CONFIMI 19 novembre 2015
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INDICE CONFIMI 19/11/2015 Il Mattino - Avellino Agevolare le imprese, apre lo sportello Edilcassa
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19/11/2015 Il Giornale di Vicenza La scelta scolastica stimolata dagli attori
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CONFIMI WEB 18/11/2015 www.italiaoggi.it 04:58 La Confindustria è dello Stato
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18/11/2015 irpinianews.it 14:10 Edilcassa, presentato lo sportello di Avellino
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18/11/2015 avellinotoday.it 14:35 Edilcassa, inaugurato lo sportello territoriale
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18/11/2015 corriereirpinia.it 05:19 Edilcassa, presentato lo sportello di Avellino e Benevento
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18/11/2015 irpinia24.it 05:31 EdilCassa, presentato lo sportello Avellino-Benevento
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18/11/2015 irpiniafocus.it 11:11 Presentato lo sportello Edilcassa Lazio Campania inaugurato ad Avellino
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18/11/2015 orticalab.it 03:32 EdilCassa Avellino inaugura il suo sportello
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18/11/2015 ottopagine.it 14:22 Edilcassa, presentato lo sportello per Avellino e Benevento
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SCENARIO ECONOMIA 19/11/2015 Corriere della Sera - Nazionale «Con il nuovo patto interno sbloccati 3 miliardi ai Comuni»
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19/11/2015 Corriere della Sera - Nazionale Patuelli: banche pronte a salvare gli istituti in crisi
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19/11/2015 Il Sole 24 Ore Enel, nel nuovo piano industriale maxi-riassetto e fusione con Egp
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19/11/2015 Il Sole 24 Ore Se la Russia torna in partita
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19/11/2015 Il Sole 24 Ore Patto Ue, fuori le spese per la difesa
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19/11/2015 Il Sole 24 Ore INVESTIMENTI PRIORITÀ «GLOBALE»
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19/11/2015 Il Sole 24 Ore Mosca e il segnale sul debito ucraino
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19/11/2015 Il Sole 24 Ore Borse deboli, il petrolio sotto quota 40
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19/11/2015 Il Sole 24 Ore Una decisione che può cambiare il mercato
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19/11/2015 Il Sole 24 Ore L'Italia resta al centro dei piani europei
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19/11/2015 Il Sole 24 Ore L'Abi sfida la Ue sui quattro salvataggi
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19/11/2015 La Repubblica - Nazionale L'Fmi condanna senza attenuanti l'austerity all'europea "Non funziona"
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19/11/2015 La Repubblica - Nazionale Landini sul Jobs Act "Serve referendum per cancellarlo"
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19/11/2015 La Repubblica - Nazionale L'Abi sfida la Ue "Pronti 2 miliardi per salvare subito 4 banche in crisi"
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19/11/2015 Panorama E ora i bancari tirano la cinghia
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19/11/2015 Panorama Roma-Bruxelles, la via crucis di Padoan
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19/11/2015 Panorama Il rischioso bluff del Jobs act
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19/11/2015 MF - Nazionale Banche, bond e dividendi nel mirino Bce
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19/11/2015 MF - Nazionale Edison-Sorgenia, apre il cantiere sulle centrali
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19/11/2015 MF - Nazionale Enel promette più crescita con Green Power e reti
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19/11/2015 MF - Nazionale Ora è inevitabile una revisione di Fiscal Compact e Patto di Stabilità
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19/11/2015 MF - Nazionale Cina, allarme bolla sulle polizze
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19/11/2015 MF - Nazionale La riforma del lavoro sta dando frutti Ora bisogna applicare in pieno il Jobs Act
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19/11/2015 MF - Nazionale Ma quando termina il risanamento aziendale?
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SCENARIO PMI 19/11/2015 La Repubblica - Torino "Decollano" le Pmi dell'aerospazio
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19/11/2015 La Stampa - Torino "Ecco come si viaggerà per Marte"
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19/11/2015 La Stampa - Novara Gli artigiani: "Nessuno ci paga più"
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19/11/2015 La Stampa - Novara Aiuti alle imprese sulle piste ciclabili
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CONFIMI 2 articoli
19/11/2015 Pag. 29 Ed. Avellino
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La presentazione
Agevolare le imprese, apre lo sportello Edilcassa Giordano, direttore di Campania e Lazio: porterà benefici economici Santoli Chi si troverà a realizzare lavori fuori provincia, non sarà più costretto a versare in una cassa diversa Presentato ufficialmente anche in Irpinia il nuovo sportello EdilCassa di Avellino e Benevento, attivo tutti i giorni - anche il pomeriggio - negli uffici di via Pescatori. Abilitato al rilascio del Documento unico di regolarità contributiva in edilizia, indispensabile sia per le imprese pubbliche che per quelle private, lo sportello punta a migliorare i servizi di aziende e cooperative operanti nel settore delle costruzioni, in particolare introducendo una serie di agevolazioni sul versane della riscossione dei contributi e degli accantonamenti. Tra le novità più significative presentate da Edilcassa, la possibilità di applicazione di tutti i contratti nazionali dell'edilizia - non soltanto quello dell'Anci previsto dalla Cassa edile - e soprattutto la possibilità, per l'impresa, di versare gli importi in una cassa unica, a differenza di quanto avvenuto per decenni. L'iniziativa è stata promossa ed illustrata, ieri, presso il Centro per l'Impiego di Avellino, dai vertici dell' associazione datoriale Aniem e dai referenti di Edilcassa. Gerardo Santoli, presidente nazionale di Aniem, prova a rendere la soddisfazione delle parti datoriali. «Si tratta - dice - di nuovo ed importante servizio per gli imprenditori edili di Avellino. Quelli che si troveranno a realizzare lavori fuori provincia, infatti, non saranno più costretti a versare in una cassa edile diversa, anche dal punto di vista dei regolamenti, rispetto a quella locale. Finalmente si proceIl presidente Geardo Santoli; sotto, Chiappetta, Nicotra, Mesisca e Giordano de verso una netta semplificazione». Direttore generale di EdilCassa nel Lazio e in Campania, Giuseppe Giordano, rilancia: «Il nostro obiettivo è agevolare le imprese con un ente snello e capillare, che possa portare benefici anche attraverso una serie di economie di scala». Spesso, infatti, la parte dovuta alla Cassa edile varia di provincia in provincia. «Raccogliamo i frutti di una battaglia condotta insieme ai sindacati per 30 anni. - osserva allora il referente regionale dell'Aniem, Giuseppe Nicotra - La possibilità di una cassa unica, infatti, crea nuove opportunità per le imprese del settore, in un momento particolarmente difficile, ed offre maggiori garanzie in termini di rappresentatività». Semplificazione delle procedure e sburocratizzazione, insomma, sono le parole d'ordine degli imprenditori edili. Soprattutto in un frangente nel quale il settore, da sempre trainante per l'economia provinciale, comincia faticosamente a risalire la china dopo 7 anni di pesante recessione. Il segno più, seppure in maniera timida, è tornato a fare capolino nel bollettino di guerra dei licenziamenti e delle imprese che hanno chiuso. Indispensabile, per ripartire, è l'allentamento della morsa della burocrazia, cui spesso corrispondono oneri per le imprese che non tornano ai lavoratori. m. s.
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19/11/2015 Pag. 28
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L'INCONTRO. Successo per l'iniziativa di Confindustria e Apindustria
La scelta scolastica stimolata dagli attori Doppio appuntamento per studenti e genitori allo scopo di fornire elementi utili all'orientamento Una giornata dedicata all'orientamento scolastico, ma non attraverso la solita panoramica sull'offerta scolastica proposta dai vari istituti, ma stimolando piuttosto la riflessione personale degli studenti e dei loro genitori, verso una scelta più consapevole.Per farlo Confindustria e Apindustria hanno offerto ai 1600 ragazzi di terza media delle scuole locali lo spettacolo della compagnia Teatro Educativo, che ha saputo catturare l'attenzione della platea grazie ad un linguaggio giovanile, riferimenti adatti all'età dei ragazzi e una brillante verve comica. In modo leggero ma efficace hanno ricordato che la scelta non deve spettare ai genitori, ma ai ragazzi, i quali devono farsi un'approfondita analisi personale, per capire quali sono le proprie capacità, attitudini e anche ambizioni lavorative su cui basarsi per prendere una decisione.Nella mattinata lo spettacolo è andato in scena per i ragazzi, mentre in serata la compagnia lo ha riproposto in forma ridotta ai genitori, giusto per far gradire un simpatico assaggio di quanto mostrato ai figli. C'è poi stato tempo per un dibattito, con domande dal pubblico, che ha visto protagonisti la psicoterapeuta Enrica Gennari e gli imprenditori Armido Marana e Paolo Rizzato, che hanno raccontato la loro esperienza al momento della scelta alla fine della terza media, ma soprattutto illustrato quali potranno essere le prospettive lavorative e professionali nel territorio per i prossimi anni. o COPYRIGHT
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CONFIMI WEB 8 articoli
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La Confindustria è dello Stato pagerank: 7 Lo dice Paolo Agnelli (Confimi) perchè più del 50% delle quote deriva da imprese pubbliche E quindi non può contrastare lo Stato quando sbaglia A Paolo Agnelli avevano dato del visionario, tre anni fa. Gli avevano chiesto chi glielo facesse fare, essendo a capo di Alluminio Agnelli un gruppo di 13 aziende e 350 dipendenti nella lavorazione dell'alluminio, con un fatturato di 148 milioni di euro. Pensasse alle sue pentole, amatissime dagli chef stellati. Perché mai mettersi a creare un'altra associazione di imprese? Oggi, che l'hanno seguito 28mila industrie, portandosi dietro 410mila addetti e 71 miliardi di fatturato, oggi che la Confederazione dell'Industria Manifatturiera italiana-Confimi ha aperto 26 sedi territoriali, che è riconosciuta dai sindacati, oggi, dicevamo, questo vulcanico 64enne bergamasco sorride quando, dinnanzi a tanta passione, anche il cronista gli chiede se non si senta un po' un Don Chisciotte. «Me l'han detto e continuano a dirmelo», spiega, «ma i numeri sono dalla mia e noi non ci fermiamo». Domanda. Agnelli ma davvero c'era bisogno di un nuovo soggetto a rappresentare l'impresa? Risposta. Certo, visto che quelle che ci sono, sono scandalosamente assenti sul piano della rappresentanza. D. Perché lei ce l'ha tanto con Confindustria e con Confapi, cui ha portato via un bel po' di associati? R. Perché le trovo organizzazioni autoreferenziali, preoccupate molto della struttura, piena di dirigenti, di direttori, molto preoccupate di come tenere in piedi tutta la loro baracca più che le imprese degli associati. E poi, specialmente Confindustria, attaccata al maggior azionista. D. Vale a dire? R. Beh, lo Stato no? Più del 50% della contribuzione associativa dell'intero sistema Confindustriale viene da aziende pubbliche. Da Poste, Ferrovie dello Stato, Finmeccanica. E, allora, come fai a contestare le scelte del tuo principale azionista? Come fai a essere corpo intermedio libero da conflitti di interessi? D. Confapi non ha associati statali. R. Vero, loro che non hanno l'assistenzialismo statale usavano a tutta birra il volano della formazione, cui le aziende contribuiscono obbligatoriamente, coi fondi professionali, e le associazioni di rappresentanza erogano. È chiaro che poi il rischio è quello di dimenticarsi i problemi dell'imprenditore D. Che cosa dovrebbe voler dire fare l'associazione di categoria? R. Semplice dovrebbero rappresentare gli interessi dei propri assiociati. Ad esempio rivedendo la normativa degli ultimi 15-20 anni, che ha fatto male specialmente all'industria manifatturiera. D. Facciamo qualche esempio, Agnelli. R. Vede, oggi si parla di crescita e lavoro. Ma ce la ricordiamo l'Irap? Una tassa sul lavoro che prescriveva che più persone impiegavi più pagavi. D. Giusto. Ma Matteo Renzi l'ha tolta. R. È vero, ma l'Irap ha fatto guasti fino a ieri, e rivelava un atteggiamento della nostra politica verso il lavoro. Resta il cuneo fiscale: i nostri dipendenti prendono in proporzione il peggior salario d'Europa, vicino a quello di Grecia e Portogallo, ma le nostre imprese pagano come la Germania. Chiamarlo cuneo è persino elegante: ad esempio per 2.460 euro lordi, al dipendente ne vanno 1.000 netti e lo Stato intermedia per gran parte di quella paga: c'è il welfare, ci sono i sindacati, cose nobili intendiamoci, ma poi le aziende chiudono. Dal 2007 a oggi ne hanno chiuso in 650.000. Vuole un altro esempio? Le ferie. D. In che senso, Agnelli? R. Sono così tante che la gente non ce la fa a smaltirle. Se ci mette anche i permessi retribuiti. E ora, come sa, non si possono più pagare, bisogna farle. È tutto esagerato. Senza dimenticare i permessi per chi abbia CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 19/11/2015 - 19/11/2015
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un congiunto con bisogno d'assistenza. D. La famosa legge 104 del 1992, che spesso registra qualche abuso. R. Ma certo. Quando c'è un bisogno, in azienda si trova una soluzione. Ma ora, in questo modo, c'è il diritto, per cui se anche c'è la moglie o il marito che son liberi, a portare l'anziana madre a fare le analisi ci va il dipendente, perché «ne ha diritto». D. Un problema per le piccole imprese, immagino. R. Esatto. Laddove lavorano una trentina di persone, quando ne mancano due sono problemi, mica tutti hanno la panchina lunga come certe squadre di calcio. Perché c'è la 104, ci sono i permessi sindacali, ci sono i mal di testa del lunedì di chi ha bevuto troppo la domenica. D. Andiamo avanti, Agnelli. R. Parliamo di innovazione e di investimenti? D. Parliamone. R. Se uno fa un investimento, gli interessi passivi che derivano dall'indebitamento non possono essere detratti totalmente dal conto economico. Gli interessi non sono un costo per cui finisce che ci paghi le tasse sopra. Ma, dico io, se non sono un costo, cosa sono? Una rendita? E dunque più investi e più paghi. Un po' come per le auto aziendali. D. Vale a dire? R. Io ho 30 auto, per i miei rappresentanti, per i tecnici che mi vanno in giro. Ebbene posso detrarne il costo fino al 20%, già ma io ogni anno pago 100mila euro. E i telefonini, scusi? Ormai facciamo tutto col cellulare e invece no, il costo delle bollette è ammesso in detrazione solo per la metà. Come se fossero un vezzo, un piccolo lusso. Così l'impresa oltre a non poterne detrarre il costo ci paga sopra l'Ires. D. È l'esigenza di far cassa. R. Aspetti, non è finito. Lo «stress correlato» dove lo mette? D. Tematica relativamente recente. R. Già, due volte all'anno ho un medico che viene a visitare tutti i dipendenti e mi costa 70mila euro all'anno. Ma non ci sarebbero le Asl per questo? D. Bella domanda. R. No, ma restiamo allo «stress correlato». Ci vuole uno psicologo che venga a vedere se lo stress della nostra impiegata Luisa, chiamiamola così, dipenda dal lavoro che fa o dell'ambiente in cui lavora, perché, nel qual caso, ne siamo responsabili. Perché se, magari, lo stress nasce dal fatto che non va da accordo con la collega Simona, e non perché litighi col fidanzato, allora sono guai: devi tenerle separate. Insomma, stiamo diventando matti. D. Stressati anche voi. R. Lei scherza, ma queste cose van bene, forse, per le grandi aziende. Per un'aziendina in cui il titolare sta al tornio, sale sul camion, va in banca, queste cose sono impraticabili. E inaccettabili. Ma qui torno al punto della rappresentanza. D. Torniamoci. R. La domanda che mi fa venire questa situazione è la seguente: dov'erano le associazioni quando si perpetravano queste cose? Dove? D. Potevano opporsi? R. Scherza? Si ricorda la «Lenzuolata» di Pier Luigi Bersani? D. Le liberalizzazioni dell'allora ministro dello Sviluppo economico del secondo governo di Romano Prodi. R. Ecco, al primo posto c'erano i taxi, ma la levata di scudi dell'associazioni dei tassisti fu tale che il governo, dopo pochi giorni, disse: «Ok, abbiamo scherzato». D. Confindustria invece
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R. Confindustria non capisce che il nostro è un tessuto di piccole e medie imprese. Piaccia o non piaccia, soprattutto a chi non ha mai visto un'azienda da vicino. Siamo un paese di piccole repubbliche, come si fa ad adottare normative mitteleuropee che vanno bene per le grandi multinazionali spinte della finanza? D. A che cosa si riferisce? R. Beh, penso a Basilea 3. D. I criteri europei per la bancabilità sono troppo restrittivi? R. Gli Stati Uniti, dopo tre giorni, li hanno rispediti al mittente. Un sistema che obbliga le banche a valutare le aziende sulla base del cash flow, dello stato patrimoniale, del rapporto debito-fatturato.. D. Per evitare di dare i soldi a chi non li potrà restituire. R. Lo so bene, essendo consigliere di amministrazione di Ubi Banca, ma c'è un fatto: usciamo da sette anni di vacche magre, il fatturato è calato, gli utili sono spariti, abbiamo messo i nostri soldi nelle aziende per reggere e, oggi, quei parametri non riusciamo a rispettarli. E, ora che si vedono piccoli segnali di ripresa, gli istituti di credito non finanziano più le Pmi. Se lei va in banca, le allargano le braccia. È come D. È come? R. È come andare all'ospedale e sentirsi rimandare indietro perché sei malato. Ti danno pochi soldi a tassi più alti, ossia più hai bisogno e più devi pagare. Guardi questo, nei prossimi anni, sarà un problema che esploderà fra le aziende medio piccole, ma sarà anche difficile fare banca visto le normative sempre più stringenti che arrivano dalla Bce e dall'Autorità bancaria europea. D. Come finirà? R. Finirà che non ci sarà spazio per finanziare le Pmi, dimenticando che la valutazione di una piccola e media impresa deve essere qualitativa, a partire dalla moralità dell'imprenditore, dal valore del marchio, dal livello del management, dal prodotto che produce e da quanto è sul mercato. E invece vogliono un'analisi quantitativa. D. Chi non riuscirà ad andare in banca cosa farà? R. Se un'impresa è liquida non ne ha bisogno e se è grande si rivolge al mercato, alla Borsa, emetterà dei bond. Ma se uno è piccolo? E tutto per una direttiva europea che non tiene conto della nostra realtà. Per misurare le formiche non ci vuole il metro, semmai il calibro. D. Come va con la politica, Agnelli? Lei parrebbe un rottamatore e le dovrebbe piacere Renzi. R. Renzi ha cambiato gli schemi. Quando ha detto a Susanna Camusso: «Fanno lo sciopero generale? Ce ne faremo una ragione». Quando ha risposto che le leggi le fa il parlamento e che il Jobs Act ci sarebbe stato, ha cambiato gli schemi. Quella sull'articolo 18 è stata una rivoluzione, anche se vale per i nuovi assunti e per le nuove aziende. Ha cominciato a fare le cose. D. Veniamo ai lati negativi. R. Il Governo è sempre troppo pronto a ratificare quello che arriva dal Nord Europa, anche quando va contro gli interessi delle Pmi. D. Quando dice «c'è bisogno di più Europa», insomma. R. Vede sulla normativa del «made in» (quella sulla etichettatura, ndr) noi rischiamo l'osso del collo, se ci tolgono pure quello siamo finiti. E i nostri rappresentanti lassù, di destra e di sinistra, non sempre sono molto informati. Quando c'è stato da fare la normativa sulle acque minerali, i Francesi hanno lavorato con i loro lobbisti e hanno vinto. D. Facciamo qualche esempio di paradosso europeo? R. Questa normativa sul «Bail in» è pazzesca. Basta che lei abbia un conto con più di 100 mila euro in una banca in difficoltà - intendiamoci, una banca che lei non ha gestito, nella quale non ha nessuna responsabilità - le spazzolano via tutto. E chi li tiene più i soldi sui conti? «Più Europa», lei ricordava, ma non tutto quello che va bene a Bruxelles va bene da noi.
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D. Esempi, Agnelli, facciamo esempi. R. La finanza che guida le politiche economiche europee è una cosa adatta alle grandi aziende. Quelle che se poi le cose non vanno bene, delocalizzano, lasciano un buco di 2,8 milioni di lavoratori in 10 anni. Capisce? Io non posso licenziare due persone, ma loro, essendo grandi, possono licenziarne 2 mila: gli basta aprire una crisi industriale, sedersi coi sindacati, e arrivederci. D. Anche le piccole e medie imprese possono delocalizzare. R. Sì ma dove vanno? I clienti sono qui, uno magari lavora anche per conto terzi. D. Altre esperienza con la politica? R. Guardi io ci parlo volentieri coi politici. Sono persone per bene, vengono dal loro mondo. Prenda Filippo Taddei. D. Il responsabile economico del Pd? R. Lui. È un professore, uno che ha insegnato all'Estero. Ma non ha avuto paura di ascoltare. Sull'energia ci siamo confrontati e lui è stato ad ascoltarmi. D. Cosa gli ha detto? R. L'energia da noi ha un costo pazzesco. Anche perché la importiamo per quella sciagurata idea di farci votare sul nucleare. D. Il referendum del 1987. R. Eh, già, ci fecero scegliere fra un teschio e il Sole che ride (il simbolo dei Verdi, ndr). La gente che doveva fare? Così ci troviamo centrali nucleari dappertutto ma noi, dentro i nostri confini non abbiamo l'energia nucleare ma abbiamo il rischio atomico. D. In effetti dalla Francia, alla Svizzera alla Slovenia, di centrali a tiro di nube ne abbiamo eccome, ma veniamo all'oggi. R. Oggi importiamo energia dalla Francia, poi loro ci caricano accise di ogni genere, per cui il costo si quadruplica. Poi ci si mette la normativa europea di sostegno alle rinnovabili, per cui, del milione che spendo ogni anno, 250mila vanno a finanziare la signora che mette il pannellino solare sulla villetta. E il pannellino, badi bene, arriva dalla Cina, che ha il monopolio del silicio, mica lo facciamo noi. D. Sì ma Taddei? R. Con lui mi sono messo a discutere sulla normativa di vantaggio per le aziende energivore, raccontandogli che quelli che consumano tanta energia non sono necessariamente energivori, dipende dal tipo di produzione. Quando era ministro, Corrado Passera, aveva correlato i consumi al fatturato. D. Scontando i consumi a chi fatturava di più? R. Esatto. Ma era sbagliato. Si sarebbe dovuto considerare il solo fatturato della produzione, perché chi commercializzava e rivendeva, mica sarà stato energivoro? E poi si concedeva a tutti, per cui si riconoscevano 50 euro alla parrucchiera o 60 alla pizzeria: a che cosa serviva? Valutiamo bene le produzioni e concentriamo gli incentivi su chi, magari, non riesce a esportare per l'alto costo energetico: torneranno indietro come Pil e nuova occupazione. Ovvero occorre calcolare l'esigenza di energia per unità di prodotto. Taddei mi è sembrato in sintonia. D. Ma non le conveniva andare dal ministro Federica Guidi? R. Ci sono stato. D. E come è andata? R. Ci siamo scontrati su quanto sia il costo dell' energia per le imprese italiane. Lei contestava il mio 86% più della media europea e ribatteva con il suo 30%. Sfido, parlava della fascia di consumo delle grandi, non della fascia di consumo delle Pmi. D. Lei è pure bergamasco, Agnelli, le daranno del leghista. R. Continuamente, ma io sono un presidente di associazione, non seguo nessun partito. E poi se c'è un sindacalista con cui mi sono trovato d'accordo è Maurizio Landini.
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D. Landini??! R. Sì quando sono andato a incontrarlo avevamo fissato mezz'ora di incontro e siamo rimasti assieme a parlare per quattro ore. E metà delle cose che diceva le avrei sottoscritte. D. Urca. R. Landini parla di piani industriali, di piani energetici, di vantaggio per le imprese, è contro la formazione come sperpero di risorse. Lavoro e crescita per davvero. Poi va in tv e fa un po' il rivoluzionario, ma del resto è quello il suo ruolo. D. Meglio lui di Camusso, quindi. R. Ah certamente. Quando la incontrai, assieme a Raffaele Bonanni e al vice di Luigi Angeletti, la Camusso fu gelida: «Ah, voi siete quelli che non vogliono tirar più fuori i soldi della bilateralità». D. E lei cosa rispose? R. Risposi che noi volevamo darli direttamente in busta paga ai lavoratori, invece di girarla alle organizzazioni sindacali. Lei stette zitta per qualche secondo e poi disse: «Demagogia». E comunque, per tornare alla nomea di leghista, mi è capitato di sentirmi dare anche del grillino. D. Quando è successo? R. Dalla sottosegretaria allo Sviluppo economico, Simona Vicari, che mi disse: «Lei parla come Luigi De Maio». E io rimasi un po' in imbarazzo perché all'epoca, glielo giuro, non sapevo chi fosse.
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pagerank: 4 Si è svolto presso il Centro per l'impiego di Avellino la conferenza stampa di presentazione dello sportello Edilcassa di Avellino e Benevento, ente voluto dall'accordo tra i sindacati di categoria Cgil; CIsl , Uil e l'associazione i dei costruttori Aniem. Presenti i vertici nazionali e regionali dell'Aniem Biagio Chiappetta e Giuseppe Nicotra, il presidente dell'Aniem Avellino Gennaro Canonico, il vice presidente nazionale di Confimprenditori Gerardo Santoli, il responsabile dello sportello di Avellino e Benevento Antonio Mesisca, il direttore generale della Edilcassa Lazio Campania Giuseppe Giordano. Lo sportello Edilcassa di Avellino, abilitato al rilascio del DURC, ha come principale obiettivo quello di migliorare i servizi di imprese e di cooperative che operano nel settore delle costruzioni edili garantendo ai lavoratori e alle imprese tutti i servizi e tutte le prestazioni previste dai contratti di lavoro, in un rapporto puntuale e personalizzato, con una piena disponibilità degli uffici ad adempiere ad una vasta gamma di richieste. Edilcassa, inoltre, ha scopi mutualistici ed assistenziali, provvede alla riscossione dei contributi e degli accantonamenti e all'erogazione degli importi dovuti a fronte di lavori edili svolti nella propria regione ed in base a contributi provinciali. " Voglio che sia uno sportello dal volto umano - ha affermato Santoli- vicino agli imprenditori e ai lavoratori del settore, uno sportello aperto anche di pomeriggio e al servizio del territorio". Lo sportello è sito in via Pescatori , 84 al secondo piano.
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18/11/2015 14:35 Sito Web
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Per Gerardo Santoli: "Spesso in Cassa Edile ci sentivamo come ospiti in casa nostra. Puntiamo anche sull'apertura pomeridiano dello sportello, proprio per venire incontro alle esigenze degli imprenditori. E, presto, sarà aperto anche di sabato" Ad Avellino apre lo sportello territoriale EdilCassa Lazio-Campania. Presso il Centro per l'impiego si è tenuta la conferenza a cui hanno preso parte i vertici nazionali e regionali dell'Aniem, Biagio Chiappetta e Giuseppe Nicotra, il presidente Gerardo Santoli, il responsabile dello sportello di Avellino e Benevento Antonio Mesisca e il direttore generale della EdilCassa Lazio-Campania Giuseppe Giordano. Quest'ultimo ha annunciato: "In sei mesi - dice - siamo riusciti a radicarci anche in Campania. Le nostre sono prestazione analoghe a quelle erogata dalla Cassa Edile. Nel Lazio, siamo riusciti a far abbattere i costi dell'1.70% alle aziende, speriamo di riuscirsi anche in questa regione. Vogliamo essere l'ente dal volto umano, siamo una struttura molto snella e volgiamo fornire quanti più servizi possibili alle imprese, soprattutto alle piccole imprese". Per Gerardo Santoli: "Spesso in Cassa Edile ci sentivamo come ospiti in casa nostra. Puntiamo anche sull'apertura pomeridiano dello sportello, proprio per venire incontro alle esigenze degli imprenditori. E, presto, sarà aperto anche di sabato" L'EdilCassa è l'Ente bilaterale per la gestione del contratto collettivo nazionale di lavoro per gli addetti del settore edile, per le piccole e medie imprese dell'industria, per gli artigiani e per la cooperazione. L'Ente ha come principale impegno quello di migliorare i servizi di impresa e di cooperative che operano nel settore delle costruzioni garantendo loro tutti i servizi e tutte le prestazioni previste dai contratti di lavoro tramite i loro uffici. Nello specifico gli obiettivi spaziano nel campo mutualistico ed assistenziale. La Cassa, abilitata al rilascio del DURC, provvede la riscossione dei contributi e degli accantonamenti e provvede all'erogazione degli importi dovuti a fronte di lavori edili svolti nella propria regione. Agli operai sono assicurati i pagamenti di tutte le erogazioni contrattuali ed extracontrattuali. Alle imprese è garantito il rimborso delle anticipazioni di pagamento malattia-infortunio della Cassa Integrazione guadagni ordinaria per gli apprenditi. Gerardo Santoli
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Edilcassa, inaugurato lo sportello territoriale
18/11/2015 05:19 Sito Web
corriereirpinia.it
Si è svolto presso il Centro per l'impiego di Avellino la conferenza stampa di presentazione dello sportello EDILCASSA di Avellino e Benevento, ente voluto dall'accordo tra i sindacati di categoria Cgil; CIsl , Uil e l'associazione i dei costruttori Aniem. Presenti i vertici nazionali e regionali dell'Aniem Biagio Chiappetta e Giuseppe Nicotra, il presidente dell'Aniem Avellino Gennaro Canonico, il vice presidente nazionale di Confimprenditori Gerardo Santoli, il responsabile dello sportello di Avellino e Benevento Antonio Mesisca, il direttore generale della Edilcassa Lazio Campania Giuseppe Giordano. Lo sportello Edilcassa di Avellino, abilitato al rilascio del DURC, ha come principale obiettivo quello di migliorare i servizi di imprese e di cooperative che operano nel settore delle costruzioni edili garantendo ai lavoratori e alle imprese tutti i servizi e tutte le prestazioni previste dai contratti di lavoro, in un rapporto puntuale e personalizzato, con una piena disponibilità degli uffici ad adempiere ad una vasta gamma di richieste. Edilcassa, inoltre, ha scopi mutualistici ed assistenziali, provvede alla riscossione dei contributi e degli accantonamenti e all'erogazione degli importi dovuti a fronte di lavori edili svolti nella propria regione ed in base a contributi provinciali." Voglio che sia uno sportello dal volto umano - ha affermato Santolivicino agli imprenditori e ai lavoratori del settore, uno sportello aperto anche di pomeriggio e al servizio del territorio". Lo sportello è sito in via Pescatori , 84 al secondo piano.
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Edilcassa, presentato lo sportello di Avellino e Benevento
18/11/2015 05:31 Sito Web
irpinia24.it
L'apertura dello sportello è stata possibile anche grazie al contributo dei sindacati Avellino - Si è svolto presso il Centro per l'impiego di Avellino la conferenza stampa di presentazione dello sportello EDILCASSA di Avellino e Benevento, ente voluto dall'accordo tra i sindacati di categoria Cgil; CIsl , Uil e l'associazione i dei costruttori Aniem. Presenti i vertici nazionali e regionali dell'Aniem Biagio Chiappetta e Giuseppe Nicotra, il presidente dell'Aniem Avellino Gennaro Canonico, il vice presidente nazionale di Confimprenditori Gerardo Santoli, il responsabile dello sportello di Avellino e Benevento Antonio Mesisca, il direttore generale della Edilcassa Lazio Campania Giuseppe Giordano. Lo sportello Edilcassa di Avellino, abilitato al rilascio del DURC, ha come principale obiettivo quello di migliorare i servizi di imprese e di cooperative che operano nel settore delle costruzioni edili garantendo ai lavoratori e alle imprese tutti i servizi e tutte le prestazioni previste dai contratti di lavoro, in un rapporto puntuale e personalizzato, con una piena disponibilità degli uffici ad adempiere ad una vasta gamma di richieste. Edilcassa, inoltre, ha scopi mutualistici ed assistenziali, provvede alla riscossione dei contributi e degli accantonamenti e all'erogazione degli importi dovuti a fronte di lavori edili svolti nella propria regione ed in base a contributi provinciali." Voglio che sia uno sportello dal volto umano- ha affermato Santolivicino agli imprenditori e ai lavoratori del settore, uno sportello aperto anche di pomeriggio e al servizio del territorio". Lo sportello è sito in via Pescatori , 84 al secondo piano.
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EdilCassa, presentato lo sportello Avellino-Benevento
18/11/2015 11:11 Sito Web
irpiniafocus.it
L'iniziativa voluta dall'Aniem è partita lo scorso primo ottobre. L'ente bilaterale ha l'obiettivo di rappresentare anche contratti della piccola e media impresa, dell'artigianato e della cooperazione E' stato presentato stamattina lo sportello Edilcassa Lazio Campania inaugurato in via Pescatori già il primo ottobre nella città di Avellino e fortemente voluto dall'Aniem (Associazione nazionale imprese edili e manifatturiere) con l'obiettivo di rappresentare anche contratti della piccola e media impresa, dell'artigianato e della cooperazione. L'ente bilaterale, che tra glia stri servizi gestisce l'emissione del Durc, il documento di regolarità contributiva necessario per operare nel settore pubblico, mira anche sviluppare economie di scala per riformare il sistema. Lo sportello aperto nel capoluogo irpino è con gli omologhi di Caserta e Napoli fra i primi tre della Campania, «un passo importante - spiega il direttore generale dell'Aniem Avellino Benevento Gerardo Santoli - con la speranza che si possa arrivare a una cassa unica nazionale». «Un modo per andare incontro ai territori - aggiunge Giuseppe Giordano, direttore generale di Edilcassa Lazio Campania attraverso la gestione di 10 sportelli in totale auspicando di ampliarne il numero. Siamo un ente snello, che fornisce risposte in diretta anche da Roma». Giuseppe Nicotra, vicepresidente Aniem Campania, spiega l'iniziativa è nata «con l'obiettivo iniziale di avere uno sportello regionale, per superare la provincialità che comporta oneri differenti di registrazione, avere tre sportelli è quindi una grande soddisfazione». Un risultato raggiunto perché Aniem in questi anni ha costruito una grande rete di associazioni e siamo pronti ad aprire un tavolo anche artigiani e cooperative», commenta il direttore di Aniem Campania Biagio Chiappetta, annunciando un incontro pubblico ad Avellino nel mese di dicembre.
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Presentato lo sportello Edilcassa Lazio Campania inaugurato ad Avellino
18/11/2015 03:32 Sito Web
orticalab.it
L'Ente ha come principale impegno quello di migliorare i servizi di impresa e di cooperative che operano nel settore delle costruzioni garantendo loro tutti i servizi e tutte le prestazioni previste dai contratti di lavoro tramite i loro uffici Ad Avellino apre lo sportello territoriale EdilCassa Lazio-Campania. Presso il Centro per l'impiego si è tenuta la conferenza a cui hanno preso parte i vertici nazionali e regionali dell'Aniem, Biagio Chiappetta e Giuseppe Nicotra, il presidente Gerardo Santoli, il responsabile dello sportello di Avellino e Benevento Antonio Mesisca e il direttore generale della EdilCassa Lazio-Campania Giuseppe Giordano. L'EdilCassa è l'Ente bilaterale per la gestione del contratto collettivo nazionale di lavoro per gli addetti del settore edile, per le piccole e medie imprese dell'industria, per gli artigiani e per la cooperazione. L'Ente ha come principale impegno quello di migliorare i servizi di impresa e di cooperative che operano nel settore delle costruzioni garantendo loro tutti i servizi e tutte le prestazioni previste dai contratti di lavoro tramite i loro uffici. Nello specifico gli obiettivi spaziano nel campo mutualistico ed assistenziale. La Cassa, abilitata al rilascio del DURC, provvede la riscossione dei contributi e degli accantonamenti e provvede all'erogazione degli importi dovuti a fronte di lavori edili svolti nella propria regione. Agli operai sono assicurati i pagamenti di tutte le erogazioni contrattuali ed extracontrattuali. Alle imprese è garantito il rimborso delle anticipazioni di pagamento malattia-infortunio della Cassa Integrazione guadagni ordinaria per gli apprenditi.
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EdilCassa Avellino inaugura il suo sportello
18/11/2015 14:22 Sito Web
ottopagine.it
La manifestazione al Centro per l'impiego edilcassa presentato lo sportello per avellino e benevento Avellino. Il Centro per l'impiego di Avellino ha ospitato la presentazione dello sportello Edilcassa di Avellino e Benevento, ente voluto dall'accordo tra i sindacati di categoria Cgil; CIsl , Uil e l'associazione i dei costruttori Aniem. Presenti i vertici nazionali e regionali dell'Aniem Biagio Chiappetta e Giuseppe Nicotra, il presidente dell'Aniem Avellino Gennaro Canonico, il vice presidente nazionale di Confimprenditori Gerardo Santoli, il responsabile dello sportello di Avellino e Benevento Antonio Mesisca, il direttore generale della Edilcassa Lazio Campania Giuseppe Giordano. Lo sportello Edilcassa di Avellino, abilitato al rilascio del DURC, ha come principale obiettivo quello di migliorare i servizi di imprese e di cooperative che operano nel settore delle costruzioni edili garantendo ai lavoratori e alle imprese tutti i servizi e tutte le prestazioni previste dai contratti di lavoro.
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Edilcassa, presentato lo sportello per Avellino e Benevento
SCENARIO ECONOMIA 24 articoli
19/11/2015 Pag. 35
diffusione:298071 tiratura:412069
«Con il nuovo patto interno sbloccati 3 miliardi ai Comuni» Marattin: più spazio agli investimenti e meno vincoli Lorenzo Salvia ROMA « C'è una riforma silenziosa ma fondamentale nella legge di Stabilità. Consentirà agli enti locali di spendere 3 miliardi in più l'anno per investimenti. Con una crescita del 12% rispetto al 2014». Luigi Marattin è uno dei consiglieri economici di Matteo Renzi. È stato lui a riscrivere il patto di Stabilità interno, quel groviglio di regole che per 16 anni ha legato le mani a Comuni, Province e Regioni. Professore, quindi per gli enti locali non ci saranno più paletti? «No, affatto. Una stagione di anarchia finanziaria l'abbiamo già vissuta dal 1981 al '94 quando il rapporto debito/Pil salì dal 60 al 120%. Ed è meglio non riviverla visto che ne paghiamo ancora le conseguenze». Allora perché cancellare il vecchio patto? «Perché, anche se nasceva dalla giusta esigenza di far partecipare gli locali al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ha avuto tre grandi difetti. Ha contribuito a penalizzare gli investimenti che per i Comuni sono scesi in cinque anni del 40,9%. Ha creato un meccanismo inutilmente complesso e ha visto le regole cambiare ogni anno». Come sarà la nuova regola fiscale? «Per il 2016 tutti gli enti locali dovranno rispettare un semplice equilibrio tra entrate e spese finali. Il pagamento dei residui passivi non sarà più soggetto a vincolo: se un Comune aveva un pagamento bloccato per lavori già fatturati potrà erogarlo allo sola condizione di avere i soldi in cassa». Quanti soldi saranno sbloccati? «I Comuni stimano residui per 6 miliardi, quanti ne verranno davvero sbloccati dipende dai soldi che hanno in cassa. Ma ci sono anche altri canali. L'utilizzo del cosiddetto fondo pluriennale vincolato per la parte che non deriva da debito. Se un Comune ha ricevuto un milione per ristrutturare una scuola nell'arco di 4 anni, può impegnare le relative risorse. E poi gli enti locali non dovranno più "dare sangue allo Stato", cioè contribuire al risanamento con entrate superiori alle spese. La nuova regola dice solo spendi i soldi che hai, non un euro in più. Il che è più semplice, stabile e dà più spazio agli investimenti ». © RIPRODUZIONE RISERVATA 12% la crescita rispetto al 2014 che sarà creata dai 3 miliardi che i Comuni, grazie alla manovra, potranno spendere in più Foto: Luigi Marattin, classe '79, è docente di macroeconomia all'Università di Bologna ed è uno dei consiglieri economici del presidente del Consiglio Matteo Renzi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/11/2015 - 19/11/2015
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INTERVISTA
19/11/2015 Pag. 39
diffusione:298071 tiratura:412069
Patuelli: banche pronte a salvare gli istituti in crisi Stefania Tamburello ROMA Il salvataggio deve essere fatto rapidamente e le banche italiane «sono determinate» a realizzarlo. Il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, rilancia l'urgenza dell'intervento a soccorso dei 4 istituti in difficoltà Banca Marche, Popolare dell'Etruria, Cassa di Ferrara e Cassa di Rieti - confermando la disponibilità del sistema a mettere in moto, attraverso il Fondo interbancario di tutela dei depositi, risorse per 2,1 miliardi di euro. Si tratta di una decisione, presa all'unanimità che non ha però avuto seguito per l'opposizione, peraltro «mai formalizzata», della Commissione europea. «Ma cosa si può chiedere di più? Le banche italiane sono le uniche in Europa che si pagano da loro, con risorse private, le crisi senza avere alcun aiuto di Stato. Più che pagare non so che cosa possiamo inventare», aggiunge Patuelli precisando che il Fondo «vuole intervenire subito, entro l'anno». Ostacoli formali, a suo dire, non ce ne sono visto che la Commissione non ha formalizzato le sue obiezioni che, quando e se arriveranno «saranno lette con grande attenzione. Siamo fortemente europeisti ma non europeisti acritici. Abbiamo la consapevolezza dei doveri e dei diritti, ma anche che le Autorità e soprattutto le burocrazie di Bruxelles non sono superiori ai trattati vigenti». Insomma il Fondo è pronto a muoversi subito coi suoi piani di salvataggio, ribadisce il presidente dell'Abi, che sembra voler sollecitare un'azione più vigorosa nei confronti di Bruxelles da parte delle autorità italiane, il ministero dell'Economia e la Banca d'Italia. In ogni caso, in alternativa, da due giorni è in vigore la gran parte della nuova normativa europea sulla risoluzione delle crisi bancarie, che indica procedure articolate per affrontare per tempo i dissesti e che affida alla Banca d'Italia anche nuovi strumenti da mettere in campo. L'importante, secondo l'Abi, è fare presto, se non altro perché il 1 gennaio entra in vigore un meccanismo decisionale complesso, che prevede il raccordo con l'Autorità europea di risoluzione e la stessa Commissione di Bruxelles e introduce la possibilità, per i casi più gravi, di adottare il bail in, cioè il salvataggio interno a carico di soci e creditori. © RIPRODUZIONE RISERVATA Le sofferenze bancarie d'Arco in miliardi di euro 2014 2015 Fonte: Abi ott nov dic gen feb mar apr mag giu lug ago set 185,4 187,2 195,8 189,5 193,7 183,6 197,0 191,5 181,1 179,3 198,4 200,4 Al lordo delle svalutazioni
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/11/2015 - 19/11/2015
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Il presidente Abi
19/11/2015 Pag. 1
diffusione:150811 tiratura:209613
Enel, nel nuovo piano industriale maxi-riassetto e fusione con Egp Laura Serafini Enel, nel nuovo piano industriale maxi-riassetto e fusione con Egppagine 31- 33 LONDRA. Dal nostro inviato pEnel approva il progetto di fusione di Enel Green Power e annuncia un piano industriale che accelera la capacità di accrescere i margini e aumenta gli investimenti per la crescita, ma che prende anche atto con un certo coraggio del deterioramento della situazione economica in Sudamerica e di una maggiore debolezza dei prezzi dell'energia in Spagna e Italia. Le scelte strategiche dell'ad Francesco Starace, che ieri ha presentato a Londra l'aggiornamento del piano industriale, hanno colto in contropiede anche il mercato che si aspettava stime di evoluzione dell'Ebitda un po' più alte rispetto ai numeri annunciati ieri. Il piano di integrazione di Enel Green Power, che sarà realizzato attraverso una scissione non proporzionale degli asset della controllata delle rinnovabili, prevede un concambio di 0,486 azioni Enel per ogni azioni Enel Green Power. Dalle rinnovabili alle nuove retia banda larga, il gruppoè in piena fase di trasformazione: dopo la costituzione della newco per le tlc, Enel ha già elaborato un business plan per la posa della fibra ottica e la vendita della connettività ad essa collegata. Nei prossimi mesi, ha spiegato il ceo Starace - su questo tema - potrebbe arrivare anche un aggiornamento della strategia. LONDRA. Dal nostro inviato pEnel approva il progetto di fusione di Enel Green Power e annuncia un piano industriale che accelera la capacità di accrescere i margini e aumenta gli investimenti per la crescita, ma che prende anche atto con un certo coraggio del deterioramento della situazione economica in Sudamerica e di una maggiore debolezza dei prezzi dell'energia in Spagna e Italia. Le scelte strategiche dell'ad Francesco Starace, che ieri ha presentato a Londra l'aggiornamento del piano industriale, hanno colto in contropiede anche il mercato (Enel ha chiuso in ribasso del 3%) che si aspettava stime di evoluzione dell'Ebitda un po' più alte rispetto ai numeri annunciati ieri. Il piano di integrazione di Enel Green Power, che sarà realizzato attraverso una scissione non proporzionale degli asset della controllata delle rinnovabili, prevede un concambio di 0,486 azioni Enel per ogni azioni Enel Green Power (riconoscendo un piccolo premio per Egp rispetto alla chiusura in Borsa di martedì) e la possibilità di un diritto di recesso per gli azionisti non vogliono aderire a un prezzo di 1,78 euro per azione Egp. La società ha previsto un limite orientati- vo al recesso, fissato a 300 milioni, ma si riserva poi in base alle richieste del mercato di decidere se andare avanti con l'operazione o meno. Agli attuali prezzi di Borsa, un recesso nei limiti previsti richiederebbe un aumento di capitale (attraverso l'emissione di 770 milioni nuove azioni Enel) da circa 2,7 miliardi comportando una diluizione dell'azionista ministero dell'Economia dal 25,5% attuale al 23,569 per cento. «La decisione di procedere con questa operazione è stata presa tenendo conto della dimensione di Enel e della nostra capacità di creare valore. La discesa sotto la soglia del 25% credo che sia più una considerazione di carattere psicologico piuttosto che un problema reale», ha risposto Starace a chi gli chiedeva le ripercussioni in termini di maggioranza in assemblea o di contendibilità di Enel dopo la diluizione del Tesoro. Le assemblee per l'approvazione del merger sono fissate per l'11 gennaio. L'integrazione di Egp è un passaggio cardine del piano industriale presentato ieri, che punta sulla semplificazione societaria, iniziata nel 2014 con lo scorporo della cilena Enersis da Endesa e proseguita con il riassetto in corso di tutte le partecipazioni in Sudamerica . «Enel Green Power è un fattore crescita fondamentale gruppo - ha detto l'ad -. Dalle rinnovabili arriverà 50% della crescita incrementale degli investimenti e dell'Ebitda prevista dal nuovo piano. È un leader a livello globale, ha la pipeline più diversificata e qualità negli asset rinnovabili, capacità di sviluppo ed esecuzione a livello di eccellenza. L'integrazione consentirà anche l'adozione nel gruppo Enel delle best practise di Egp». L'integrazione consentirà al settore delle rinnovabili di contare su investimenti aggiuntivi per 1,3 miliardi, fino ad arrivare a una capacità istallata di 7,7 gigawatt nel 2019. Le sinergie con Enel porteranno un incremento di 150 milioni in termini di Ebitda e 200 milioni di utile netto a SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/11/2015 - 19/11/2015
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ENERGIA
19/11/2015 Pag. 1
diffusione:150811 tiratura:209613
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/11/2015 - 19/11/2015
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livello di gruppo. Il piano presentato ieri pre- vede un'accelerazione degli investimenti e del raggiungimento dei target di crescita dei margini. Gli investimenti destinati alla crescita aumentano di 2,7 miliardi, portando a 17 miliardi il montante complessivo entro il 2019. L'obiettivo è anche un aumento complessivo dell'ebitda da 6,7 a 7,2 miliardi entro il 2019 e risparmi complessivi per 1,8 miliardi. I target per le dismissioni salgono da 5 miliardi a 6 miliardi (e in parte saranno realizzate da Egp, che tra l'altro guarda al mercato tedesco per crescere nel geotermico), di cui 1,9 miliardi già eseguiti e 2 in esecuzione, e tra questi c'è la cessione d e l 3 3 % d i S l o v e n s k e Electrarne attesa entro fine anno. Circa 2 miliardi dei proventi delle cessioni saranno destinati ad acquisizioni. Starace ieri ha annunciato che il gruppo sta guardando a occasioni di acquisto di reti di distribuzione di "media o grande" taglia in varie parti del mondo, tra cui in particolare Stati Uniti e Brasile. Confermata la politica dei dividendi, con aumento del pay-out del 5% all'anno, dal 50% del 2015 fino al 65% nel 2019 e un dividendo di 0,16 euro per il 2015 e 0,18 per il 2016. Il piano prevede anche 6 mila prepensionamenti e 2 mila assunzioni. L'approccio realistico del piano fa perno sulla presa d'atto del "deterioramento dal marzo scorso" del contesto economico a livello globale. Le assunzioni del piano si basano sull'allineamento all'andamento della curva forward dei prezzi dell'energia, con un taglio del 6% rispetto alle stime di marzo scorso. Ancora, è attesa una contrazione della domanda in Italia e Spagna attorno al 2%, mentre la crisi in Sudamerica peserà sulla domanda, sulle valute e su possibili inasprimenti fiscali. Il risultato è un piano industriale meno ottimistico per il prossimo biennio: l'Ebitda resta fermo attorno a 15 miliardi fino al 2017 (14,7 miliardi nel 2016), l'utile netto arriva 3,4 miliardi nel 2017. La crescita viene spostata al biennio successivo. In compenso i target sul debito netto vengono corretti al ribasso: il debito 2015 sarà sotto le attese, a 38 miliardi contro oltre 39 previsti. Il target al 2019 è 37 miliardi. Nel 2016 è previsto il riacquisto di bond per 4 miliardi di euro. «E' un piano ambizioso ma anche sostenibile perché caratterizzato da flessibilità» ha chiosato ieri Starace. Il piano industriale di Enel 0 16,0 15,0 14,5 14,0 15,5 3,50 3,25 2,75 2,50 3,00 ~3,1 100 80 60 40 20 50 55 2015 ~15,0 ~14,7 2016 ~15,5 2017 2015 ~3,0 2016 ~3,4 2017 2015 2016 PAY-OUT In percentuale EBITDA RICORRENTE Miliardi di euro UTILE NETTO ORDINARIO Miliardi di euro Il piano industriale di Enel 0 0 16,0 15,5 15,0 14,5 14,0 ~+4 3,50 3,25 3,00 2,75 2,50 80 60 40 20 100 50 55 +7 60 100 80 60 40 20 ~+6 26 2015 ~15,0 ~14,7 2016 ~15,5 2017 2015 ~3,0 ~3,1 2016 ~3,4 2017 ~+10 2015 2016 2017 2015 2016 2017 Fonte: Enel PAY-OUT In percentuale 23 23 CAGR % 2015-2019 EBITDA RICORRENTE Miliardi di euro CAGR % 2015-2019 UTILE NETTO ORDINARIO Miliardi di euro FLUSSO DI CASSA OPERATIVO/ INDEBITAMENTO FINANZIARIO NETTO In percentuale 0% 5% 10% 0% 5% 10% 0% 5% 10% 0% 5% 10% CAGR % 2015-2019 CAGR % 2015-2019
19/11/2015 Pag. 1
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Se la Russia torna in partita Domenico Lombardi Avolte un nemico comune fa (ri)nascere importanti amicizie. Il Summit G20 di Antalya, in Turchia, non siè concluso con un piano di misure economiche straordinarie per ristabilire la traiettoria di crescita che, solo un anno faa Brisbane, i leader avevano concordato per l'economia mondiale. Invece, ha gettato le basi per una nuova dinamica geopolitica che potrà contribuire a ridurre dei fattori di incertezza che attanagliano l'economia mondiale, i cui effetti sono destinati a materializzersi già nelle prossime settimane. La tragedia degli attacchi terroristici a Parigi ha impresso, nel giro di poche ore nel ristretto perimetro di sicurezza della cittadina di Antalya, una potenziale svolta alle relazioni dell'Occidente con la Russia con l'evidente obiettivo di privilegiarne gli aspetti cooperativi su quelli conflittuali. Rispetto al precedente Summit di Brisbane lo scorso novembre, quando Vladimir Putin, il leader russo, lasciò in anticipo per l'evidente isolamento, anche personale, al tavolo dei lavori, ad Antalya, Putinè stato uno dei protagonisti inattesi con una fitta agenda di incontri bilaterali tra cui spicca quello potenzialmente conciliatorio con il presidente americano, Barack Obama. Il Fondo monetario internazionale prevede che il pil della Russia si contragga del 3,8 per cento nell'anno in corso, e che tale contrazione prosegua per il prossimo anno, riflettendo l'interazione del regime sanzionatorio con l'abbattimento dei prezzi delle risorse energetiche che la Russia produce. Le sanzioni inflitte alla Russia lo scorso anno da Stati Uniti, Ue e altri paesi occidentali, in seguito all'invasione dell'Ucraina e all'annessione della Crimea, hanno avuto l'effetto di comprimere l'interscambio commerciale da e per la Russia. Gli effetti depressivi di tale dinamica si combinano con il generalizzato indebolimento delle prospettive di crescita delle economie emergenti - come il progressivo rallentamento della Cinae la contrazione in Brasile - e il deflusso netto di capitali dai paesi emergenti per la prima volta dalla fine degli anni Ottanta, secondo le previsioni dell'Institute of International Finance. Eppure, nel periodo 2008-14, solo le economie dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) hanno contribuito per oltre la metà della crescita economica mondiale,e le altre emergenti hanno apportato un ulteriore terzo. Nel complesso, il confronto tra l'export commerciale della Ue verso la Russia mostra una riduzione del 30 per cento in meno solo nel secondo trimestre dell'anno in corso rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente. L'impatto per l'export italiano è stato pari a una riduzione del 29 per cento, del 43 per cento per la Francia, e del 28 per cento in meno per la Germania, sospinto da vari settori del comparto manifatturiero tradizionale, ma anche dai settori della difesa e dell'energia. Continua u pagina 3 u Continua da pagina 1 L'abbattimento dell'interscambio con la Russia interagisce con un generale deterioramento dei flussi di export verso le altre economie sistemiche, la cui dinamica sta diventando particolarmente evidente in Germania. Il dato di pil per il terzo trimestre dell'anno rilasciato giorni fa evidenzia un contributo negativo della domanda estera sospinto da un nuovo calo dell'export, questa volta, verso la Cina. D'altro canto, proprio il regime sanzionatorio verso la Russia ha ristretto sinora la possibilita' di mitigare l'impatto del rallentamento della Cina, riorientandone l'export verso altri mercati come la Russia e le economie ad essa collegate. Non e' un caso che in Francia, l'amministrazione stia gia' considerando di proporre la revisione del regime sanzionatorio nel quadro di un complessivo riorientamento delle relazioni verso Mosca che privilegi l'interlocuzione diplomatica rispetto a quella sanzionatoria. Di questo e di altri sviluppi, si parlera' nel vertice che il presidente francese Francois Hollande terra' a breve con Obama e Putin. Da parte russa, e' arrivato, nel frattempo, un ulteriore segnale di distensione proprio sulla partita ucraina che aveva scatenato il regime sanzionatorio. Sempre ad Antalya, il ministro delle finanze russo, nel colloquio bilaterale con Christine Lagarde, direttrice generale del Fmi, ha indicato che la Russia e' ora disponibile a trattare sulla ristrutturazione del debito ucraino, del quale e' tra i maggiori creditori, e che il programma di assistenza del Fmi a Kiev puo' pertanto proseguire. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/11/2015 - 19/11/2015
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GLI IMPATTI SULL'ECONOMIA
19/11/2015 Pag. 1
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Foto: Il ritorno. Vladimir Putin
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/11/2015 - 19/11/2015
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Patto Ue, fuori le spese per la difesa Renzi: giusto, vale anche per noi - Per l'Italia bonus da 500 milioni beda romano pPer il presidente della Commissione Juncker, l'aumento della spesa in sicurezza riceverà trattamento speciale. Renzi: sacrosanto, vale pure per noi. Bonus da 500 milioni. u Servizi pagina 3 BRUXELLES. Dal nostro corrispondente pI sanguinosi attacchi terroristici di Parigi hanno improvvisamente assunto un inatteso risvolto di politica economica. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha confermato ieri che l'aumento della spesa in sicurezza da parte della Francia, ed eventualmente di altri Paesi europei, dovrebbe ricevere un trattamento speciale nell'applicazione del Patto di Stabilità e di Crescita. Quanto speciale è ancora tutto da capire. «Stiamo affrontando minacce terroristiche serie- ha detto Junc- ker durante una conferenza qui a Bruxelles -. La Franciae altri Paesi hanno bisogno di mezzi supplementari. Credo che questi mezzi supplementari non dovrebbero essere trattati come spesa ordinaria» secondo le regole del Patto di Stabilità. Questi nuovi mezzi, ha poi voluto precisare l'ex premier lussemburghese, devono essere usati «per assicurare la sicurezza dei cittadini», non per fare la guerra. La presa di posizione conferma quanto affermato martedì dal commissario agli affari monetari Pierre Moscovici. Commentando le parole di Juncker, il premier Matteo Renzi ha spiegato: «Il Patto di Stabilità non si deve applicare alle spese della difesa. Lo avevamo proposto nel settembre 2014, ci fu detto di no. Ma è positivo, giusto, sacrosanto (...) Figu- rarsi se uno sta attento allo "zero virgola" sulla sicurezza. Quello che vale per la Francia varrà anche per l'Italia». Un esponente comunitario faceva notare prima della conferenzaa cui ha partecipato il presidente Juncker che gli attacchi terroristici a Parigi «hanno scioccato in Commissione». Tra lunedìe martedì, sia il presidente François Hollande che il premier Manuel Valls avevano spiegato che la Francia non intende rispettare gli obiettivi di bilancio. La frase a effetto era stata quella del capo di Stato: «Il patto di sicurezza - aveva detto - ha la meglio sul Patto di Stabilità». Nel richiedere l'assistenza militare dei suoi partner,e appellandosi all'articolo 42.7 dei Trattati sugli scia degli attentati della settimana scorsa, la Francia ha trasformato gli attacchi terroristici in una questione europea, rendendo nel contempo più facile l'ottenimento di maggiore flessibilità di bilancio. Ha detto lo stesso Juncker del terrorismo islamico: «Mettiamo da parte i problemi che ci sono tra noi per concentrarci su questo problema, che se non viene affrontato porterà l'Europa sull'orlo del baratro». In privato, esponenti della Commissione fanno notare che il Patto non consente di dedurre dal calcolo del deficit spese specifiche, come quelle per la sicurezza. Spiega però un responsabile europeo: «È possibile adattare l'evoluzione del risanamento». Recenti linee-guida notano che «circostanze speciali» possono giustificare un rallentamento del ritmo di discesa del deficit sotto al 3% del Pil. Sottolineano inoltre che la valutazione dei bilanci deve tenere conto delle «circostanze specifiche paese per paese». Ai più, l'impressione è che alla Francia verrà concesso di rinviare il calo del disavanzo sotto al 3,0% del prodotto interno lordo, attualmente previsto nel 2017. Il presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem non si è sbilanciato su questa possibilità, ma ha ammesso: «La parola d'ordine è comprensione (...). Ciò non significa che si voglia consentire una deriva dei conti pubblici. Non credo peraltro che sia l'obiettivo, ma capisco che la Francia metta l'accento su questo aspetto». C'è da chiedersi se la risposta decisa del presidente Hollande dinanzi agli attentati di venerdì associata alla spesa in sicurezza e all'arma del deficit - non possa diventare, anche agli occhi dei partner europei, lo strumento dell'establishment politico con il quale indebolire il minaccioso Fronte Nazionale in vista delle presidenziali del 2017. Anche per questo motivo viè spazio per dare al governo francese, e probabilmente ad altri governi, margini di manovra. Quanto e fino a che punto è tutto da valutare.
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Juncker apre alla flessibilità di bilancio per sostenere investimenti straordinari per sicurezza e antiterrorismo
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Conti pubblici sotto controllo per la maggiore economia europea Conti pubblici e spesa per la sicurezza, il confronto tra le maggiori economie europee 5,9 6,0 6,1 6,6 9,8 0 -2 -4 -6 50 0 -2 -4 -6 50 0 -2 -4 -6 50 0 -2 -4 -6 50 0 -2 -4 -6 50 300 250 200 150 300 250 200 150 300 200 250 150 -1,9 150 300 250 200 300 200 250 150 0,9 0,5 0,6 100 -3,8 -3,4 172,4 -3,3 2016 100 -4,7 -3,6 295,5 -2,6 2016 100 -4,4 -3,0 267,4 2016 100 2,6 -2,3 137,8 -1,6 2016 100 2015 2016 134,1 2017 DEBITO In % sul Pil FRANCIA SPAGNA ITALIA Base 2007 = 100 Mariano Rajoy David Cameron REGNO UNITO Matteo Renzi GERMANIA Angela Merkel François Hollande DEFICIT PUBBLICO Spesa 2013 in % sul Pil DIFESA E SICUREZZA 2007 2010 2013 2015 2016 2017 2007 2010 2013 2015 2016 2017 2007 2010 2013 2015 2016 2017 2007 2010 2013 2015 2016 2017 2007 2010 2013 Nuova r ichiesta per un r invio del r isanamento dei conti pubblici Sotto il 3% dopo la lunga recessione e le profonde r iforme Già annunciati due miliardi di sterline per difesa e sicurezza Promossa con r iserva dall'Unione europea la Finanziar ia per il 2016 LA PAROLA CHIAVE Patto di stabilità 7 Approvato nel 1997 e riformato nel 2005 e nel 2011, il Patto di stabilità e crescita (Sgp Stability and Growth Pact) chiarisce quanto previsto dal Trattato di Maastricht in relazione alla sorveglianza delle politiche di bilancio degli Stati membri e il monitoraggio del deficit. In particolare gli Stati membri che hanno aderito all'euro devono continuare a rispettare i vincoli fissati sul bilancio dello Stato, ossia un deficit pubblico non superiore al 3% del Pil e un debito pubblico al di sotto del 60% del Pil (o, comunque, un debito pubblico tendente al rientro).
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Alberto Quadrio Curzio Nel recente Vertice G 20 dei Capi di Statoo di Governo dei maggiori Paesi del mondo tenutosi in Turchia il tema della lotta al terrorismo ha avuto giustamente la precedenza senza però cancellare i temi di sviluppo socio-economico. È stato importante non disgiungere sicurezza e sviluppo, anche perché dopo la crisi delle economie avanzate c'è adesso quella dei Paesi emergenti mentre molte aree del mondo rimangono sottosviluppate. Dobbiamo prendere atto che la "globalizzazione" non ha risoltoi problemi dello sviluppo e della stabilità e perciò diventa necessario tentare un "governo" dell'economia mondiale. In astratto il G 20 potrebbe farlo perché pesa circa il 66% della popolazione, l'80% del pil,il 90% del commercio mondiale. Continua u pagina 28 u Continua da pagina1 Ciò non accade perchè la geo-strategia sovrasta il geo-sviluppoe perché si voglio affrontare simultaneamente troppi temi economici. Così è stato anche Summit in Turchia malgrado l'enfasi sulla "inclusione" (dei disoccupati, discriminati,svantaggiatie dei Paesi poveri), sulla "implementazione" delle decisionie sugli investimenti. Ci interesseremo di questi perchéè il tema più concreto che riassorbe in parte anche il primo. Ocse,Ue,G20:priorità investimenti .Questi tre primari Soggetti inter o sovra nazionali si sono espressi chiaramente sull'urgenza degli investimenti ed in particolare di quelli infrastrutturali(I.I). L'Ocse, in un eccellente studio dell'agosto 2015 sulle strategie di investimento rivolto ai Ministri delle Finanze e i Governatori delle banche centrali del G20, parte dalla dichiarazione del vertice del G20 australiano del 2014 secondo il quale eliminare la carenza di investimentie di infrastruttureè cruciale per alzare la crescita,l'occupazionee la produttività. L'Ocse rappresenta per valutazionie formulazioni di standard progettuali un riferimento fondamentale per contribuire alla fattibilità degli (I.I). La Ue,tramite il Presidente del Consiglio(Tusk)e quello della Commissione(Juncker),ha rivolto al Vertice del G20 agli inizi di novembre un messaggio ponendo gli investimenti come "top priority" con il Piano Junckere con il progetto di unione del mercato dei capitali. Si chiedeva che il Summit di Antalya puntasse sugli investimentie le infrastrutture precisando le strategie di azione,finalizzando un piano per le Pmi,chiarendo i processi di intermediazione finanziaria,ottimizzando l'uso del capitale delle Banche Multilaterali di sviluppo(così come la Bei sta già facendo). Stante questa(condivisibile)presa di posizione europeaè abbastanza ridicolo che la Commissione approvi la nostra legge di stabilità con riserva di verifichea primavera sull'uso della flessibilità per gli investimenti cofinanziati. Infine il Vertice delG 20 di Antalya ha dedicato ampio spazio nelle conclusioni al tema (I.I)e riferendosia varie analisi dell'Ocse ha ipotizzato che le azioni prefigurate alzino gli investimenti aggregati delG 20 sul Pil di1 punto percentuale entro il 2018. Nelle conclusioni si richiama la necessità di linee guidae delle "best practices" per facilitarei partenariati pubblico-privato, per rafforzare strumenti alternativi di finanziamento con garanzie realie attraverso cartolarizzazioni, per coinvolgere sempre più gli investitori istituzionali (ovvero fondi pensione,compagnie assicurative,fondi sovrani), per spingere le banche di sviluppo multilaterali (tipo Banca Mondiale)alla massima mobilizzazione delle loro risorse. Infrastrutture necessarie. Quanti sono gli (I.I.)necessaria scala mondiale? Tra le analisi al proposito notevoleè una ricerca del McKinsey Global Institute che stima necessari, sui 18 anni 2013-30, 57 mila miliardi di dollari(che salgonoa 67 mila con altri metodi di calcolo) di investimenti infrastrutturali per le quattro principali tipologie di trasporti (strade, ferrovie, porti, aeroporti), per energia, acqua, telecomunicazioni. Pur essendo questo un aumento del 60% rispetto ai 36 mila miliardi investiti nei passati 18 anni, l'entità non basta per superare gli arretratie le carenze nella manutenzionee nel rinnovo delle infrastrutture esistenti. Nè tiene conto del costo per rendere le infrastrutture più resilienti ai cambiamenti climaticie meno invasive sul climae l'ambiente. Infine- continua McKinsey- non considera le infrastrutture sociali come scuole ed ospedali. Nei Paesi emergenti in particolare non consentirebbe di accelerare l'attuale traiettoria di sviluppo nelle infrastrutture fisichee sociali SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/11/2015 - 19/11/2015
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INVESTIMENTI PRIORITÀ «GLOBALE»
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tanto lenta che, per esempio,sarebbero necessari 50 anni per dare accesso in gran parte dell'Africaa standard accettabili di acquee sanità. Il problema nord-sud si pone anche perché passati 18 anni il 70% degli investimentiè andato ai Paesi industrializzati mentre nei prossimi circa il 50% dovrebbe andare ai Paesi emergenti. Importanti sarebbero gli effetti occupazionali (un aumento dell'1% del Pil in II incrementa di 3,4 milioni gli occupati in Indiae 1,3 milioni negli Usa),sulla qualità della vitae sulla produttività sistemica. In conclusione su scala mondiale è necessario un (I.I)medio di circa 3200 miliardi di dollari all'anno solo per mantenere l'attuale livello di servizio delle infrastrutture rispetto al Pil mondiale. McKinsey argomenta tuttavia che risparmi importanti sarebbero conseguibili con le migliori pratiche progettuali ed esecutive in uso per (I.I.) utilizzando al meglio le infrastrutture esistenti sia rinnovandole sia coordiandole con un forte aumento della produttività degli (I.I.) Una Conclusione italiana. In passato abbiamo segnalato che la Cassa Depositie Prestiti ha un ruolo sugli (I.I)in quanto membro del Long Term Investors Club, del gruppo delle National Promotional Bank del G 20 e del Piano Juncher, dello International Forum of Sovereign Wealth Funds(via FSI. Adesso l'Italia è anche nell'Asian Infrastructure Investment Bank promossa dalla Cina con afferenza di almeno 50 Paesi tra europei, asiatici, medio orientali e africani mentre dalla fondazione siamo nella Bers e in altre banche Multilaterali di sviluppo. Qui e altrove dobbiamo essere sempre attivi perché anche cosi si possono coniugare lo sviluppo e la solidarietà con la sicurezza.
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Mosca e il segnale sul debito ucraino Antonella Scott Tre miliardi di dollari, da ripagare tutti e subito dietro minaccia di finire in tribunale, ridotti a 75 milioni. Potenza della geopolitica: all'improvviso, Mosca ha accettato di ristrutturare il debito dovutole dall'Ucraina, in scadenza il mese prossimo. «E non solo - dice Vladimir Putin -. Gli abbiamo perfino offerto condizioni migliori di quelle che ci aveva richiesto il Fondo monetario internazionale». Continua u pagina 2 u Continua da pagina 1 La soluzione presentata ieri da Anton Siluanov, il ministro russo delle Finanze, propone a Kiev il rimborso di un miliardo di dollari all'anno, dal 2016 al 2018, con i 75 milioni di interessi da versare ora entro dicembre. Questi tre miliardi ci riportano diritti all'origine della crisi ucraina: nel dicembre 2013 Putin li assicurò a Viktor Yanukovich, allora presidente ucraino, per ricompensarlo di aver rinunciato all'accordo di associazione alla Ue. È troppo presto per dire se il dramma di Parigi si rivelerà davvero uno spartiacque per la Russia di Putin e l'Occidente, ora che le divergenze sull'Ucraina lasciano il posto alla necessità di combattere insieme contro l'Isis. Ma l'economia corre più velocemente della politica: e senza aspettare che le speranze di costituire una nuova alleanza contro il terrore si consolidino, già immagina l'abolizione delle sanzioni internazionali che hanno alimentato la recessione russa. Come si può combattere a fianco di qualcuno, e poi farsi guerra sul fronte commerciale? L'Unione Europea sarà chiamata a rivedere le sanzioni alla Russia nei primi mesi del prossimo anno, gli Stati Uniti invocano cautela: le misure resteranno in vigore finché la crisi ucraina non sarà risolta. Ma ai mercati è bastato vedere i sorrisi che Putin e Barack Obama si sono finalmente scambiati al G-20 di domenica scorsa, o sentire il presidente americano parlare di Putin come di un «partner costruttivo». «Mi sto riscaldando all'idea di rimettere un po' di soldi sulla Russia», diceva ieri un market strategist all'agenzia Bloomberg. Tra le agenzie di rating, Standard & Poor's è stata la prima a osservare che la riabilitazione della Russia potrebbe assicurare un riesame del rating, precipitato al livello junk nei mesi scorsi. Da tre giorni, rublo e Borsa di Mosca finalmente festeggiano. Il clima può bruscamente cambiare di nuovo. Sul fronte economico, a causa del petrolio, il solo con il potere di rassicurare i preoccupanti conti pubblici russi. E quando la tendenza dei prezzi dell'energia resta al ribasso, per il rublo è quasi impossibile andare in direzione opposta. Sul fronte politico, il primo grosso ostacolo tra Mosca e l'Occidente resta appunto l'Ucraina. Un'intesa sul debito è un buon segnale distensivo tra russi e ucraini, cui però si accompagnano le continue provocazioni che ancora rompono la tregua nel Donbass, o l'imposizione di sanzioni reciproche. In Siria, a dividere Putin dai partner restano le divergenze sul ruolo di Bashar Assad e dell'opposizione moderata, bombardata dai jet russi fino a ieri. La chiave perché questo disgelo resista al venire meno dell'ondata emotiva nata a Parigi sta in una parola pronunciata ieri da Obama, la speranza di una migliore condivisione con la Russia del modo di porre fine alla guerra civile in Siria. Sarebbe un risultato gigantesco. E ancor di più se quella comprensione, superata questa prova, riuscisse ad andare a toccare anche altri confini. LA CORSA DEL RUBLO Euro per rublo 13/11/15 LA CORSA DE LLA B ORSA DI M OS CA P erformance % da iniz io s ett imana Madrid Ibex 35 +1,48% +1,14% +2,05% +2,35% +7,56% IERI 0,0140 0,0150 0,0145 0,0145 0,0130 Parigi Cac 40 Var. % MOSCA RTS 0,0139 Milano Ftse Mib Francoforte Dax +4,32% 0,0145 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/11/2015 - 19/11/2015
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Il balzo dei mercati russi
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Borse deboli, il petrolio sotto quota 40 Petroliferi In serata a New York il greggio risale sopra 40 dollari, le aziende del settore oil corrono sulle piazze mondiali Azionario Dal giorno degli attentati listini tutti positivi: ieri prese di profitto in Europa, rally a Wall Street Le tensioni geopolitiche non hanno impatto sui mercati: oro ai minimi da 5 anni - Vola la Borsa russa pUna volta le tensioni geopolitiche, gli attentatie gli scenari bellici spingevano gli investitori a comprare beni rifugio (come l'oro oi titoli di Stato),a vendere in Borsaea puntare su un rincaro del petrolio. Ma oggi, in una «nuova normalità» che di «normale» ha ben poco, anche queste banali reazioni istintive dei mercati sono venute meno. Così da venerdì scorso, giorno in cui Parigi è stata ferita dal terrorismo, nulla di quanto ci si sarebbe potuti aspettareè accaduto. Il petrolio Wtiè sceso ieri sotto i 40 dollari al barile per la prima volta da agosto, perdendo l'1,57% dalla data degli attentati, salvo poi chiudere a 40,75. L'oro (tradizionale bene rifugio) è arrivato a toccarei minimi da oltre5 annia 1.064 dollari, perdendo da venerdì l'1,38%. Le Borse ieri sono rimaste deboli (Milano -0,98%) per le prese di profitto, ma da venerdì sono tutte in rialzo. Wall Streetè invece salita anche ieri.E in Europa non si trova un settore azionario che da venerdì sia in negativo: persino le società petrolifere, nonostante il ribasso del barile, segnano in Borsa un rialzo medio del 5,70%. Insomma: gli attacchi di Parigi, che seguono di poche settimane l'aereo abbattuto in Sinai e i meno recenti attentatia Charlie Hebdoe nella spiaggia in Tunisia, non hanno alcun impatto. Neppure se seguiti da ripetuti allarmi-bomba negli stadi e in alcune capitali europee. Nemmeno se seguiti da un probabile evento bellico in Siria. Tutto questo, avvenuto in così poco tempo, non ha minimamente cambiato l'atteggiamento degli investitori su nessuno dei mercati che tradizionalmente reagisce- almeno un poco-a eventi del genere. Non solo: se si leggono le cronache finanziarie di ieri, si scopre che il calo delle Borse europeeè legato all'attesa dei verbali della Federal Reservee non agli sviluppi geopolitici. Degli eventi drammatici di questi giorni, che affollano giornalie trasmissioni Tv in tutto il mondo, sui mercati non si vede traccia. Solo le Borse di Russia (si veda articolo sotto), Egittoe Turchia hanno mostrato una qualche reazione, la prima salendo e le altre scendendo. Ma per il resto, calma piatta. Business as usual. Sebbene da molti annii mercati finanziari dimostrino totale noncuranza per gli attentati (l'impatto fu minimo anche nel 2004 e nel 2005 quando furono colpite Madrid e Londra), questa volta la non-reazioneè ancora più clamorosa se paragonata alla portata degli eventi di questi giorni.I mercati dimostrano con forza che a determinare le scelte degli investitori non sonoi terroristio le guerre, ma altri fattori. Innanzitutto le banche centrali. Gli eventi di Parigi hanno dato agli investitori la convinzione che la Bce il 3 dicembre debba aumentare gli stimoli monetari all'economia più di quanto previsto in precedenza: in questo senso, dunque, gli attentati sono stati addirittura positivi peri mercati. C'è poi un altro elemento positivo, secondo Andrea Delitala di Pictet Am: «L'Isis è riuscito a ricompattare l'Occidente, con un riavvicinamento tra Europa, Stati Unitie Russia- osserva -. Questoè positivo per la stessa Europa, non solo per Mosca». Ci sono poi vari motivi tecnici, che spingono gli investitoria restare positivi sui mercati. Ma la realtàè chei mercati sono mossi da altre logiche, e la geopolitica nonè più una tra queste. Così il petrolio continuaa scendere (sebbene ieri in tarda serata sia rimbalzatoe abbia chiuso in positivo) per i motivi di sempre: eccesso di offertae calo della domanda. Le società petrolifere, invece, vengono sostenute in borsa dai dividendi che continuanoa pagaree dalla convinzione degli investitori che molte di loro abbiano fatto una certa pulizia di bilancio. L'oro scende perché viene penalizzato dal rialzo del dollaro dovuto all'imminente rialzo dei tassi Usa da parte della Federal Reserve (confermato ieri sera dalle minute della banca centrale Usa). Le Borse salgono per gli stimoli monetari della Bce. E i rendimenti dei titoli di Stato restano bassi per lo stesso motivo: la Bce. Niente di nuovo. LE BORSE Variazioni % di ieri e dal 13/11/2015
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Mercati globali I LISTINI Morya Longo
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New York Nasdaq L'impatto sui mercati degli attentati: ecco le performance da venerdì 13 +1,79% +1,42% +1,30% +0,45% +0,16% +0,10% -0,10% -0,14% -0,62% -0,79% -0,99% -0,98% +2,85% +1,66% +2,63% -5,77% +2,35% +2,65% +1,48% +2,05% -1,67% +1,14% +4,76% +2,99% 0 46 45 44 43 1125 1100 1075 1050 0,65 0,59 0,53 0,47 Dax 1,03 1,01 0,99 0,97 1,084 1,076 1,068 1,060 ORO 13/11 18/11 13/11 Micex Mosca MSCI 18/11 13/11 44,06 Londra Egx 30 43,45 18/11 BUND 13/11 Europa 18/11 Parigi Cac 40 1,0113 13/11 1,080 Milano Madrid Ibex 35 1,064 18/11 1083,31 New York Dow Jones 1068,45 RUBLO Euro/rublo 0,01386 0,01450 BRENT Ftse 100 Il Cairo 0,6134 Eurostoxx 0,5033 STERLINA 0,9844 Bist 100 Istanbul Ftse Mib DOLLARO Euro/dollaro 13/11 - FATTI PARIGI Borse Mondiali Francoforte Londra prezzo spot. $/oz Ice-1ª posizione. $/bbl. 13/11 - FATTI PARIGI 13/11 - FATTI PARIGI Rendimento dei titoli a 10 anni Rublo/Sterlina 13/11 - FATTI PARIGI 13/11 - FATTI PARIGI 13/11 - FATTI PARIGI 13/11 - FATTI PARIGI 13/11 - FATTI PARIGI 13/11 - FATTI PARIGI 13/11 FATTI PARIGI 13/11 - FATTI PARIGI 13/11 - FATTI PARIGI
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Una decisione che può cambiare il mercato GLI EFFETTI La delibera di Camanzi è la premessa per valorizzare le rete e rafforzare l'autonomia di Rfi Giorgio Santilli La delibera sui pedaggi ferroviari approvata ieri dall'Autorità per i trasporti guidata da Andrea Camanzi conferma una verità generale che in Italia appare spesso scomoda e sottovalutata: la regolazione dei mercati - soprattutto quando è indipendente dal governo - può porre le condizioni per favorire lo sviluppo economico, l'allargamento della competizione a nuovi operatori, nuovi investimenti. La regolazione è, insomma, un pezzo non irrilevante della politica economica. Nello specifico delle decisioni assunte dall'Autorità, si volta pagina su uno degli aspetti più delicati della regolazione ferroviaria: la determinazione dei pedaggi che le imprese ferroviarie pagano al gestore della rete per far correre i propri treni sui binari. Può sembrare un tema da addetti ai lavori, ma le sue implicazioni sono molto rilevanti, al punto che si può dire che l'Autorità, pur non sconfinando dalle sue competenze regolatorie, impatta con questa decisione sui livelli di competizione ferroviaria, sulla valorizzazione della rete ferroviaria e - da ultimo - anche sulle decisioni squisitamente politiche che il governo assumerà sulla privatizzazione di Fs o, per meglio dire, sul modello di privatizzazione del gruppo Fs. È noto che in questo momento, dentro il governo ci sono due linee divergenti sulla materia e che questo ha prodotto una paralisi decisionale, rinviando i tempi dell'operazione. Da una parte c'è il ministero dell'Economia, che vuole una privatizzazione in blocco del gruppo Fs (l'ipotesi prevalente in questo campo è la quotazione in Borsa della holding Fs), dall'altra c'è il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, che vede di buon occhio una separazione fra una rete che resti sotto il controllo pubblico e un'impresa ferroviaria aperta a capitali privati. In che modo la decisione dell'Autorità di ieri impatta su queste decisioni? La delibera è la premessa per la valorizzazione della rete e per il rafforzamento dell'autonomia di Rfi. Non solo perché ribadisce e rafforza gli obblighi di contabilità regolatoria e di separazione contabile di Rfi dal gruppo Fs, con un più forte controllo sui costi che dovranno essere «pertinenti ed efficienti». Ma anche perché detta per la prima volta criteri per la definizione dei pedaggi e assicura che ci sarà un'attenta verifica sul rispetto di questi criteri. Più si rafforzano le "leggi" esterne al gruppo Fs che Rfi deve rispettare nella sua azione, più cresce l'autonomia dalla holding proprietaria. Ma soprattutto Rfi ha la possibilità, con la maggiore autonomia, di diventare un centro di profitto senza più essere solo un centro di servizi. La flessibilizzazione dei pedaggi, con la possibilità di aumentare i canoni sui treni alunga percorrenza diversi dall'alta velocità e sui treni dei pendolari, può fluidificare il traffico (per esempio con pedaggi diversi in fasce orarie diverse), può contribuire alla saturazione della rete (a cosa altro dovrebbe mirare il gestore di una rete?) , può favorire, nel lungo periodo,l'ingresso di nuovi soggetti, confortati proprio da una regolazione "forte". Una società della rete più autonoma e più profittevole è il miglior modo per porre le condizioni di una separazione dei suoi destini da quelli del gruppo Fs. Poi spetterà al governo se arrivare alla separazione proprietaria o meno. Ma intanto ci saranno le condizioni per scelte di efficienza e di concorrenza.
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L'ANALISI
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L'Italia resta al centro dei piani europei pNonostante il dimezzamento del numero dei progetti prioritari che la riguardano, l'Italia resta al centro della strategia Ue per l'Unione dell'energia sul fronte delle interconnessioni elettriche ma soprattutto sul gas, dato il "ruolo importante nella creazione di un hub mediterraneo". È quanto emerge dal primo rapporto della Commissione Ue sulla realizzazione del suo piano, in cui ha analizzato la situazione in ogni Paese e rivisto la lista del 2013 dei progetti prioritari d'interesse comune (Pci). Rispetto a due anni fa Bruxelles ne ha tagliato il numero da 248a 195e l'Italiaè passata da 31 a 16 progetti. I progetti italiani prioritari sul fronte elettricità, suscettibili di ricevere finanziamenti Ue, si concentrano "principalmente sugli interconnettori" elettrici tra l'Italia ei paesi confinanti. La capacità italiana di interconnessione elettrica a fine 2014 era solo al 7,4%, quindi «deve ancora migliorare» in quanto «fa ancora affidamento in modo significativo sulle importazioni elettriche con il rischio di seri problemi di congestione». Con la realizzazione di queste infrastrutture dovrebbe salire al 12% entro il 2020. È inoltre «molto importante» anche il collegamento con il Montenegro tra Latsva e Villanova (eliminati Fano-Teramo e Foggia-Villanova). C'è poi l'interconnessione con la Slovenia tra Salgareda-Divaca/Bericevo (tagliate invece Udine Ovest-Okrog l o e U d i n e O v e s t Redipuglia). Sul fronte del gas, invece- si legge nella valutazione della Commissione - «la strategia di diversificazione delle forniture appare per ora essere orientata verso il Corridoio Sud», in particolare la costruzione del Tap (TransAdriatic Pipeline), un «progetto critico listato nella Strategia Europea di sicurezza energetica»,è «attesa iniziare nel 2016». Oltre al Tap (Grecia-Albania-Italia), gli altri progetti prioritari nella lista Ue sono il Poseidon (Grecia-Italia che completa l'Itgi), l'Adriatica, il Galsi (Algeria-Italia), il gasdotto Italia-Malta con il rigassificatore Gelae il reverse flow con la Svizzera al Passo Gries. Gli altri progetti prioritari riguardano l'espansione della capacità dell'oleodotto Tal (Italia-Germania) tra Triestee Ingolstadt, e per le smart grid il Green-Me Mediterraneo settentrionale con la Francia.
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Energia e strutture
19/11/2015 Pag. 31.35
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L'Abi sfida la Ue sui quattro salvataggi Patuelli: «Sì all'intervento privato entro l'anno, pronti due miliardi da istituti italiani» IL MONITO ALLA UE Evitare interferenze comunitarie nei casi pre-bail in di Banca Marche, Banca Etruria, Cassa Ferrara e CariChieti Rossella Bocciarelli Le banche italiane sono «determinate» ad andare avanti nel salvataggio di Cassa di risparmio di Ferrara, Banca Marche, Banca Etruriae CariChieti tramite il Fondo interbancario di tutela dei depositi. E intendono farlo «entro l'anno». Lo ha spiegato ieri il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, dopo la riunione del comitato esecutivo dell'Associazione. «Le banche italiane - ha sottolineato sono tanto determinatea realizzarei salvataggi dei quattro istituti in crisi, che hanno deciso unanimemente di destinarvi 2 miliardi di euro di risorse private. Cosa si può chiedere di più alle banche che salvarsi da sole? Più che pagare di tasca propria, cosa si possono inventare? Lo vogliamo fare subito, entro l'anno. Se non ci fosse questa determinazione - ha aggiunto - il Fondo interbancario non avrebbe già fatto da otto mesi tutte le delibere del caso».Nei giorni scorsi, Patuelli aveva fatto sapere di essere pronto a un ricorso, qualora l'Ue decidesse di vietare il salvataggio di istituti con il Fondo interbancario,e ieri lo ha ribadito: se da Bruxelles arrivasse uno stop, ha spiegato, «leggeremmo le carte con grande attenzione» perchè «siamo fortemente europeisti ma non siamo europeisti acritici». Sinora, da Bruxelles non è arrivata alcuna risposta e, in mancanza di autorizzazione, il Fondo interbancario non può essere attivato. «Abbiamo consapevolezza dei nostri doverie dei nostri diritti, ma anche del fatto che le autorità di Bruxelles- ha fatto notare il numero uno di Palazzo Altieri - non sono superiori ai trattati. L'Europa non è una monarchia assoluta, non ha una costituzione ma ci sono dei trattati e un diritto molto cospicuo».All'esecutivo Abi era presente anche il presidente della Commissione per i problemi economicie monetari del Parlamento europeo, Roberto Gualtieri, che ha sottolineato come il salvataggio attraverso il Fondo interbancario sia «una fattispecie contemplata dalla normativa europea». Lo stesso Gualtieri, peraltro, ha sostenuto che servirebbe più equanimità da parte della Dg competition di Bruxelles anche a proposito di bad bank (altro terreno sul quale non è arrivata ancora nessuna risposta al governo italiano, dopo otto mesi di dialogo) . Gualtieri ha infatti ricordato il caso Hsh Nord bank, la banca tedesca detenuta in maggioranza dai governi dello Schlewsig Holstein e di Amburgo, recentemente ricapitalizzata e ristrutturata con il placet della Commissione, secondo uno schema che prevede la cessione di oltre6 miliardi di non performing loans a un veicolo posseduto dagli azionisti della banca.«E' vero che su Hsh Nordbank stiamo parlando del prolungamento di una garanzia attribuita precedentemente ad una normativa più stringente- ha osservato ma allo stesso tempo tale garanzia è stata rinnovata recentemente per 3 miliardi.E sarebbe opportuna una effettiva equanimità della Dg Competition, che non sempre appare ottimale». Nella conferenza stampa di ieri,il presidente dell'Abi è tornato ad auspicare tempi più stretti per la piena realizzazione dell'Unione bancaria. «Il periodo indicato di dieci anni - ha detto - a me sembra eccessivamente lungo. Soprattutto dopo le stragi di Parigi, dobbiamo avere la consapevolezza non solo delle misure di sicurezza, ma delle strategiea livello di Unione europea in modo da non dare impulsoa vecchie nuovi nazionalismi».In tema di sicurezza, in ogni caso, non ci sono timori particolari:il sistema bancario non è in una posizione critica o di pericolo dopo i recenti attacchi terroristici di Parigi. «Le istituzioni della Repubblica non mi hanno segnalato alcunchè di problematico» ha spiegato Patuelli. «Il mondo bancario e' avanti in termini di sicurezza sia fisica,effettuata ad esempio con le telecamere che sono assolutamente e semprea disposizione delle autorità giudiziarie, sia sulla sicurezza informatica». I numeri
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Credito/1. Linea dura dei banchieri italiani: faremo ricorso se da Bruxelles dovesse arrivare uno stop, le autorità della Ue non sono superiori ai trattati
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2miliardi Il Fondo interbancario È la somma che si vuole stanziare per il salvataggio e banche a rischio Cari Ferrara, Banca Marche, Banca Etruria e CariChieti Foto: ANSA Foto: Banchiere. Antonio Patuelli, presidente dell'Abi
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L'Fmi condanna senza attenuanti l'austerity all'europea "Non funziona" "Se tutti i paesi riducono i salari per ridare competitività il risultato è un disastro" MAURIZIO RICCI ROMA. Molti economisti - premi Nobel compresi - l'avevano già detto, ma ora è ufficiale, sancito dal Fondo monetario internazionale, con il sostegno di un elegante modello econometrico: l'austerità all'europea non funziona. Più esattamente, tagliare i salari per ridare competitività, quando si sta dentro una unione monetaria, può ottenere il risultato voluto, se lo si fa in un paese solo. Se lo fanno insieme tutti i paesi in crisi e la politica monetaria non può aiutare, perché i tassi sono già a zero, è un flop. Se, contemporaneamente, lo fanno anche i paesi che in crisi non sono, il risultato è un disastro. Esattamente quello che sono riusciti a mettere insieme, in sette anni di crisi, gli strateghi europei, sotto la guida di Berlino. Lo studio pubblicato da un nutrito gruppo di ricercatori del Fondo parte dal fatto che, nell'area euro, la tradizionale svalutazione monetaria non è possibile e, dunque, la svalutazione deve essere interna. Un taglio dei salari del 2% in un solo paese dell'area produce, dopo 3 anni, un aumento del Pil del 2%. Ma se, a muoversi nella stessa direzione, sono tutti i paesi in crisi (Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia) l'aumento del Pil si dimezza all'1%. E siccome meno Pil vuol dire debito più pesante, i paesi interessati sono costretti a far partire un round di stretta fiscale. Se l'effetto non viene compensato da un allentamento della politica monetaria, perché i tassi sono già a zero, il Pil viene soffocato. Il punto è che i paesi dell'euro commerciano soprattutto tra loro e, quindi, se un gruppo di paesi taglia i salari e, dunque, la domanda, le esportazioni ne soffrono. Per lo stesso motivo, l'effetto viene amplificato se a tagliare non sono solo i paesi in crisi, ma anche gli altri. In questo caso, una tosatura dei salari del 2% porta, dopo tre anni, ad una riduzione dell'1% del Pil. E' la direzione verso cui ha spinto a lungo, comprimendo i suoi salari, la Germania. La cosa migliore, secondo l'Fmi, sarebbe tagliare i salari da una parte, compensando l'effetto con un aumento dei salari negli altri paesi. Ma, da questo orecchio, Berlino non ha mai voluto sentire. Foto: AL VERTICE Christine Lagarde, direttore del Fondo Monetario Internazionale
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IL PUNTO
19/11/2015 Pag. 24
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Consultazione a gennaio tra gli iscritti Cgil e Fiom e poi la decisione. Poletti: "Mossa irragionevole" LUISA GRION ROMA. Cancellare il Jobs Act con un referendum perché «quando le leggi sono sbagliate bisogna cambiarle». Così Maurizio Landini, il leader della Fiom, rilancia uno dei temi centrali della manifestazione nazionale che i metalmeccanici della Cgil hanno in programma fra 48 ore a Roma. «Serve un referendum abrogativo per una legge che rende più semplici i licenziamenti e non crea nuovi posti di lavoro» ha detto. La via per decidere se intraprendere o meno una consultazione che, se avviata, potrebbe comunque avvenire solo nel 2017 è d'altra parte già tracciata. Pochi giorni fa , infatti, il direttivo della Cgil ha deciso con un voto a maggioranza - che consulterà gli scritti sulla possibilità di indire un referendum abrogativo su quelle parti del Jobs Act che contraddicono il nuovo Statuto dei lavoratori (il cui testo sarà presentato a dicembre e a sua volta sottoposto al voto degli iscritti). La consultazione si terrà dal metà di gennaio a fine febbraio. Jobs Act a parte, Landini, di suo, avanza però l'ipotesi di estendere la richiesta referendaria anche alla riforma della scuola. «Personalmente - ha spiegato - penso che dovremmo valutare con attenzione quello che sta succedendo» attorno ad una legge «sbagliata» che non garantisce a tutti il diritto allo studio. Convinzione della Fiom è che «il governo non abbia assolutamente il consenso della maggioranza degli italiani». Del resto, ha precisato il suo leader «nessuno dei provvedimenti che ha messo in campo è mai stato sottoposto al parere degli interessati». Provocazione che il ministro del Lavoro Giuliano Poletti non raccoglie. «Ogni organizzazione ha la propria libertà e responsabilità. Io continuo a pensare che la riforma del lavoro sia un bene per il nostro Paese. Lo confermano le istituzioni internazionali, i numeri dei nuovi assunti a tempo indeterminato e gli investitori internazionali». Quanto al fatto che in certi casi, fra sgravi contenuti nella legge di Stabilità e Jobs Act, possa essere conveniente assumere e poi licenziare (come sostiene uno studio Uil) il ministro assicura che così non è. «Licenziare non conviene ed è irragionevole - commenta - Oggi il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti costa meno degli altri contratti a tempo determinato». Infatti, ha aggiunto, di quel tipo di contratto «ad oggi c'è n'è più di un milione» Foto: Maurizio Landini
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Landini sul Jobs Act "Serve referendum per cancellarlo"
19/11/2015 Pag. 27
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L'Abi sfida la Ue "Pronti 2 miliardi per salvare subito 4 banche in crisi" Patuelli: "L' intervento del Fondo interbancario non è aiuto di Stato" Popolari, fusioni in alto mare Allo studio un Piano B che prevede versamenti volontari da parte degli istituti di credito VITTORIA PULEDDA MILANO. Il risiko delle popolari continua ad infiammare i dibattiti ma a non produrre fusioni. L'ad del Banco Popolare, Pier Francesco Saviotti, è tornato a dire che punta ad un'operazione entro fine anno. «Spero proprio di sì» ha detto a margine dell'esecutivo dell'Abi, ma ha aggiunto che per il momento «non ci sono novità». Ancora più tassativo Giuseppe Castagna, numero uno della Bpm: «Per ora si parla tanto ma non si risolve molto» ha commentato, mentre il presidente della Carige ha affermato che non ci sono stati nuovi incontri con Bpm. Nel frattempo il tempo stringe anche sul salvataggio di CariFerrara, Banca Marche, Popolare dell'Etruria e CariChieti. «Le banche italiane sono tanto determinate a realizzare i salvataggi delle quattro in crisi, che hanno deciso unanimemente di destinare ampie risorse, circa 2 miliardi, di risorse private», ha sottolineato di nuovo ieri il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli. Ma l'intervento finora non si è realizzato per l'atteggiamento della Commissione europea. «Un po' di insofferenza mi sembra legittima e doverosa», spiega Patuelli. La vicenda è nota: il Fondo interbancario di garanzia ha deliberato da tempo gli interventi di ricapitalizzazione (quello in CariChieti è in via di formalizzazione). Una iniziativa auspicabile entro la fine dell'anno, per non rischiare di incorrere nelle maglie del "bail in", il meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie che entrerà in vigore dal primo gennaio 2016. Ma Bruxelles continua ad agitare lo spauracchio degli aiuti di Stato. «I primi documenti del Fondo sono stati approvati in luglio - sottolinea Patuelli - chi ha qualcosa da obiettare lo faccia, per iscritto». Il presidente dell'Abi ha ammonito: «Leggeremo con grande attenzione» le motivazioni di un eventuale stop «perché siamo europeisti ma non europeisti acritici» e non ha escluso ricorsi. E comunque, ha ricordato, «le burocrazie di Bruxelles non sono superiori ai trattati». Infatti l'europarlamentare Roberto Gualtieri, ha ricordato che l'articolo 11 della Direttiva sui sistemi di garanzia dei depositi prevede che uno strumento come il Fondo interbancario possa «utilizzare i mezzi finanziari disponibili per misure alternative alla risoluzione volte ad evitare il fallimento di un ente creditizio». Il Fondo interbancario sta comunque studiando un "piano B", per aggirare l'eventuale divieto di Bruxelles. La soluzione fa perno su una modifica dello Statuto del Fondo, che preveda una sorta di "braccio volontario" di intervento delle banche, con mezzi aggiuntivi rispetto al versamento obbligatorio, previsto dalla Direttiva comunitaria, per la salvaguardia dei depositi sotto i centomila euro. Se l'assemblea del Fondo - convocata per il 26 novembre - approverà il nuovo articolo, si verrà a creare una sorta di nuovo veicolo, sempre all'interno del Fondo interbancario, che poi dovrà registrare le adesioni (volontarie) delle banche e varare un proprio organo di gestione, che deliberi di volta in volta gli interventi negli istituti in difficoltà. Il 26 il Fondo approverà anche la modifica statutaria per recepire il nuovo sistema di contribuzione - obbligatoria - delle banche a sostegno dei depositi tutelati, in caso di crisi. www.abi.it PER SAPERNE DI PIÙ Foto: BANCHIERE Antonio Patuelli, presidente dell'Associazione bancaria italiana e della Cassa di risparmio di Ravenna ha annunciato che nonostante le obiezioni Ue il Fondo interbancario salverà con 2 miliardi le 4 banche in crisi
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Le aziende
19/11/2015 Pag. 29 N.47 - 25 novembre 2015
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E ora i bancari tirano la cinghia Ristrutturazioni e fusioni rafforzeranno gli istituti italiani. Ma a farne le spese saranno i dipendenti. (M.B.) Moody's le ha appena promosse. L'equazione meno crediti incagliati più redditività ha convinto l'agenzia di rating americana a rivedere da negativo a stabile il giudizio sulle banche italiane. Una buona notizia per Piazza Affari, una verae propria mazzata per i dipendenti del credito: secondo Moody's, infatti, il recupero dei margini 2016 del settore è in gran parte legato alle fusioni tra banche popolari e al miglioramento dei costi operativi, in primis quelli del personale.È la società di analisi economica Prometeia a fare i conti: il sistema bancario italiano entro il 2018 taglierà 27.500 dipendenti (11 mila le eccedenze già annunciate), che andranno ad aggiungersi ai 48 mila bancari espulsi a partire dal 2000. E se Unicredit ha appena ritoccato al rialzo di 540 unità gli esuberi al 2018, la parte del leone la faranno le banche popolari che nei prossimi mesi si trasformeranno in società per azioniea regime confluiranno in due soli poli creditizi con risparmi che Prometeia stima in 1,1 miliardi di euro grazie al taglio di 6.500 dipendenti, di cui 2.500 nelle agenzie. Un downsizing che negli ultimi mesi è stato annunciato da Popolare di Vicenza (con 575 esuberi), Veneto Banca (430) e Bper (781), mentre la ricerca forzata di un partner dalle sottocapitalizzate Monte dei Paschie Carige ridurrài loro organici di3 mila posizioni. Un altro migliaio di bancari invece sarebbero in uscita dalle disastrate Banca delle Marche, Popolare dell'Etruria, CariFerrarae CariChieti, mentre la migrazione in atto dagli sportelli fisici ai servizi online decimerà di altre 6 mila unità il settore. Poi c'è il capitolo delle banche di credito cooperativo, il cui numero è destinato a dimezzarsi in seguito alle aggregazioni «suggerite» da Banca d'Italia. Come nel caso della Bcc Padovana, la più grande del Veneto, che ha fatto crac sotto il peso di una montagna di crediti inesigibili e che ora deve fondersi con la Bcc di Roma, sacrificando una novantina di posti di lavoro sui 200 complessivi. Elaborazione grafica Stefano Carrara SONO I BANCARI ITALIANI CHE RISCHIANO IL POSTO AL 2018 27.500 Foto: I dipendenti delle banche italiane sono circa 300 mila, mentre le filiali sono 31 mila: dovrebbero scendere a poco meno di 28 mila nel 2018.
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SCENARI_ ECONOMIA
19/11/2015 Pag. 30 N.47 - 25 novembre 2015
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Roma-Bruxelles, la via crucis di Padoan In Italia c'è Renzi che gli rende la vita difficile, ma con l'Unione europea è davvero un dialogo tra sordi. (Stefano Cingolani) Chi telefona a Jean-Claude Juncker per assicurarsi che qualche zelota dell'austerità non metta in discussione la legge di Stabilità? Pier Carlo Padoan, diranno i lettori. Invece no, è Matteo Renzi, proprio lui, sempre lui. Lo stesso che ha ribaltato la politica fiscale abolendo l'imposta sulla prima casa, una tegola sulla testa del ministro dell'Economia il quale, invece, marciava dritto verso un altro bonus per il lavoro dipendente, raccomandato dall'Unione europea. Quanti rospi dovrà ancora ingoiare il prudente, paziente, accondiscendente Padoan? Gli hanno sottratto la spending review, il che in soldoni ha tolto uno spazio di manovra di cinque miliardi rispetto alle previsioni del Def (Documento di economia e finanza) pubblicate nell'aprile scorso. Gli hanno piazzato alle costole Yoram Gutgeld e un gruppo di consiglieri di buona speranza. Ma le cose non vanno bene nemmeno sul fronte delle banche, uno dei più delicati e insidiosi. E qui è proprio l'Unione europea a mettersi di traverso. Il primo stop riguarda l'utilizzo del Fondo interbancario, destinato alla tutela dei depositi, per il salvataggio di Banca Carife, Banca Marche, Banca Etruria e CariRieti, tutte sotto commissario. Padoan ha dovuto prenderne atto e adesso gli tocca preparare un progetto alternativo che prevede la ricapitalizzazione senza sapere chi metterà i quattrini. Peggio ancora, sarà costretto ad applicare il cosiddetto bailin, facendo pagare gli stessi depositanti con conti superiori ai 100 mila euro. Ma Bruxelles è entrata a gamba tesa anche sulla bad bank nella quale dovrebbero confluire i «crediti deteriorati». La discussione è cominciata in febbraio, con un via vai di piani e contropiani, finché il primo ottobre la Commissione ha scritto che preferiva un'impostazione del tutto opposta. Insomma, Padoan bocciato; proprio lui che è stato raccomandato per la poltrona di Quintino Sella da Giorgio Napolitano grazie alla sua esperienza internazionale, quasi come un garante presso gli eurocrati di Bruxelles? Sembra impossibile. Eppure le labirintiche procedure della eurocrazia hanno finito per sfiancarlo. Non solo. Uomo cauto e intellettualmente corretto, Padoan non ha mai largheggiato in previsioni sulla crescita, il che non ha mancato di scontentare Renzi. Quest'anno, anche il ministro dell'Economia si è sbilanciato sulla bontà e solidità della congiuntura. Ma sono arrivate docce fredde dalle agenzie di rating che hanno definito «modesta» la ripresa, dal Financial Times e dallo stesso Mario Draghi, al quale si deve buona parte della crescita italiana. Il presidente della Bce ha fatto capire che non gli piace questa legge di Stabilità senza coperture certe. Per lui, i risparmi generati dalla politica monetaria dovevano servire a ridurre il debito. Invece, saranno un cuscinetto elettorale. Elaborazione Grafica di Stefano Carrara Foto: Pier Carlo Padoan, 65 anni, ministro dell'Economia.
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SCENARI _ECONOMIA
19/11/2015 Pag. 80 N.47 - 25 novembre 2015
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Il rischioso bluff del Jobs act L'occupazione risale, ma di poco: solo 37 italiani su 100 lavorano. E i nuovi posti creati, instabili, avrannno costi insostenibili. Michele Tiraboschi Non si ferma la danza dei numeri. Un suono martellante come sottofondo: quello della grancassa della propaganda. Un susseguirsi di comunicati e di fulminanti tweet che non ammettono repliche. E così è davvero difficile comprendere il reale stato di salute del nostro mercato del lavoro. Assecondando i desiderata del governo, anche l'Istat, dopo le tensioni estive col presidente Giorgio Alleva, giustamente infastidito dal balletto dei numeri, propone ora una fotografia rassicurante. L'occupazione è in crescita, almeno se prendiamo come riferimento l'anno d'insediamento al governo di Matteo Renzi (vedere il grafico a destra in alto, che descrive il tasso di disoccupazione dal settembre 2014 a oggi). Tutto bene, dunque. Se non fosse che le preoccupazioni delle famiglie non sono affatto scemate e così i problemi dei tantissimi giovani senza un lavoro. Chi ancora fatica a trovare un impiego, e sono davvero tanti, si chiede che cosa stia succedendo. E cioè se il problema non sia forse lui, il suo bagaglio di esperienze e competenze o anche la mancanza delle giuste conoscenze, in una congiuntura che pare ampiamente favorevole: l'Italia riparte, ce lo hanno detto e ora tutti ci crediamo. La verità, va detto ai tanti scoraggiati che pensano di essere loro il problema, è che l'occupazione registra una modestissima risalita (vedere il grafico a destra in basso, che descrive occupati e disoccupati dal 2008) ed è invece in profondo rosso se si analizza la situazione da quando i problemi sono iniziati. Partendo dal 2008, quando inizia la «grande crisi», si nota agevolmente che a salire è solo la disoccupazione, con punte drammatiche per i giovani, mentre il tasso di occupazione, l'indicatore più importante per valutare la salute di un Paese, è in caduta libera. Puntiamo alla maglia rosa, come dice il premier pensando alla nostra leadership in Europa, ma ancora ci mancano 7 milioni di posti di lavoro per avvicinarci alle medie occupazionali dei Paesi più virtuosi. Su 100 persone, solamente 37 hanno un lavoro e saranno ancora meno nei prossimi dieci anni, a causa della bassa natalità e dell'invecchiamento della popolazione. Questaè la vera anomalia italiana: chi lavora deve mantenere (anche in termini di contribuzione al welfare) se stesso e altre due persone. Ed è qui che si misura il fallimento di Jobs acte decontribuzione. Oltre 15 miliardi stimati dal governo, ma realisticamente molti di più, senza incidere sulla priorità di creazione di nuova occupazione, cheè poi la principale leva per aumentare la produttività nel nostro Paese. A crescere è solo l'occupazione degli over 55, ma questo piùa causa della progressiva attuazione della legge Fornero sulle pensioni che per meriti della propagandata «svoltabuona» che tutti attendiamoe che però, dati alla mano, ancora non c'è.A fine anno potremo certamente contare, come dice Matteo Renzi, un milione di nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato: ma questi non sono «posti aggiuntivi» e tanto meno posti «stabili», visto che il Jobs act cancella per i nuovi assunti l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Uno spreco di risorse pubbliche che non potevamo permetterci. Una «droga», come hanno candidamente ammesso i consiglieri economici del premier che, oltre a non contribuirea migliorare la situazione occupazionale complessiva, ha finito per penalizzare, in quanto misura non selettiva, le categorie più deboli del mercato del lavoro, giovani e donne in primis. È paradossale che riforme fatte nel nome dei giovani finiscano col metterli ai margini non solo oggi, in ragione dei minori incentivi per la loro assunzione, ma soprattutto domani, per pagare il costo salato dell'inutile misura di decontribuzione. Un milione di «nuovi contratti», prevalentemente stabilizzazioni senza articolo 18, che per i prossimi tre anni non verseranno i contributi alle già deficitarie casse dell'Inps. Una brutta notizia per le prospettive occupazionali dei nostri ragazzi: la loro disoccupazione e inattività sono principalmente dovute all'elevato costo del lavoro che, in buona parte, è proprio il costo contributivo che sostiene un sistema del welfare pubblico non più sostenibile. Paradossale anche che, dopo aver gettato al SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/11/2015 - 19/11/2015
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LAVORO & BUGIE
19/11/2015 Pag. 80 N.47 - 25 novembre 2015
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vento ingenti risorse per un'operazione di finta stabilizzazione del lavoro degli adulti, si proponga ora per voce del presidente dell'Inps, ma con una strategia che pare concordata con il governo, un grossolano e costoso piano di prepensionamenti degli over 55 con l'obiettivo di dare opportunità occupazionalia quei giovani che la decontribuzione ha penalizzato e che il Jobs act ha marginalizzato demolendo alle fondamenta un sistema dell'apprendistato che a fatica si stava rilanciando con la riforma Berlusconi del 2011. Un cortocircuito figlio di una scarsa conoscenza delle dinamiche demografiche italiane e delle previsioni che molte istituzioni, in primis la Commissione europea, diffondono con regolarità.È un esercizio utile leggere con attenzione l'Ageing report 2015, poiché si scoprono scenari che non possono che determinare le scelte in merito a politiche di welfare e di regolazione del mercato del lavoro. Prendendo come anno di riferimento il 2040 avremo una popolazione di 66,3 milioni di abitanti, di cui il 28,9 over 65 (rispetto ai 21 milioni di oggi), con un conseguente aumento di costi per le spese sanitarie, previdenzialie assistenziali. Rispetto alla composizione della forza lavoro, il 25 per cento sarà costituito dalla fascia 55-64 anni (oggi è il 15 per cento): esattamente quella classe d'età che oggi vorremmo mandare con largo anticipo in pensione. A chi ricorda il successo di alcuni modelli stranieri, si può in facilmente replicare che ben diversaè la storia italiana della «staffetta intergenerazionale», più volte annunciatae mai attuata non solo perché tecnicamente male impostatae troppo costosa, ma anche perché basata su una premessa profondamente sbagliata. Ovvero sull'illusione chei giovani possano trovare lavoro soloa scapito dei lavoratori più anziani ( Twitter: @Michele_ADAPT ). L'ultimo anno di occupazione I senza lavoro sono 3,2 milioni Gli occupati in Italia dal settembre 2014 al settembre 2015. Dati destagionalizzati in migliaia di unità, suddivisi tra valori assoluti e medie mobili a tre anni, che indicano tendenze di più lungo respiro. Fonte Istat. La curva rossa dei valori assoluti segnala che il numero di chi ha un lavoro è sì in aumento, ma con un andamento non sempre coerente. Confronto tra il totale degli occupati (scala a sinistra, in milioni di unità) e dei senza lavoro (scala a destra, sempre in milioni di unità) dal 2008 a oggi. Dati mensili destagionalizzati, fonte Istat. Malgrado il Jobs act, gli italiani che faticano a trovare lavoro sono sempre tantissimi: oggi sono più di 3,2 milioni Foto: giuslavorista, coordinatore scientifico di Adapt, Centro studi internazionali e comparati Marco Biagi
19/11/2015 Pag. 1
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Banche, bond e dividendi nel mirino Bce Le conseguenze più pesanti per i prestiti subordinati. Possibili restrizioni anche sui bonus Francesco Ninfole (Ninfole a pagina 6) Il pagamento di dividendi, cedole e bonus da parte delle banche dell'Eurozona sarà legato anche ad alcune interpretazioni della Bce riguardo alla direttiva Crd4. Dal 2016 le banche dovranno disporre di buffer di capitale aggiuntivi (come quelli anticiclici, di conservazione del capitale e per i rischi sistemici) che cresceranno gradualmente negli anni successivi. Il mancato raggiungimento della somma dei buffer (combined buffer requirement) fa scattare restrizioni e limiti sui dividendi, sulle cedole di titoli additional tier 1 (AT1) e sui bonus. In base al divario rispetto ai requisiti minimi viene definito un ammontare massimo distribuibile (Maximum distributable amount o Mda), secondo quanto previsto dall'articolo 141 della direttiva Crd4. Il testo Ue non chiarisce però esplicitamente il trattamento dei requisiti di secondo pilastro, cioè quelli fissati dalla Bce nelle procedure Srep per le banche dell'Eurozona. Se i requisiti Srep fossero inclusi nei conteggi, le banche si ritroverebbero più vicine alle soglie minime patrimoniali e finirebbero sotto la pressione dei mercati. Danièle Nouy, presidente del consiglio di vigilanza Bce, avrebbe scelto inizialmente l'opzione più severa, scatenando la reazione dei banchieri, preoccupati per le possibili conseguenze. A fine ottobre Nouy si è detta aperta a una soluzione «meno inflessibile», anche se non c'è ancora certezza sulle decisioni finali. Il problema è stato evidenziato anche da Roberto Gualtieri, che nel primo report del Parlamento Ue sull'Unione bancaria, ha sottolineato: «La mancanza di chiarezza della legislazione sulla gerarchia tra secondo pilastro e buffer di capitale riguardo alla soglia Mda non impedisce al Meccanismo di vigilanza unico di adottare un margine di flessibilità per evitare soluzioni troppo rigide che possano influenzare negativamente il mercato dei titoli AT1 e la parità di condizioni rispetto ad altre giurisdizioni». Alcuni rilevanti effetti riguardano, oltre a dividendi e bonus (sui quali sono già stati posti vincoli in passato), proprio i titoli additional tier 1. Lo sforamento dei requisiti comporterebbe la cancellazione delle cedole pagate agli investitori per questi titoli, il cui utilizzo è in forte crescita negli ultimi anni anche grazie alla computabilità ai fini Tlac e Mrel (si veda il grafico in pagina con i dati Scope Ratings e Bloomberg sulle emissioni). Se una banca fosse obbligata a non pagare la cedola prevista sui titoli Additional Tier 1, ci sarebbe un significativo contraccolpo non solo per l'istituto in questione, che vedrebbe aumentare il costo della raccolta nelle successive emissioni, ma anche per tutti i titoli AT1, che sarebbero percepiti in modo più rischioso da parte degli investitori. Così risulterebbe frenata l'ulteriore espansione del mercato, finora attesa dagli analisti. C'è poi il problema della trasparenza: per il mercato sarebbe difficile valutare l'effettivo rischio dei titoli, dato che l'esito dei requisiti Srep cambia ogni anno e non è comunicato pubblicamente dalla Bce (anche se in Italia le banche pubblicano gli esiti su pressione della Consob). Infine si potrebbe creare un problema di disparità di trattamento con le banche di altre aree geografiche (come Regno Unito, Stati Uniti e Danimarca) che hanno optato per un approccio più leggero sui buffer di capitale. Per queste ragioni la materia è finita sotto la lente delle maggiori banche dell'Eurozona. Secondo i dati diffusi da Sabine Lautenschlaeger, vicepresidente del consiglio di vigilanza Banca Centrale Europea, la richiesta di capitale di secondo pilastro è salita in un anno di circa 30 punti base (buffer esclusi), arrivando a una richiesta media di capitale Common equity tier 1 pari al 10,1%, con oscillazioni per le singole banche che vanno dall'8% al 14%. (riproduzione riservata) IL MERCATO DEI TITOLI ADDITIONAL TIER 1 Volume delle emissioni di contingent capital AT1 e T2 - In miliardi di euro Fonte: Scope su dati Bloomberg - Dati al 30 giu 2015 2011 2012 2014 2013 Gen-giu 2015 GRAFICA MF-MILANO FINANZA 0 20 40 60
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L'AGGIUNTA DEI REQUISITI SREP AI CUSCINETTI DI CAPITALE METTE A RISCHIO LE CEDOLE DI OBBLIGAZIONI E AZIONI
19/11/2015 Pag. 1
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Edison-Sorgenia, apre il cantiere sulle centrali Andrea Montanari e Luciano Mondellini (Mondellini e Montanari a pagina 9) Nel quartier generale di Edf il dossier Edison è sempre caldo. Perché il tema delle centrali a ciclo termoelettriche a ciclo combinato sono una delle priorità sulle quali si stanno concentrando i vertici di Foro Bonaparte, Jean Bernand Lévy e Bruno Lescoeur. Così, da qualche mese, secondo quanto appreso da fonti qualificate e vicine al dossier da MF-Milano Finanza, dalla Francia è partito l'input per la ricerca di un partner con il quale consolidare l'attività e trovare il modo di ottimizzare la produzione di quello che è il secondo venditore di gas nazionale, dopo Eni, e di energia elettrica, dietro Enel. E una delle novità dell'ultima ora riguarda la possibile apertura del cantiere di lavoro con il gruppo Sorgenia, fino al luglio di un anno fa controllato da Cir e partecipato dall'austriaca Verbund e oggi nelle mani delle banche creditrici (Mps, Ubi, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Bpm e Banco Popolare), esposte per 1,8 miliardi prima dell'accordo di ristrutturazione. L'operazione, secondo indiscrezioni di mercato, prevederebbe la possibilità di conferire alcune centrali Sorgenia (che ha già fatto la medesima operazione su due impianti con A2A) in Edison. Magari coinvolgendo un fondo infrastrutturale (come potrebbe essere F2i) o un altro soggetto simile. In questo modo, però, non ci sarebbe una forte diluizione di Edf nel capitale del gruppo di Foro Buonaparte presieduto da Lévy e guidato dall'ad Lescoeur. Anche perché Oltralpe l'input è ridurre la partecipazione nel capitale della controllata italiana ma non di scendere al sotto del 50%. L'opzione Sorgenia non esclude, si dice in ambienti finanziari, anche altre opportunità arrivate sul tavolo del management di Edison e della stessa capogruppo transalpina. Esiste, infatti, una seconda pista che porta diretta al gruppo energetico ceco Energeticky Prumyslovy Holding (Eph) sbarcato pochi mesi fa in Italia grazie all'acquisizione degli asset di generazione elettrica a carbone e a gas locali del big tedesco E.On (capacità di generazione complessiva di quasi 4.500 megawatt). Anche nel caso dell'opzione relativa al merger con la società presieduta da Daniel Kretinsky si tratterebbe di un conferimento di asset che consentirebbe a Edf di mantenere il controllo di Edison. Ma, come riferito da fonti a conoscenza del dossier, vi sarebbe pure una terza via nello sviluppo futuro dell'azienda di Foro Buonaparte. Si tratta della pista che porta ad Axpo Italia (già Egl), il braccio operativo lanciato nel 2000 sul mercato nazionale della capogruppo svizzera che si occupa sia di commercio di energia ma ha anche capacità produttiva grazie a tre centrali a ciclo combinato. Ovviamente, anche in questo scenario, l'operazione prevederebbe un conferimento di attività industriali con una minima diluizione di Edf nel capitale di Edison. Gruppo, quest'ultimo, che ha chiuso i nove mesi del 2015 con un giro d'affari consolidato di 8,3 miliardi (-6,95% rispetto al 30 settembre 2014), un margine operativo lordo di 272 milioni (-58%, quando l'ebitda aveva risentito positivamente della revisione del contratto di importazione del gas russo), un risultato operativo negativo per 157 milioni (a fronte di un ebit positivo per 387 milioni dello stesso periodo dell'anno precedente) e una perdita di 231 milioni che si confronta con un utile di 177 milioni al 30 settembre 2014. L'indebitamento di Edison è invece calato da 1,766 a 1,718 miliardi. Per quest'anno è comunque atteso un mol di 1 miliardo. (riproduzione riservata) Foto: Bruno Lescoeur Jean Bernard Lévy
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INTEGRAZIONI ELETTRICHE
19/11/2015 Pag. 1
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Enel promette più crescita con Green Power e reti Angela Zoppo (Zoppo a pagina 8) Via libera all'integrazione di Egp in Enel e revisione dei target industriali e finanziari del piano: l'obiettivo è accelerare la creazione dei margini. Enel ha presentato a Londra le nuove linee strategiche 20162019, che rispetto a quelle annunciate a marzo scorso rappresentano un ulteriore cambio di passo. In questi otto mesi, e soprattutto nell'ultimo, l'ad Francesco Starace ha avviato una raffica di operazioni che avranno impatto sull'arco di piano, modificando persino la struttura azionaria del gruppo. Ma il top management ha dovuto anche effettuare una sorta di stress test sul precedente business plan, tenendo conto di condizioni meno favorevoli. Anche per questo il titolo ha perso terreno (-3%), riflettendo però la debolezza generale del listino. Di certo sono state tagliate le stime dell'ebitda, ora più conservative: al 2017 sarà di 17,3 miliardi contro i precedenti 17,5 e la tappa intermedia del 2016 è stata corretta a circa 14,7 miliardi o dai 15 miliardi inizialmente previsti nel piano di marzo. Per l'esercizio in corso, invece, è confermato il dato di 15 miliardi, che ingloba anche svalutazioni che saranno fatte in quest'ultimo trimestre. Dalla scorsa primavera a quest'autunno, Enel ha visto cambiare lo scenario di mercato. Rispetto alle stime sulle quali ci si basava a marzo, infatti, si è registrata una crescita più debole della domanda, non solo in Italia (-2,1%) e Spagna (-1,9%), ma anche in Brasile (- 13%) e Perù (-9%). Nell'area Latam impatta anche la svalutazione dei tassi di cambio. Ma il nuovo piano è ugualmente «ambizioso e solido», ha detto Starace. La generazione di ebitda attribuita alla crescita passerà da 6,7 a 7,2 miliardi di euro, gli investimenti, sempre per la crescita, si incrementeranno di 2,7 miliardi, passando da 14,3 a 17 miliardi. Il 95% di queste risorse sarà destinato ad attività a rischio ridotto e ritorni stabili, come la generazione da fonti rinnovabili e convenzionali, «supportata da contratti di acquisto dell'energia a lungo termine», e le reti. Sono rivisti al rialzo anche i proventi delle dismissioni, corretti da 5 a 6 miliardi, anche se quelle del 2015 si fermeranno a 1,9 miliardi. La cessione di una quota del 33% di Slovenske Elektrarne al gruppo ceco Eph, infatti, slitterà all'inizio del 2016. Il debito alla fine di questo esercizio è atteso comunque in calo a circa 38 miliardi, ben al di sotto del target precedente che lo fissava a 39,2 miliardi . Nel nuovo piano Starace, c'è spazio anche per ulteriori risparmi per 1,8 miliardi di euro, che arriveranno dalla riduzione dei costi operativi e degli investimenti in manutenzione. Invariata, invece, la politica dei dividendi: per l'esercizio in corso agli azionisti andrà un minimo di 0,16 euro per azione, con un payout del 50%, che saliranno a 0,18 nel 2016. Al 2018 il payout tornerà a salire al 65%. L'utile netto ordinario si incrementerà in media del 10% annuo, per salire dai 3 miliardi del 2015 a 3,1 miliardi nel 2016 e a 3,4 miliardi nel 2017. Da Londra sono arrivati anche i dettagli dell'annunciata integrazione della controllata Enel Green Power, approvata martedì dai cda. Una volta ricondotta nel gruppo, la società delle rinnovabili rappresenta un forte driver di crescita, con una creazione di valore stimata in circa 800 milioni di euro. Già oggi la controllata contribuisce per circa il 12% all'ebitda del gruppo (1,8 miliardi attesi a fine 2015) e alle rinnovabili sarà destinato oltre il 50% degli investimenti complessivi destinati alla crescita. «Egp è uno dei motori dello sviluppo di Enel, motivo per cui sarà al centro del nostro modello integrato di business», ha detto Starace. La formula scelta per integrazione e delisting è quella di una scissione parziale non proporzionale, a seguito della quale Egp tornerà sotto il controllo completo di Enel e sarà delistata. Il progetto dovrà passare ora all'approvazione delle assemblee straordinarie di Enel ed Egp, convocate per l'11 gennaio. Il rapporto di cambio è stato fissato in 0,486 azioni Enel di nuova emissione per ciascuna azione Egp. Enel perciò aumenterà il proprio capitale al servizio della scissione, emettendo fino a un massimo di 770.588.712 azioni. La quota del Tesoro scenderà così al 23,56% dal 25,54% di oggi. Una discesa di due punti percentuali che però, secondo Starace, non avrà conseguenze: «Rappresenta una soglia più psicologica che reale», ha minimizzato l'ad. Gli azionisti che non aderiranno si vedranno rimborsare 1,78 euro per azione. «Ci sembra un valore congruo», ha detto il SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/11/2015 - 19/11/2015
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FUSIONE EGP, CONCAMBIO A 0,486
19/11/2015 Pag. 1
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cfo Alberto De Paoli, «perché è la media registrata dal titolo negli ultimi mesi». Tra le condizioni sospensive c'è un tetto all'esborso che Enel dovrà affrontare per liquidare chi non dovesse aderire, fissato in 300 milioni di euro. Per l'operazione, la capogruppo ha arruolato come advisor finanziari Credit Suisse e JP Morgan, mentre Egp ha scelto Barclays e Mediobanca. «Questo è il momento giusto per l'integrazione», ha detto l'ad di Egp, Francesco Venturini, che continuerà a guidare il business delle rinnovabili del gruppo. A scissione conclusa, le attività italiane rimarranno in capo a Egp e quindi saranno integrate in Enel, mentre quelle estere, in capo a Egp International BV, verranno direttamente assegnate alla capogruppo. Tra le finalità dell'operazione c'è anche la semplificazione societaria, che secondo Starace «è uno dei principi portanti del nuovo piano». Vi rientra anche la riorganizzazione in atto tra le attività Latam, che porterà a tagliare le partecipazioni incrociate di Enersis, Endesa Chile e Chilectra e a generare risparmi annuali da efficienze tra circa 360 e 380 milioni di euro entro il 2019. (riproduzione riservata) GLI OBIETTIVI FINANZIARI DEL GRUPPO ENEL GRAFICA MF-MILANO FINANZA 2016 2015 2017 Cagr 2015-2019 Ebitda ricorrente (miliardi di euro) Utile netto ordinario (miliardi di euro) Dividendo minimo (euro per azione) Pay-out Flusso di cassa operativo/indebit. finanz. netto ~14,7 ~3,1 0,18 55% 23% ~15 ~3 0,16 50% 23% ~15,5 ~3,4 - 60% 26% ~+4% ~+4% ~+17% +7% ~+6% Foto: Francesco Starace
19/11/2015 Pag. 3
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Angelo De Mattia Ieri a Saint Denis una nuova puntata della lotta al terrorismo dell'Isis. E nuovamente e ancor più forte si rimarca la distanza tra la piccineria comunitaria del Patto di Stabilità e del Fiscal Compact e le cruciali necessità di difesa della vita e della convivenza. È stata solo parzialmente rassicurante la risposta data dal commissario Ue Pierre Moscovici all'affermazione del premier francese Manuel Valls, secondo il quale dopo la strage di Parigi il Patto di Sicurezza prevale sul Patto di Stabilità europeo e l'onere per i necessari investimenti del governo francese in sicurezza e difesa non potranno essere bilanciati da tagli di spesa ma saranno oneri aggiuntivi, dunque senza considerare insormontabili le regole vigenti e, in specie, quelle del Fiscal Compact. È vero che Moscovici, ex ministro francese e dello stesso partito di Valls, non avrebbe potuto dire di più, per ovvie ragioni. Il commissario ha ricordato che i singoli Paesi possono fissare le priorità, che il Patto di Stabilità non è né stupido né rigido e che la Commissione ha un approccio intelligente e umano. Certamente la fissazione delle priorità è attribuzione esclusiva degli Stati, ma il problema riguarda il fatto che, fissate le priorità, gli oneri per difesa e sicurezza, che faranno crescere il deficit-pil (che per la Francia, secondo le previsioni formulate prima della tragedia di Parigi, nel 2016 dovrebbe scendere dal 3,8 al 3,3%), non possono essere compensati da tagli in altri settori. L'Europa ora è al bivio: o si pone in grado di assicurare una sicurezza e una difesa comuni oppure non può non riconoscere la prevalenza netta delle esigenze in questione rispetto al Patto di Stabilità: il che significa riconoscere la precedenza, del tutto naturale, della vita rispetto all'equilibrio dei conti pubblici. Un eventuale irrigidimento della Commissione Ue su una visione rigoristica delle regole sarebbe lunare; sarebbe la riproposizione della discussione dei teologi bizantini sul sesso degli angeli mentre Costantinopoli stava per essere messa a ferro e fuoco. Di fronte a eventi che rischiano di travolgere modi di vita, convivenza, relazioni e speranze e di attentare a valori secolari con l'intento di farci retroagire nel più deleterio oscurantismo, alzare a Bruxelles il dito per rilevare l'eventuale inosservanza di obiettivi di bilancio sarebbe oltretutto ridicolo. Senza volere sfruttare un'occasione tragica per riprendere l'argomento dell'insostenibilità del Fiscal Compact, che viola i Trattati fondativi, e più in particolare dell'assurdità di voler fare politica economica e di finanza pubblica con regole fissate ad infinitum, è venuto il momento non più di inseguire flessibilità elargite dall'alto (e come tali facilmente revocabili o sottoponibili a sospensione di giudizio, come nel caso della legge di Stabilità italiana) ma di porre la questione della revisione del Fiscal Compact. I danni arrecati da una politica di austerità talebana sono noti. Gli esempi di politiche alternative, innanzitutto quella americana, ci indicano il terreno perduto, in specie nella crescita e nell'occupazione, e la cecità dell'austerità espansiva. Non si vuole qui il «liberi tutti» in materia di finanza pubblica, ma è diventata ineludibile una revisione che eviti l'automatismo di strozzature e faccia tornare all'originaria impostazione del Patto di Stabilità, che valorizzava l'autonomia delle politiche economiche nazionali e tutelava i principio di sussidiarietà. Sarebbe illusorio pensare, come qualcuno ha iniziato a fare, che poi sarà la Bce a mettere tutto a posto e a rimediare agli errori della politica comunitaria. Certamente l'Istituto dovrà fare la propria parte il 3 dicembre accentuando la straordinarietà delle misure monetarie da adottare e la capacità che esse producano gli effetti voluti, a cominciare dagli impatti favorevoli nell'economia reale. Ma non si può pretendere che la Bce assuma anche compiti propri di altre istituzioni comunitarie e dei governi nazionali. È vero che essa è l'unica istituzione dell'Unione Europea che ha finora funzionato, almeno nella politica monetaria (molto meno nella funzione di Vigilanza bancaria unica avviata di recente), ma non è pensabile l'ampliamento di una funzione di surroga. Una revisione negli ordinamenti dell'Ue è necessaria se non si vuole stravolgere la gerarchia dei mezzi e dei fini. Se si è in guerra, allora salus republicae suprema lex. (riproduzione riservata) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/11/2015 - 19/11/2015
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Ora è inevitabile una revisione di Fiscal Compact e Patto di Stabilità
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Cina, allarme bolla sulle polizze Per offrire ritorni più alti sui prodotti Vita si rischia che la qualità degli investimenti non sia all'altezza Mariangela Pira Il giochino potrebbe costare molto ai gruppi assicurativi stranieri che operano in Cina. A farlo sono alcune società assicurative cinesi spuntate come funghi nell'ultimo anno. Gli operatori del settore, restii a parlare di un argomento definito scottante, paragonano quanto accade in Cina al fallimento di Mbia e Ambac negli Usa. Il Consiglio di Stato cinese l'anno scorso ha emesso 10 direttive rivolte al settore assicurativo. Obiettivo: portare la penetrazione del comparto, in termini di incasso premi, al 5% del pil entro il 2020. Per arrivarci le polizze, sia Vita che Danni, dovranno crescere di circa il 15% annuo. Sarà dura aumentare il volume di premi se l'economia cresce meno della metà di questa percentuale. Eppure, nonostante l'economia cinese abbia già frenato, gli assicuratori hanno continuato a crescere. Nel terzo trimestre del 2015, stando agli ultimi dati forniti dagli operatori e anticipati da MF-Milano Finanza, l'incasso totale premi vita è pari a 1204,0 miliardi di Rmb. Una crescita del 24% annuo. L'intero anno finanziario dovrebbe evidenziare un simile progresso. Le compagnie straniere in Cina hanno una quota complessiva del 5,8%. Occorre però analizzare bene questa crescita per non farsi prendere da sogni difficili da realizzare. Anzitutto tale crescita origina dal ramo Vita, non dai Danni. Inoltre è guidata dai premi di risparmio, che probabilmente faticheranno a crescere ancora in un mercato in cui i tassi calano e i benefici fiscali per le polizze Vita sono insufficienti e non allargati alla massa. Allora come investire il denaro degli assicurati perché sia remunerativo? Il mercato immobiliare, quello più redditizio, frena per volere del governo, che ponendo limiti ai prestiti cerca di evitare lo scoppio di una bolla. Da una parte quindi ci sono imprenditori che hanno bisogno di capitale per sviluppare il business, dall'altra banche asfittiche. I fondi delle assicurazioni Vita giocano in questo scenario un ruolo importante: l'assicuratore incassa i premi delle polizze Vita, che vengono - per esempio - remunerate al 4% per cinque anni con garanzia sul capitale dell'assicurato. «Questo viene investito in progetti di private equity e venture capital. Soldi che servono per costruire edifici e creare sviluppo», spiega da Pechino un operatore straniero. In sostanza, l'assicuratore affida i proventi dei premi all'investitore, che è pronto a riconoscergli un interesse del 6% (una manna per lui, in quanto lo shadow banking gli farebbe pagare ben di più, minimo il doppio). In questo modo l'assicuratore, che all'assicurato offre un rendimento del 4%, gode di uno spread del 2% e l'imprenditore raccoglie capitale a basso costo. Fin qui tutto bene. La zona grigia è nel passaggio tra assicuratore e investitore, perché c'è il rischio che i soldi quest'ultimo non li restituisca. In questo momento in Cina stanno sorgendo compagnie assicurative non ben strutturate, e per questo pericolose. Perché sul passaggio tra assicuratore e investitore le nuove compagnie non hanno uno scrupoloso rispetto delle regole, il che rischia di creare un corto circuito pericoloso che andrebbe a penalizzare chi in Cina si è sempre attenuto alle norme, cioè le compagnie assicurative straniere. «A Shanghai e a Pechino alcune società - spiega a Milano Finanza un operatore da Shanghai - hanno messo in piedi un sistema che consente di mettere in pratica il giochino appena descritto. Una compagnia di Shanghai dovrebbe essere chiusa, eppure continua tranquillamente a operare». L'ente che sovrintende il settore, il Circ, sottopone le compagnie a stretti controlli: l'investimento del capitale dell'assicurato è legale solo se fatto entro i limiti. Ma evidentemente non basta, dato che in Cina potrebbe crearsi presto un corto circuito simile a quanto accaduto a Mbia negli Stati Uniti, mettendo a repentaglio l'intero sistema. Chi mi dice infatti che il presidente del cda del gruppo non abbia una rete di conoscenze (guanxi, ndr) che lo portano a privilegiare un imprenditore da lui conosciuto piuttosto che un altro? Spesso qui i presidenti dei board agiscono da padre padrone», spiega a MFMilano Finanza l'assicuratore di Shanghai. In Cina in questo momento c'è molta attenzione al miglioramento della SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/11/2015 - 19/11/2015
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IL SETTORE ASSICURATIVO CRESCE A UN RITMO DEL 15%, OLTRE DUE VOLTE PIÙ VELOCE DEL PIL
19/11/2015 Pag. 4
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qualità della vita: tra i private equity e i fondi di venture capital c'è grosso fermento con tante iniziative sulla tecnologia, ecologia e benessere del cittadino, soprattutto se questi settori sono legati all'innovazione. Un momento magico in cui tutti vogliono guadagnare, spesso andando a trascurare il rispetto delle regole. (riproduzione riservata) Foto: Il centro finanziario di Shanghai
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La riforma del lavoro sta dando frutti Ora bisogna applicare in pieno il Jobs Act Annamaria Parente * Il giudizio sui risultati del programma comunitario Garanzia Giovani non è univoco. Da un lato si afferma che a circa 17 mesi dal suo avvio, Garanzia Giovani non ha dato risultati apprezzabili, tanto che a oggi sono più le ombre che le luci. Dall'altro, il ministro del Lavoro Poletti replica che in realtà il bicchiere non è mezzo vuoto ma mezzo pieno, sostenendo che i risultati finora conseguiti - in quello che può essere definito il primo grande programma di politica attiva riservato ai giovani - sono rilevanti: 743 mila giovani registrati di cui 540 mila presi in carico dai servizi e 243 mila a cui è stata fatta un proposta di politica attiva. Le difficoltà e le lentezze manifestatesi in molte regioni sono in realtà conseguenza della debolezza storica della nostra rete dei servizi per il lavoro, che conta un numero di operatori 10 volte inferiore a quello di altri grandi Paesi dell'Unione Europea. Il ministro ha ragione e bene fa a ricordare che il governo ha stanziato 280 milioni per il biennio 2015-2016 proprio per rafforzare la rete dei servizi pubblici per il lavoro, in accordo con le Regioni. Inoltre il ministro ricorda che l'Italia sta sollecitando la Commissione Europea a rendere strutturali le misure di sostegno all'occupazione giovanile. Tuttavia appare evidente che, per rendere veramente efficaci programmi come Garanzia Giovani, è necessario non solo rafforzare la rete dei servizi per il lavoro, ma applicare pienamente il Jobs Act, che per la prima volta indica come le politiche attive devono essere organizzate. Infatti la legge, accompagnata dai numerosi decreti attuativi - a partire da quello sul riordino delle politiche attive e i servizi che istituisce l'Agenzia nazionale per le politiche del lavoro - fornisce un chiaro modello di organizzazione delle politiche attive che, come ha ricordato di recente il Governatore della Banca d'Italia, sono il vero vulnus del sistema italiano. Solo per fare alcuni esempi, è fondamentale che vengano definiti i livelli essenziali delle prestazioni dei servizi per il lavoro a cui le regioni devono adeguarsi e spetterà alla nuova Agenzia farli rispettare. Altro importante elemento definito dalla legge sono i tempi certi con i quali i disoccupati giovani e adulti dovranno essere convocati dai servizi competenti per stilare il patto di attivazione individuale, ossia un programma reale (non solo sulla carta) di reinserimento al lavoro nel quale si alterneranno interventi di formazione e di consulenza personalizzata. Per non parlare del nuovo assegno di ricollocazione che garantirà a tutte le disoccupate e i disoccupati percettori di Naspi da più di quattro mesi (sia giovani che adulti) un bonus da spendere presso un operatore pubblico o privato per farsi accompagnare al lavoro. Insomma tra le righe della riforma sono presenti indicazioni chiare ed esplicite su come dovranno essere organizzate le politiche del lavoro da Aosta a Siracusa che, se pienamente applicate, indurrebbero le Regioni a utilizzare pienamente le risorse del Fse e garantirebbero subito a migliaia di disoccupati la possibilità di partecipare a programmi di reinserimento professionale. È bene, quindi, tenere a mente che solo applicando pienamente il Jobs Act, soprattutto per la parte che riguarda le politiche attive, sarà possibile avvicinarci alle esperienze di welfare to work maturate nei grandi Paesi europei. I dati degli ultimi mesi ci dicono che il mercato del lavoro sta reagendo benissimo alle innovazioni in materia di semplificazione e riorganizzazione delle forme contrattuali introdotte dal Jobs Act. Sono 300 mila gli occupati a tempo indeterminato, il 34% in più rispetto allo scorso anno. Un dato storico, riconosciuto in questi giorni dall'Ocse. È tempo quindi di concentrare gli sforzi sullo sviluppo del nuovo modello di politiche attive, perché finalmente in Italia una riforma del lavoro organica come quella che il governo e il Parlamento hanno portato a compimento nel tempo record di poco più di un anno, possa trovare piena attuazione evitando di fare come in passato quando, nella convinzione che fosse sufficiente la norma, molte delle riforme varate sono rimaste solo sulla carta. Ora siamo nelle condizioni di creare un circolo virtuosa tra accesso al lavoro dei giovani, riqualificazione professionale, sviluppo delle competenze e nuova occupazione. (riproduzione riservata) *capogruppo del Pd nella Commissione Lavoro del Senato SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/11/2015 - 19/11/2015
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COMMENTI & ANALISI
19/11/2015 Pag. 18
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Ma quando termina il risanamento aziendale? Marco Grappa e Luca Sala* In questi ultimi anni, dottrina, prassi e giurisprudenza hanno sviscerato la crisi d'impresa, con riferimento alla fase iniziale della stessa, e in particolare alla definizione degli accordi (ex art. 67, 182 bis e concordato). In tale ambito, sia a causa della recente introduzione della riforma fallimentare, sia a causa dello sfavorevole contesto macroeconomico, non ci si è posti il problema della configurazione dell'uscita della crisi. Precisando anzitutto che esiste un vuoto normativo, durante la fase successiva alla sottoscrizione di accordi, stanno cominciando a emergere talune domande in merito ai metodi di uscita dalla crisi, soprattutto in caso di sovra-performance rispetto alle attese, ovvero elementi migliorativi e non previsti nel Piano. C'è poi da considerare la regolamentazione dell'European Banking Authority, con riferimento alla qualificazione di un credito (qui per semplicità o in bonis o in sofferenza). Limitando in questa sede le considerazioni ai Piani ex art. 67 della Legge Fallimentare, il risanamento è senz'altro raggiunto, chiaramente al momento del completo pagamento dei debiti, ovvero al termine del periodo di Piano in caso di rispetto del business plan formulato. Il risanamento può essere inoltre raggiunto anche prima del termine del Piano, in caso di eventi positivi, che consentano comunque di ritenere raggiunte le condizioni, attestate dall'asseveratore, di riequilibrio della situazione finanziaria. È proprio su tale concetto che si basa il risanamento finanziario, ovvero una situazione di continuità aziendale che non manifesti segni di irreversibile e definita crisi che possa compromettere il regolare adempimento delle obbligazioni. Dunque risulta importante valutare l'avvenuto raggiungimento di una posizione in bonis, dal punto di vista finanziario. Ciò che rileva, soprattutto in un sistema bancocentrico, è il risanamento «bancario» ovvero la sua iscrizione nel sistema finanziario quale credito deteriorato o meno, anche alla luce delle direttive Eba. La definizione di azienda in bonis dal punto di vista bancario è fondamentale per ottenere credito e recuperare affidabilità consentendo di sostenere gli investimenti e incrementare la fiducia di clienti e fornitori, raggiungendo una normale operatività finanziaria ed economica. Nella realtà, tuttavia, l'azienda potrebbe, seppure in bonis dal punto di vista bancario, sottostare a un accordo sottoscritto in base ai dettami della Legge Fallimentare. Il risanamento finanziario e quello normativo potrebbero non coincidere. Non è infatti previsto giuridicamente alcuno strumento o documentazione atta a certificare l'uscita dalla crisi (se non al termine del Piano in cui terminano le protezioni da revocatoria). Pertanto, poste le protezioni normative, potrebbero verificarsi situazioni in cui, a fronte di un risanamento bancario/finanziario, la società rimanga ancorata al Piano e alla normativa, ovverosia le venga richiesto di replicare il Piano, per un ulteriore periodo di tempo, al fine di mantenere in essere le tutele previste dalla Legge Fallimentare, perdendo di fatto le eventuali opportunità che il mercato dovesse proporre. Da strumento di protezione, la normativa potrebbe trasformarsi in un fardello dal quale diventa difficile liberarsi. È dunque giunto il momento in cui, come a suo tempo introdotto il favore ai creditori dell'esenzione da revocatoria, il legislatore si appresti a individuare alcune soluzioni in grado di gestire l'uscita dalla crisi, agevolando in tale contesto l'azienda. (riproduzione riservata) *partner Pgs Consulenti
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COMMENTI & ANALISI
SCENARIO PMI 4 articoli
19/11/2015 Pag. 1 Ed. Torino
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"Decollano" le Pmi dell'aerospazio STEFANO PAROLA A PAGINA V All'Oval un modello creato da Thales Alenia Space in mostra agli Aerospace & Defense Meetings «NEL 2029 l'uomo metterà piede su Marte ma per arrivarci avrà bisogno di due stazioni orbitanti in cui fermarsi durante il viaggio. Il Piemonte penserà le tecnologie del modulo abitabile che accoglierà gli astronauti del futuro», racconta Moh'd Eid, vicepresidente della Blue Engineering di Rivoli, seduto nel suo stand agli Aerospace & Defense Meetings, il salone dell'aerospazio che si chiude oggi all'Oval Lingotto. La sua società, insieme a un gruppo di realtà tra cui figurano pure Thales Alenia Space, Pininfarina Extra e Università di Torino, ha infatti stretto un pre-accordo con la Nasa per ripensare soprattutto i luoghi che ospitano i viaggiatori dello spazio profondo. La Blue Engineering è solo una delle 306 aziende che partecipano al salone in corso al Lingotto. È l'unico evento europeo di questo tipo in programma quest'anno, infatti ha portato in città 174 responsabili acquisti in arrivo da 34 paesi del mondo, tra cui Corea, Giappone, Isarele, Malesia, Marocco, Messico. In totale sono attesi 1.200 partecipanti, che in queste ore terranno 6 mila incontri d'affari. Per l'industria piemontese è anche un modo per mettersi in mostra. Lo ha fatto il gruppo Finmeccanica, con una grande area in cui espone gli ultimi ritrovati di Alenia Aermacchi e Thales Alenia Space. Ma lo fanno anche tante altre realtà più piccole, come la Meccanica Bpr di Verbania. specializzata in microingranaggi: grazie alla collaborazione con l'innovativo stabilimento Avio di Cameri ha creato il suo primo componente stampato in 3D, che farà parte di un elicottero. «Grazie al progetto Torino Piemonte Aerospace, gestito da Camera di commercio e Ceipiemonte, siamo riusciti a mettere un piede in un'iniziativa interessante che ci ha aperto una serie di contatti», spiegano Francesco Agnesina e Federico Monacelli di Meccanica Bpr. Fare squadra è fondamentale. Lo ha capito anche il cluster Aencom, un gruppo di 13 imprese che ha creato un prototipo di turbina innovativa per la torinese Avio Aero. Una commessa che, come spiega Andrea Romiti, titolare della capofila Adr, «abbiamo ottenuto proprio perché ci siamo presentati alla grande azienda come un unico interlocutore». Anche il governatore Sergio Chiamparino crede nel fare squadra, infatti lancia una proposta al governo: «Serve una cabina di regia nazionale. Se così fosse sarei anche disposto a mettere a disposizione i fondi europei del Piemonte destinati a questo settore». Foto: ALL'OVAL L'evento degli Aerospace&Defense meetings prosegue anche oggi al Lingotto. Sono presenti responsabili acquisti da 34 Paesi del mondo: in totale 1200 persone che danno vita a oltre 6mila b2b
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PIEMONTESI IN VETRINA AGLI AEROSPACE&DEFENSE MEETINGS
19/11/2015 Pag. 46 Ed. Torino
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"Ecco come si viaggerà per Marte" maurizio tropeano Gli astronauti che in futuro viaggeranno verso Marte lo faranno su moduli abitabili progettati a Rivoli e realizzati da un consorzio di imprese del distretto aerospaziale torinese. «La prime due cosa che ha detto Samantha Cristoforetti dopo essere tornata dallo spazio sono state: "Voglio fare una doccia e mangiare dell'insalata. Nella nostra casa spaziale che stiamo preparando queste esigenze saranno soddisfatte». Moh'd Eid, il vicepresidente di Blue Engineering Design, con sede a Rivoli e stabilimenti in mezza Italia, racconta che tre giorni fa è stato firmato il pre-contratto con la Nasa. Adesso, insieme a Pininfarina, Thales Alenia Space, la facoltà di Psciologia dell'Ateneo e Vastalla si metteranno al lavoro: «Fra tre anni il prototipo sarà pronto e montato sulla seconda stazione spaziale in via di completamento». L'accordo vale alcuni milioni ma secondo Moh'd Eid «riuscirà a moltiplicare per 50 il valore delle ricadute economiche sul territorio arrivando ad alcune decine di milioni». E ci saranno almeno un centinaio di posti di lavoro in più. La Blue è una delle 306 aziende che partecipano al salone dell'Aerospazio e della Difesa che si chiude oggi all'Oval. Chi gira tra gli stand incontra grandi player, come le aziende del gruppo Finmeccanica, o medie imprese come la Simic di Camerana, in provincia di Cuneo, che sta lavorando per allestire il prototipo del «cuore» della mega centrale in corso di realizzazione in Provenza dove si lavorerà alla fusione a freddo. La Simic è un'azienda familiare con 300 dipendenti che ha già realizzato i tubi dell'anello del Cern e ha un fatturato di 100 milioni. Effetto moltiplicatore Finmeccanica, invece, ha messo in mostra i suoi gioielli spaziali, ma anche veicoli senza piloti ed elicotteri di ultima generazione adattati per l'elisoccorso e ad interventi di protezione civile. In Piemonte il gruppo (Alenia, Aermacchi, Selex Es) ha oltre 4000 addetti e genera ricavi superiori a 1,5 miliardi. Il Salone è nato 8 anni fa per volontà della Regione e della Camera di Commercio di Torino. Un investimento che nel corso degli anni ha generato «positive ricadute sul territorio: ogni euro investito ne genera 60», spiega Vincenzo Ilotte, presidente della Camera di Commercio. L'industria aerospaziale ed aeronautica in Piemonte «oggi conta circa 300 piccole e medie imprese con 14.700 addetti ed un fatturato di 3,9 miliardi». Un settore che ha resistito alla crisi e su cui la Regione continuerà ad investire. Il motore sperimentale Il presidente del Piemonte, Sergio Chiamparino, ha annunciato un investimento congiunto con il ministero per lo sviluppo per realizzare un motore sperimentale che si sta studiando all'ex Fiat Avio di Rivalta ora di proprietà della General Electric. Chiamparino e il sindaco, Piero Fassino, sottolineano la necessità di «una politica industriale». Il Piemonte, a fronte di un'unica cabina di regia nazionale potrebbe mettere a disposizione la quota dei fondi dell'Unione Europea investistiti in questo campo.
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Oggi all'Oval chiude il salone dell'aerospazio
19/11/2015 Pag. 43 Ed. Novara
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MARCELLO GIORDANI Ottantatrè imprese fallite in dieci mesi. Decine trascinate nel baratro dai «cattivi pagatori». A pagare il conto più salato della crisi quest'anno sono le piccole imprese artigiane che eseguono i lavori e poi non solo non sono pagate ma devono a loro volta saldare l'Iva per fatture che non verranno mai onorate. Dietro al «finto fallimento» di alcune ditte, che chiudono e non saldano i conti, c'è il dramma di tante aziende che non possono più reclamare i loro crediti e a loro volta si trovano in gravissime difficoltà. I fallimenti sono quelli registrati quest'anno al Tribunale di Novara, riguardano per il 95% imprese artigiane. A questo numero va aggiunto quello delle piccole aziende in gravissime difficoltà a causa dei crediti che non riescono a riscuotere. Il grido d'allarme Il grido d'allarme arriva dalle associazioni di categoria dell'artigianato che hanno chiesto un fondo per aiutare le imprese vittime dei mancati pagamenti dei «finti fallimenti», e ieri pomeriggio la Commissione Bilancio del Senato ha approvato un emendamento alla Legge di Stabilità istituendo il Fondo per il credito alle aziende vittime di mancati pagamenti, con una dotazione di 10 milioni di euro annui per il triennio 20162018. Finte bancarotte «Quella dei debitori artificiosamente falliti - dice Amleto Impaloni, direttore di Confartigianato Piemonte Orientale - è una piaga che la crisi ha grandemente accresciuto, favorita anche da uno spregiudicato uso delle nuove procedure di concordato introdotte nella legislazione fallimentare. Esiste una odiosa asimmetria tra imprese che sfruttano le pieghe della legge per sottrarsi ai pagamento e le tante, troppe piccole imprese che, non pagate, falliscono». Il problema, aggiunge Impaloni, in provincia di Novara ha coinvolto in maniera massiccia il settore delle costruzioni: «Non solo le imprese edili, ma tutto quello che ruota attorno dai mobilifici alle aziende di sanitari e rubinetteria». Burocrazia e giorni persi Un'altra causa che concorre a fare scivolare una piccola ditta nel baratro è la burocrazia: «Un'indagine della nostra associazione di categoria - osserva Elio Medina, direttore di Cna - stima a 11 mila euro per impresa il costo annuo della burocrazia: una vera tassa ma occulta, pari a oltre la metà di quanto versato all'erario per l'Imu. A questa cifra vanno sommati i costi per consulenti e specialisti esterni. In termini di tempo sono stimati in 47 i giorni di lavoro persi da ogni imprenditore più 28 persi dai suoi dipendenti».
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Gli artigiani: "Nessuno ci paga più"
19/11/2015 Pag. 47 Ed. Novara
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Aiuti alle imprese sulle piste ciclabili La Regione sostiene la creazione di piccole e medie imprese turistiche nei Comuni attraversati da piste ciclabili. A disposizione 2 milioni di euro. Possono beneficiare le imprese create non prima dell'1 settembre che si occupino di promozione turistica ed enogastronomica, organizzazione di eventi, digitalizzazione del turismo promozione sportiva e noleggio e riparazione bici. Info 0323.61527.
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