofagite distale. L’endoscopio deve essere fatto passare attraverso il lume dello sfintere e, una volta penetrato nello stomaco, retroflesso in direzione orale per visualizzarlo dal lato gastrico.
MEGAESOFAGO L’endoscopia non è utile per formulare la diagnosi di megaesofago, che deve essere confermata radiograficamente. Quando si effettua l’endoscopia in un paziente con megaesofago si deve prestare molta attenzione al potenziale rischio di polmonite ab ingestis. L’endoscopia permette di rilevare stenosi, esofagiti o altre potenziali eziologie di dilatazione esofagea. Viene anche utilizzata per l’inserimento di una sonda da gastrostomia in alcuni pazienti con megaesofago per garantire un mezzo di apporto nutrizionale.
CORPI ESTRANEI ESOFAGEI Una volta formulata la diagnosi di corpo estraneo esofageo, si raccomanda la pronta rimozione. Il danno della mucosa e le complicazioni secondarie sono tanto maggiori quanto più a lungo il corpo estraneo resta nell’esofago. I più comuni corpi estranei esofagei sono rappresentati dalle ossa. Queste di solito si arrestano nel tratto distale dell’esofago, al di sopra della base del cuore o dell’ingresso del torace. I primi tentativi devono essere finalizzati alla rimozione endoscopica conservativa del corpo estraneo. Se l’intervento endoscopico fallisce, o se si riscontrano segni di perforazione esofagea, è indicata la chirurgia. I vari metodi conservativi sono rappresentati da introduzione di una sonda gastrica per smuovere il corpo estraneo, rimozione assistita con catetere di Foley ed esofagoscopia. Le attuali indicazioni suggeriscono di utilizzare l’esofagoscopia rigida o quella a fibre ottiche. Con gli endoscopi flessibili a fibre ottiche è possibile rimuovere molti piccoli corpi estranei esofagei utilizzando 225
varie pinze da prensione o cestelli in filo metallico. Lo svantaggio della rimozione mediante endoscopi flessibili è rappresentato dalle ridotte dimensioni degli strumenti utilizzabili per afferrare i corpi estranei. Per asportare oggetti di dimensioni maggiori come le ossa spesso bisogna utilizzare pinze rigide più pesanti e dotate di denti. Queste possono essere fatte passare vicino all’endoscopio flessibile, oppure attraverso uno rigido. Il vantaggio di quest’ultimo è che dilata meccanicamente l’esofago. Dentro questi strumenti è quindi possibile far passare delle pinze più grandi per rimuovere il corpo estraneo che, spesso, può essere tirato all’interno della sonda per essere facilmente rimosso. Nei casi in cui non è possibile estrarre per via orale le grandi ossa situate nella parte distale dell’esofago o altri corpi estranei, bisogna cercare di spingerli nello stomaco. Qui le ossa generalmente possono essere lasciate per andare incontro infine alla digestione. Altri materiali possono richiedere una rimozione mediante gastrostomia. Dopo la rimozione endoscopica del corpo estraneo, l’esofago deve essere accuratamente valutato. Le lacerazioni che non si estendono attraverso la parete dell’organo o le perforazioni di piccole dimensioni possono essere lasciate guarire da sole. Le lacerazioni a tutto spessore o le estese aree di necrosi spesso richiedono un intervento chirurgico. Gli ami da pesca a punta singola fissati ad una lenza vengono rimossi con facilità semplicemente sfilando quest’ultima attraverso un esofagoscopio rigido. La sonda viene quindi fatta avanzare sino a livello dell’amo, che poi viene spinto lontano dalla parete esofagea e tirato all’interno del condotto attraverso la lenza. L’amo, la lenza e l’esofagoscopio vengono quindi sfilati dall’esofago. Il follow-up prevede il digiuno del paziente per 24-48 ore. Si devono trattare in modo appropriato l’esofagite o la potenziale esofagite da reflusso. Se il danno esofageo è grave, bisogna inserire una sonda da alimentazione da gastrostomia, per assicurare un’adeguata nutrizione lasciando a riposo l’esofago. In caso di ulcerazione transmucosa di estensione pari o superiore a 180°, l’incidenza di una stenosi esofagea secondaria è elevata. In tali casi, per prevenire questo tipo di formazione, si deve prendere in considerazione l’attuazione di una terapia antinfiammatoria con corticosteroidi. Gli animali che mostrano segni di piccole perforazioni o contaminazioni mediastiniche vengono trattati con antibiotici ad ampio spettro. I corpi estranei che non possono essere rimossi per via endoscopica richiedono l’asportazione chirurgica.
ESOFAGITE L’aspetto dell’esofagite è caratterizzato da eritema, erosioni e irregolarità. In questi casi può essere presente soltanto un’abbondante quantità di saliva e 226
muco all’interno del lume. L’esofagite può essere dovuta a trauma meccanico diretto, ingestione di sostanze tossiche o reflusso di acido gastrico. L’endoscopia rappresenta il miglior metodo clinico per documentare le alterazioni della mucosa compatibili con l’esofagite da reflusso. Nella maggior parte dei cani e dei gatti normali, ma non in tutti, lo sfintere esofageo caudale deve essere chiuso; il riscontro endoscopico di uno sfintere grande ed aperto associato ad un arrossamento iperemico della parte distale della mucosa esofagea è compatibile con un riflusso gastroesofageo. La presenza di una mucosa friabile e sanguinante o il ristagno di fluido gastrico all’interno del lume deve far sospettare l’esistenza di questo disordine. Le biopsie esofagee prelevate durante l’endoscopia mostrano l’infiammazione della mucosa. Poiché la flogosi esofagea può esitare nella riduzione della pressione dello sfintere esofageo caudale con complicazioni di reflusso gastroesofageo, si deve anche avviare il trattamento dell’esofagite da reflusso.
ERNIA IATALE Il tipo più comune di ernia iatale nel cane e nel gatto è quella caratterizzata da uno scivolamento che provoca la dislocazione craniale dell’esofago addominale, della giunzione gastroesofagea e di una porzione di stomaco attraverso lo iato esofageo ingrandito e lasso. La condizione è di solito intermittente. L’ernia iatale da scivolamento può essere congenita o acquisita. Gli aumenti della pressione intratoracica negativa durante l’inspirazione in animali con ostruzione delle vie aeree possono predisporre alla dislocazione dello iato esofageo nella cavità toracica. Ernie iatali sono state segnalate anche secondariamente al tetano in due cani con concomitante megaesofago. In genere i disordini della giunzione gastroesofagea vengono diagnosticati radiograficamente. Le immagini senza mezzo di contrasto possono evidenziare una dilatazione esofagea ed un aumento della radiopacità del tratto distale dell’esofago, della giunzione gastroesofagea e dello stomaco all’interno del tratto caudale dell’esofago. Per diagnosticare un’ernia iatale da scivolamento, sono generalmente richiesti gli studi contrastografici eseguiti con il bario. La diagnosi viene confermata dalla dimostrazione della dislocazione craniale della giunzione gastroesofagea e dello stomaco nel mediastino toracico caudale. Dal momento che l’ernia iatale è spesso intermittente, per confermare la diagnosi può essere necessario effettuare ripetute indagini mediante fluoroscopia. Le contrastografie con bario nei cani con ernia iatale da scivolamento mostrano anche il reflusso passivo del contenuto gastrico nell’esofago. Esercitando una pressione addominale diretta o ostruendo manualmente le vie aeree superiori è possibile migliorare le 227
probabilità di dimostrare un’ernia iatale da scivolamento intermittente. Se lo stomaco non è dislocato nella posizione erniata, può darsi che non si osservino segni radiografici di ernia iatale anche in presenza di manifestazioni di patologie esofagee. L’endoscopia fornisce ulteriori prove dell’ernia iatale da scivolamento. Il riscontro di un’esofagite da reflusso contribuisce a confortare la diagnosi. L’endoscopio deve essere introdotto nello stomaco e retroflesso per visualizzare lo sfintere esofageo caudale dal lato gastrico. Quando lo stomaco viene insufflato con aria, si può avere una dislocazione craniale dello sfintere e della regione del cardias attraverso uno iato esofageo indebolito o ingrossato nel diaframma. A livello del cardias si può osservare l’impronta determinata dai margini dello iato esofageo ingrossato. Il riscontro endoscopico di una dislocazione craniale dello sfintere esofageo caudale e delle grandi dimensioni dello iato esofageo, associato ai segni clinici appropriati, è indicativo di ernia iatale da scivolamento.
DIVERTICOLI ESOFAGEI I diverticoli si presentano sotto forma di dilatazioni sacciformi o di estroflessioni di uno o più strati della parete esofagea. La conseguenza di queste anomalie è rappresentata da disturbi della normale motilità dell’organo o accumulo di cibo e fluidi all’interno del diverticolo, con conseguente comparsa di segni di patologia esofagea. Le manifestazioni cliniche dei diverticoli sono dovute all’ammassarsi di cibo o fluidi nelle estroflessioni dell’esofago. Le lesioni di piccole dimensioni possono essere asintomatiche, mentre quelle grandi di solito esitano nella comparsa di gravi segni clinici associati a difficoltà dopo l’assunzione dei pasti. Altre manifestazioni sono rappresentate da odinofagia, conati e rigurgito. Nel cane sono stati descritti atassia, rigidità durante la deambulazione e segni di disagio. Alcuni diverticoli possono progredire fino a determinare una grave stasi esofagea ed infine una perforazione, con conseguenti manifestazioni di mediastinite e patologia respiratoria. Le indagini radiografiche possono rivelare la presenza di una massa piena d’aria o caratterizzata dalla radiopacità dei tessuti molli adiacenti all’esofago. In alcuni casi, è difficile differenziare un diverticolo esofageo da una massa mediastinica o polmonare, per cui occorre un’esofagografia con mezzo di contrasto (bario). L’endoscopia risulta particolarmente utile per determinare la localizzazione e le dimensioni del difetto della parete esofagea e per identificare altre anomalie dell’organo associate alla condizione. 228
STENOSI ESOFAGEE La formazione delle stenosi è comunemente associata ad anestesia generale e reflusso enterogastrico, danneggiamento della mucosa e successiva formazione di stenosi. Si sospetta che l’associazione di preanestetici ed anestetici, la cattiva preparazione del paziente (cibo nello stomaco) ed il suo posizionamento possano predisporre al reflusso acido gastrico. Il metodo migliore per identificare il restringimento segmentale dell’esofago è rappresentato dalle contrastografie riprese con bario misto a cibo. Le stenosi si possono presentare sotto forma di strette bande fibrose o lunghe lesioni segmentali. Quelle intraparietali non vanno confuse con le anomalie dell’anello vascolare e le masse periesofagee o quelle intraluminali. L’endoscopia rappresenta un metodo migliore per identificare la presenza e le caratteristiche della maggior parte delle stenosi intraluminali. Sia nel cane che nel gatto con stenosi esofagee è stata descritta una tecnica basata sull’impiego di cateteri a palloncino, con buoni risultati. Nella stenosi, sotto controllo endoscopico o fluoroscopico, si fa avanzare uno speciale catetere in polietilene (Rigiflex Dilators, Microvasive Inc., Milford Mass). Una volta all’interno del restringimento, il palloncino viene insufflato, monitorando contemporaneamente la pressione intraluminale con un manometro. Si utilizzano cateteri con palloncini via via più grandi fino a che non si ottiene un’adeguata dilatazione esofagea. Il vantaggio dell’impiego di questa tecnica rispetto ai dilatatori ad oliva è che consente di applicare una maggiore forza radiale per espandere la stenosi, mentre l’altra metodica comporta un maggior rischio di perforazione dovuto alle forze di taglio applicate dallo strumento. Burke riferisce il successo in 6 casi sottoposti a procedure di dilatazione con catetere a palloncino. Talvolta può essere necessario ripetere il trattamento ad intervalli di una o due settimane fino a che non si ottiene un adeguato diametro del lume. Sono anche state pubblicate segnalazioni aneddotiche relative all’impiego dei manicotti dei tubi orotracheali o di cateteri di Foley per dilatare le stenosi esofagee. Dopo la dilatazione della stenosi, talvolta è indicato l’inserimento di una sonda da gastrostomia per aggirare l’esofago e garantire l’apporto nutrizionale. Si deve anche instaurare una terapia volta a prevenire il danneggiamento derivante dal reflusso gastroesofageo. È indicato un trattamento basato sull’impiego di sucralfato liquido, omeprazolo e metoclopramide o cisapride. I corticosteroidi prevengono la fibrosi esofagea e vanno somministrati dopo la dilatazione per evitare l’ulteriore formazione di stenosi. Inizialmente si utilizza il prednisone alla dose di 1-2 mg/kg suddivisi in due trattamenti giornalieri e poi si riduce gradualmente la posologia nell’arco di un periodo di 10-14 giorni. Il paziente deve essere rivalutato radiograficamente o endoscopica229
mente ad intervalli di circa 1-2 settimane per rilevare la presenza di stenosi e sottoposto a nuova dilatazione fino a che non si riscontra il mantenimento di un lume esofageo di dimensioni adeguate. In uno studio condotto sulle stenosi esofagee presso il CSU è stato riscontrato che per ottenere una percentuale di successo dell’80% (definendo il successo come la capacità di poter alimentare normalmente l’animale con una dieta umida), erano necessarie in media tre dilatazioni ad intervalli settimanali.
ANOMALIE DELL’ANELLO VASCOLARE Le anomalie associate all’anello vascolare sono malformazioni congenite dei grossi vasi e/o delle loro ramificazioni. La percentuale di campioni anatomici di origine canina che presentano qualche tipo di anomalia dei grossi vasi può arrivare al 20%, ma è solo la normale relazione di tali vasi che determina l’intrappolamento dell’esofago e, di conseguenza, la comparsa dei segni clinici dell’ostruzione esofagea. Occasionalmente, è possibile apprezzare con la palpazione una dilatazione dell’organo nella regione cervicale sinistra. La diagnosi di anomalia dell’anello vascolare viene formulata routinariamente utilizzando le radiografie con mezzo di contrasto (bario) che evidenziano una dilatazione esofagea cranialmente alla base del cuore. In rari casi si può anche avere una dilatazione dell’esofago caudalmente al cuore. L’endoscopia è utile per confermare la diagnosi differenziando una stenosi intraluminale dalla compressione extraluminale determinata dai vasi sanguigni. In quest’ultimo caso, nell’area del restringimento dell’esofago è possibile osservare la pulsazione dei grossi vasi. I cani con persistenza dell’arco aortico destro (PRAA) presentano generalmente uno stomaco centrale stretto, mentre altre anomalie dell’anello vascolare possono essere caratterizzate da tasche cieche o restringimenti esofagei eccentrici.
NEOPLASIE ESOFAGEE Le neoplasie sono poco comuni e costituiscono meno dello 0,5 % delle totalità delle forme tumorali del cane e del gatto. Le neoplasie esofagee possono essere primarie o costituite da una massa periesofagea o una lesione metastatica. I più comuni tumori benigni dell’esofago sono i leiomiomi. Queste neoformazioni si osservano di solito come riscontri incidentali, a meno che non siano abbastanza grandi da ostruire il lume esofageo. Nella maggior parte dei casi i leiomiomi originano nell’area dello sfintere esofageo caudale. I papillomi esofagei sono tumori benigni che occasionalmente si 230
osservano nell’esofago e possono essere la conseguenza di alterazioni infiammatorie croniche. Il carcinoma squamocellulare è la più comune neoplasia maligna esofagea primaria del gatto. Si riscontra con maggiore frequenza nelle femmine anziane ed è localizzata nel terzo medio dell’esofago, appena caudalmente all’ingresso del torace. Sembra esistere una predisposizione geografica per questo tumore, dal momento che è stata riconosciuta un’incidenza elevata nei gatti in Gran Bretagna. L’esofagoscopia consente la valutazione visiva del lume esofageo ed offre la possibilità di prelevare campioni bioptici di mucosa.
GASTROSCOPIA Il paziente deve essere tenuto a digiuno per almeno 12-24 ore prima dell’intervento. Per assicurarsi che l’animale non danneggi l’endoscopio, è necessaria l’anestesia generale. Si deve inserire un tubo orotracheale per evitare i fenomeni di aspirazione. Si utilizza anche un apribocca per evitare che l’animale morda il tubo utilizzato per l’inserimento dello strumento. Prima dell’endoscopia gastrica, il paziente deve essere posto in decubito laterale sinistro. Ciò fa sì che quando lo stomaco viene insufflato il piloro si sollevi nell’addome senza subire la pressione dei tessuti adiacenti. Questa posizione è quella che consente la migliore valutazione dell’antro e del piloro e la più facile penetrazione nel duodeno. Dopo aver esaminato l’esofago, l’endoscopio viene delicatamente fatto passare nel lume gastrico attraverso lo sfintere esofageo caudale. Una volta nello stomaco, il lume viene insufflato con aria. La mucosa è più rossa di quella dell’esofago e sono presenti le pliche rugose. Quando il lume viene disteso, queste ultime si appiattiscono. Una volta acquisita una certa esperienza nella valutazione dello stomaco, è possibile praticare inizialmente un’insufflazione di entità minima, per far avanzare lo strumento fino al piloro. L’eccessiva distensione fa si che l’endoscopio segua la parete della grande curvatura dello stomaco e limita la lunghezza del tratto di sonda disponibile per arrivare sino al piloro. Una volta che il lume sia stato disteso e siano evidenti le pliche rugose, si deve trovare l’area dell’antro pilorico. Di solito, l’endoscopio viene diretto a livello della grande curvatura del corpo del viscere. Le pliche rugose decorrono sino all’antro e l’endoscopio deve seguire questa direzione. In questo modo la sonda viene diretta lungo la grande curvatura verso l’incisura angolare (o angolo gastrico) che si presenta sotto forma di una plica che attraversa l’estremità distale del corpo dello stomaco. Si tratta di un importante punto di repere anatomico, che divide la piccola curvatura dall’antro. 231
L’avanzamento dell’endoscopio sino all’antro può talvolta risultare difficile. Ciò vale soprattutto nei cani in cui lo stomaco è eccessivamente disteso e l’endoscopio tende ad avvolgersi ad ansa all’interno del viscere. Avanzando ulteriormente, l’estremità distale può compiere solo un minimo movimento in avanti o, paradossalmente, ripiegarsi all’indietro quando l’endoscopio viene fatto avanzare. Ciò si verifica perché la pressione esercitata dalla sonda si distribuisce allo stomaco e si espande lungo la grande curvatura. L’estremità distale dello strumento può anche ribaltarsi sull’incisura ed avanzare sino al cardias piuttosto che al piloro. Spesso è possibile rimediare a questo problema retraendo l’endoscopio e rimuovendo la maggior parte dell’aria prima di indirizzare nuovamente la sonda. Un’altra manipolazione consiste nel tenere l’estremità distale vicina alla mucosa della grande curvatura e scivolare alla cieca nell’antro. È anche possibile usufruire di un assistente che eserciti una pressione esterna sulla parte ventrale destra dell’addome spostando lo stomaco in modo di favorire l’avanzamento dell’endoscopio. L’antro dello stomaco è privo della maggior parte delle pliche rugose. Si possono osservare delle contrazioni peristaltiche e si deve identificare il piloro e penetrarvi per esaminare la parte prossimale del tenue. Una volta esaminato l’intestino, lo stomaco viene insufflato a sufficienza e sottoposto ad una valutazione completa. Le pliche rugose si appiattiscono e l’organo si distende. Dopo 12 ore di digiuno, nel lume non deve essere presente del cibo. La mucosa è liscia e di colore rosso rosato ed è più chiara nell’antro pilorico. Talvolta, si può riscontrare un aspetto a chiazze con aritmia. Ciò è solitamente dovuto a variazioni dell’apporto ematico locale e ad irritazione della parte. Nel lume può essere normalmente presente una piccola quantità di fluido limpido o striato di bile. Una volta terminata la valutazione dell’antro e del corpo dello stomaco, l’endoscopio viene retroflesso con la cosiddetta manovra “J”, che richiede una rotazione in senso antiorario dell’estremità dello strumento. Ciò consente la visualizzazione della piccola curvatura della regione del cardias dello stomaco. È possibile osservare l’endoscopio che penetra attraverso lo sfintere esofageo caudale. Quest’ultimo deve essere chiuso e stretto intorno alla sonda. L’operatore deve sempre essere consapevole della quantità di aria introdotta nello stomaco, per evitare una distensione eccessiva. Questa spesso provoca nel paziente conati riflessi e vomito. La tendenza è di aumentare il livello di anestesia, mentre la soluzione consiste di solito nell’eliminare il gas in eccesso. L’autore si serve dell’aiuto di tecnici esterni per valutare accuratamente e frequentemente la distensione addominale mediante frequenti palpazioni dell’addome durante l’endoscopia. Al termine della procedura, tutta l’aria deve essere aspirata fuori dal lume prima di retrarre l’endoscopio. 232
TECNICHE DI BIOPSIA Il prelievo di biopsie della mucosa deve essere effettuato ogni volta che un cane viene sottoposto ad endoscopia. Le pinze da biopsia d’elezione sono quelle ovali a coppa o a coccodrillo, entrambe dotate di un dente di ancoraggio. Quando si prelevano i campioni bioptici, le pinze devono essere dirette perpendicolarmente al tessuto, che deve essere afferrato e poi tirato fino a determinarne il distacco. Se non sono direttamente perpendicolari, le pinze possono scivolare lungo il tessuto e di solito non consentono di prelevare campioni adeguati; tuttavia, l’uso di pinze dotate di un dente contribuisce ad evitare lo scivolamento degli strumenti. Per facilitare il prelievo delle biopsie è consigliabile sgonfiare l’organo per ridurre la tensione nel lume al fine di afferrare adeguatamente il tessuto. Da ogni sede anatomica dello stomaco, si devono prelevare due o tre campioni. Sembra esistere una considerevole discordanza fra l’aspetto endoscopico e l’interpretazione istologica. In effetti, è stato detto…”la nostra capacità di interpretare i campioni bioptici è rimasta indietro rispetto ai progressi delle tecniche di prelievo”. La mucosa può apparire normale in molte condizioni infiammatorie o neoplastiche. Il tessuto di aspetto anomalo può essere istologicamente normale in una percentuale di casi che può arrivare al 30%. La presenza di emorragia ed edema della mucosa permette come minimo di prevedere il riscontro di anomalie istologiche. Alla maggior parte di queste ultime sono associate friabilità e granularità della mucosa, con un’accuratezza prossima all’80% secondo quanto segnalato in letteratura. Durante la manipolazione dei campioni bioptici bisogna fare molta attenzione. L’autore generalmente li appoggia su un pezzetto di carta assorbente che poi ripiega delicatamente prima di immergere il tutto in formalina. È necessario individuare un istopatologo disposto a lavorare con campioni così piccoli. Il prelievo di elementi citologici mediante spazzolatura costituisce un’utile integrazione dell’endoscopia e della biopsia endoscopica. La citologia offre una valutazione diagnostica di un materiale superficiale che può andare perduto nell’elaborazione dei campioni tissutali. Batteri, protozoi e parassiti che risiedono nella mucosa possono sfuggire alle indagini istologiche, ma spesso vengono rilevati con le tecniche citologiche. L’aspirazione dei fluidi è un altro metodo per ottenere materiale da destinare alla citologia.
GASTRITE L’infiammazione gastrica costituisce un’evenienza comune, la cui eziologia nella maggior parte dei casi non viene mai determinata. È molto probabi233
le che la causa della gastrite cronica sia rappresentata da agenti presenti nel lume dello stomaco che provocano un insulto diretto o che riescono a penetrare in modo anomalo nell’organo a causa di un’alterazione della barriera della mucosa gastrica. Possono svolgere questa funzione tutti i fattori quali vari agenti chimici, sostanze presenti nella dieta (allergie o intolleranze alimentari) e farmaci. Anche le cause infettive come i miceti, i batteri ed i parassiti sono fattori da tenere presenti nell’eziologia della gastrite. Recentemente, nello stomaco dei cani e dei gatti con gastrite linfoplasmocitaria cronica è stato identificato un batterio spirale, Helicobacter. L’incidenza ed il significato clinico di questo microrganismo responsabile della gastrite cronica sono ancora oggetto di studio. Infine, può anche darsi che esista una gastrite su base immunomediata. È stato ipotizzato che dopo un insulto iniziale della mucosa gastrica si possa verificare il rilascio nello stomaco di vari antigeni che, quando vengono processati dal sistema immunitario, innescano un’autodistruzione della mucosa.
HELICOBACTER La diagnosi definitiva dell’infezione da Helicobacter spp. richiede la positività degli esami colturali e l’isolamento del microrganismo. Attualmente, possono essere isolati in coltura Helicobacter heilmannii ed Helicobacter felis, che però sono difficili da individuare perché necessitano di tecniche specializzate non disponibili presso la maggior parte dei laboratori diagnostici. La diagnosi clinica si basa sull’identificazione dei microrganismi in una biopsia gastrica mediante colorazione argentica o di Giemsa modificata. Poiché le lesioni sono spesso distribuite in modo irregolare è necessario prelevare molteplici campioni bioptici. Le aree di massima concentrazione dei batteri sono rappresentate dalla regione del fondo e del cardias, nonché dall’antro. Le tecniche di microscopia elettronica costituiscono l’unico modo per differenziare Helicobacter felis da H. heilmannii. La diagnosi provvisoria può essere formulata sulla base dell’esame citologico dei campioni prelevati per spazzolatura della mucosa gastrica, in cui si evidenziano molti piccoli microrganismi spiraliformi nel muco gastrico, oppure dimostrando la presenza di batteri ureasi-produttori. Si inocula un piccolo campione di biopsia endoscopica in brodo con urea contenente un indicatore di pH al rosso fenolo, che evidenzia la produzione di ureasi batterica attraverso la scissione dell’urea in ammoniaca con conseguente viraggio di colore del terreno a rosa-rosso. In commercio si trovano parecchi kit per rilevare la presenza di batteri ureasi-produttori (CLO test), ma le provette da coltura microbiologica con urea utilizzate di routine funzionano bene e sono molto poco costose. La positività del test esita 234
in un viraggio di colore entro 12 ore dall’inoculazione. Al momento attuale, non sono disponibili test sierologici per la diagnosi di Helicobacter nel cane e nel gatto.
PARASSITI Di fronte ad un cane o un gatto che presenta vomito cronico associato ad una debilitazione di minima entità si devono sempre prendere in considerazione i parassiti gastroenterici. Giardia e gli ascaridi vengono di solito diagnosticati utilizzando le tecniche di esame delle feci appropriate e sono causa di vomito. Ollulanus tricuspis, un parassita dello stomaco del gatto, può essere più comune di quanto non si ritenesse un tempo. Nei felini, è causa di vomito cronico e tendenza a risultare sottopeso per l’età. Viene descritto vomito intermittente di muco, bile o cibo. Possono essere colpiti più gatti in un nucleo familiare. Il parassita è caratterizzato da un ciclo vitale diretto, con trasmissione oro-orale, per cui le uova non vengono eliminate con le feci e non si osservano negli esami coprologici. La diagnosi di infestazione da Ollulanus tricuspis si formula esaminando il vomito al microscopio a basso ingrandimento e ricercando parassiti nematodi “simili alle microfilarie”, della lunghezza di circa 0,75 mm. È possibile ottenere campioni di fluido gastrico sia per endoscopia che inducendo il vomito, per raccogliere il fluido emesso, somministrando xilazina (0,44 mg/kg IM). Il parassita sembra essere eliminato dal pyrantel pamoato o dal fenbendazolo (50 mg/kg/die per 3-5 giorni). Secondo quanto segnalato, Ollulanus tricuspis è associato ad infiltrati infiammatori cronici della mucosa di entità variabile. Anche il parassita Physaloptera si trova nello stomaco e nella parte prossimale del duodeno e può causare vomito cronico. Non è raro trovare solo uno o due elminti responsabili di segni clinici significativi. Physaloptera è presente in tutti gli Stati Uniti nonché in altre parti del mondo e l’ospite intermedio è rappresentato da vari artropodi. Sebbene sia possibile, è estremamente raro osservare le uova nelle feci degli animali colpiti esaminate per flottazione. Nella maggior parte dei casi la diagnosi viene formulata nel corso dell’endoscopia visualizzando il parassita nello stomaco o nella parte prossimale del duodeno.
ULCERA GASTRICA Col termine di ulcera si indicano dei difetti macroscopicamente rilevabili della mucosa dello stomaco. La maggior parte di queste alterazioni si presen235
ta sotto forma di molteplici erosioni della mucosa, superficiali e di piccole dimensioni. È raro osservare l’ulcera concettualmente tipica, caratterizzata da una singola grande erosione “crateriforme”. Gli animali con ulcerazione gastrica vomitano sangue che può apparire rosso brillante (sangue fresco) o, più frequentemente, avere un aspetto “a fondi di caffè” per essere rimasto nello stomaco ed essere andato incontro alla digestione acida. Tuttavia, è importante notare che un cane può essere colpito da ulcera gastrica senza mostrare evidenti segni clinici. Con la perdita ematica cronica, diviene palese la perdita di ferro, che esita in un’anemia microcitica ipocromica. La presenza di sangue nel tratto gastroenterico determina spesso un aumento dell’azotemia, mentre la creatinina risulta normale (reperto discordante). Lo squilibrio è dovuto all’elevato contenuto proteico del sangue. Nei casi di sospetta ulcerazione gastroenterica si deve effettuare la ricerca di sangue occulto nelle feci. Gli studi condotti suggeriscono che questo tipo di esame è in grado di rilevare quantità di appena 5-10 ml. Quando si esegue la ricerca del sangue occulto è importante evitare che il paziente consumi una dieta a base di carne che potrebbe portare a risultati falsi positivi. Il metodo migliore per diagnosticare un’ulcera gastrica è l’esame endoscopico. Questo consente di identificare tutte le ulcere gastriche duodenali e costituisce un mezzo per prelevare campioni bioptici di mucosa ed escludere la presenza di neoplasie o corpi estranei. L’indagine radiografica non è molto affidabile per l’identificazione delle ulcere. È difficile visualizzare i grandi crateri ulcerosi, mentre le piccole erosioni della mucosa non vengono identificate con gli studi contrastografici (bario).
IPERTROFIA DELLA MUCOSA DELL’ANTRO PILORICO Si tratta di una condizione caratterizzata da ipertrofia della mucosa gastrica nella regione ventrale e pilorica dello stomaco che esita in un’ostruzione del deflusso gastrico. Nella maggior parte dei casi questa patologia si osserva nei cani di piccola taglia e di media età o più anziani. Molti di questi animali vengono descritti come nervosi o molto eccitabili. I segni clinici sono quelli del vomito cronico di cibo o secrezione gastrica. L’eziologia della condizione è sconosciuta. È possibile che svolgano un ruolo fattori quali lo stress cronico, gli stimoli nervosi o l’infiammazione cronica. Possono intervenire anche la gastrina e l’istamina, due elementi che svolgono un’azione trofica sulla mucosa gastrica. La diagnosi viene formulata sulla base dell’identificazione della ritenzione gastrica nelle immagini contrastografiche, grazie alle pliche di mucosa della regione antrale dello stomaco. Normalmente, in quest’area non devono essere 236
presenti pliche rugose. L’endoscopia conferma la presenza di un’ipertrofia della mucosa. La terapia consiste nell’intervento chirurgico, per il quale viene riferito un tasso di successo dell’80%. I possibili interventi da prendere in considerazione sono la piloroplastica semplice, quella ad Y-U e la tecnica di Bilroth I.
NEOPLASIA GASTRICA Esistono diversi tipi di neoplasie dello stomaco del cane e del gatto. I tumori benigni sono rappresentati da polipi che spesso costituiscono un riscontro accidentale, a meno che non ostruiscano lo svuotamento gastrico, e dai leiomiomi. Questi ultimi sono costituiti da masse lisce sottomucose, frequentemente localizzate nella regione del cardias dello stomaco. Anch’essi non causano problemi, a meno che si verifichino ulcerazioni od ostruzioni meccaniche. Il linfosarcoma gastrico è più comune nel gatto ed origina sotto forma di grande lesione a massa, in genere nel corpo dello stomaco. Può essere presente un’ulcerazione. L’adenocarcinoma gastrico è la più comune neoplasia del cane. La sua localizzazione, in ordine di preferenza, è a livello di piloro-antro, piccola curvatura e infine grande curvatura. Spesso è presente un’ulcerazione, ma alcuni possono svilupparsi solo con un coinvolgimento della sottomucosa. Lo stomaco diviene rigido e non si distende. Le pliche rugose possono essere grandi e prominenti e non si appiattiscono con l’insufflazione. A causa del coinvolgimento della sottomucosa si devono prelevare biopsie profonde attraverso ripetuti campionamenti della stessa area.
DUODENOSCOPIA L’endoscopia del piccolo intestino è diventata un mezzo estremamente utile e caratterizzato da un’invasività minima per prelevare biopsie intestinali. Risulta molto importante nella diagnosi dei vari tipi di infiammazione intestinale. I limiti dell’enteroscopia sono dati dalla lunghezza degli endoscopi e, in secondo luogo, dal limite massimo raggiungibile facendo avanzare l’endoscopio e dalla difficoltà di far passare la sonda attraverso il piloro. Un altro limite è che si possono ottenere solo piccole biopsie della mucosa, che possono non riflettere la malattia intestinale presente. La valutazione dell’ileo viene effettuata durante la coloscopia e richiede un’appropriata preparazione del colon. Il principale svantaggio è che non è possibile valutare completamente il piccolo intestino. Poiché è meno invasiva dell’intervento chirurgico e consente di ridurre il ricovero ospedaliero, l’endoscopia rappresenta un mezzo diagnostico importante in caso di malattia intestinale. 237
INDICAZIONI Le indicazioni per l’enteroscopia sono rappresentate da affezioni del tenue, diarrea, vomito, ematemesi, melena e perdita di peso. Anche il vomito cronico può rappresentare una ragione per il ricorso alla biopsia intestinale, perché le flogosi enteriche spesso si presentano solo con questo segno clinico. I soggetti in cui i test di laboratorio indicano un’enteropatia proteinodisperdente devono essere sottoposti all’endoscopia. Il fluido duodenale può essere prelevato per aspirazione e raccolto in provette da destinare agli esami colturali e citologici.
TECNICA Il paziente deve essere tenuto a digiuno per almeno 12-24 ore prima dell’intervento. È necessaria l’anestesia generale per assicurarsi che l’animale non danneggi l’endoscopio. Si deve inserire un tubo orotracheale per evitare i fenomeni di aspirazione. Si utilizza anche un apribocca per impedire all’animale di mordere il tubo attraverso il quale viene inserita la sonda. Prima di eseguire l’endoscopia, il paziente viene posto in decubito laterale sinistro. Ciò lascia il piloro sollevato dall’addome quando lo stomaco viene insufflato, senza la pressione esercitata dai tessuti adiacenti. Questa è la posizione con cui risulta più facile valutare l’antro del piloro e penetrare nel duodeno. Il lume dell’esofago, dello stomaco e del duodeno va disteso con l’aria e l’endoscopio viene fatto avanzare solo quando si riesce a visualizzare l’interno dei vari visceri. L’operatore deve sempre essere consapevole della quantità di aria introdotta nello stomaco e nell’intestino, per evitare un’eccessiva distensione. Al termine della procedura, tutta l’aria deve essere rimossa dal lume mediante aspirazione. Quando si prevede di eseguire un’endoscopia intestinale, si deve far avanzare rapidamente la sonda attraverso lo stomaco riducendo al minimo la distensione, allo scopo di raggiungere direttamente il piloro ed attraversarlo. Lo stomaco viene quindi valutato dopo l’intestino. L’eccessiva distensione gastrica rende difficile penetrare nel piloro. Far avanzare l’endoscopio attraverso il piloro è la parte più difficile e più frustrante dell’esame. Per avere successo, è necessaria una considerevole esperienza nella manipolazione dello strumento e, talvolta, una certa fortuna. Una volta che l’endoscopio abbia raggiunto il piloro, si può osservare se il canale pilorico è aperto o chiuso. Un canale aperto di solito rende più facile la penetrazione. Non sembrano esistere farmaci capaci di determinare questo effetto. Gli studi che hanno valutato la metoclopramide, per la quale è stata 238
segnalata la capacità di aumentare la motilità e l’apertura del canale pilorico, hanno riscontrato che non è di alcuna utilità per favorire la penetrazione nel duodeno. Il glucagone è ipotensivo per il tratto gastroenterico e può essere utile, ma non sono stati condotti studi per valutarne l’efficacia nel cane e nel gatto. Inoltre, si tratta di un agente molto costoso, che però viene utilizzato in medicina umana ed è altamente efficace. Per favorire l’avanzamento dell’endoscopio attraverso il piloro, l’autore preferisce, se possibile, evitare i narcotici. L’eliminazione di questi farmaci dall’elenco dei preanestetici da utilizzare sembra agevolare la progressione della sonda a livello pilorico. Non utilizzare l’atropina può anche avere qualche vantaggio, ma non esistono studi controllati che abbiano valutato narcotici ed atropina. La chiave per l’ingresso nel piloro è tenere il canale pilorico al centro del campo man mano che l’endoscopio viene fatto avanzare lentamente. Talvolta, il canale è difficile da trovare se è chiuso e le pliche antrali ne occultano l’apertura. In questi casi è necessario sondare l’area con le pinze da biopsia per trovare la via di accesso. Il lento avanzamento con l’endoscopio mantenuto al centro del canale esita nella penetrazione della sonda nel duodeno o nella sua retroflessione nello stomaco. Quando l’endoscopio si muove più facilmente, probabilmente si è retroflesso nello stomaco. Non si deve esercitare una pressione eccessiva e rapida sul piloro per avanzare lungo il canale. Quando, dopo aver effettuato molteplici tentativi, risulta impossibile penetrare nel piloro, l’autore utilizza una pinza da biopsia come guida per trovare l’entrata. Queste pinze vengono introdotte per parecchi cm nel duodeno e poi fatte avanzare lungo il viscere dirigendo accuratamente l’endoscopio. Alcuni hanno descritto una tecnica che prevede di introdurre le pinze nel duodeno, aprirne l’estremità destinata al prelievo delle biopsie, afferrare la mucosa ed infine far avanzare l’endoscopio sopra le pinze così “fissate”. Al momento del passaggio attraverso il canale, si può percepire una lieve sensazione di avanzamento. Una volta nel duodeno l’estremità dell’endoscopio di solito viene a contatto della parete, per cui l’operatore “vede rosso”. Ciò è dovuto alla netta curvatura del bulbo duodenale. Girando l’endoscopio con l’estremità verso il basso e verso destra spesso se ne facilita la progressione. Insufflando aria e muovendo la sonda su e giù e da destra a sinistra è possibile individuare e visualizzare il canale duodenale. La progressione lungo il canale pilorico risulta di solito più facile nei gatti utilizzando un endoscopio pediatrico, più piccolo. Dal momento che l’antro si immette nel canale pilorico ed il bulbo duodenale è meno angolato, spesso si penetra dritti nell’intestino. Spesso per far avanzare l’endoscopio attraverso il piloro è necessario esercitare una considerevole pressione, che però non deve essere eccessiva. 239
In condizioni normali il duodeno si presenta di colore variabile da rosa a rossastro a giallo rosso nel cane e da crema a rosa rossastro nel gatto. La mucosa è spesso vellutata o di aspetto frondoso per la presenza dei villi. Con l’insufflazione del lume, l’aspetto granulare scompare. Nel tratto discendente del duodeno si identificano le placche di Peyer o noduli linfoidi, che si presentano come pseudoulcere (noduli con una bassa incisura centrale). Di solito è possibile vedere le papille duodenali. Nel cane ce ne sono due: quella prossimale (principale) che contiene un dotto pancreatico ed il dotto biliare ed è localizzata sulla parete mediale, a 3-5 cm di distanza dal piloro, e quella minore, contenente il dotto pancreatico maggiore, che si trova sulla parete dorsale a 2-3 cm dalla prima. Nel gatto esiste solo la papilla duodenale maggiore, che contiene insieme il dotto biliare comune e quello pancreatico. Nei piccoli animali l’endoscopio può talvolta essere fatto avanzare fino al digiuno. Le modificazioni della struttura della mucosa sono indicative di malattie a carattere infiltrante, ma è comunque sempre necessaria la valutazione istologica. Un cambiamento del colore della mucosa non segnala sempre una patologia. Esistono due metodi per ottenere campioni bioptici del piccolo intestino. Il primo è la tecnica di prelievo alla cieca, che prevede di far avanzare le pinze fino a che non si incontra una resistenza, di solito localizzata a livello della giunzione fra duodeno ascendente e discendente. Si aprono le pinze e si prelevano i campioni. Nelle situazioni in cui non è possibile far avanzare alcun endoscopio fino nel duodeno le pinze possono essere spinte attraverso il canale pilorico per prelevare campioni bioptici alla cieca. Il secondo metodo prevede un prelievo sotto controllo visivo, in cui le pinze sono tenute inclinate rispetto alla parete e affondate nella mucosa. In questo modo capita frequentemente che le pinze scivolino lungo la mucosa. Le pinze da biopsia, dotate di un dente centrale, spesso consentono di evitare questa complicazione. Per favorire l’esecuzione del prelievo è consigliabile sgonfiare l’organo in modo da ridurre la tensione nel lume e consentire di afferrare adeguatamente il tessuto. Il sanguinamento in genere è minimo. Durante l’endoscopia si possono anche effettuare il prelievo di fluidi per aspirazione e quello di campioni citologici per spazzolatura. Utilizzando spazzole da biopsia o provette da aspirazione si possono ottenere altri campioni da destinare all’analisi citologica. Questo materiale viene esaminato alla ricerca di elementi infiammatori, parassiti o neoplasie. I fluidi prelevati dal tratto prossimale del duodeno possono anche essere utilizzati per allestire colture quantitative, al fine di determinare il numero totale dei batteri presenti ed identificare un’eventuale proliferazione; è anche possibile effettuare la quantificazione delle IgA o altre analisi sul contenuto luminale. 240
Esistono numerose condizioni capaci di causare una diarrea cronica nel cane e nel gatto. Per ciascun paziente si deve adottare un approccio sistematico e formulare una diagnosi appropriata o determinare le possibili eziologie prima di iniziare la terapia. Giardia è un protozoo flagellato capace di causare diarrea acuta e cronica nel cane e nel gatto. Si trova in tutto il mondo e spesso viene diagnosticato con una frequenza minore della sua reale diffusione. Si devono allestire strisci fecali diretti per identificare i trofozoiti mobili, ma secondo quanto è stato segnalato questo esame è caratterizzato da un tasso di successo molto basso. La flottazione delle feci in solfato di zinco è considerata il test d’elezione per l’identificazione delle cisti. Il solfato di zinco ha un peso specifico inferiore e non distrugge le cisti altrettanto rapidamente, ma la centrifugazione o flottazione deve essere rapida (< 15 minuti) perché in caso contrario le cisti vanno incontro a distruzione anche con il solfato di zinco. È stato segnalato che eseguendo tre esami per flottazione (uno al giorno), si aumenta fino all’85-90% il riscontro del parassita nei cani positivi. Si può anche formulare una diagnosi mediante biopsia intestinale o aspirazione duodenale. In uno studio condotto in cani affetti da Giardia il confronto fra aspirati duodenali e flottazione fecale ha fatto rilevare un’accuratezza dell’89% per gli aspirati ed una correttezza del 50% circa per la flottazione. Quando si esegue l’enteroscopia bisogna sempre prelevare un campione di fluido duodenale mediante aspirazione. L’insufficienza del pancreas esocrino (EPI) nel cane è una condizione comune che si verifica quando la funzione secretoria della ghiandola viene ridotta del 90% o più. Le eziologie più comuni sono l’atrofia pancreatica giovanile o una sequela di una pancreatite cronica. I test di laboratorio di routine non risultano utili ai fini della diagnosi di EPI. L’endoscopia non consente di identificare questa condizione, ma permette di escludere una concomitante infiammazione intestinale o una proliferazione batterica. Le infiammazioni intestinali (IBD, inflammatory bowel disease) idiopatiche vengono di solito classificate sulla base del tipo di flogosi presente nel tratto gastroenterico e del quadro predominante. I riscontri endoscopici sono molto variabili. È stato segnalato che fino al 65% dei casi di cani e gatti può presentare una mucosa intestinale normale all’esame endoscopico pur essendo affetto da IBD. Le modificazioni possono essere rappresentate da mucosa irregolare, nodularità e variazioni di colore. Queste non sono specifiche e non riflettono la gravità della malattia. È importante rendersi conto che non è possibile diagnosticare l’enterite linfoplasmocitaria con la sola biopsia, perché molte malattie croniche possono esitare in infiammazioni intestinali. Inoltre, le lesioni possono avere una distribuzione a chiazze ed una biopsia può non riflettere la gravità dei segni 241
clinici. Bisogna far attenzione ad interpretare un referto istologico che riferisca una lieve enterite linfoplasmocitaria, dal momento che in molti cani e gatti normali si osserva un lieve aumento numerico di linfociti e plasmacellule. Quando la biopsia evidenzia alterazioni moderate o gravi con anomalie dell’architettura (come lo smussamento dei villi), l’enterite linfoplasmocitaria può essere la vera diagnosi. Se si osserva un numero elevato di linfociti infiltrato nella sottomucosa, l’eziologia può essere rappresentata da un linfosarcoma. È necessario essere consapevoli del fatto che l’enterite linfoplasmocitaria può progredire fino a questa neoplasia. Occasionalmente si osservano anemie in cui è presente una discordanza fra i segni clinici, gravi, ed i riscontri istologici, lievi. Spesso non esiste alcuna spiegazione per alcuni di questi casi. L’enterite granulomatosa è un’infiammazione intestinale poco comune caratterizzata da flogosi con aggregati di istiociti nella lamina propria. Questa condizione si osserva sia nel cane che nel gatto. La mucosa, così come viene visualizzata endoscopicamente, è di solito sempre irregolare e presenta una superficie granulare, spesso ulcerata. La lesione è generalmente segmentale, e di solito coinvolge nel processo granulomatoso l’ileo, il colon o il retto. Esita in restringimento del lume ed ulcerazione e rigidità della mucosa. Sembra a tutti gli effetti un adenocarcinoma intestinale scirroso. La proliferazione batterica è una condizione scarsamente compresa che si verifica sia nel cane che nel gatto. La regolazione del numero dei microrganismi presenti dipende da molti fattori quali la secrezione acida dello stomaco, le secrezioni intestinali, l’immunità locale, la mobilità e la dieta. Di conseguenza, esistono numerose possibili condizioni capaci di esitare in un aumento della microflora e nella conseguente comparsa dei segni clinici. Il problema può insorgere a partire da un disordine primario della motilità, un’ostruzione parziale, una riduzione della produzione di acido da parte dello stomaco o un’insufficienza del pancreas esocrino (EPI), oppure può essere idiopatico. Nel pastore tedesco è stata identificata una proliferazione batterica primaria che viene ritenuta secondaria ad una diminuzione delle concentrazioni intestinali di IgA. La diagnosi di proliferazione batterica del tenue (small intestinal bacterial overgrowth, SIBO) deve seguire gli stessi percorsi diagnostici di quella dell’enterite linfoplasmocitaria. Al momento attuale non esiste alcun test che da solo consenta di identificare la condizione. Il cosiddetto “standard aureo” è stato la quantificazione del numero dei batteri nel tratto prossimale del tenue dopo un digiuno di 8 ore; con questo test, è considerato anormale il riscontro di più di 105 unità formanti colonia/ml. Nei gatti si riscontrano valori più elevati, con concentrazioni > 106 negli animali normali. Di conseguenza, per la conferma della diagnosi è necessaria la coltura del succo duodenale, prelevato endoscopicamente oppure nel corso di una laparotomia. 242
La linfangectasia è un disordine comune dall’eziologia sconosciuta ed associato ad una marcata dilatazione dei vasi linfatici della mucosa e della sottomucosa dell’intestino. Viene segnalata come la più comune causa di enteropatia proteinodisperdente. La compromissione del drenaggio intestinale causata dall’ostruzione del normale flusso linfatico conduce ad una stasi del chilo nei vasi chiliferi e linfatici dilatati della parete intestinale e del mesentere. I vasi chiliferi distesi lasciano quindi fuoriuscire le linfa (proteine, grasso e linfociti) nel lume intestinale. La conseguenza funzionale della linfangectasia è rappresentata da panipoproteinemia, linfopenia, ipocolesterolemia e malassorbimento dei grassi. La formulazione della diagnosi richiede l’esclusione di tutte le altre cause di riduzione dei livelli proteici. Enterite linfoplasmocitaria, linfosarcoma intestinale ed istoplasmosi sono solo alcuni esempi di enteropatie proteinodisperdenti. La diagnosi definitiva richiede l’identificazione delle caratteristiche lesioni istologiche. Endoscopicamente, i villi appaiono dilatati con vasi chiliferi prominenti ed estremità di colore bianco. Talvolta, offrendo all’animale una piccola quantità di grasso diverse ore prima dell’esame endoscopico si riescono a delineare meglio i villi. Nel corso dell’intervento chirurgico, di solito si osserva una rete evidente di vasi linfatici distesi e di colore bianco-lattiginoso. Spesso si osservano placche bianche nodulari sulla superficie dell’intestino e nel mesentere, rappresentate da lipogranulomi. Si tratta di accumuli locali di macrofagi carichi di lipidi che esitano in una perdita di linfa nel tessuto perilinfatico. La neoplasia intestinale può talvolta essere diagnosticata endoscopicamente. Il diffuso linfosarcoma intestinale può apparire normale o come una forma di IBD con irregolarità della mucosa. Le lesioni neoplastiche focali (linfoma, adenocarcinoma, leiomioma, ecc…) esitano spesso in ulcerazioni o irregolarità della mucosa o restringimento del diametro del lume. Spesso si riscontrano i segni di un sanguinamento gastroenterico o di un’ostruzione intestinale. Gli altri riscontri osservati talvolta durante l’endoscopia intestinale sono rappresentati da parassiti gastroenterici (ascaridi, Physaloptera o cestodi) e corpi estranei. L’ulcera duodenale è poco comune, ma si può avere in presenza di condizioni che esitano in un aumento della produzione di acido gastrico o in seguito alla somministrazione di farmaci antinfiammatori non steroidei.
COLOSCOPIA La coloscopia va eseguita negli animali che mostrano segni clinici di diarrea del crasso. Queste manifestazioni sono rappresentate da tenesmo con emissione di feci di volume ridotto contenenti muco o sangue. Si può avere 243
un aumento dell’urgenza e della frequenza e, occasionalmente, dischezia. Altre indicazioni sono rappresentate da costipazione cronica od ostruzione. In alcuni casi di diarrea del tenue, le biopsie del colon possono consentire la formulazione di una diagnosi grazie al contemporaneo coinvolgimento del grosso intestino. Prima dell’esame endoscopico è indicata una completa valutazione di laboratorio, compresa la ricerca coprologica dei parassiti. L’esame citologico delle feci o dei raschiati di mucosa oppure le coprocolture possono portare ad una diagnosi e rendere inutile il ricorso all’endoscopia. Il clisma baritato non offre alcuna informazione utile in più di quelle ottenibili con l’endoscopia flessibile. Preparazione del colon – la chiave per il successo della coloscopia è l’adeguata preparazione del paziente. Allo scopo sono stati descritti numerosi protocolli. Quella che segue è la tecnica generalmente utilizzata dall’autore presso la Colorado State University. Per almeno 36 ore, ma preferibilmente 48, si devono sospendere gli alimenti solidi. Di solito l’autore prescrive una soluzione elettrolitica glucosata da somministrare all’animale durante il periodo di digiuno. Circa 24 ore prima dell’esame endoscopico si pratica un clisma di acqua calda (circa 20 ml/kg). Quindi, il giorno prima dell’esame (18-24 ore) si somministra per via orale attraverso una sonda gastrica una soluzione di lavaggio gastroenterico. Si devono impiegare fluidi purganti come il Golytely® o il NuLytely® (Braintee Laboratory), in due dosi a distanza di 2-4 ore alla posologia di 25-30 ml/kg. Queste soluzioni sono ricche di ioni e non causano anomalie elettrolitiche. Impiegate in volumi elevati esitano il diarrea osmotica. Lo svantaggio è che devono essere somministrate in grande quantità attraverso la sonda gastrica. Al mattino del giorno della coloscopia si pratica un secondo clisma di acqua calda. Quindi, a distanza di parecchie ore, si effettua l’esame. Questo protocollo, così come altri analoghi, consente generalmente di ottenere una pulizia del colon adeguata. Per l’esame endoscopico del tratto superiore si utilizzano strumenti flessibili, che consentono la valutazione dell’intero colon, del cieco ed eventualmente, nella maggior parte dei casi, del tratto distale dell’ileo. Con l’endoscopia a fibre ottiche flessibile, nella maggior parte dei casi l’animale deve essere sottoposto ad anestesia generale e collocato in decubito laterale sinistro, in modo che l’ileo ed il cieco si trovino lontani dal tavolo. L’autore esegue la coloscopia in anestesia generale ed evita di ricorrere ai preanestetici narcotici a causa della loro azione sulla motilità del piccolo e grosso intestino. Si effettua un’esplorazione digitale del retto per escludere la presenza di lesioni o diverticoli in questa sede. La sonda deve essere bloccata in posizione rigida e fatta avanzare lungo il retto. In alcuni animali, può essere presente una normale costrizione fisiologica a livello della giunzione fra retto e colon. Con un’accurata manipolazione, l’endoscopio può essere fatto progre244
dire oltre la zona dello spasmo muscolare. Il colon viene dapprima insufflato con aria e l’endoscopio viene fatto avanzare soltanto quando si riesce a visualizzare il lume. Si può evitare che l’aria sfugga dallo sfintere anale esercitando una compressione manuale dello stesso. Qualsiasi fluido presente nel colon viene aspirato e rimosso attraverso l’endoscopio. In condizioni normali il viscere deve presentare una superficie liscia e luccicante, con evidenti vasi sanguigni sottomucosi. La mucosa non deve essere friabile, né sanguinare quando viene toccata. Per far progredire l’endoscopio oltre le curvature splenica ed epatica di solito è necessario impiegare una tecnica di scivolamento alla cieca. Il punto di repere successivo è la giunzione ileocecocolica. Nel cane, il cieco è molto grande e vi si penetra senza rendersene conto, tanto che l’operatore non riesce più a trovare il lume del viscere. La valvola ileocolica è adiacente all’ostio cecale e spesso protrude come uno sfintere ispessito. In alcuni casi è possibile dirigere nell’ileo le pinze da biopsia o anche l’endoscopio. Al termine dell’ispezione visiva la sonda viene ritirata e si effettua il prelievo di campioni bioptici e/o citologici (per spazzolatura). Prima di sfilare l’endoscopio è necessario retrofletterlo (posizione J) in modo da visualizzare dalla parte opposta il retto e la giunzione anorettale. Il più comune riscontro endoscopico è la colite. Il colon è di solito irregolare, non viene ben disteso dall’aria e si osserva una perdita di vasi sanguigni della sottomucosa. La diagnosi viene formulata istologicamente. Altri riscontri sono rappresentati da malattie micotiche (istoplasmosi), neoplasia, polipi e lesioni granulomatose. La colite parassitaria è probabilmente una delle cause più comuni di infiammazione del colon nel cane. Sia gli anchilostomi che i tricocefali possono colpire il tratto prossimale del colon. I segni clinici sono spesso intermittenti, con presenza di sangue e muco al termine della defecazione. Si può anche riscontrare una concomitante colite eosinofilica. I tricocefali di solito si osservano nel cieco e nella parte prossimale del colon e, in rari casi, possono essere associati ad un’inversione cecale. I parassiti determinano spesso un interessamento dalla distribuzione irregolare, frequentemente accompagnato da ulcerazione ed iperemia; spesso si possono osservare direttamente i tricocefali fissati alla mucosa. La colite cronica idiopatica o infiammazione intestinale (IBD) a carico del colon è caratterizzata da popolazioni variabili di elementi infiammatori nella mucosa. All’interno di quest’ultima e negli strati profondi si trovano linfociti, plasmacellule ed infiltrati eosinofilici. L’eziologia della colite cronica è sconosciuta. Non si tratta di una specifica entità patologica, ma piuttosto di una descrizione di infiltrati di cellule infiammatorie dovuti ad un fattore eziologico sottostante. La sua classificazione basata su criteri istologici ed eziologici causa una certa confusione al 245
momento di decidere il ciclo di terapia da attuare. Nella maggior parte dei casi si sospetta che l’agente scatenante sia un fattore intraluminale. Possono essere responsabili della condizione componenti della dieta, agenti infettivi, batteri o loro sottoprodotti, parassiti o, eventualmente, un’estensione di meccanismi immunomediati. La colite eosinofilica sembra essere associata, nella maggior parte dei casi, a fattori parassitari o dietetici. In genere, non viene mai determinato un agente eziologico, neppure nel caso delle infiammazioni per le quali è stato ipotizzato come causa un difetto dell’immunoregolazione del colon. I riscontri endoscopici sono rappresentati da iperemia, aumento di granularità della mucosa, friabilità, perdita di vasi sanguigni sottomucosi, follicoli linfoidi, irregolarità della mucosa ed alterazioni erosive. La superficie può sanguinare facilmente quando viene toccata dall’endoscopio, mentre in condizioni normali il colon è molto resistente ai traumi iatrogeni. Generalmente, risulta coinvolto il tratto discendente del viscere, ma le lesioni possono essere regionali o distribuite con un andamento a chiazze, che indica la necessità di ottenere molteplici campioni bioptici rappresentativi. La colite granulomatosa è di solito regionale ed interessa la parte distale del piccolo intestino o del colon. L’eziologia è sconosciuta e spesso sembra simile a lesioni neoplastiche. La colite istolitica ulcerativa del boxer e quella micotica (istoplasmosi) presentano quadri endoscopici analoghi. I riscontri sono rappresentati da irregolarità della mucosa, emorragia ed ulcerazione di grado variabile e diminuzione della distensibilità della parete. Le lesioni possono esitare in stenosi del colon ed apparire non dissimili dalla neoplasia di questo tratto intestinale. L’inversione cecale o intussuscezione cecocolica e l’intussuscezione ileocolica sono disordini poco comuni. L’inversione cecale esita in un invaginamento del cieco nel lume del colon portando ad un’ostruzione parziale. Nella maggior parte dei casi, si ha in associazione con un’infestazione da tricocefali. Questi si presentano come piccole proiezioni digitiformi di mucosa di aspetto normale nel lume. L’intussuscezione ileocolica appare sotto forma di masse intraluminali lisce di maggiori dimensioni, che generalmente causano un’ostruzione quasi completa del lume del colon. Le biopsie prelevata da entrambe le lesioni consentono di riscontrare soltanto un epitelio normale. I polipi del colon colpiscono generalmente la parte distale del viscere. A causa di questa loro localizzazione, può essere necessario retroflettere l’endoscopio in direzione caudale per visualizzarli. Possono essere singoli o multipli, con un’inserzione peduncolata oppure una base sessile. Le biopsie sono spesso inaffidabili, dal momento che generalmente si riesce a prelevare soltanto la mucosa superficiale. Il trattamento consiste nell’escissione chirurgica o nella polipectomia per via endoscopica mediante ansa metallica. Alcune di 246
queste formazioni sono potenzialmente in grado di presentare un carcinoma in situ o di trasformarsi in una neoplasia maligna. La neoplasia del colon è poco comune nel cane e nel gatto. I segni clinici di solito sono rappresentati da ematochezia, dischezia, tenesmo e diarrea mucoide. I tumori benigni sono gli adenomi ed i leiomiomi. I più comuni fra quelli maligni sono il linfosarcoma e l’adenocarcinoma. La maggior parte prende origine nel colon discendente e nel retto. Gli adenocarcinomi generalmente sembrano simili ad una colite granulomatosa con un’ostruzione del lume del colon. Per la formulazione della diagnosi sono necessari campioni bioptici profondi. Questi si possono ottenere con il prelievo di ripetute biopsie nello stesso punto, al fine di raggiungere il tessuto della sottomucosa situato più profondamente. Il linfosarcoma può insorgere come singola massa patologica o come coinvolgimento diffuso.
247
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David C. Twedt DVM, Dipl ACVIM Colorado State University, USA
Indicazioni e tecniche di laparoscopia Sabato, 26 ottobre 2002, ore 12.30
249
L’endoscopia rigida è una tecnica per la valutazione di varie cavità corporee che utilizza endoscopi appositamente studiati (spesso indicati come telescopi). Le comuni tecniche di endoscopia rigida sono rappresentate da laparoscopia, toracoscopia, cistoscopia e rinoscopia. Per ciascuna di queste procedure verranno descritte le indicazioni, la tecnica e le potenzialità diagnostiche. L’endoscopio rigido è costituito da un tubo di metallo contenente una serie di lenti ottiche ad alta risoluzione per la trasmissione di un’immagine e di fasci di fibre ottiche per la trasmissione della luce destinata all’illuminazione della superficie da visualizzare. Il diametro, la lunghezza ed il campo visivo variano in funzione dell’endoscopio utilizzato. La maggior parte di questi strumenti è dotata di ottiche, ingrandimenti e profondità di campo eccellenti. Quando viene inserito nel lume della cavità, l’endoscopio viene accolto in un trequarti/cannula o manicotto. La cannula consente di insufflare la cavità e protegge l’endoscopio da eventuali danni. Oltre all’endoscopio, è necessario disporre di una fonte luminosa e di un cavo per la trasmissione della luce. Questi cavi sono costituiti da fasci di fibre ottiche in vetro che trasmettono la luce dalla fonte al telescopio. Sono anche disponibili videoendoscopi, essenziali per qualsiasi laparoscopia operatoria. La laparoscopia è una procedura operatoria studiata per la visualizzazione ed il prelievo di campioni bioptici dalla cavità peritoneale e dai suoi organi dopo aver indotto uno pneumoperitoneo. Sulla base del punto di inserimento dell’endoscopio, è possibile visualizzare determinati organi. La laparoscopia non sostituisce la completa esplorazione chirurgica e deve essere giustificata da specifiche indicazioni
INDICAZIONI E CONTROINDICAZIONI Le indicazioni per la laparoscopia diagnostica sono l’esame ed il prelievo di campioni bioptici dagli organi della cavità addominale. La laparoscopia tuttavia non sostituisce l’esplorazione completa dell’addome, ma offre il mezzo per visualizzare certi organi in un determinato momento. È necessario sapere quale procedura si intende eseguire prima di inserire il telescopio, perché attraverso le singole porte è possibile visualizzare solo certi organi. Le indicazioni diagnostiche di base sono elencate nella tabella. 250
Indicazioni per la laparoscopia diagnostica biopsia epatica valutazione del sistema biliare biopsia pancreatica biopsia renale biopsia intestinale valutazione delle surreni valutazione della milza valutazione dell’apparato riproduttore portografia
La laparoscopia chirurgica nei piccoli animali è ancora agli esordi e le tecniche e le procedure per eseguirla sono in via di sviluppo. È limitata dall’immaginazione dell’operatore e dagli strumenti disponibili. Le procedure chirurgiche che sono state eseguite su piccoli animali in ambito clinico sono rappresentate da diversione di ostruzione del dotto biliare, inserimento di sonde da alimentazione da gastrostomia e digiunostomia, surrenalectomia, gastropessi, ovaristerectomia, rimozione di testicoli criptorchidi, cistoscopia transaddominale ed asportazione di calcoli, per citarne solo alcune. Le controindicazioni alla laparoscopia sono scarse o del tutto assenti, grazie alla minima invasività della metodica. Spesso sono buoni candidati a questo tipo di indagine i pazienti ad alto rischio per l’esplorazione chirurgica. L’ascite, le anomalie dei tempi di coagulazione e le cattive condizioni del paziente costituiscono soltanto delle controindicazioni relative. Quelle assolute si hanno unicamente in caso di peritonite settica o quando è indicato chiaramente un intervento chirurgico. La procedura risulta molto difficile nei pazienti molto piccoli (< 3 kg) ed in quelli notevolmente obesi e caratterizzati da un’enorme quantità di grasso intraddominale.
COMPLICAZIONI Il tasso di complicazioni della laparoscopia è basso. In una rassegna dell’autore su oltre 300 casi, è stata riscontrata una percentuale di complicazioni inferiore al 2%. Quelle potenzialmente gravi sono rappresentate da: morte da cause anestetiche o cardiovascolari, sanguinamenti, emboli d’aria e perforazione di organi. Le complicazioni di minore entità sono gli errori dell’operatore, i difetti di funzionamento dell’apparecchiatura e l’enfisema sottocutaneo. 251
APPARECCHIATURA L’apparecchiatura di base necessaria per l’esecuzione della laparoscopia è rappresentata da telescopio con corrispondente unità trequarti/cannula, fonte luminosa, insufflatore ed ago di Veress (da insufflazione). I laparoscopi destinati all’impiego nei piccoli animali hanno un diametro variabile da 5 a 10 mm. L’autore utilizza attualmente una sonda da 5 mm di diametro con un campo visivo di 0° e la trova adeguata alla maggior parte degli animali. Gli endoscopi più piccoli consentono solo una visione limitata e trasmettono una minor quantità di luce per l’illuminazione. L’unità costituita dalla cannula e dal trequarti viene introdotta attraverso la parete addominale, e, dopo la rimozione del trequarti, è destinata ad ospitare il telescopio. Le cannule contengono una valvola che impedisce le perdite di gas insufflati e possiedono un adattatore Leur-lock per l’insufflazione continua di gas. L’ago di Veress è di tipo caricato a molla ed a punta smussa e viene utilizzato per determinare uno pneumoperitoneo. Per mantenere il gas all’interno della cavità addominale si utilizzano vari tipi di insufflatori. Il gas d’elezione per prevenire l’embolizzazione da aria è il biossido di carbonio.
Apparecchiatura di base telescopio da 5 mm (0 gradi) due cannule con trequarti ago di Veress fonte luminosa cavo luminoso insufflatore da CO2 sonde da palpazione pinze da biopsia ovali pinze da biopsia a punch pinze da prensione facoltativo – videocamera e monitor facoltativo – metodi di documentazione fotografica
Per la laparoscopia, sono disponibili numerosi accessori. Fra questi rientrano una varietà di pinze da biopsia, aghi, forbici, pinze da prensione e sonde. Questi strumenti vengono generalmente introdotti attraverso una seconda porta, adiacente al telescopio, costituita da una unità trequarti/cannula più piccola. 252
La principale indicazione per la laparoscopia è il prelievo di campioni bioptici da vari organi. In particolare, è importante la valutazione di fegato, pancreas e rene. Altri organi suscettibili di esame sono la milza, le surreni, le ovaie e l’utero. La valutazione dell’intestino e della prostata risulta difficile. Altre procedure sono la puntura della cistifellea per il prelievo di materiale da destinare agli esami colturali o per l’introduzione di un mezzo di contrasto, la splenoportografia e la misurazione della polpa splenica, l’aspirazione di cisti ovariche e lo svuotamento della vescica. Le potenziali complicazioni, anche se rare, sono quelle riferibili all’anestesia, al sanguinamento, all’eccessiva distensione dell’addome, all’embolizzazione d’aria ed allo pneumotorace.
TECNICA Prima di eseguire la laparoscopia, il paziente deve essere tenuto a digiuno per 12 ore e si deve svuotare la vescica. Le procedure laparoscopiche possono essere attuate sia in anestesia generale che in sedazione profonda, con infiltrazione locale di lidocaina in corrispondenza dei punti di penetrazione. Si stabiliscono i punti di inserimento delle porte. Questi, così come il posizionamento del paziente, dipendono dall’area da esaminare e dalle procedure da eseguire. I due approcci più comuni sono quello laterale destro e quello lungo la linea mediana. Il primo è indicato per la valutazione di fegato, cistifellea, pancreas, duodeno, rene destro e surrene destro. Con questo tipo di approccio, la porta primaria viene a trovarsi nella parte laterale media dell’addome. L’approccio ventrale è utile per determinate procedure operatorie e consente una buona visualizzazione di fegato, cistifellea, pancreas, anse intestinali e milza. Per questo tipo di approccio la porta primaria viene realizzata a livello della linea mediana o in posizione immediatamente adiacente ad essa, vicino all’ombelico. Utilizzando l’approccio ventrale, la visualizzazione è talvolta ostacolata dal legamento falciforme. Occasionalmente si utilizza un approccio laterale sinistro, che però è compromesso dalla localizzazione della milza direttamente al di sotto del punto di penetrazione e dal rischio di indurre un trauma splenico. Con qualsiasi tipo di approccio, il punto di penetrazione può essere spostato cranialmente o caudalmente per assicurare un adeguato spazio di lavoro al laparoscopio. Ciò è talvolta reso necessario dalle dimensioni dell’animale. Ad esempio, quando si valuta un fegato piccolo in un paziente di grossa taglia, il punto di penetrazione viene spesso spostato cranialmente. In un animale molto piccolo, può essere spostato caudalmente per aumentare lo spazio di lavoro. 253
Si esegue la preparazione chirurgica di routine e si delimita la superficie di intervento con teli sterili. È importante che lo spazio lasciato libero da questi ultimi sia abbastanza grande da accogliere il laparoscopio ed i canali accessori. Una volta determinato il punto di penetrazione, si esegue la palpazione dell’area per localizzare la milza o eventuali anomalie. Si pratica quindi una piccola incisione cutanea da 1 mm per l’introduzione dell’ago di Veress. Questo viene fatto passare attraverso la parete addominale afferrandone soltanto la porzione più esterna, in modo che il mandrino smusso interno sia libero di scattare in posizione una volta perforato il peritoneo. Ci si deve sempre assicurare che l’ago di Veress si trovi nella cavità addominale e non sia ritenuto fra i piani muscolari della parete addominale. L’involontaria insufflazione dei tessuti sottocutanei rende difficile l’esecuzione della procedura. Con la palpazione di solito è possibile assicurarsi dell’avvenuta penetrazione dell’ago in addome. Per garantire che l’ago sia libero in addome si esegue il test della goccia pendente. Ponendo sul cono dell’ago una goccia di soluzione fisiologica, la pressione negativa presente all’interno della cavità addominale dovrebbe tirarla all’interno. In questo modo ci si assicura che l’ago si trova in posizione corretta. Affidando l’estremità dell’insufflatore ad un assistente e collegando l’altra al cono dell’ago di Veress si connette il sistema di introduzione della CO2. Si accende l’insufflatore automatico e si regola la velocità di flusso. La punta dell’ago deve essere localizzata vicino alla parete addominale interna e non situata profondamente in addome e sotto l’omento. L’insufflazione del gas al di sotto di quest’ultimo rende difficile la procedura laparoscopica, perché la membrana assume la forma di un pallone ed ostacola la visualizzazione. Quando l’addome viene disteso, risulta timpanico alla palpazione. Bisogna stare attenti a non indurre una distensione eccessiva dell’addome, che potrebbe compromettere il ritorno venoso e l’escursione del diaframma. A questo punto, si introduce attraverso la parete addominale un’unità trequarti/cannula destinata a ricevere il laparoscopio. È importante assicurarsi che la valvola di insufflazione sia chiusa prima di penetrare in addome. L’incisione cutanea destinata al passaggio della cannula non deve essere maggiore del diametro della cannula stessa. Ciò garantisce una chiusura ermetica, impedendo la fuoriuscita del gas intraddominale. La punta della cannula può essere utilizzata per lasciare un’impronta sulla cute che indica il diametro dell’incisione da praticare. Questa deve attraversare soltanto la cute. È possibile utilizzare una pinza emostatica per aprire la breccia e verificare che l’incisione sia di profondità ed ampiezza adeguata. L’unità trequarti/cannula viene tenuta con la testa del trequarti saldamente a ridosso del palmo della mano, in modo da evitare che lo strumento scivoli 254
all’indietro nella cannula al momento dell’attraversamento della parete addominale. Con la cavità adeguatamente insufflata, si inserisce nell’incisione la punta del trequarti/cannula e, imprimendo allo strumento un movimento di torsione e di spinta, si attraversa la parete addominale. Questa spinta deve essere controllata, in modo che il trequarti attraversi solo la parete addominale e non penetri più profondamente in addome. Si può cercare di udire uno “schiocco” superficiale ed il suono del risucchio dell’aria nel trequarti quando questo penetra nell’addome disteso dal gas. Una volta che il complesso trequarti/cannula è entrato in cavità addominale, si rimuove rapidamente la parte costituita dal trequarti per evitare possibili traumi a carico dei vari organi. A questo punto si può far avanzare ulteriormente la cannula. Il laparoscopio viene preparato immergendolo preventivamente in acqua sterile calda per portarlo a temperatura corporea, in modo da ridurre l’appannamento, e poi sfregando le lenti con una garza imbevuta di alcool o acqua. Il cavo da illuminazione viene fissato affidandone l’estremità appropriata ad un assistente per la connessione alla fonte luminosa ed unendo l’altra al telescopio. Quando si utilizza in video, si collega quindi la videocamera al telescopio. Fonte luminosa, camera e monitor possono ora essere accesi. Prima di entrare in addome, si deve effettuare il bilanciamento del bianco della camera puntando il telescopio su una superficie bianca, come un tampone di garza, e poi premendo il bottone del bilanciamento del bianco situato sulla parte anteriore del processore della videocamera. Il monitor TV conferma il successo del bilanciamento. Bisogna assicurarsi che le lenti del laparoscopio e quelle della camera siano pulite, in modo da fornire un’immagine netta. Il telescopio viene quindi fatto avanzare attraverso la cannula fino nell’addome. Spesso l’immagine si presenta inizialmente sfocata, sia per effetto dei fluidi tissutali o del sangue presente nella cannula che per la condensa dovuta alla variazione di temperatura. Quando ciò si verifica, la punta dell’endoscopio va pulita sfregandola delicatamente sui tessuti addominali. Se l’immagine è ancora indistinta, lo strumento va rimosso e pulito con una garza imbevuta di alcool. In commercio si trovano anche degli agenti antiappannanti destinati ad essere applicati sulla lente. Una volta introdotto in addome il laparoscopio, si effettua un accurato esame della cavità. Per un orientamento corretto, è importante che la testa della videocamera sia sempre tenuta in senso dorsoventrale. Per assicurare questo tipo di posizionamento, il cavo della videocamera deve essere puntato in basso, verso il pavimento. Il telescopio può essere mosso dentro o fuori dalla cannula con una mano, mentre l’altra impedisce la fuoriuscita della cannula stessa dall’addome. Se la cannula esce dalla parete addominale, il suo reinserimento risulta difficile perché lo pneumoperitoneo va perduto e risulta impossibile da mantenere. 255
Si rimuove l’ago di Veress e si raccorda il condotto della CO2alla valvola da insufflazione della cannula del telescopio. Quindi, si sceglie il punto di penetrazione per la seconda porta. Questo dipende dalle procedure collaterali che si devono eseguire. Una volta stabilita la localizzazione, si verifica mediante visualizzazione interna, con il laparoscopio, il nuovo punto di penetrazione nella parete addominale, per controllare che sia adeguato e non traumatizzi gli organi interni. La procedura di inserimento della seconda cannula trequarti è identica a quella della prima. È importante mantenere lo pneumoperitoneo per effettuare un adeguato inserimento del trequarti. Tutte le cannule secondarie devono essere visualizzate internamente al momento della loro penetrazione in addome. Esercitando un movimento di torsione e spinta controllato, si fa avanzare il trequarti attraverso la parete addominale. Una volta che la cannula è penetrata in addome, si rimuove il trequarti. Per comodità, si trasferisce il condotto della CO2 alla cannula secondaria per mantenere lo pneumoperitoneo. Si apre la valvola da insufflazione della cannula accessoria. Attraverso la seconda cannula si introduce una sonda da palpazione con contrassegni ad intervalli da 1 cm. Quando si fa passare un qualsiasi strumento attraverso la cannula secondaria, bisogna visualizzare l’operazione al momento della penetrazione in addome, evitando di agire alla cieca perché ciò potrebbe esitare in un trauma indesiderato. Si inizia l’esplorazione addominale utilizzando la sonda da palpazione per percepire e muovere gli organi a seconda delle necessità. È importante che la cannula secondaria sia inserita ad una discreta distanza dal telescopio, dal momento che un’eccessiva vicinanza potrebbe interferire con la manipolazione degli strumenti. I punti di penetrazione sono sempre basati sulle manipolazioni da effettuare. Se l’operatore non è mancino, la cannula operatoria deve essere situata a destra del telescopio, che viene tenuto con la mano sinistra. È anche possibile spostare il telescopio e gli strumenti, lasciando la cannula in sede. La sonda da palpazione viene rimossa e si utilizza una pinza da biopsia a coppa per il prelievo di campioni, che nella maggior parte dei casi viene effettuato a livello epatico. Si visualizza la cannula secondaria e si dirigono le pinze da biopsia verso l’area del fegato da prelevare. Con questo metodo è possibile ottenere campioni sia dai margini dell’organo che dalla sua superficie piana. Le dimensioni del campione risultano adeguate alla maggior parte degli studi di valutazione epatica. Il campione viene accuratamente estratto dalla pinza da biopsia per l’analisi. Si esamina la sede del prelievo per verificare che la coagulazione sia adeguata. Normalmente, a questo livello di ha solo la perdita di alcuni ml di sangue; tuttavia, a causa dell’ingrandimento, spesso sembra che il volume sia molto maggiore. Ogni sanguinamento deve 256
arrestarsi entro 4 minuti. Si utilizza una sonda da palpazione per esaminare la zona alla ricerca di eventuali perdite ematiche. In caso di necessità la sonda può essere utilizzata anche per esercitare una compressione locale sull’area sanguinante. Anche se non è necessario farlo molto spesso, è possibile trattare i sanguinamenti eccessivi applicando una piccola quantità di Gel FoamTM sull’area sanguinante utilizzando le pinze da endoscopia. I punch bioptici vanno bene per il prelievo di campioni pancreatici. Per effettuare questo tipo di biopsia il campione deve essere prelevato da un margine lontano dai dotti che attraversano il centro della ghiandola. Le complicazioni delle biopsie pancreatiche sono rare e l’incidenza della pancreatite postoperatoria in uno studio sperimentale è risultata inesistente. Le biopsie si possono anche ottenere utilizzando vari tipi di appositi aghi. Questo è il metodo raccomandato per il prelievo di campioni renali. Si utilizza un ago bioptico multiuso per fegato, rene e milza. Per le biopsie renali si preferisce effettuare il prelievo a livello del rene destro, perché è meno mobile del sinistro. Il punto di penetrazione dell’addome al di sopra del rene viene visualizzato mediante transilluminazione con il telescopio. Si pratica una piccola incisione cutanea e si introduce l’ago da biopsia attraverso la parete addominale, dirigendolo endoscopicamente verso il rene. L’ago deve essere diretto in modo da ottenere un campione di corticale, evitando i grandi vasi della giunzione corticomidollare. In questo caso lo strumento viene diretto attraverso il polo craniale del rene destro. In genere, dopo una biopsia renale, si ha la perdita di parecchi ml di sangue. Inserendo correttamente l’ago ed operando con una certa esperienza nella meccanica degli aghi da biopsia, è possibile ottenere un lembo di tessuto di dimensioni adeguate. Se il sanguinamento proveniente dalla biopsia renale è eccessivo, si dirige sulla parte la sonda da palpazione e si esercita una compressione sino a che l’emorragia non si è arrestata. È anche possibile ottenere piccoli campioni bioptici intestinali per via laparoscopica esteriorizzando un tratto dell’intestino attraverso la parete addominale. Questa tecnica si effettua preferibilmente utilizzando un trequarti/cannula da 10 mm equipaggiato con un riduttore per accogliere strumenti da 5 mm. Per afferrare l’intestino si utilizzano pinze da 5 mm con denti multipli. Queste pinze vengono fatte passare attraverso la cannula da 10 mm sino a raggiungere la parte di tenue da sottoporre al prelievo. Si afferra saldamente il bordo antimesenterico dell’intestino. Il viscere viene quindi tirato nella cannula da 10 mm. Una volta che sia fermamente inserito al suo interno, viene tirato insieme alla cannula attraverso la parete addominale, esteriorizzandone una piccola sezione. 257
Si applicano alcune suture di ancoraggio, fissando l’intestino alla cute in modo da evitare che ricada in addome. Si utilizza una tecnica analoga per esteriorizzare il digiuno o lo stomaco ai fini dell’inserimento chirurgico di una sonda da alimentazione da digiunostomia o gastrostomia. Si pratica un’incisione di 5 mm attraverso la parete intestinale e si asporta un piccolo lembo a tutto spessore da uno dei margini del viscere, utilizzando delle forbici curve. L’intestino viene chiuso con punti staccati semplici a tutto spessore, cioè con la stessa sutura utilizzata in caso di intervento chirurgico a cielo aperto. L’ansa viene quindi risospinta nella cavità addominale. Al termine della procedure laparoscopica si elimina lo pneumoperitoneo aprendo le valvole della cannula. Questa viene infine sfilata ed il punto di penetrazione viene suturato secondo le procedure di routine, concludendo la laparoscopia.
258
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David C. Twedt DVM, Dipl ACVIM Colorado State University, USA
Indicazioni ed utilità della diagnostica strumentale nelle patologie dell’apparato genito-urinario Domenica, 27 ottobre 2002, ore 9.30
259
Le affezioni delle basse vie urinarie rappresentano un problema importante in medicina dei piccoli animali. La cistoscopia è diventata un mezzo diagnostico significativo per la valutazione di queste condizioni. I sui vantaggi rispetto ad altri test diagnostici sono numerosi, dal momento che costituisce un metodo di visualizzazione diretta della vagina, dello sbocco uretrale, dell’uretra e della vescica, nonché degli sbocchi degli ureteri, con un’invasività minima. In molti casi la visualizzazione attraverso la cistoscopia è spesso superiore a quella ottenibile con le tecniche chirurgiche e contrastografiche.
APPARECCHIATURE Utilizzando gli strumenti disponibili, è possibile valutare mediante cistoscopia transuretrale un’ampia varietà di piccoli animali. I telescopi rigidi standard utilizzati dall’autore sono rappresentati da un artroscopio da 1,9 mm con una cannula da artroscopia ed un artroscopio da 2,7 mm con una cannula da artroscopia o da cistoscopia. La cannula da artroscopia consente di effettuare l’irrigazione, mentre quella da cistoscopia, oltre a svolgere questa funzione, è anche dotata di un canale da biopsia in cui è possibile introdurre l’apposita pinza (5 Fr). Nei cani di grossa taglia (> 20 kg) si può utilizzare un cistoscopio da 3,2 mm. Questa cannula più grande accoglie pinze da biopsia di maggiori dimensioni, cestelli per la rimozione dei calcoli e pinze da prensione. La cistoscopia dei cani maschi richiede l’impiego di un endoscopio flessibile a fibra ottica o l’esecuzione di un’uretrostomia perineale temporanea per aggirare l’osso del pene e consentire l’impiego dei cistoscopi rigidi. Un metodo alternativo di valutazione dei maschi è la tecnica di cistoscopia transaddominale (vedi sotto).
INDICAZIONI La cistoscopia è raccomandata come mezzo diagnostico primario per la valutazione del tratto urinario in tutte le sue affezioni acute o croniche che risultano difficili da diagnosticare o da risolvere. La valutazione endoscopica delle basse vie urinarie fornisce ulteriori informazioni non ottenibili mediante radiografie e studi contrastografici o indagini ecografiche. In alcuni casi, può essere più specifica e sensibile per la diagnosi di certe malattie. Dopo l’intervento chirurgico, la cistoscopia è la tecnica che consente la valutazione più completa delle basse vie urinarie. Risulta utile per la diagnosi e la pianificazione preoperatoria per la correzione delle ectopie degli ureteri. È possi260
bile che gli animali con disordini infiammatori della vescica non mostrino lesioni rilevabili con altri metodi. La cistoscopia è molto utile per confermare la cistite interstiziale del gatto (FLUTD, feline lower urinary tract disease). La tecnica consente anche di confermare le lesioni osservate con altri metodi e di prelevare biopsie tissutali. La biopsia cistoscopica della parete vescicale o delle masse patologiche può portare ad una diagnosi definitiva. La cistoscopia è risultata utile in alcuni casi per determinare la localizzazione e l’origine di sanguinamenti del tratto urinario. Talvolta è possibile individuare emorragie di origine renale osservando la presenza di urina striata di sangue che fuoriesce dagli sbocchi degli ureteri. Negli animali con infezioni ricorrenti del tratto urinario e vaginite cronica risulta utile la vaginoscopia completa. I difetti anatomici della vagina, dell’uretra e della vescica sono spesso facilmente visibili durante la valutazione endoscopica. Le stenosi uretrali possono essere esaminate con la cistografia transuretrale. L’autore occasionalmente ha utilizzato dilatatori esofagei a palloncino per aprire le stenosi uretrali e vaginali. Esistono anche segnalazioni di iniezioni di polimeri nei tessuti uretrali per migliorare l’incompetenza. L’osservazione dell’emissione di urina attraverso gli sbocchi ureterali in vescica consente una valutazione indiretta della funzione dell’uretere e del rene.
Cistoscopia diagnostica Cistite Cistite interstiziale Urolitiasi Polipi urinari Neoplasia vescicale ed uretrale Ectopia degli ureteri Sanguinamento renale Sanguinamento uretrale Stenosi ureterali
TECNICA Per tutti i tipi di cistoscopia si utilizza l’anestesia generale; si può ricorrere anche alla sedazione profonda, che però non è consigliata per il timore di danneggiare l’endoscopio. Quando si esegue l’irrigazione endoscopica con flusso continuo o intermittente di soluzione fisiologica sterile è necessario distendere la vagina, l’uretra e la vescica. L’esame dell’apparato urinario può 261
essere effettuato anche utilizzando aria, protossido d’azoto o biossido di carbonio. Quando si effettua la cistoscopia rigida transuretrale il paziente viene di solito posizionato in decubito laterale destro o sinistro. Alcuni eseguono l’esame in decubito dorsale o ventrale ritenendo che questa posizione sia più normale dal punto di vista anatomico. La posizione varia nei singoli casi ed in funzione delle preferenze personali. L’area vulvare viene tosata e preparata in modo asettico. L’autore effettua di routine la delimitazione del campo operatorio, portando la vulva in corrispondenza del bordo del tavolo chirurgico con il paziente appoggiato su parecchi teli assorbenti e collocando un secchio sotto il tavolo per raccogliere i fluidi in eccesso. Collocando una sacca di fluidi di infusione endovenosa alla cannula della porta di irrigazione si effettua un’irrigazione continua. Si apre il flusso del liquido e si introduce l’endoscopio in vagina. Quest’ultima viene distesa e lo sbocco uretrale viene visualizzato introducendo l’endoscopio all’interno dell’uretra e facendovelo progredire. Per distendere la vagina, può essere necessario chiudere manualmente le labbra vulvari per distendere il lume con il liquido. Si esegue la valutazione uretrale man mano che il condotto viene disteso dal fluido e l’endoscopio viene fatto avanzare. Le pliche uretrali si espandono e l’uretra si presenta liscia e di colore bianco. In condizioni normali l’organo è robusto e resistente al danno iatrogeno. Una volta penetrati in vescica, il flusso di irrigazione viene arrestato e si esegue il drenaggio completo dell’urina contenuta all’interno dell’organo, utilizzando la cannula dell’endoscopio. Quindi, si riprende il flusso e si distende la vescica, esaminandone la parete. Se l’urina è torbida o emorragica, può essere necessario effettuare ripetute irrigazioni della vescica. Bisogna stare attenti a non distendere eccessivamente la vescica con il fluido da irrigazione perché ciò potrebbe determinare un danno della mucosa. Questo si ha più facilmente se la vescica è affetta da un’infiammazione cronica. Il danneggiamento vescicale è spesso associato a piccole alterazioni della mucosa. Generalmente, si tratta di lesioni insignificanti, che però ostacolano la valutazione perché determinano una contaminazione ematica del fluido da irrigazione.
COMPLICAZIONI E CONTROINDICAZIONI Le controindicazioni alla cistoscopia sono pochissime. Le gravi infezioni o rotture vescicali potrebbero costituire due situazioni in cui l’esame non va eseguito. La taglia ed il sesso dell’animale costituiscono il fattori limitanti perché impongono l’uso di specifici strumenti e particolari tecni262
che. In alcune situazioni, il passaggio degli strumenti può essere limitato da stenosi o tumori uretrali. Lo stesso problema si ha quando la vescica è piccola e con la parete spessa, perché non si può ottenere una distensione adeguata. I problemi più comuni che si riscontrano nella cistoscopia sono la difficoltà di visualizzazione da ematuria o il riscontro di urina molto concentrata. Questo ostacolo può essere superato con il ripetuto drenaggio e riempimento della vescica. In alternativa, nelle situazioni dovute a scarsa visibilità, l’organo può essere disteso con un gas. Le più comuni complicazioni gravi sono la perforazione dell’uretra, della vagina o della vescica, ma si tratta di eventi rari nei soggetti sottoposti a cistoscopia. Di solito, sono dovuti ad una forza eccessiva e ad inesperienza dell’operatore. Un lieve trauma della vescica e dell’uretra è inevitabile a causa della manipolazione dell’endoscopio e della distensione della vescica. L’ematuria si può sviluppare o aggravare per alcuni giorni dopo la cistoscopia, ma di solito si risolve in poche ore. Dopo l’intervento sono possibili le infezioni del tratto urinario e, se si sospetta una contaminazione, al momento dell’esecuzione della procedura si deve somministrare una singola dose di antibiotici a scopo profilattico.
CISTOSCOPIA TRANSADDOMINALE Si tratta di una procedura che prevede l’inserimento di un telescopio attraverso la parete addominale direttamente nel lume vescicale. La tecnica è simile alla laparoscopia addominale, che richiede un trequarti/cannula acuminato per l’inserimento. È necessaria l’anestesia generale ed il cane va posto in decubito dorsale. La vescica viene cateterizzata e svuotata utilizzando un catetere urinario standard. Questo viene poi raccordato ad un set di infusione endovenosa utilizzato per introdurre in vescica una soluzione fisiologica sterile fino a distendere l’organo al punto di renderlo solido, ma non troppo duro. La parete addominale al di sopra della vescica viene preparata in modo asettico e delimitata con teli sterili. Si utilizza un cistoscopio sterile o un laparoscopio di piccolo diametro (≤ 5 mm). Dopo aver individuato la vescica con la palpazione, si pratica una piccola incisione attraverso la cute, di diametro pari a quello del trequarti/cannula. Questo viene quindi inserito direttamente nel lume vescicale attraverso la parete addominale. L’organo viene mantenuto stabile con una mano. Il trequarti viene rimosso e si inserisce nel lume vescicale il telescopio attraverso la cannula. È importante mantenere la distensione dell’organo con l’irrigazione di liquido per evitare che la vescica si retragga dall’endosco263
pio rigido. Una volta che questo è stato introdotto nell’organo, il deflussore può essere chiuso, continuando l’irrigazione attraverso la cannula. La velocità di flusso viene conservata in modo da mantenere la distensione vescicale. Bisogna anche fare attenzione ad evitare l’eccessiva penetrazione del trequarti nella parete vescicale opposta. È possibile esaminare l’intera superficie della mucosa dell’organo e spingere l’endoscopio per un breve tratto nell’uretra. Nei cani maschi, si riesce ad esaminare con facilità l’uretra prostatica. Se è necessario il prelievo di campioni o la rimozione di calcoli, si esegue una seconda puntura con una tecnica simile a quella utilizzata per l’inserimento del telescopio. Sotto controllo visivo diretto, si introducono quindi le pinze da biopsia o da prelievo. I calcoli di piccole dimensioni possono anche essere aspirati attraverso la seconda cannula. Dopo aver esaminato la vescica, si esegue il drenaggio di tutti i fluidi e si rimuovono l’endoscopio e la cannula da biopsia. Il catetere uretrale viene mantenuto in sede per 48 ore in modo da conservare vuota la vescica e consentire la chiusura della breccia nella parete.
INTRODUZIONE L’endoscopia rigida è una tecnica per la valutazione di varie cavità corporee che utilizza endoscopi appositamente studiati (spesso indicati come telescopi). Le comuni tecniche di endoscopia rigida sono rappresentate da laparoscopia, toracoscopia, cistoscopia e rinoscopia. Per ciascuna di queste procedure verranno descritte le indicazioni, la tecnica e le potenzialità diagnostiche. L’endoscopio rigido è costituito da un tubo di metallo contenente una serie di lenti ottiche ad alta risoluzione per la trasmissione di un’immagine e di fasci di fibre ottiche per la trasmissione della luce destinata all’illuminazione della superficie da visualizzare. Il diametro, la lunghezza ed il campo visivo variano in funzione dell’endoscopio utilizzato. La maggior parte di questi strumenti è dotata di ottiche, ingrandimenti e profondità di campo eccellenti. Quando viene inserito nel lume della cavità, l’endoscopio viene accolto in un trequarti/cannula o manicotto. La cannula consente di insufflare la cavità e protegge l’endoscopio da eventuali danni. Oltre all’endoscopio, è necessario disporre di una fonte luminosa e di un cavo per la trasmissione della luce. Questi cavi sono costituiti da fasci di fibre ottiche in vetro che trasmettono la luce dalla fonte al telescopio. Sono anche disponibili videoendoscopi, essenziali per qualsiasi laparoscopia operatoria. 264
La laparoscopia è una procedura operatoria studiata per la visualizzazione ed il prelievo di campioni bioptici dalla cavità peritoneale e dai suoi organi dopo aver indotto uno pneumoperitoneo. Sulla base del punto di inserimento dell’endoscopio, è possibile visualizzare determinati organi. La laparoscopia non sostituisce la completa esplorazione chirurgica e deve essere giustificata da specifiche indicazioni
INDICAZIONI E CONTROINDICAZIONI Le indicazioni per la laparoscopia diagnostica sono l’esame ed il prelievo di campioni bioptici dagli organi della cavità addominale. La laparoscopia tuttavia non sostituisce l’esplorazione completa dell’addome, ma offre il mezzo per visualizzare certi organi in un determinato momento. È necessario sapere quale procedura si intende eseguire prima di inserire il telescopio, perché attraverso le singole porte è possibile visualizzare solo certi organi. Le indicazioni diagnostiche di base sono elencate nella tabella.
Indicazioni per la laparoscopia diagnostica biopsia epatica valutazione del sistema biliare biopsia pancreatica biopsia renale biopsia intestinale valutazione delle surreni valutazione della milza valutazione dell’apparato riproduttore portografia
La laparoscopia chirurgica nei piccoli animali è ancora agli esordi e le tecniche e le procedure per eseguirla sono in via di sviluppo. È limitata dall’immaginazione dell’operatore e dagli strumenti disponibili. Le procedure chirurgiche che sono state eseguite su piccoli animali in ambito clinico sono rappresentate da diversione di ostruzione del dotto biliare, inserimento di sonde da alimentazione da gastrostomia e digiunostomia, surrenalectomia, gastropessi, ovaristerectomia, rimozione di testicoli criptorchidi, cistoscopia transaddominale ed asportazione di calcoli, per citarne solo alcune. 265
Le controindicazioni alla laparoscopia sono scarse o del tutto assenti, grazie alla minima invasività della metodica. Spesso sono buoni candidati a questo tipo di indagine i pazienti ad alto rischio per l’esplorazione chirurgica. L’ascite, le anomalie dei tempi di coagulazione e le cattive condizioni del paziente costituiscono soltanto delle controindicazioni relative. Quelle assolute si hanno unicamente in caso di peritonite settica o quando è indicato chiaramente un intervento chirurgico. La procedura risulta molto difficile nei pazienti molto piccoli (< 3 kg) ed in quelli notevolmente obesi e caratterizzati da un’enorme quantità di grasso intraddominale.
COMPLICAZIONI Il tasso di complicazioni della laparoscopia è basso. In una rassegna dell’autore su oltre 300 casi, è stata riscontrata una percentuale di complicazioni inferiore al 2%. Quelle potenzialmente gravi sono rappresentate da: morte da cause anestetiche o cardiovascolari, sanguinamenti, emboli d’aria e perforazione di organi. Le complicazioni di minore entità sono gli errori dell’operatore, i difetti di funzionamento dell’apparecchiatura e l’enfisema sottocutaneo.
APPARECCHIATURA L’apparecchiatura di base necessaria per l’esecuzione della laparoscopia è rappresentata da telescopio con corrispondente unità trequarti/cannula, fonte luminosa, insufflatore ed ago di Veress (da insufflazione). I laparoscopi destinati all’impiego nei piccoli animali hanno un diametro variabile da 5 a 10 mm. L’autore utilizza attualmente una sonda da 5 mm di diametro con un campo visivo di 0° e la trova adeguata alla maggior parte degli animali. Gli endoscopi più piccoli consentono solo una visione limitata e trasmettono una minor quantità di luce per l’illuminazione. L’unità costituita dalla cannula e dal trequarti viene introdotta attraverso la parete addominale, e, dopo la rimozione del trequarti, è destinata ad ospitare il telescopio. Le cannule contengono una valvola che impedisce le perdite di gas insufflati e possiedono un adattatore Leur-lock per l’insufflazione continua di gas. L’ago di Veress è di tipo caricato a molla ed a punta smussa e viene utilizzato per determinare uno pneumoperitoneo. Per mantenere il gas all’interno della cavità addominale si utilizzano vari tipi di insufflatori. Il gas d’elezione per prevenire l’embolizzazione da aria è il biossido di carbonio 266
Apparecchiatura di base telescopio da 5 mm (0 gradi) due cannule con trequarti ago di Veress fonte luminosa cavo luminoso insufflatore da CO2 sonde da palpazione pinze da biopsia ovali pinze da biopsia a punch pinze da prensione facoltativo – videocamera e monitor facoltativo – metodi di documentazione fotografica
Per la laparoscopia, sono disponibili numerosi accessori. Fra questi rientrano una varietà di pinze da biopsia, aghi, forbici, pinze da prensione e sonde. Questi strumenti vengono generalmente introdotti attraverso una seconda porta, adiacente al telescopio, costituita da una unità trequarti/cannula più piccola. La principale indicazione per la laparoscopia è il prelievo di campioni bioptici da vari organi. In particolare, è importante la valutazione di fegato, pancreas e rene. Altri organi suscettibili di esame sono la milza, le surreni, le ovaie e l’utero. La valutazione dell’intestino e della prostata risulta difficile. Altre procedure sono la puntura della cistifellea per il prelievo di materiale da destinare agli esami colturali o per l’introduzione di un mezzo di contrasto, la splenoportografia e la misurazione della polpa splenica, l’aspirazione di cisti ovariche e lo svuotamento della vescica. Le potenziali complicazioni, anche se rare, sono quelle riferibili all’anestesia, al sanguinamento, all’eccessiva distensione dell’addome, all’embolizzazione d’aria ed allo pneumotorace.
TECNICA Prima di eseguire la laparoscopia, il paziente deve essere tenuto a digiuno per 12 ore e si deve svuotare la vescica. Le procedure laparoscopiche possono essere attuate sia in anestesia generale che in sedazione profonda, con infiltrazione locale di lidocaina in corrispondenza dei punti di penetrazione. Si stabiliscono i punti di inserimento delle porte. Questi, così come il posizionamento del paziente, dipendono dall’area da esaminare e dalle procedure da eseguire. I due approcci più comuni sono quello laterale destro e quello 267
lungo la linea mediana. Il primo è indicato per la valutazione di fegato, cistifellea, pancreas, duodeno, rene destro e surrene destro. Con questo tipo di approccio, la porta primaria viene a trovarsi nella parte laterale media dell’addome. L’approccio ventrale è utile per determinate procedure operatorie e consente una buona visualizzazione di fegato, cistifellea, pancreas, anse intestinali e milza. Per questo tipo di approccio la porta primaria viene realizzata a livello della linea mediana o in posizione immediatamente adiacente ad essa, vicino all’ombelico. Utilizzando l’approccio ventrale, la visualizzazione è talvolta ostacolata dal legamento falciforme. Occasionalmente si utilizza un approccio laterale sinistro, che però è compromesso dalla localizzazione della milza direttamente al di sotto del punto di penetrazione e dal rischio di indurre un trauma splenico. Con qualsiasi tipo di approccio, il punto di penetrazione può essere spostato cranialmente o caudalmente per assicurare un adeguato spazio di lavoro al laparoscopio. Ciò è talvolta reso necessario dalle dimensioni dell’animale. Ad esempio, quando si valuta un fegato piccolo in un paziente di grossa taglia, il punto di penetrazione viene spesso spostato cranialmente. In un animale molto piccolo, può essere spostato caudalmente per aumentare lo spazio di lavoro. Si esegue la preparazione chirurgica di routine e si delimita la superficie di intervento con teli sterili. È importante che lo spazio lasciato libero da questi ultimi sia abbastanza grande da accogliere il laparoscopio ed i canali accessori. Una volta determinato il punto di penetrazione, si esegue la palpazione dell’area per localizzare la milza o eventuali anomalie. Si pratica quindi una piccola incisione cutanea da 1 mm per l’introduzione dell’ago di Veress. Questo viene fatto passare attraverso la parete addominale afferrandone soltanto la porzione più esterna, in modo che il mandrino smusso interno sia libero di scattare in posizione una volta perforato il peritoneo. Ci si deve sempre assicurare che l’ago di Veress si trovi nella cavità addominale e non sia ritenuto fra i piani muscolari della parete addominale. L’involontaria insufflazione dei tessuti sottocutanei rende difficile l’esecuzione della procedura. Con la palpazione di solito è possibile assicurarsi dell’avvenuta penetrazione dell’ago in addome. Per garantire che l’ago sia libero in addome si esegue il test della goccia pendente. Ponendo sul cono dell’ago una goccia di soluzione fisiologica, la pressione negativa presente all’interno della cavità addominale dovrebbe tirarla all’interno. In questo modo ci si assicura che l’ago si trova in posizione corretta. Affidando l’estremità dell’insufflatore ad un assistente e collegando l’altra al cono dell’ago di Veress si connette il sistema di introduzione della CO2. Si accende l’insufflatore automatico e si regola la velocità di flusso. La punta dell’ago deve essere localizzata vicino alla parete addominale 268
interna e non situata profondamente in addome e sotto l’omento. L’insufflazione del gas al di sotto di quest’ultimo rende difficile la procedura laparoscopica, perché la membrana assume la forma di un pallone ed ostacola la visualizzazione. Quando l’addome viene disteso, risulta timpanico alla palpazione. Bisogna stare attenti a non indurre una distensione eccessiva dell’addome, che potrebbe compromettere il ritorno venoso e l’escursione del diaframma. A questo punto, si introduce attraverso la parete addominale un’unità trequarti/cannula destinata a ricevere il laparoscopio. È importante assicurarsi che la valvola di insufflazione sia chiusa prima di penetrare in addome. L’incisione cutanea destinata al passaggio della cannula non deve essere maggiore del diametro della cannula stessa. Ciò garantisce una chiusura ermetica, impedendo la fuoriuscita del gas intraddominale. La punta della cannula può essere utilizzata per lasciare un’impronta sulla cute che indica il diametro dell’incisione da praticare. Questa deve attraversare soltanto la cute. È possibile utilizzare una pinza emostatica per aprire la breccia e verificare che l’incisione sia di profondità ed ampiezza adeguata. L’unità trequarti/cannula viene tenuta con la testa del trequarti saldamente a ridosso del palmo della mano, in modo da evitare che lo strumento scivoli all’indietro nella cannula al momento dell’attraversamento della parete addominale. Con la cavità adeguatamente insufflata, si inserisce nell’incisione la punta del trequarti/cannula e, imprimendo allo strumento un movimento di torsione e di spinta, si attraversa la parete addominale. Questa spinta deve essere controllata, in modo che il trequarti attraversi solo la parete addominale e non penetri più profondamente in addome. Si può cercare di udire uno “schiocco” superficiale ed il suono del risucchio dell’aria nel trequarti quando questo penetra nell’addome disteso dal gas. Una volta che il complesso trequarti/cannula è entrato in cavità addominale, si rimuove rapidamente la parte costituita dal trequarti per evitare possibili traumi a carico dei vari organi. A questo punto si può far avanzare ulteriormente la cannula. Il laparoscopio viene preparato immergendolo preventivamente in acqua sterile calda per portarlo a temperatura corporea, in modo da ridurre l’appannamento, e poi sfregando le lenti con una garza imbevuta di alcool o acqua. Il cavo da illuminazione viene fissato affidandone l’estremità appropriata ad un assistente per la connessione alla fonte luminosa ed unendo l’altra al telescopio. Quando si utilizza in video, si collega quindi la videocamera al telescopio. Fonte luminosa, camera e monitor possono ora essere accesi. Prima di entrare in addome, si deve effettuare il bilanciamento del bianco della camera puntando il telescopio su una superficie bianca, come un tampone di garza, e poi premendo il bottone del bilanciamento del bianco situato sulla parte anteriore del processore della videocamera. Il monitor TV con269
ferma il successo del bilanciamento. Bisogna assicurarsi che le lenti del laparoscopio e quelle della camera siano pulite, in modo da fornire un’immagine netta. Il telescopio viene quindi fatto avanzare attraverso la cannula fino nell’addome. Spesso l’immagine si presenta inizialmente sfocata, sia per effetto dei fluidi tissutali o del sangue presente nella cannula che per la condensa dovuta alla variazione di temperatura. Quando ciò si verifica, la punta dell’endoscopio va pulita sfregandola delicatamente sui tessuti addominali. Se l’immagine è ancora indistinta, lo strumento va rimosso e pulito con una garza imbevuta di alcool. In commercio si trovano anche degli agenti antiappannanti destinati ad essere applicati sulla lente. Una volta introdotto in addome il laparoscopio, si effettua un accurato esame della cavità. Per un orientamento corretto, è importante che la testa della videocamera sia sempre tenuta in senso dorsoventrale. Per assicurare questo tipo di posizionamento, il cavo della videocamera deve essere puntato in basso, verso il pavimento. Il telescopio può essere mosso dentro o fuori dalla cannula con una mano, mentre l’altra impedisce la fuoriuscita della cannula stessa dall’addome. Se la cannula esce dalla parete addominale, il suo reinserimento risulta difficile perché lo pneumoperitoneo va perduto e risulta impossibile da mantenere. Si rimuove l’ago di Veress e si raccorda il condotto della CO2alla valvola da insufflazione della cannula del telescopio. Quindi, si sceglie il punto di penetrazione per la seconda porta. Questo dipende dalle procedure collaterali che si devono eseguire. Una volta stabilita la localizzazione, si verifica mediante visualizzazione interna, con il laparoscopio, il nuovo punto di penetrazione nella parete addominale, per controllare che sia adeguato e non traumatizzi gli organi interni. La procedura di inserimento della seconda cannula trequarti è identica a quella della prima. È importante mantenere lo pneumoperitoneo per effettuare un adeguato inserimento del trequarti. Tutte le cannule secondarie devono essere visualizzate internamente al momento della loro penetrazione in addome. Esercitando un movimento di torsione e spinta controllato, si fa avanzare il trequarti attraverso la parete addominale. Una volta che la cannula è penetrata in addome, si rimuove il trequarti. Per comodità, si trasferisce il condotto della CO2 alla cannula secondaria per mantenere lo pneumoperitoneo. Si apre la valvola da insufflazione della cannula accessoria. Attraverso la seconda cannula si introduce una sonda da palpazione con contrassegni ad intervalli da 1 cm. Quando si fa passare un qualsiasi strumento attraverso la cannula secondaria, bisogna visualizzare l’operazione al momento della penetrazione in addome, evitando di agire alla cieca perché ciò potrebbe esitare in un trauma indesiderato. 270
Si inizia l’esplorazione addominale utilizzando la sonda da palpazione per percepire e muovere gli organi a seconda delle necessità. È importante che la cannula secondaria sia inserita ad una discreta distanza dal telescopio, dal momento che un’eccessiva vicinanza potrebbe interferire con la manipolazione degli strumenti. I punti di penetrazione sono sempre basati sulle manipolazioni da effettuare. Se l’operatore non è mancino, la cannula operatoria deve essere situata a destra del telescopio, che viene tenuto con la mano sinistra. È anche possibile spostare il telescopio e gli strumenti, lasciando la cannula in sede. La sonda da palpazione viene rimossa e si utilizza una pinza da biopsia a coppa per il prelievo di campioni, che nella maggior parte dei casi viene effettuato a livello epatico. Si visualizza la cannula secondaria e si dirigono le pinze da biopsia verso l’area del fegato da prelevare. Con questo metodo è possibile ottenere campioni sia dai margini dell’organo che dalla sua superficie piana. Le dimensioni del campione risultano adeguate alla maggior parte degli studi di valutazione epatica. Il campione viene accuratamente estratto dalla pinza da biopsia per l’analisi. Si esamina la sede del prelievo per verificare che la coagulazione sia adeguata. Normalmente, a questo livello di ha solo la perdita di alcuni ml di sangue; tuttavia, a causa dell’ingrandimento, spesso sembra che il volume sia molto maggiore. Ogni sanguinamento deve arrestarsi entro 4 minuti. Si utilizza una sonda da palpazione per esaminare la zona alla ricerca di eventuali perdite ematiche. In caso di necessità la sonda può essere utilizzata anche per esercitare una compressione locale sull’area sanguinante. Anche se non è necessario farlo molto spesso, è possibile trattare i sanguinamenti eccessivi applicando una piccola quantità di Gel FoamTM sull’area sanguinante utilizzando le pinze da endoscopia. I punch bioptici vanno bene per il prelievo di campioni pancreatici. Per effettuare questo tipo di biopsia il campione deve essere prelevato da un margine lontano dai dotti che attraversano il centro della ghiandola. Le complicazioni delle biopsie pancreatiche sono rare e l’incidenza della pancreatite postoperatoria in uno studio sperimentale è risultata inesistente. Le biopsie si possono anche ottenere utilizzando vari tipi di appositi aghi. Questo è il metodo raccomandato per il prelievo di campioni renali. Si utilizza un ago bioptico multiuso per fegato, rene e milza. Per le biopsie renali si preferisce effettuare il prelievo a livello del rene destro, perché è meno mobile del sinistro. Il punto di penetrazione dell’addome al di sopra del rene viene visualizzato mediante transilluminazione con il telescopio. Si pratica una piccola incisione cutanea e si introduce l’ago da biopsia attraverso la parete addominale, dirigendolo endoscopicamente verso il rene. 271
L’ago deve essere diretto in modo da ottenere un campione di corticale, evitando i grandi vasi della giunzione corticomidollare. In questo caso lo strumento viene diretto attraverso il polo craniale del rene destro. In genere, dopo una biopsia renale, si ha la perdita di parecchi ml di sangue. Inserendo correttamente l’ago ed operando con una certa esperienza nella meccanica degli aghi da biopsia, è possibile ottenere un lembo di tessuto di dimensioni adeguate. Se il sanguinamento proveniente dalla biopsia renale è eccessivo, si dirige sulla parte la sonda da palpazione e si esercita una compressione sino a che l’emorragia non si è arrestata. È anche possibile ottenere piccoli campioni bioptici intestinali per via laparoscopica esteriorizzando un tratto dell’intestino attraverso la parete addominale. Questa tecnica si effettua preferibilmente utilizzando un trequarti/cannula da 10 mm equipaggiato con un riduttore per accogliere strumenti da 5 mm. Per afferrare l’intestino si utilizzano pinze da 5 mm con denti multipli. Queste pinze vengono fatte passare attraverso la cannula da 10 mm sino a raggiungere la parte di tenue da sottoporre al prelievo. Si afferra saldamente il bordo antimesenterico dell’intestino. Il viscere viene quindi tirato nella cannula da 10 mm. Una volta che sia fermamente inserito al suo interno, viene tirato insieme alla cannula attraverso la parete addominale, esteriorizzandone una piccola sezione. Si applicano alcune suture di ancoraggio, fissando l’intestino alla cute in modo da evitare che ricada in addome. Si utilizza una tecnica analoga per esteriorizzare il digiuno o lo stomaco ai fini dell’inserimento chirurgico di una sonda da alimentazione da digiunostomia o gastrostomia. Si pratica un’incisione di 5 mm attraverso la parete intestinale e si asporta un piccolo lembo a tutto spessore da uno dei margini del viscere, utilizzando delle forbici curve. L’intestino viene chiuso con punti staccati semplici a tutto spessore, cioè con la stessa sutura utilizzata in caso di intervento chirurgico a cielo aperto. L’ansa viene quindi risospinta nella cavità addominale. Al termine della procedure laparoscopica si elimina lo pneumoperitoneo aprendo le valvole della cannula. Questa viene infine sfilata ed il punto di penetrazione viene suturato secondo le procedure di routine, concludendo la laparoscopia.
272
45° Congresso Nazionale SCIVAC PERUGIA, 25-27 OTTOBRE 2002
David C. Twedt DVM, Dipl ACVIM Colorado State University, USA
Reperti endoscopici normali e patologici dell’apparato genito-urinario Domenica, 27 ottobre 2002, ore 13.15
273
La cistoscopia è indicata come mezzo diagnostico primario per la valutazione del tratto urinario in tutte le sue affezioni acute e croniche difficili da diagnosticare o da risolvere. Fatta eccezione per l’intervento chirurgico, questa è la tecnica che consente la più completa valutazione delle basse vie urinarie. È utile per la diagnosi e la pianificazione chirurgica preoperatoria per la correzione dell’ectopia degli ureteri. Gli animali con disordini infiammatori della vescica possono non presentare lesioni rilevabili con altri metodi. La cistoscopia è molto utile per confermare la cistite interstiziale del gatto (Feline Lower Urinary Tract Disease [FLUTD]). Inoltre, conferma le lesioni osservate con altri metodi e consente di prelevare biopsie tissutali. La biopsia cistoscopica della parete vescicale o di masse patologiche può portare ad una diagnosi definitiva. La cistoscopia è stata utile in alcuni casi per determinare la localizzazione e l’origine di sanguinamenti del tratto urinario. Talvolta è possibile identificare le perdite ematiche di origine renale osservando la presenza di urina emorragica che fuoriesce dall’ostio ureterale. Negli animali con infezioni ricorrenti del tratto urinario e vaginite cronica risulta utile la valutazione vaginoscopica completa. Nel corso di questo esame sono spesso facilmente visibili i difetti anatomici della vagina, dell’uretra e della vescica. Le stenosi uretrali possono essere valutate mediante cistografia transuretrale. Occasionalmente, abbiamo utilizzato dei dilatatori esofagei a palloncino per aprire stenosi uretrali e vaginali. Sono anche state pubblicate segnalazioni di iniezioni di polimeri nei tessuti uretrali per migliorare l’incompetenza del condotto. Osservando il deflusso dell’urina attraverso gli osti uretrali nella vescica è possibile effettuare una valutazione indiretta della funzione del rene e degli ureteri.
RISCONTRI CISTOSCOPICI È possibile valutare l’intera uretra e la vescica con un telescopio con angolo di curvatura di 30°. A livello dell’uretra, si ricercano i segni di neoplasie, calcoli, ectopia degli sbocchi uretrali, stenosi, contusioni e lacerazioni della mucosa. L’intera vescica viene valutata alla ricerca di tumori, calcoli, diverticoli o lacerazioni o infiammazioni della mucosa. Bisogna identificare entrambi gli osti ureterali ed assicurarsi che si trovino nella posizione anatomica normale. È possibile vedere l’urina fuoriuscire dagli ureteri. In condizioni normali, la posizione di questi ultimi è ad ore 2 e ad ore 10. Si presentano come sottili fessure di mucosa nella parete vescicale, subito all’interno dello sfintere. È importante ricordare che se la vescica è distesa per effetto di una pressione eccessiva, gli osti ureterali collassano e diventano difficili da identificare. 274
Generalmente, i casi di cistite batterica acuta non devono essere esaminati endoscopicamente, ma piuttosto trattati dapprima con antibiotici. In caso di infezione, l’esame è indicato alla ricerca di diverticoli o uraco persistente. È possibile identificare ed in alcune occasioni rimuovere i calcoli. Alcuni autori hanno descritto la litotripsia mediante laser o altra fonte di energia. La cistoscopia è indicata nei sanguinamenti urinari inspiegabili. I riscontri possibili sono rappresentati da ematuria renale, ulcera vescicale, polipi o tumori. Per individuare l’ematuria renale si esaminano gli osti ureterali alla ricerca della presenza di urina emorragica. L’area più comune per lo sviluppo del carcinoma delle cellule di transizione è quella del trigono vescicale. Questi tumori hanno spesso un aspetto caratteristico, sotto forma di proiezioni proliferative, spesso digitiformi, che si estendono nel lume vescicale. I gatti sono frequentemente colpiti da FLUTD. L’eziologia della condizione è sconosciuta. Recenti studi suggeriscono che molti felini, in precedenza ritenuti affetti da minzione inappropriata, sono in realtà colpiti da una cistite interstiziale. È comune l’ematuria senza infiammazione. La cistoscopia contribuisce a confermare la presenza di questa condizione nelle gatte. Il pene del maschio è troppo piccolo per la maggior parte degli endoscopi. Di solito, si induce la distensione della parete vescicale misurando la pressione con un semplice manometro. I valori pressori variano da 20 ad 80 cm di H20. Negli animali normali non si osservano emorragie della sottomucosa (indicate come glomerulazioni), mentre nei gatti con cistite interstiziale tali emorragie si sviluppano all’aumentare della pressione e confortano la diagnosi di malattia organica. Il modo migliore per diagnosticare l’ectopia degli ureteri nelle cagne è quello di impiegare una cistoscopia. Aperture anomale si possono riscontrare in qualsiasi punto dell’uretra o della vagina. Spesso le femmine con ureteri ectopici presentano anche bande vaginali. Dopo aver portato a termine la valutazione della vescica e dell’uretra si esamina la vagina. Le anomalie di questa struttura sono rappresentate da stenosi, bande, corpi estranei, vaginiti e, in rari casi, neoplasie. Utilizzando i cistoscopi rigidi è anche possibile effettuare l’inseminazione transcervicale. Con la cannula da cistoscopia è possibile ottenere facilmente campioni bioptici. Quando si utilizza il canale da artroscopia nei piccoli animali non si dispone di una porta da biopsia. Bisogna quindi basarsi sui risultati citologici oppure introdurre alla cieca nella vescica una pinza da biopsia passando accanto all’endoscopio per prelevare il tessuto. 275
CONTROINDICAZIONI Esistono ben poche controindicazioni alla cistoscopia. Le gravi infezioni vescicali o la rottura dell’organo sarebbero due situazioni in cui questa tecnica non va utilizzata. La taglia ed il sesso degli animali rappresentano i fattori limitanti, perché impongono l’uso di specifici strumenti e tecniche. In alcune situazioni, stenosi o tumori uretrali possono limitare il passaggio degli strumenti. Inoltre, in alcuni casi la vescica può essere piccola e con la parete spessa, tale da non poter essere distesa in modo adeguato. I più comuni problemi che si verificano nella cistoscopia sono rappresentati dalla scarsa visibilità dovuta ad ematuria o urina molto concentrata. Questa difficoltà può essere superata con ripetuti drenaggi e riempimenti della vescica. In alternativa, nelle situazioni dovute a scarsa visibilità, l’organo può essere disteso con gas. La complicazione più grave è la perforazione dell’uretra, della vagina o della vescica, ma si tratta di un evento poco comune nella cistoscopia. Di solito è la conseguenza di una forza eccessiva e dell’inesperienza dell’operatore. Un lieve trauma della vescica e dell’uretra è inevitabile, a causa della manipolazione dell’endoscopio e della distensione dell’organo. Per alcuni giorni dopo la cistoscopia si può osservare l’insorgenza o l’aggravamento di un’ematuria, che però di solito si risolve in poche ore. Nei soggetti trattati sono possibili le infezioni del tratto urinario e, se si sospetta una contaminazione, una singola dose di antibiotici somministrata al momento dell’intervento può prevenire questa complicazione.
Cistoscopia diagnostica Cistite Cistite interstiziale Urolitiasi Polipi urinari Neoplasia vescicale ed uretrale Ectopia degli ureteri Sanguinamento renale Sanguinamento uretrale Stenosi uretrali
276