Bonificare o prevenire di Franco Maria Puddu
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Quale può essere la formula più conveniente per arginare i disastri ecologici che periodicamente affliggono i mari?
el 1985 “Phantoms!”, un romanzo di fantascienza della serie Urania scritto da un noto autore americano specializzato nel settore, Dean R. Koontz, delineando una storia a metà strada tra lo horror e lo spiritico – soprannaturale (storia che si sarebbe in realtà conclusa con una spiegazione più che razionale), fece richiedere, da uno dei protagonisti principali, “Mi servono anche tutti i quantitativi disponibili della quarta generazione del piccolo miracolo del dottor Chakrabarty”. Che in un romanzo, specie se di fantasia, vengano evocati personaggi più o meno singolari ma senza alcun punto di contatto con la realtà, è cosa normale, ma quello che il grande popolo dei lettori in genere ignora è che gli autori, che non sono certo degli sprovveduti, molto spesso partono da spunti forse poco noti alla cronaca, ma fermamente ancorati alla realtà. Così, se effettuiamo una piccola indagine, possiamo vedere che nel 1972 l’onnipotente multinazionale General Electric, presentò presso l’Ufficio Marchi e Brevetti degli Stati Uniti una domanda di brevetto per proteggere un batterio geneticamente modificato da un bioingegnere di origine indiana, Ananda Mohan Chakrabarty, che lo aveva ottenuto derivandolo dal genere Pseudomonas, e che era capace di degradare le molecole del petrolio grezzo, bonificando vaste aree di mare inquinate da idro-
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carburi senza agire chimicamente su di essi, ma semplicemente “digerendoli”. Gli idrocarburi che compongono il petrolio, infatti, hanno, come avviene per tutte le sostanze organiche naturali, degli organismi, come batteri, funghi o alghe, che li utilizzano come risorse nel proprio metabolismo,. In particolare alcuni batteri che vivono in ambienti particolarmente difficili per la vita, e che per questo sono chiamati estremofili, hanno un metabolismo che consente loro di “ripulire” (sarebbe adesso molto complesso e in fin dei conti non necessario specificare il “come”) ambienti scarsamente ossigenati e inquinati da idrocarburi.
Un batterio prezioso L’ufficio brevetti statunitense, comunque, rifiutò la concessione dei diritti alla GE (per Chakrabarty) sul batterio, sebbene esistesse negli USA una lunga storia di brevetti analoghi, affermando che secondo la legge gli esseri viventi non erano brevettabili, anche se già nel 1873 ne era stato concesso uno a Louis Pasteur riguardante un processo per la produzione del lievito di birra. A questo primo rifiuto seguì una lunga serie di ricorsi d’appello presso varie autorità competenti come il Board of Patent Appeals and Interferences e la United States Court of Customs and Patent Appeals, che diedero esiti alternativamente negativi e positi-
Ananda Mohan Chakrabarty, lo scienziato indiano naturalizzato americano che per primo al mondo eseguì con successo, nel 1972, una operazione di modifica genetica su un organismo vivente; in apertura, il batterio Acinetobacter Venetianus al microscopio
vi fino a che, dopo 8 anni di discussioni e sentenze, nel 1980 la Corte Suprema concesse la proprietà intellettuale sul batterio, sulla base dell’interpretazione di una norma del 1952 secondo la quale i brevetti possono essere richiesti da “qualunque persona che possa avere inventato una macchina o un procedimento di lavoro, includendo qualsiasi cosa che sia fatta da un uomo sotto il sole ”, perché il brevettante aveva prodotto un nuovo batterio con caratteri diversi da quelli di ogni altro già esistente, appositamente per utilizzarli a fini specifici. Tutto questo causò una rivoluzione nel settore dell’industria biotecnologica e biochimica americana, che, in seguito, avrà forti ripercussioni su quelle europee, anche perché, con l’evoluzione dei tempi, si erano venute a creare nuove situazioni, o meglio a peggiorare una serie di situazioni già esistenti. Proprio in quegli anni il neonato movimento ambientalista, infatti, stava portando alla ribalta una serie di problemi inerenti l’inquinamento dei mari da idrocarburi.
Per via dei sempre accresciuti fabbisogni di petrolio e suoi derivati della nostra società, spesso contrastati dalle crisi energetiche causate da guerre, motivi politici o altro, il flusso del greggio che veniva movimentato via mare era andato sempre crescendo. Alle petroliere si erano aggiunte quelle più grandi, poi le superpetroliere e infine quelle che riuscivano a stento, magari rigandosi la vernice delle fiancate, a transitare per le chiuse di Panama o le fra le sponde del Canale di Suez. Che non tutti i comandanti siano dei gentiluomini non è cosa da far stupire eccessivamente, ma fra quelli delle petroliere, più o meno super, era invalsa l’abitudine, per risparmiare tempo, di effettuare il lavaggio delle tanche non appena partiti dal porto di consegna del greggio, e di scaricare bellamente il graveolente liquido di lavaggio in mare, spesso senza neanche attendere di essere almeno abbastanza lontani dalla costa, creando bellissimi fenomeni iridescenti nella scia della nave, e splendide distese di chiazzette di catrame che si estendevano per chilo-
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ven da 235.000 t affondò al largo di Genova perdendo migliaia di tonnellate di greggio. Nel 2002, in Spagna e Portogallo la petroliera Prestige con 77.000 tonnellate di petrolio a bordo affondò nelle acque dell’Atlantico. Nel 2010, infine, negli USA abbiamo il disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon che negli oltre 100 giorni che furono necessari per sigillare la perdita del pozzo subacqueo, rilasciò 127 milioni di litri di petrolio. Ora, anche se la tecnologia navale si era andata evolvendo negli anni garantendo mezzi sempre più sicuri, c’è da dire 1967: lo scafo, spezzato, della superpetroliera Torrey Canyon sta per essere spezzonato con ordigni incendiari da cacciabombardieri Buccaneer della Royal Navy, nella speranza di eliminare per comche restavano pur sembustione la maggior parte del greggio rilasciato dalle tanche squarciate pre in circolazione vecchie carrette pericolose quanto una mina alla deriva, e poi, in fin dei conti, per quanto si possano metri sulla battigia di spiagge deserte e affollate, innalzare i limiti di sicurezza, l’incidente, per errosconosciute e rinomate, con gioia e delizia dei bare, incompetenza, distrazione, fatalità può verificargnanti. si sempre, non c’è niente da fare. A questo si aggiunga l’inevitabile lunga serie di siniSi erano andate perfezionando allora le tecniche stri petroliferi in mare della quale riportiamo sintedi bonifica delle acque, unica cosa da portare ticamente un breve elenco dei più gravi, a partire avanti ad incidente avvenuto. Una bonifica realizdal primo e fra i più terrificanti che ebbe luogo nel 1967. zabile usando barriere flessibili ed estensibili sulla superficie del mare (panne) per circoscrivere le Una serie terrificante chiazze oleose e poi aggredire queste aspirandole, Quell’anno, nel Regno Unito, le petroliera Torrey disperdendole o eliminandole, e qui torniamo alCanyon da 120.000 t affondò al largo della Cornol’argomento con il quale abbiamo aperto il nostro vaglia, perdendo tutto il carico per eliminare il quadiscorso. le non si seppe far di meglio che incendiarlo facendolo bombardare da velivoli della Royal Navy. La ricerca va avanti Nel 1978, in Francia, la petroliera Amoco Cadiz da Già, perché se nel 1972 il brevetto Chakrabarty fos234.000 t affondò al largo delle coste bretoni con se stato concesso, il batterio mangia – petrolio perdita totale del carico. avrebbe potuto essere disponibile molti anni prima Nel 1989, negli USA, la petroliera Exxon Valdez da di quanto non sia avvenuto, ma con i se, è noto, 200.000 t affondò nel Golfo di Alaska, perdendo non si fa la storia, e allora accettiamo quanto è av40,6 milioni di litri di greggio. venuto osservando quanto altro è stato fatto nel Nel 1991, in Italia, la petroliera Amoco Milford Hacampo delle ricerche.
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Molto, bisogna convenirne. Nel 2007, ad esempio, nell’isola di Deokjeok, nel Mar Giallo, un gruppo di scienziati sudcoreani ha isolato un batterio estremofilo, chiamato Marinobacterium Litorale, capace anch’esso di metabolizzare gli idrocarburi, mentre è del giugno di quest’anno la notizia che un gruppo di ricerca internazionale, in collaborazione con l’Università di Firenze e l’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Milano avrebbe isolato sin dal 1996 nella laguna di Venezia, l’Acinetobacter Venetianus VE-C3, batterio marino che vive nelle acque inquinate e che ha sviluppato la capacità di metabolizzare gli idrocarburi rendendoli meno dannosi per l’ambiente, processo indicato come “biorisanamento”. Queste notizie, citate come esempio da un numero ben maggiore, sono importanti anche se non determinanti, in quanto la bacchetta magica rappresentata da un qualcosa che, spruzzato sulla chiazza di petrolio, la fa scomparire non esiste e probabilmente non sarà mai realizzato. La cosa importante, però, è che la guardia non è stata abbassata, ma rimane sempre ben attiva dando anche dei frutti confortanti. Contro le piccole
quantità di detergenti e solventi impiegati a livello quasi sperimentale nel disastro della Torrey Canyon, recentemente, nel caso della Deepwater Horizon sono stati impiegati, per contrastare l’emissione petrolifera, quasi 7 milioni di litri di solventi organici e, a quanto sembra, con risultati superiori alle aspettative, in quanto è stato osservato che la diminuzione della consistenza dell’inquinante è stata più rapida e stabile di quanto previsto. Non bisogna comunque dimenticare che una vasta parte della bonifica si svolge tuttora con i liquidi dispersori, che sono prodotti chimici innocui per l’uomo, che aggrediscono gli idrocarburi liquidi trasformandoli in catrame, facendolo precipitare sui fondali dove rimarrà in eterno limitando i danni; anche se, possiamo dire, è un rimedio piuttosto relativo, in quanto non tiene conto della biodiversità e della vita esistenti, appunto, sui fondali.
Prevenire o reprimere? C’è peraltro chi ha pensato che tutti questi problemi si potrebbero alleviare limitando, radicalmente e drasticamente, l’impiego del greggio con il ricorso, nella vita di tutti i giorni, ai carburanti alternativi.
Questa impressionante immagine ci mostra una unità ausiliaria per la bonifica petrolifera che si fa strada nell’immane “nuvola” di greggio fuoriuscita dal pozzo Deepwater Horizon nel 2010, nel Golfo del Messico
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ster sin dagli Anni 90) ci siamo orientati maggiormente verso un carburante biodiesel a base di olio di colza; questo, utilizzato sin dal 1200 per illuminazione, ha controverse valenze alimentari, mentre come carburante sembra dia un buon rendimento. Già durante la Seconda Guerra Mondiale è stato usato con successo come alternativo alla nafta, particolarmente per i motori marini. Ma, con un pizzico di genio italico, abbiamo Barili di solventi impiegati in uno dei primi modesti tentativi, andati falliti per l’inesperienza e l’evolto lo sguardo anche siguità dei materiali disponibili, di bonificare l’inquinamento della Torrey Canyon in un’altra direzione: quella degli oli vegetali In pratica, prevenire anziché reprimere. esausti, in altre parole quanto vi rimane nella paPer il momento le ricerche e gli esperimenti (che dudella dopo aver preparato un solenne fritto misto. rano già da anni e con ottimi risultati) si orientano Sembra infatti, almeno a giudicare dalle prove, che essenzialmente verso la sostituzione della nafta con il biodiesel ottenuto rigenerando l’olio di frittura un biocarburante nei motori a propulsione diesel. dia ottimi risultati: abbattimento delle emissioni di Negli Stati Uniti già dal 2012 sono stati sperimencarbonio del 50 %, di anidride carbonica del 78 % e talmente messi in vendita combustibili ricavati da del particolato (le polveri sottili) fino al 65 %. Per un olio estratto dalle alghe (Soladiesel, che sembra questo in Italia sono sorte aziende e centri di raccolgarantire un abbattimento del 20% delle emissioni di carbonio e del 30 % dei particolati), ma anche a base di bioetanolo proveniente dal mais, in questo caso da utilizzare al posto della benzina nelle normali autovetture. Quest’ultimo ha avuto il curioso, e pericoloso, effetto collaterale di far lievitare il prezzo del mais per l’accresciuta richiesta, fattore che si è abbattuto negativamente sull’allevamento con la perdita di una gran quantità di posti di lavoro. Anche il tristemente noto batterio dell’Escherichia Coli, responsabile di tante gravi infezioni delIn Italia (come in Franl’organismo umano, può essere utilizzato per il trattamento degli idrocarburi cia, che produce il Die-
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Biocarburante estratto da colture alimentari, un sogno certo fattibile ma forse prematuro
ta di oli esausti un po’ ovunque. Questo impegno è stato abbracciato anche da una Sezione della LN, quella di Rapallo che, in concorso con il Comune e la Regione Liguria ha contribuito ad organizzare una campagna sperimentale di raccolta cittadina degli oli che ha avuto luogo dal 5 al 23 aprile di quest’anno, con 7 punti di raccolta, uno dei quali situato presso la Sezione stessa. Bisogna dire però che, nonostante i risultati incoraggianti, un più massiccio impiego di biocarburante sembra stentare a prendere decisamente il volo, in particolare negli USA. Il perché è facilmente comprensibile: oggigiorno il commercio del petrolio e dei suoi derivati condiziona gran parte del mondo, gli interessi sono elevatissimi ed è molto difficile, se non praticamente impossibile, sperare di introdursi nell’ingranaggio delle grandi Aziende petrolifere multinazionali che lo gestiscono. Cosa che tentò di fare negli Anni 50 il fondatore dell’ENI, Enrico Mattei, che coniò, riferendosi a queste Aziende, il nome di “sette sorelle”. Ma visto come andarono le cose (morì nella misteriosa esplosione del suo aereo il 27 ottobre 1962, “incidente” che solo nel 2005 è stato riconosciuto come doloso), forse avrebbe fatto meglio a mettersi contro “i sette samurai” o “i magnifici sette”. ■
Il pieghevole che illustra l’iniziativa di raccolta di olio esausto intrapresa dalla nostra Sezione di Rapallo
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N g c c l d q s a s z i c m z n r o l “ m v s g v A s m g t r L L d u y r f