Catering ristorazione e consumi fuori casa
N° 10 Luglio - Agosto 2012 - Catering News - Poste Italiane Spa - Sped. AP. DL 353/03 Conv. in L. 27/02/2004 N° 46 Art. 1 comma 1 - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50
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• FORUM
La ristorazione che verrà Ne discutono: Andrea Beccaceci Igles Corelli Roberto Martinelli Lucio Pompili Marco Sacco
• IL PRODOTTO
Gelato gelato gelato
• L’INTERVISTA
Lino Stoppani Guadagnare è un dovere per l’imprenditore
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La paura, la rabbia e l’orgoglio
sommario
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forum La ristorazione che verrà
Ne discutono: Andrea Beccaceci, Igles Corelli, Roberto Martinelli, Lucio Pompili e Marco Sacco
5
La paura, la rabbia e l'orgoglio di Roberto Martinelli scelti da catering 7 Trevalli Cooperlat storie di cucina Salumificio Mottolini 55 Fare bene il proprio lavoro Fratelli Riva spa di Luigi Franchi Fratelli Saclà spa Bedeschi Salumi case history 60 Il coraggio di scelte l’analisi trasparenti 13 Alla ricerca del cliente di Guido Parri perduto... di Mauro Lamparelli la matita rossa 63 La formazione da esportare l’intervista di Giuseppe Schipano 1 Lino Stoppani di Luigi Franchi food cost 6 Industria e chef, fuori casa antagonisti o compagni 22 Il surgelato piace agli di viaggio? italiani di Roberto Carcangiu di Luigi Franchi
in sala e in cucina 27
Scuole di cucina per tutti i gusti di Alessandra Locatelli
focus 32
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terre di vino I cinquant’anni di Guido Berlucchi di Luigi Franchi
Il cibo dei chioschi di mare di Guido Parri
il cibo giusto 38
La pizza è italiana di Carolina Bellini
il prodotto
Gelato gelato gelato di Giorgio Zanelli
le ricette degli chef 8
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tecniche di cucina 67
Il processo di surgelazione di Silver Giorgini
distribuzione 70
Il grossista, azienda di servizio di Roberto Martinelli
private label 73
La linea topping BigChef di Valentino Serra
perbacco! 77
Chi gestisce i concorsi enologici? di Giuseppe Vaccarini
terre di vino
Solo uniti si può vincere di Eugenio Negri
Bernard Fournier Francesco e Giuliano Palmieri Antonio Raffaele Massimo Fezzardi
82
Hotel Bellevue, Cogne (AO) Ristorante Gradinoro, Tarquinia (VT) Osteria Tumelin,
cosa succede
meglio prenotare
_ cateringnews.it • luglio/agosto 2012
Levanto (SP) L’approdo, Vibo Marina (VV) Al Trabucco da Mimì, Peschici (FG)
l’editoriale
la consulenza 88
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La denominazione dell’alimento... Avv. Cristina La Corte Nel food e nel beverage Expo Italcatering, stupore e qualità in una grande festa
l’editoriale di Roberto Martinelli direttore responsabile
Se non sai com’è la gente “della Bassa” e non conosci nei particolari i paesi e le piccole frazioni martoriate da quello che oggi tutti conoscono per “terremoto dell’Emilia”, non ti rendi conto di quello che è successo. L’effetto dirompente di un terremoto mai annunciato è arrivato subdolo e cattivo in una terra che, per la verità, ha sempre tremato; ma la gente della Bassa, come il sottoscritto che vi è nato e cresciuto, non credeva potesse accadere qualcosa di così terribile da queste parti. Gli occhi non bastano per fotografare e spiegare cosa significa un cumulo di macerie accanto a ciò che è rimasto di una chiesa offesa da una forza che non puoi credere possa essere terrena. Come i campanili rimasti silenti e insicuri dalle quattro e un minuto di quel primo giorno, e dei cascinali sberciati e dei capannoni devastati trasformati in oggetti inutili e deformi. A stento credi nelle capacità dell’uomo e di quanto sia stato caparbio nel costruirsi il futuro e il benessere dopo aver visitato Mirandola, Cavezzo, Finale Emilia, Sant’Agostino. Le poche certezze svaniscono quando pensi che sono bastati venti secondi per frantumare ogni cosa assieme ai riferimenti di una vita. Non è la natura la causa dei nostri mali, ma siamo noi spesso a provocarli quando cerchiamo di piegarla. Fino al 2003 chi progettava immobili da costruire in queste zone, se rispettava la legge, tutto al più doveva considerare il vento come unica trazione orizzontale. Nessuna altra forza della natura andava considerata, come se il terremoto del ’96 non avesse portato danni e insegnato nulla. Ma in che paese viviamo?! La gente della mia terra ha la rabbia comprensibile di chi ha sempre saputo che qui il terremoto di tanto in tanto si faceva sentire. La rabbia si mischia al terrore e al panico di chi, in un solo mese, ha sentito la terra tremare più di 2000 volte. Noti, parlando con le persone, quello che non leggi sui giornali, non te lo dicono gli inviati delle televisioni della spinosa amarezza da mordergli dentro, perché sai che hanno speso una vita nel lavoro, per darsi una casa che non hanno più e un sacrosanto benessere conquistato con fatica. Qui dal nulla si sono aperte fabbriche e avviato attività in settori che non sono solo maglieria e ceramica. Loro orgogliosamente emiliani, tenaci e laboriosi, sanno di aver cambiato il volto a queste torride campagne in una selva di fabbriche piene di tecnologia e di personale specializzato. Ma si ritrovano oggi con nulla in mano e tutto da rifare. Oggi questa gente sta soffrendo indistintamente e indipendentemente dal lavoro che faceva. In questi giorni si stanno moltiplicando le iniziative per sostenere i ristoratori colpiti dal terremoto. Eventi creati per donare il ricavato alle attività dei colleghi colpite dal disastro si stanno organizzando in molte città emiliane e non solo. Questa solidarietà è molto bella e fa molto bene alla categoria. Cene, aste di beneficienza, mercatini alimentari, ognuno cerca di fare qualcosa per esprimere una concreta solidarietà. Ma siamo anche testimoni che molti di loro, con le loro forze, hanno voluto rimettere a posto i locali per aprire il prima possibile, spronando le autorità a fare presto perché loro volevano vedere aperto il loro ristorante come segno di speranza e accoglienza.
cateringnews.it • luglio/agosto 2012 _
scelti da catering
Hoplà da Montare Non Dolce L’esigenza di una cucina sana e leggera, attenta alla ricerca di gusto e sapore, trova la risposta perfetta ed equilibrata con la linea delle creme vegetali Hoplà da Montare Non Dolce, perché rappresenta l’alternativa ideale alla panna animale, garantendo sempre un ottimo risultato. Infatti è la crema vegetale preferita dai pasticcieri perché monta presto e con facilità e mantiene la montatura a lungo, anche in caso di congelamento. Un altro aspetto importante è la stabilità del prodotto una volta montato, che non subisce alterazioni a temperatura ambiente fino a 24 ore, conferendogli così grande praticità, soprattutto perché riesce a conservare inalterato e per lungo tempo il suo aspetto estetico e di decoro. Hoplà da Montare Non Dolce è un vero jolly in cucina perché assicura versatilità di utilizzo e offre la possibilità di poter bilanciare e graduare lo zucchero secondo le proprie esigenze, infatti può essere usata anche per i primi piatti, secondi, contorni e salse poiché tiene bene la cottura. Per una resa ottimale, è opportuno che il prodotto, prima di essere montato, venga posto in frigorifero sino a raggiungere una temperatura di 5-8° C. Può essere montato sia a mano che con frullini elettrici per andare incontro alle esigenze della pasticceria e della gelateria. Hoplà da Montare Non Dolce è disponibile in confezione brik, nei formati da 1000 ml e da 500 ml Slim.
Il gusto non è più solo.
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Quando Cirio, ristorazione e arte si incontrano, nasce Pom Art: il progetto che proietta i tuoi clienti in un ambiente nuovo, di tendenza e multisensoriale. Gli ingredienti del successo: visibilità, attrazione, distinzione, fidelizzazione. Il valore si vede: dalla notorietà del marchio Cirio al kit* in omaggio per i migliori ristoranti del circuito: arredo, accessori e abbigliamento creati in esclusiva vintage o contemporanei, dai grandi pittori del ‘900 all’artista emergente Fupete.
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Il Gran Gusto di Mottolini Tra i prodotti che, in questo momento, stanno incontrando il favore dei mercati e l’interesse della ristorazione trova posto la Bresaola Gran Gusto Mottolini, ottenuta partendo da un’attenta selezione del muscolo della coscia bovina che viene lavorato secondo la tradizione locale. Il taglio viene privato delle parti grasse e dalle nervature che rendono il prodotto ancora più magro, compatto e sodo, garantendo una fetta priva di fenditure. Il risultato è una perfetta armonia tra gusto deciso, sapore intenso e consistenza leggermente robusta, caratteristiche che ne esaltano la tipicità. Il rapporto qualità prezzo della Bresaola Gran Gusto la rende particolarmente indicata per le aziende del canale Catering che cercano un prodotto polivalente utilizzabile sia come piatto principale sia come ingrediente di fantasiose preparazioni gastronomiche. Bresaola Gran Gusto può essere infatti utilizzata per finger food, appetizer, ma anche per preparazioni più veloci come un piatto di affettato o un risotto alla bresaola. Bresaola Gran Gusto è l’ideale per un dieta ipocalorica, iperproteica, adatta a tutti i palati, da consumarsi in tutti le stagioni. Il prodotto è disponibile in rete, intero e a metà in sottovuoto, preaffettato in vaschette in atm. SalumifiCio moTTolini • Poggiridenti (SO) - Tel. 032 56070 • www.mottolini.it
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cateringnews.it • luglio/agosto 2012 _ 7
scelti da catering
b s i d Paura Paura
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Provami, la sicurezza della qualità PROVAMI. L’invito non ammette repliche, talmente è intrigante e il risultato, dopo l’assaggio, è all’altezza del nuovo prodotto dell’azienda Fratelli Riva: un Prosciutto Cotto fatto con la coscia intera, particolarmente adatto per il settore della ristorazione perché si presta alla cottura mantenendo, altresì, una buona fetta nel piatto, e un gusto equilibrato. L’elevato rapporto qualità prezzo, le alte caratteristiche sia visive che di sapore ne fanno un prodotto che si posiziona in maniera molto competitiva sul mercato. La stessa cosa vale per il “Maialino d’oro”, il Prosciutto Cotto di alta qualità che vanta un gusto unico, adatto per i professionisti che necessitano del top qualitativo. Diventa un accostamento sublime pure per la pizza, avendo l’accortezza di riporre le fette solo a fine cottura. L’azienda Fratelli Riva spa dispone di varie pezzature di prodotto: le metà di tutti i Prosciutti Cotti, vari tipi di tranci, le barre per affettato e il preaffettato in atm e in sottovuoto. Ogni referenza è completamente priva di glutine e allergeni. fraTelli riVa Spa • Molteno (LC) - Tel. 031 858811 • www.fratelliriva.it
Le nuove proposte di Selezione Gourmet Granarolo
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Con tutto il buono della panna e l’affidabilità che avete sempre sognato. Knorr presenta la nuova ricetta di Classique a base di latticello e grassi vegetali. È ideale al posto della panna, è affidabile a tutte le temperature e rimane stabile a bagnomaria fino a 80°. Resiste agli ingredienti acidi e in pasticceria. Addensa rapidamente e dopo averla montata rimane stabile fino a 4 ore, anche a temperatura ambiente. Classique da Knorr: solo grandi risultati in cucina. Scopri anche il resto della gamma Knorr. www.unileverfoodsolutions.it
Sono molti e tutti veritieri i motivi per cui vale la pena di scegliere la pasta “Selezione Gourmet Granarolo”, una gamma ottenuta dai migliori grani duri accuratamente selezionati. Il primo motivo è dato dall’altissima tenuta in cottura, sia espressa che doppia. La ruvidità della superficie la rende adatta a trattenere i condimenti e, grazie alla qualità del glutine, la pasta si rivela molto elastica, con un colore brillante. La resa in cottura supera il 100% e mantiene inalterate le caratteristiche del pronto utilizzo anche dopo molto tempo, rendendola idonea per i “pasti veicolati”. Prodotta in quattordici formati, con trafile in bronzo in moderni impianti di produzione certificati, non contiene alcun organismo geneticamente modificato ed ha una shelf life di 36 mesi. Adatta ad ogni tipo di ricetta la “Selezione Gourmet Granarolo” incontra molto favore tra coloro che praticano una alimentazione vegetariana, ma non da meno sono tutte le persone che, una volta provata, restano fedeli a questa linea di quattordici formati improntati alla miglior tradizione. paSTifiCio Granarolo • Granarolo (BO) - Tel. 051 761888 • www.pastificiogranarolo.it
cateringnews.it • luglio/agosto 2012 _ 9
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scelti da catering
Saclà verso il futuro
10 Kg di qualità.
Food Service è la linea di prodotti per la ristorazione che Saclà ha lanciato negli ultimi anni con l’obiettivo di offrire preparati di qualità al cliente professionale. Le referenze di questa linea sono realizzate seguendo le ricette della tradizione italiana e selezionando i migliori ingredienti. Per soddisfare le innumerevoli necessità degli acquirenti, sono proposte in diverse confezioni e formati: latte, vasi di vetro, vasi in polipropilene, mastelli e non solo. Tutte le etichette riportano informazioni chiare e semplici (tradotte in più lingue) sulle caratteristiche del prodotto, sugli ingredienti e sui modi di utilizzo. Tra i prodotti maggiormente apprezzati compare il Pesto alla Genovese, un condimento pronto preparato con il 33% di basilico: Saclà lo seleziona tra le varietà più profumate coltivate nei campi al confine tra Liguria e Piemonte e lo lavora entro 24 ore dalla raccolta. Tra gli ingredienti troviamo anche formaggio grattugiato, pinoli ed anacardi: una ricetta industriale che rispetta il più possibile quella tradizionale. Il Pesto alla Genovese Saclà è proposto in vaso di propilene da 950 g. fraTelli SaClà Spa • Asti - Tel. 011 3971 • www.sacla.it
La mortadella di qualità di Bedeschi salumi
Le 5 Stagioni, leader in Italia nella produzione di farine e semilavorati per pizze, ora anche nelle nuove confezioni da 10 kg. Più igieniche, leggere e pratiche con il sistema “Pinch Botton”.
Quattro certificazioni – ISO 14001, EMAS, BRC, IFS – fanno della bolognese Bedeschi Salumi srl un’azienda in grado di essere presente sui più importanti mercati dove la qualità è uno degli elementi di valore più richiesti. La storica azienda, presente sul mercato dal 1964, produce esclusivamente mortadella nel rispetto della tipica ricetta bolognese, con particolare attenzione alle normative igienico sanitarie, alla sicurezza sul lavoro ed alla prevenzione degli impatti ambientali. La Mortadella Bedeschi IGP è leggera e digeribile, prodotta in conformità al disciplinare I.G.P., con spalla di suino selezionata e sgrassata, gole per i lardelli; non contiene polifosfati aggiunti e il suo gusto è gradevole ed equilibrato, dal sapore intenso e avvolgente, in linea con le moderne tendenze nutrizionali grazie ad un contenuto estremamente basso di colesterolo ed un limitato apporto di sale. Inoltre è idonea ad essere consumata da soggetti con intolleranza al glutine, presente nel prontuario AIC dall’edizione 2003. BedeSChi Salumi Srl • Bentivoglio (BO) - Tel. 051 861807 • www.bedeschisalumi.it
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cateringnews.it • luglio/agosto 2012 _ 11
Alla ricerca del cliente perduto…
l’analisi
di Mauro Lamparelli direttore di TradeLab www.tradelab.it
Abbiamo parlato altre volte di come i nuovi comportamenti del consumatore stiano “forzando” importanti cambiamenti nell’offerta dei punti di consumo tradizionali e stimolando la nascita di nuovi format di punti vendita. Il consumatore è oggi più informato, più mobile, meno fedele e vuole trovare quello che gli interessa ovunque si rechi. Parlando specificamente dei luoghi “tradizionali” dove esiste una offerta di ristorazione notiamo le seguenti tendenze. Ulteriore ricerca di differenziazione di offerta: nell’ultimo lavoro condotto da Tradelab su questo canale abbiamo individuato almeno 6 differenti tipologie di locali con caratteristiche diverse. Only pizza, dove il 60% circa delle portate sono costituite da pizza. Trattorie tradizionali e Trattorie di qualità, che si distinguono per una maggiore ricercatezza dell’offerta nella seconda tipologia e, naturalmente, uno scontrino medio più elevato sia a pranzo che a cena. Grandi Ristoranti multipurpose, locali di grandi dimensioni, con un menù che tocca tutte le tipologie di portate (importante il ruolo della pizza) con una forte offerta di banchetti per ricorrenze. È la categoria più toccata dalla crisi in relazione ai consistenti costi fissi che comporta la gestione di queste “macchine” complesse. Il numero di clienti è infatti in calo sia a pranzo che a cena. Smart, è la categoria di ristoranti più in crescita negli ultimi anni: sono locali presenti quasi esclusivamente nei grandi centri, hanno una offerta interessante di pesce e presentano nel menù alcune portate di taglio etnico che li rende interessanti agli avventori più trendy. Top e gourmet, contrariamente alle aspettative non sono stati toccati dalla crisi perché una parte importante dei loro frequentatori non risente della situazione economica attuale. Allargamento dell’offerta verso occasioni non “core” Cresce il numero di ristoranti che si propone con un offerta di aperitivo pre cena e/o di intrattenimento serale. Il motivo di questa tendenza è legato alla necessità di aumentare il ricavo per cliente in una situazione dove il numero di coperti è in continuo calo e alle esigenze di rispondere alla competizione esercitata nell’occasione di consumo cena da locali come pub, discoteche, take away. Ricerca di un completamento del menù per essere più attrattivi nei riguardi dei clienti I locali che fino a pochi anni fa erano specializzati nell’offerta di pizza si propongono con menù più completi e una quota interessante di altri ristoranti ha invece introdotto la pizza nella propria offerta. L’obiettivo sotteso a questa tendenza è la ricerca di fidelizzare un cliente, come detto all’inizio, sempre meno fedele e alla ricerca di nuove esperienze. Appare evidente che alla base delle tendenze evidenziate esiste il bisogno forte di riconquistare e/o fidelizzare un cliente più esigente ( e con il portafoglio mezzo vuoto…) distinguendosi da una concorrenza agguerrita e numerosa. La sfida per i fornitori dei ristoranti sarà quella di individuare e sostenere le scelte di posizionamento fatte dai loro clienti attraverso l’erogazione di prodotti e servizi differenziati e coerenti con i bisogni specifici di ogni segmento.
cateringnews.it • luglio/agosto 2012 _ 13
Lino Stoppani Guadagnare è un dovere per l’imprenditore di Luigi Franchi
l’intervista 1 _ cateringnews.it • maggio/giugno luglio/agosto 2012 2012
La Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, è l’associazione leader nel settore della ristorazione e dell’intrattenimento, nel quale operano più di 297 mila imprese tra bar, ristoranti, discoteche, stabilimenti balneari e mense. A presiederla è stato chiamato, negli anni scorsi, Lino Stoppani, imprenditore milanese titolare della più famosa gastronomia italiana: Peck di Milano. Con lui abbiamo affrontato le molte tematiche che coinvolgono la ristorazione e i pubblici esercizi italiani. Quali sono le risposte che un ristoratore chiede ad un’organizzazione di categoria? E come si valorizza l’appartenenza ad un modello associativo come il vostro? “La Fipe è costituita dalle organizzazioni territoriali, tante quante sono le province italiane. Il ruolo di Fipe è quello di rappresentanza di un settore, quello del pubblico esercizio, che è composto da situazioni e soggetti con esigenze molto diverse tra loro - penso ai balneari, ai casinò, alle mense aziendali, ai locali da ballo, oppure ai grandi gruppi come Autogrill, McDonald’s o Cremonini - e che l’organizzazione cerca di portare a sintesi. A volte, proprio per la complessità delle esigenze, c’è qualche momento di smagliatura ma il dato positivo è che il pubblico esercizio è uno dei pochi settori che soffre meno la crisi”. L’impresa sente l’importanza di essere aggregata e far parte di un’associazione? “Fare sindacato è un mestieraccio, più che fare l’imprenditore. Io sono sia l’uno che l’altro e dedico il tempo che posso alla Fipe con un plus, derivante dal fatto che vivo sulla mia pelle i problemi e questo mi offre un osservatorio privilegiato che aiuta nel comprenderli e cercare una soluzione. Come imprenditore c’è una percezione del risultato, fare sindacato è più complesso e spesso non si riesce a misurare il feedback. Ad esempio, stiamo portando avanti una grande battaglia contro la burocrazia che ingessa il settore, i cui risultati magari si vedranno tra anni, mentre il nostro socio vorrebbe avere subito la soluzione ad un problema annoso e complesso”. Da un vostro dato statistico si rileva che la ristorazione, in termini occupazionali, è in controtendenza rispetto allo scenario generale; infatti si parla di una crescita del 6%. Questo cosa vuol dire: la ristorazione è in crisi oppure no? “Questo fenomeno è giustificato da due aspetti: cresce l’occupazione ma cala la marginalità. Il numero in crescita è giustificato dal fatto che c’è una tendenza al consumo fuori casa, c’è anche un indotto turistico importante, in generale cambia il modello di vita quotidiana. A questo si aggiunge una legislazione che di fatto sta liberalizzando anche il nostro settore, pur in presenza di regole che portano da una liberalizzazione di tipo quantitativo ad una di tipo qualitativo: infatti non si può concentrare il pubblico esercizio in determinati spazi, perchè l’attività a volte genera anche disagi in termini di vivibilità, basti pensare ai luoghi della movida. In ogni caso c’è stato un ingresso maggiore nel settore, anche di presenza straniera, che rende stimolante il confronto e la competitività”.
Sono comunque molte le attività: 230.000 attività, che sale a 309.000 con i vari circoli, e i 2,3 milioni di vending. Siamo seguiti ovunque dal cibo. Non c’è il rischio di troppa improvvisazione? “Si, è in atto una trasformazione del settore che non vogliamo subire, pur in presenza di competenze delle regioni che deliberano in maniera profondamente diversa. Noi siamo andati in ogni sede regionale per far capire che se la liberalizzazione ha l’obiettivo di ridurre i prezzi ci può stare. Ma attenzione, che questo non produca le devastazioni di un mercato senza regole, come ci dimostra ciò che ha provocato il mercato finanziario. Dietro al pubblico esercizio, non dimentichiamo, ci sono un ruolo sociale e valori, tradizioni, qualità e storia del patrimonio enogastronomico italiano che rischia di essere dequalificata. Il secondo motivo di scelta del turista straniero verso l’Italia è la cucina e non possiamo stressare il settore sul fronte di un eccesso di offerta e domanda”. C’è managerialità nel settore del pubblico esercizio? Ossia la capacità di gestire un bilancio economico aziendale? “Lei tocca un tasto tra i più sensibili nel nostro settore, dove c’è una grandissima professionalità ma spesso, anche tra i grandi, non c’è la competenza necessaria a gestire bene il conto economico. I nostri associati mettono in rilievo l’incapacità di sapere se stanno guadagnando o perdendo, a causa di una gestione degli ordini, del magazzino, del personale che ha troppe variabili. La Fipe ha predisposto un progetto con l’Università Roma 3 per fare la radiografia del settore: abbiamo individuato 1.500 aziende che metteranno a disposizione i bilanci per un’analisi che porti a costruire un modello di gestione per favorire la managerialità”. Oggi tutti sono diventati critici e giudici, tramite i blog e i social network. Mentre il cliente usa questi strumenti, la ristorazione non li usa. Ma se il ristoratore non governa questi processi si può trovare a non capire perché nessuno va più da lui… “Il tema è di grande attualità. Questo problema, ad esempio, è molto forte in Toscana dove il fenomeno delle critiche online è consistente. Stiamo presidiando il fenomeno per governarlo. Il secondo aspetto è un tasto dolente, legato ad un fenomeno generazionale, che sta poco alla volta cambiando”. Nulla sarà più come prima, si dice di questa crisi: qual è la ricetta? “Saperlo! Trovo comunque molta ipocrisia in chi considera la crisi un’occasione per fare pulizia. Un imprenditore non ha bisogno della crisi per capire dove sta sbagliando, lo capisce da solo. Una crisi come questa ha toccato non solo l’economia ma il sentimento del consumatore, che porta a sfiducia e paura. Questa sarà una crisi che farà molte vittime tra i più deboli e non si risolve demonizzando le imprese. Guadagnare è un dovere per l’imprenditore che serve anche e soprattutto per investire nell’azienda e gestire questi momenti di sofferenza. Occorre diversa sensibilità da parte di tutti, in primis le banche che devono tornare a capire l’uomo e la sua volontà imprenditoriale, senza considerare solo i numeri di settore”. Infine, la domanda che facciamo a tutti: qual è il suo piatto della memoria? “Sono bresciano di origine e milanese di adozione, quindi: il pollo della domenica, fatto da mia madre con un ripieno di frattaglie, di pane grattugiato e di amaretto che lo rendeva unico. Venendo a Milano: io sono un ghiottone di salame e trovarlo buono oggi non è così facile”.
Il consumatore è a volte troppo sollecitato e distratto e deve essere educato per evitare che si butti a mare il nostro patrimonio di tradizioni gastronomiche.
cateringnews.it • luglio/agosto 2012 _ 15
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tal caso, come resistere ad una crisi che sta generando la consapevolezza che niente sarà più come prima? Marco Sacco: “Il piccolo è bello è sicuramente un valore perché è insito nella nostra storia e nella nostra cultura. Siamo un paese fatto di piccole imprese e non è un modello nato per caso. Certo, essere piccoli non consente di affrontare in maniera adeguata il mondo globale ma è proprio qui che entra in gioco l’altro grande valore, molto italiano: la capacità di aggregazione, la voglia di fare delle cose insieme e, in questo caso, la ristorazione, soprattutto in questi ultimi tempi, ne è una dimostrazione. Per quanto riguarda il mercato, anziché dire niente sarà più come prima, preferisco dire che niente sarà più come adesso ma sarà come prima. Si ritornerà alla bottega, al servizio e alla professionalità”. Andrea Beccaceci: “Piccolo è bello è un valore
clienti apprezzano.I ristoranti di questo tipo non possono essere considerati per definizione dimensionalmente piccoli, ma sicuramente scrupolosi nella gestione e con i costi sotto controllo, questo si. Non è un difetto essere grandi, ma lo diventa quando si perde il controllo e la misura della redditività del locale. A parte i problemi economici di cui soffre il nostro Paese, la nostra categoria ha commesso l’errore di inseguire dei modelli ristorativi stranieri che non ci appartenevano. Noi dobbiamo essere italiani ed esprimere tutta la nostra cultura che il mondo ci invidia”. Roberto Martinelli: “Ritengo si commetta un errore confrontare le dimensioni delle imprese della ristorazione con quelle degli altri settori per fare ragionamenti economici di competitività. Il nanismo dimensionale nella ristorazione ‘unbranded’ non può costituire un problema, anzi è sempre stato un punto di forza, a maggior ragione se l’impre-
se si modella su questo concetto tutto l’impianto del lavoro. Mi spiego meglio: piccolo è bello se il locale è gestito da poche persone, magari a livello poco più che familiare, in grado di far fronte ad un pubblico adeguato. Se invece il piccolo è bello sta per un ristorante d’autore dove ci sono 20 addetti per 20 coperti il valore si trasforma in problema. È comunque importante che questa condizione sia sostenuta dal modello nel suo complesso, quindi piccoli eventi di promozione, selezione di piccoli produttori di qualità ecc… Igles Corelli: “La ristorazione italiana è da sempre legata alla famiglia. Sembrerà strano ma un ristorante a conduzione familiare lo si nota appena si entra e questo è indubbiamente un plus che i
sa è familiare. Un’impresa che fa ristorazione non è meno efficiente se è di piccole dimensioni. La crisi sta imponendo un nuovo senso di fare impresa. Chi esercita questa professione non potrà che avere una visione manageriale” Lucio Pompili: “La dimensionalità è un problema solo se visto in un’ottica che pone alcuni ristoranti quasi in una specie di area protetta. Da difendere con tutte le forze è invece questo lavoro, che rappresenta, insieme ai prodotti enogastronomici, secoli di storia. Lo stesso dicasi per i campanili, che sono un pregio e le differenze una peculiarità. Valorizzarle è necessario, anche perché il piccolo è bello ha insito in sé tutta una serie di micro soluzioni che il sistema che gestisce il Paese dovrebbe
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La ristorazione che verrà
Crediamo sia importante provare a fare chiarezza cercando di definire, insieme ai tanti protagonisti, la ristorazione che verrà, o come l’abbiamo definita nello scorso editoriale, la ristorazione virtuosa.
Si discute di cibo, cucina, ristorazione. Se ne discute forse troppo, ma questo è anche uno degli aspetti di questo Paese che risultano essere più apprezzati: lo testimoniano molti dati, i turisti che scelgono l’Italia, l’immagine della nostra cucina nel mondo. Ed è proprio per questo che crediamo sia importante provare a fare chiarezza cercando di definire, insieme ai tanti protagonisti, la ristorazione che verrà, o come l’abbiamo definita nello scorso editoriale, la ristorazione virtuosa. Abbiamo cominciato a parlarne in questo forum, organizzato dalla redazione, con quattro chef che rappresentano altrettante associazioni: Marco Sacco, presidente di Chic; Igles Corelli, presidente di CheftoChef Emilia-Romagna; Lucio Pompili, presidente di Cuochi di Marca; Andrea Beccaceci, presidente di Abruzzo Qualità. Con loro Roberto Martinelli, direttore di questa rivista. La ristorazione in Italia, come molte altre imprese, sta scontando il problema della sua dimensionalità. Se ‘piccolo è bello’ è uno degli aspetti caratterizzanti del made in Italy, la crisi globale sta dimostrando, in molti settori, che forse non è proprio così. Nella ristorazione questo elemento può essere un valore? E, in
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applicare, anziché minacciarne la scomparsa”. Abbiamo attraversato anni recenti dove si sprecavano i termini con cui definire la cucina - dalla nouvelle cuisine a quella molecolare, dalla cucina d’autore a quella green, per tornare all’evoluzione delle tradizioni. In tutto questo forse manca un elemento che, nella cucina francese invece è ben chiaro e presente: la codificazione. Secondo voi, che rappresentate alcuni modelli di associazionismo nella ristorazione, è possibile, è necessaria una codificazione della cucina italiana? Igles Corelli: “Voglio essere categorico: no alle codifiche di una cucina che è espressione di una cultura gastronomica che cambia da campanile a campanile. Mentre dico si alla codifica dei prodotti di qualità che devono essere meglio conosciuti e trattati in primis per noi ristoratori, poi per i consuma-
tori. Come si fa a codificare 700 mila ricette diverse tra loro e tutte singolarmente buone? Questo è il nostro patrimonio e questa è la nostra bellezza”. Roberto Martinelli: “Parlare di codifica della cucina italiana non è facile e probabilmente ci vorrà tempo prima di condividere l’idea che si potrebbe depositare non soltanto il prodotto ma anche la ricetta. Sappiamo tutti che i francesi sono molto più avanti di noi e personalmente concorderei nel seguire la loro esperienza, ma so anche di trovarmi in minoranza e di avere contro chef ed esperti di cucina, ma non tutelare i nostri piatti è un errore che la ristorazione italiana all’estero sta pagando a scapito della qualità e di scandalose imitazioni”. Lucio Pompili: “La cucina è una sola: quella buona. Abbiamo, in più, la fortuna che, oltre che buo-
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na, è incredibilmente varia e questo è un valore che, forse, può essere sostenuto da un processo di internazionalizzazione che, questo sì, ha bisogno di regole chiare. Unire le individualità che caratterizzano, da sempre, la ristorazione è forse la parte più difficile ma noi ci dobbiamo provare”. Marco Sacco: “Il mio pensiero è che no, è culturalmente impossibile codificare. La nostra è una cucina che viene dalla povertà, mentre quella francese appartiene a categorie definite. Abbiamo piatti troppo diversificati: il tortellino, per fare un esempio, quante varianti ha? Ma se questo, da un lato, impedisce un messaggio unico, dall’altro è un valore aggiunto che mi spinge a definire quella italiana una cucina democratica”. Andrea Beccaceci: Secondo me è possibile ad una condizione: se si afferma il concetto e la ricerca di identità. Troppe volte si seguono le mode del
momento, questo avviene soprattutto tra i giovani chef italiani che rincorrono troppo le spume o altre tecniche, rinunciando a costruirsene una propria. Certo, quella dell’omologazione può essere una strada più facile ma è quella che ci può far perdere l’identità della nostra cucina, ancor prima di averla codificata. In questo le associazioni regionali devono assolvere al compito importante di raccordo tra gli chef”. La storia della ristorazione italiana è o è stata, fino a poco tempo fa, una storia di famiglie che si tramandavano usi e mestiere. Il modello familiare rimane da più parti invocato come quello più solido, oseremmo definirlo più virtuoso sotto certi aspetti. Ma non può essere solo questo a costruire
l’identità di una ristorazione virtuosa: altri sono gli elementi che possono contribuire a questa definizione? Pensiamo, ad esempio, alla capacità di azzerare gli sprechi, oppure alla giusta misura tra servizio, cibo, bevande e costo finale. Ecco, come si fa a spiegare al consumatore qual è il giusto prezzo? Lucio Pompili: ”È una battuta, ma non troppo: il prezzo lo fai con i conti che ti impone la agenzia delle entrate. Qualche volta i costi appaiono smisurati perché il cliente conosce il prezzo delle materie prime all’origine, ma non conosce o non vuole farlo, i costi che un ristoratore sostiene per mandare avanti il suo locale. Del resto, non conosco nessun cuoco miliardario, a meno che non lo fosse già da prima. E fare una cucina di qualità significa anche dare un servizio di qualità; sta qui uno degli elementi di una ristorazione virtuosa”. Andrea Beccaceci: “Per la mia storia è facile far capire qual è il prezzo giusto, perché da sempre la nostra cucina è improntata al pesce freschissimo, con materie prime di alta qualità e perciò facilmente comprensibili. Non sempre questo ci fa stare sul mercato ma ci fa spiegare il prezzo. Ma chi ha improntato il lavoro sul “caro uguale buono” deve necessariamente fare un passo indietro. Per quanto riguarda il concetto di ristorazione virtuosa, parla la nostra storia: cent’anni di gestione familiare esprime una forte identità, riconoscibile e chiara”. Igles Corelli: “Per me il virtuosismo parte dall’idea, ma si concretizza al meglio, e vorrei riprendere i concetti detti all’inizio, se hai una famiglia che ti aiuta. Non solo perché contribuisce ad abbattere i costi, ma perché si crea quell’intesa che non puoi avere con nessun dipendente, per bravo che sia. Ma oltre alla corretta gestione la virtuosità in una impresa ristorativa è saper esprimere il valore dell’accoglienza, in una cucina di qualità attenta a non spennare il cliente e nella capacità professionale di fare qualcosa in più, per cui un tocco di sperimentazione non deve mancare”. Marco Sacco: “Il giusto prezzo è la semplicità di un’offerta comprensibile. Il cliente che capisce cosa sta comprando. Sono finiti i tempi dell’aria fritta. Bisogna tornare a fare l’oste, ad accogliere in prima persona. Bisogna ottimizzare il locale in funzione del cliente, concentrarsi su di lui che rappresenta l’essenza stessa per cui si è deciso di fare questo lavoro. Se si mette il cliente al centro si riducono anche gli sprechi perché si è in grado di capirne i bisogni concreti. Ecco, questa è ristorazione virtuosa”. Roberto Martinelli: “La ristorazione virtuosa è quella che accontenta il cliente, punto. Non ci sono altre storie. La nostra idea partita l’anno scorso pubblicando il libro-guida Meglio prenotare, di cui stiamo lavorando alla sua prossima seconda edizione, è nata per raccontare le storie dei ristoranti dove si può trovare una certa virtuosità. Noi vogliamo essere espressione di quei locali virtuosi, e per fortuna ce ne sono ancora da scoprire, in cui si trova un mix di conoscenze, valori ed esperienze uniti con sagacia e apprezzati dai clienti”.
Igles Corelli
Andrea Beccaceci
Lucio Pompili
Marco Sacco
Roberto Martinelli
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fuori casa
Il surgelato piace agli italiani Serve più cultura sul surgelato dando valore ai molti pregi del processo produttivo
di Luigi Franchi
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E se quell’asterisco diventasse sinonimo di qualità? Alcuni ristoratori stanno applicando nei loro menu, a margine dell’asterisco, la dicitura che spiega come “alcuni prodotti, per garantire l’offerta tutto l’anno e la qualità del prodotto, sono surgelati”. Del resto la teoria che il consumatore storce il naso di fronte al prodotto surgelato è sconfessata dai dati che la ricerca Astarea, commissionata poco tempo fa dall’Istituto Italiano Alimenti Surgelati, ha rilevato: consumi in crescita in molti comparti - vegetali +11%, pizze e snack +6,5% - e una tenuta generale dei consumi surgelati nel suo complesso, pari a +0,8%. Resta il fatto che, nonostante i buoni risultati, il consumo dei surgelati in Italia, 13,8 kg procapite, rimane uno dei più bassi tra i paesi europei. “Diventa fondamentale creare cultura sul surgelato - afferma senza incertezze Romana Tamburini, presidente di UNAS (l’associazione che rappresenta le aziende del surgelato aderenti ad UnionAlimentari) - è necessario quindi organizzare incontri, convegni perché, se ancora oggi la maggior parte delle persone non conosce neanche la differenza tra surgelazione e congelamento, significa che c’è ancora tanto da spiegare e da dire. Solo creando cultura si possono abbattere i facili pregiudizi di cui il prodotto surgelato è purtroppo ancora vittima”. Un impegno che vale sia per il consumatore sia per il pro-
fessionista che è vincolato ad una norma esclusivamente italiana, come l’obbligo dell’asterisco: “Occorre agire su diversi fronti, in primis quello legislativo, affinché l’ingiusta e squalificante consuetudine dell’asterisco venga a decadere. UNAS, Unione Nazionale degli Alimenti Surgelati, ha come obiettivo primario quello di unire le forze affinché le istituzioni prendano atto del problema e indichino una soluzione”, prosegue la presidente, titolare di Surgital. Il pensiero degli chef ”Non bisogna aver paura di dire che il prodotto che si propone è surgelato - sostiene il conosciutissimo Carlo Cracco - perché spesso è anche più buono e perché a volte si fa fatica a trovare un ingrediente pregiato fuori stagione ed allora è bene averlo a disposizione surgelato, ma con la certezza di poter contare sulla stessa altissima qualità che cerchiamo quando ci rivolgiamo ai nostri fornitori di materia prima fresca. Dall’industria ci aspettiamo un coinvolgimento nella ricerca, nelle idee per prodotti innovativi in funzione del fabbisogno reale di un ristorante”. “Noi acquistiamo e trattiamo senza alcuna remora prodotto surgelato in tutti e cinque i ristoranti in cui svolgo la mia attività di consulenza (in provincia di Brescia a Paratico, Parma, Assisi e Acireale in Sicilia ndr) - ci spiega Fabrizio Albini, nel corso di un’intervista presso il suo ristorante Assapora, di recente apertura a Parma - per il grande valore che riveste la costanza dei prodotti, a differenza del fresco che a volte è mal curato, sia perché ormai il surgelato dà la possibilità di garantire una qualità altissima. Lo vediamo in diverse categorie, in particolare i prodotti da forno e il pesce dove noi trattiamo quasi esclusivamente prodotti Anisakis free”. Cosa significa?
Anche nei confronti di materie prime stagionali spesso è bene ricorrere al surgelato che consente di organizzare al meglio il lavoro e di evitare gli sprechi. Marcello Fiore Direttore FIPE
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Il mercato del surgelato fuori casa L’Italia è al terzo posto, tra i paesi europei, per il
gorie più vendute figurano: patate fritte, paste salate e dolci, pesce e verdura. Il mercato in crescita ci ha convinti nella decisione di ampliare la struttura con una nuova grande cella frigorifera”. Vale 2,4 miliardi di euro il mercato intermediato dai grossisti ma i margini di crescita sono ancora alti. Ne è convinto anche Marco Lumini, titolare di Saragel, azienda di distribuzione di Tagliolo Monferrato (AL), specializzata nel prodotto surgelato, ma a condizione che si superino resistenze culturali e psicologiche consolidate: “Troppo spesso il prodotto surgelato consumato al ristorante fa pensare all’acquisto nel supermercato dietro casa, mentre esiste un canale specializzato costituito da una rete di aziende che hanno sviluppato altissima competenza nella logistica, in grado di garantire fino alla porta del ristorante una perfetta gestione della catena del freddo, oltre naturalmente ad un’esperienza e capa-
ti i nostri materiali di comunicazione, dai depliant di vendita, al filmato aziendale, al web, sono ideati con lo scopo di trasmettere la qualità dei nostri prodotti e quindi, di conseguenza, delle materie prime che utilizziamo, doverosamente originarie dei luoghi di produzione e lavorate internamente all’azienda. Comprare le materie prime intere e lavorarle all’interno significa verificarne al meglio la qualità e adattarle alle esigenze specifiche dei prodotti. La qualità oltre che essere raccontata, deve anche essere dimostrata, ecco il motivo per cui Surgital è molto attiva sul fronte degustazioni, sia interne all’azienda che esterne, facendo degustare i propri prodotti a più di 10.000 operatori del settore in un anno”. Un buon modo per esaltare i plus del surgelato, ben evidenziati da Angela Borghi di TradeLab: prodotti di qualità e sicuri grazie al controllo dell’intera filiera, alternativa al fresco, prezzo contenuto, risparmio
ad una vera e propria Divisione Food Service. Il primo obiettivo è stato quello di inserire risorse umane d’eccellenza, creando una rete vendita capillare in grado di coprire l’intero mercato nazionale, organizzando un team di chef impegnati sul fronte ricerca e sviluppo e chef promoter, che presentano i prodotti presso i clienti con eventi ad hoc. Di seguito ci siamo proposti di arrivare al cliente finale fornendo informazioni corrette sul rinvenimento del prodotto e presentando diverse idee sulle ricette che si possono confezionare”. “Siamo convinti che sia l’aspetto più complicato ma quello vincente, perché in molti vedono ancora il prodotto vegetale solo come un contorno, mentre noi siamo in grado di dimostrare oggi - prosegue Lambertini - di fare molto di più. Questi concetti vengono presentati con notevole successo ai grossisti e alla clientela dalla nostra squadra di “chef promoter“ e
consumo fuori casa. Lo ha dimostrato Angela Borghi, di TradeLab, nella sua ricerca ricca di numeri e informazioni di grande interesse per l’intera filiera e, in particolare, per l’industria e la distribuzione specializzata verso il canale ho.re.ca.: in Italia ci sono 109.000 ristoranti che fatturano 32 dei 73 miliardi del fuori casa, il 60% di questi utilizza prodotti surgelati e oltre l’85% dei ristoratori utilizza il grossista come fornitore di surgelati. Un dato comprovato anche da Peter Foppa da Bolzano, titolare dell’omonima azienda di distribuzione aderente a Cateringross: “L’atteggiamento che riscontriamo da parte degli operatori verso il surgelato non è negativo. Da noi gioca anche il fatto che, sul piano logistico, effettuiamo consegne anche per quantitativi ridotti, garantendo in tal modo un’ulteriore attenzione alla catena del freddo. Tra le cate-
cità di selezionare prodotti che, insieme alla qualità, garantiscono costi controllati e ridotti, e soprattutto nessuno spreco nelle porzionature”. “Anche Surgital è convinta che il margine di crescita ci sia e che sia significativo, in particolare nel mondo della pasta fresca surgelata. - asserisce Romana Tamburini - Molti ristoratori sono ancora convinti che la pasta fresca realizzata da pastifici locali sia un prodotto migliore, solamente perché fresco e perché realizzato dal piccolo laboratorio artigianale vicino al ristorante. Questo giudizio però a volte non tiene conto degli unici elementi che rendono il prodotto, un prodotto di qualità: le materie prime buone e il rispetto delle condizioni igienico-sanitarie per garantirne la salubrità. Se queste due condizioni non vengono rispettate, anche se il prodotto è fresco, il prodotto non può essere considerato di qualità. Tut-
di tempo, naturalità, praticità e facilità di utilizzo, disponibilità costante del prodotto, durata e corrette informazioni nutrizionali.
stiamo raccogliendo il consenso e l’approvazione da tutto il mondo della ristorazione”. Una sfida che è stata vinta dal gruppo che ora è impegnato, al pari delle altre aziende del settore e delle organizzazioni che le rappresentano, ad affrontare le azioni che riguardano il superamento del concetto penalizzante dell’asterisco nel menù di ristoranti. “Vogliamo infatti convincere tutto il settore che l’impiego di prodotti surgelati nelle cucine della ristorazione non solo è premiante per l’operatore ma anche per il cliente che deve sentirsi rassicurato dall’impiego di prodotti che sono “più freschi del fresco“ e grazie alla qualità offerta esaltano e premiano il palato” conclude Lambertini. Fa bene vedere un intero comparto unito nell’affermare i valori di una categoria. Serve come esempio a cui l’intera filiera dovrebbe a sua volta contribuire.
Che questi pesci, durante il processo di produzione vengono sottoposti ad un controllo approfondito, per eliminare i parassiti morti che possono apparire in diverse parti. Nell’improbabile caso di ingestione di qualsiasi tipo non produrrà alcuna reazione, tranne che in persone allergiche. “La ristorazione commerciale si sta orientando verso la richiesta di prodotti di servizio più facili alla riattivazione - racconta Graziano Toci, responsabile vendite Italia di Industrie Rolli Alimentari - che comportino alcuni vantaggi. La nostra nuova linea Microfiore è stata studiata apposta per questo: surgeliamo, ad esempio, gli spinaci a due/tre foglie per volta in modo che il prodotto possa rinvenire in microonde in 3 muniti e in 6 in padella”.
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La filiera distributiva Un recente dato di TradeLab afferma che oltre l’85% dei ristoratori utilizza il grossista come fornitore di surgelati: in questo caso un’azienda come si rapporta al grossista per fornire le corrette informazioni sui plus di prodotto? E il grossista in base a quali criteri sceglie: prezzo, qualità ecc...? Ce lo racconta Daniele Lambertini, direttore commerciale di Orogel: “Orogel da sempre si è rivolta a quello che una volta era chiamato ‘catering’, un settore in cui operavano solo i grossisti. Considerata l’importanza del consumo fuori casa e la crescita del settore negli ultimi anni Orogel ha voluto dar vita
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in sala e in cucina
Scuole di cucina per tutti i gusti La cucina come mestiere e passione
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“Se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino non credo sia necessario per riuscire, di nascere con una cazzaruola in capo. Basta la passione, molta attenzione e l’avvezzarsi precisi: poi scegliete sempre per materia prima roba della più fine, che questa vi farà figurare. Il miglior maestro è la pratica sotto un esercente capace…” E già avremmo detto tutto, se non fosse che le parole di Pellegrino Artusi ancora oggi, a centoventuno anni da quando le scrisse, hanno tante ragion d’essere almeno quante sono le declinazioni di gastronomia, di cultura alimentare e di insegnamento delle suddette. Nel 1891 il manuale “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene” raccoglieva 790 ricette che riassumevano le tradizioni domestiche del nostro Paese. Oggi queste tradizioni se da un lato sono tutt’altro che dimenticate - pensiamo che L’Artusi è ancora il libro più letto sulla cucina italiana – dall’altro devono passare attraverso il filtro del progresso, dell’economia e della società: rielaborazioni necessarie per capire se e come chi eravamo può aiutare a definire chi saremo. Il numero delle scuole di cucina sbocciate in questi ultimi anni supera quello delle ricette artusiane, ma tutte hanno un unico denominatore comune: veicolare, creare comunicazione virtuosa
di Alessandra Locatelli
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e consapevole attorno alla cucina, patrimonio di ognuno di noi. Vi proponiamo quelle che, a nostro giudizio, hanno un ingrediente in più. Per Maria Elena Curzio, presidente dell’Associazione Nazionale Cuoche a Domicilio, cucinare “è un mestiere, non un lavoro”: la cucina come mestiere è la riscoperta di gesti, oggetti, parole e tempi che fanno parte della nostra storia, che passa anche attraverso le pagine scritte a mano in bella calligrafia dei ricettari di famiglia, o attraverso i piccoli segreti tramandati a voce di madre in figlia. Elena Curzio, come una Marcel Proust in gonnella, con la sua associazione, nata un anno fa e tenuta a battesimo a Festa a Vico da Gennaro Esposito, prepara le persone al ricordo del gusto, attraverso percorsi personalizzati che esaltano le tradizioni espresse nelle cucine di casa. “Ma non vogliamo entrare in competizione con i cuochi professionisti perché il cibo unisce, insegna, diverte e crea lavoro.” Ne sanno qualcosa anche Alessandro Gioè e Francesca Gittardi, un passato da giornalista lui e uno da grafica pubblicitaria lei, appassionati gourmet che hanno avviato da tre anni “Incontri Con lo Chef”, un progetto di lezioni a tema in cui si impara a cucinare gomito a gomito con cuochi prestigiosi, condividendo insieme il pasto che si è creato. Da aprile i corsi si svolgono a Milano nella location multifunzionale InKitchen LOFT, un open space che ruota attorno alla cucina profes-
sionale posta al centro: “Diamo molta importanza alla cena - commenta la Gittardi - e i nostri chef si dedicano molto a questo, mettendo da parte l’orologio. Cosa c’è di più bello?” Le lezioni ad oggi sono tenute da Maurizio Santin, Nicola Cavallaro, Tano Simonato, Viviana Varese, Marcello Valentino, Danilo Angè, Andrea Alfieri, Natale Giunta, Tommaso Arrigoni & Eros Picco, Matteo Torretta e Andrea Provenzani. Ma chi partecipa ai corsi di cucina? Non potevamo non chiederlo a Carla Brigliadori, responsabile dei corsi di Casa Artusi, a Forlimpopoli: “Chi viene qui sa già cosa troverà. Per noi il passaparola è il veicolo più importante, ci porta persone di tutte le parti d’Italia, diverse per età, sesso, lavoro, esperienza culinaria.” La Scuola di Cucina di Casa Artusi è aperta dal 2008 a tutti coloro che vogliano approfondire la cultura e la pratica della cucina domestica e ai professionisti che desiderano affinare le proprie abilità in settori specifici della ristorazione: collaborano con la scuola alcuni importanti chef italiani e l’Associazione delle Mariette a cui spetta il compito di insegnare i piatti della cucina tradizionale romagnola come la pasta fatta a mano e la piadina. Per le aziende si organizzano inoltre incontri di Team Building: “Componendo insieme i piatti, toccando ognuno il cibo che l’altro mangerà o servendo a tavola i colleghi si lavora sulla condivisione e il coordinamento, e si impara a fidarsi, socializzando
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e ribaltando i ruoli. Alla fine tutti escono trasformati in volto.” Target decisamente eterogeneo anche quello dei frequentatori delle lezioni di cucina organizzate da Carla Soffritti nel suo B&B Il richiamo del Bosco, nel parco regionale Boschi di Carrega a Sala Baganza (Parma): “Coppie, single, uomini, donne, giovani e meno giovani, gruppi di amici, manager, casalinghe. Vengono a mettere le mani nella natura, a lavorare le erbe spontanee, a fare il miele, e passano un sabato a creare qualcosa di buono e salutare.” I corsi si svolgono da più di un anno e spaziano dalla cucina naturale e orientale alle conserve di frutta, dal pane ai tè fino ai cupcake. Quelli citati sono corsi sempre al completo: sarà per il costo, in tutti i casi abbordabile e proporzionato all’offerta, ma anche perché rispondono ad un fenomeno dei nostri tempi, quello che vede il consumatore, cliente al ristorante e corsista a lezione, protagonista attivo nella scelta della propria alimentazione, in casa e fuori, ristorante o bar che sia. In questo scenario, da una parte c’è un cliente che vuole mangiare bene percependo di spendere il giusto, dall’altro un esercente che deve saper rispondere equilibrando le aspettative con il proprio food cost cercando, oltretutto, di fare la differenza. I corsi professionali di ristorazione Cucinarte vanno in questa direzione: nati un paio di anni fa si propongono come uno strumento formativo di Cateringross che faccia incontrare grossisti, produttori e clienti finali, ovvero gli esercenti che hanno ristoranti o cucine veloci collocate in bar e altre strutture ricettive. “I docenti sono chef professionisti che, nelle cucine attrezzate di alcuni soci, mostrano al cliente con offerte personalizzate come poter lavorare i prodotti,” ci ha spiegato Umberto De Marinis. L’idea è lungimirante, per distinguersi e proporsi con un servizio consulenziale qualificante ed innovativo. Le cinque cucine del progetto si trovano presso Saragel a Tagliolo Monferrato (Alessandria), da Foppa a Egna (Bolzano), presso Madia a San Quirino (Pordenone), da Sapori di Toscana a Monteriggioni (Siena) e da Erredi a Monopoli (Bari). “Qui ad esempio abbiamo un progetto con lo chef Fabrizio Sangiorgi per creare piatti con il pesce azzurro, una risorsa dei nostri mari - continua De Marinis - fornendo ai clienti ristoratori indicazioni puntuali, valorizzando il territorio attraverso il valido utilizzo del prodotto e riuscendo a tenere basso il food cost.” Oggi Cucinarte, con 25 corsi tematici di uno o due giorni, è un circuito di qualità a disposizione del grossista di foodservice che ha capito il valore della specializzazione, come evidenziato anche da Alessandro Piazza, amministratore delegato di Madia: “Come azienda che vuole dare valore aggiunto nell’ambito della ristorazione pensiamo che questa attività sia importante per dare sostegno ai nostri clienti: sono momenti di scambio, di cultura, di formazione e informazione che riescono a darci spessore e visibilità anche nel nostro territorio.” Il miglior maestro è la pratica sotto un esercente capace…
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causata dalla crisi: le persone prolungano la permanenza perché hanno rinunciato alla costosa vacanza esotica e per una cifra inferiore, rispetto a quello che spendevano per dieci giorni ai Tropici, riescono a trascorrere molti più giorni sui nostri litorali. L’altro aspetto è che, alla vacanza di mare, molti abbinano la ricerca di tradizione enogastronomica”. A questa richiesta Michele Mucciolo risponde con uno splendido dehor affacciato sulla spiaggia, diviso in due tra ristorante tradizionale e piatti da street food: “Siamo nel cuore dell’area di produzione della Mozzarella di Bufala campana Dop, non possiamo non valorizzarla in tutti i modi possibili, dalla mozzarella in carrozza al panzerotto ripieno, dalla pizza fritta ai cuoppi, fogli di carta paglia in cui trovano posto mozzarelle, frittelle di fori di zucca, verdure croccanti. La gente se li prende e se li consuma sia nel dehor che in riva al mare, a tutte le ore del giorno, fadendone uno dei motivi di scelta di questi luoghi”.
ad esempio il panino con il polpo alla brace è la nostra proposta esclusiva”. Più su, a proposito si specialità esclusive, si incontra Anikò, la salumeria di pesce (forse l’unica al mondo) ideata da Moreno Cedroni in quel di Senigallia (AN). Si potrebbe definire una pizzicheria marittima, ma anche una eateriè, di certo è un prêt-à-porter/ prêt-à-manger che si inserisce a pieno titolo in quella straordinaria categoria dei chioschi di mare che resistono al tempo e alle mode e che rappresentano la vera essenza della vacanza. “L’idea nasce dalla volontà di offrire la mia cucina spogliata dagli orpelli che determinano molti costi aggiuntivi, tipo tovagliato, bicchieri e posate di design, servizio di sala. - spiega lo chef Moreno Cedroni - Da qui il pensiero di dar vita alla salumeria di pesce. Gli ospiti sono felici in questo ambiente, vivono appieno la condizione di informalità che prelude alla vacanza ma la sensazione non cambia per gli abitanti
Dalle mozzarelle ai salumi di pesce C’è una litoranea, tra Bari e Brindisi, dove è molto forte la tradizione dei ricci di mare. A Torre Canne, una frazione di Fasano, Giovannino Sibilio, quindici anni fa, integrò al mestiere di pescatore quello di oste: aprì Albachiara, una minuscola baracca di legno, oggi trasformata ma quel tanto che basta a renderla più funzionale, in riva al mare e cominciò a servire i ricci in ogni versione. “Nel nostro territorio il legame gastronomico con questo mollusco è molto forte - precisa il ristoratore - e il maggior lavoro lo facciamo nel periodo di inizio primavera, poi c’è il fermo biologico della pesca a maggio e giugno e poi si riprende. Ma non mancano altre specialità per i frequentatori del nostro litorale,
di questo territorio che ci frequentano. Le pietanze più richieste? I salumi di pesce, le conserve di pesce e tutta la serie di prodotti di gastronomia che sto creando”.
focus
Il cibo dei chioschi di mare In viaggio lungo le coste italiane tra tradizione e prodotti ad alto contenuto di servizio
di Guido Parri
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Anche la moda è stata contagiata dal cibo, come dimostrano le collezioni ispirate a frutta e verdura di Dolce&Gabbana, Moschino e Versace che imperversano in questa estate dove l’argomento che prende le pagine dei giornali è come conciliare sobrietà e l’irrinunciabile voglia di svago che i mesi più caldi sollecitano a tutti i livelli. L’estate è anche il momento in cui il cibo assume una valenza di socialità e di relax che si contrappone agli atteggiamenti sempre più compulsivi, come il mangiare di fretta davanti al computer dell’ufficio nella pausa pranzo per avere più tempo da dedicare alle attività sui social network. “Da noi si fatica a connettersi e questo, paradossalmente, sta diventando un elemento di pregio - racconta Michele Mucciolo, titolare dei Bagni Laura e del chiosco annesso, sul lungomare di Paestum (SA)- perché viene dedicato più tempo all’ozio e alla scoperta dei cibi tradizionali, come i cuoppi e sciurilli”. Comincia proprio da qui il nostro viaggio in una ristorazione che vive di una sola stagione: quella dell’estate, con i suoi chioschi in riva al mare dove le abitudini gastronomiche variano da regione a regione, così come le esigenze degli operatori. “Quest’anno - spiega Mucciolo - assistiamo ad una controtendenza,
I grandi litorali delle riviere romagnole e venete Cambiano i modi, i gusti e gli stili quando si varca il confine tra Marche e Romagna: qui entrano in gioco i grandi numeri del turismo di massa che fa del Veneto e della Romagna le due regioni in testa alle statistiche dei flussi turistici italiani: parliamo di 20 milioni di arrivi e oltre 90 milioni di presenze. In questo litorale sabbioso che si sviluppa, senza soluzione di continuità tra bagni, alberghi e pubblici esercizi, la richiesta è ovviamente diversa anche per
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la clientela dei chioschi in riva al mare, come testimonia Micaela Boscolo, titolare del Bagno Vianello di Sottomarina Lido (VE): “Da noi la richiesta più alta riguarda il prezzo, il cliente non rinuncia a consumare ma anziché consumare meno premiando la qualità, chiede prodotti a minor spesa e questo rende difficile una coniugazione con la qualità. La nostra fortuna sta nel poter contare anche sugli aspetti logistici e sulla disponibilità dei fornitori grossisti che, consegnando quasi giornalmente, ci consentono di non eccedere in scorte di magazzino, evitando quindi potenziali sprechi. In tal modo, con economie di scala, riusciamo a garantire un corretto rapporto qualità-prezzo”. “Il problema più grande sta nello spazio che queste strutture hanno a disposizione, che non consente loro di avere una gamma troppo ampia di referenze. - afferma Michele Menetto, commerciale di Union
I prodotti ad alto contenuto di servizio Dal viaggio lungo le coste a quello tra prodotti che possono rispondere alle esigenze di questi locali stagionali, in termini di servizio e qualità. Il pane è uno di questi. Lo spreco di pane in Italia è pari al 19% del totale, e molta parte di questo coinvolge proprio la ristorazione nel suo insieme. Allora ben vengano soluzioni come quelle sviluppate dalla ricerca di Agritech, azienda ravennate leader nella produzione di pani surgelati: “Per il canale bar, che interessa anche tutti i vari chioschi balneari, abbiamo studiato alcuni tipi di pane ad elevato contento di servizio.- spiega Enrico Merlo, direttore vendita horeca - I panini pretagliati di varie forme, dalla ciabattina che vanta le caratteristiche di artigianalità, alle conchiglie, pensate apposta per lo sfizio vacanziero,
Catering, azienda veneta di distribuzione associata a Cateringross - Si tratta, in ogni caso, di un segmento molto eterogeneo, con una buona media qualitativa, dove i numeri, in queste aree, spingono verso la ricerca di prodotti ad alto contenuto di servizio che consentano di ottimizzare i tempi di preparazione”. Anche al sud rimane importante il problema dello spazio che impone “un servizio improntato alla consegna pressoché quotidiana, con piccole forniture. Noi consegniamo giornalmente entro le 17, in particolare tutto ciò che riguarda il beverage, mentre il grosso della spesa alimentare i nostri clienti la vengono a fare direttamente al cash and carry sulla base del fabbisogno giornaliero. Questo sta a significare anche una buona attenzione alla qualità” racconta Luigi Lombardi, titolare di Lombardi Catering, atti-
sono già cotti e surgelati con un procedimento che ne consente il rinvenimento a temperatura ambiente in breve tempo. Inoltre, la dimensione standardizzata permette al gestore una farcitura sempre perfetta”. La gamma si amplia con le piadine, in diversi formati, dove è stata posta l’attenzione ad una tradizione quasi maniacale che evidenzia le differenze tra la piada di Rimini e quella romagnola: “Più grande e sottile la riminese che permette di arrotolarla; più spessa e piccola quella tipica romagnola. Ma entrambe imperversano nei chioschi della riviera” chiosa Merlo. Il companatico per il pane, come si usa dire, lo propone Eurocotti che, per l’estate, ha preparato una linea di carni a marchio Salumi Reali, commercializzata da Cateringross, che tiene conto degli indici di
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va in tutta l’area del bacino napoletano.
leggerezza e salubrità che, in ogni caso, si chiedono ad uno spuntino sotto l’ombrellone. “Abbiamo messo in commercio, per questo specifico tipo di ristorazione, un carpaccio di manzo stufato che vanta diversi plus, oltre a naturalità della materia prima che si confronta in tutto e per tutto con la bresaola; soltanto che costa circa la metà ed ha una shelf life più lunga, pari a 150 giorni” precisa Alberto Giacobbe, amministratore delegato dell’azienda. A questo specifico prodotto ne sono stati affiancati altri tre: il classico roast-beef, pollo, tacchino e lonza arrosto. “Tutte le referenze vantano sia la certificazione Halal sia l’inserimento nel prontuario dell’AIC, perché assenti di glutine e di allergeni” specifica Giacobbe. Nel settore della salumeria primeggia la nuova gamma dei prodotti Fiorucci, lo storico marchio alimentare italiano, che ha realizzato apposite vaschette, per la ristorazione e il bar, per i salumi preaffettati, in particolare il prosciutto crudo. Il valore, oltre alla qualità del prodotto, sta nella lunga durata grazie ad un sistema di chiusura che mantiene inalterato il gusto e la freschezza e nella possibilità di impilarle nel frigo, utilizzando al meglio il poco spazio a disposizione. Non ultimo in termini di valore, la totale assenza di scarto che permette una puntuale gestione del food cost. Non manca la proposta innovativa che arriva dall’azienda Farm Frites che, per quanto riguarda la piccola ristorazione veloce, è sempre alla ricerca di innovazione di prodotto, come le nuove linee Home Style e Cheese Special descritte da Adriano Ricci,
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responsabile per il mercato italiano: “Le due nuove linee che proponiamo per l’estate sono dedicate alle patate e ai formaggi. La prima è composta da quattro referenze di patate fritte, surgelate da riattivare, indicate per gli abbinamenti con ogni tipo di carne. La linea dei formaggi, che comprende Goat, Camembert, Brie e Mozzarella, è composta da porzioni di formaggi fritti che variano da 25 a 38 pezzi per chilo di prodotto, con un ottimo range di economicità”. E, per chiudere la carrellata degli alimenti consumati nelle cucine degli stabilimenti balneari, ci sono le proposte di Demetra: gli Ortaggi ricettati e la linea Frutti di mare. “La praticità di utilizzo e sapori sempre freschi e naturali derivanti dalla scelta di materie prime di qualità, sono le caratteristiche degli ortaggi Demetra disponibili al naturale oppure ricettati seguendo le ricette tradizionali mediterranee. La varietà e la vastità della gamma permettono di cambiare e reinventare tutti i giorni l’offerta del locale - spiega Teresa Pecora, responsabile marketing dell’azienda di Talamona (SO) - mentre nella linea Frutti di mare si concentrano i profumi e i sapori di molte specialità di mare: dal tonno, ai gamberetti e acciughe a filetti governate in olio. Tutti i prodotti sono attentamente selezionati e studiati per ogni esigenza”. Tradizione e internazionalità si contaminano sulle nostre coste, complice la straordinaria cultura dell’ospitalità italiana che, da sola, potrebbe contribuire a salvare dalla crisi questo Paese se solo venisse valorizzata a dovere.
il cibo giusto
La pizza è italiana
biamo abbracciato con tutto il cuore e vissuta come interamente nostra”. Come reagisce l’Italia a questa provocazione? “La pizza è un prodotto internazionalmente famoso e noi pizzaioli napoletani dobbiamo aprirci al mondo, senza paura delle innovazioni - ha affermato il presidente dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, Antonio Pace, presentando l’Albo dei Pizzaioli e dei afFornitori - ed è per questo motivo che lavoreremo af finché si crei una federazione con base a Napoli ma che guarda a tutti i continenti, in modo che la tradizione venga seguita in tutto il mondo, anche se non al 100%. Ma è meglio avere una pizza napoletana preparata sfiorando la perfezione, piuttosto che una focaccia che pretende di chiamarsi pizza napoletana”. Il prossimo appuntamento dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, in corso dal 3 al 5 luglio (mentre questo numero della rivista sarà in stampa) a Napoli, è una convention internazionale in cui si svolgeranno anche “Le Olimpiadi della Pizza Napoletana”, un concorso, articolato in 5 discipline (così come i cerchi delle Olimpiadi): Pizza classica, Pizza fantasia (innovazione della tradizione secondo il disciplinare AVPN), Pizza Artistica, Pizza Fritta e Mastunicola
(disco di pasta, strutto o olio extravergine, basilico e pepe per esaltare l’impasto). La manifestazione sarà animata da workshop delle aziende, da seminari di approfondimento su prodotti e ingredienti, nonché da momenti di incontro tra gli addetti ai lavori. “Quello dei workshop e dei concorsi è uno dei metodi più stimolanti per sensibilizzare e valorizzare la pizza e tutto ciò che le ruota intorno - chiosa Stefano Pistollato, responsabile commerciale del marchio Le 5 Stagioni del gruppo Agugiaro&Figna Molini spa - a cui il nostro gruppo presta particolare attenzione da più di trent’anni. Del resto siamo stati i primi a realizzare farine speciali per la pizza e a credere nel canale grossisti per raggiungere i pizzaioli. Di recente, proprio ad un seminario organizzato dall’Associazione Verace Pizza Napoletana, abbiamo presentato ai 200 pizzaioli partecipanti ‘Naturalmente Verace’, un prodotto messo a punto dal Centro Ricerche di Agugiaro & Figna in collaborazione con lo staff tecnico dell’AVPN, che hanno lavorato ad una tecnologia innovativa per produrre il lievito madre essiccato in polvere”. Nel caso di ‘Naturalmente Verace’ non si elimina il lievito di birra, ma se ne riduce la quantità richiesta che serve solo da innesco alla fermentazio-
Scenari in movimento per un prodotto che resiste alla crisi
di Carolina Bellini
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In Italia ci sono 25.300 pizzerie classiche, a cui si aggiungono altre 26.700 tra asporto, al taglio e a domicilio, che danno lavoro a 87.316 addetti e generano un fatturato pari a 6,95 miliardi di euro. Se ci si aggiunge la crescita esponenziale di pizze industriali (40.000 tonnellate solo nel surgelato) il mercato triplica e raggiunge il valore di 16,6 miliardi di euro, con 7,6 kg pro-capite di consumo. Nonostante questi dati diffusi dall’Istituto Europeo della Pizza Italiana, il nostro paese è il secondo al mondo per consumi, superato dagli Stati Uniti che vantano il primato di 13 kg pro-capite e puntano anche ad avere l’egemonia di essere loro gli inventori della pizza: almeno questo è ciò che si cerca di far passare nell’immaginario collettivo. Ci ha provato anche Alan Richman, noto scrittore americano di cibo, scrivendo sul magazine GQ: “La pizza è nata a Napoli, ma in questo momento giustamente appartiene a noi, se ne mangia di più, a differenza degli italiani. La apprezziamo a cena, a pranzo e a colazione, quando abbiamo freddo, in piedi, per fare andare via i postumi di una sbornia. La pizza non è così fondamentale per l’Italia come lo è in America. Laggiù, gioca un ruolo secondario rispetto alla pasta, al risotto e alla polenta. Per essere sincero, penso che potrebbero farne a meno. Non noi. Da noi, è uno dei pochi alimenti stranieri che ab-
Petto di pollo al forno Petto di tacchino al forno
Porchetta al forno
Prosciutto cotto grigliato
Prosciutto cotto brace
Roastbeef
Carpaccio di manzo
i piatti freddi per la tua estate
Petto di Pollo e Tacchino
Car
PRodotto da:
o nz Ma i io d pacc
Roastbeef
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ne; per il resto si ottiene un lievito madre attraverso la fermentazione spontanea della farina impastata e lievitata più volte fino a raggiungere il corretto grado di acidità. A proposito di lievito madre e di made in Italy Oggi si fa un gran parlare di lievito madre e di lievitazione naturale, ma in realtà come si identifica il lievito madre? Ed è proprio quell’ingrediente a fare la differenza per decidere la qualità della pizza? “Il lievito madre offre aromi e profumi alla pizza, ma è sbagliato parlare solo, come si fa in molti casi, di lievitazione naturale. - precisa Riccardo Menon, titolare di World Pizza, una piccola catena di pizzerie a Roma, e direttore della Scuola Specialistica Master Pizzaioli a Roma -Bisogna sempre parlare di lievitazione e maturazione; infatti il lievito madre si ottiene anche dal lievito di birra, opportunamente lasciato maturare. La nostra regola è di lasciar fare all’impasto almeno 48 ore di maturazione”. Menon torna anche sull’argomento della pizza made in Italy, ribadendo la necessità di proseguire nell’attività formativa: “Stiamo notando una frequenza sempre maggiore di persone nelle nostre scuole e ai corsi. Sono queste le situazioni in cui si deve riaffermare l’italianità della pizza, facendo in modo che si utilizzino solo prodotti italiani, ingredienti territoriali che sappiano dare identità alla pizza”. Dello stesso parere è Angelo Cappai, direttore commerciale di Alival, azienda leader nel settore latticini, che sta assistendo “ad una maggior attenzione verso prodotti legati alla denominazione d’origine, in particolare per la mozzarella di latte vaccino STG (Specialità Tradizionale Garantita) prevista dal disciplinare della pizza napoletana. La richiesta di questi prodotti arriva da quelle pizzerie, legate a circuiti come Slow Food, che sono attente alla qualità delle materie prime. Notiamo anche una crescita dei prodotti a marchio, come quelli che produciamo per Cateringross, che fanno leva su un ottimo rapporto prezzo-qualità-esclusività”. Invece sulle azioni formative fa leva Conserve Italia come illustra Giorgio Mazzoli, marketing manager del gruppo: “Conserve Italia Foodservice, nell’azione di diffusione sul mercato dei prodotti delle gamme Cirio Alta Cucina e Valfrutta Granchef, svolge una costante opera di formazione per distinguere le valenze dell’ingrediente che ha l’obiettivo di mantenere il livello qualitativo del prodotto fresco arrivato in stabilimento, e cultura di utilizzo, cioè per quali ricette e per quali tipi di utilizzatore è meglio indirizzato ogni ingrediente/prodotto. Questa attività di formazione viene effettuata sui funzionari commerciali che interloquiscono con i distributori foodservice, sui venditori dei grossisti stessi con seminari ad hoc e anche visite agli stabilimenti, sugli chef promoter che ogni giorno visitano centinaia di pizzerie e ristoranti in ogni parte di Italia, trasferendo poi, anche con materiali didattici specifici gli elementi culturali sopraddetti, molto richiesti da chef e pizzaioli”. Scenari in movimento A differenza del resto del mondo, in Italia le catene di pizza non
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riescono a sfondare e Stefano Pistollato sostiene che “difficilmente ci riusciranno. Per fortuna la pizzeria in Italia è ancora un comparto molto artigianale, dove ogni pizzaiolo è gelosamente custode delle proprie ricette che contribuiscono a dare identità al locale”. Un fenomeno che però sta interessando molte categorie di persone: dai cinesi, come ci racconta Ivano Morandi, grossista di Modena specializzato nel comparto pizzerie, ai ristoratori. “A Modena siamo passati, in pochissimi anni, al raddoppio delle pizzerie. Noi ne serviamo circa 200 e abbiamo notato di recente questa serie di aperture che fanno capo ad investitori cinesi che hanno fatto fare i corsi al personale per poi aprire in catena, con costi competitivi. Oggi, purtroppo, vediamo che si riduce a minoranza chi viene ad acquistare cercando prodotti particolari, farine di qualità. La crisi spinge verso linee a basso prezzo che, a detta degli operatori, sono l’unico modo per tenere la clientela” afferma Morandi dal suo osservatorio. “Il canale pizzeria, sempre abbastanza snobbato, e considerato come bassa ristorazione, oggi si sta dimostrando l’unico in grado di resistere alla crisi - rilancia Franco Gialdini, amministratore di GP Food di Pistoia - e, in termini qualitativi, stiamo osservando che c’è una diversa attenzione. La gamma delle tipologie di pizza si apre ai più svariati ingredienti, è in atto una profonda innovazione dove gli stessi ristoranti, soprattutto quelli di cucina d’autore, stanno introducendo la pizza”. Un esempio è quello di Stefano Ciotti, chef stellato del ristorante Vicolo Santa Lucia di Cattolica, che in autunno abbandonerà la stella per trasferirsi nella campagna urbinate dove, presso lo splendido relais Urbino Resort, aprirà una pizzeria, parte integrante di un ampio progetto: “L’apertura della pizzeria nasce da due fattori: il primo è la cosciente responsabilità di dare un motore economico al progetto che solo una struttura dai grandi numeri, come una pizzeria, può dare. Il secondo è la voglia di mettere a disposizione di un numero di persone più ampio 25 anni di esperienza di cucina tra Italia e mondo. Poi verrà, previsto nel progetto, anche un ristorante di alta qualità che valorizzi ancor di più il resort”. La pizzeria di Stefano Ciotti avrà la particolarità di essere a filiera chiusa, con i prodotti che arrivano dalla tenuta e la selezioni di fornitori di qualità totale. E si torna a dimostrare come la pizza sia un vero prodotto italiano.
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pizza izza e pomodoro
Ne parliamo con Giorgio Mazzoli marketing manager di Conserve Italia Il mondo della pizza sta cambiando, si sperimentano nuove lievitazioni, tecniche di cottura e prodotti: in questo scenario anche per il pomodoro ci sono richieste particolari? “Per quel che concerne i semilavorati di pomodoro per la pizza, non abbiamo attualmente particolari sollecitazioni legate a nuove esigenze tecniche degli utilizzatori professionali; è anche vero comunque che il successo delle gamme di pomodoro in bag in box per la ristorazione che Conserve Italia Foodservice propone nei marchi Cirio Alta Cucina e Valfrutta Granchef è legato anche al fatto che nelle varie ricette che si differenziano per consistenza e polposità, e per livelli di concentrazione o grado brix (maggiore o minore acquosità) del prodotto, ogni utilizzatore può provare e trovare il pomodoro pronto adatto al suo gusto, ma anche ai parametri richiesti dalla tecnologia da lui scelta”. Qual è la tipologia di salsa più richiesta per la pizza? “Storicamente il pizzaiolo preparava il suo pomodoro per pizza lavorando il pomodoro intero pelato con la sua salsa, e questo ancora oggi viene fatto da molti pizzaioli “puristi”; oggi sempre di più il processo di preparazione viene bypassato utilizzando delle polpe pronte estruse, cioè semilavorati di pomodoro, prodotti praticamente identici a quello che realizzerebbe il pizzaiolo partendo dal pelato”.
il prodotto
Gelato gelato gelato Nuovi gusti e nuove tendenze lo mettono al primo posto tra gli oggetti del desiderio
di Giorgio Zanelli
Palmiro Bruschi Accademia della Gelateria Italiana
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Negli anni ’50, quando fece il suo esordio di massa, il gelato aveva un consumo pro-capite di 250 grammi a testa, in pratica due o tre coni a persona e solo nei mesi estivi. Oggi quei coni, nel periodo estivo, sono diventati 20 a testa, ma il gelato è ormai un prodotto destagionalizzato, e le persone che consumano il gelato fuori casa, nei mesi estivi, sono un popolo di 23 milioni di persone, che danno vita ad un giro d’affari di circa 2 miliardi di euro, come rileva l’indagine ‘Gli Italiani e il gelato confezionato fuoricasa d’estate’, realizzata un anno fa, all’inizio dell’estate, da Eurisko/Istituto del Gelato Italiano, per indagare sulle abitudini degli italiani verso uno dei prodotti più amati in assoluto. Mentre è recentissima la ricerca sulle tendenze, portata avanti dall’Osservatorio Sigep, il salone internazionale della Gelateria, Pasticceria e Panificazione Artigianali di Rimini Fiera, che conferma le considerazioni fatte dal maestro gelatiere Palmiro Bruschi, titolare della Gelateria Ghignoni di San Sepolcro (AR), membro dell’Accademia della Gelateria Italiana e 1° Campione Italiano della Gelateria: “Stanno cambiando i gusti. I ragazzi si orientano verso gusti più decisi che, nell’acquisto, condizionano anche i più adulti che sono invece orientati ai sapori evergreen come
cioccolato, panna e nocciola. Questa è l’estate di zenzero, liquirizia, menta ma anche dei sapori che potremmo definire a Km0, ossia i gelati che usano ingredienti come zafferano dop, vini, ortaggi, formaggi e pane. L’uso dei prodotti locali consente al gelatiere innumerevoli varianti, oltre a nuove creazioni personali”. Le proposte del maestro gelatiere variano dall’uso del Chianti fino al Cioccotrifola, in una gamma di trenta gelati che vengono ancora serviti anche nel carrettino originale, vera icona degli anni ’50. Tra affetto e riconoscibilità C’è una sorta di approccio affettivo al gelato, alle sue grandi storiche marche, come ad esempio Algida o Motta, anche se diventano marchi di proprietà di multinazionali come Unilever e Nestlè, anche se cambiano le strategie di comunicazione e marketing. Ognuno di noi mantiene la sua icona prediletta, a cui rimane legato per tutta la vita, sia che si tratti del cornetto, del pinguino, della Coppa del nonno, per quanto possano cambiare i nomi di fantasia. Lo stesso avviene quando si parla di gelato artigianale: in Italia ci sono circa 37.000 gelaterie artigianali che danno lavoro a 150.000 persone (dati Confartigianato), ma sfido chiunque a dichiararsi disposto a cambiare la gelateria di riferimento. Al massimo
ne aggiunge un’altra ma senza abbandonare la precedente. Ma, in tutto questo turbinare di dati, di ricordi e di persone - a proposito, a mangiare il gelato è l’87% degli italiani, secondo Nielsen, e il 94% degli intervistati afferma che come merenda preferisce dare ai propri figli un gelato artigianale piuttosto che una merendina - come si riconosce un buon gelato? “Con gli occhi! - non ha dubbi Palmiro Bruschi - Il primo impatto è visivo, la struttura e le tonalità dei vari gusti devono essere di coloro tenue e pastellato. Bisogna diffidare dei colori intensi”. A questo aspetto se ne aggiungono altri che riguardano il servizio praticato in gelateria: la spatola di acciaio in ogni vaschetta e l’assenza di sbavature sui bordi; l’elenco degli ingredienti esposto in un cartello ben visibile; il termometro del banco frigorifero a -14°/-15°C. Di forte appeal nella percezione del cliente è anche l’esposizione alle pareti o vicino al banco di cartelli o immagini che sottolineano l’impiego di prodotti biologici, Dop o locali. Mentre, per i gelati confezionati è assolutamente indispensabile garantire ordine e una perfetta esposizione nei banchi e nei frigoriferi. Questo evita anche le rotture dei gelati all’interno dell’involucro che risulta essere una delle peggiori sensazioni che il cliente prova, al punto di non ritornare mai più in quel locale. “In effetti quello delle gelaterie è un
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mercato complesso che noi stiamo indagando da circa un anno - ci spiega Luca Fabbroni, responsabile commerciale dell’azienda di distribuzione Tavanti Giovanni di Arezzo - e notiamo una crescita esponenziale di nuove aperture. Mediamente le gelaterie fanno un ordine importante all’inizio della stagione, con le basi dei vari gusti, salvo poi integrare in funzione dei consumi e delle tendenze nel corso dell’anno. Le preferenze rimangono comunque sui grandi classici: cioccolato, vaniglia, nocciola e limone”. Un nuovo modo di consumare Appurata la destagionalizzazione del prodotto, quali sono i momenti di consumo del gelato? La ricerca Eurisko/IGI fa emergere che il momento della giornata preferito dagli italiani per gustare un buon gelato è al pomeriggio come merenda (62%). A seguire troviamo la sera (40%) e al termine della cena come dessert (13%). Ma alcune cose stanno cambiando, come ad esempio, soprattutto in estate, si sceglie di consumare un gelato come sostituto del pasto a pranzo. Alcuni locali, nelle città italiane, che offrono menù fissi tipo panino o insalatina, cominciano a proporlo magari
al posto del caffè. Ma è nella ristorazione che il gelato sta catturando l’attenzione, complice anche la manifestazione Il Gelato nel piatto, ideata da Donato Troiano di informacibo.it: “L’idea nasce da un’affermazione di uno chef che sosteneva che tutto ciò che è commestibile può essere trasformato in gelato. Le edizioni dell’evento, che oggi coinvolge cento chef in Italia e nel mondo che mettono in menu piatti a base di gelato con i prodotti italiani a denominazione d’origine, stanno dimostrando una cosa. Ovvero che si può fare, ma occorre grande competenza nell’ottenere uniformità e armonia tra i sapori”. Un ottimo esempio ce lo offre Andrea Tranchero, chef quarantenne nato a Cuneo e da un anno (dopo varie esperienze tra Tokio e Pechino) al Ristorante A modo mio a Perth, in Australia, con una ricetta che coniuga il gelato al Parmigiano-Reggiano, con il Prosciutto di Parma, le amarene Fabbri e il rabarbaro: “Essere chef italiani all’estero ci impone di
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i gelati di Callipo
Ne parliamo con Gianluca Sai, direttore Commerciale della Callipo Gelateria Srl Callipo Group è un gruppo societario di sei aziende che occupano complessivamente oltre 350 addetti. Al suo interno, la Callipo Gelateria Srl si propone l’ambizioso obiettivo di far conoscere in Italia e nel mondo la tradizione gelatiera di Pizzo di Calabria. Nella gamma della Gelateria Callipo ci sono referenze anche per il canale ho.re.ca.? “Sono diverse le referenze; si va dal tipico tartufo di Pizzo, gelato che ha reso famosa la nostra città in tutto il mondo e che produciamo secondo la ricetta tradizionale, ai dessert con semifreddo, alle torte, alle coppe in vetro e in coccio fino ai mantecati. Nel canale ci proponiamo come azienda innovatrice attraverso prodotti originali e vere e proprie novità come le coppe ‘Deco’, disponibili in tre gustose varianti, e gli stessi tartufi che abbiamo reinventato nel solco della tradizione proponendo originali interpretazioni come il ‘Tartufo Liquorice’, prodotto con gelato al liquore di pura liquirizia calabrese e fiordilatte”. Con quali criteri vengono selezionate le materie prime che utilizzate? “La Gelateria Callipo utilizza esclusivamente panna fresca e latte fresco di alta qualità provenienti da selezionate aziende agricole calabresi in una logica di reperimento delle materie prime legata il più possibile al territorio e alla filosofia del km.0. Inoltre non aggiungiamo grassi idrogenati e scegliamo le migliori materie prime nelle loro terre d’origine. Le creme alla nocciola e al pistacchio e alla frutta vengono prodotte con puree e succhi di provenienza esclusivamente italiana. Tutti questi accorgimenti conferiscono ai nostri gelati un gusto persistente e naturale, garantendo un alto livello di qualità artigianale e coniugando la migliore tradizione gelatiera italiana con la modernità di uno stabilimento all’avanguardia”.
essere anche i primi testimonial dei prodotti di qualità del made in Italy. Lo facciamo come Gruppo Virtuale Cuochi Italiani, a cui aderiamo in quasi duemila chef, ma anche con iniziative come questa del Gelato nel Piatto che ci permette di affermare creatività unita a storia dei nostri prodotti”. “Il gelato nella ristorazione è uno straordinario valore aggiunto - rimarca il maestro gelatiere Palmiro Bruschi - perché consente di esprimere gusti che difficilmente trovano spazio nelle gelaterie. Ma soprattutto diventa un’occasione per valorizzare il gelato come prodotto italiano; una battaglia che sto portando avanti da tempo.” Da sempre considerato esclusivamente come dessert a fine pasto, il gelato sta assumendo ruoli diversi, come racconta Antonio Raffaele, chef di Artecrazia a Lecce, nonché vincitore (nel maggio scorso) del concorso “The best dolce alle nocciole in the world”, tenutosi a Cortemilia, nell’Alta Langa in Piemonte, deliziando i palati dei giudici con un gelato senza uova e con croccante di nocciola: “Il gelato salato, come deve essere definito, ha due funzioni: come sostituto, a metà pasto, di quegli orribili sorbetti degli anni Ottanta, e come abbinamento al piatto capace di conferire ulteriore consistenza ma anche la sensazione di freschezza che sempre più spesso viene ricercata dai gourmet”. Nuova vita per il gelato, sia nelle occasioni di consumo sia nel modo di parlarne, come dimostra il monitoraggio di 27 miliardi di conversazioni on line effettuato da Net Base che rivela come il gelato sia tra gli oggetti del desiderio; l’universo femminile lo mette al primo posto, a seguire pizza e cioccolato.
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Zuppetta calda di frutti di bosco con sorbetto al mojito
melba evoluzione
Gelato “caprese”
Ingredienti: per crema
Ingredienti: per 1 kg di gelato al pomodoro
Ingredienti:
550 g di latte intero, 0 g di latte in polvere scremato, 80 g di panna al 35 %, 120 g di tuorlo, 110 g di zucchero semolato, 50 g di sciroppo di glucosio de, 5 g di neutro per creme
150 g di zucchero, 1 vaschetta di mirtilli, 1 vaschetta di more, 1 vaschetta di fragole (consigliabile se di bosco), 1 vaschetta di ribes, 1 vaschetta di lamponi, 1 limoni freschi in succo, 2 arance fresche in succo, sorbetto al mojito, foglie di menta, zucchero a velo q.b.
Ingredienti: per per sorbetto al mojito
150 g di zucchero, 1 vaschetta di mirtilli, 1 vaschetta di more, 1 vaschetta di fragole (consigliabile se di bosco), 1 vaschetta di ribes, 1 vaschetta di lamponi, 1 limoni freschi in succo, 2 arance fresche in succo, sorbetto al mojito, foglie di menta, zucchero a velo q.b.
In una padella far caramellare leggermente lo zucchero, aggiungere il succo d’arancia al caramello e far ridurre della metà. Una volta ridotto, aggiungere i frutti di bosco, precedentemente lavati e tagliati se di grandi dimensioni. Finire la cottura dei frutti lasciandoli croccanti. Aggiungere il succo di limone. Servire in un piatto fondo con al centro due palline di sorbetto al mojito a testa, una spolverata di zucchero a velo e guarnire con qualche foglia di menta fresca.
Chef Bernard fournier ristorante da Candida Campione d’Italia - www.dacandida.net
le ricette degli chef 8 _ cateringnews.it • luglio/agosto 2012
Versare gli ingredienti liquidi e in sciroppo in un contenitore o strumento per effettuare il riscaldamento. Dosare gli ingredienti in polvere e miscelarli bene con lo zucchero. Aggiungere a pioggia gli ingredienti in polvere a quelli liquidi mescolando e riscaldando. Aggiungere 1 bacca di vaniglia o la scorza di un limone (non trattato) ottenuta con uno zester. Portare a 85°c. Far raffreddare dopo di che versare nel mantecatore e gelare. Ingredienti: per crema (ricetta semplice) 570 g di latte intero, 0 g di latte in polvere scremato, 75 g di panna al 35 %, 120 g di tuorlo, 190 g di zucchero semolato Stesso procedimento Cubetti di pesca al lambrusco Nettare e cubettare 700 g di pesche gialle con la polpa ben soda. Aggiungere ai 700 g di cubetti di pesche gialle 400 g di zucchero e 500 ml di lambrusco e ½ stecca di cannella. Cuocere in padella sino all’ottenimento di una salsa densa ma fluida di lambrusco e zucchero con i cubetti di pesca ancora belli croccanti. Porre i cubetti ed il succo di contorno in idoneo contenitore in frigo.
Gelato al pomodoro fiaschetto di Torre Guaceto (Br) Presidio Slow Food, 320 g di polpa di pomodoro, 250 g di acqua minerale, 100 g di base neutra bianca, 5 g di farina di Carrubbe (stabilizzante), 322 g di sciroppo di zuccheri, 3 g di fior di sale
Frullare acqua e stabilizzante insieme, aggiungere la polpa di pomodoro a base bianca neutra, il sale, lo sciroppo di zuccheri. Mantecare nel mantecatore e servire con qualche goccia di olio extra vergine di oliva sopra il gelato.
Scaloppa di fegato d’oca con fragole, scampo arrostito e fresco all’aceto balsamico Ingredienti:
scaloppe di fegato grasso d’oca Ungherese di 70 g cad., 1 bicchiere di Recioto di Soave, code di scampi freschissimi, 100 g di concassé di fragole regina mature, sale e pepe q.b
Ingredienti: per il gelato
3 tuorli d’uovo, 50g di zucchero, 125g di latte intero, 125g di panna fresca, 25 gocce di aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia aragosta
Ingredienti: per gelato al basilico
950 g di base bianca neutra, 30 g di foglie di basilico, 18 g di sciroppo di zuccheri, 2 g di fior di sale
Mettere in infusione a freddo le foglie di basilico con la base neutra per 24 ore. Il giorno successivo frullare 200 g di base neutra con le foglie di basilico, aggiungere la base neutra restante, lo sciroppo di zuccheri, il sale e la farina di Guar. Mescolare il tutto e mantecare nel mantecatore. Servire con una foglia di basilico cristallizzata.
Ingredienti: per gelato alla mozzarella
300 g di mozzarella, 230 g di acqua minerale, 200 di base neutra bianca, 3 g di fio di sale, 267 g di sciroppo di zuccheri
Inserire tutti gli ingredienti nel bicchiere del Pacojet, far riposare per 24 ore. Pacosare al momento del servizio.
Crema alla Melba evoluzione Servizio: in una coppa ben fredda inserire sul fondo uno spruzzo di panna montata e topping o coulis di lamponi. Adagiare un cucchiaio di cubettata di pesche. Posare una pallina o una quenelle di gelato di crema. Rifinire con un po’ di panna montata e un filo di topping o coulis di lampone.
N.B. la base neutra di questi gelati è rigorosamente fatta con latte fresco e panna fresca senza l’utilizzo di prodotti semi lavorati.
Chef francesco e Giuliano palmieri pasticceria Gelateria il fuego Borgo Poncarale (BS) -
[email protected]
Chef antonio raffaele ristorante artecrazia Lecce - www.arthotel-lecce.com
Portare a temperatura media una padella antiaderente e far rosolare in entrambi i lati il fegato d’oca, tenendolo poi da parte. Nel frattempo deglassare la padella con il recioto, ridurre la salsa e per finire aggiungiere una noce di burro. Per il gelato: portare a bollore il latte e la panna, che successivamente andrà ad aggiungersi alle uova, e lo zucchero mescolate precedentemente senza montarle. Rimettere il composto sul fuoco e con l’aiuto di una spatola mescolare ripetutamente portando la miscela fino a 80 gradi. Raffreddare velocemente, unire infine l’aceto balsamico e mantecare nella sorbettiera. Per la presentazione: mettere sul fondo del piatto la salsa, sopra di essa disporre la scaloppa, lo scampo arrostito e infine, con l’aiuto di due cucchiai, formare una quenelle di gelato e terminare con le fragole.
Chef massimo fezzardi ristorante esplanade Desenzano del Garda (BS) - www.ristorante-esplanade.net
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hotel Bellevue Cogne (Ao)
ristorante Gradinoro Tarquinia (VT)
Rue Gran Paradis 22 www.hotelbellevue.it
Lungomare dei Tirreni, 17 www.ristorantegradinoro.it
Teatro di amori fra case reali ma anche luogo dell’anima per gli abitanti locali, museo unico al mondo e tempio indiscusso della cucina d’alto livello. Questa casa di famiglia con panorama mozzafiato sul Gran Paradiso affonda le radici del proprio successo nella cura dell’ospite, non del cliente, come ci spiega Piero Roullet: “Vogliamo che viva un’esperienza irripetibile e irreperibile. Tutto, dal racconto di come nasce una portata al pianista sempre presente a cena, concorre a suscitare emozioni a cascata, in cucina come in cantina e in camera da letto.” Ecco dunque i quattro ristoranti, dislocati tra l’hotel e il centro storico: se in albergo i dieci cuochi fanno sperimentazione attingendo dalla buona terra e al Petit Restaurant i soli quattro tavoli garantiscono la serata romantica per antonomasia, al Bar à Fromage si riscoprono gli odori valdostani nel piatto e nel bicchiere, mentre la Brasserie du Bon Bec regala un’allegra sosta veloce ma di carattere. “Amiamo circondarci di collaboratori motivati, legati” continua Roullet “che vivano questo lavoro con passione, curiosità ed emozione. Perché è una vocazione: ognuno ha la propria ed è giusto fornire il giusto spazio per esprimerla.” Le origini dell’hotel, che nel 1925 nasce come foresteria delle miniere locali, si ritrovano in ogni ambiente, arredato con mobili, oggetti e dipinti d’epoca, e nelle mise en place, che non lasciano nulla al caso. Il curatissimo orto fornisce le erbe di stagione lavorate per esaltare ogni portata. Rivivono in luce nuova i piatti della storia, come l’Uovo di re Vittorio, una fonduta con tartufo, o la vera Favò di Ozein, che fino a pochi anni fa si trovava solo qui, e si sceglie tra due intelligenti carte dei vini: l’hotel infatti è stato il primo in Italia ad affiancare a quella tradizionale una carta verde, dedicata ai vini naturali, biologici e biodinamici.”
Amato da molti e da decenni, per la posizione che affaccia direttamente sulla spiaggia e per la costante qualità delle ricette che pescano nella tradizione di nonna Assunta che aprì il locale sessant’anni fa. “Io cominciai a otto anni – racconta Bruna – quando qui non c’era null’altro che sabbia. I miei genitori, Gradinoro e Assunta, decisero di impiantare un piccolo chiosco dove si faceva mescita di vino e piccola cucina”. Erano gli anni in cui l’Italia stava ricostruendo una nuova vita dai disastri della guerra, “non c’era né luce né tantomeno il frigorifero. Al posto delle auto c’erano i cavalli e i rari turisti arrivavano in pullman da Viterbo alla domenica”, ricorda la signora Bruna Jacopucci. Gradinoro e Assunta poco alla volta trasformarono il chiosco in ristorante, tutti i guadagni vennero reinvestiti per anni fino a creare anche uno stabilimento balneare, tra i primi per l’epoca. Nello stabilimento la gente si portava tutto da casa, gli ombrelloni e gli sdrai. Solo il mangiare fu la prima cosa che smisero di portarsi appresso perché le fettuccine al pomodoro e al ragù di nonna Assunta diventarono in breve tempo proverbiali. “Noi mettevamo tutto a disposizione e tra chi veniva si creavano immediatamente delle belle e solide amicizie. Ancora adesso abbiamo clienti che vengono da quarant’anni. Qui c’è un ambiente di persone pulite.” spiega Bruna Jacopucci. Gradinoro è rinomato come uno dei migliori ristoranti di pesce del litorale. Solo pesce fresco portato dai pescatori o che arriva quotidianamente dall’asta di Civitavecchia dove gli Jacopucci hanno il loro
meglio prenotare testi di: Luigi Franchi, Alessandra Locatelli, Antonio Longo
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fornitore di fiducia. La gente continua ad apprezzare la semplicità della cucina portata avanti dalla terza generazione: Sandra e Fabio, i figli di Cesare e Bruna che continua a restare in cucina a dare una mano. Piatti tradizionali come ‘le fregnacce’ (pizzicotti di acqua e farina con pomodoro fresco e pecorino), minestra di fagioli e castagne, ‘la canata’ (piatto tipico dei contadini locali), si mischiano ad oltre trenta tipi di pesce fresco cucinato in ogni modo migliore. Il tutto condito da un regalo che il Gradinoro offre gratis ogni giorno: il tramonto sul mare.
della casa di buon carattere. “Non seguiamo le mode, preferiamo garantire continuità attraverso la valorizzazione delle ricette del posto, alleggerendole senza alterarne i sapori”, sottolinea Damiano. Un occhio di riguardo anche ai rapporti con i fornitori, in prevalenza liguri, con i quali perdurano da anni sodalizi ben riusciti: è il caso del Pastificio Gavazzi di Chiavari, della Cooperativa Agricoltori Vallata di Levanto e di Alimentaria srl di La Spezia.
osteria Tumelin Levanto (Sp)
Via Roma, 22 www.lapprodo.com
minimi dettagli. Un’arte culinaria degna di tale nome deve essere in grado di coinvolgere, in maniera avvolgente, i cinque sensi”. Come dargli torto.
Ristorante Al Trabucco da Mimi Peschici (FG) Loc. Punta San Nicola www.altrabucco.it
ristorante l’approdo Vibo Marina – fraz. Vibo Valentia
Via D. Grillo 32 www.tumelin.it
L’Osteria Tumelin nasce nel 1970 ad opera dei fratelli Pensa, le cui famiglie ancora oggi gestiscono direttamente il locale nel segno della continuità e della tradizione; si trova nei fondi di Casa Restani, un edificio del XIV secolo in stile gotico- romanico, simbolo della parte storica della città e, con l’accogliente e ariosa veranda, si affaccia su una strada chiusa al traffico delle automobili (anche se i parcheggi sono adiacenti e liberi). Le premesse per una sosta tranquilla ci sono tutte e il personale gentile e premuroso aiuta a mettere il cliente immediatamente a suo agio, anche quando il locale è gremito di gente, riducendo al minimo i tempi di attesa. Come entrée vengono serviti ben dodici portate di pesce caldo e freddo, cucinato a regola d’arte: “l’attenzione alla materia prima è massima, direi che è un obbligo soprattutto parlando di pesce. I nostri clienti lo sanno e tornano a trovarci da trent’anni. In una parola: c’è fiducia” esclama Damiano Motto, che da tempo collabora con la famiglia Pensa. Questo antipasto esiste in menù fin dal principio e si è rinnovato con gli anni in base ai gusti e alle richieste, pur racchiudendo sempre il meglio della cucina ligure, ad esempio le alici di Monterosso al limone, i moscardini al forno o le acciughe ripiene. Tra i primi piatti riscuote particolare successo il risotto alla Tumelin, con frutti di mare e curry, e i secondi spaziano dalle aragoste e gli astici del loro vivaio al pescato del giorno, cucinato secondo richiesta. Per rinfrescarsi, bottiglie equilibrate o un vino
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Dedizione e passione per un’avventura che prosegue da oltre trent’anni. Era il 1980 quando la famiglia Lo Preiato, calabrese doc, decise di avviare l’attività di ristorazione proprio nel centro storico della cittadina, al cospetto dell’area portuale in cui transitano, oltre ai traffici commerciali, anche le rotte che hanno come meta l’arcipelago delle Isole Eolie. “La nostra cucina è, naturalmente, caratterizzata dagli eccellenti ingredienti, tutti freschissimi e di prima qualità, che il mare è in grado di offrirci – racconta Giuseppe Lo Preiato – nei nostri menù tipici a base di pesce non possono di certo mancare gli antipasti crudi e cotti, la lasagnetta del pescatore o la fileja, pasta fresca tipica calabrese, con gamberetti, cozze e vellutata di zucchine verdi; e ancora, la zuppa di pesce con crostini caldi, la vera specialità della casa, senza dimenticare un’autentica delizia: la torta millefoglie con crema chantilly e cioccolato fuso”. Marchio di garanzia e di qualità è lo chef Agostino Bilotta che propone una cucina tanto legata alla riscoperta delle tradizioni del territorio quanto indirizzata alla ricerca di innovazioni. “Le sensazioni dei sapori e dei profumi delle pietanze sono accompagnate, anzi anticipate, da un contesto in cui l’arredamento è ispirato a motivi prettamente marinari mentre il particolare posizionamento dei punti luce crea, nelle tre sale disponibili, un’atmosfera assolutamente confortevole e rilassante, - aggiunge Giuseppe - prestiamo sempre particolare attenzione alla qualità dei cibi proposti ma, allo stesso tempo, cerchiamo di garantire un servizio attento e mai invadente, in un ambiente elegante e curato nei
Storia di pescatori quella della famiglia Ottaviano, originari e residenti del Gargano. Il primo della famiglia a costruire un trabucco per la pesca fu Giovanni Battista che ne costruì uno nel 1927 a Rodi Garganico. La costa garganiga è caratterizzata da queste architetture ma il più famoso è quello di Mimì, Domenico Ottaviano, il pesca-
tore che negli anni Settanta decise di aggiungere al trabucco di Punta San Nicola un piccolo bar con vendita di bevande fresche per i primi turisti che scoprivano quell’angolo di paradiso. Ma non si può negare ad un ospite il piacere assoluto di un pesce appena pescato e grigliato. Il piccolo bar divenne un piccolo ristorante dove Lucia, la moglie di Mimì, cucinava i pesci appena pescati, aggiungendo due piatti tradizionali: melanzane ripiene e orecchiette. La gestione familiare da allora è cresciuta, di pari passo con la fama del trabucco: i figli di Mimì, Mario e Carlo in cucina, le mogli tra cucina e prenotazioni,. I nipoti Domenico e Vincenzo pronti a garantire il futuro di un piacere impagabile, a cominciare dalla bella rassegna Trabucco in jazz che organizzano dal 2008. Negli anni gli unici veri cambiamenti si sono fatti nella cucina dove sono entrate le tecnologie più efficienti: forni a convenzioni che garantiscono cotture più leggere, abbattitori per il pesce crudo. Questo ha determinato un grande salto di qualità nelle proposte, anche se la frittura del pescato del trabucco resta un punto fermo. Per il resto tutto è rimasto uguale dal giorno in cui Mimì propose a sua moglie di cucinare qualcosa per quei signori che non se ne volevano andare perché si stava troppo bene.
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Fare bene il proprio lavoro
La storia dell’Unione dei Ristoranti del Buon Ricordo, esempio di concretezza e serietà
Il più caro su e-Bay è quello dell’Hotel Elena di Saint Vincent, raffigurante la ricetta della Trota alla bella Elena, in vendita a 190 euro. Segue quello del Ristorante Guareschi di Roncole Verdi (PR), aperto dal celebre scrittore, che porta la sua firma sopra al disegno dell’angelo e del diavolo, simbolo dell’Italia manichea da lui descritta, in vendita a 90 euro. Ma chissà quali strane strade percorre, ancor oggi, il collezionismo dei piatti dell’Unione ristoranti del Buon Ricordo, nato dalla geniale mente di Dino Villani, uomo d’arte e di cultura ma altrettanto creativo al punto di diventare l’inventore del concorso 1000 lire per un sorriso che sarebbe poi diventato il concorso di Miss Italia. “Oggi i collezionisti sono soprattutto gli stranieri che identificano nei piatti il percorso gastronomico ideale per conoscere da vicino la tradizione gastronomica italiana” racconta Ovidio Mugnai, attuale presidente dell’associazione nata nel 1964 al Circolo della Stampa di Milano, con 12 soci fondatori riuniti da Dino Villani che arrivò a definire il progetto dopo lunghe discussioni con grandi gastronomi come Giorgio Gioco e Angelo Berti e con il fondatore dell’Accademia Italiana della Cucina, Orio Vergani.
di Luigi Franchi
Ovidio Mugnai Presidente Unione Ristoranti del Buon Ricordo
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L’idea era dare identità alla ristorazione italiana che, a quel tempo, in pratica non esisteva: i più grandi guardavano al modello francese, tutti gli altri erano trattorie dove si praticava, tramandata per abitudine, la cucina del territorio. La cucina del territorio “Se una cosa si può affermare con certezza è che noi siamo stati quelli che, per primi ma soprattutto da sempre, hanno tenuto ferma la barra sul valore della cucina di territorio che oggi è il modello vincente del made in Italy. E oggi, più di prima, il nostro modello è quello che può garantire il futuro anche di quelle imprese agricole e artigiane che continuano a produrre le specialità del territorio” afferma, con sacrosanto orgoglio il presidente Mugnai, patron dell’Hotel Villa Carlotta di Stresa. I soci fondatori che si riunirono il 1° aprile 1964
al Circolo della Stampa rispecchiavano perfettamente lo spaccato di un’Italia gastronomica che stava muovendo i primi passi verso un modello di ristorazione che, ancor oggi come sostiene Luigi Cremona, è tutto da scrivere “proprio perché figlio di una matrice francese da cui stiamo cominciando ad affrancarci”. I ristoranti erano: La Taverna degli Artisti di Revere, I dodici Apostoli di Verona, La Giarrettiera di Milano, Il Tartufo di Salsomaggiore, Lo Jagus di Bologna, Il Laurin di Salò, Il Manarini di Bergamo, Carletto di Treviso, Isola di Caprera di Padova, La Madonna di Venezia, Il Roma di Trento e Il Borsa di Novara. Sulle pagine del Corriere della Sera del giorno dopo, Vincenzo Buonassisi commentava così la
nascita del Buon Ricordo: “…questo è lo spirito di tutta l’iniziativa, muovere la curiosità della gente, spingerla a cercare questi locali; e qui sta anche il tornaconto di coloro che hanno aderito. Ma bisogna dar loro atto che in questo modo si serve, prima di tutto, la buona cucina; si mette in valore quella grande riserva che è la cucina delle nostre cento capitali, con le sue ricchezze troppo ancora segrete o neglette. E si crea un richiamo in più per il movimento dei forestieri.” Un trend che sta resistendo da ormai mezzo secolo e che sta ancora interessando il turismo straniero. Mentre, dei soci fondatori, rimangono due ristoranti: il Laurin di Bolzano e i 12 Apostoli di Verona. L’aspetto più curioso stava nel fatto che tutti i fondatori erano ristorante del Nord Italia, quelli sotto la linea del Po erano il Tartufo di Salsomaggiore Terme e lo Jagus di Bologna. Anche questo un se-
gno di un tempo che, fino agli anni Novanta, non esprimeva quella cucina del sud Italia che, per fortuna, oggi è parte integrante e, per certi aspetti, trainante della gastronomia italiana. Il piatto del Buon Ricordo Dal sud Italia però arrivava la produzione dei piatti del Buon Ricordo. Fin dall’inizio la scelta di Villani cadde sulla bottega artigianale di Vietri: Ceramiche Artistiche Solimene. Il cotto è estratto, oggi come allora, dalle cave di Ogliara, a pochi chilometri da Vietri. Il processo produttivo, interamente artigianale, parte dal bozzetto originale che raffigura la ricetta che il ristorante si impegna a tenere in carta (omaggiando il piatto a chi la consuma). Il disegno viene rigorosamente dipinto a
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mano dal decoratore, piatto dopo piatto, con colori speciali, coerenti alle norme imposte per i contenitori alimentari, rigorosamente senza piombo, per chi volesse usarli anche in tavola. “Sono pochi quelli che li usano. Il piatto è diventato oggetto di collezione, che fa bella mostra di sé in decine di ristoranti e di case - racconta Mugnai - al punto che, nel 1977, in maniera assolutamente spontanea, nacque l’Associazione dei Collezionisti dei Piatti del Buon Ricordo, che conta diverse migliaia di soci”. Fu Piero Bolfo, ristoratore della Certosa di Pavia, diventato presidente nel 1972, dopo che il testimone di Villani lo tenne per breve tempo Nevio Zanni, della “Giarrettiera” di Milano (prematuramente scomparso), a dare un’accelerazione all’attività dell’associazione. Entrarono ristoranti di ogni regione italiana, venne siglata la collaborazione con
no uniche, le curiosità che fanno di un cibo una storia e una tradizione. Il secondo, edito nel 2011, è dedicato ai primi piatti: zuppe, minestre, paste, risotti e molto altro ancora di cui ciascun ristorante propone una ricetta. Il terzo, in distribuzione nel 2012, è dedicato a Ricette dell’Unità d’Italia. Gli scopi dell’associazione non sono cambiati, anzi è sorprendente scoprire come la ristorazione italiana sia sempre più orientata verso i principi ispiratori che Dino Villani e i suoi amici misero alla base del Buon Ricordo. “Siamo orgogliosi di essere stati precursori di un fenomeno che adesso va sotto il nome di turismo enogastronomico, che ha portato un flusso continuo e crescente di visitatori nelle città d’arte e negli antichi borghi anche dell’Italia cosiddetta impropriamente minore. Non era da tutti nel 1964 essere antesignani del km0, valorizzare la pecu-
il Touring Club Italiano, si aprì l’associazione anche ai ristoranti italiani di qualità nel mondo, uscirono le prime guide del Buon Ricordo con le descrizione dei ristoranti e delle ricette raffigurate sul piatto. La presidenza di Bolfo durò più di trent’anni, fino al 2005, quando alla presidenza venne chiamato Ovidio Mugnai.
liarità della tradizione gastronomica regionale che allora era negletta ed ora invece gode di grande considerazione da parte di storici, dietologi, nutrizionisti e, soprattutto, dei consumatori. - sostiene Ovidio Mugnai - Ma adesso occorre un altro passo avanti. In questo momento è necessario fare bene tutti insieme, indistintamente, il proprio lavoro. In tempi di crisi non ci sono scorciatoie, l’impegno deve essere assoluto, va portato avanti con intelligenza e cultura. Il mondo è in difficoltà, il futuro prossimo è un’ incognita e anche i comportamenti dei consumatori mutano di conseguenza. La domanda cambia e va interpretata con tempestività, ne siamo consapevoli. E noi, che non siamo mai andati dietro mode effimere, pensiamo di farlo rimanendo fedeli a noi stessi.”
Il Buon Ricordo nel terzo millennio Attualmente i soci sono 123, di cui 14 all’estero. Al piatto, da tre anni a questa parte, si è affiancata una raffinata edizione di ricettari: il primo raccoglie tutte le ricette dei piatti del Buon Ricordo: vi si illustra non solo come preparare le pietanze, ma anche la loro storia, i piccoli segreti che le rendo-
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Il coraggio di fare scelte trasparenti di Guido Parri
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Tutto ha origine da un acquisto di tappeti elastici che furono utilizzati in una disciplina sportiva inserita alle Olimpiadi di Roma del 1960. L’acquisto, a manifestazione conclusa, lo fece Walter Scarponi da un rigattiere per arricchire i servizi accessori alla sua attività di pubblico esercizio stagionale: “Erano quindici in tutto. – ricordano il signor Walter e sua moglie Lia – Ci sembrò una buona idea per diversificare il nostro baretto sulla spiaggia di Riccione, dove servivamo bevande e alcuni piatti classici come piadina, pastasciutta, pizza al padellino”. Ristoratore da una vita, Walter Scarponi decide di diversificare la propria attività entrando in società con un’azienda di cui era cliente, specializzata nella fornitura di pesce. Nel 2000 ne acquistò l’intero pacchetto di quote e divenne presidente di CHEF PRONTO SERVICE, i cui stabilimenti produttivi si trovano a poche centinaia di metri in linea d’aria da quel mare Adriatico che, secondo il figlio di Walter, Alessandro Scarponi, attuale amministratore delegato dell’azienda, “dà il miglior pesce del mondo, per sapore e qualità delle carni”. Alessandro di professione era calciatore, con trascorsi nei campionati di serie A, ma un brutto infortunio al ginocchio lo ha costretto a smettere. L’incidente sul campo di calcio combaciava con la necessità, nel 2004, di avere una figura di riferimento familiare all’interno dell’azienda perché Walter continuava anche a fare il mestiere che più lo appassionava: il ristoratore nel suo locale fronte mare a Riccione, il ristorante-pizzeria Trampolines, dove lavora anche Alberto, fratello di Alessandro. “Mi ritrovai a dover salire tutti i gradini del percorso aziendale - ricorda Alessandro Scarponi – perché non conoscevo nulla di questo mondo. Dovevo e volevo imparare bene il mestiere, prima di assumere un incarico dirigenziale. Mi mancava il calcio ma altrettanto mi appassionava l’idea di dare continuità all’intuizione che ebbe mio padre”. In meno di dieci anni la CHEF arriva a fatturare 17 milioni di euro e a connotarsi come l’azienda di riferimento per la ristorazione che tratta il pesce: “Oggi serviamo, oltre ai canali distributivi dell’ho.re.ca., tutta la ristorazione che sta tra Pesaro e Rimini Nord. La scelta è stata quella della specializzazione verso la ristorazione, offrendo al comparto prodotti freschi, surgelati e semi-lavorati”. La CHEF è stata completamente ridisegnata da Alessandro Scarponi, affiancato dalla moglie Federica Olivi, che si occupa del marketing: prima era un’azienda che faceva solo produzioni di semi-lavorati nel pesce per le attività di catering, poi è stato introdotto il commercio del pesce fresco, solo per il mercato di vicinato; infine è arrivato il surgelato che, oggi, occupa il primo posto nelle tre fasce di mercato. “Abbiamo ampliato la gamma e i servizi alla ristorazione le cui esigenze, in questi ultimi anni, sono cambiate radicalmente, di pari passo con le richieste. - commenta Scarponi – Trattiamo abitualmente oltre 500 famiglie di pesci, da ogni parte del mondo. Per gli acquisti abbiamo
sposato la strada del rapporto di fiducia con i fornitori in ogni mare, un rapporto consolidato da anni di collaudata collaborazione che ci permette di garantire una costante di qualità e di gusto per i nostri clienti”. La strategia non è dunque il prezzo ma il fatto che, affidandosi ai prodotti CHEF, i ristoratori riescono a mantenere una costante nelle loro preparazioni che li rende tangibilmente riconoscibili ed apprezzati. “La stessa scelta di investire sul surgelato, che abbiamo fatto anni fa, va in questa direzione. – prosegue l’amministratore del gruppo – Il nostro pesce viene acquistato fresco in grandi quantità nei periodi consentiti di pesca, per essere immediatamente surgelato in azoto a meno 70°. Questo ci permette di offrire alla ristorazione un prodotto fresco, più sicuro del fresco appena pescato, dove le rese di prodotto, gli standard di qualità e gli acquisti sono tenuti sotto controllo in maniera puntuale e precisa”. Costi certi e shelf life di 18 mesi ma, nonostante questi elementi a forte valore aggiunto, la tendenza della ristorazione è quella di guardare al prezzo e questo penalizza le aziende che vogliono fare qualità: “Non tutta la ristorazione guarda al prezzo – puntualizza Alessandro Scarponi – anche se, in questo tempo di crisi e incertezza, anche quella è una leva a cui bisogna prestare attenzione. In ogni caso noi cerchiamo, con ogni strumento, di far riflettere il ristoratore che sceglie in base al prezzo, dimostrando con esempi alla mano, quanto nonostante
gli aumenti continui a restare bassa l’incidenza di costo della materia prima nella composizione di un piatto. Inoltre facciamo dei corsi di assaggio e preparazione dei piatti, presso il nostro laboratorio, per dimostrare come la qualità resti un bene irrinunciabile e il ristoratore, attraverso la qualità, diventi il primo difensore della salute dei suoi ospiti”. La suddivisione in linee di tutti i prodotti CHEF, dall’import selezionato, Stella Verde, al prodotto più fresco del fresco, Stella Argento e così via, permette di visualizzare istantaneamente due cose fondamentali: la prima è che la CHEF è realmente specializzata nel settore ittico, la seconda è che l’immensa gamma di prodotti, oltre 3000 referenze, la posizionano di diritto sul gradino più alto del mercato nazionale ed internazionale. Un valore importante viene attribuito alla tracciabilità dei prodotti che è garantita per la provenienza, per la qualità e per l’intera filiera. “Abbiamo fatto scelte trasparenti e vorremmo che altrettanto facessero i nostri clienti della ristorazione verso i clienti: a noi interessa capire i bisogni, intercettarli, dare risposte chiare e coraggiose al fine di educare ad un consumo corretto del pesce” conclude Alessandro Scarponi ricordando la sua passione per gli sport che hanno portato l’azienda ad essere sponsor di Alex De Angelis, il pilota sanmarinese che occupa le prime posizioni in classifica del moto mondiale. I trampolini di cinquant’anni fa hanno lasciato il segno.
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La formazione da esportare
FILL&GO
ECO PACK
LINEA PREMIUM
la matita rossa di Giuseppe Schipano direttore scuola alberghiera e di ristorazione di Serramazzoni
TOGLI IL TAPPO E SOLLEVA IL SOFFIETTO
1 (nella base è contenuto il concentrato) RIEMPI L’ECOPACK CON ACQUA
2 E OTTIENI 10 LITRI dI SUCCO NATURERA
10 LITRI
– SPAzIO
+
– PESO
=
– RIFIUTI – CAMION – INQUINAMENTO
+ EURO
Ebbene sì, la formazione è un veicolo di esportazione, è l’unico strumento per espandere e diffondere la cultura enogastronomica e la storia del nostro Paese, un vero e proprio modello di export. La cucina italiana è parte integrante della tradizione culturale del nostro Paese, che è amato e apprezzato in tutto il mondo. La formazione che è fatta attraverso l’arte culinaria, permette di far conoscere i prodotti, i valori, le tradizioni e soprattutto le persone. La cucina fa parte della cultura dei popoli e può essere trasmessa attraverso attività di formazione fatte direttamente nei Paesi stranieri, che hanno la voglia di apprendere la vera essenza del nostro territorio. Gli esperti (chef, sommelier…) spiegano e raccontano la nostra cucina attraverso l’utilizzo pratico dei prodotti, che personalmente sono portati a destinazione. I nostri prodotti sono i veri saperi e valori della nostra terra, sono i “libri di testo” dai quali apprendere la conoscenza. L’utilizzo di prodotti certificati, di altissima qualità, è una condizione fondamentale, senza una corretta conoscenza e trasformazione degli alimenti non è possibile trasmettere nozioni e fare formazione. Non si può pensare di raccontare la cultura gastronomica italiana attraverso dei “falsi”, chi vuole conoscere la cucina italiana deve utilizzare i veri prodotti, deve imparare a conoscerli e a utilizzarli. Tutto ciò permette anche di aiutare le aziende, che creano prodotti di altissima qualità, perché attraverso i corsi, le loro produzioni sono veicolate ed esportate, sono spiegate ed utilizzate. La conoscenza favorisce la richiesta e allo stesso tempo “apre le porte” alla diffusione delle eccellenze enogastronomiche nei Paesi stranieri, creando sinergie e reti di scambi e contatti. Grazie a questo, è bellissimo vedere come in seguito nascano nuove “contaminazioni”, perché i prodotti italiani si calano in quella che è la tradizione del Paese. Sono create nuove ricette, si pensa a innovativi abbinamenti e in questo modo la formazione diventa reciproca, sì, perché si riporta a casa un bagaglio di esperienze, emozioni e sperimentazioni. Tutto questo è frutto di un’esperienza personale, che da anni vede coinvolta la nostra scuola, a fianco della regione Emilia Romagna, in un progetto di esportazioni di saperi, ma soprattutto di sapori! Nel mio ultimo viaggio in Croazia, è stato avvincente vedere l’impegno del sommelier nell’abbinare i vini croati ad un menu emiliano-romagnolo, vi posso assicurare che l’abbinamento è stata una piacevole sorpresa, da ripetere! Infatti non si parla solo di prodotti, ma anche di vini. I Paesi stranieri sono curiosi nei confronti dei nostri vini, sono affascinati durante le degustazioni, rimangono impressionati quando il sommelier tiene le proprie lezioni, soprattutto in quei Paesi poveri di una tradizione enologica o alle prime armi. Da qui allora nasce la “sfida” di creare nuovi abbinamenti cibo-vino, accostando i nostri vini ai loro sapori e, vi posso assicura che le sorprese non sono mai finite! La Regione Emilia Romagna, attraverso la scuola, rende possibile tutto ciò. La formazione fatta dalla scuola diventa un mezzo di comunicazione di nozioni, abbinamenti, nuove tecniche, ma soprattutto trasmette emozioni, valori, saperi, che si concretizzano con l’utilizzo dei prodotti che vengono trasportati ed utilizzati nelle diverse destinazioni. Si crea così un ponte di collegamento, che crea una rete di scambi reciproci, un vero e proprio canale di esportazione anche per quelle piccole e coraggiose aziende che da sole non ce la farebbero, ma che da anni creano prodotti nel rispetto delle tradizioni e dei valori radicati nel tempo.
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Industria e chef, antagonisti o compagni di viaggio? di Roberto Carcangiu
food cost 6 _ cateringnews.it • luglio/agosto 2012
Sono diversi gli esempi che posso usare per parlare di un argomento che sicuramente farà storcere il naso ai “puristi” legati al mondo della cucina. Credo però che il cibo non sia da valutare solo sotto l’aspetto “è buono non è buono” (buono per chi poi e da decidere) ma anche sotto altri aspetti tecnico finanziari, etici, e gastronomici. La pasticceria è sicuramente uno dei reparti che più si è evoluto nel mix fra ingrediente/ricetta industriale e artigiano. il lavoro delle aziende rivolto alla continua ricerca di sapori, consistenze, colori, aspetti tecnologico funzionali. l’operatività senza dogmi culturali del pasticcere nella continua ricerca di indicatori di nuovi qualità da trasmettere ai primi in modo da avere ingredienti di assoluto valore aggiunto (misurabile e non solo soggettivo) hanno fatto si che il confine fra prodotto industriale utilizzato in laboratorio e prodotto “fatto in casa” non ci fossero più delle differenze, anzi in moltissimi casi la qualità è sicuramente aumentata. A vantaggio del cliente per ciò che riguarda l’aspetto gastronomico, finanziario (prezzi più accessibili). A vantaggio dell’artigiano per ciò che riguarda capacità produttiva e qualità della vita lavorativa. Questa riflessione nasce per smontare le nostre difese mentali legate al binomio industria/cibo visto negativo a priori indipendentemente da tutto, quasi fosse un dogma innafrontabile. Premesso che da cuoco ho cominciato in un epoca in cui i vitelli entravano in cucina da soli, e dove niente, anche perché esisteva davvero poco, veniva acquistato esternamente alla cucina dell’hotel. Ricordo ancora un mio vecchio chef che a fine anni 70 di fronte ad una confezione di verdure congelate da testare buttandole via disse con fare snob: “questa roba qui non la mangerà mai nessuno”. Non è andata cosi. Cosi come vorrei non sentire la parola Consumatore più legata al consumo di tutto ciò che è fuori di noi, legata al cibo preferirei cliente, ospite, ecc. non mi piace la parola cibo industriale che il più delle volte è fuorviante, visto che non è il cibo industriale ma solo la sua lavorazione. Quali sono le discriminanti fra artigianale/ buono e giusto ed industriale / cattivo e sbagliato, le caratteristiche organolettiche? il prezzo? la stagionalità? il numero di pezzi prodotti? o il solo fatto che lo produco io. Parliamo di altre eccellenze italiane , vino e grappe. Sono artigianali o industriali? Credo di poter dire anche in questo caso che l’artigiano vignaiolo mescolando la cultura di prodotto con tecniche e tecnologie produttive industriali ( fin dove possibile) produce eccellenza accessibile che tutti conosciamo. Quaranta anni fa ci sognavamo di bere vino con il rapporto qualità prezzo con cui lo beviamo oggi, e questo grazie al corretto mix fra uomo tecnica e tecnologia. Facciamo una piccola analisi tecnico finanziaria oggettiva su quelli che sono i vantaggi nell’utilizzo. Innanzitutto dividiamo la questione in due aspetti gatronomico/qualitativi e aspetti finanziari nell’utilizzo di alimenti semi pronti o pronti.
Avrei voluto poter parlare di persona con voi di tutto questo anche per poter discutere di tutti gli aspetti che per questioni di spazio o di mio limite nella scrittura non abbiamo trattato. Sono però assolutamente convinto, ed è il motivo di questo mio articolo che non è facendo contrapposizione a priori che si miglioriano le cose ma usando e mescolando ciò che di buone esiste per creare una “ricetta” più evoluta e vantaggiosa per tutti e sotto molteplici aspetti.
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tecniche di cucina
Il processo di surgelazione Come nasce, come si sviluppa la filiera
La nascita della moderna industria dei surgelati viene datata 1928, quando Clarence Birdseye sviluppò negli Stati Uniti il primo sistema industriale di congelamento a contatto, che permetteva di ridurre sensibilmente i tempi di congelamento. Come per altre tecnologie di conservazione nella seconda metà del novecento si sono avuti sviluppi importanti: l’introduzione di congelatori continui, nel 1962 dei primi impianti a letto fluido e in seguito dei congelatori criogenici. La maggiore efficienza degli impianti unita alla possibilità di applicare le tecnologie IQF (Individual Quick Freezing), cioè le tecnologie che permettono la surgelazione di singoli pezzi o parti prima del confezionamento, ha permesso in anni recenti di ottenere surgelati di alta qualità e di estendere la surgelazione a molti prodotti, variamente elaborati. Tra le tecnologie di conservazione, la surgelazione, è quella con il minor impatto tecnologico sul prodotto, che risulta dopo lo scongelamento molto simile al prodotto fresco. Il raggiungimento di un livello qualitativo confrontabile a quello dei prodotti freschi è legato all’approfondita conoscenza dei fenomeni che avvengono negli alimenti quando questi sono posti a temperature molto basse (normalmente – 40 °C). In particolare, per ciò che riguarda l’opera-
di Silver Giorgini
direttore Qualità e Innovazione prodotti Orogel
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zione di surgelazione, il mantenimento di un’elevata qualità in un surgelato è legato alla velocità con cui nel prodotto si formano cristalli di ghiaccio. Ma il processo produttivo inizia ben prima, dall’azienda agricola, con la scelta dei terreni di coltivazione più idonei e la selezione delle migliori sementi allo scopo di assicurare un elevato livello qualitativo della materia prima, soprattutto in termini di caratteristiche organolettiche. La collaborazione tra azienda di trasformazione ed azienda agricola si esplica anche attraverso un’attenta programmazione della raccolta dei prodotti al livello ottimale di maturazione in modo da ridurre al minimo il tempo che intercorre tra la raccolta e la surgelazione. Un prodotto maturo, lavorato appena dopo la raccolta garantisce infatti il massimo livello di nutrienti, in particolare un elevato contenuto di micronutrienti quali antiossidanti e sali
minerali molto importanti per il benessere dell’organismo. All’arrivo in stabilimento vengono eseguiti controlli utili a valutare la rispondenza del prodotto alla qualità desiderata: si controllano ad esempio, oltre all’assenza di difetti fisici, il grado di maturazione, la tenerezza e altri indicatori di qualità. Immediatamente si procede al lavaggio e alla cernita. La scottatura, da non considerare come una pastorizzazione e tantomeno una cottura, viene effettuata allo scopo di sanificare il prodotto ed in particolare inattivare gli enzimi presenti nei tessuti vegetali che, rimanendo attivi provocherebbero in pochi mesi un peggioramento organolettico tale da rendere inutilizzabile il prodotto. Dopo tale fase il prodotto viene raffreddato ed inviato alla surgelazione. All’uscita dall’impianto di surgelazione IQF i prodotti vengono mantenuti in regime di bassa temperatura in magazzini frigoriferi costantemente controllati. Da qui vengono poi prelevati per la fase conclusiva di confezionamento che avviene mediante linee appositamente studiate per non danneggiare i prodotti e ottenere confezioni diverse quali buste o astucci di peso predeterminato e controllate da sistemi automatizzati. Infine il prodotto raggiunge il mercato, rispettando rigorosamente la catena del freddo, di cui parleremo nel prossimo articolo.
Congelare e surgelare I tessuti degli alimenti sono costituiti da miriadi di cellule. Queste, semplificando, sono composte da un nucleo, da un citoplasma e da una parete semipermeabile. Costituente principale delle cellule è l’acqua. Nella struttura di un tessuto organico, questa, sotto forma di soluzioni di varia natura, si trova sia all’interno della cellula (liquidi intracellulari), sia tra cellula e cellula (liquidi intercellulari). Sia nella congelazione che nella surgelazione il passaggio da uno stato di aggregazione della materia (liquido) a un altro (solido), determina la cristallizzazione con conseguente aumento di volume. Se il passaggio avviene in tempi brevissimi (surgelazione), si formeranno numerosissimi microcristalli con ridotto aumento di volume. Se il passaggio avviene in tempi più lunghi (congelazione) si avrà la formazione di cristalli di dimensioni maggiori e, quindi, un maggiore aumento di volume: questi macrocristalli tenderanno a lacerare le pareti cellulari intaccandone l’integrità. Le differenze tra i due procedimenti sono fondamentali ai fini della conservazione delle qualità organolettiche e nutrizionali degli alimenti. Nella fase di scongelamento, infatti, acqua e liquidi cellulari ritornano allo stato originale. Se la congelazione è avvenuta in tempi lunghi e la formazione di macrocristalli ha leso le pareti cellulari, dai punti di rottura si avrà la fuoriuscita dei liquidi. Di quei liquidi in cui, diluite in acqua, si concentrano le sostanze nutritive (vitamine, sali minerali, proteine, carboidrati, ecc.) e le sostanze gustative dell’alimento. La fuoriuscita dei liquidi dalla membrana cellulare comporta la perdita di tali sostanze privando l‘alimento dei suoi principi nutrizionali e organolettici. Se la congelazione, al contrario, è avvenuta in tempi brevi, come nella surgelazione, le membrane cellulari restano praticamente integre. I liquidi cellulari, con tutta la ricchezza delle sostanze in essi contenuti, restano all’interno della cellula e gli alimenti, anche se congelati, mantengono quasi inalterati, rispetto ai prodotti freschi, i contenuti di vitamine, proteine, sali minerali, ecc.
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Ingredienti selezionati di alta qualità. Ampia scelta tra specialità a base di verdure e di pesce. Si preparano con praticità in forno e in friggitrice. Croccanti, gustosi e versatili nell’utilizzo.
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Nella prima metà degli anni Cinquanta, precisamente nel 1953, Salvatore Nigro inizia un’attività che, per quegli anni, si poneva decisamente all’avanguardia. Una struttura commerciale pensata per le forniture di generi alimentari alle strutture pubbliche: ospedali, caserme, scuole. L’idea venne a Salvatore Nigro dopo che suo padre, già presente in alcune strutture ospedaliere, aveva iniziato l’attività commerciale adibendo alcuni locali, nella città barocca di Modica, alla stagionatura dei formaggi tipici siciliani. Un primo nucleo di quella che, mezzo secolo più tardi, sarebbe diventata la Nigro Catering: una delle aziende più rappresentative della Sicilia orientale, condotta da Salvatore Nigro e giunta, con l’ingresso dei figli Carmelo, Emilia e Maria Antonietta, alla terza generazione di impresa familiare ma con una grande visione manageriale di crescita e sviluppo. Infatti la Nigro Catering copre attualmente 4 provincie dell’area orientale dell’isola più grande di tutto il Mediterraneo: Ragusa, Siracusa, Catania e parte della provincia di Caltanissetta. Ma i progetti di sviluppo sono all’ordine del giorno, come ci racconta Carmelo Nigro, rappresentante legale dell’azienda e fresco di nomina nel consiglio d’amministrazione di Cateringross: “La nostra intenzione è di completare, in pochi mesi, la copertura totale della Sicilia orientale, compresa l’area turistica di Taormina”. I mezzi per farlo già ci sono, basti pensare che l’azienda dà lavoro a 25 persone; di queste otto sono agenti che visitano settimanalmente oltre 500 clienti, a cui la merce viene consegnata, tramite una flotta di otto mezzi, nell’arco di ventiquattro ore. “La nostra idea è quella di connotare sempre di più l’immagine della Nigro Catering come azienda di servizio - precisa l’amministratore - per andare incontro ad un’esigenza che avvertiamo in generale e che, soprattutto in aree a forte vocazione turistica di qualità, ci viene richiesta: il ristoratore non vuole più vedere il grossista come un semplice raccoglitore di ordini, bensì richiede un servizio di consulenza, anche ad esempio sulle ricettazioni e sui prodotti più funzionali. Ci chiede cosa fa tendenza e un ottimo servizio, in questa direzione, lo svolge questa rivista voluta dal gruppo Cateringross che il ristoratore dimostra di apprezzare”. In questa logica sono due i canali su cui la Nigro Catering intende investire nel breve periodo: quello dei villaggi turistici e quello dei bar con ristorazione veloce. “Stanno cambiando le modalità di consumo, anche in un’area tradizionale come questa. - riflette Carmelo Nigro - Il turismo ha contagiato e modificato abitudini consolidate. Oggi si cerca, soprattutto a mezzogiorno, una cucina leggera e veloce. Sono in aumento i locali che offrono questa tipologia di servizio, così come sono in crescita i villaggi turistici che propongono il format del pranzo a buffet. Intendiamoci, non è che questo vada a scapito
della qualità. Ci viene richiesto piuttosto un servizio di consegna, anche per piccoli lotti, ma quotidiano, in modo da privilegiare il fresco. Altrettanto ci vengono richiesti prodotti ad elevato contenuto di servizio, che riducano i tempi di lavorazione”. Nel settore della gelateria e della pasticceria, ad esempio, l’azienda ha iniziato a creare un assortimento completo che consenta ai professionisti di non dover aver a che fare con una molteplicità di fornitori: “ma per fare bene le cose occorre investire e noi lo abbiamo fatto sia sulle persone sia sulle strutture” ribadisce Nigro. Il primo importante investimento avvenne nel 2000, con l’apertura di un supermercato a Modica, a cui seguì, nel 2003, un ampliamento delle strutture, in costante fase estensiva, portando a 6.000 metri quadrati l’area adibita a magazzino, con annesse celle frigorifero per lo stoccaggio, e aprendo un cash and carry a cui possono accedere i professionisti per gli acquisti, assistiti da personale qualificato. “Tra magazzino e cash and carry raggiungiamo le tremila referenze tra food e non food. Da poco abbiamo inserito anche un assortimento di liquori e vini, con una particolare attenzione ai vini della Sicilia che stanno vivendo una grande stagione. Il settore che ci sta dando più soddisfazione è il surgelato dove segniamo una crescita costante”. Ma il core business dell’azienda resta anche quello della ristorazione collettiva: “Cinquant’anni di esperienza non possono andare sprecati - chiosa Carmelo Nigro - anzi, abbiamo voluto, anno dopo anno, capitalizzare questa professionalità. Attualmente operiamo con la ristorazione pubblica su tutta la Sicilia, rifornendo le mense di ospedali e scuole, ma anche delle strutture in capo alla Marina e all’Esercito. L’ottenimento della certificazione ISO 9000 ci consente di partecipare a gare d’appalto sull’intero territorio nazionale”. Un settore, quello della ristorazione collettiva, che per troppo tempo ha strutturato e gare d’appalto esclusivamente sul ribasso d’asta, ma oggi stanno cambiando le cose, ci spiega Carmelo Nigro: “I capitolati d’appalto più recenti hanno introdotto criteri di aggiudicazione che tengono conto anche di altri aspeti di natura tecnica e logistica, ad esempio sui tempi e le modalità di consegna. Questo va incontro alla nostra professionalità che ci permette di essere tempestivi nelle consegne, in particolare del fresco e dell’ortofrutta, oltre ad una precisa e costante ricerca della qualità, convinti come siamo che il cibo è salute, e con la salute non si scherza”. Già negli anni Cinquanta la famiglia Nigro amava diversificare tra forniture pubbliche e stagionature di formaggi. Una sana regola che torna ancor più utile in tempi di crisi come quella attuale, anche se per Nigro Catering c’è una tenuta e una lieve ma inequivocabile crescita. Nonostante questo, nel background aziendale, c’è anche una società che si occupa di produzione e centro confezionamento di uova, con una produzione di 200.000 uova al giorno. E, dal momento che in momenti di crisi la gente ripiega sul consumo di alimenti tradizionali e conosciuti, cosa c’è di meglio di un uovo al giorno.
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private label
La linea Topping BigChef Funzionalità al giusto prezzo
Nel vocabolario della prestigiosa rivista Pasticceria Internazionale il topping “è una salsa che serve per completare le coppe gelato e per variegare quant’altro si desidera rendere allegro”. Nelle varie enciclopedie di gastronomia di cucina antecedenti agli anni Novanta di topping non si fa cenno e questo testimonia come l’evoluzione verso i prodotti ad alto contenuto di servizio abbiano fatto grandi passi negli ultimi anni. “Il topping è un prodotto che negli ultimi anni assume una posizione prominente negli assortimenti dei nostri soci, in quanto prodotto variamente utilizzato da ristoratori e gestori di locali in genere per valorizzare e completare in maniera veloce ed efficiente i propri dessert. Ne consegue che il topping deve essere un prodotto ad altissima resa, in una confezione pratica e veloce da utilizzare, nonché facilmente individuabile da parte di chi lo utilizza con frequenza nel proprio locale” spiega Mauro Entradi, direttore di Cateringross, il consorzio di distribuzione che, sul prodotto, ha sviluppato una serie di referenze a marchio BigChef. “È di grandissima utilità nella decorazione e io lo uso soprattutto nella gelateria. - conferma Claudio Gatti della Pasticceria Tabiano, sulle colline di Salsomaggiore Terme - Oggi hanno raggiunto un ottimo livello di qualità tecnica con i tappi salva goccia ma non è da meno
di Valentino Serra
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gruppo quale Cateringross che indaga costantemente il mercato per acquisirne i bisogni. “L’azione di partenariato in essere con Cateringross, ci permette infatti di interpretare i feed-back del mercato in maniera molto veloce, riuscendo a mantenere alta l’attenzione sull’innovazione, come dimostra l’ultima neonata. - conferma il manager di General Fruit - Il mercato manifesta l’esigenza di ridurre i volumi, i pesi inutili, di rispettare l’ambiente, di prodotti pratici. Da qui la risposta di General Fruit con Ecopack, un contenitore completamente ecosostenibile di succhi per breakfast, pensato per le grandi strutture. Un prodotto che rispecchia un concetto, attraverso un imballo innovativo, che risponde in modo completo alle esigenze del mercato”. I topping BigChef L’elemento innovativo sta alla base della gamma di cinque referenze di topping BigChef: caramello, coccolato, frutti di bosco, fragola e nocciola. Confezionati in bottiglie di pastica da 1 kg, imballati in cartoni da sei, i topping BigChef sono totalmente privi di glutine, utilizzano coloranti esclusivamente naturali e, sul piano tecnico, dispongono del tappo salva goccia che che limita sprechi e fuoriu-
la qualità di prodotto che consente di ottimizzare tempi di lavoro e di conseguenza incidere in maniera positiva sul prezzo finale”. Chi produce qualità ed elimina sprechi Una delle aziende leader nella produzione e fornitura di Topping è General Fruit, azienda fondata nel 1988 da una ristrutturazione d ella Lochis sciroppi e liquori, la cui sede è a Credaro (BG). G eneral F ruit commercializza sei linee di prodotti per la pasticceria e il breakfast (in quest’ultimo settore serve oltre 10.000 hotel) ed ha sviluppato una forte competenza nei prodotti a marchio che le è valsa la scelta di Cateringross per la produzione di topping a marchio BigChef. “L’attività consortile di Cateringross è cambiata molto negli ultimi anni e il management ha saputo interpretare sapientemente le evoluzioni del mercato. - racconta Paolo Ramponi, national account manager di General Fruit - Per noi di General Fruit la produzione a marchio BigChef del gruppo è il coronamento di un percorso storico di crescita congiunta, costellata di successi e soddisfazioni reciproche. È anche il frutto di una maturazione dettata da continui feed-back che sono traghettati dal mercato, a mezzo di Cateringross, che ci ha permesso negli anni di migliorare e perfezionare i processi produttivi, i controlli e l’assistenza che oggi riusciamo a fornire”. Infatti Cateringross ha investito molto in questi anni sul prodotto a marchio, nella consapevolezza che questo avrebbe permesso di fornire ai clienti dei grossisti prodotti esclusivi ad un giusto prezzo. Ma non solo. il prodotto a marchio diventa fondamentale nel trasmettere, attraverso la qualità e il posizionamento dei prodotti offerti, quelli che sono i canoni, i principi stessi che sono alla base di un
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scite involontarie dello sciroppo, garantendo un impiego preciso e versatile nella creazione di dessert. Lo stesso packaging, a marchio BigChef, esalta questi elementi caratterizzati da un’immagine chiara ed evocativa, sia dell’ utilizzo finale che della genuinità del contenuto del flacone. “I nostri topping, attualmente in 5 referenze principali (per le quali è sicuramente ipotizzabile un aumento di gamma), con le peculiarità di cui sono dotati, possono quindi essere considerati una valida alternativa ad analoghe referenze di marca, e ne è riprova il buon successo ottenuto presso i clienti dei nostri soci, che trovano in questo, che è un prodotto tipicamente di ‘servizio’, i plus che vengono richiesti da quanti quotidianamente usano decorazioni e sciroppi per valorizzare i propri dessert” puntualizza Entradi. I topping BigChef possono quindi essere considerati la vera “ciliegina sulla torta” per chi fa della creatività l’ ingrediente fondamentale nella preparazione e decorazione dei propri dolci.
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Chi gestisce i Concorsi Enologici? POMODORO A PARMA
PARMA - ITALIA
DAL 1896 POMODORO A PARMA
perbacco!
di Giuseppe Vaccarini presidente Associazione della Sommellerie Professionale Italiana
Da oltre un secolo, Rodolfi significa l’eccellenza del pomodoro al vostro servizio. Ora gli storici marchi, Ardita e Alpino, si presentano con nuove confezioni e la Qualità di sempre.
Nella proposta di risoluzione promossa dall’A.S.I., l’Association de la Sommellerie Internationale sulla definizione del termine di sommelier da parte dell’O.I.V. (Office International de la Vigne et du Vin), l’organismo intergovernativo che raggruppa ben oltre 40 paesi, si legge: “Il Sommelier è un professionista del settore enogastronomico che ha seguito un preciso percorso di formazione per il raggiungimento di un certificato di abilitazione…….omissis….”. Il testo prosegue poi con la definizione del ruolo: “Il sommelier è incaricato dell’acquisto dei vini e delle bevande, assicura la gestione degli stock, la composizione della Lista dei Vini, dei liquori e di altre bevande, consiglia ai clienti i migliori abbinamenti “cibo-vino”…….. Come si può leggere, in nessun momento si dice che il sommelier debba sostituirsi a chi ha titolo e competenze per gestire i Concorsi Enologici. È infatti storia recente la presentazione di una proposta di emendamento all’art. 41/bis (Concorsi Enologici di vini Dop, Igp e di vini spumanti di qualità) da parte di una parlamentare, che ha messo in serio allarme gli enologi italiani. “E meno male che la sede centrale di Assoenologi è solita tenere monitorati i documenti parlamentari (racconta Giancarlo Prevarin, presidente della stessa associazione), altrimenti forse sarebbe sfuggito l’emendamento che rischiava di consegnare ad una sola associazione di sommelier il monopolio di tutti i concorsi enologici italiani”. E sì, direi che in fatto di democrazia possiamo, a dir poco, dirci dei bambini, mancanza di informazioni, poca attenzione alle decisioni politiche (da questo punto di vista Assoenologi sembra un po’ un ago nel pagliaio), interessi di parte che fanno bella mostra di sé in Parlamento e che sopratutto ricevono dalla classe politica un’attenzione, direi, “sopra le righe”. Con l’emendamento proposto dalla senatrice del Pdl Laura Bianconi le commissioni dei concorsi sarebbero state nominate da questa associazione radicata sul territorio nazionale e gli altri enti che da anni si occupano dell’organizzazione degli stessi ne sarebbero stati esclusi. Probabilmente l’iniziativa della senatrice Bianconi non nasceva da una valutazione del tutto scorretta, l’idea che serpeggia da anni in alcuni ambienti del mondo enologico, era quella di evitare che le commissioni giudicanti dei concorsi fossero costituite dalle stesse persone che devono essere giudicate. Ma se sul principio potremmo anche concordare perché di fatto i sommelier non lavorano nelle aziende che dovrebbero giudicare i propri prodotti, passare da questo ad un vero e proprio monopolio, escludendo tutti gli altri attori del settore, fa pensare che ancora una volta il lavoro della politica dentro le istituzioni qui da noi non sia quello che si mette a servizio del più vasto numero di soggetti, cercando di perseguire un interesse il più possibile generale. Perché ad esempio non includere nei regolamenti dei Concorsi Enologici che le commissioni debbano essere ufficialmente composte da Enologi e da Sommelier certificati dall’A.S.I., l’Association de la Sommellerie Internationale e non semplicemente, come avviene ora, da enologi con alcuni non ben precisati esperti?
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gli italiani. Era l’anno dell’elezione di John Kennedy a presidente degli Stati Uniti, della costruzione del muro di Berlino, dell’indipendenza dell’Algeria, di Yuri Gagarin primo uomo nello spazio, dell’eclisse totale di sole, del Gronchi rosa, del primo concerto dei Beatles, della morte di Ernest Hemingway e della nascita di Barak Obama. Una bella conversazione Presidente Ziliani, se lo sarebbe mai immaginato che, da quell’incontro avvenuto in un bar di Rovato, sarebbe nato tutto questo? “Ovvio, no di certo. Anche perché già nella parola spumante, a quei tempi, c’era l’immagine di vino scadente, proprio perché in Italia si usava di tutto per farlo. Ma io avevo in mente un’altra cosa rispetto alle tecniche di spumantizzazione in voga in Italia in quegli anni. Il mio sogno era creare la via italiana allo champenoise, e lo dissi tutto d’un fiato a Guido Ber-
Pinot di Franciacorta, come furono commercializzate? “Pensi che le prime consegne venivano fatte dal cameriere di Guido Berlucchi che era dotato, come mezzo di trasporto, di un’Ape e, quando era carico, per affrontare la salita per arrivare sulla provinciale, doveva scendere e spingere a mano. Però arrivava fino a Rovato, da dove partiva un piccolo corriere per andare nei locali della zona. Oppure mi ricordo le consegne che faceva Guido Berlucchi in persona al Piccolo Bar di Bergamo, il quale ci obbligava a ritirare i vuoti, facendosi fare uno sconto. E io ricordo che protestai con Guido perché non potevamo lavarle, non potevamo sapere cosa c’era stato dentro dopo il consumo”. Quando, a metà degli anni ’70, avete deciso di uscire dalla denominazione, il mercato dello spumante come era cambiato? “Il primo anno che abbiamo messo in vendita le prime 3.000 bottiglie mi ero stupito del risultato. L’anno dopo ne producemmo 20.000. Ma quando riuscimmo
lucchi, dopo che fui invitato a visitare le sue cantine e i vigneti: vorrei proprio cercare di fare del suo vino lo Champagne italiano”. E com’era, cinquant’anni fa, la Franciacorta da un punto di vista vinicolo? “Purtroppo c’era poca vite, erano superfici adatte al consumo familiare e il proprietario raccoglieva un po’ di più grazie alla mezzadria. Guido Berlucchi era uno dei più importanti della zona, ma i terreni erano fonte di reddito se utilizzati come vendita. Il contadino era un piccolo imprenditore che, con il sistema della mezzadria, cercava di produrre sempre qualcosa di più per avere più reddito. Ma, in generale, questa era una zona povera in termini di viticoltura”. Quando lei ha messo in bottiglia le prime bottiglie di
a venderne 10.000 in un solo mese, organizzammo una gran festa, perché non era così facile. Ma c’era un problema: i ristoranti non lo volevano. Non riuscivo nemmeno con gli amici a convincerli a tenere qualche bottiglia”. Perché? “Mi dicevano: non c’è spazio, o vendiamo l’Asti e il Moscato che costano poco o lo Champagne. Per il tuo, che sta a metà strada, non c’è spazio. Allora ci siamo rivolti ai privati. Io trascinavo in cantina tutti gli amici, gli amici degli amici, e senza fare nessuna fatica ci fu un marchio della grossa distribuzione che ce lo chiese e ci comprò tutto quello che producevamo. Da quel momento applicammo una politica di prezzo giusto, di cui vado tuttora molto fiero. Da
terre di vino
I cinquant’anni di Guido Berlucchi Una storia di persone, di vini e dell’Italia di Luigi Franchi
Franco Ziliani Presidente Guido Berlucchi & C.
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Il bar Laglio di Rovato, se esiste ancora, dovrebbe essere inserito tra i Luoghi del cuore del FAI, quei luoghi che rappresentano un pezzo di storia italiana. Fu in quel bar, in un freddo giorno d’inverno del 1954, che avvenne l’incontro tra due raffinate intelligenze che misero il seme di quello che, cinquant’anni dopo, è diventata la Franciacorta. L’incontro che cambiò le sorti di un territorio, delle persone che lo abitano, ma soprattutto del gusto e delle abitudini degli italiani in fatto di vino, fu tra Guido Berlucchi, astemio gentleman del tempo, e Franco Ziliani, giovane enologo in cerca di un occasione per creare in Italia lo stesso sapore che gli aveva cambiato la percezione del vino dopo aver assaggiato, per la prima volta, lo Champagne. La storia è nota, ma ce la siamo fatta raccontare direttamente da Franco Ziliani, che ci ha accolti a Villa Lana di Borgonato, sede della Guido Berlucchi e della Fondazione Berlucchi, pochi giorni dopo la presentazione dello splendido volume, coordinato da Decio Giulio Riccardo Carugati, che racchiude cinquant’anni di storie: quella della Berlucchi e quella italiana. Nel 1961 nascevano infatti le prime 3.000 bottiglie di Pinot di Franciacorta, le bollicine che avrebbero democratizzato il consumo di un prodotto nobile che, grazie alle intuizioni e alle scelte di Franco Ziliani, divenne alla portata di tutti
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allora, verso la fine degli anni ’70, cominciammo ad avere un mercato notevole. Facevamo 400.000 bottiglie, ma non bastavano per la richiesta del mercato, ormai nazionale. Fu quello il motivo che ci indusse ad uscire dalla denominazione”. Il Franciacorta oggi ha un mercato ancora molto italiano. Quale può essere la chiave per affrontare un mercato straniero, dove il concorrente diretto è lo Champagne? “Dobbiamo produrre molto bene, come stiamo facendo. E dobbiamo investire molto denaro ed energie. Non basta avere l’importatore, bisogna sostenerlo, aiutarlo, affiancarlo nel raggiungere i clienti”. Tra Champagne e Franciacorta, oggi, lei cosa sceglie? “Io ho sempre prediletto lo champagne e lo faccio tuttora. Ma devo confessarle che, da quando produciamo il Berlucchi 61, questo vino mi fa dimenticare lo Champagne. Non c’è più questa differenza di piacevolezza”. E, in uno scenario come quello italiano, dove c’è la gara a trovare nomi alternativi alla parola spumante, qual è il termine più adatto a descrivere questa piacevolezza? “Secondo me, più bello del nome della zona… quindi, Franciacorta!” Cinquant’anni dopo Scrive Fiammetta Fadda, nel contributo al libro dei cinquant’anni della Berlucchi: “L’eleganza resta, oggi come allora, lo stile della Casa, con una progressiva tensione verso la semplicità e la purezza. Tanto che per Arturo Ziliani, l’enologo di famiglia, il futuro è pas dosé, senza aggiunte zuccherine a mascherare difetti”. “Credo che il vino non debba sovrastare il cibo - afferma l’enologo - lo voglio pulito, non troppo strutturato, non troppo elaborato in cantina. È l’imprinting costante dei nostri Franciacorta: il sorprendente Berlucchi ’61, senza annata, Cellarius millesimato e le Riserve di Palazzo Lana, con i millesimati di maggior complessità”. E sempre nel libro, Giusi Ferrè scrive: “Intese come terapie contro la noia, celebrazioni e ricorrenze irrompono sempre più nella vita quotidiana, grazie anche alla progressiva democratizzazione del rito del bere festoso, eccitante. Alla democrazia del piacere… cin cin!”
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terre di vino
Solo uniti si può vincere Il 67° congresso di Assoenologi fotografa lo stato di salute del mondo del vino italiano di Eugenio Negri
Le figure del vino, è un termine forse poco esaltante per descrivere i mestieri del vino che si stanno moltiplicando nel corso degli anni ma è quello che è entrato nel linguaggio comune. In testa alla categoria di questi mestieri ce ne sono due: gli enologi e i sommelier, coloro che, con mansioni e ruoli diversi, concorrono all’affermazione dei prodotti su cui uomini e donne del vino, ovvero i titolari delle aziende, hanno deciso di scommettere buona parte delle loro vite. Professioni, dunque, cariche di responsabilità su cui vogliamo avviare una breve indagine, che inizia sulla rivista e proseguirà sulle pagine del nostro portale www.cateringnews.it. Lo stimolo è offerto dalla recente conclusione del 67° congresso di Assoenologi che si è tenuto a bordo della Costa Atlantica, e dalla polemica che si è creata, ben descritta in questo numero della rivista da Giuseppe Vaccarini che conclude con una proposta sensata la soluzione della diatriba. Nel prossimo numero indagheremo invece il più articolato mondo dei sommelier. La più antica tra le organizzazioni del vino Assoenologi è, a tutti gli effetti, l’organizzazione che ha percorso,
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Da oltre 40 anni Bayernland vi garantisce un vasto assortimento di prodotti sani e naturali con un ottimo rapporto qualità-prezzo. Vi offre una ricca gamma di formaggi prodotti in latterie modernissime, utilizzando il ricco ed aromatico latte dei pascoli bavaresi. Il risultato è un’ampia scelta di formaggi dal sapore delicato e dalla freschezza garantita.
fin dall’inizio della viticoltura moderna, la storia del vino italiano. Nata nel 1891 a Conegliano Veneto come Società degli Enotecnici Italiani, fondata da 46 soci capeggiati dall’enotecnico Arturo Marescalchi, l’associazione ha cambiato nome in quello attuale nel 1991, in occasione del congresso dei cent’anni tenutosi a Trento. Il presidente in carica è Giancarlo Prevarin, mentre la direzione generale è affidata a Giuseppe Martelli. La rappresentatività di Assoenologi, raccontata in occasione del Congresso ai 1.200 delegati presenti, è fuori discussione dal momento che la base associativa rappresenta il 90% degli enologi italiani, stimati in 4.400 circa. Il 40% degli enologi ed enotecnici italiani svolge la propria attività con mansioni direttive in cantine private e cooperative, il 10% opera come libero professionista, mentre la rimanente percentuale è inserita con mansioni diverse.
Un sistema molto parcellizzato, con un’estensione di 3,5 ettari ad azienda, rispetto ai 10 della Francia, che si trova a fronteggiare un mercato dove l’export appare l’unica speranza. Infatti, anche sul fronte dei consumi, il calo è irreversibile: 42 litri pro-capite che Assoenologi stima a 40 nel 2012. Un fenomeno ovviamente non solo italiano: la Spagna scende dai 29,4 litri del 2007 agli attuali 21,8 (-27,4%), la Francia passa da 52 a 47,4 litri (-10%). Tengono, anzi sono in crescita, i consumi in altre aree del mondo come gli Stati Uniti, la Russia, l’Asia. Continenti dove il vino italiano piace ed è il più venduto. Il costo medio al litro non vanta performance esaltanti, anche se sta crescendo leggermente, passando da 1,77 a 1,83 euro. Questo è uno degli aspetti che il congresso degli enologi ha affrontato, stimolato dalle parole del ministro alle Politiche Agricole, Mario
Experience Passion and Quality
I dati del vino Lenta ma inesorabile è la propensione al calo della produzione e del consumo del vino in Italia. L’ultima vendemmia ha visto una trasformazione collocata a 40,6 milioni di ettolitri. Praticamente un terzo in meno rispetto agli ultimi anni del ‘900; un dato confermato, del resto, dalla riduzione della superficie vitata che, in un ventennio, ha perso circa 276.000 ettari. Restiamo comunque tra i principali produttori mondiali di un settore che, stando agli ultimi dati OIV, vale 270 milioni di ettolitri. La fotografia disegnata da Assoenologi ci trasferisce un Paese comunque ancora ricoperto di vigne su tutta la sua estensione, dalla Val d’Aosta fino a Pantelleria, con 700.000 aziende, 73 vini DOCG e 330 DOC.
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Catania, che ha affermato: “Molta strada il settore deve ancora fare, perché sui mercati mondiali nulla è acquisito. Infatti il successo del vino italiano e l’indispensabile lavoro svolto dagli enologi dovrà essere perpetuato, anche contribuendo all’elaborazione delle linee della politica nazionale”. “Solo con la poesia, nel nostro settore come in qualsiasi altro, non si campa, non ci si afferma, non si vende, non si costruiscono o conquistano i mercati. - ha esordito Giancarlo Prevarin, presidente di Assoenologi - Appunto, la conquista dei mercati, a cui tutti tendono, quasi sempre però pensando esclusivamente ai propri interessi, alle singole affermazioni, ignorando che il primo traguardo da raggiungere non è togliere spazio al produttore vicino o alla denominazione antagonista, ma creare la fiducia di “sua
La vera maestria si sviluppa con il passare del tempo. Nel 1910 i fondatori di Lutèce, commercializzando i loro primi funghi con passione diedero vita ad una vera e propria attività artigianale. Dopo un secolo, la qualità dei nostri champignons è sempre attentamente monitorata ed apprezzata sia da voi che da noi. Perché le maestranze di Lutèce sanno, come i loro predecessori, che è solo lavorando con passione e grande cura che si possono ottenere i prodotti migliori. Esattamente come natura li ha fatti. www.lutece.nl
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maestà il consumatore” verso il vino italiano, ovvero una base su cui poi innescare confronti e concorrenze”. Nel corso del convegno sono stati molti i si e i no pronunciati dagli enologi e, per quanto riguarda il mercato, è stato ribadito quanto “gli eccessivi ricarichi, moltiplicando anche 5 volte il prezzo di partenza. In questo modo i produttori fanno la fame, i consumatori sono scontenti e l’immagine del vino perde terreno”. Altrettanto forte è stata la protesta verso un certo tipo di comunicazione che “fa apparire di qualità solo il vino di alta o altissima gamma, ossia quello che costa molto. Secondo noi tutto il vino italiano deve essere di qualità, anche quello di tutti i giorni, ovviamente rapportato alla fascia di consumo e al prezzo. Non dimentichiamo che la maggiore percentuale del vino in Italia come in Francia e in Spagna non è di alta o altissima gamma e che i consumatori che oggi possono spendere oltre 15 euro per una bottiglia di vino sono sempre di meno”. Far conoscere il vino italiano “Il vino è un prodotto di largo consumo che ha delle particolarità non facili da gestire. La frammentazione della produzione, le caratteristiche peculiari del prodotto, la diffusione non omogenea sul territorio nazionale non facilitano la razionalizzazione dei costi sia nelle grandi che nelle piccole imprese” ha spiegato Enrico Zanoni, direttore generale della Cavit, che nel suo intervento al congresso degli enologi ha anche spiegato perché il mondo del vino non fa pubblicità istituzionale e perché le aziende non investono sui media. “Il settore è molto frammentato e, nonostante i tentativi, non riesce a trovare un accordo per iniziative comuni di comunicazione. - ha ribadito Zanoni - Inoltre il vino, rispetto agli ‘spirit’, è un prodotto povero, ossia di scarso valore aggiunto e che sono poche le aziende che coprono il 70% del territorio nazionale. Pertanto spendere per la promozione di un prodotto che poi il consumatore non trova vuol dire buttare via i soldi”. In molti casi ci vien da dire che non esiste una conoscenza approfondita dello scenario mediatico e della comunicazione, per cui la tendenza è spendere su riviste e iniziative che, all’apparenza fanno tendenza, ma che in realtà raggiungono una quota estremamente esigua di consumatori. Lo stesso discorso lo si potrebbe applicare alle guide che, se per un certo periodo hanno solleticato l’interesse di ristoratori ed enotecari, oggi sono in parte responsabili delle cantine stracolme dei ristoranti e di carte del vino monumentali che non interessano, anzi intimoriscono, il normale consumatore di vino. “Eppure – afferma Giuseppe Martelli, direttore di Assoenologi – basterebbe imputare mezzo centesimo di euro a bottiglia per avere un budget consistente da destinare a campagne di pubblicità istituzionale a vantaggio non di una tipologia di vino o di una denominazione, bensì dell’intero comparto”. Da qui il messaggio lanciato dal 67° Congresso “Uniti si vince”, che può essere anche letto “disuniti si perde”.
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“La denominazione dell’alimento e la designazione «decongelato»” Corre l’obbligo di integrare la disaIl Reg. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, applicabile dal 13 dicembre 2014, interessa gli OSA in tutte le fasi della catena e si applica a tutti gli alimenti destinati al consumatore finale, compresi quelli forniti dalla collettività e quelli destinati alla fornitura delle collettività. Per collettività, è bene ricordare, si intende: qualunque struttura (compreso un veicolo o un banco di vendita fisso o mobile), come ristoranti, mense, scuole, ospedali e imprese di ristorazioni in cui, nel quadro di un’attività imprenditoriale, sono preparati alimenti destinati al consumo immediato da parte del consumatore finale.Tra le indicazioni obbligatorie in etichetta vi è la denominazione dell’alimento. L’art. 17 del Reg. 1169/2011 specifica che la denominazione dell’alimento è la denominazione legale, in mancanza è la sua denominazione usuale e, ove non esista o non sia utilizzata una denominazione usuale, è fornita una denominazione descrittiva.
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L’allegato VI del Regolamento stabilisce, inoltre, alcune indicazioni specifiche e obbligatorie che devono accompagnare la denominazione. Tra queste risulta di particolare rilevanza la designazione “DECONGELATO” per i prodotti che sono stati congelati prima della vendita. Più precisamente è espressamente previsto che la denominazione dell’alimento comprenda o sia accompagnata da un’indicazione dello stato fisico nel quale si trova il prodotto o dello specifico trattamento che esso ha subito (es. “in polvere”, “ricongelato”, “liofilizzato”, “surgelato”, “concentrato”, “affumicato”), nel caso in cui l’omissione di tale informazione potrebbe indurre in errore l’acquirente. Tale disposizione non ha una grossa portata innovativa per gli operatori essendo già prevista, a livello nazionale, dall’art. 4, comma 3, del D. lgs. 109/92 riguardante l’etichettatura. La vera novità è, infatti, costituta dalla specificazione seguente: «nel caso di alimenti che sono stati congelati prima della vendita e sono venduti decongelati, la denominazione dell’alimento è accompagnata dalla designazione “decongelato”». Tale indicazione, già prevista per i prodotti ittici - oggetto di una specifica Circolare del 2 agosto 2007 recante appunto “indicazioni in materia di conservazione dei prodotti ittici per la loro vendita al dettaglio congelati o decongelati” che prevede l’esposizione del prodotto ittico decongelato in banchi e settori separati da quello fresco, nonché l’identificazione dello stesso attraverso alcune diciture quali, ad esempio, “pesce decongelato, da consumarsi entro le 24 ore, da non ricongelare” -, viene disposta per tutti gli alimenti che sono stati congelati e poi venduti decongelati, al fine di evitare di indurre in inganno il consumatore che potrebbe, al momento dell’acquisto, ritenere il prodotto “fresco”. L’obbligo della designazione del prodotto come “decongelato”, tuttavia, non si applica: a) agli ingredienti presenti nel prodotto finale; b) agli alimenti per il quale il congelamento costituisce una fase tecnologicamente necessaria del processo di produzione (ad es. per il sushi); c) agli alimenti sui quali lo scongelamento non produce effetti negativi in termini di sicurezza o qualità (categoria decisamente ampia e poco definita, che farà sicuramente discutere a livello interpretativo della norma). La disposizione, contenuta nel nuovo Regolamento sull’etichettatura, è tutt’altro che superflua o ridondante, dal momento che è assai ricca la casistica di frodi in commercio (violazione dell’art. 515 c.p.) per prodotti “spacciati” come freschi, ma in realtà decongelati. Le inchieste penali in tal senso riguardano non solo i produttori o la distribuzione, ma nelle cronache risultano sempre più spesso coinvolti anche i ristoratori, che utilizzano prodotti decongelati (in particolare pesce) non qualificandoli come tali nei propri menù. L’attenzione e la perizia richiesta agli OSA è, dunque, sempre maggiore; tali incombenti sono del resto controbilanciati da una sempre più accurata informazione fornita ai consumatori, divenuti certamente più attenti all’etichettatura degli alimenti.
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expo italcatering, stupore e qualità in una grande festa “Un imprenditore senza la famiglia alle spalle non ha mai un lungo percorso. Lo dico col cuore e, sempre con il cuore, voglio ringraziare tutto il mio staff, asse portante dell’azienda”. Sergio Esposito, con accanto la moglie Meladina e le figlie Anna e Lorena, ha aperto così, con la straordinaria umanità che lo contraddistingue, il 2° Expo di Italcatering, azienda punto di riferimento nella distribuzione di prodotti food e non food dell’area salerntana. L’evento, che si è tenuto dal al 7 giugno presso la sede di Capaccio a Paestum, è stato scandito da molte occasioni di incontro pensate per i professionisti del settore: maestri chef hanno guidato i palati più fini alla scoperta delle molteplici prelibatezze proposte da aziende altamente qualificate sul territorio nazionale quali Fiorucci, Knorr, Di Carlo, Di Biase, Pomilia, Santa Margherita, solo per citarne alcune, i cui prodotti sono stati trasformati in prelibati piatti dalle mani esperte di chef specializzati. “La qualità dei prodotti usati è la base del successo, e Italcatering ne ha fatto il suo cavallo di battaglia” tiene a sottolineare Sergio Esposito, amministratore dell’azienda e neopresidente di Edizioni Catering. Presenti i rappresentanti di ristoranti e pizzerie più noti della zona, unitamente al sindaco di Capaccio, dottor Italo Voza, tutti d’accordo nel sottolineare l’importanza di qualità e territorialità, elementi imprescindibili per chiunque lavori nel campo della ristorazione, ma anche e soprattutto per i consumatori. A rappresentare il pensiero comune degli operatori ci ha pensato Arturo Negri, titolare della storica Pizzeria Negri di Pontecagnano Faiano (SA): “Le difficoltà che il mondo della ristorazione deve affrontare sono annullate dalla scelta di prodotti di alta qualità, che garantiscono il successo. In questo Italcatering ci è di grandissimo supporto”. Tra gli eventi che si sono succeduti lo stupore dei 50 ospiti è andato alle stelle quando è stata scoperta dagli asadero una grande griglia, sulla quale era stata arrostita per 22 ore una scottona nazionale intera, successivamente disossata e tagliata dai macellai e servita dai maestri chef, assieme al vino Aglianico e Taurasi di Raucci, proveniente dal territorio campano. Per saperne di più: www.italcateringsas.it
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i fagottini di verdure d’aucy
la pera madernassa di life La pera Madernassa è una cultivar spontanea, nata da un probabile incrocio naturale di un seme di Martin Sec con uno selvatico. Un tempo coltivata in molte zone del cuneese, oggi l’area di produzione è limitata e concentrata in due zone del Cuneese: Il Roero e la Valle Grana, dove storicamente segnava in modo caratterizzante la delimitazione dei fondi e, più in generale, il paesaggio rurale locale. La raccolta ha inizio indicativamente nel mese di settembre e termina nel mese di novembre, salvo tener conto dell’andamento stagionale e delle condizioni ambientali proposte. Croccante, poco granulosa, leggermente profumata, di sapore dolce e leggermente aromatica La Madernassa è una pera da cuocere, dove esprime le sue migliori caratteristiche, anche se si può mangiare cruda, quando matura. Le Madernassa Life arrivano tutte da un unico sito di produzione, situato sotto il comune di Montà, d’alba con circa 6.000 piante a filiera controllata. Il prodotto finale mantiene la buccia, elemento importante che apporta la giusta quantità di fibre, vitamine e caratteristiche organolettiche. Natural condition, garantito senza l’aggiunta di zuccheri e conservanti. Grazie alla particolare struttura della pera può sopportare una cottura e trattamenti che altre non riescono. Il prodotto finale è pronto all’uso in diversi modi a piacere.
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“Il segreto della felicità sta nel guardare tutte le meraviglie del mondo e non dimenticarsi mai delle due gocce di olio nel cucchiaino.” Con queste parole Paulo Coelho non solo ci svela come raggiungere la felicità nella vita, ma anche in cucina. Da sempre l’olio resta uno degli ingredienti fondamentali della cucina italiana e usare un prodotto di qualità diventa essenziale per conferire profumi e sapori ai nostri piatti. Star Food Service, divisione specializzata nel mondo della ristorazione professionale, ha la possibilità di offrire una gamma completa di oli grazie alla collaborazione dell’oleificio Mataluni, uno dei più importanti complessi agroindustriali oleari al mondo. Con Olita e Dante, marchi dell’eccellenza italiana, Star propone una linea completa di oli di semi, che garantiscono ottimi risultati in cucina e di oli d’oliva, dal sapore delicato e genuino. Star e Mataluni insieme per garantire in cucina e in tavola la tradizione del Made in Italy. Per saperne di più: www.star.it
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Fabrizio Albini, Ristorante Assapora, Parma Pellegrino Artusi, scrittore Astarea, Milano Andrea Beccaceci, Abruzzo Qualità Angela Borghi, TradeLab, Milano Palmiro Bruschi, Gelateria Ghignoni, San Sepolcro (AR) Bedeschi Salumi, Bentivoglio (BO) Micaela Boscolo, Bagno Vianello, Sottomarina (VE) Carla Brigliadori, Casa Artusi, Forlimpopoli (FC) Vincenzo Buonassisi, giornalista Angelo Cappai, Alival, Ponte Buggianese (PT) Decio Giulio Riccardo Carugati, scrittore Mario Catania, ministro Politiche Agricole Moreno Cedroni, Anikò, Senigallia (AN) Ceramiche Artistiche Solimene, Vietri sul Mare (SA) Stefano Ciotti, Ristorante Vicolo Santa Lucia, Cattolica (RN) Igles Corelli, Chef to Chef Emilia Romagna Carlo Cracco, Ristorante Cracco, Milano Maria Elena Curzio, presidente Ass. Cuoche a domicilio D’aucy Umberto De Marinis, Erredi Distribuzione, Monopoli (BA) Mauro Entradi, Cateringross, Casalecchio di Reno (BO) Sergio Esposito, Italcatering, Capaccio (SA) Eurisko Eurovo Luca Fabbroni, Tavanti Giovanni, Arezzo Fiammetta Fadda, giornalista Giusi Ferrè, giornalista Massimo Fezzardi, Ristorante Esplanade, Desenzano del Garda (BS) Marcello Fiore, Fipe Peter Foppa, Foppa, Bolzano Bernard Fournier, Ristorante Da Candida, Campione d’Italia Fratelli Riva spa, Molteno (LC) Fratelli Saclà spa, Asti Claudio Gatti, Pasticceria Tabiano, Tabiano Terme (PR) Alberto Giacobbe, Eurocotti, Castelnuovo Bormida (AL) Franco Gialdini, GP Food, Ponte Buggianese (PT) Alessandro Gioè, Inkitchen, Milano Francesca Gittardi, Incontri con lo chef, Milano Gruppo Virtuale Cuochi Italiani Istituto del Gelato Italiano Istituto Europeo della Pizza Italiana Istituto Italiano Alimenti Surgelati Jupiter, Oricola (AQ) Daniele Lambertini, Orogel, Cesena (FC) Life Italia, Sommariva Perno (CN) Luigi Lombardi, Lombardi Catering, Napoli Giuseppe Lo Preiato, Ristorante L’Approdo, Vibo Marina (VV)
Marco Lumini, Saragel, Tagliolo Monferrato (AL) Bruna Jacopucci, Ristorante Gradinoro, Tarquinia (VT) Giuseppe Martelli, Assoenologi Giorgio Mazzoli, Conserve Italia, S. Lazzaro di Savena (BO) Michele Menetto, Unioncatering, Venezia Riccardo Menon, World Pizza, Roma Enrico Merlo, Agritech, San Michele (RA) Ivano Morandi, Morandi, Modena Michele Mucciolo, Bagni Laura, Paestum (SA) Ovidio Mugnai, Hotel Villa Carlotta, Stresa (VB) Arturo Negri, Pizzeria Negri, Pontecagnano (SA) Nestlè Carmelo Nigro, Nigro Catering, Modica (RG) Ortalli spa, Maranello (MO) Osteria Tumelin, Levanto (SP) Domenico Ottaviano, Al Trabucco da Mimi, Peschici (FG) Adriano Pace, Ass. Verace Pizza Napoletana, Napoli Francesco e Giuliano Palmieri, Pasticceria Gelateria Il Fuego, Borgo Poncarale (BS) Pastificio Granarolo, Granarolo (BO) Teresa Pecora, Demetra, Talamona (SO) Alessandro Piazza, Madia spa, San Quirino (PN) Stefano Pistollato, Le 5 Stagioni, Collecchio (PR) Luglio Pompili, Cuochi di marca Giancarlo Prevarin, Assoenologi Paolo Ramponi, General Fruit, Credaro (BG) Antonio Raffaele, Ristorante Artecrazia, Lecce Alan Richman, scrittore Piero Roullet , Hotel Bellevue, Cogne (AO) Marco Sacco, Chic Fabrizio Sangiorgi, chef docente Cucinarte Salumificio Mottolini, Poggiridenti (SO) Alessandro Scarponi, Chef, San Clemente (RN) Giovannino Sibilio, Trattoria Albachiara, Fasano (BR) Carla Soffritti, B&B Il richiamo del Bosco, Sala Baganza (PR) Star Lino Stoppani, Fipe Romana Tamburini, Surgital, Lavezzola (RA) Graziano Toci, Industrie Rolli Alimentari, Collecchio (PR) Andrea Tranchero, Ristorante A modo mio, Perth Tre Valli Cooperlat, Jesi (AN) Donato Troiano, Informacibo.it, Parma UNAS, Unione Nazionale degli Alimenti Surgelati Unilever Unione Ristoranti del Buon Ricordo Urbino Resort, Urbino (PU) Dino Villani, giornalista Italo Voza, sindaco di Capaccio (SA) Enrico Zanoni, Cavit, Ravina (TN) Arturo Ziliani, Guido Berlucchi, Borgonato (BS) Franco Ziliani, Guido Berlucchi, Borgonato (BS)
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Lino Stoppani Guadagnare è un dovere per l’imprenditore
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Foto di copertina: Vincenzo Lonati N° 10 Luglio - Agosto 2012 Catering News - Poste Italiane Spa - Sped. AP. DL 353/03 Conv. in L. 27/02/2004 N° 46 Art. 1 comma 1 - CN/BO autorizz. del Tribunale di Bologna n. 6126 del 25/07/1992 EDITORE Edizioni Catering srl Presidente: Sergio Esposito Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051/751087 – Fax 051/751011
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