CONFIMI 06 marzo 2015
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INDICE CONFIMI 06/03/2015 La Repubblica - Torino De Tomaso: operai disperati in assemblea "2022? Troppo tardi"
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06/03/2015 Eco di Bergamo Pentole Agnelli come icone alla Mostra della Scienza
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06/03/2015 Il Giornale di Vicenza Una scuola italiana in Brasile per formare i futuri tecnici
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06/03/2015 Cronaca Qui Torino La crisi anche in banca Persi 11mila posti
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05/03/2015 Industria e Finanza #TORNIAMOACOMPETERE CRESCONO LE ADESIONI
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CONFIMI WEB 05/03/2015 www.bologna2000.com 18:56 I meccanici Apmi: la fiscalità frena gli investimenti
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05/03/2015 www.modena2000.it 17:54 I meccanici Apmi: la fiscalità frena gli investimenti
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05/03/2015 www.reggio2000.it 17:54 I meccanici Apmi: la fiscalità frena gli investimenti
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05/03/2015 www.sassuolo2000.it 17:54 I meccanici Apmi: la fiscalità frena gli investimenti
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05/03/2015 www.sassuoloonline.it 17:54 I meccanici Apmi: la fiscalità frena gli investimenti
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SCENARIO ECONOMIA 06/03/2015 Il Sole 24 Ore Con gli accordi una doppia spinta alla voluntary
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06/03/2015 Il Sole 24 Ore Bce, lunedì è il «Qe-day»
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06/03/2015 Il Sole 24 Ore Sentiero stretto tra i conti e le riforme
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06/03/2015 Il Sole 24 Ore Renzi e la mossa di Draghi
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06/03/2015 Il Sole 24 Ore Bce inflessibile sulle richieste greche
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06/03/2015 Il Sole 24 Ore Euro ai minimi, lo spread cade a 97 punti
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06/03/2015 Il Sole 24 Ore Miccichè (Intesa Sanpaolo): «Motori del sistema-Italia per le infrastrutture nel mondo»
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06/03/2015 La Repubblica - Nazionale Francoforte e i trucchi di Atene
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06/03/2015 La Repubblica - Nazionale Draghi:"Acquisti bond da lunedì così la Bce aiuterà la ripresa Il governo greco rischia l'autogol" *
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06/03/2015 La Repubblica - Nazionale Multa sui servizi recall a Telecom e Vodafone
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06/03/2015 La Stampa - Nazionale L'economia europea avanza piano malgrado il rallentamento cinese
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06/03/2015 La Stampa - Nazionale "L'Italia ha spezzato l'isolamento Ma la vera partita è a Bruxelles"
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06/03/2015 MF - Nazionale Start di Draghi al Qe, fanno festa borse (Milano +1,2%) e spread (a 90) L'euro sotto 1,10
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06/03/2015 MF - Nazionale Dopo 7 anni il mattone si risveglia
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06/03/2015 MF - Nazionale Bcc, ipotesi riforma in due tappe
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06/03/2015 L'Espresso La pillola va giù, i fatturati vanno su
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06/03/2015 L'Espresso Quando liberalizzare è una cosa di sinistra
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SCENARIO PMI 06/03/2015 Corriere della Sera - Brescia Il Jobs Act piace agli artigiani Nuove assunzioni in 2 mesi «E sono destinate a crescere»
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06/03/2015 Il Sole 24 Ore Così la manifattura resta decisiva per tornare a crescere
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06/03/2015 Il Sole 24 Ore L'Eldorado della stampa in 3D
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06/03/2015 Il Giornale - Nazionale Voto di scambio di Grillo: prestiti con i nostri soldi
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06/03/2015 MF - Nazionale Deal per portare le pmi all'Aim
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CONFIMI 5 articoli
06/03/2015
La Repubblica - ed. Torino
Pag. 1
(diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IL CASO
De Tomaso: operai disperati in assemblea "2022? Troppo tardi" STEFANO PAROLA «SÌ, nel 2022... Buonanotte!». Per capire quanto ormai siano disillusi gli ex lavoratori De Tomaso basta ascoltarne il mormorio quando viene detto che nella migliore delle ipotesi l'azienda verrebbe salvata assumendo 360 persone in 7 anni. In effetti Vittorio De Martino, segretario regionale Fiom che da sempre segue la vicenda lo chiarisce subito in assemblea davanti alla fabbrica. «LA SITUAZIONE è negativa chiarisce De Martino Forse martedì sapremo come va a finire». Il tribunale ha infatti dato tempo fino a lunedì per presentare nuove offerte, dunque il giorno dopo si saprà se ci sono stati rilanci. Per ora sono in vantaggio i cinesi di Ideal Team Ventures Limited, che hanno offerto 510 mila euro per i soli marchi "De Tomaso" e "Pantera", mentre gli svizzeri di L3 Holding e la lussemburghese Genii Capital (che gestisce il team di Formula 1 della Lotus) si sono fermati a 500 mila, ma hanno un piano industriale che prevede 60 assunzioni entro il 2017e 360 entro il 2022. Se martedì arriverà una proposta con un rialzo del 10 per cento o più il giudice aprirà una nuova gara. Ma in teoria potrebbe pure ritenere tutte le offerte "non congrue" e dunque non vendere i marchi a nessuno (la famiglia Rossignolo li pagò ben 1,3 milioni). Insomma, tutto può ancora succedere. Il fatto è che i 360 posti entro il 2022 sarebbero comunque pochi rispetto agli 800 lavoratori De Tomaso oggi in mobilità. Soprattutto arriverebbero troppo in là nel tempo: «Anche se andasse a finire così, come campiamo noi in questi 7 anni?», si domandano gli operai davanti ai cancelli della fabbrica. Molti hanno i capelli grigi, quasi tutti sguardi stanchi: «Per noi entrambe le soluzioni prospettate sono insufficienti, una perché punta solo al marchio, l'altra perché salverebbe pochi posti. La Regione non può rimanere assente: imprese e istituzioni si facciano carico del problema», dice De Martino. L'appello è dunque rivolto pure gli imprenditori. Sia l'Unione industriale che l'Api, hanno detto che molte imprese sono pronte a sfruttare il Jobs Act per assumere. È lì che punta il dito la Fiom: «I lavoratori di 40 o 50 anni della De Tomaso e di altre imprese in crisi devono per forza scivolare verso la povertà o si può mettere in campo un'azione di responsabilità sociale?», aggiunge il segretario regionale dei metalmeccanici Cgil. Ecco perché tra una settimana esatta, la Fiom porterà in piazza Castello gli addetti delle imprese fallite o a un passo dal baratro: «Ci saranno- spiega il leader provinciale Federico Bellono- gli ex De Tomaso, ma pure i loro colleghi di altre realtà, dalla Agrati alla Saturno. Sono stati varati provvedimenti per favorire le assunzioni, ma il rischioè che chi è stato espulso dal mondo del lavoro finisca nel dimenticatoio». © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: I lavoratori della De Tomaso Foto: L'ASSEMBLEA Un'assemblea dei lavoratori ex De Tomaso davanti alla fabbrica per molti di loro il ritorno al lavoro è difficile
CONFIMI - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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06/03/2015
Eco di Bergamo (diffusione:54521, tiratura:63295) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Pentole Agnelli come icone alla Mostra della Scienza «La storia dell'alluminio in Italia va di pari passo con la storia della nostra famiglia - ricorda Paolo Agnelli, a capo del gruppo con il fratello Baldassarre -: dal 1907 con mio nonno fino ai giorni nostri non possiamo non fare la nostra parte contribuendo alla realizzazione della prima esposizione permanente in Italia dedicata alla storia dell'alluminio, materiale simbolo di una grande cultura industriale che non ha mai smesso di innovarsi imparando, anzi, a declinarsi sempre più verso il green». Il gruppo bergamasco e i suoi oltre cento anni di attività prendono vita all'interno del polo museale. Li hanno chiamati «armadi interattivi», e le Agnelli Industries hanno riempito queste credenze moderne con le pentole firmate Baldassarre Agnelli: in esposizione 14 modelli diversi, per tipo e diametro, che diventano icone, testimoni dell'alluminio come materiale pregiato e durevole. Il percorso continua sviluppandosi in una nuova sezione espositiva, di più, in una «Wunderkammer», camera delle meraviglie, dedicata agli oggetti curiosi, d'interesse storico, in cui emerge la narrazione del quotidiano e i costumi del secolo appena concluso. Si va dalla borraccia della Grande Guerra al fornello alimentato a spirito. Dalla caffettiera napoletana allo spremilimoni utilizzato sulle navi da crociera del Novecento. Poi la prima pentola quadrifoglio: siamo nel 1936 quando vede la luce questa pignatta che permetteva di cuocere insieme, con il calore dello stesso fornello, fino a 5 pietanze diverse. Una sintesi, antica, ma già così moderna, tra una cucina pensata per essere funzionale e la necessità di risparmiare tempo e risorse. Infine la pala eolica, di cui è esposta in mostra anche una sezione di qualche centimetro, che arriva dalle Trafilerie Alexia, azienda capofila del gruppo nella lavorazione dell'alluminio, dall'estrusione al prodotto finito. Sempre dalla Alexia arrivano le cento lastre che compongono un'intera parete del museo e che affiancate una all'altra in diverse inclinazioni regalano una scenografia unica al racconto delle principali lavorazioni dell'alluminio dalla fusione alla laminazione, passando per l'estrusione. E proprio sulla fusione torna in scena la Baldassarre Agnelli: dalla conchiglia di fusione al manico della pentola fatto e finito. «Essere qui - conclude Paolo Agnelli - è un dovere del nostro gruppo, ma anche un riconoscimento per la nostra storia non solo familiare, ma anche e soprattutto industriale». •
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06/03/2015
Il Giornale di Vicenza
Pag. 40
(diffusione:41821, tiratura:51628) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
ECONOMIA. Un progetto firmato da alcuni istituti superiori bassanesi e dall´ Apindustria
Una scuola italiana in Brasile per formare i futuri tecnici L´incontro con la delegazione brasiliana al liceo De Fabris. BONATO|Il convegno organizzato ... Enrico Saretta Una formazione italiana, anzi di marchio bassanese doc, per il Brasile dei discendenti veneti. A Nove sono state poste le basi di un ambizioso progetto imprenditoriale durante un incontro al liceo artistico De Fabris con la delegazione dell´Aci (Associazione commerciale e industriale) di Carlos Barbosa, città di 25 mila abitanti del Rio Grande do Sul del Brasile. La delegazione sudamericana, in visita nel Bassanese, è composta da una ventina di persone, tra cui diversi insegnanti ed è guidata dal presidente Fabiano Ferrari e dalla capo commissione Italia Eliani Lanzarini Rossi. È stato William Beozzo presidente bassanese di Apindustria a illustrare il senso del progetto. «Si tratta di coinvolgere le aziende interessate a sviluppare un progetto economico in Brasile - ha spiegato - con una idea di formazione di base tutta italiana». La parte "didattica" dell´operazione coinvolge oltre al liceo d´arte di Nove anche gli istituto Fermi, Remondini e Scotton. Un primo step sarà la presenza nel Bassanese di un gruppo di insegnanti di Carlos Barbosa, che per alcuni mesi seguiranno le lezioni qui. In questi giorni sarà aperto al De Fabris un tavolo di lavoro per confrontare i piani di studio. «Le nostre scuole superiori forniscono una base tecnica e culturale di alta qualità. Con questo progetto potremo accedere a fondi europei che potranno finanziare fino al 70% il progetto - ha precisato Beozzo - Il rimanente 30 per cento sarà coperto dalle aziende e dagli enti interessati». A Carlo Barbosa è già stato individuato il terreno dove sorgerà la nuova scuola, che manterrà stretti legami con l´Italia, il Veneto e il Bassanese in particolare. Il progetto ha già una sua proposta di logo, realizzata dagli allievi del De Fabris di Nove. A Carlos Barbosa sono numerosi i discendenti di emigrati veneti e molti di loro stanno cercando i legami con le loro origini. Proprio la voglia di capire e conoscere la nostra cultura rappresenta un´opportunità per instaurare rapporti di natura economica, il loro preludio sarà la scuola. Il primo nucleo di insegnanti della nuova struttura sarà formato nel Bassanese. Ieri pomeriggio, nella sede di Bassano di Apindustria, è andato in scena il convegno "Il Brasile a misura di Pmi - Le opportunità di collaborazione al di là dell´esportazione", cui hanno preso parte numerosi imprenditori del territorio. Sono intervenuti come relatori Fabiano Ferrari, presidente dell´Aci, Alberto Lama dello Studio legale bureau Plattner di Milano, Bento Gonçalves che ha parlato della normativa societaria brasiliana e Stefano Landi, responsabile estero della divisione territoriale del Gruppo banco popolare di Verona. A tirare le somme ha pensato il presidente di Apindustria William Beozzo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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06/03/2015
Cronaca Qui Torino
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I NUMERI DELLA CGIL
La crisi anche in banca Persi 11mila posti Ô Sono 11mila in meno i dipendenti delle banche in Piemonte: in cinque anni, dal 2008 al 2013, il numero è sceso da 39.243 a 28.097. Sono stati chiusi 127 sportelli. I dati sono della Fisac Cgil che ha organizzato un convegno a Torino con Api e Federconsumatori. La Fisac parla di «ritirata dal territorio delle banche che offrono meno servizi, riducono gli orari e investono poco nella formazione del personale, privilegiando quella nella vendita di prodotti finanziari». A SPASSO CON L'ARCHITET TO
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05/03/2015
Industria e Finanza
Pag. 3
#TORNIAMOACOMPETERE CRESCONO LE ADESIONI Allo studio una nuova holding. Marchionne assicura: "le macchine continueranno ad essere costruite in Italia" Crescono di giorno in giorno le adesioni di imprenditori, artigiani e professionisti all'appello #torniamoacompetere - lanciato ve ner dì scorso da una ventina di im prenditori, economisti e uomini di cultura - che sta trovando grandi consensi trasversalmente al mon do politico e a quello imprenditoriale. Se tra i primi firmatari c'erano già infatti Sandro Bo scaini, Da niele Lago e Marina Salamon, nei giorni successivi si sono aggiunte le firme di due storici esponenti del mondo della piccola industria vicentina come Maurizio Zordan e Manuel Maraschin, direttore di Apindustria, di Italo Bosa, fondatore Bosa Ce ra miche, e Michele Stiz, noto consulente del la Marca, del padovano An drea Cortellazzo, dell'ex ad di Geox Diego Bolzonello, del trentino Paolo Andreatta, ad di Epharma. La campagna #torniamo a competere si sta ora allargando ai social e punta a raggiungere 1.000 adesioni e ad una folta partecipazione per l'assemblea convocata per il 12 marzo alle 18 in Sala Palladio della Fiera di Padova. Foto: Sandro Boscaini Foto: Marina Salomon
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CAMPAGNE
CONFIMI WEB 5 articoli
05/03/2015 18:56
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pagerank: 4 Da più parti, e soprattutto dalla politica, continuano le dichiarazioni che spronano gli imprenditori a investire, a cavalcare quella che viene presentata come una "ripresina" che costituisce un'occasione da non perdere. Si comprende, naturalmente, la funzione di stimolo che la comunicazione politica deve in qualche modo svolgere, ma certamente non si può continuare a presentare un bicchiere"mezzo pieno" sperando che le dichiarazioni lo riempiano del tutto... Il bicchiere delle Pmi, in particolare, continua a essere pieno, pieno di tasse, di adempimenti e, ciò che più allarma, pieno di incertezza. Non già incertezza sui mercati: quello è il nostro pane quotidiano, siamo attrezzati da sempre a farci i conti, bensì l'incertezza del quadro di riferimento normativo, a partire dalla sede locale, su su fino all'Europa. I timidissimi interventi fin qui registrati, da quello sull'IRAP alla "manovra Junker", non paiono incidere in profondità: le piccole imprese continuano a chiudere, le grandi tirano i remi in barca e portano le sedi all'estero e, last but not least, alcune realtà di primo piano vengono acquisite da imprese di paesi esteri nei quali evidentemente la ripresa economica è ben più reale che qui da noi. I dati parlano chiaro: dall'inizio della crisi il PIL italiano ha registrato una riduzione pari all'8,4%; il dato relativo agli investimenti è addirittura drammatico: meno 20%. A fronte le previsioni, perlomeno nel breve termine dell'anno in corso, non consentono facili ottimismi, dal momento che il PIL è previsto in aumento di una quota inferiore all'1%, per non parlare dei consumi interni che anch'essi continueranno a ristagnare. Le Pmi continueranno quindi a puntare per quanto possibile sull'export, ma ciò, per l'appunto, richiede un importante sforzo sul fronte investimenti. Mai come oggi è dunque necessario che alle parole corrispondano i fatti; i piccoli e medi imprenditori meccanici di Apmi Confimi ribadiscono l'allarme per una situazione in cui il gravissimo peso della fiscalità resta il primo freno allo sviluppo.
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I meccanici Apmi: la fiscalità frena gli investimenti
05/03/2015 17:54
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pagerank: 4 Da più parti, e soprattutto dalla politica, continuano le dichiarazioni che spronano gli imprenditori a investire, a cavalcare quella che viene presentata come una "ripresina" che costituisce un'occasione da non perdere. Si comprende, naturalmente, la funzione di stimolo che la comunicazione politica deve in qualche modo svolgere, ma certamente non si può continuare a presentare un bicchiere"mezzo pieno" sperando che le dichiarazioni lo riempiano del tutto... Il bicchiere delle Pmi, in particolare, continua a essere pieno, pieno di tasse, di adempimenti e, ciò che più allarma, pieno di incertezza. Non già incertezza sui mercati: quello è il nostro pane quotidiano, siamo attrezzati da sempre a farci i conti, bensì l'incertezza del quadro di riferimento normativo, a partire dalla sede locale, su su fino all'Europa. I timidissimi interventi fin qui registrati, da quello sull'IRAP alla "manovra Junker", non paiono incidere in profondità: le piccole imprese continuano a chiudere, le grandi tirano i remi in barca e portano le sedi all'estero e, last but not least, alcune realtà di primo piano vengono acquisite da imprese di paesi esteri nei quali evidentemente la ripresa economica è ben più reale che qui da noi. I dati parlano chiaro: dall'inizio della crisi il PIL italiano ha registrato una riduzione pari all'8,4%; il dato relativo agli investimenti è addirittura drammatico: meno 20%. A fronte le previsioni, perlomeno nel breve termine dell'anno in corso, non consentono facili ottimismi, dal momento che il PIL è previsto in aumento di una quota inferiore all'1%, per non parlare dei consumi interni che anch'essi continueranno a ristagnare. Le Pmi continueranno quindi a puntare per quanto possibile sull'export, ma ciò, per l'appunto, richiede un importante sforzo sul fronte investimenti. Mai come oggi è dunque necessario che alle parole corrispondano i fatti; i piccoli e medi imprenditori meccanici di Apmi Confimi ribadiscono l'allarme per una situazione in cui il gravissimo peso della fiscalità resta il primo freno allo sviluppo.
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I meccanici Apmi: la fiscalità frena gli investimenti
05/03/2015 17:54
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pagerank: 4 Da più parti, e soprattutto dalla politica, continuano le dichiarazioni che spronano gli imprenditori a investire, a cavalcare quella che viene presentata come una "ripresina" che costituisce un'occasione da non perdere. Si comprende, naturalmente, la funzione di stimolo che la comunicazione politica deve in qualche modo svolgere, ma certamente non si può continuare a presentare un bicchiere"mezzo pieno" sperando che le dichiarazioni lo riempiano del tutto... Il bicchiere delle Pmi, in particolare, continua a essere pieno, pieno di tasse, di adempimenti e, ciò che più allarma, pieno di incertezza. Non già incertezza sui mercati: quello è il nostro pane quotidiano, siamo attrezzati da sempre a farci i conti, bensì l'incertezza del quadro di riferimento normativo, a partire dalla sede locale, su su fino all'Europa. I timidissimi interventi fin qui registrati, da quello sull'IRAP alla "manovra Junker", non paiono incidere in profondità: le piccole imprese continuano a chiudere, le grandi tirano i remi in barca e portano le sedi all'estero e, last but not least, alcune realtà di primo piano vengono acquisite da imprese di paesi esteri nei quali evidentemente la ripresa economica è ben più reale che qui da noi. I dati parlano chiaro: dall'inizio della crisi il PIL italiano ha registrato una riduzione pari all'8,4%; il dato relativo agli investimenti è addirittura drammatico: meno 20%. A fronte le previsioni, perlomeno nel breve termine dell'anno in corso, non consentono facili ottimismi, dal momento che il PIL è previsto in aumento di una quota inferiore all'1%, per non parlare dei consumi interni che anch'essi continueranno a ristagnare. Le Pmi continueranno quindi a puntare per quanto possibile sull'export, ma ciò, per l'appunto, richiede un importante sforzo sul fronte investimenti. Mai come oggi è dunque necessario che alle parole corrispondano i fatti; i piccoli e medi imprenditori meccanici di Apmi Confimi ribadiscono l'allarme per una situazione in cui il gravissimo peso della fiscalità resta il primo freno allo sviluppo.
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SCENARIO ECONOMIA 17 articoli
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
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Con gli accordi una doppia spinta alla voluntary Carlotta Benigni Antonio Tomassini Doppia spinta al rientro dei capitali grazie agli accordi con Svizzera, Liechtenstein e Monaco: da un lato le sanzioni ridotte; dall'altro, i timori legati allo scambio di dati. Benigni e Tomassini pagina 40 Gli accordi sullo scambio di informazioni firmati dall'Italia con Svizzera, Liechtenstein e Monaco rendono più vantaggiosa la disclosure ma dall'altro lato potrebbero renderla quasi obbligatoria. Da una parte, c'è la leva della riduzione delle sanzioni, dall'altro pesano soprattutto i contenuti delle intese. I tre accordi sono molto simili, anche se per la Svizzera si tratta di una modifica alla convenzione già esistente mentre per Monaco e Liechtenstein si tratta di Tax information exchange agreement (Tiea), sempre di stampo Ocse. I vantaggi La prima conseguenza della firma (effetto di quanto prevede la legge 186/2014) consiste nella possibilità di essere considerati non black list per la voluntary disclosure, con applicazione quindi di riduzioni sia delle sanzioni che dei periodi accertabili. In particolare, al ricorrere di tutte le altre condizioni, le sanzioni saranno applicabili in misura pari allo 0,5% annuo per le violazioni degli obblighi di monitoraggio fiscale e al 16,62% per l'infedele dichiarazione delle imposte sui redditi (considerando l'incremento del 33% per i redditi prodotti all'estero e la riduzione a 1/6 in caso di adesione all'invito). Inoltre, non opererà il raddoppio dei termini di accertamento per l'infedele dichiarazione (salvo l'eventuale raddoppio dei termini in presenza di violazioni penali), né il raddoppio previsto per l'irrogazione di sanzioni relative al quadro RW, con la conseguenza che la procedura di disclosure riguarderà gli anni dal 2010 (2009 in caso di omessa dichiarazione) al 2013 con riferimento alle imposte e dal 2009 al 2013 per le violazioni da quadro RW. Oltre ai benefici in tema di voluntary, la firma degli accordi ha come conseguenza l'incremento dei rischi per i contribuenti che non intendono aderire, a causa dell'attivazione dello scambio di informazioni con il Paese estero. Si tratta per ora di informazioni fornite su richiesta, ma tutti gli accordi prevedono la possibilità che lo scambio diventi automatico dal 2017/2018, quando diventerà operativo il Common reporting standard di matrice Ocse. Tuttavia la convenzione di Vienna sul diritto dei trattati vieta applicazioni retroattive ante firma degli accordi. Le richieste di informazioni potranno essere inviate solo dopo che gli accordi verranno ratificati dai Parlamenti dei due Stati, ma le informazioni che verranno fornite si riferiranno ad atti o fatti anche precedenti, e segnatamente occorsi dalla data di firma dell'accordo (il 23 febbraio per la Svizzera, il 26 per il Liechtenstein e il 2 marzo per Monaco). Inoltre, sembra che le banche dei tre Paesi chiederanno ai titolari di conto corrente di confermare la regolarizzazione della posizione con il fisco italiano per permettere di mantenere aperti i conti attualmente bloccati. Le informazioni di gruppo Montecarlo e Liechtenstein hanno poi acconsentito a fornire informazioni di gruppo per il periodo tra la data della firma a quella in cui entrerà in vigore l'accordo sullo scambio automatico. Non si tratta di vere e proprie fishing expedition (vietate dall'Ocse), ma di richieste cumulative sui titolari di conti che nello stesso periodo siano stati chiusi, «sostanzialmente svuotati» (ossia che presentino saldi inferiori a 7.500 euro) o lasciati inattivi. Saranno esclusi dalle richieste di gruppo i conti per i quali il titolare rilasci all'intermediario estero l'autorizzazione (prevista dall'articolo 5-quinquies, comma 4, lettera c del Dl 167/1990) alla trasmissione di tutti i dati sulle attività oggetto di disclosure all'autorità finanziaria italiana. Gli altri Stati La strada della voluntary per i contribuenti che detengono patrimoni nei Paesi firmatari dei recenti accordi sembra quasi obbligata. E lo stesso dovrebbe valere per gli altri Paesi che hanno firmato accordi simili sulla SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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RIENTRO CAPITALI
06/03/2015
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base del Tiea (si tratta di Cayman, Bermuda, Isole Cook, Guernsey, Jersey, Gibilterra, Isola di Man), nonché per i Paesi che hanno modificato la Convenzione contro le doppie imposizioni in essere per includere lo scambio di informazioni (come Mauritius, Singapore, Malta, Cipro, Corea del Sud, Lussemburgo e San Marino). Ciò però dovrebbe significare che gli asset detenuti in tali Paesi dovrebbero essere trattati con il regime di favore in ottica voluntary, almeno in tutti quei casi in cui l'effettivo scambio di informazioni preveda una decorrenza precedente al 2 marzo (termine previsto dalla legge 186/2014). © RIPRODUZIONE RISERVATA IL CONFRONTO Punti di contatto e differenze negli accordi per lo scambio di informazioni LIECHTENSTEIN MONTECARLO SVIZZERA TIPOLOGIA DI ACCORDO Si tratta di un Tax information exchange agreement (Tiea) basato sul modello Ocse. A differenza delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, i Tiea disciplinano esclusivamente lo scambio di informazioni e non anche la ripartizione della potestà impositiva tra gli Stati. È prevista la firma di un successivo accordo sulla base del Common reporting standard Ocse, quando diventerà operativo Si tratta di un Tax information exchange agreement (Tiea) basato sul modello Ocse. A differenza delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, i Tiea disciplinano esclusivamente lo scambio di informazioni e non anche la ripartizione della potestà impositiva tra gli Stati. È prevista la firma di un successivo accordo sulla base del Common reporting standard Ocse, quando diventerà operativo È un accordo modificativo alla Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra Italia e Svizzera: una convenzione siglata nel 1976 e successivamente modificata nel 1978. In particolare, viene modificato l'articolo 27 relativo allo scambio di informazioni e il protocollo aggiuntivo INCENTIVI ALLA VOLUNTARY Grazie all'accordo, i contribuenti che detengono capitali in Liechtenstein in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale potranno accedere alla voluntary disclosure con la maggiore riduzione delle sanzioni ed evitando il raddoppio dei periodi di accertamento sia ai fini sanzioni RW che imposte sui redditi. Le banche del Liechtenstein richiederanno ai propri correntisti l'autorizzazione che dimostri che hanno aderito alla voluntary in Italia, o che confermino che le attività sono detenute in modo regolare Grazie all'accordo, i contribuenti che detengono capitali a Montecarlo in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale potranno accedere alla voluntary disclosure con la maggiore riduzione delle sanzioni ed evitando il raddoppio dei periodi di accertamento sia ai fini sanzioni RW che imposte sui redditi. Le banche monegasche richiederanno ai propri correntisti l'autorizzazione che dimostri che hanno aderito alla voluntary in Italia, o che confermino che le attività sono detenute in modo regolare Grazie all'accordo, i contribuenti che detengono capitali in Svizzera in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale potranno accedere alla voluntary disclosure con la maggiore riduzione delle sanzioni ed evitando il raddoppio dei periodi di accertamento sia ai fini sanzioni RW che imposte sui redditi. Le banche svizzere richiederanno ai propri correntisti l'autorizzazione che dimostri che hanno aderito alla voluntary in Italia, o che confermino che le attività sono detenute in modo regolare SCAMBIO DI INFORMAZIONI Lo scambio di informazioni è previsto su richiesta con riferimento alle informazioni a partire dal 26 febbraio 2015 da parte dell'autorità dell'altro Stato. Lo scambio partirà solo dopo la ratifica dell'accordo da parte dei Parlamenti dei due Stati. Non sono previsti scambi spontanei o automatici, almeno fino al 2017 quando diventerà operativo il Common reporting standard Ocse che prevede appunto la trasmissione regolare e sistematica di informazioni tra i due Stati
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
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Lo scambio di informazioni è previsto su richiesta con riferimento alle informazioni a partire dal 2 marzo 2015 da parte dell'autorità dell'altro Stato. Lo scambio partirà solo dopo la ratifica dell'accordo da parte dei Parlamenti dei due Stati. Non sono previsti scambi spontanei o automatici, almeno fino al 2017 quando diventerà operativo il Common reporting standard Ocse che prevede appunto la trasmissione regolare e sistematica di informazioni tra i due Stati Lo scambio di informazioni è previsto su richiesta con riferimento alle informazioni a partire dal 23 febbraio 2015 da parte dell'autorità dell'altro Stato. Lo scambio partirà solo dopo la ratifica dell'accordo da parte dei Parlamenti dei due Stati. Lo scambio automatico dovrà essere oggetto di apposito accordo separato e sarà attivabile dal 2018 su dati 2017 OGGETTO DELLO SCAMBIO DI INFORMAZIONI Il Liechtenstein dovrà fornire all'Italia, oltre ai "dati fiscali domestici", anche informazioni che non sono rilevanti ai fini fiscali domestici e relative a comportamenti che in Liechtenstein non costituiscono reato. Le informazioni includono quelle in possesso di banche e altri istituti finanziari, quelle relative alla proprietà nominale o effettiva di società o altri enti (compresi i trust), salvo le informazioni sulle società quotate e i fondi di investimento pubblici Monaco dovrà fornire all'Italia, oltre ai "dati fiscali domestici", anche informazioni che non sono rilevanti ai fini fiscali domestici e relative a comportamenti che nel Principato non costituiscono reato. Le informazioni includono quelle in possesso di banche e altri istituti finanziari, quelle relative alla proprietà nominale o effettiva di società o altri enti (compresi i trust), salvo le informazioni sulle società quotate e i fondi di investimento pubblici La Svizzera dovrà fornire all'Italia, oltre ai «dati fiscali domestici», anche informazioni che non sono rilevanti ai fini fiscali domestici e anche se sono in possesso di banche, istituti finanziari o altra persona che opera come agente o fiduciario PRECLUSIONI ALLE INFORMAZIONI La richiesta potrà essere rifiutata se le informazioni sono soggette al legal privilege o se possono rivelare un segreto commerciale, industriale, professionale o un processo commerciale. Inoltre l'accordo non può obbligare il Liechtenstein a fornire informazioni che l'Italia non potrebbe ottenere in base alla propria legislazione o prassi amministrativa. Una richiesta non può essere rifiutata solo perché la pretesa fiscale da cui origina è oggetto di controversia. Lo scambio non può essere retroattivo e riguardare periodi pre-accordo La richiesta potrà essere rifiutata se l'Italia non può ottenere tali informazioni in base alla propria legislazione nazionale. Non possono essere fornite informazioni che potrebbero rivelare un segreto commerciale, industriale, professionale o un processo commerciale, o che potrebbero rivelare comunicazioni riservate tra un cliente e un avvocato (nell'ambito dell'assistenza legale). Una richiesta non può essere rifiutata solo perché la pretesa fiscale da cui origina è oggetto di controversia. Lo scambio non può essere retroattivo e riguardare periodi pre-accordo La richiesta di informazioni potrà essere rifiutata se l'Italia non può ottenerle in base alla propria legislazione nazionale o se tali informazioni non possono essere ottenute secondo la legislazione o la prassi svizzera. Non possono essere fornite informazioni che rivelano un segreto commerciale, industriale, professionale o un processo commerciale. Sulla base della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, lo scambio di informazioni non può essere retroattivo e riguardare periodi pre-accordo C LA PAROLA CHIAVE Fishing expedition Le fishing expedition sono richieste di informazioni generalizzate su intere categorie di contribuenti, prive di un nesso chiaro con un'indagine o un accertamento, e hanno quindi finalità più esplorativa che ispettiva. Sono vietate dall'Ocse e sono escluse anche dai recenti accordi siglati dall'Italia con Svizzera, Monaco e Liechtenstein. Per questi ultimi due, però, sono possibili richieste di gruppo sui titolari di conti correnti che non abbiano rilasciato alla banca estera l'autorizzazione alla trasmissione alle autorità italiane delle informazioni
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
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sui beni oggetto di disclosure UTILIZZABILITÀ DELLE INFORMAZIONI Le informazioni ricevute dall'autorità italiana sono tenute segrete e, salvo esplicito consenso dell'autorità del Liechtenstein, potranno essere comunicate solo alle autorità italiane incaricate della determinazione, dell'accertamento e della riscossione delle imposte (compresi i tribunali e gli organi amministrativi), esclusivamente per tali finalità. Potranno essere utilizzate nell'ambito di udienze pubbliche e giudizi Salvo esplicito consenso dell'autorità monegasca, le informazioni ricevute vanno tenute segrete e potranno essere comunicate solo alle autorità italiane (compresi tribunali e organi amministrativi) incaricate dell'accertamento e della riscossione delle imposte, delle misure esecutive o dei procedimenti per reati tributari, o delle decisioni di ricorsi presentati, solo per tali finalità. Queste possono comunicare le informazioni nei procedimenti giudiziari o nelle sentenze Salvo esplicito consenso dell'autorità svizzera, le informazioni ricevute vanno tenute segrete e potranno essere comunicate solo alle autorità italiane (compresi tribunali e organi amministrativi) incaricate dell'accertamento e della riscossione delle imposte coperte dalla Convenzione, delle decisioni sui ricorsi presentati o del controllo delle attività precedenti, solo per tali finalità. Queste possono comunicare le informazioni nei procedimenti giudiziari o nelle sentenze FISHING EXPEDITION Non sono consentite. Tuttavia si possono effettuare richieste di gruppo per il periodo dal 23 febbraio 2015 sino a quando non sarà siglato un accordo per lo scambio di informazioni basato sul Common reporting standard Ocse. Le richieste di gruppo riguarderanno i conti correnti chiusi, inattivi o sostanzialmente svuotati se i titolari non hanno rilasciato l'autorizzazione prevista dalle norme sulla disclosure o se non hanno trasferito le somme in un Paese che consente lo scambio di informazioni Non sono consentite. Tuttavia si possono effettuare richieste di gruppo per il periodo dal 2 marzo 2015 sino a quando non sarà siglato un accordo per lo scambio di informazioni basato sul Common reporting standard Ocse. Le richieste di gruppo riguarderanno i conti correnti chiusi, inattivi o sostanzialmente svuotati se i titolari non hanno rilasciato l'autorizzazione prevista dalle norme sulla disclosure o se non hanno trasferito le somme in un Paese che consente lo scambio di informazioni Non sono consentite, come previsto dallo standard Ocse. Sono previste invece richieste di gruppo, quando sia soddisfatta la condizione per cui le informazioni devono essere «verosimilmente rilevanti» DOPPIA IMPOSIZIONE L'accordo con il Liechtenstein non prevede clausole relative alla risoluzione di casi di doppia imposizione. Gli Stati si impegnano a stipulare una convenzione con le doppie imposizioni È prevista la possibilità per i contribuenti italiani di scomputare il credito di imposta per imposte pagate a Monaco, nei limiti della quota di imposta italiana attribuibile agli elementi di reddito, salvo che il reddito sia assoggettato in Italia a imposta sostitutiva o ritenuta a titolo di imposta (come ad esempio nel caso di dividendi e interessi). È inoltre prevista una serie di tie breaker rules per dirimere i casi di doppia residenza fiscale Con un separato accordo dovrebbero essere affrontati altri temi fiscali attualmente in discussione, come la tassazione dei frontalieri e dei residenti a Campione d'Italia, nonché una clausola sulla limitazione dei benefici convenzionali in caso di abuso (la cosiddetta Lob clause)
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
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Bce, lunedì è il «Qe-day» Draghi: il Pil Ue migliora, ma servono le riforme - Mercati in rialzo, cade l'euro Alessandro Merli Parte lunedì il piano della Banca centrale europea per acquistare 60 miliardi di euro di titoli al mese per rafforzare la ripresa economica dell'eurozona finalmente in atto e far risalire l'inflazione, oggi in territorio negativo, verso il 2%. Secondo le nuove previsioni pubblicate ieri, pervase da un nuovo ottimismo, la Bce potrebbe avvicinarsi all'obiettivo nel 2017, facendo ritenere a molti osservatori di mercato che il piano possa essere sospeso alla scadenza del settembre 2016. Continua pagina 3 Nicosia Continua da pagina 1 Il miglioramento della situazione economica, tuttavia, ha detto ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, dipende dalla «piena implementazione» delle misure annunciate e che sono state oggetto, al momento della decisione nel gennaio scorso, di una forte contestazione all'interno dello stesso consiglio dell'istituzione. In questo modo ha anche risposto all'osservazione di chi ritiene che la ripresa in atto possa portare a una chiusura anticipata del piano di acquisto titoli, il cosiddetto quantitative easing (Qe). La conferenza stampa è stata pervasa da un senso di ottimismo, per la prima volta da molto tempo a questa parte, sulle prospettive dell'economia dell'eurozona. La Bce vede ora la crescita 2015 all'1,5% e quella 2016 all'1,9%, in entrambi i casi circa mezzo punto percentuale in più rispetto alle previsioni avanzate a dicembre. Nel 2017 l'eurozona dovrebbe espandersi del 2,1%. Draghi ne ha attribuito buona parte del merito alle decisioni di politica monetaria («Hanno funzionato e la cosa è stata notata con una certa soddisfazione del consiglio», ha dichiarato), da quelle già in atto a quelle in avvio, ricordando il miglioramento delle condizioni finanziarie nell'area euro e la riduzione delle differenze fra i diversi Paesi nelle condizioni dei prestiti all'economia reale. Tra gli effetti dell'attesa del Qe c'è anche l'indebolimento dell'euro. L'altro elemento decisivo è il calo del prezzo del petrolio, che ha contribuito a ridurre i rischi al ribasso per l'economia. Sul fronte dell'inflazione, vera bussola della Bce, le stime dello staff hanno dovuto segnare un drastico ribasso rispetto a dicembre, da 0,7% a zero nel 2015, per effetto soprattutto dei prezzi petroliferi, e Draghi ha riconosciuto che per diversi mesi l'inflazione resterà molto bassa o negativa per cominciare a risalire solo a fine anno. L'inflazione di base è al minimo dello 0,6%. Il 2016 è stato invece ritoccato al rialzo da 1,3 a 1,5%, mentre nel 2017 l'inflazione dovrebbe arrivare a 1,8%, molto prossima quindi all'obiettivo di stare sotto, ma vicino al 2%. Dato che la Bce ha annunciato di voler continuare il Qe fino al settembre 2016 o fino a quando «l'aggiustamento sostenuto del percorso» dell'inflazione non vada verso l'obiettivo, diversi osservatori di mercato ritengono che a settembre dell'anno prossimo il Qe potrebbe effettivamente fermarsi. È di questo avviso Marco Valli, economista di Unicredit. Secondo Ben May, di Oxford Economics, il boom dell'economia tedesca, oltre ai dubbi se massicci acquisti di obbligazioni possano creare severe distorsioni ai rendimenti, suggerisce che il Qe non verrà prolungato. Per Joerg Kraemer, capo economista di Commerzbank, tuttavia, è probabile che le previsioni della Bce si rivelino troppo ottimistiche, come è avvenuto nel recente passato, e che quindi la banca sarà costretta ad allungare il programma o ad aumentarne l'importo mensile. Poco dopo la conclusione della conferenza stampa di Draghi, non ha mancato di far sentire la sua voce scettica un rappresentante della Bundesbank, una delle banche centrali che hanno osteggiato il Qe, sostenendo che quanto meno il momento non era appropriato, dato l'impulso all'economia del calo del petrolio. «Non è facile ha detto in un'intervista televisiva alla Bloomberg il consigliere della Bundesbank, Andreas Dombret rispondere alla domanda se il Qe funzionerà».
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Eurotower lancia il Quantitative easing: dal 9 marzo 60 miliardi al mese fino al 2016 in acquisti di titoli di Stato e Abs europei
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
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La Bce ha precisato ieri alcuni dettagli dell'attuazione del Qe, su cui chiaramente vuole mantenere una certa flessibilità. I 60 miliardi di euro mensili (1.100 miliardi in tutto) saranno composti per la più parte da titoli di Stato e per il resto da titoli cartolarizzati (Abs) e obbligazioni bancarie garantite (covered bond), i cui acquisti sono iniziati già nei mesi scorsi, oltre che da obbligazioni di 7 istituzioni europee (fra cui la Bei e i due fondi salva-Stati Efsf e Esm) e 7 agenzie nazionali, di cui è stata fornita per la prima volta la lista. Draghi ha inoltre precisato che la Bce acquisterà anche titoli che presentino un rendimento negativo (è il caso del debito della Germania sotto i 5 anni), fino al livello del tasso sui depositi delle banche presso la Bce, che rappresenta la soglia minima dei tassi ufficiali ed è oggi a -0,20%. Negli ultimi giorni, sono state sollevate perplessità sul fatto che la Bce possa trovare titoli sufficienti per mettere in atto il suo programma, problema minimizzato da Draghi. «Ci saranno complessità - ha detto - ma non rilevanti. Gli stessi dubbi erano stati sollevati all'inizio del Qe di Stati Uniti e Gran Bretagna». Come sempre, Draghi ha fatto riferimento alla necessità che la politica monetaria sia sostenuta dagli altri elementi della politica economica, soprattutto le riforme strutturali, da mettere in atto «in modo rapido, credibile e efficace», per aumentare investimenti, creazione di posti di lavoro e produttività, e la politica fiscale, a supporto della ripresa, ma nel rispetto del Patto di stabilità. La «piena e coerente applicazione» del Patto sembra essere un riferimento all'insoddisfazione della Bce per gli ulteriori due anni concessi alla Francia per raggiungere gli obiettivi di deficit pubblico. Ma Draghi ha citato anche la necessità di ridurre gli squilibri macroeconomici, il più vistoso dei quali è l'enorme surplus esterno della Germania. © RIPRODUZIONE RISERVATA Alessandro Merli Spread BTp/Bund Scala sinistra Euro/dollaro Scala destra 1,3745 97 214 G F M A M G L A S O N D G 2014 2015 F M 1,0988 IL QE EUROPEO AI NASTRI DI PARTENZA IN DETTAGLIO La data di inizio è lunedì 9 marzo: il Quantitative easing europeo, lo strumento con cui la Bce punta a rilanciare l'economia nell'Eurozona, non terminerà prima di settembre 2016. Dopo la riunione del Consiglio direttivo, ieri a Nicosia, Mario Draghi ha confermato che accanto agli acquisti di altri titoli, quelli di bond sovrani seguiranno un ritmo complessivo di 60 miliardi di euro al mese. E l'operazione non verrà chiusa finché l'inflazione non sarà tornata ai livelli prefissati. L'ammontare del programma sarà dunque di 1.140 miliardi, il 12% investiti in titoli di istituzioni sovranazionali. E la Bce potrà acquistare solo titoli di Stato considerati investment grade. L'INFLAZIONE L'obiettivo del Qe è riportare l'inflazione a un livello inferiore ma prossimo al 2%: per questo ieri Draghi ha spiegato che il programma durerà almeno fino al settembre del prossimo anno, ma potrà anche essere esteso in maniera indefinita. In realtà, se le stime sull'inflazione la vedono ulteriormente in calo nel 2015, a zero rispetto allo 0,7% previsto in dicembre, già nel prossimo anno si dovrebbe risalire a +1,5%, contro l'1,3% stimato sempre nel dicembre scorso. Nel 2017 poi l'inflazione dovrebbe toccare l'1,8%, una dinamica dei prezzi che si avvicinerebbe così agli obiettivi della Banca centrale europea. PRIMI RISULTATI «Abbiamo già visto un certo numero di effetti positivi dopo l'annuncio della svolta verso una politica monetaria più espansiva», ha detto Draghi. I segnali a disposizione del Consiglio direttivo Bce indicano un rafforzamento della ripresa economica nell'area euro più consistente del previsto: le previsioni per il 2015 passano dalla stima precedente di un +1% a +1,5%, per il 2016 dall'1,5 all'1,9%, mentre la crescita nel 2017 dovrebbe essere del 2,1 per cento. L'attività delle imprese ha già segnato ulteriori miglioramenti a inizio anno, ha detto Draghi. Con il contributo del calo del petrolio che aiuta il potere d'acquisto delle famiglie e la redditività delle imprese. IL CASO GRECIA «L'ultima cosa che si può dire è che la Bce non abbia dato supporto alla Grecia»: alla conferenza stampa di ieri Draghi è tornato più volte sulla crisi greca. «Vi svelo una cosa che forse non tutti sanno - ha detto - la Bce
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
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ha prestato ad Atene 100 miliardi di euro, prestiti raddoppiati da 50 a 100 miliardi negli ultimi due mesi raggiungendo il 68% del Pil del Paese». In questo senso, ha aggiunto ironico, «la Bce è la Banca centrale della Grecia», anche se il suo compito è esserlo per tutti i Paesi dell'area euro. La Bce, ha comunque ricordato Draghi, non potrà acquistare bond governativi greci almeno fino a luglio, quando arriveranno a maturazione i bond acquistati in base al programma Smp. Foto: LA LUNGA DISCESA DI EURO E SPREAD Foto: Fuori sede. Due volte all'anno il Consiglio direttivo della Bce si svolge in una delle capitali dei Paesi membri. Ieri è toccato a Nicosia, Cipro
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
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Dino Pesole L'avvio del Quantitative easing apre ufficialmente per il governo la fase della revisione delle stime macroeconomiche. Continua pagina 4 Continua da pagina 1 Le stime aggiorneranno il quadro previsionale definito lo scorso ottobre. Il lavoro di stesura dei documenti che verranno inviati al Parlamento e a Bruxelles entro il 10 aprile (Def, Programma nazionale di riforma, aggiornamento del Programma di stabilità) è già in atto al ministero dell'Economia. Spazi aggiuntivi si aprono sul fronte della spesa per interessi, cifrabili al momento attorno ai 2 miliardi, cui andranno ad aggiungersi le maggiori entrate previste in seguito agli accordi fiscali siglati con la Svizzera, nei dintorni dei 5 miliardi. Il tutto all'interno di un nuovo contesto macroeconomico che dovrebbe registrare una crescita più sostenuta rispetto allo 0,5% stimato dagli ultimi documenti programmatici, per attestarsi nei dintorni dello 0,8% (forse anche l'1%). La sorveglianza sulle riforme che comunque la Commissione europea ha ribadito nel concedere il via libera ai conti italiani non consente tuttavia facili ottimismi. Con il Def e con il Programma nazionale di riforma si farà il punto sullo stato di attuazione delle singole riforme messe in campo finora, e del percorso in itinere soprattutto per quel che riguarda l'attuazione della delega fiscale, della riforma della giustizia civile e dell'amministrazione pubblica oltre che sul piano di liberalizzazioni approvato dal governo sotto forma di disegno di legge. Piano che dovrebbe garantire - secondo quanto annunciato dal ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan - un effetto positivo sul Pil quantificabile in un punto entro il 2020 e in 3 punti nel lungo periodo. La prudenza è d'obbligo, soprattutto perché occorre monitorare l'andamento in corso d'opera delle misure portanti della legge di stabilità. In primo luogo la spending review. Il governo confermerà l'obiettivo di risparmi pari a 32 miliardi nel triennio 2015-2017, ma intanto si tratta di realizzare i tagli previsti nella manovra 2015 (7,5 miliardi). Centrare l'obiettivo è precondizione assoluta per disinnescare la mina delle diverse clausole di salvaguardia che altrimenti imporranno dal 2016 aumenti d'imposta (sotto forma di ritocchi all'Iva e alle accise) per 16 miliardi (23 miliardi dal 2017). È del tutto evidente che l'attivazione delle clausole contribuirebbe all'ulteriore aumento della pressione fiscale, con effetti depressivi sul ciclo sull'economia, compromettendo lo stabilizzarsi della ripresa dal prossimo anno. Massima attenzione anche sul versante delle entrate, nella constatazione che alcune poste di bilancio continuano a registrare non pochi elementi di criticità. La chiave di volta è la maggiore crescita, e per questo il dividendo europeo va gestito con attenzione. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Sentiero stretto tra i conti e le riforme
06/03/2015
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Lina Palmerini C'è più di un segnale che fa pensare come i veri alleati di Renzi siano più all'estero che in Parlamento. Il debutto del Qe e la crisi greca ancora sotto osservazione, spingono Bruxelles, Berlino e Francoforte a "puntellare" il Governo italiano per evitare nuova instabilità sull'euro-zona. Continua pagina 25 Continua da pagina 1 Siamo vicini al debutto del bazooka di Draghi, cioè, l'ultima carta, la più forte che l'Europa gioca per ritrovare la crescita e tutte le cancellerie hanno interesse che il quadro politico dei Paesi dell'euro-zona - soprattutto quelli più a rischio come l'Italia - si mantenga stabile. E che si vada avanti con quelle riforme che il Governatore della Bce e Angela Merkel hanno "scambiato" con i Governi Ue per poter mettere in campo il quantitative easing di cui Draghi ieri ha fornito tutti i dettagli nel consiglio direttivo che si è svolto a Nicosia. Ma tra le cose che ha messo in chiaro Draghi c'è stato un punto preciso che riguarda anche noi direttamente. «Resta cruciale attuare rapidamente e in maniera decisa e credibile riforme strutturali per aumentare il potenziale di crescita ma anche per migliorare i redditi e incoraggiare le imprese a investire». Parole che riguardano in particolare l'Italia, il Paese che ha più difficoltà - stando alle statistiche e alle previsioni - a incrociare una ripresa sostenuta che è necessaria per sostenere l'alto livello del debito. E il Governo Renzi, oggi, appare l'unico possibile per attuare quel piano che l'Europa ci chiede. Il traguardo dei decreti del Jobs act, firmati già mercoledì dal presidente della Repubblica, danno al premier un'apertura di credito importante dall'Unione. Si è visto nei giorni scorsi nel primo viaggio di Sergio Mattarella in Europa. Se a Berlino e Bruxelles il capo dello Stato ha ricevuto così tanti apprezzamenti ed elogi per Matteo Renzi - a tratti perfino enfatici - la ragione è che l'attuale Esecutivo non ha alternative se non a prezzo di nuove turbolenze e instabilità sull'area-euro. Un prezzo che proprio adesso l'Europa non vuole assolutamente pagare. Non ora che ha messo in campo l'arma finale del QE, non ora che cerca di afferrare la crescita, non ora che Governi come la Germania si sono esposti politicamente - anche in casa - per sconfiggere le posizioni dei falchi. E dunque se nel Parlamento italiano il Governo Renzi rischia a giorni alterni, in Europa è quello che beneficia di una maggiore "blindatura". La ragione è evidente e dipende dalla nostra fragilità, non solo del debito pubblico ma anche del quadro politico. In pratica non esiste un'alternativa a Renzi che stia dentro il quadro europeo. Esiste l'arcipelago delle opposizioni alcune dichiaratamente anti-euro come Salvini e Grillo, altre come una piccola parte della sinistra Pd e gli emuli della lista Tsipras che giocano sull'ambiguità dello stare in Europa ma alle loro condizioni. La stessa propaganda che si è vista con il premier greco, che ora ha dovuto rivedere le sue promesse elettorali e i suoi slogan non prendendo affatto in considerazione l'opzione dell'uscita dalla moneta unica. Insomma, oltre il Pd renziano e il Governo, c'è un magma pericoloso agli occhi di Bruxelles, Berlino e Francoforte. È vero che anche in Francia Marine Le Pen è - al momento - una minaccia per i socialisti di Hollande e un'alternativa per i francesi ma è anche vero che il sistema istituzionale d'Oltralpe, l'apparato statale, funzionano. E sono dotati di forti anticorpi democratici. Di certo non sarà l'Europa che porterà i voti a Renzi in Parlamento sulla legge elettorale o sulla scuola ma il recente esempio Tsipras è un ammonimento per chi nel Pd voglia tentare avventure mettendo a rischio il Governo. Soprattutto se al Quirinale la linea continua a essere quella di un chiaro orientamento europeista. Sia pure nell'esortazione al "cambio di passo" come ha detto il presidente Mattarella a Berlino parlando di economia e solidarietà sul fronte immigrazione e politica estera. Lina Palmerini 60 miliardi Le «munizioni» mensili
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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Renzi e la mossa di Draghi
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
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Impatto mensile del bazooka di Draghi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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06/03/2015
Il Sole 24 Ore
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Bce inflessibile sulle richieste greche Finanziamenti alle banche solo se sarà rispettato il programma, no a maggiori emissioni di T-bills Alessandro Merli ELA POTENZIATA Il consiglio direttivo ha deciso di aumentare di 500 milioni (a 68,8 miliardi) il tetto alla liquidità di emergenza che si può fornire agli istituti NICOSIA La Banca centrale europea riprenderà i normali finanziamenti alle banche greche solo quando il Governo avrà dimostrato di rispettare gli impegni presi nel programma concordato con i creditori internazionali. Il presidente della Bce, Mario Draghi, ha anche chiuso la porta alla possibilità che l'istituto di Francoforte autorizzi maggiori emissioni di buoni del Tesoro di Atene, la via che il Governo Tsipras contava di battere per ottenere un po' di respiro, in quanto viola il divieto, imposto dai Trattati europei, di finanziamento monetario. Draghi, che pure ha ripetuto che «la Bce è un'istituzione basata sulle regole e non prende decisioni politiche», non ha mancato poi di riprendere polemicamente, senza nominarlo, il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, che in più di un'occasione ha destabilizzato i mercati finanziari con le sue dichiarazioni, peggiorando ulteriormente la situazione. Un certo tipo di comunicazione, ha detto il banchiere centrale, «crea volatilità sui mercati, facendo aumentare gli spread e distruggendo collaterale» che le banche potrebbero usare per finanziarsi . La linea tenuta da Draghi nei confronti di Atene è un modo per ribadire che la Bce vuole tenersi fuori dal gioco politico fra Atene e i suoi partner europei, tanto che ogni decisione di Francoforte è condizionata, ha detto, a quelle dell'Eurogruppo, i ministri finanziari della zona euro. Ma è anche un modo per tenere alta la pressione su Atene perché rispetti gli impegni presi, contestati anche da parte della maggioranza. Draghi ha detto che la Bce «è la prima a volere far ripartire i finanziamenti normali all'economia greca, a patto che ce ne siano le condizioni e queste sono che venga messo in atto rapidamente un processo che mostri il successo di una revisione del programma». Il capo della Bce ricorda che quando le operazioni sono state sospese il mese scorso il programma era fuori linea, per ammissione dello stesso Governo greco. Il no all'aumento delle emissioni di buoni del Tesoro (oggi a 15 miliardi di euro) è stato il messaggio più esplicito. Le banche avrebbero potuto utilizzarli come garanzia per ottenere liquidità dalla Banca centrale, finanziando al tempo stesso il Governo. Nei Trattati, ha ricordato Draghi, c'è una proibizione «diretta e indiretta» del finanziamento monetario. Al tempo stesso, Draghi ha voluto sottolineare che la Bce non ha abbandonato la Grecia al suo destino, anzi le ha fornito prestiti per 100 miliardi di euro, raddoppiati negli ultimi due mesi, pari al 68% del prodotto interno lordo greco, la percentuale più alta nell'area euro, e che proprio ieri il consiglio ha deciso di aumentare di 500 milioni di euro a 68,8 miliardi il tetto alla liquidità di emergenza che può essere fornita alla banche dalla Banca centrale greca attraverso lo sportello Ela. Le condizioni per il continuo utilizzo dell'Ela sono che le banche siano solvibili (e Draghi ha ricordato che hanno mostrato, agli esami della stessa Bce dell'anno scorso, di avere capitale a sufficienza, e che molto è stato fatto su questo fronte) e dispongano di collaterale adeguato per le operazioni. È stata la Bce, ha detto, a sollecitare l'Eurogruppo a mantenere i 10 miliardi di euro stanziati per l'eventuale ricapitalizzazione degli istituti di credito immediatamente disponibili per ogni evenienza. Intanto, la Grecia (come Cipro) resterà fuori dal Qe, che la Bce inizierà lunedì: perché è sotto revisione del programma economico, perché i suoi titoli non sono "investment grade" e non sono supportati da un programma attivo, e perché al momento la Grecia è già al di sopra del limite del 33% del debito di ogni singolo emittente che la Bce si è imposta. L'istituto di Francoforte ha infatti ancora in portafoglio 19 miliardi di SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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Ripresa e mercati IL BAZOOKA DI DRAGHI
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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euro circa di debito greco acquistato fra il 2010 e il 2012. Solo dopo l'estate, quando Atene ne rimborserà oltre 6 miliardi, scenderà sotto la soglia. Se nel frattempo il programma sarà in ordine, potrà finalmente beneficiare del Qe. © RIPRODUZIONE RISERVATA LA CRESCITA Variazione % del Pil sul trimestre precedente L'INFLAZIONE Variazione % annua dei prezzi al consumo I DEPOSITI DI FAMIGLIE E IMPRESE In miliardi di euro LA FIDUCIA Indice Pmi, settore manifatturiero* C LA PAROLA CHIAVE Ela La Bce definisce l'Emergency Liquidity Assistance (Ela) come il sostegno concesso dalle banche centrali «in circostanze eccezionali e caso per caso a istituzioni e mercati temporaneamente illiquidi». È una sorta di sportello di emergenza per le banche in difficoltà: gli istituti si rivolgono alla Banca centrale nazionale per ottenere prestiti di emergenza, che devono però essere approvati dalla Bce. Foto: IL QUADRO MACROECONOMICO E FINANZIARIO DI ATENE
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
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Euro ai minimi, lo spread cade a 97 punti Borse in rialzo (Milano +1,22%), la moneta unica sotto quota 1,10 $ - Corsa ai BTp Andrea Franceschi LE PREVISIONI Dalle stime sull'inflazione date dalla Bce, si evince che il «quantitative easing» potrebbe finire nel 2016 come previsto Corrono le Borse, si restringono gli spread e si svaluta l'euro. Questa in sintesi è stata negli ultimi mesi la reazione dei mercati al Quantitative easing della Bce. E questo è lo stesso copione che i mercati hanno seguito ieri, giornata in cui in cui il presidente Mario Draghi ha reso noti alcuni dettagli tecnici dell'operazione, oltre alle nuove previsioni sull'andamento dell'economia. Ieri la Bce ha rivisto al rialzo da +1 a +1,5% la sua stima sul Pil dell'area euro per il 2015. La Banca centrale ha comunicato anche la sua proiezione sull'andamento dei prezzi che è stata rivista al ribasso per l'anno in corso (dal +0,7% a 0) mentre per il 2016 e per il 2017 è stimata una crescita dell'1,3 e dell'1,8% rispettivamente. La moneta unica, reduce da una giornata di forti ribassi, inizialmente ha reagito positivamente a questi numeri balzando oltre 1,11 dollari. Una fiammata che si è riassorbita rapidamente: la moneta unica è tornata a svalutarsi arrivando in serata a sfondare al ribasso quota 1,10 dollari. In linea di principio questo andamento non si concilia con le nuove previsioni dell'Eurotower. Un miglioramento della congiuntura e una previsione per il prossimo biennio dell'inflazione sui livelli ottimali (il mandato Bce prevede che sia sotto ma vicina al 2%) significa che il Qe è destinato a finire alla sua naturale scadenza. Tuttavia - è il ragionamento di alcuni addetti ai lavori - un conto sono le stime, un'altro la realtà. E la storia insegna che non sempre le previsioni si rivelano azzeccate. Il presidente Draghi, da parte sua, ha ribadito ancora una volta che il Qe potrà durare oltre la sua naturale scadenza finché l'inflazione non sarà tornata sui livelli di guardia. Come sottolinea Mauro Vittorangeli, capo investimenti per il reddito fisso di Allianz Global Investors «la Bce è determinata a continuare finché non otterrà i risultati che si è posta, nella piena consapevolezza che non può permettersi di fallire». E tanto è sembrato bastare ai mercati che hanno reagito positivamente a quanto emerso dal direttivo dell'Eurotower. Altra novità importante è stata la risposta di Draghi alle perplessità sul fatto che, nell'ambito del Qe, la banca centrale finisca per comprare titoli con rendimenti negativi andando così incontro a perdite. Ieri il numero uno della Bce ha fatto chiarezza anche su questo punto. Nell'ambito del Quantitative easing la Bce acquisterà titoli con minimo due anni di scadenza. Anche con tassi negativi purché non superino al ribasso la soglia di 0,2 per cento. Che poi è l'attuale livello della remumerazione ufficiale sui depositi. Questo dettaglio ha provocato un immediata ondata di vendite sui titoli biennali tedeschi, il cui rendimento è sotto lo 0,2% negativo, a cui sono stati preferiti bond di analoga scadenza con rendimenti più appetibili. Ieri il differenziale di rendimento tra BTp e Bund decennali è sceso fino a quota 96 punti in un primo momento per poi risalire nel finale e chiudere gli scambi a quota 97. «Riteniamo che i dettagli presentati oggi abbiano preparato la strada per un ulteriore restringimento degli spread nell'Eurozona nel breve periodo. Questo potrebbe spingere il differenziale di rendimento tra i titoli italiani e spagnoli a 10 anni e quello tedesco entro un livello di 80 punti base» commenta ancora Vittorangeli. Giornata positiva anche sul fronte azionario. Ieri Piazza Affari ha guadagnato l'1,22% registrando la migliore performance tra le piazze continentali che in media hanno registrato rialzi intorno allo 0,8 per cento. A Piazza Affari ieri i titoli più gettonati sono stati quelli di Tod's (+6,03%) e Moncler (+10,53%). I rialzi sono stati innescati dai conti oltre le attese di quest'ultima il cui andamento è stato indirettamente favorito dalle scelte della Bce. La politica monetaria ultraespansiva di Draghi ha provocato una svalutazione del 20% in un anno SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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Ripresa e mercati LA GIORNATA SUI LISTINI
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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della moneta unica nel cambio sul dollaro. Una manna per un settore come quello del lusso che deve buona parte della sua fortuna dalla capacità di esportare. © RIPRODUZIONE RISERVATA Variazioni % di ieri Milano Ftse Mib INIZIO ANNO +17,82 +1,22 Francoforte Dax INIZIO ANNO +17,32 +1,00 Parigi Cac 40 INIZIO ANNO +16,17 +0,94 Madrid Ibex 35 INIZIO ANNO +8,22 +0,66 Londra Ftse 100 INIZIO ANNO +6,02 +0,61 Foto: EFFETTO DRAGHI SUI LISTINI Foto: EURO/DOLLARO
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
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Miccichè (Intesa Sanpaolo): «Motori del sistema-Italia per le infrastrutture nel mondo» Marco Ferrando Marco Ferrando pagina 32 La riorganizzazione della divisione per filiere, con i 16mila clienti (tutti rigorosamente con fatturato superiore ai 350 milioni ) distribuiti in aree settoriali, è chiusa. L'allargamento della rete estera, invece, prosegue: all'apertura delle nuove filiali operative di Istanbul, San Paolo e Varsavia, si affiancheranno nel 2015 quelle di Abu Dhabi e Pechino, oltre alle sedi di rappresentanza di Doha, Washington e Giacarta, e intanto si valutano nuovi desk in Sud Africa, Messico, Australia. Altro cantiere, il project financing: nel 2014 Intesa ha partecipato a progetti con un impegno complessivo di 3 miliardi, «quest'anno in due mesi siamo già a un miliardo e mezzo», dice Gaetano Micciché, a Il Sole 24 Ore. Tra i dossier più caldi dei prossimi mesi, il direttore generale di Intesa Sanpaolo con delega al Cib elenca i nuovi giacimenti di gas del Mozambico, la Nigeria, con il nuovo porto e il nuovo aeroporto di Lagos, poi il Messico, il Perù, il Brasile; tutti mercati dove «puntiamo a diventare il motore di iniziative del nostro Paese intorno a grandi progetti infrastrutturali. Dove possiamo contribuire al forte coinvolgimento dell'industria italiana, della tecnologia italiana, della finanza italiana», sottolinea Miccichè. Il bilancio di Gruppo approvato in settimana vede un contributo dal corporate and investment banking di 1,3 miliardi di euro a livello di utile netto: quali previsioni per il 2015? Intesa Sanpaolo punta a distribuire 2 miliardi di dividendi: la nostra divisione, anche l'anno prossimo, contribuirà in modo significativo all'aumento della redditività del Gruppo. D'altronde in otto anni abbiamo dimostrato di saper consolidare, di anno in anno, i nostri risultati: siamo la prima investment bank in Italia e tra i leader in Europa, il nostro modello di business è profittevole e sostenibile. Anche con i tassi bassi? Più delle condizioni di mercato, per noi conta la relazione con i clienti: la relazione quotidiana, quella che li spinge a scegliere la nostra banca anche per le operazioni straordinarie, dall'm&a alla finanza strutturata. Proprio da qui è partita l'idea della riorganizzazione per settori, che mette al servizio dei nostri clienti figure professionali con una preparazione specifica sul mercato in cui operano. Il modello funziona perché alle spalle c'è Intesa Sanpaolo? Assolutamente: se siamo diventati un benchmark europeo è perché facciamo parte di un gruppo con una notevole forza patrimoniale oltre ad avere, al nostro interno, un know how e delle professionalità di altissimo livello. Quale sarà il driver per la crescita nel 2015? Il business a livello internazionale in particolare le infrastrutture: è un settore in cui l'Italia, come Paese, può conquistarsi un ruolo di primo piano. E noi intendiamo fare la nostra parte, coagulando imprese costruttrici, gestori, finanza. Come stanno i vostri clienti, in particolare quelli italiani? Molto bene. Nella maggior parte dei casi hanno saputo sfruttare la crisi per migliorare nell'efficienza. Un esempio? OVS. L'ultimo gruppo in ordine di tempo che, come Banca Imi, abbiamo seguito nella quotazione; la tipica azienda che ha saputo superare positivamente momenti non facili, ben guidata da un ottimo management. A proposito di Ipo: quali saranno le prossime? Siamo global coordinator per le quotazioni di Sorgente, Poste, delle torri Telecom e degli hotel del gruppo Statuto. E altri dossier potrebbero aggiungersi, come quello del gruppo Zanetti.
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INTERVISTA. PARLA IL Direttore generale
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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Come valuta le scelte del governo Renzi, dalle popolari al nuovo piano sulle tlc? Il Governo sta mostrando al mercato che il sistema Paese è in fase di rafforzamento e ha svolto un ruolo decisivo nella risoluzione di casi complessi come Alitalia e Ilva, favorendo l'intervento di capitali privati. Sono segnali di fiducia importanti in grado di suscitare interesse tra gli investitori. Le popolari saranno più gradite al mercato una volta divenute SpA? Si. Prevedo un interesse crescente, soprattutto su alcune banche. Come Bpm, che può diventare polo aggregante. E il progetto sulla banda larga? È un processo indispensabile. E mi auguro che due attori di assoluto rilievo, come Telecom Italia e Metroweb possano trovare il modo per collaborare. Lo sviluppo di infrastrutture a elevato contenuto tecnologico, con il contributo decisivo di operatori privati, è fondamentale per le prospettive di crescita del Paese. Perché avete deciso di non sostenere l'Opas di Ei Towers come finanziatori? Abbiamo accompagnato l'Ipo di Rai Way, e per ora della partita siamo semplici osservatori. Nel Gruppo Intesa Sanpaolo, in prospettiva, è previsto un rinnovamento manageriale... Sono molto impegnato, come tutti i colleghi della Divisione Corporate e Investment Banking, nel raggiungimento degli obiettivi del piano d'impresa. Un piano fortemente voluto dall'amministratore delegato Carlo Messina con il quale collaboro in maniera eccellente da oltre 12 anni. .@marcoferrando77 © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: Manager. Gaetano Miccichè, direttore generale di Intesa Sanpaolo e amministratore delegato di Banca Imi
06/03/2015
La Repubblica
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Francoforte e i trucchi di Atene FEDERICO FUBINI SE QUALCUNO ha diritto a depositare il brevetto della ripresa che si prepara in Europa, questi è Mario Draghi. C'è solo una macchia nel panorama finalmente più soleggiato, un'ombra in basso a destra sulla carta. La tregua siglata fra la Grecia e gli altri governi europei due settimane fa ha arginato quella che stava per trasformarsi in una slavina rovinosa per tutti. Ma ieri da Cipro, deliberatamente, il presidente della Bce ha pronunciato poche battute che tradiscono nervosismo. < PAGINA TUTTO il nervosismo di chi conosce davvero la situazione del Paese. Non capita spesso che Draghi critichi in pubblico un ministro dell'area euro. Ieri l'ha fatto e il bersaglio delle sue parole, mai nominato, era evidente a tutti: Yanis Varoufakis, il ministro delle Finanze greco, l'ultima rockstar della crisi dell'euro. «Se c'è una comunicazione che crea volatilità nel mercato - ha osservato Draghi, pesando ogni parola - ciò mina la solvibilità del sistema bancario greco». Il riferimento va al profluvio di dichiarazioni a effetto di Varoufakis, il solo ministro al mondo impegnato di continuo a sostenere che il proprio Paese è in uno stato irrimediabile di insolvenza. Fra l'area euro e una ripresa solida, oggi resta quasi solo la Grecia: va concluso il lavoro per stabilizzarla e portarla fuori pericolo. Ma fra la Grecia e quell'obiettivo rimangono problemi che la Banca centrale europea non vuole esser chiamata ancora una volta a risolvere, perché non fanno parte dei suoi compiti. L'equilibrio ad Atene è più fragile di quanto appaia dopo l'accordo di Bruxelles di due settimane fa. Varie fonti finanziarie greche, convergenti, indicano due ordini di problemi: le risorse nel Tesoro sono sul punto di finire forse già la prossima settimana; di conseguenza, per finanziarsi, Varoufakis sta ignorando e aggirando alcune delle regole di base che governano la Bce e l'intera zona euro. Nelle prossime tre settimane Atene deve rifinanziare o rimborsare 6,5 miliardi fra debito e interessi, ma le entrate fiscali calano, dunquea marzo il buco di cassa sarà di tre miliardi. Almeno per il momento, Varoufakis non ha i soldi per evitare un "default" imminente e si vede sbarrate molte delle possibili strade. Non può emettere obbligazioni a medio-lungo termine, perché gli interessi da pagare sarebbero proibitivi. Non può emettere titoli a brevissimo termine, facendoli comprare alle banche greche con liquidità presa in prestito da loro in Bce, perché la Grecia è già al tetto massimo consentito di 15 miliardi di euro: la Bce non vuole che Atene vada oltre, perché altrimenti l'Eurotower finirebbe per coprire il deficit del Paese con la moneta creata a Francoforte. Sarebbe finanziamento del disavanzo da parte della Banca centrale, l'ultimo tabù europeo. Ma Varoufakis per ora non può neppure farsi anticipare una rata di prestiti dagli altri governi europei, perché dovrebbe prima trovare un accordo dettagliato sulle riforme da affrontare in Grecia e poi dovrebbe (almeno) avviarle. Di qui la scelta di aggirare il divieto di finanziamento monetario del deficit. Lo Stato greco ha iniziato a estrarre denaro dalle banche commerciali, ma lo fa attraverso la porta sul retro. Non emette più titoli a breve termine per farli comprare dagli istituti con denaro prestato dalla Bce. Piuttosto, Varoufakis si fa prestare a scadenze di pochi giorni (ma rinnovate di continuo) i fondi che le imprese statali hanno depositato presso le banche commerciali. Queste ultime funzionano solo grazie ai prestiti di emergenza della Bce, che poi però affluiscono nelle casse del Tesoro greco attraverso quelle operazioni sui conti correnti delle aziende a controllo pubblico. In sostanza l'Eurotower, contro la sua volontà, senza che le sia stato detto, si trova a coprire il deficit del governo di Atene tramite i depositi bancari delle imprese pubbliche stornati al Tesoro. I soldi per rendere liquidi e pagabili quei depositi bancari vengono da Francoforte. Ma l'effetto sull'economia greca è devastante, perché le banche stanno tagliando i prestiti a tutto il settore privato per compensare quei deflussi di depositi verso lo Stato. «L'ultima cosa che si può dire, è che non stiamo sostenendo la Grecia», ha notato Draghi ieri. Il velo di sarcasmo dà la misura dell'irritazione: l'esposizione della Bce su Atene è salita in pochi mesi a 100 miliardi e si trasformerebbe in una colossale perdita nell'ipotesi (evitabile) che la Grecia SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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L'ANALISI
06/03/2015
La Repubblica
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davvero vada in "default". Non è lo scenario più probabile. Ma se un messaggio arriva dalla Bce, è che ora tocca ai governi e alla politica rimuovere l'ultimo scoglio sul cammino della ripresa in Europa.
06/03/2015
La Repubblica
Pag. 1,2,3
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Draghi:"Acquisti bond da lunedì così la Bce aiuterà la ripresa Il governo greco rischia l'autogol" * Il presidente: "60 miliardi al mese fino a quando l'inflazione sarà vicina al 2% Prestiti ad Atene saliti a 100 miliardi, ma le loro parole creano volatilità" LA GIORNATA Le nostre misure stanno già aiutando gli sviluppi positivi della situazione dell'Eurozona Il tasso di inflazione nell'Eurozona appare destinato ad aumentare gradualmente a fine 2015 La Bce potrebbe essere definita la banca centrale della Grecia visto che i prestiti ad Atene sono raddoppiati Bisogna accelerare l'attuazione delle riforme e ANDREA TARQUINI Draghi: via al piano, la ripresa c'è Lunedì partono gli acquisti Bce: "60 miliardi al mese fino a quando l'inflazione non sarà al 2%" Scontro con la Grecia. Avvertimento a Tsipras: "Non possiamo finanziare gli Stati membri" BERLINO. L'ora x è arrivata: il presidente della Banca centrale europea ha annunciato per lunedì 9 marzo l'inizio delle operazioni di acquisto di titoli di Stato, e subito dopo ha rimproverato il governo greco per alcune dichiarazioni pubbliche dei suoi ministri: «il rischio è di creare volatilità sul mercato minando il valore dei titoli che le banche greche possono portare in garanzia per ottenere rifinanziamenti dalla Bce. Questo può minare la stessa solidità delle banche greche». Il "quantitative easing" avrà una potenza di fuoco di 60 miliardi di euro al mese, e continuerà fin quando lo spettro della deflazione (cioè della diminuzione di prezzi e salari) non avrà lasciato l'eurozona. Ma il combinato disposto delle operazioni finora realizzate da Francoforte e l'annuncio dei maxiacquisti ha indotto la stessa Bce ad alzare le stime di crescita per l'eurozona: 1,5 per cento quest'anno, 1,9 nel 2016 e 2,1 per cento nel 2017. L'annuncio di "Supermario" ha subito acceso i mercati, mentre sono scesi sia lo spread tra Btp italiani e Bund tedeschi (sotto il 100 a quota 96,4) sia l'euro rispetto al dollaro (a meno di 1,10). Cauto l'ottimismo del premier italiano Matteo Renzi, il quale tuttavia ha chiarito che la crescita in più e il risparmio in termini di interessi potrebbero mettere a disposizione dell'Italia un vero e proprio "tesoretto": «Per il 2015 le nostre stime di crescita italiana sono più prudenti di quelle dell'Unione europea (0,5% invece di 0,6), tutto quello che verrà in aggiunta è un tesoretto che utilizzeremo», ha commentato il presidente del Consiglio. Dopo l'annuncio, Draghi ha subito ammonito a non aspettarsi dalla politica monetaria più di quanto possa dare: i poteri politici devono fare la loro parte accelerando indispensabili riforme strutturali. Con una scelta del luogo che ha valore simbolico, il direttivo Bce si è riunito a Cipro, Paese dell'eurozona in crisi quasi quanto Atene. L'operazione QE dovrebbe concludersi nel settembre 2016, e solo a condizione che l'inflazione sarà prossima al 2 per cento. Contemporaneamente, la Bce continuerà ad acquistare covered bonds e abs, in aggiunta al programma di 60 miliardi mensili. Per Draghi gli effetti positivi della politica Bce già si vedono. «Le nostre misure di politica monetaria ed economica hanno funzionato». Il presidente Bce ha poi lanciato il suo monito al governo greco sul modo sbagliato di comunicare, E ha aggiunto: «L'ultima cosa che si può dire è che la Bce non abbia dato supporto alla Grecia: ha raddoppiato i prestiti da 50 a 100 miliardi negli ultimi due mesi, raggiungendo una cifra che è il 68 per cento del prodotto interno lordo del Paese. Siamo diventati la nuova banca centrale greca, anche se il suo compito è esserlo di tutti i Paesi membri dell'euro». Infine una promessa: se il piano di riforme di Atene partirà veramente, la Bce è pronta ad accettare bond greci come collaterale per i prestiti. DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
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Il piano
06/03/2015
La Repubblica
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Multa sui servizi recall a Telecom e Vodafone Penalità anche per Wind che ha imposto un costo agli abbonati per distribuire gli elenchi (v.co.) ROMA. "La persona che hai cercato è ora disponibile". Si chiama servizio di reperibilità, il messaggino o la chiamata che ti avvisa quando il numero torna libero. Un ottimo aiuto, peccato che sia diventato a pagamento all'insaputa dell'utente. Anche per questo, ieri l'Antitrust ha multato per quasi un milione e mezzo di euro complessivi tre big della telefonia: Telecom, Vodafone e Wind. Pratiche commerciali scorrette, quelle di Telecom e Vodafone, scrive l'Agcm, l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato. Che costeranno 400 mila euro alla prima e 500 mila alla seconda, per i rispetti servizi "Lo sai" e "Chiamaora" nel primo caso, "Chiamami" e "Recall" nel secondo. Si tratta appunto di servizi di reperibilità, a un certo punto trasformati da gratuiti a pagamento (sulle sim vendute prima del 14 giugno 2014). La scorrettezza per l'Authority «consiste nell'aver mantenuto attivi questi servizi anche dopo la loro trasformazione in onerosi, imponendo ai clienti l'acquisizione implicita del consenso a fruirne se non avevano provveduto di propria iniziativa a disattivarli». Ai sensi del Codice del Consumo, «queste condotte sono state ritenute pratiche commerciali di per sé aggressive, consistenti in forniture non richieste». Vodafone è stata poi sanzionata per altri 150 mila euro per violazione del Codice del Consumo, in attuazione della direttiva europea "Consumer Rights". «L'operatore ha adottato una modulistica che prevede l'acquisizione implicita del consenso del cliente a sostenere il costo supplementare per i servizi di reperibilità», dice l'Antitrust. E questo relativamente alle sim commercializzate dopo l'entrata in vigore della direttiva. In un terzo provvedimento, l'Antitrust ha multato Wind per 250 mila euro anche qui per pratica commerciale scorretta, ovvero l'attivazione unilaterale di un servizio oneroso chiamato "Service card", a carico dei clienti di telefonia mobile. «Una pratica aggressiva che consiste nell'aver esercitato una pressione tale da limitare considerevolmente la libertà di scelta e di comportamento dei consumatori». Gli stessi operatori sono stati infine coinvolti in altri tre procedimenti relativi alla distribuzione degli elenchi telefonici cartacei, un servizio escluso dagli obblighi di fornitura dal decreto legislativo 70 del 2012. Le compagnie hanno omesso di ricordare agli utenti che potevano rinunciare alla fornitura degli elenchi e così evitare l'addebito in bolletta. Wind, in particolare, dovrà pagare 95 mila euro per l'omissione informativae 100 mila per violazione dell'articolo 65 del Codice del consumo per non aver previsto l'acquisizione del consenso espresso al pagamento di un costo extra per il servizio. (v.co.) Foto: Giovanni Pitruzzella
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IL CASO/ L'ANTIRUST SANZIONA PER 1,5 MILIONI
06/03/2015
La Stampa
Pag. 3
(diffusione:309253, tiratura:418328)
L'economia europea avanza piano malgrado il rallentamento cinese Gli economisti: positivo il calo del petrolio, effetto che durerà MARCO ZATTERIN «Isegnali indicano un rafforzamento graduale della ripresa», conferma con aria garbatamente soddisfatta Mario Draghi, prima di ritoccare al rialzo i numeri per l'andamento dei prossimi due anni. Il presidente della Bce ha annunciato che la crescita nell'Eurozona arriverà all'1,5% in dicembre, contro l'1 previsto in autunno e l'1,3 calcolato dalla Commissione un mese fa. Aiuta il calo prezzo del petrolio, mentre l'attività appare frenata dagli aggiustamenti dei bilanci che continuano a configurarsi «necessari». Andiamo meglio, ma non ancora bene. Così il presidente della Bce avverte: «Non c'è spazio per l'autocompiacimento». Previsioni migliorate Avanza lenta l'economia del vecchio continente. Da Cipro, Draghi regala cifre che fanno sperare e ribadisce la generale tendenza al rialzo delle stime congiunturali. La scorsa settimana, in un intervento a Bruxelles, la capo economista dell'Ocse, Catherine Mann, ha pure annunciato una revisione positiva dei numeri in arrivo da Parigi a giorni. «Stanno diminuendo i costi di produzione e le bollette delle famiglie grazie al livello del petrolio», ha affermato. Il discorso vale per ognuno dei Paesi più industrializzati, anche se l'analista americana riconosce che l'Eurozona ha il problema degli investimenti troppo deboli e deve ancora lavorare per potersi dire fuori da guai. Occhio ai rischi di scivolate, sospirano gli addetti ai lavori. Ieri Allianz ha ampliato le stime sulla crescita del Pil tedesco dall'1,6% autunnale al 2,1 per cento, promettendo anche lei un punto e mezzo di crescita per Eurolandia (+0,2 punti). Lo ha fatto mentre veniva annunciato un secco colpo d'arresto per gli ordini di fabbrica nella repubblica federale, caduti in gennaio del 3,9% dopo avere messo a segno un incremento del 4,4%. Mese freddo: Bloomberg attendeva la frenata di 1 punto. Guardando al 2016, Draghi si allinea alla Commissione Ue (pil +1,9%) e formula una variazione del 2,1% per il 2017. Nell'anno in corso, invece, l'inflazione sarà piatta (-0,1 dice Bruxelles), per gonfiarsi sino all'1,5% nel 2016 e a salire 1,8 nel 2017. «L'alto livello strutturale della disoccupazione e il basso potenziale di crescita dell'output nell'Eurozona - nota il presidente Bce - non deve indurre ad abbassare la guardia». Per questo, «è cruciale che le riforme strutturali siano attuate in modo rapido, credibile e efficace», perché «non migliorerà solo la crescita sostenibile futura», ma ci saranno benefici per i redditi e la propensione delle imprese a investire». L'effetto del greggio L'effetto petrolio dovrebbe durare. Michael Heise, capo degli economisti Allianz, prevede che il Brent si attesterà nelle intorno ai 60 dollari al barile. L'Europa farà in tempo a darsi una raddrizzata e magari a guadagnare qualche quota di mercato sfruttando la domanda sostenuta delle principali economie. Non dovrebbe essere grave il riverbero alla Cina che rallenta. L'Assemblea Nazionale del Popolo ha fissato al 7% la stima per il pil del 2015, il dato più contenuto dal 1990. Il dato non è piaciuto alle Borse asiatiche e poco ha fatto l'annuncio secondo cui la spesa militare dell'ex celeste impero, secondo il premier Li Keqiang, volerà del 10,1 nel 2015. Non si cresce di Difesa, però Pechino non si allarma e ammette: «Lo sviluppo economico è entrato in una fase "Neo Normale"». Servirebbe pure all'Europa. Stime per l'area euro Stime attuali Stime di dicembre 2015 2016 2017 A cura della BCE - LA STAMPA Foto: Rilancio possibile Per la prima volta da molti anni l'economia italiana vede prospettive concreta di ripresa assieme a tutta l'Eurozona Foto: ALBERTO BERNASCONI/LUZ
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CORRISPONDENTE DA BRUXELLES LE MOSSE DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA il caso
06/03/2015
La Stampa
Pag. 7
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"L'Italia ha spezzato l'isolamento Ma la vera partita è a Bruxelles" L'analista Lukyanov: Roma può ammorbidire la Merkel LUCIA SGUEGLIA MOSCA «Non credo che l'Italia possa aiutare a risolvere la crisi in Ucraina. Ma può aiutare ad ammorbidire i rapporti tra Mosca e Bruxelles». Fiodor Lukyanov, politologo direttore della rivista «Russia in Global Affairs», commenta la visita del premier italiano a Mosca. Renzi prima di venire a Mosca è passato da Kiev... «Chiaro: oggi nessun leader occidentale può permettersi di mostrarsi dalla parte della Russia, e andare in Russia senza andare anche in Ucraina. Il processo di pace è già gestito dalla troika e tutto viene deciso da Germania e Francia. Ma forse l'Italia può apportare forze aggiuntive perché si realizzi, e contribuire ad ammorbidire i toni tra Mosca e la Ue. È importante che Renzi sia venuto proprio al Cremlino, erano mesi che nessun leader occidentale vi metteva piede per un bilaterale». Sulle sanzioni, la Russia si aspetta qualcosa da Roma? «Non posso immaginarmi che l'Italia vada contro il mainstream europeo. Ma non è un segreto che non è entusiasta delle sanzioni. E tra i paesi contrari nell'Unione come Ungheria, Grecia o Cipro, è il più importante. Forse se ne può riparlare, magari a partire dalle controsanzioni: la Russia ha fatto capire, per esempio con l'Ungheria, che per i Paesi che si pronunciano contro, forse ci può essere qualche eccezione. Ma dipende molto dalla posizione che l'Italia avrà a Bruxelles». Putin appoggerà gli sforzi Onu sulla Libia. Alla Russia può interessare essere coinvolta su Tripoli per uscire dall'isolamento internazionale? «La Libia non esiste più come Stato. Ed è colpa innanzitutto delle decisioni prese nel 2011 dai Paesi occidentali, tra cui l'Italia. Perciò Mosca sicuramente non ha alcuna intenzione di lottare con l'Isis in Libia. E del resto anche all'Onu nessuno sa quali misure adottare. La Libia per noi è un esempio chiaro della follia occidentale, il risultato è quello che avevamo previsto. L'unica cosa che Mosca potrebbe fare è fornire armi agl i S t at i co n f i n a n t i co m e l'Egitto nel caso questi le richiedano, per fronteggiare un possibile straripare del conflitto». Con Berlusconi sarebbe andata diversamente? «Berlusconi avrebbe potuto sollevare più rumore, forse parlare più apertamente a favore della Russia, ma neanche lui avrebbe potuto cambiare la linea Ue sull'Ucraina. Anche se si comportava in modo eterodosso, ha sempre capito le regole e le ha infrante solo quando era possibile. Oggi la posizione della maggior parte dei paesi Ue verso la Russia è molto rigida. E senza Germania e Francia nessuno può far nulla, anzi ormai Berlino con Merkel è l'unico leader nella Ue. Magari se ci fossero ancora Schroeder e Sarkozy...». Renzi ha proposto l'esempio dell'Alto Adige per il Donbass... «Ricordo che dopo il crollo dell'Urss, quando cominciarono i primi conflitti post-sovietici, come in Nagorno -Karabakh (rimasto congelato fino a oggi), in Transnistria, e così via, si citavano sempre due esempi di autonomie come soluzioni possibili: le isole finlandesi Aland, e il Sud Tirolo. Bisogna studiarne l'esperienza, dicevano. Ottima idea, ma non ha mai funzionato: da noi non sarà mai possibile un Alto Adige». 3,5 miliardi Il valore dei contratti militari firmati fra Russia ed Egitto: ieri è cominciata la consegna dei missili anti-aerei Antey-2500 Foto: Politologo Fiodor Lukyanov è uno degli analisti russi più influenti e direttore della rivista «Russia in Global Affairs»
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Intervista
06/03/2015
MF
Pag. 1
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Start di Draghi al Qe, fanno festa borse (Milano +1,2%) e spread (a 90) L'euro sotto 1,10 Marcello Bussi (Bussi a pagina 2) La Bce comincerà a comprare titoli di Stato a partire da lunedì prossimo. Lo ha annunciato ieri il presidente Mario Draghi al termine della riunione del consiglio direttivo che si è tenuta a Nicosia, la capitale di Cipro. Le dichiarazioni del numero uno dell'Eurotower sono state accolte con favore dai mercati: Piazza Affari ha guadagnato l'1,2%, Francoforte l'1%. Mentre lo spread dell'Italia è sceso fino a 93 punti base, con il rendimento del Btp decennale all'1,301%. Bene anche l'euro, che si è ulteriormente indebolito rispetto al dollaro, fino a 1,0987, ai minimi da settembre 2003. Una valuta debole, infatti, spinge verso l'alto l'inflazione e aiuta le esportazioni. Tornando al Qe, gli acquisti, che comprenderanno anche bond emessi da agenzie e organizzazioni internazionali (dall'Esm, ovvero il Fondo salva-Stati, alla Banca Europea per gli Investimenti), oltre agli Abs e ai covered bond che la Bce sta già comprando dal settembre scorso, avverranno al ritmo di 60 miliardi al mese e andranno avanti almeno fino a settembre 2016 e comunque fino a quando non verrà raggiunto l'obiettivo di riportare l'inflazione a un livello inferiore ma vicino al 2%. E già molti pensano che il Qe verrà prolungato oltre il settembre dell'anno prossimo, visto che ieri la Bce ha anche diffuso le stime sull'inflazione, prevista invariata per quest'anno, all'1,5% nel 2016 e all'1,8% nel 2017. Draghi ha inoltre alzato le stime di crescita del pil di Eurolandia: a +1,5% quest'anno, a +1,9% nel 2016 e a +2,1% nel 2017. Non ci sono novità sui dettagli tecnici del Qe rispetto a quanto annunciato lo scorso 22 gennaio. Draghi ha però chiarito che l'istituto di Francoforte comprerà anche titoli di Stato dal rendimento negativo, a patto che esso sia superiore al tasso dei depositi presso la Bce, ora fissato al -0,20%. Questo consentirà di acquistare anche i titoli di Stato tedeschi, che fino alla scadenza a 5 anni hanno rendimenti negativi. Sul mercato secondario il biennale tedesco si è subito adeguato, tornando sopra il -0,20%. E già qualcuno dice che il tetto consentirà anche al decennale tedesco di scendere sotto zero (ieri è sceso fino allo 0,276%). Nel corso della conferenza stampa, Draghi ha fatto sfoggio di ottimismo, ritenuto eccessivo da non pochi osservatori. Secondo il banchiere, la decisione della Bce di lanciare il Qe «ha già funzionato e sta funzionando», infatti le «politiche monetarie di cui si parla oggi sono solo la parte finale» delle azioni dell'Eurotower. «I benefici di una politica accomodante sono arrivati sotto forma di minori costi di finanziamento e flussi di credito alle famiglie che sono aumentati», ha osservato Draghi, avvertendo comunque che «non c'è spazio per l'autocompiacimento», visti gli attuali livelli del tasso di disoccupazione ed è quindi «cruciale attuare rapidamente e in maniera decisa e credibile le riforme strutturali, non solo per aumentare il potenziale di crescita, ma anche per migliorare i redditi e incoraggiare le imprese investire». Carsten Brzeski, economista di Ing, ha osservato che la Bce «sia un po' inebriata dall'annuncio del proprio Qe» e che quella fatta ieri «è stata la valutazione sull'economia» di Eurolandia «più ottimista da molto tempo a questa parte». Dello stesso avviso anche Joerg Kraemer, capo-economista di Commerzbank, secondo il quale la Bce ha fatto capire di credere fortemente nell'efficacia del programma di acquisto di asset in quanto ha rivisto al rialzo le sue previsioni di crescita economica e, a eccezione del 2015, anche quelle dell'inflazione. Per l'esperto, però, la Bce ha fissato l'asticella troppo in alto e questo «aumenta la probabilità di delusione della aspettative, come è accaduto già spesso». Kraemer non ha quindi escluso che l'Eurotower debba in futuro «estendere il Qe o perfino aumentare il volume degli acquisti mensili». Chi ha invece riassunto con più efficacia la reazione dei mercati è stato Nick Lawson, trader di Deutsche Bank: «Possono tornare a vendere euro e a comprare azioni», ha detto. A Draghi sono state fatte molte domande sulla Grecia. A volte il numero uno della Bce è apparso addirittura sprezzante nei confronti del Paese mediterraneo, come quando ha detto che finora l'Istituto di Francoforte «ha prestato 100 miliardi di euro» ad Atene, raddoppiando i finanziamenti al Paese «negli ultimi due mesi», un prestito «pari al 68% del pil» ellenico, il più alto di tutta l'area euro, quindi si può
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DA LUNEDÌ 9
06/03/2015
MF
Pag. 1
(diffusione:104189, tiratura:173386)
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dire che «la Bce sia la Banca centrale greca». Draghi ha anche espresso irritazione nei confronti di certe uscite dei ministri greci, affermando che «se c'è una comunicazione che crea volatilità, aumentano gli spread e si dissolve il collaterale». La Bce ha comunque annunciato di avere aumentato di 500 milioni di euro i fondi Ela, volti a fornire liquidità straordinaria alle banche elleniche. Draghi ha quindi spiegato che la Bce vorrebbe riaccettare i titoli di Stato ellenici come collaterali, ma prima Atene deve porre le basi per il completamento della revisione dell'attuale piano di aiuti. Il numero uno dell'Eurotower ribadisce infatti che la Banca centrale europea è «pronta a ripristinare la deroga» che consente di accettare i titoli di Stato ellenici come collaterali, anche se con rating non investment grade, qualora «ci sarà una valutazione positiva» delle Istituzioni, ovvero l'ex Troika, e se Atene rimborserà i bond in scadenza a giugno e a luglio. Come si può capire, per Draghi l'autonomia del governo Tsipras è ridotta ai minimi termini. (riproduzione riservata) EURO/DOLLARO 5 dic '14 5 mar '15 Foto: Mario Draghi Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/bce
06/03/2015
MF
Pag. 1.4
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Dopo 7 anni il mattone si risveglia Segnali positivi sono arrivati in particolare nel quarto trimestre, che ha registrato una crescita del 5,5%. Spiccano le grandi città: Roma +20%. Ma Milano cresce solo del 3,2%. Ripartono i mutui Roberta Castellarin Bilancio positivo per il mercato immobiliare nel 2014 che, dopo sette anni in negativo, torna a crescere dell'1,8%. Nell'ultimo trimestre dell'anno appena trascorso, le transazioni sono cresciute del 5,5% rispetto allo stesso trimestre del 2013, chiudendo l'intero anno con compravendite totali pari a 920.849 unità, contro le 904.960 del 2013. È quanto emerso dalla presentazione dei dati dell'Osservatorio del mercato immobiliare nel corso di una conferenza stampa all'Agenzia delle Entrate. Il migliore risultato è del settore commerciale (+5,7%), seguito dal residenziale e produttivo (+3,6%), mentre resta negativo il terziario (-4,6%). Tra le città spiccano in particolare il rialzo a Roma dove il tasso di crescita raggiunge quasi il 20%. Molto positivi risultano i mercati anche a Bologna, Torino e Napoli con rialzi intorno al 18% e a Firenze e Genova con tassi positivi che superano il 10%. A Milano e Palermo si registrano incrementi più moderati, con tassi tendenziali pari al 3,2 e all'1,5% rispettivamente. Di particolare interesse è la permanenza dei rialzi in tutto il 2014 per le città di Roma, Genova, Milano, Bologna e Firenze. Su base annua, l'unico segno negativo si registra per la città di Napoli, dove le compravendite sono diminuite del 3,7% rispetto al 2013, anche se va tenuto in considerazione che il dato 2013 è stato influenzato dalle vendite dovute alla dismissione del patrimonio residenziale del Comune. A sostenere la ripresa sono stati gli acquisti di abitazioni con ricorso a un mutuo ipotecario, in crescita del 12,7% rispetto al 2013. Per il 40,6% del totale degli acquisti l'acquirente e si è rivolto alla banca ottenendo come capitale medio erogato circa 119mila euro, 3 mila euro in meno rispetto al 2013. Nonostante la ripresa del mercato immobiliare nel 2014 sono continuati a scendere i prezzi delle abitazioni, tornati sui livelli di inizio 2006. L'indice elaborato dall'agenzia sulla base dei dati Istat si è attestato a 113,8 alla fine del secondo semestre del 2014 con una flessione dello 0,8% rispetto ai primi sei mesi dell'anno. Prosegue quindi la caduta dei valori delle abitazioni dopo il picco del 2011 quando l'indice ha toccato quota 130. (riproduzione riservata) IL MATTONE INVERTE LA TENDENZA Variazione percentuale rispetto al 2013 Fonte: Osservatorio del mercato Immobiliare GRAFICA MF-MILANO FINANZA I° trimestre 2014 II° trimestre 2014 III° trimestre 2014 IV° trimestre 2014 Anno 2014 RESIDENZIALE TERZIARIO COMMERCIALE PRODUTTIVO PERTINENZE ALTRO TOTALE +4,1% -10,3% +4,7% -0,7% -0,1% -1,4% +1,6% -1,0% -6,9% -5,0% +10,4% -5% -8,4% 3,6% +4,2% -2% +9,0% +1,6% +2,4% +4,8% +3,6% +7,1% +0,3% +14,1% +3,1% +4,1% +3,6% +5,5% +3,6% -4,6% +5,7% +3,6% +0,3% -0,5% +1,8% Foto: Una veduta della capitale, sullo sfondo l'altare della Patria Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/immobili
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LE COMPRAVENDITE, IN CALO ININTERROTTO DAL 2007, NEL 2014 SONO AUMENTATE DELL'1,4%
06/03/2015
MF
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(diffusione:104189, tiratura:173386)
Bcc, ipotesi riforma in due tappe Dopo le holding locali si passerebbe alla centralizzazione Che coinvolgerebbe un minore numero di entità da gestire Intanto alcune big studiano la governance delle popolari Claudia Cervini Il tempo è più che tiranno. Tra meno di una settimana si riunirà il consiglio nazionale di Federcasse (previsto per lunedì 12) nel quale terrà banco l'autoriforma del credito cooperativo (380 Bcc, per 1,2 milioni di soci). La linea nazionale ufficialmente ancora non c'èe le posizioni sono ancora lontane. Ma sarebbe già in corso una mediazione. Alcune federazioni di peso spingerebbero per una riforma in due tappe che permetterebbe in un primo tempo di riorganizzare il sistema sulla base di holding regionali. Questo modello impostato su base territoriale prevederebbe aggregazioni di banche contigue per area geografica e capogruppo in grado di conservare sia il modello cooperativo sia le logiche associative. Altre anime del sistema, invece, protendono per un modello centralizzato con una holding unica a capo dell'intero sistema. La mediazione consisterebbe quindi nell'adottare in un primo tempo capogruppo su base regionale, per poi passare successivamente alla super-holding che avrebbe voce in capitolo a livello nazionale (il modello Crédit Agricole, per intendersi) col vantaggio, a questo punto, di supervisionare un numero minore di banche. Va ricordato che la Federazione Toscana aveva ipotizzato un disegno simile già alcuni anni fa. Quella del Lazio, fanno notare alcuni osservatori, avrebbe le forze per organizzarsi a livello territoriale. Le altre federazioni di rilievo sono quella emiliana e quella lombarda alle quali, è plausibile pensare, non dispiacerebbe conservare una certa autonomia. Gli altoatesini si stanno già organizzando per fare gruppo a sé, mentre prende corpo il disegno di una holding (allargata) del Nordest alla quale farebbero capo le casse di Trento, ma anche quelle venete e friulane, con l'ambizione di fare lo stesso mestiere svolto a livello nazionale da Iccrea Holding. Anche all'interno delle federazioni, dunque le posizioni non sono omogenee, ma nemmeno così distanti. Tale proposta potrà avere il benestare di Iccrea (il gruppo bancario di secondo livello che offre servizi e prodotti alle Bcc) e di Bankitalia? Nelle parole pronunciate recentemente a Bolzano dal capo del Dipartimento di Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia, Carmelo Barbagallo, si poteva leggere un monito sia all'aggregazione, sia alla semplificazione sia all'apertura al mercato. Queste tre condizioni hanno spinto Via Nazionale a prediligere il modello adottato in Francia, Spagna e Finlandia. Chissà se Via Nazionale sarà disposta ad accettare una riforma a metà. Numerosi osservatori fanno però notare che gli stessi modelli scelti dal credito cooperativo all'estero, quello tedesco a tutela istituzionale e quello francese e spagnolo (entrambi aperti al mercato) si sono consolidati nell'arco di alcuni anni. E il rischio di un colpo di spugna troppo drastico su un sistema sedimentato da secoli è alto. Qualcuno ha già ipotizzato che alla fine del processo di centralizzazione la holding nazionale potrebbe anche essere quotata in borsa. Ma si tratta di un processo che potrebbe durare mesi, forse anni. E intanto tra le Bcc di maggiori dimensioni si fa strada l'interesse verso l'adozione di una forma di governance popolare. Forse anche per sfuggire allo spettro della perdita di autonomia. (riproduzione riservata) I NUMERI DEL CREDITO COOPERATIVO IN ITALIA Fonte: Bilancio di coerenza licenziato dal credito cooperativo anno 2013 Numero Bcc 381 Soci 1,2 milioni Finanziamenti 22 mld di euro Quota di mercato impieghi 20% Core Tir 1 medio 16% Addetti 37.000 Foto: Alessandro Azzi Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/bcc
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DIVERSE FEDERAZIONI SPINGONO L'IDEA DI GRUPPI REGIONALI PER SFUGGIRE ALLA HOLDING UNICA
06/03/2015
L'Espresso - ed. N.10 - 12 marzo 2015
Pag. 94
(diffusione:369755, tiratura:500452)
La pillola va giù, i fatturati vanno su Brevetti e utili in crescita. Esportazioni a gonfe vele. Più di tremila nuovi posti di lavoro in un anno, soprattutto operai. L'industria farmaceutica vive una nuova primavera Maurizio Maggi e Gloria Riva PARLA ITALIANO IL PRIMO FARMACO a base di cellule staminali approvato al mondo. Si chiama Holoclar ed è nato sulla via Emilia: un po' nel modernissimo centro di ricerca della Chiesi Farmaceutici, inaugurato quattro anni fa accanto all'Autostrada del Sole, in provincia di Parma, e un po' nel centro di medicina rigenerativa Stefano Ferrari, spin off dell'Università di Modena e Reggio Emilia. La Chiesi è una delle aziende farmaceutiche italiane più in forma. Nel 2014 ha fatturato oltre 1,3 miliardi di euro, con una crescita dell'8 per cento, tra le le più alte del settore in Italia. Chiesi è anche la quinta per brevetti depositati, nell'intera industria italiana, e tra le dieci farmaceu tiche col maggior tasso di crescita al mondo. Divenuta famosa per il Clenil, lo spruzzino contro l'asma, ha 1.700 dipendenti in Italia e 2.400 fuori dai confni. Ma, per fortuna, il gruppo di Parma, fondato nel 1935 dal capostipite Giacomo Chiesi e tut tora controllato dalla sua famiglia, non è una mosca bianca, nel Belpaese. A dispetto delle orazioni funebri che erano state in tonate qualche anno fa, quando le multinazionali scappavano e i colossi nazionali erano scomparsi, l'industria italiana del farmaco sta infatti mostrando dati sorprendentemente positivi. Le esportazioni viaggiano. I fatturati crescono. Le società macinano utili: nel 2013, le otto più importanti hanno migliorato i guadagni e nel 2014 le cose sono andate ancora meglio. Ma, soprattutto sta tornando a crescere l'occupazione. «L'anno scorso sono state assunte 3.500 persone , di cui circa duemila giovani sotto i trent'anni», spiega Massimo Scacca barozzi, presidente di Farmindustria, la federazione industriale del settore. FUGA STOPPATA Nella prima parte del 2014 il saldo tra assunzioni e uscite - rappresentate soprattutto da chi è andato in pensione - era decisamente negativo. Poi le aziende hanno cambiato atteggiamento, intravedendo i primi spiragli di ripresa. Così, nel secondo semestre, il saldo è risultato positivo per 1.300 unità, anche perché intanto la corsa alla pensione è rallentata. La crescita è stata trainata soprattutto dai posti da operaio, che negli ultimi mesi del 2014 sono aumentati co na un ritmo annuo superiore al 4 per cento. E così oggi il totale degli occupati del settore è di 63 mila, cifra che va moltipli cata per due se si calcola pu re l'indotto. Va subito detto che il settore farmaceutico italiano, almeno in fatto di provenienza dei capitali, è fortemente internazionale: per il 60 per cento, il passaporto delle aziende produttive è infatti straniero, con le grandi multinazionali in prima fla. D'altronde, siamo il primo Paese di destinazione degli investimenti di questo genere per Stati Uniti, Germania, Svizzera e Giappone. Il rischio teori co, così, è che da un momento all'altro queste multinazionali possano decidere di andarsene. «Di batoste in passato ne abbiamo incassate tante, di fughe ce ne sono state. Però qualche risultato l'abbiamo ottenuto, come nelle recenti vicende della Bayer di Garbagnate Milanese e di Terni, in Umbria: nel primo caso il gigante tedesco ha fatto dell'im pianto lombardo il secondo polo industriale più grande al mondo come capacità produttiva di pillole, e negli ultimi mesi sono state assunte quaranta persone, garantendo un futuro più tranquillo, almeno per i prossimi quattro anni», racconta Massimo Zuff, segretario generale della Femca Cisl. Per Terni, un anno fa la casa madre aveva annunciato un ridimensionamento. «Manager italiani e di pendenti sono però riusciti a far fare retromarcia ai vertici di Leverkusen, che la tagliola l'hanno fatta scattare sullo stabilimento tedesco di Darmstadt: Italia-Germania 1 a 0», si scatena il sindacalista. Un'iniezione di fducia arriva anche da Verona. «I dipendenti della Glaxo Smith Kline in Italia possono stare tranquilli per i prossimi vent'anni. Con quello che costa mettere in piedi uno stabilimento farmaceutico all'avan guardia, gli investimenti sono di lunga durata». Le parole a petto in fuori sono di Massimo Ascani, portavoce della multinazionale inglese che, da tempo presente nella città dell'Arena, ha appena comprato i centri di ricerca toscani del colosso svizzero Novartis, uno dei princi pali gruppi mondiali del farmaco. L'operazione fa parte di uno scambio miliardario che coinvolge busi ness anche oltre con fne. Con questa acquisizione, i dipendenti della Gsk in Italia saliranno a 4.500 unità e il giro d'affari raddoppierà, da uno a due miliardi di euro. Il gruppo SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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Made in Italy
06/03/2015
L'Espresso - ed. N.10 - 12 marzo 2015
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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britannico ha investito in Italia quasi 240 milioni di euro nel biennio 20132014. La metà della somma è servita per rilanciare gli im pianti di Verona e il centro di ricerca, che era stato pesantemente ridimensionato tra mille polemiche nel 2010. QUELLE NOZZE TRA ALFA E SIGMA Proprio la produzione dei farmaci è il punto di forza dell'Italia. Nel decennio 2004-2014, è aumentata del 41 per cento, un dato composto da due tendenze plasticamente opposte. A un calo del 23 per cento per i farmaci destinati al mercato interno, si contrappone l'impennata delle espor tazioni, cresciute del 115 per cento. Nel 1991, le medicine erano al numero 53 della graduatoria italiana dei settori, in termini di export. Ora sono arrivate al terzo posto. «Tanto che il go verno non perde l'occasione per defnirlo un "asset fondamentale", come ha fatto col flmato presentato al forum di Davos, la tradizionale mega riunione dei potenti della terra», ricorda con enfasi il presidente degli industriali farmaceutici. «An che alla luce di questa consapevolezza confdo che spinga le Regioni a cambiare atteggiamento sui tagli di 2 miliardi di euro alla spesa sanitaria, emerso dall'incontro del 27 febbraio con l'esecutivo», s'infervora Scaccabarozzi. C'è tempo per modifcare l'intesa fno al 31 marzo e i signori di Big Pharma puntano sull'intervento diretto di Matteo Renzi. «A ottobre abbiamo portato i capi delle maggiori multinazionali dal gover no, che ha ribadito l'interesse del Paese a catalizzare gli investimenti garantendo stabilità. Ecco perché l'accordo di fne febbraio mi ha lasciato di stucco. Io ci credo al governo, quando sostiene che non vuole penaliz zare un settore che sta contribuendo alla ripresa e attrae investimenti», af ferma il leader di Farmindustria. Il quale, da numero uno in Italia della Janssen (del gruppo statunitense Johnson & Johnson), si è appena impegnato a investire al tri 80 milioni nella fabbrica di Latina, portando a 180 milioni i quattrini messi sul piatto nello stabilimento laziale. Il polo a sud di Roma è il più votato all'export, tra quelli italiani: l'anno scorso ha venduto all'estero farmaci per 7,2 miliardi di euro. Accanto alle multinazionali, anche i gruppi italiani hanno voglia di crescere. Certo, è bene non illudersi: un megagruppo come la vecchia Farmitalia Carlo Erba diffcilmente lo rivedremo. Però qualcosa si muove: nello stesso distretto dove sta gonfando i muscoli la Janssen, ha sede la Sigma Tau, protagonista di una delle più signifcative fusioni tra aziende domestiche del comparto. Gareggiare con i big non è una passeggiata: così la Sigma Tau della famiglia Cavazza e la bolognese Alfa Wassermann della famiglia Golinelli hanno deciso di sposarsi. Un matrimonio a cui si lavora da un annetto, che porterà alla creazione di una nuova società da 2.500 dipendenti, con ricavi superiori al miliardo e la pro spettiva della quotazione in Borsa. La maggioranza resterà in mano alle due famiglie, mentre dall'affare resterà fuori il ramo yankee della Sigma Tau, che nel Maryland si occupa dello sviluppo clinico di prodotti per contrastare le malattie rare, come la leucemia acuta linfoblastica. COME UNA FERRARI Alfa Wassermann e Sigma Tau s'accoppiano anche per fare più ricerca, per battere dunque su un tasto dolente. «Non siamo fortissimi su questo fronte, perché le aziende italiane sono piccole rispetto alle multinazionali. Le nostre imprese, per quanto abbiano in misura divesa investito in ricerca, si sono spesso poi sviluppate attorno a un modello diverso, caratterizzato dal "co-marketing": si lanciano sul mercato molecole sviluppate dalle multinazionali sulla base di accordi di licenza», dice Claudio Jommi, docente all'Università del Piemonte Orientale e alla Bocconi. «Questo modello», continua, «entra però in crisi quando scade il brevetto, arrivano i generici e sui nuovi farmaci in fase di lancio le multinazionali ricorrono meno, per diversi motivi, alla concessione di licenze. Questo ha rilanciato la ricerca anche nelle nostre imprese». Come ad esempio, spiega ancora Jommi, hanno fatto Chiesi e Zambon. A Vicenza, nel principa le stabilimento di quest'ultima, la produzione è fortemente automatizzata ma la manodopera continua a ricoprire un ruolo importantissimo. «Una linea produttiva costa in media 8 milioni di euro e parecchi milioni di manutenzione costante. Questi impianti sono come una Ferrari: non basta possederla, bisogna saperla guidare e i nostri dipendenti sono i migliori piloti in circolazione», dice Maurizio Castorina, l'amministratore delegato della Zambon, 2.600 addetti, di cui mille italiani. La sua ricetta è divisa in tre: espansione geografca; investimento sugli impianti; shopping di promettenti società di ricerca e sviluppo. Zambon esporta in 73 Paesi e punta a sbarcare in altri due entro l'anno. Nel settembre 2014 ha sbor sato 40 milioni per modernizzare la fabbrica vicentina. L'anno prima s'era comprata l'inglese Profle Pharma, creatrice di un farmaco contro la fbrosi cistica. Azionista al 9,1 per cento della Newron di Bresso (Milano), Zambon ha acquistato da
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quest'ultima il brevetto per produrre lo Xadago, un farmaco che combat te il Parkinson. Per svilupparlo ha speso 132 milioni, assumendo anche 200 persone negli ultimi tre anni. Anche se il clima volge al bello stabile, la sto rica biforcazione tra ricerca e produzione resta: debole la prima, forte, molto forte la manifattura di qualità. Lo conferma Alexander Zendher, numero uno di Sanof Italia, ramo tricolore del colosso francese (con 6 stabilimenti italiani che esportano il 90 per cento): «In generale, in Italia si investe poco in ricerca, sia di base - fondamentale per scoperte e innovazioni - sia avanzata. Ciò può penalizzare lo sviluppo futuro del Paese e sta ritardando la sua uscita dalla crisi economica. Tuttavia, l'Italia ha un vantaggio competitivo rispetto alla con correnza sul fronte produttivo: la qualità, la specializzazione, le conoscenze e le capacità tecniche del capitale umano. Attenzione però: anche le economie emergenti si stanno sempre più specializzando e il vantaggio competitivo dell'Italia si sta assottigliando». ORA SERVE UN CENTRAVANTI Fra un po', dunque, cinesi e indiani potrebbero riuscire a raggiungere gli stessi standard qualitativi, garantiti anche da un indotto a cui fanno ricorso tutte le multinazionali. Perché è da noi che s'inventano e realizzano le macchine più effcienti per produrre medicine. Nel distretto bolognese del packaging c'è la Marchesini, mille dipendenti e un giro d'affari da 247 milioni di euro, che sforna linee complete, dal dosaggio all'imballaggio; a Padova c'è la Stevanato, 300 milioni di ricavi e 1.900 addetti. Produce fale in vetro e le esporta per il 90 per cento. Il made in Italy, insomma, è glamour anche nel complicato e delicato business farmaceutico. «Nel 2011 abbiamo comprato a Singapore un'azienda che si chiamava Invida. Pensavamo di lasciarle il nome originario ma i manager locali ci hanno chiesto di poter usare il brand Menarini, perché la pillola tricolore è sino nimo di alta qualità», racconta Domenico Simone, direttore della toscana Menarini, quella del Fastum, 16.100 dipendenti nel mondo (3.500 dipendenti in patria) e un giro d'affari di oltre 3,5 miliardi. «Si cresce facendo squadra con le altre società del settore, italiane o estere, investendo in ricerca e sviluppo e non facendosi scappare le occasioni sul mercato», continua Simone, che nel 2013 ha messo le mani sulla start up più innovativa d'Italia, la Silicon Biosystem, nata all'Università di Bologna. Sta sviluppando una biotecnologia che ha l'obiettivo di isolare le cellule antitumorali in modo specifco per ciascun paziente e di dire addio all'amniocentesi, un esame rischioso per il feto. «Farmaci realizzati su misura per ogni malato: il futuro è quello», profetizza il manager. Morale: va bene tirar dritto con la buona fabbrica. Ma la Serie A, tra qual che anno, potrebbe non bastare. Bisognerà trovare il modo di giocarsi anche la Champions League, schierando un centravanti chiamato ricerca. Infografica: Caterina Cuzzola Fonte: Elaborazioni Farmindustria su dati Istat e Ims Produzione per mercato interno -23% Produzione per export +115% Produzione totale +41% Produzione farmaceutica in Italia e sue componenti Variazione % cumulata 2004-2014 Dati relativi al periodo 2008-2013 Fattori determinanti della crescita della produzione farmaceutica in Italia +3,9 32% 47% 21% Crescita di produzioni già realizzate in Italia Produzione di nuovi farmaci MILIARDI DI EURO Aumento complessivo del valore della produzione Trasferimento in Italia di produzioni prima realizzate in altri Paesi Saldo commerciale tra esportazioni e importazioni italiane di farmaci e vaccini 2011 282 127 2.006 96 1.909 4.020 Dati in milioni di euro 75 2012 2013 3.945 Vaccini Farmaci TOTALE 4.702 I dati del 2014 sono limitati al periodo gennaio-novembre. Per l'intero anno il saldo commerciale totale è stimabile in 5.130 milioni Foto: Variazione degli addetti nelle imprese farmaceutiche con più di 500 dipendenti Confronto tra i mesi del 2014 e il mese corrispondente del 2013. Dati in percentuale Fonte: Elaborazioni Farmindustria su dati Istat
06/03/2015
L'Espresso - ed. N.10 - 12 marzo 2015
Pag. 101
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Quando liberalizzare è una cosa di sinistra Abbattere i privilegi di tassisti, notai e farmacisti signifca aumentare il reddito degli altri cittadini. Ecco perché in Italia la destra non lo ha mai fatto Luigi Zingales DOPO IL GOVERNO PRODI e quello Monti, anche il governo Renzi si appresta al suo piano di liberalizzazioni, trovando le solite accanite resistenze da parte delle sedicenti professioni liberali: notai, farmacisti ed avvocati. Per molti lettori dell'"Espresso" il termine liberalizzazioni sa di sinistro, non di Sinistra: evoca l'indifferenza sociale dei liberisti dell'Ottocento, che in nome del lais sez faire, si opponevano alle leggi contro l'uso (o meglio abuso) del lavoro minorile. Perché mai dei governi che si professano di Sinistra si impegnano nelle liberalizzazioni, mentre i governi di Centro Destra, che si professano liberali se non libe risti, si sono sempre guardati bene dal farle? Più che all'ideologia i governi guardano al sostegno dei propri elettori. Notai, farmacisti, avvocati e tassisti tendono ad essere elettori del Centro Destra: per questo il Centro Destra ha sempre protetto i loro interessi. Ma questo non spiega la passione libera lizzatrice del Centro Sinistra, si tratta solo di vendetta contro la base elettorale altrui? NON PENSO. In un momento di crisi economica, in cui le famiglie italiane non vedono crescere (anzi spesso vedono scendere) il loro reddito nominale, le liberalizzazioni sono il modo più semplice per aumentare il loro reddito reale, ovvero il potere di acquisto delle famiglie. Per capirne l'effetto basta guardare all'evidenza, presentata in un recente studio sulla liberalizzazione nel settore della distribuzione commerciale in Messico. Tanto in Messico, come negli Stati Uniti, la grande distribuzione è innanzitutto Wal Mart. Wal Mart è il nemico numero uno per i piccoli nego zianti americani, immaginatevi per quelli messicani dove viene visto come un negozio dei gringos. Eppure l'aper tura del mercato messicano a Wal Mart ha aumentato il reddito reale delle famiglie messicane del 7.5%, più di quanto abbia fatto la crescita economica in Italia negli ultimi 20 anni. Come è possibile? COME DIMOSTRA IN MANIERA dettagliata questo studio, l'effcienza nella distribuzione e le economie di scala permettono a Wal Mart di ridurre i costi e quindi anche i prezzi pagati dai clienti. Wal Mart è in grado di vendere al 15% meno del prezzo prevalente prima che apparisse sul mercato. Dopo l'entrata di Wal Mart, i concorrenti locali sono stati costret ti a ridurre i propri prezzi del 2-3%. Ma anche dopo questo aggiustamento, Wal Mart ha dei prezzi inferiori del 12%. Ci perdono i lavoratori? La risposta è no. Non c'è evidenza che nelle aree dove entra Wal Mart i salari dei lavoratori diminuiscano. Gli unici a perderci sono i negozianti preesisten ti, che vedono i propri proftti ridursi, in alcuni casi al punto tale da costringerli ad uscire dal mercato. Per ogni negoziante, però, ci sono tanti clienti. Per questo motivo, il benefcio aggregato ottenuto dai clienti grazie all'entrata di Wal Mart è di gran lunga superiore alle perdite subite dai negozianti pre-esistenti. Poco conta che a benefciarne siano anche degli azionisti americani: la riduzione dei prezzi al consumo dei prodotti ali mentari ha aumentato il reddito reale delle famiglie messicane. LO STESSO VALE PER L'ITALIA. Per quanto ci possa essere simpatico il farmacista dell'angolo, l'ineffcienza nella distribuzione dei prodotti far maceutici riduce il nostro reddito. Lo stesso vale per la distribuzione al dettaglio, per gli studi notarili, per i taxi e per le municipalizzate (non toccate dal decreto del governo). La liberalizzazione non è una punizione di queste categorie, ma un'elimina zione di un loro privilegio, privilegio che si traduce in un costo per la comunità. Farmacisti, notai e tassisti svolgono un servizio importante, che deve essere adeguatamente retribuito. Ma perché devono godere di privilegi che l'ingegnere, il medico, e il commercialista non hanno? Non si tratta di odio verso i ricchi, ma di una sana avversione contro le ingiustizie, che è sempre stata parte nel patrimo nio storico della Sinistra. In questo senso è vero, il liberismo è di Sinistra, almeno fno a quando la Destra in Italia è liberale solo a parole.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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Libero mercato www.lespresso.it
SCENARIO PMI 5 articoli
06/03/2015
Corriere della Sera - ed. Brescia
Pag. 3
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Il Jobs Act piace agli artigiani Nuove assunzioni in 2 mesi «E sono destinate a crescere» Matteo Trebeschi Il Jobs Act sembra aver fatto breccia tra gli artigiani. Quasi la metà degli imprenditori pronti ad assumere ammettono che, senza riforma del lavoro, non avrebbero proposto contratti a tempo indeterminato. Insomma, qualcosa sta cambiando, anche grazie ai benefici fiscali per il datore di lavoro. Il 13% degli artigiani infatti ha già assunto nei primi due mesi dell'anno e tra questi il 46,7% ha stipulato contratti a tempo indeterminato. Una scelta incoraggiata dalla decontribuzione previdenziale prevista nei primi tre anni di contratto dalla legge di stabilità. «Grazie a questa leva incentivante - sottolinea Eugenio Massetti - i piccoli tornano ad assumere». Il presidente regionale di Confartiginato plaude alla riforma del governo Renzi e sottolinea che senza il Jobs Act «il 45 % dei contratti non sarebbe stato a tempo indeterminato». Dati che emergono da un sondaggio fatto dall'associazione di categoria su un campione di 1450 imprenditori. L'altra notizia positiva è che un quinto degli artigiani ha intenzione di assumere nei prossimi mesi dell'anno. Certo, va detto che senza il combinato disposto di Jobs Act e decontribuzione a carico dello Stato, il panorama sarebbe stato diverso. Tra gli imprenditori pronti a stabilizzare nuovi dipendenti entro la fine dell'anno un terzo non avrebbe fatto alcun contratto se avesse dovuto pagare gli oneri previdenziali. Nel restante 45% dei casi i contratti sarebbero stati a tempo determinato. Emerge chiaramente che il Jobs Act e gli incentivi influenzano il 74,5% delle prossime assunzioni. «Sono numeri significativi - dice Massetti - che raccontano dell'efficacia della politica di incentivazione nell'aiutare un processo di stabilizzazione del lavoro». Non solo, per il leader di Confartigianato le previsioni di maggior assunzioni dimostrano che gli imprenditori stavano aspettando da tempo un provvedimento che alleggerisse il peso delle tasse a loro carico. L'osservatorio di Confartigianato ha infatti calcolato che «il cuneo fiscale per lavoratore dipendente fosse del 44,5% prima della manovra. E che si sia ridotto al 20,6% grazie alla somma di incentivi sulle nuove assunzioni, riduzione dell'Irap e bonus di 80 euro». Per Massetti questi numeri dicono che la riduzione della pressione fiscale era un «bisogno che esisteva ma non poteva essere soddisfatto». Ora, con il dimezzamento del cuneo fiscale, le previsioni sulle assunzioni crescono: se nel 2014 i contratti a tempo indeterminato rappresentavano il 36,3%, ora dovrebbero arrivare al 51,4%. © RIPRODUZIONE RISERVATA 13% Gli artigiani che hanno assunto nei primi due mesi dell'anno 47% I datori che hanno assunto a tempo indeterminato 51% La soglia dei contratti a tempo indeterminato prevista nel futuro Foto: Presidente Eugenio Massetti è il vicepresidente regionale di Confartigianato
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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Piccola impresa
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Così la manifattura resta decisiva per tornare a crescere Paolo Bricco di Paolo Bricco Il sistema manifatturiero, nonostante la violenza della crisi, conserva tutta la sua centralità strategica. Il Pil stimato dall'Istat a +0,1% nel primo trimestre e l'indice di fiducia dei consumatori registrato a febbraio ai massimi dal giugno del 2002 assomigliano a primi - rinfrescanti - aliti di vento nell'arsura di una recessione durissima. Ma il calabrone italiano - per usare l'immagine di Giacomo Becattini che dagli anni Settanta ha meglio sintetizzato la felice anomalia del nostro Paese - si appresta (o no) a tornare a volare? Continua pagina 7 Continua da pagina 1 E , soprattutto, questi primi refoli di aria fresca sono esclusivamente provocati da gigantesche ventole esterne - il quantitative easing della Bce, la svalutazione dell'euro rispetto al dollaro e il crollo del greggio - oppure (almeno in parte) il capitalismo produttivo italiano ha ricominciato a battere le ali nella sua forza autorigeneratrice e nella sua propensione metamorfica di lungo periodo, esprimendo le energie per un equilibrio e un assestamento in grado di sostenerne di nuovo il volo? Di certo, l'economia reale è fondamentale. Non c'è soltanto la quota di Pil riferibile all'industria, che nel 2014 secondo i dati di contabilità nazionale - è fissata al 15,5% per la manifattura in senso stretto: aggiungendo il settore energetico si sale al 18,5%; con le costruzioni si arriva al 23,4 per cento. Secondo l'ufficio studi di Intesa Sanpaolo, su 475 miliardi di euro di esportazioni di beni e servizi i prodotti manifatturieri incidono per il 78,5 per cento. Il dato è del 2013, ma il peso relativo resta quello. Sempre stando agli economisti di Cà de Sass, le spese in Ricerca e Sviluppo contabilizzate sui bilanci dalle imprese italiane - di qualunque comparto sono ammontate, nel 2013, a 11,107 miliardi di euro: il 73% è appannaggio di aziende del manifatturiero. Quest'ultimo mostra anche una crescente capacità di integrazione con i servizi: secondo il quinto numero di Scenari industriali del Centro Studi di Confindustria, i servizi acquistati dalla manifattura incidono in media per più del 15% sul totale del valore della produzione industriale, con picchi superiori al 20% in alcuni comparti. «Le stesse imprese manifatturiere - si ricorda in Scenari Industriali - offrono sempre più spesso servizi accessori alla vendita dei loro prodotti». Si tratta di un effetto moltiplicatore che assumerà un peso sempre maggiore, dato che appunto un numero sempre più elevato di imprese italiane appaia al lavoro «di fabbrica e di laboratorio» una intensa opera di servizio al cliente che rappresenta una quota rilevante del valore aggiunto riconosciuto sui mercati internazionali. Alcune stime indicano, per questi servizi, un ulteriore peso del 6% del valore totale della produzione. Ma, secondo diversi osservatori, queste stime sono assai conservative. Peraltro, la centralità della manifattura è dimostrata anche dall'ultimo Rapporto sulla competitività dei settori produttivi dell'Istat, che ricorda come - in Italia - un aumento di 100 euro della domanda manifatturiera attivi una produzione di servizi del valore di 27,3 euro. La capacità tutta industriale di alimentare i servizi è una peculiarità non solo italiana, ma anche tedesca: in Germania i 100 euro "industriali" hanno una ricaduta sui servizi pari a 29,3 euro. In Francia si scende di poco: a 25 euro. Questo felice connubio fra fabbrica e servizi rappresenta davvero un elemento comune del paesaggio industriale europeo. Dunque, l'essenzialità dell'industria è indubbia. In generale per l'Europa, che ha un suo asse portante nella sua identità manifatturiera. In particolare, per la fisiologia economica più profonda del nostro Paese. E per la sua natura - produttiva e culturale, sociale e tecnologica - di architrave del tutto. Certo, la crisi ha provocato lesioni gravi al nostro apparato produttivo. Un apparato produttivo che, fin dall'introduzione dell'euro, ha sperimentato un rimpicciolimento che rappresenta lo sfondo strutturale su cui si staglia il basso utilizzo attuale degli impianti (posta a 77 la media fra 2000 e 2007, nei calcoli Csc su dati Istat, ora è a 68).
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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L'INCHIESTA
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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«Basti pensare - dice Sergio De Nardis, capoeconomista di Nomisma - che, nel 2000, la produzione potenziale procapite, valutata a prezzi 2010, era di oltre 22 milioni di euro per mille abitanti, contro i 19 milioni della Germania. Eravamo noi più solidi e forti di loro. Da allora, anche a causa del vuoto d'aria di questa recessione, siamo scesi a 18 milioni. Un quinto in meno». I tedeschi, invece, anche grazie a riforme sociali cruente e a politiche industriali sistematiche hanno superato i 24 milioni di euro per mille abitanti. «La loro produzione industriale potenziale, nonostante un breve passaggio a vuoto con la recessione, è cresciuta di un terzo», constata il capoeconomista di Nomisma. Il problema delle policy, per un sistema industriale che nelle sue varie componenti ha spesso espresso ragioni diverse e bisogni non uniformi e che storicamente ha sempre fatto fatica a farsi ascoltare dalle élite politiche, è in questo caso quello dell'unitarietà e della coerenza interna. Che non sempre c'è. Si va dalle tentazioni neo-iriste dell'Ilva agli empiti anti sovvenzioni del taglia-bollette, dalla liberalizzazione del mercato del lavoro agli atteggiamenti contraddittori verso le corporazioni e gli ordini professionali. E, poi, in un Paese drammaticamente inchiodato dai suoi conti pubblici, non si può trascurare il tema di denaro. Sulle misure puntuali (dal credito di imposta per gli investimenti strumentali alla Nuova Sabatini, dal credito di imposta R&I alla detrazione per l'efficienza energetica) - come ha sintetizzato la congiuntura flash di febbraio del Centro Studi Confindustria - ci sono «tante misure ma pochi soldi per gli investimenti». Nella scoscesa salita che dalle fabbriche italiane porta ai mercati globali - ancora assolutamente strategici, nonostante l'Istat abbia sancito la fine della caduta rovinosa del mercato interno - c'è di tutto. Da una pressione fiscale "ufficiale" che dal 41,6% del 2011 è cresciuta al 43,5% del 2014 a una inefficienza sistemica che fa sì che la quota dei costi dei servizi di trasporto e di logistica nei consumi intermedi della nostra industria sia - stando ai calcoli dell'Istat - il 56% maggiore rispetto a quelli sostenuti dai concorrenti tedeschi. Dal rischio incipiente di deflazione («per fortuna - osserva il capoeconomista del Cer, Stefano Fantacone - il nostro indice di vulnerabilità alla deflazione, pur continuando a esprimere un rischio elevato, nell'ultimo trimestre del 2014 è sceso per la prima volta da tre anni a questa parte») fino alla rimodellazione del profilo tecnologico provocato dalla crisi. Il rapporto Met, che verrà presentato il 17 marzo a Roma, evidenzia la fragilità del modello di innovazione tecnologica informale e la resilienza di quello basato sulla R&S: un elemento di grande interesse, anche per le ricadute di politica economica e industriale. Nel percorso accidentato che separa la produzione nella fabbrica e l'approdo delle nostre merci alle global value chains, all'inizio si trova un Clup - il costo del lavoro diviso per produttività oraria - che da quota 100 punti nel 2000 è schizzato a 140. Con una asimmetria da fare tremare i polsi rispetto a Francia e Germania, stabilmente collocate fra i 95 e i 100 punti. Alla fine del percorso, invece, è situata la capacità tutta italiana di farsi riconoscere - dai clienti finali - la qualità dei propri prodotti: fissato a 100 nel 2000 il rapporto fra valori medi unitari e prezzi alla produzione dei beni venduti all'estero, l'industria italiana è ora - nella stima del Csc - a 125 punti, contro i 110 tedeschi e i 105 francesi. In questi due elementi - il Clup e il valore ottenuto sui mercati - è insita tutta la contraddizione del calabrone che - per le leggi della fisica - mai avrebbe dovuto volare e che, invece, lo ha fatto. Una contraddizione che resta la ragione del suo fascino. L'economia italiana, dopo questi primi timidi battiti di ali, tornerà a farlo? © RIPRODUZIONE RISERVATA 2009 2010 2011 2012 2013 2014 Grecia 7,905 Spagna 15,869 Germania 18,960 Italia 22,270 6,483 Grecia 9,046 Portogallo 11,052 Spagna 13,238 Francia 17,426 Italia Portogallo 10,278 Medio Basso Alto Medio Indice ponderato Francia 15,840 24,750 Foto: IL SISTEMA MANIFATTURIERO TRA RITARDI E CRITICITÀ Il confronto tra l'Italia e i principali Paesi competitori europei e il grafico del Centro Europa Ricerche sul rischio deflazione
06/03/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 7
(diffusione:334076, tiratura:405061)
L'Eldorado della stampa in 3D Luca Orlando gli effetti Le possibilità di realizzare prodotti sfruttando la manifattura additiva consentiranno di migliorare la produttività Milano La prima stima è 16 miliardi. Ma è un calcolo realizzato per difetto, perché non tiene conto dell'intera platea dei comparti produttivi. Eppure, anche restringendo l'analisi alle sole Pmi, i numeri in gioco fanno già capire che tra le discriminanti future tra successo o dell'insuccesso di un'azienda le tecnologie 3D giocheranno senza dubbio un ruolo primario. Le possibilità di realizzare prototipi o prodotti sfruttando la manifattura additiva, consentiranno infatti secondo Prometeia alle aziende di migliorare in modo consistente la propria produttività, riducendo inoltre i rischi legati all'innovazione e migliorando l'efficienza delle produzioni in particolare per i piccoli lotti produttivi. Progettazione a distanza, produzioni ad-hoc per singoli pezzi speciali, automatizzazione spinta dei processi diventeranno progressivamente accessibili a costi contenuti, consentendo ad una platea più ampia di soggetti di inserirsi con efficacia all'interno delle filiere produttive. Prendendo come parametro la sola produttività del capitale, ed escludendo dall'analisi altri cambiamenti possibili legati all'organizzazione complessiva, Prometeia ha provato a stimare all'interno di una trentina di settori manifatturieri l'impatto sulla performance delle Pmi "virtuose". All'interno di questi comparti l'adozione di tecniche di manifattura digitale potrebbe così rilanciare i ricavi delle Pmi su base annua di ben 16 miliardi, allineando la produttività al livello delle realtà medio-grandi, con dinamiche ampiamente diversificate all'interno dei micro-settori. Nella gioielleria, ad esempio, i guadagni di produttività determinati da queste tecnologie potrebbero far raddoppiare i ricavi delle imprese minori, per gli organi di trasmissione i progressi sono nell'ordine del 70%, per i mobili poco al di sotto del 50%. «È un treno che possiamo ancora prendere - spiega Alessandra Lanza, capo economista di Prometeia anche se la finestra temporale è ridotta. In termini di diffusione della tecnologia 3D (6 per 10mila addetti) non siamo così distanti dall'Europa ma quello che manca è un'azione di sistema. Ci sono iniziative singole in assenza però di una politica chiara, ad esempio di incentivi, oppure di formazione scolastica mirata». Opportunità nelle tecnologie digitali ma anche rischi, naturalmente. Perché è chiaro ad esempio che tutto ciò che viaggia su file trae benefici minimi dalla prossimità della filiera. «Verissimo - commenta Lanza - ed è chiaro che per i nostri distretti questa è una sfida in più, credo però ineludibile». © RIPRODUZIONE RISERVATA Impatto sul fatturato delle piccole imprese nei principali microsettori (var. % 2012, tra parentesi guadagno di produttività) Fonte: elaborazione Prometeia © RIPRODUZIONE RISERVATA 0 30 60 90 Gioielleria (1,12) Componenti auto (0,34) Bici e passeggini (0,30) Apparecchi illumin. e lampadari (0,38) Mobili cucina (0,36) Mobili imbottiti (0,54) Aeromobili, veicoli spaziali (0,28) Organi trasmissione (0,80) Foto: LE TECNOLOGIE 3D
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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Pmi . Con le tecniche digitali più ricavi per 16 miliardi - Lanza (Prometeia): «Un treno da prendere alla svelta» .
06/03/2015
Il Giornale
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Voto di scambio di Grillo: prestiti con i nostri soldi Il trucco dei Cinque stelle per captare consensi: aiutano le imprese con il microcredito ma dimenticano che il fondo è foraggiato dagli stipendi pubblici dei parlamentari DOPPIOPESISMO Ora stanno tutti zitti: il Cav venne massacrato per molto meno SPOT ELETTORALE «La banca ha pronti 50 milioni per sostenere 40 aziende al mese» Fabrizio Boschi Quando si dice l'allievo che supera il maestro. Il Movimento Cinque stelle è riuscito inun'impresa leggendaria. I grillini sono passati dal vecchio assunto della sinistra cachemire et champagne «abbiamo una banca!», di fassiniana memoria, a «siamo una banca!». Direttamente. L'idea è ghiotta, non c'è che dire, e anche furbona. Lo slogan efficacissimo: «Possiamo salvare un'impresa al giorno per i prossimi 10 anni, i soldi li mettiamo noi dai nostri stipendi». Nemmeno quel gran ganassa di Matteo Renzi con lo spot elettorale degli 80 euro al mese seppe fare di meglio. I Grillo boys annunciano fino a 25mila euro di finanziamento (con una possibile ulteriore integrazione di 10mila, per un totale di 35mila euro) di cui potranno godere subito duemila imprese. Un fondo di rotazione alimentato dalle rate restituite e dai nuovi stanziamenti che arriveranno dagli stipendi del M5S e dal ministero dello Sviluppo economico. E c'è pure un sito, www. microcredito5stelle.it , che spiega tutto. Il gran capo Beppe specifica sul blog: «Non servono garanzie reali, basta un business plan e un'idea sostenibile di impresa. Il credito viene erogato a tassi molto bassi su un termine fino a 7-10 anni». Tutte le persone che vogliano intraprendere una nuova attività imprenditoriale o che abbiano un'impresa da meno di 5 anni da oggi possono bussare a casa Grillo. Microimprese fino a 5 dipendenti, società a responsabilità limitata semplificata e cooperative fino a 10 dipendenti, lavoratori autonomi e società di professionisti. Un bel consulente del lavoro e il gioco è già fatto. La Banca (nazional) popolare Cinque Stelle ha aperto gli sportelli. Il Movimento dice di avere già 50 milioni di euro disponibili. Soldi che arrivano dai due Restitution day , quando i parlamentari Cinque Stelle hanno versato la metà delle loro indennità insieme alle eccedenze della diaria non rendicontata, compresi i famigerati scontrini. Tradotto: soldi pubblici. L'iniziativa è nobile. I parlamentari grillini hanno deciso di destinare quei soldi a un fondo per le imprese e non al loro conto corrente. Ma va comunque specificato che il loro bel gesto non è stato reso possibile grazie ai fondi personali, ma bensì con parte dei soldi pubblici che gli stimatissimi onorevoli-cittadini ricevono ogni mese da Camera e Senato. La cosa è ben diversa. Tutti coloro che da ora in poi riceveranno soldi dalla Bank of Grillo («40 imprese al mese»), matureranno un enorme debito di riconoscenza nei confronti di chi gli ha fornito quei finanziamenti. Riconoscenza che potrebbe essere sfruttata da Grillo, Casaleggio & Co. al momento più opportuno. Sotto elezioni per esempio. Silvio Berlusconi è stato accusato di voto di scambio per molto meno. Ma, come insegna il nostro presidente del Consiglio, in politica non conta tanto quello che si fa, ma quello che si fa credere di aver fatto. Occhi sgranati, voce tremante, sguardo spiritato, Alessandro Di Battista (che, infatti, da grande aspira a fare il premier) ha pubblicato sul blog di Grillo un video per presentare questo «giorno storico» e invitare tutti al mercato romano del Testaccio insieme al vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio con il quale si è cimentato nello sport preferito dai Cinque Stelle: lo srotolamento dello striscione (con cifra dell'assegno da 10 milioni per il fondo microcredito). Strette di mano al banco del pesce, sorrisi a quello dei formaggi, selfie con gli ambulanti. Passa dall'auto congratulazione («È una cosa buona, datecene atto») alla lezione di filosofia («Un mare è fatto di tante gocce»). Il banchiere Di Battista della Bank of Grillo ora è pronto a incassare. Cos'è il microcredito Il meccanismo È uno strumento che, tramite un fondo, consente l'accesso al credito a piccole e medie imprese da avviare o sostenere Chi può accedere Il fondo è riservato alle microimprese e serve a sostenerenuoveattivitàoiniziativenate da meno di cinque anni Quanto si può ottenere Il tetto massimo di richiesta è di25milaeuro,chepossonoessereaumentatidi10milaeuro. Il tasso è agevolato Foto: FURBETTO Il leader del Movimento cinque stelle Beppe Grillo
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 06/03/2015 - 06/03/2015
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il caso
06/03/2015
MF
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Claudia Cervini Nuovo accordo per accompagnare le pmi di Monza e Brianza verso lo sbarco in borsa. Aimb Servizi srl, società di servizi di Confindustria Mbe Ambromobiliare, società di advisory in finanza strategica orientata alle imprese di medie dimensioni, hanno siglato ieri il deal finalizzato ad agevolare lo sbarco delle aziende di piccole e medie dimensioni verso l'Aim Italia, il mercato alternativo del capitale. Lo scopo è illustrare alle imprese i meccanismi di accesso e di funzionamento del mercato. Una volta verificata la fattibilità le imprese saranno incentivate a fare questo passo attraverso la creazione di un team di professionisti. (riproduzione riservata)
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Deal per portare le pmi all'Aim